Technopolis 30

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NUMERO 30 | OTTOBRE 2017

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

PROFESSIONI IN DIGITALE Nicola Sciarra, commercialista, racconta come sta cambiando radicalmente il lavoro degli studi di consulenza grazie alla tecnologia e al cloud.

E-COMMERCE

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Gli acquisti via smartphone e tablet rappresentano un terzo della spesa italiana. La domotica è la prossima frontiera.

BANKING

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Le startup del Fintech e le nuove tecnologie impongono agli operatori tradizionali di cambiare modelli e strategie.

FOCUS SICUREZZA

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Difese piĂš vulnerabili, attacchi sofisticati: la protezione di dati e sistemi richiede ricerca e competenze.



SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 30 - OTTOBRE 2017 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

4 STORIE DI COPERTINA

9 IN EVIDENZA

Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Claudia Rossi, Ezio Viola. Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Martina Santimone

Mercato tecnologico a rilento. La burocrazia frena le imprese

Industria 4.0: Il rischio bolla e la sfida delle Pmi

Direttore responsabile: Emilio Mango

Il digitale nobilita il professionista

E-government, innovazione a singhiozzo

L’intervista: Farsi un data center personale? Un controsenso

Smart city all’italiana

16 SCENARI

L’e-commerce è mobile

L’acquisto online parte dalla domotica

Cio pronti a guidare l’azienda digitale

26 TECNOLOGIE

Banche, è in arrivo la rivoluzione

L’algoritmo valuta il livello di rischio

31 FOCUS SICUREZZA

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: Elcograf S.p.A. - Verona

Siamo tutti nella morsa degli hacker

Difese più vulnerabili

Un nuovo scudo: l’intelligenza diffusa

Ricerca e formazione per sconfiggere le minacce

39 ECCELLENZE.IT Ministero dell’Interno - Ca Technologies Istat - Siav

Fca Alfa Romeo - Samsung

Terme dei Papi di Viterbo - Zucchetti Itaca

44 ITALIA DIGITALE La ricetta per crescere: managerialità

© Copyright 2017 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

Smart manufacturing in un’azienda su due

48 VETRINA HI-TECH Non solo Nas: lo storage è multiforme


STORIA DI COPERTINA | Studio Perpiciatis Sciarra

IL DIGITALE NOBILITA IL PROFESSIONISTA La mobilità e la collaborazione rese possibili dalle nuove tecnologie stanno cambiando la figura del commercialista. Sempre meno burocrate, sempre più consulente a valore aggiunto.

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icola Sciarra è l’emblema del “commercialista 2.0”. Da sempre convinto della validità del lavoro in rete e in condivisione, ha fatto del digitale lo strumento principe per sviluppare il business del proprio studio, ma anche la sua professionalità. “Esiste un dato”, dice Sciarra, “che determina in modo inequivocabile il passaggio dall’era analogica a quella digitale del commercialista: il peso della sua borsa. Siamo passati dai 15 chili e oltre di dieci anni fa ai tre chili, magari scarsi, di oggi. E il bello è che adesso ci portiamo dietro

molta più documentazione di prima”. Dieci anni fa il mondo dei professionisti era soprattutto fatto di adempimenti e carta. Ma Sciarra, cinquantenne romano, commercialista con 25 anni di professione alle spalle, aveva già allora intuito il valore della condivisione e della collaborazione e aveva intravisto l’importanza della mobilità. L’evoluzione degli strumenti informatici, negli anni, ha via via rafforzato la sua idea. “Dall’inizio della professione ho sempre cercato soluzioni che potessero unire e favorire la collaborazione”, rac-


conta il commercialista. “La maggior parte dei colleghi vedeva la crescita come semplice unione dei singoli. Studi piccoli e medi si associavano per formare realtà più grandi. Ma sorgevano problematiche di ogni genere, soprattutto logistiche. Gli spostamenti creavano malumori o scontentavano qualcuno. La virtualizzazione dello studio professionale è sempre stata, nella mia convinzione, la soluzione vincente.” La virtualizzazione porta con sé la mobilità. Sciarra ha sempre tenuto aperto il dialogo con i fornitori di soluzioni software che potessero risolvere i suoi problemi. Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha fatto proprie le esigenze di Sciarra, nella convinzione che fossero emblematiche delle necessità di tutta la categoria e che il dialogo con il professionista fosse la chiave di volta per la corretta interpretazione dei bisogni dei commercialisti. L’evoluzione digitale basata sull’ascolto del professionista ha contribuito alla nascita di Genya, un software risolutivo per quanto attiene la collaborazione, la semplicità e intuitività d’uso, nonché per la mobilità. La ricerca del valore aggiunto

“Oggi il commercialista non può più limitarsi agli adempimenti, alla contabilità”, prosegue Sciarra. “Diciamo che queste attività sono diventate del-

IL SEGRETO È NEL NETWORK

Lo Studio Sciarra nasce a Roma nel settembre del 1993. Le attività spaziano dalla consulenza aziendale in ambito amministrativo, fiscale, tributario e societario al supporto alle imprese clienti nell’analisi dei processi, dall’assistenza strategica all’imprenditore e al management al supporto e consulenza alla gestione, anche attraverso indagini e strumenti di benchmark. Lo studio fornisce la sua consulenza ad aziende ed enti principalmente nel mercato dei servizi tecnici, dell’It, del mondo cooperativistico e del terzo settore, con una particolare attenzione all’ambito dello spettacolo. Lo Studio Sciarra ha sempre creduto nelle capacità operative e collaborative del network digitale di professionisti. Dal primo server interno, che metteva in condivisione le risorse per tutti i collaboratori, fino all’attuale rete di quaranta figure professionali che operano utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal mercato digitale.

le commoditiy: indispensabili, ma a scarso valore aggiunto. Noi dobbiamo essere i consulenti degli imprenditori. Dobbiamo assolvere alla funzione del direttore amministrazione, finanza e controllo in outsourcing delle aziende. Il panorama industriale italiano è popolato per la stragrande maggioranza da piccole e medie imprese con al proprio vertice un imprenditore che agisce, e sono prive di una struttura consulenziale interna alla quale appoggiarsi. Il professionista moderno deve assumere esattamente questo ruolo. Genya di Wolters Kluwer Tax & Ac5


STORIA DI COPERTINA | Studio Sciarra

LA SOLUZIONE

counting Italia è lo strumento digitale che mi consente in mobilità la gestione dello studio, il controllo delle attività e del loro avanzamento, il monitoraggio in tempo reale delle performance dei clienti, e che mi regala lo spazio per fare davvero il consulente”.

Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha studiato a lungo l’evoluzione digitale che sta trasformando il lavoro del commercialista e i processi tipici della sua attività, scoprendo che, oltre a garantire efficienza in ambito fiscale e contabile, il professionista del futuro dovrà essere un vero consulente strategico per i suoi clienti, per la loro crescita ed espansione. A supporto di questo cambiamento è stata creata la soluzione digitale Genya: un software che punta a trasformare il mondo dei commercialisti sia concettualmente, sia

a livello di interfaccia. Si tratta di una piattaforma cloud semplice e innovativa, che consente la collaborazione con la clientela, la gestione dello studio in mobilità, il controllo delle attività e del loro avanzamento, il monitoraggio “live” delle performance dei clienti. Facendosi carico di tutto questo, il software permette ai professionisti di ricavare per se stessi maggiore spazio da dedicare ad attività a valore aggiunto. La suite Genya è composta dai moduli Bilancio, Dichiarativi Società e Persone Fisiche e Contabilità.

Un mestiere in evoluzione

Grazie al massiccio e intelligente utilizzo degli strumenti digitali e di condivisione, Nicola Sciarra ha potuto assumere ruoli che hanno dato prestigio alla sua professionalità e, in parallelo, hanno aiutato la crescita personale e lavorativa. Nel ruolo di vice presidente della commissione informatica dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma ha fatto della formazione una missione. A suo dire: “Gli strumenti digitali sono la penna e il calamaio della professione, ma l’opera di divulgazione del digitale nella categoria è tutt’altro che terminata e io mi impegno in prima persona nella convinzione che l’evoluzione digitale della figura del commercialista sia un bene per lo sviluppo industriale di questo Paese”. Sciarra è anche coadiutore dell’amministrazione giudiziaria per la gestione di imprese in sequestro di prevenzione. Tiene molto a questa attività perché anche qui fa opera di divulgazione del 6

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sapere digitale. “Le aziende sequestrate”, conclude, “sono spesso organismi viventi con un ruolo nella società che non può essere lasciato morire solo perché la proprietà è opaca. Ci occupiamo dunque di gestire le realtà in sequestro preventivo per garantirne la continuità d’impresa e nell’ottica della salvaguar-

dia dei posti di lavoro. Fungiamo da consulenti della Pubblica Amministrazione organizzando e gestendo i flussi aziendali soprattutto con una visione funzionale tecnologica e digitale”. Senza la tecnologia, la mobilità e la collaborazione, tutto questo non sarebbe possibile.


Commercialisti e clienti sono dentro ai dati grazie al cloud Le soluzioni adottate dai professionisti più tecnologicamente evoluti consentono non solo di facilitare la gestione di software e hardware, ma anche di avere a portata di mano tutte le informazioni utili al business. Nicola Sciarra e Pierfrancesco Angeleri

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l professionista cambia pelle e la tecnologia è un elemento fondamentale di questa evoluzione, ma il vero segreto sta nella natura del rapporto tra software house e commercialisti: non più una semplice relazione tra fornitore e cliente ma tra partner che cooperano per comprendere sempre meglio le esigenze dell’utente finale. Per capire meglio queste dinamiche, Technopolis ha intervistato Nicola Sciarra, commercialista, e Pierfrancesco Angeleri, Managing Director della divisione Tax & Accounting di Wolters Kluwer Italia.

In che cosa si concretizza questa diversa natura del rapporto?

Sciarra: Prima i pacchetti erano standardizzati, schematici. Era il professionista a dovesi adattare al prodotto. Oggi la software house è disponibile a plasmare i programmi sulle realtà operative degli studi. Dall’analisi che ho condotto insieme ad altri colleghi della nostra rete di professionisti, emerge che è Genya ad adattarsi alle nostre esigenze, senza obbligarci a muoverci secondo i percorsi logici studiati dal produttore. Angeleri: Abbiamo progettato il softwa-

re seguendo un concetto architetturale nuovo, che superava la vecchia idea di realizzare le funzioni tipiche necessarie al commercialista, ma che si proponeva di costruire lo strumento letteralmente intorno a lui e al suo mondo. Dal punto di vista del prodotto, questo che cosa significa?

Sciarra: L’idea è quella di tornare a lavorare mettendo al centro il cliente e non più il software. È un po’ come ritornare al passato, quando il professionista metteva la cartellina del cliente sulla scrivania, la apriva e iniziava a sbrigare le pratiche. Angeleri: È proprio così, anche se in forma digitale. Basti pensare che oggi la schermata principale del programma è quella del Crm, quella che dà al professionista prima di tutto la “fotografia” della situazione del cliente. Questo favorisce la velocità di esecuzione: una volta aperta la cartellina sono disponibili tutte le attività che si possono eseguire sui suoi dati e documenti. La user experience che abbiamo riprogettato è guidata da un’applicazione senza menu. I percorsi sono sempre diversi, mentre le vecchie applicazioni avevano un albero, un percorso

più o meno obbligato. Con Genya invece si può attraversare il grafo con libertà. Come avete realizzato la cooperazione?

Sciarra: Quando Angeleri mi ha proposto di collaborare, ho voluto vedere il prodotto e mi ha colpito la concretezza nella gestione del cliente: noi abbiamo bisogno di avere le informazioni in maniera veloce, senza perderci nei menu. E poi la rivoluzione del cloud ci ha consentito di spostarci letteralmente dentro l’universo dei dati dei clienti, la materia prima del nostro lavoro. Angeleri: Il percorso che ci ha portati a sviluppare il software non è stato lineare: il fulcro è stato la creazione di un “customer advisory board”, formato da una ventina di clienti disposti a collaborare, e gli input che ci hanno fornito sono stati fondamentali. Abbiamo riscritto da zero il software, impiegando cinque anni. Se avessimo seguito le strade tradizionali per ottenere i classici feedback, ci avremmo messo molto di più. Genya è stato sviluppato interamente in Italia dalla nostra “fabbrica”, che conta circa 220 softwaristi ma anche designer, grafici e professionisti esperti di fisco e contabilità. E.M. 7


RICOH ITALIA


IN EVIDENZA

l’analisi MERCATO DIGITALE IN CRESCITA LENTA. LA BUROCRAZIA FRENA LE IMPRESE “Il digitale sta iniziando a contaminare l’economia italiana, ma bisogna accelerare e irrobustire questo trend, per accrescerne le capacità competitive in linea con le tendenze internazionali”. Incipit pre-vacanziero di Agostino Santoni, presidente di Assinform (e numero uno di Cisco in Italia) all’atto di rendere noti i risultati del mercato italiano delle tecnologie per il 2016. Mercato cresciuto dell’1,8%, a quota 66,1 miliardi di euro, e accreditato di chiudere il 2017 con un incremento del 2,3%. Numeri discreti, ma è ancora troppo poco per dire che il nostro Paese, quanto a propensione all’innovazione digitale, abbia svoltato. Gli addetti ai lavori guardano il bicchiere mezzo pieno sottolineando come le aziende si siano rimesse in gioco. Giusto, e fa ben sperare il fatto che tutti i più importanti settori dell’economia siano contagiati dalla ripresa, tanto che l’incremento medio annuo della spesa digitale per il triennio 2017-19 è del 2,6% (con un giro d’affari stimato fra due anni di oltre 71 miliardi di euro). Ma la curva di crescita è ancora insufficiente a coinvolgere le tante Pmi che costituiscono la spina dorsale del nostro tessuto produttivo. Inoltre, il (troppo) lento processo di digitalizzazione della Pa non gioca certo a favore di un sistema che deve dimostrare di saper e poter vincere la scommessa di Industria 4.0. A dieci anni dalla crisi economica che ha congelato a lungo gli investimenti, insomma, il gap che l’Italia paga alle nazioni digitalmente più avanzate appare ancora decisaemnte elevato. Troppo.

Il Rapporto Assinform stima per il 2017 un incremento della spesa in tecnologie del 2,3%. Ma rimane il gap con gli altri Paesi, come sottolinea l’European Innovation Scoreboard. Colpa delle troppe norme? Se guardiamo per esempio agli indici dell’ultimo European Innovation Scoreboard, l’Italia nel 2016 ha perso ancora posizioni: con un punteggio di 75,1 siamo nel gruppo di coda dei Paesi innovatori moderati e i valori della media europea (102) paiono irraggiungibili anche in considerazione del fatto che, rispetto al 2010, la nostra performance in termini di innovazione è calata dello 0,2%. Colpa della politica che non vuole assumersi responsabilità? Forse, anzi probabile. Anche se una

parte di responsabilità ce l’hanno anche le aziende, colpevolmente miopi nel guardare (in tempi utili) al digitale come vera risorsa per incrementare la competitività. È anche vero, per contro, che siamo al cinquantesimo posto su 190 Paesi (sul podio svettano nell’ordine Nuova Zelanda, Singapore e Danimarca) nella classifica che considera in media la facilità di avviare e portare avanti un’attività imprenditoriale. Ce lo ricorda l’ultimo rapporto annuale della Banca Mondiale, che di fatto punta il dito contro la burocrazia e la proliferazione delle normative identificandole come nostri reali handicap. Innovazione digitale e quarta rivoluzione industriale sono paradigmi che la tecnologia, da sola, non può radicare; se l’Italia vuole veramente svoltare serve un cambiamento organizzativo, sia a livello d’impresa sia a livello di macchina pubblica. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

FRA SVAGO E LAVORO, VOLA LA REALTÀ VIRTUALE Secondo i dati di Idc, quest’anno il mercato di visori e software (anche per la realtà aumentata) varrà 11,4 miliardi di dollari. E nel 2021 si arriverà a 215.

Il mercato della realtà virtuale e aumentata non è mai stato così concreto. Le proiezioni elaborate da Idc da qui al 2021 parlano chiaro: questo settore, che oggi vale 11,4 miliardi di dollari, si espanderà fino a smuovere ben 215 miliardi fra quattro anni. Un boom esponenziale, per un tasso di crescita composto del 113,2%. A dominare il mercato nell’ultima parte del 2017 sono ancora le soluzioni consumer, una tendenza valida per tutte le aree geografiche prese in considerazione dalla società di ricerca. La seconda e la terza piazza, invece, variano a seconda delle regioni. Negli Usa e nell’Europa occidentale il resto del podio è infatti occupato da varie tipologie di processo manifatturiero, mentre nell’Asia-Pacifico troviamo retail ed educazione. Lo scenario statunitense muterà, avverte Idc, nei prossimi anni perché le soluzioni consumer cederanno il passo ad altre applicazioni, fra cui quelle in ambito industriale, governativo, dei trasporti e dei servizi professionali. La spinta verso il cambiamento sarà garantita 10

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dalla comparsa di hardware di nuova generazione, che verrà subito adottato dalle aziende interessate. La situazione attuale rimarrà invece cristallizzata in Europa e nei Paesi asiatici (escluso il Giappone), dove i visori per il singolo utente continueranno a essere i più venduti. In particolar modo saranno sempre protagonisti i prodotti per il gaming, un settore che nel 2021 genererà una spesa di 9,5 miliardi sia per la realtà virtuale sia per quella aumentata. Ma queste tecnologie saranno così pervasive da interessare praticamente qualsiasi segmento di business, con importanti investimenti soprattutto nella manutenzione degli impianti industriali (5,2 miliardi di dollari) e delle infrastrutture pubbliche (3,6 miliardi). A livello di pura crescita, infine, gli ambiti applicativi caratterizzati da maggiore vitalità saranno la ricerca sul campo (per un tasso annuale composto del 166,2%), la riabilitazione fisica (152%) e, ancora, la manutenzione di installazioni e servizi pubblici (138,4%). A.A.

IL 5G DEBUTTA A SAN MARINO Il cammino europeo del 5G partirà da San Marino. Gli abitanti della piccola Repubblica saranno i primi nel Vecchio Continente (e fra i primi al mondo) a potersi connettere a reti mobili di quinta generazione. Il progetto, firmato Tim, prevede l’aggiornamento entro la fine del 2017 al network 4.5G, con l’anticipazione di alcune caratteristiche tipiche del 5G come l’utilizzo di antenne evolute e le small cell, per passare poi nel 2018 all’implementazione effettiva di reti di nuova generazione. Tim potrà così fornire all’amministrazione sammarinese servizi innovativi per le smart city, soluzioni di telesorveglianza, supporto all’Industria 4.0 e molto altro.

HUB TRICOLORE PER ZALANDO Il gigante tedesco dell’e-commerce Zalando è prossimo a fare il nido nel nostro Paese. L’azienda, una fra le poche realtà digitali europee di grande successo (è valutata 5 miliardi di euro), è intenzionata a inaugurare un centro logistico in Italia che servirà anche altri mercati del Vecchio Continente. L’obiettivo è quello di aggredire un segmento che nella sola Penisola vale dai 40 ai 50 miliardi di euro. Zalando è una piattaforma specializzata nella vendita di capi di abbigliamento e accessori. Nata in Germania nel 2008, ha poi fatto presa soprattutto nei Paesi di lingua tedesca ma oggi vende prodotti in 15 mercati europei. E dal 2014 è quotata in Borsa. Il nuovo hub italiano opererà insieme al magazzino di Stradella (Pavia). Il progetto per la costruzione del centro logistico sarà avviato nei prossimi sei mesi.


INDUSTRIA 4.0: IL RISCHIO BOLLA E LA SFIDA DELLE PMI La possibilità che il Governo possa estendere gli incentivi alle imprese nell’ambito del piano Industria 4.0 prende sempre più corpo. Il partito degli ottimisti punta, giustamente, sugli incoraggianti numeri di metà anno relativi alla produzione manifatturiera e sulle buone intenzioni del titolare del Mise Carlo Calenda, che di recente ha aperto alla possibilità di un rafforzamento delle misure del Governo per gli investimenti in tecnologie. L’ipotesi è di destinare un miliardo e mezzo di euro di nuove risorse da inserire nella prossima Legge di bilancio. Prima di procedere con lo stanziamento di ulteriori finanziamenti, così come ha ricordato il ministro, bisognerà però verificare che cosa abbia funzionato del piano e che cosa no. Technopolis ha provato a giocare d’anticipo chiedendo un parere ad Andrea Bacchetti del Laboratorio Rise dell’Università di Brescia e co-autore di uno studio sul digital manufacturing, di cui parliamo a pag. 46. “Il percorso verso Industria 4.0”, spiega, “è arrivato alla piena consapevolezza ma non si tratta di un processo di trasformazione rapido: vi sono tante tecnologie da integrare e armonizzare, di linee gestionali e di processo da interconnettere, e non si possono utilizzare ricette standard, anche se non mancano

Carlo Calenda

le best practice da seguire”. Cambiare faccia, in ottica digitale, al mondo manifatturiero non è quindi operazione fattibile dalla sera alla mattina ma presuppone un percorso di innovazione su misura. Radicato, come suggerisce Bacchetti, sui principi alla base del modello “lean”, che del nuovo paradigma si può considerare un prerequisito pur non essendo la stessa cosa. “Industria 4.0 non viene dal basso ma è un fenomeno top down e deve essere governato dalla direzione aziendale nel suo insieme perché non demandabile a una singola figura, e tantomeno al solo direttore It, che non può essere depositario dei nuovi progetti”. Per gestire la quarta rivoluzione industriale, insom-

ma, serve un lavoro congiunto a livello di management, prima ancora della bontà delle misure fiscali del Governo per favorire gli investimenti. Il rischio di un effetto bolla, finché la finestra degli incentivi è aperta, esiste perché, come osserva Bacchetti, “molte aziende puntano ad approfittare delle agevolazioni pur non disponendo di una precisa strategia. È indubbio però che il parco macchine del manifatturiero italiano sia fra i più vecchi d’Europa e un rinnovamento in tal senso è necessario e va considerato come un elemento di beneficio”. Il solo acquisto di nuovi macchinari non va inteso come un risultato assoluto ai fini della quarta rivoluzione industriale, ma partire da un livello di informatizzazione adeguato, secondo l’esperto del Rise, è un prerequisito importante e vale soprattutto per le piccole aziende. Industria 4.0 è quindi un’opportunità che vale veramente per tutte le imprese? La risposta è negativa e, secondo Bacchetti, per una semplice e nota ragione: “Le dimensioni delle aziende contano. Le grandi e molto grandi sono le più pronte mentre solo un 20% circa di Pmi oggi può dimostrare di avere i requisiti per completare, in tempi più lunghi, il percorso e diventare realmente delle eccellenze 4.0”. G.R.

DAL CIPE ARRIVANO 67 MILIONI

ORDINI BOOM

È datato metà luglio un altro e importante passo avanti nella realizzazione del piano Industria 4.0: il Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) ha ratificato lo stanziamento di 67 milioni di euro per finanziare i voucher destinati alle piccole e medie imprese che investono in processi di

I dati sulla produzione industriale diffusi dall’Istat a luglio sorridono al comparto manifatturiero. La produzione industriale è in crescita dell’1,1% a giugno e del 5,3% su base annua, con un aumento dell’indice degli ordinativi dei beni strumentali del 5,1% grazie al contributo dagli incentivi del Piano Industria 4.0 varato dal Governo.

digitalizzazione. Per la manutenzione innovativa delle Pmi, e quindi l’acquisto di beni strumentali, software e soluzioni per informatizzare le varie fasi del ciclo produttivo, sono per il momento disponibili complessivamente 100 milioni di euro, un terzo dei quali destinato alle imprese del Mezzogiorno.

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IN EVIDENZA

E-GOVERNMENT, INNOVAZIONE A SINGHIOZZO Nel processo di digitalizzazione della Pa emergono ancora ombre: solo il 44% degli enti locali ha almeno un progetto in corso, il 78% non ha un ufficio tecnico dedicato, il 35% dei Comuni è ancora poco informatizzato. Bene i pagamenti elettronici.

Un quadro a luci e ombre: è questa la sintesi dello stato dell’e-government italiano stando agli ultimi dati raccolti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, che evidenzia una forte frammentazione delle iniziative di innovazione, dovute – si legge nella nota che accompagna lo studio – “alla mancanza di un coordinamento strutturato di progetti e investimenti, alla carenza di competenze specifiche e la scarsa capacità di fare rete tra gli enti locali, che mostrano difficoltà a stabilire partenariati per accedere ai finanziamenti europei e in pochi casi condividono e riutilizzano i software della Pa”. Fra i tanti dati emersi dall’indagine, spicca sicuramente quello che vede gli investimenti sul digitale rimanere congelati nel 2017 per oltre il 60% degli enti locali; nel 30% dei casi la spesa in nuove

tecnologie è prevista in aumento (tale percentuale raggiunge il 50% negli enti che servono più di 50mila abitanti) e nel 10% rimanente è in diminuzione. Altri indicatori che la Pa italiana dovrà sicuramente migliorare nel prossimo futuro riguardano i Comuni: solo il 44% vanta almeno un progetto di innovazione in corso e solo il 22% una delega tecnica dedicata all’e-government. Appena il 17%, e parliamo sempre di Comuni, ha partecipato a progetti finanziati con fondi diretti europei e il 35% è totalmente “non digital”. Per contro, la situazione è decisamente più confortante per quanto riguarda gli strumenti tecnologici in dotazione: il 79% degli enti dispone infatti di un sistema di gestione documentale e il 71% di soluzioni di conservazione digi-

tale, mentre il 64% delle Pa locali che ha sviluppato soluzioni informatiche (una porzione del 30% sul numero totale) non considera ancora la possibilità di estenderne l’uso ad altre amministrazioni. Buone notizie, inoltre, arrivano dal fronte dei pagamenti digitali verso la Pubblica Amministrazione, riconducibili alla diffusione della piattaforma pagoPA: nei primi mesi del 2017, su 21 Regioni e Province Autonome, ben 18 si sono già proposte come intermediari tecnologici mentre tra gli enti locali solo il 9% non conosce ancora lo strumento (lo scorso anno la quota era del 67%). Tutte le scuole, infine, sono dotate di connessione Internet, il 97% ricorre alla firma digitale e il 70% archivia digitalmente i documenti e utilizza un sistema di workflow automatizzato.

TUTTO IL MONDO DELL’IMPRESA IN UN CASSETTO E se tutte le informazioni riguardanti la propria azienda fossero contenute in un cassetto? Digitale, ovviamente. Il nuovo progetto di Infocamere, realizzato per conto delle Camere di commercio del nostro Paese, si chiama impresa.italia.it ed è una piattaforma online che vuole diventare il punto di contatto virtuale

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fra titolari di aziende e Pubblica Amministrazione. Basato su tre pilastri, vale a dire identità digitale, anagrafe nazionale di impresa e rispetto delle linee guida governative, il servizio consente di accedere da qualsiasi dispositivo a una serie di dati e documenti come visure, atti, bilanci e pratiche presentate ai Suap, gli

Sportelli Unici delle Attività Produttive. Sviluppata in ottica mobile first, impresa.italia.it si integra in modo nativo con Spid, il Sistema Pubblico di identità digitale, e dà la possibilità di consultare ordinatamente il profilo societario e un contatto con i potenziali investitori, tutto in modo gratuito.


l’intervista

FARSI UN PERSONAL DATA CENTER? UN CONTROSENSO, C’E’ IL CLOUD La migrazione sulla nuvola è in crescita, ma nelle aziende mancano competenze dedicate. Le nuove opportunità da cogliere secondo Ovh.

Il cloud computing è un’opportunità. Lo è per le imprese italiane (anche quelle piccole) che cercano nelle nuove tecnologie una strada per trovare e ritrovare competitività e lo è per i provider di servizi informatici. La sfida per innovare le infrastrutture It corre su due fronti, fra competenze e modelli di utilizzo della tecnologia. Ne parliamo con Dionigi Faccenda, sales & marketing director di Ovh in Italia. Nel 2016 il mercato italiano del cloud, secondo Assinform, è cresciuto del 23%. Che cosa significa per voi?

Il contesto emerso da questi dati conferma che stiamo andando nella giusta direzione per il perfezionamento della nostra offerta, estesa sostanzialmente con l’acquisizione di vCloud Air e declinata su tutti i livelli: ibrido, pubblico e privato. Nell’ambito dei servizi di private cloud, in particolare, i ricavi italiani sono in crescita del 50%, in ambito public l’incremento è invece del 100%. E le piccole e medie imprese sono il nostro motore di crescita. Che cosa vi chiedono le Pmi?

Soluzioni ibride per gestire i sistemi legacy che hanno in casa e per supportare la migrazione nel cloud di applicazioni di backup e recovery dei dati. E ancora soluzioni multi data center, Software-as-a-Service e di storage. Per molto tempo la sicurezza del cloud è stata un ostacolo: è ancora così?

No, possiamo dire che si tratta di un ostacolo superato perché i livelli di affidabilità di queste soluzioni sono

allo stesso tempo invitano le imprese clienti a migrare i sistemi nella nuvola. E questo è un paradosso. Per contro vi sono molte aziende che nascono come votate al cloud e non pensano minimamente a farsi l’infrastruttura in casa, che attingono agli standard quali propulsori per velocizzare i processi di internazionalizzazione.

Dionigi Faccenda

decisamente aumentati. Il cloud si può considerare una “tecnologia” mainstream ma ancora molte aziende non hanno capito come sfruttarla per gestire nella nuvola le applicazioni attraverso Api (Application programming interface, ndr) aperte e standardizzate.

Ci sono settori dove l’esigenza di migrazione è più sentita? E perché?

Il cloud ben si declina in tutti i settori. I più attivi, tuttavia, sono l’automotive, il manifatturiero anche grazie al tema Industria 4.0, e poi l’agroalimentare, il fintech, la sanità e il mondo assicurativo. Quest’ultimo è spinto in particolare modo dalla domanda di dispositivi connessi, le cosiddette black box, installate a bordo auto per la raccolta dei dati in cloud.

C’è un problema di competenze?

Sì. Di carattere operativo e di networking, legato alla business intelligence di base e ai sistemi aperti strettamente correlati al cloud. Servono competenze per far funzionare a dovere le Api, la priorità non sono il data science o l’apprendimento automatico.

E le startup?

Oggi ha ancora senso distinguere i diversi modelli di cloud?

Oggi abbiamo in organico circa 2.000 persone, eravamo in 500 solo tre anni fa e contiamo di arrivare a 5.000 entro il 2025. I data center di proprietà attivi nel mondo sono 26, quello italiano arriverà entro l’esercizio fiscale 2018, e l’obiettivo è di toccare quota 50 per assicurare un’interoperabilità sempre più pervasiva della nostra rete. Gianni Rusconi

No, non ha più molto senso marcare la differenza fra cloud pubblico e privato. Il compito dei provider è quello di fare innovazione a livello di infrastruttura, quello delle aziende di non sprecare risorse per investire in un data center personale. Non ha senso. Alcuni hardware vendor offrono grandi mainframe e

L’ecosistema delle nuove imprese innovative italiano, per Ovh, è già una voce di business non indifferente e lo sarà ancora di più in futuro. Qualche indicazione sulla vostra roadmap di crescita?

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IN EVIDENZA

SMART CITY ALL’ITALIANA L’emiliana Reverberi è capofila per il nostro Paese del progetto Ue "Life-Diademe". Un'iniziativa che mira a trasformare l'illuminazione stradale dei centri urbani. “Un progetto che va nel solco dell’Internet of Things, degli oggetti connessi e intelligenti al servizio della società. I sensori misurano il grado di luminosità, leggono il flusso delle auto che transitano sulla strada e rilevano le condizioni meteo. Tutti questi dati diventano informazioni critiche, memorizzate in server dedicati, per la regolazione degli impianti”. Così Paolo di Lecce, amministratore delegato di Reverberi, descrive l’attività della propria azienda. Società emiliana (con sedi anche a Desenzano del Garda e a Gallarate, dove opera il laboratorio di ricerca e sviluppo) specializzata in prodotti e servizi per le smart city e l’adaptive lighting, e che oggi è capofila italiana del progetto Life-Diademe. Si tratta di un’iniziativa promossa dall’Unione Europea e finalizzata all’ideazione e alla messa in opera di un sistema innovativo, basato su avanza-

ti algoritmi, per la regolamentazione dell’illuminazione stradale. Il progetto, finanziato per il 60% da fondi europei e per il restante 40% dalla società, è partito a fine 2016 e si concluderà nel maggio del 2020; al momento sono in fase di lavorazione alcuni impianti pilota di piccole e grandi dimensioni (tra i 100 e i 1.000 punti luce) e le aspettative sui risultati sono particolarmente elevate. Si stima infatti che, per un impianto di grandi dimensioni, si arriverà a un risparmio energetico e di emissioni di anidride carbonica del 30% rispetto a un sistema tradizionale, pari a minori consumi per circa 51mila KWh all’anno. Il primo impianto, come conferma l’Ad di Reverberi a Technopolis, è stato attivato in aprile a Roma, in zona Eur, e sarà in test fino a fine anno per completare l’iter di “debugging” (l’analisi delle eventuali anomalie). L’obiettivo

è di arrivare a posare un centinaio di sensori entro l’anno e salire a 900 per la primavera successiva, con l’intento di validare un sistema di monitoraggio e mappatura diffusa del territorio (sono registrati anche i livelli di rumore e la presenza di gas inquinanti) rispetto a un margine di errore molto contenuto. “Per tutto il 2018”, conclude di Lecce, “raccoglieremo i dati, seguirà poi la valutazione di un ente terzo per definire i livelli di risparmio energetico conseguiti”. Il progetto vale oltre 1,7 milioni di euro e, particolare non trascurabile, l’infrastruttura di illuminazione realizzata a Roma rimarrà di proprietà del Comune della Capitale. G.R.

ROBOT FISIOTERAPISTI I robot dal volto umano lavoreranno alla Fondazione Don Gnocchi. L’istituto di assistenza ha avviato un progetto di ricerca con l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) per sviluppare soluzioni per la riabilitazione che diano ai pazienti cronici la possibilità di ricevere una vera continuità assistenziale. Fra le iniziative principali che verranno portate avanti al Centro Irccs “S. Maria Nascente” di Milano, spicca l’applicazione in ambito sanitario del robot R1, creato dall’Istituto Italiano di Tecnologia. L’umanoide, sviluppato

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come “piattaforma robotica generica” dotata di meccanica sofisticata, sensoristica e intelligenza artificiale, potrà essere “educato” a svolgere compiti in diversi ambiti, anche nelle palestre. Ma la collaborazione tra la Fondazione e l’Iit porterà anche allo studio di altri dispositivi, come sensori avanzati collegati fra loro in ottica Internet of Things. L’obiettivo è creare attorno al paziente, anche a casa, una rete di dati preziosi per il rilevamento del suo stato o per il monitoraggio della risposta ai trattamenti.


spunti

IL TEMPO È DENARO

A PROVA DI FUTURO

I DATI VANNO MASCHERATI

Oggi il tempo non sembra essere mai sufficiente. Quando un’azienda spreca quello dei suoi clienti, questi ultimi perdono la pazienza. Forrester Research non a caso segnala che per il 73% delle persone la cosa più importante che un’impresa possa fare per fornire un servizio valido è valorizzare il tempo dei propri clienti. Tra le frustrazioni più comuni ci sono invece il dover esporre ripetutamente un problema a più addetti e l’impossibilità di trovare una risposta rapida a una domanda semplice. Gli utenti vogliono invece interagire con i fornitori come fanno con amici e colleghi, affidandosi a conversazioni che cominciano e/o si diffondono su più canali, coinvolgendo l’uso di smartphone, email, chat, Web e social media. Proviamo a pensarci un attimo: già oggi i consumatori svolgono quasi tutte le comunicazioni servendosi di un solo dispositivo. L’omnicanalità permette di gestire le tipologie di customer experience da un unico luogo e di passare velocemente da un canale all’altro, condividendo le informazioni durante l’intero customer journey. Le moderne piattaforme devono però obbligatoriamente affidarsi alla potenza del cloud e, se vengono implementate in modo corretto, garantiscono ai clienti un’esperienza personalizzata e permettono di spostare il contesto dell’interazione su ogni canale visitato dall’utente. Daniel Rood, Genesys

L’economia digitale è destinata a raggiungere livelli di sofisticazione sempre più elevati. In futuro il machine learning sarà parte integrante dei servizi a valore aggiunto. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale definirà i processi transazionali e le applicazioni non saranno più limitate a dispositivi specifici o al cloud, ma saranno parte di un ecosistema di soluzioni software ad alta tecnologia e onnipresenti. Davanti a questa visione dobbiamo chiederci se le applicazioni siano a prova di futuro. Sono capaci di proteggere la reputazione aziendale a lungo termine e di tutelare i dati dei cittadini digitali? L’accesso a informazioni sensibili e applicazioni è parte integrante della nostra quotidianità, dalla banca online all’acquisto dei beni più comuni, e la capacità di autenticare in modo certo e sicuro una persona è essenziale; negli anni a venire l’identità digitale sarà quindi la nostra risorsa più preziosa. I modelli aziendali di oggi, basati sulle informazioni statiche e sul cloud, dovranno necessariamente essere rivisti in un’ottica di maggiore flessibilità. Una nuova intelligenza, dinamica e progressiva, trasformerà gli schemi comportamentali degli individui e le applicazioni critiche, con l’obiettivo di proteggere la reputazione del marchio e avviare relazioni diverse con i clienti, secondo una nuova logica di scambio commerciale. Maurizio Desiderio, F5 Networks

A maggio 2018 entrerà in vigore il General Data Protection Regulation (Gdpr), che verrà applicato a livello mondiale a ogni impresa che fornisce beni e servizi o monitora i comportamenti dei cittadini europei. Il Gdpr richiede alle aziende di dimostrare i passi compiuti per proteggere le informazioni personali, e questo per molti è un compito difficile. La normativa dice espressamente che le imprese dovrebbero considerare di implementare “come appropriate la pseudonimizzazione e la crittografia dei dati personali”. È importante sottolineare che la crittografia non soddisfa da sola i requisiti del Gdpr: ha certamente un valore per le informazioni in transito e se viene usata insieme ad altri strumenti, come il data masking, ma per rendere utilizzabili i dati bisogna poi decriptarli. Questo li espone nuovamente, così che chiunque potrebbe avervi accesso. Le aziende dovrebbero quindi considerare la pseudonimizzazione, raggiungibile con strumenti per il data masking, che implica l’utilizzo di cambi irreversibili alle informazioni rimpiazzando i campi con alternative fittizie. Questa tecnica è utile per testare i software, per il reporting e le analytics perché il formato fa sì che, se l’informazione dovesse andare persa o rubata, non lascerebbe esposta l’azienda alle sanzioni del Gdpr. Mauro Trione, Delphix

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SCENARI | E-commerce & multicanalità

LO SHOPPING È MOBILE Aumentano gli italiani che comprano online e cresce oltre i 23 miliardi il giro d'affari previsto per il 2017. Gli acquisti via tablet e smartphone sono un terzo del totale.

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ecnologia, abbigliamento, accessori, ma anche libri, elettrodomestici, cibo: si fa shopping ormai con ogni mezzo, in ogni luogo e su qualsiasi categoria di prodotto. Quello del commercio elettronico è un fenomeno certo non nuovo, ma in continua evoluzione tecnologica, normativa e anche “culturale”. Un fenomeno ancora capace di crescere a doppia cifra e di conquistare nuovi adepti: nei primi tre mesi di quest’anno si è registrato un aumento significativo, del 16%, nel numero di italiani che hanno comprato online, da siti Web o tramite app mobili. A detta del consorzio Netcomm si è passati dai 18,7 milioni di famiglie di acquirenti del primo trimestre 2016 ai 20,9 milioni di un anno dopo. E

B2B A DOPPIA CIFRA Secondo i dati dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica del Politecnico di Milano, in Italia l’e-commerce B2B ha raggiunto nel 2016 un giro d’affari di 310 miliardi di euro, crescendo del 19% rispetto all’anno precedente e riguardando circa 120mila imprese. Aziende

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per l’intero 2017 si prevede che il giro d’affari dell’e-commerce tricolore (cioè generato da clienti residenti in Italia) raggiunga quota 23,1 miliardi di euro. Sta anche cambiando la composizione relativa degli acquisti. A detta di Netcomm, nel corso dell’anno per la prima volta il mercato dei prodotti fisici arriverà a valere tanto quanto quello dei servizi comprati in e-commerce, ovvero movimenteranno ciascuno intorno agli 11,5 miliardi di euro. Il peso del commercio elettronico sul totale acquisti retail degli italiani, invece, sarà intorno al 5,6%. In questa ascesa, d’altra parte, l’Italia si adegua a una tendenza mondiale.“Il digitale non è più il futuro ma intride moltissimi aspetti della vita quotidiana del consumatore”, ha commentato il presidente di Netcomm, Roberto Liscia. “Basti pensare che nel 2016 sono stati acquistati nel mondo beni e servizi online per circa 2.600 miliardi di euro, registrando una crescita del 17% rispetto al 2015, e che i consumatori che comprano online hanno raggiunto la quota di 1,4 miliardi. In questo contesto in continua evoluzione la chiave del successo competitivo è creare un’esperienza di commercio unificato, in cui online e grandi soprattutto (una su due fa ricorso a strumenti digitali nella relazione con clienti o fornitori) ma anche piccole e medie (la penetrazione è al 26%). I numeri rappresentano però un piccolo spicchio, il 14%, del totale delle transazioni B2B registrate in Italia, corrispondenti nel 2016 a circa 2.200 miliardi di euro.


offline e i diversi dispositivi si mescolano in un nuovo ecosistema esperienziale”. Detto in una parola, sempre più spesso ripetuta come mantra dagli esperti di marketing: omnicanalità. Una macedonia di strumenti

L’e-commerce degli albori, una forma di acquisto da remoto sostanzialmente statica, non personalizzata e non interattiva, oggi non avrebbe possibilità di successo. Vendere online è un’arte trasformista che negli anni si è perfezionata facendo leva sulle piattaforme Web, ma anche sulle app mobili, sui social network, sull’ingresso nei punti vendita fisici di totem multimediali e reti WiFi. È interessante notare come in Italia gli smartphone abbiano guadagnato terreno in qualità di strumenti di acquisto, rispetto ad anni in cui Pc e tablet dominavano. Merito, certamente, dell’evoluzione tecnologica che ha portato sul mercato modelli con schermi più grandi e più reattivi, ma anche della buona progettazione di siti e app mobili, facili da navigare. Gli acquisti realizzati tramite telefono crescono, dunque, del 52% e unitamente a quelli fatti su tablet rappresentano a valore quasi un terzo delle transazioni. Peraltro chi è “multi-device”, cioè chi per comprare usa almeno tre dispositivi fra computer, smartphone e tavoletta, tende a fare in media il doppio degli acquisti di chi si limita al solo Pc. La “macedonia” di scelte domina anche per quanto riguarda le modalità di pagamento e di ritiro dei prodotti. Nella stragrande maggioranza dei casi si opta ancora per la consegna a domicilio o sul posto di lavoro, ma iniziano a farsi strada (8,6% dei casi) le alternative del ritiro in negozio o in un punto di raccolta. Il 44% degli ordini online viene saldato al momento dell’acquisto con una carta di credito o prepagata, il 38,8% con PayPal, considerando che l’84% delle transazioni gestite da questa piattaforma produce un addebito su carta di credito, rientrando perciò nel perimetro dei pagamenti con carte. Valentina Bernocco

CHE COSA C’È NEL CARRELLO? I prodotti alimentari sono oggi il primo traino dell’e-commerce tricolore: gli acquisti di cibi e bevande sono saliti in un anno di ben il 37%. Seguono, fra i settori in più rapida ascesa, l’arredamento e home living (+27%), l’informatica ed elettronica di consumo (+26%) e l’abbigliamento (+25%). Se invece si allarga un po’ lo sguardo al resto del mondo, si scopre che la crescita più significativa risulta quella dei prodotti di abbigliamento e moda, bellezza e design: l’incremento tra 2015 e 2016, secondo i dati di Statista, è del 40%, per un giro d’affari di 391, 133 e 84,5 miliardi di dollari rispettivamente. Tutto ciò è potenzialmente un’ottima notizia per il Made in Italy, che nei beni catalogabili come “lifestyle”, oltre che in quelli enogastronomici, trova le sue migliori carte. Ma come giocarle al meglio? Il suggerimento di Netcomm è quello di elaborare strategie multicanale associando i negozi fisici alle piattaforme online, specie a beneficio di quei turisti che prima visitano il Belpaese, facendo shopping con il carrello alla mano, e poi possono tornare a comprare il medesimo marchio in un secondo momento, online. Un buon punto di partenza è rappresentato da quelle catene o singoli esercizi che già erogano servizi di e-commerce, pur operando prevalentemente attraverso punti vendita fisici: su 44mila negozi italiani di 249 insegne (censiti da Human Highway nello studio “Net retail”), circa la metà ha già intrapreso questa strada.

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SCENARI | E-commerce & multicanalità

B2B ALL'INSEGUIMENTO DI AMAZON Il commercio elettronico consumer ispira l’ambito business-to-business, come raccontato da uno studio di Sap. Ma molto lavoro c’è ancora da fare per imparare a conoscere i clienti.

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ossibilità di scelta, comodità di acquisto, affidabilità e precisione della consegna, supporto e facilità di dialogo con la piattaforma. Il modello Amazon, dopo aver fatto scuola nel campo del commercio elettronico rivolto al consumatore finale, ora è tra i pensieri di chi opera nel B2B, vendendo prodotti e servizi ad altre aziende o enti pubblici. Dal punto di vista delle tecnologie e dell’utilizzo dei dati, in questo settore sembrano agire due forze opposte: una più tradizionalista, fatta di report statici e di dati Crm, e una più nuova, che si alimenta da fonti molteplici di informazioni sui clienti e che cerca di creare una customer experience om-

nicanale e personalizzata, arricchita dai dati e dalle interazioni social. Uno studio commissionato da Sap Hybris a Econsultancy, “The Tension in B2B Customer Experience Management”, ha evidenziato come quasi tutte le aziende (218 quelle coinvolte) stiano cercando di imitare il colosso di Seattle e come, tuttavia, solo il 16% oggi possa già vantarsi di garantire una buona esperienza d’acquisto omnicanale. Un punto particolarmente problematico riguarda l’uso dei dati: la maggioranza (55%) delle aziende trae informazioni dai sistemi Crm per migliorare l’esperienza digitale, ma meno di un terzo considera anche la cronologia degli acquisti di una socie-

tà cliente o del singolo. Un 40% di intervistati sta comunque cercando di modificare i propri comportamenti di raccolta e analisi dei dati, per esempio promuovendo lo scambio di informazioni fra dipartimenti aziendali. “Per realizzare un’esperienza di acquisto realmente personalizzata pari a quella dei brand B2C”, ha sottolineato Ivano Fossati, direttore del Center of Excellence Emea di Sap, “è essenziale che le informazioni vengano derivate da sistemi real time, come ad esempio l’attività attuale sul sito o i post sui social media. È questo che permette di effettuare un retargeting istantaneo sul cliente con merchandising, promozioni o altre azioni”. V.B.

L’INDUSTRIA ITALIANA PREFERISCE I MARKETPLACE Al mondo delle imprese l’e-commerce piace sempre di più. Uno studio di Ups, eseguito su aziende europee, statunitensi e cinesi, descrive il crescente ricorso agli ordini di beni e servizi effettuati scavalcando i di-

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stributori tradizionali e rivolgendosi, invece, all’acquisto diretto dal produttore e sui marketplace. Questi ultimi risultano particolarmente apprezzati dagli acquirenti italiani: ben l’85, tra quelli coinvolti nell’indagine,

vi fa ricorso. La quota di budget spesa online dalle imprese dell’industria tricolore è cresciuta dal 38% del 2015 all’attuale 44% e in molti casi (per il 67% degli intervistati italiani) è destinata ad aumentare ancora.


TECHNOPOLIS PER FIPA TUNISIA

FIPA TUNISIA PARTECIPA A SMAU MILANO Appuntamento al polo fieristico meneghino con un workshop che illustrerà i vantaggi dell'offshoring per le aziende del settore Ict. Fipa Tunisia, l’Agenzia Tunisina per la Promozione dell’Investimento Estero, parteciperà all’edizione 2017 di Smau Milano. Fipa Tunisia è l’ente pubblico ufficiale a disposizione delle aziende estere che desiderano approcciarsi al Paese e conoscere le sue opportunità di internazionalizzazione per il settore dell’Ict e dell’offshoring. In occasione della fiera milanese, nella giornata del 25 ottobre (alle ore 15) Fipa Tunisia terrà un workshop intitolato “Il settore dell’offshoring nel quadro della nuova legge sugli investimenti esteri in Tunisia”, che si focalizzerà sul sistema degli affari in Tunisia e soprattutto sulla nuova legge sulle investimenti esteri e sui punti forti di questo Paese, molto vicino geograficamente e culturalmente all’Italia. L’Italia rappresenta infatti il secondo partner economico della Tunisia e anche il suo secondo investitore, con più di 850 imprese operative sul posto. L’obiettivo del workshop sarà quello di presentare le caratteristiche della Tunisia in quanto “sito di produzione It” e le tendenze dell’outsourcing in questo Paese. Tanto l’offshoring quanto il settore dell’Ict sono prioritari per la Tunisia di oggi e del futuro, presentando grandi prospettive di sviluppo. L’appuntamento di Smau sarà anche un’occasione per conoscere la sua infrastruttura di livello mondiale, in costante crescita, e la sua rete di telecomunicazioni, considerata fra le più moderne nel bacino del Mediterraneo. Si racconterà la presenza in Tunisia di grandi gruppi internazionali del settore Ict, così come si cercherà di mettere in evidenza elementi chiave quali i costi di produzione (fortemente competitivi in questo ambito) e la disponibilità di mano d’opera e talenti altamente qualificati e in linea con gli standard europei. L’evento darà spazio anche a una case history: la testimonianza di una società italiana che ha beneficiato dei servizi e dell’assistenza forniti da Fipa Tunisia per avvicinarsi a questo Paese e cogliere le sue opportunità di internazionalizzazione. I visitatori interessati a saperne di più potranno incontrare i Responsabili della Rappresentanza Fipa Tunisia di Milano allo stand presente in Smau.

sulle opportunità d’investimento in Tunisia e sulle maggiori ragioni che fanno di questo Paese un sito privilegiato per gli investimenti diretti esteri. Offrono, inoltre, servizi di consulenza sulle condizioni più idonee per il successo e la riuscita dei progetti, sulle regioni d’insediamento e sulle forme d’investimento. L’Agenzia, infine, fornisce un servizio d’accompagnamento all’investitore nelle sue missioni di prospezione in Tunisia e nelle diverse fasi di realizzazione del suo progetto. Fipa Tunisia – Rappresentanza in Italia via Maurizio Gonzaga, 5 – 20123 Milano Tel 02.809297 – Fax 02.809353 Email: fipa.milan@investintunisia.it Web: www.investintunisia.tn Direttore: Dr.ssa Thouraya Khayati Vicedirettore: Dr. Bilel Dardouri

CHI È FIPA TUNISIA L’Agenzia di Promozione dell’Investimento Estero è un ente pubblico creato nel 1995 sotto la tutela del Ministero Tunisino dello Sviluppo, dell’Investimento e della Cooperazione Internazionale. Certificata ISO 9001 - 2008, l’Agenzia è incaricata di fornire il sostegno necessario agli investitori esteri e un’assistenza qualificata e gratuita. Fipa Tunisia e gli altri uffici di rappresentanza all’estero formano una rete d’informazione 19


SCENARI | E-commerce & multicanalità

L’ACQUISTO ONLINE PARTE DALLA DOMOTICA Uno studio di Accenture ha misurato la propensione degli italiani verso forme di e-commerce totalmente automatizzate: dagli elettrodomestici intelligenti, che fanno shopping in autonomia, ai servizi in abbonamento. 20

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iamo pronti ad affidare la lista della spesa al frigorifero? Lasceremmo che la nostra lavatrice ordini in autonomia il detersivo quando si accorge di aver quasi esaurito le scorte, oppure opteremmo per per un servizio di “bucato a domicilio” in abbonamento? L’e-commerce abbinato alla domotica, grazie ai sensori e alla connettività WiFi che iniziano a popolare gli elettrodomestici più hi-tech, apre la porta a queste e ad altre possibilità. Amazon, come in altri campi, anche qui ha fatto

da apripista, introducendo sulla propria piattaforma di commercio elettronico un servizio di “riassortimento automatico” per cartucce di stampanti, detersivi, batterie, alimenti da dispenser e moltissimi altri prodotti consumabili. Su una selezione di dispositivi, l’aggiunta di pulsante (il dash button, venduto a meno di cinque dollari) equipaggiato con connettività WiFi e con un semplice software rende possibile ordinare il bene in esaurimento: basta schiacciare il bottone. In uno scenario ancor più evoluto, potrem-


mo addirittura immaginare un elettrodomestico o un dispenser di qualsiasi genere che in autonomia ordina, paga e fa recapitare un acquisto sull’uscio di casa. In Italia il terreno è già abbastanza fertile. Stando a quanto emerso da una recente ricerca di Accenture (lo studio “Strategy Global Consumer Pulse Research”, che l’hanno scorso ha coinvolto oltre 25mila persone in 33 Paesi, inclusi 1.500 italiani), sei consumatori su dieci prenderebbero in considerazione frigoriferi smart capaci di ordinare alimenti freschi, oppure elettrodomestici che utilizzano i sensori per capire quando è ora di fare rifornimento di detersivo, batterie o altro ancora. L’e-commerce, dunque, almeno per alcune categorie di beni potrà diventare sempre più disintermediato e automatizzato, grazie a una combina-

zione di tecnologia (gli oggetti connessi all’Internet of Things) e di nuovi modelli di vendita e di servizio. Dal “do it yourself” al “do it for me”

Quella che si prefigura, in Italia e nel mondo, per i prossimi anni è un’economia dalle quatttro “anime”: basata sulla condivisione, sulla personalizzazione, sul riassortimento automatico e sui servizi. Quanto alla ben nota sharing economy, il 54% dei consumatori italiani si è detto propenso a sottoscrivere un abbonamento per il noleggio di capi di abbigliamento da utilizzare in determinate occasioni e da restituire in seguito. I prodotti su misura piacciono a tal punto che quasi la metà (49%) dei nostri connazionali è interessata ad abbonamenti di tipo “surprise me”, in cui esperti di abbigliamen-

A QUALCUNO PIACE L’ IBRIDO Che si scelga di acquistare sul Web o di recarsi in un punto vendita, la tolleranza verso esperienze d’acquisto insoddisfacenti è sempre più scarsa. Negli Stati Uniti entrambe le dimensioni dello shopping, quella fisica e quella digitale, piacciono ancora quasi allo stesso modo: secondo un sondaggio di Jda Software, su oltre mille consumatori consultati il 54% preferisce comprare nei negozi, il restante 46% predilige i siti di e-commerce e le app. Ma è soprattutto significativo il fatto che quando l’esperienza di acquisto nel punto vendita può dirsi “facile” e “veloce”, la predilezione per questo canale aumenta (tre quarti del campione). Piacciono sempre di più anche le modalità di shopping “ibride”, come quella riassunta nell’acronimo Bopis, Buy Online and Pick-up In Store: nei dodici mesi precedenti all’indagine, un intervistato su due ha usufruito

to selezionano personalmente (sulla base di precedenti acquisti) articoli di probabile interesse per il cliente; il 39% degli intervistati, invece, è favorevoli a concedere alle aziende l’accesso ai propri dati personali tramite dispositivi intelligenti in cambio di un’esperienza più personalizzata o di un vantaggio economico. L’economia dei servizi di cui parla Accenture si potrebbe, invece, riassumere nell’espressione “do it for me”: molte incombenze abituali, quotidiane o di routine potrebbero essere affidate a società esterne, in abbonamento. Il 51% degli italiani vi farebbe volentieri ricorso per servizi di lavanderia e dintorni, inclusivi di ritiro, lavaggio, piegatura e consegna a domicilio del vestiario. Nella speranza di non diventare troppo pigri, ne guadagneremo sicuramente in tempo libero, con una notevole riduzione dello stress quotidiano. Il valore del digitale

almeno una volta di questa formula, potendo così scavalcare i vincoli di orario di una consegna a domicilio oppure ridurre i tempi di attesa fra l’ordine e la ricezione del prodotto. La formula è vincente ma perfezionabile, se è vero che nel 23% dei casi l’addetto in negozio ha impiegato molto tempo a reperire l’ordine nel sistema e che nel 16% il cliente non ha trovato personale dedicato agli acquisti Bopis.

La trasformazione digitale riverserà i suoi effetti non solo sui clienti dell’ecommerce, ma anche su chi produce o vende. Secondo la stima elaborata da Accenture per il World Economic Forum, nei prossimi anni l’impatto delle tecnologie sulle aziende produttrici di beni largo consumo e sugli operatori del retail sarà di quasi tremila miliardi di dollari, 2.950 miliardi per la precisione. Questo valore sarà ricavato sia dal lancio di nuovi prodotti e servizi, sia dal miglioramento di produttività ed efficienza ottenibile internamente alle fabbriche, alla catena logistica e a tutta la distribuzione. “Nei prossimi dieci anni, i settori retail e dei beni di largo consumo cambieranno più profondamente di quanto non sia avvenuto negli ultimi quarant’anni”, ha commentato Angelo D’Imporzano, senior managing director Accenture Products. “Per rispondere alle aspettative dei consumatori su possibilità di scelta, convenienza ed esperienza d’acquisto, il settore sarà sempre più sollecitato ad innovare, il che porterà a un’enorme crescita del commercio digitale”. V.B. 21


SCENARI | Data journalism

I CIO PRONTI A GUIDARE L’AZIENDA DIGITALE Nelle imprese italiane il responsabile It sente la responsabilità di dover gestire l'equilibrio fra operation, business e innovazione. Ma al suo fianco si affacciano nuove figure.

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fino al 2016

I principali cantieri digitali delle aziende italiane

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a relazione con i clienti, i processi interni e il rapporto con i soggetti a monte della filiera sono gli ambiti in cui gli impatti della trasformazione pilotata da tecnologie come il mobile, i Big Data e gli analytics, il cloud computing e l’Internet delle cose si fanno più sentire. La “digital enterprise” è il nuovo traguardo, un traguardo che va oltre l’idea di 22

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azienda agile. L’assunto arriva dalla “Cio Survey 2017”, condotta da NetConsulting cube e realizzata censendo circa 70 responsabili Ict di imprese private italiane. Lo studio ne ha rilevato l’approccio alla digitalizzazione attraverso quelli che gli autori hanno battezzato “cantieri” abilitanti, e cioè le tecnologie che più incidono nel passaggio verso una nuova concezione di azienda. La gestione

Stampa 3D

Realtà aumentata

Blockchain

Cognitive Computing

Social

Collaboration

Big Data Machine Learning - AI

Fonte: Cio Survey 2017, NetConsulting cube

Internet of Things

Cybersecurity

Cloud Computing

Big Data - BI Advanced Analytics

Mobile

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delle relazioni con i clienti è una delle facce della digital enterprise. Ben il 93% del campione si dice sicuro degli effetti della trasformazione in questo ambito: saranno coinvolte in particolare le attività di prevendita e vendita attraverso l’adozione di strumenti di “engagement” sempre più basati sui canali Web, mobile e social. I modelli organizzativi e i processi interni, per il 73% dei chief


LA TRASFORMAZIONE SECONDO I COO A che punto è il livello di maturità dei chief operating officer, le figure che ricoprono un ruolo di coordinamento e ottimizzazione di tutte le attività in qualche modo riconducibili al tema della rivoluzione 4.0? Solo il 16% del campione selezionato da Deloitte fra 300 aziende italiane prova ad anticipare i cambiamenti, ma la stragrande maggioranza dei Coo (il 93%) è dell’idea che l’Industria 4.0 e tecnologie come l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale, la robotica e il computing cognitivo avranno un ruolo “disruptive” sul proprio business. Una porzione altrettanto ampia, il 96% per la precisione, ritiene che il proprio ruolo sia diventato più complesso, ma nel contempo ne risulti rafforzato, in relazione ai compiti della trasformazione digitale. Gli ostacoli che un Coo incontra a livello quotidiano per cercare di guidare con successo il cambiamento non sono pochi. La sua funzione non è sempre formalmente definita, soprattutto in ambito manifatturiero, dove è il direttore della produzione a rivestire ancora un ruolo chiave nella gestione delle operation, privilegiando un approccio più esecutivo che non strategico e organizzativo. Per questo la capacità del Coo di portare all’azienda una visione olistica dei processi che gestisce diventa, oggi come non mai, fondamentale. G.R.

information officer, sono la seconda area di impatto più importante della digitalizzazione. A darne consistenza, in particolare, sono le diverse interazioni tra dipartimento It e linee di business e l’introduzione di nuove figure professionali con competenze verticali specifiche su nuovi trend come robotica e intelligenza artificiale. Se guardiamo al 2020, il 66% dei Cio intervistati immagina

La maturità delle iniziative di Industry 4.0 8%

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SIAMO ANCORA IN UNA FASE SPERIMENTALE PREVEDIAMO DI FARLO NEL BREVE PERIODO

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ABBIAMO GIÀ FATTO DEGLI INVESTIMENTI SIGNIFICATIVI NON CI INTERESSA

Gli ambiti di applicazione dei progetti 4.0 Big Data Analytics Robotics Piattaforma Iot Cybersecurity Ai - Cognitive Computing Smart Sensor Altro

Fonte: Deloitte

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se stesso come attore primario per la gestione dell’equilibrio tra operation e innovazione, e quindi con un ruolo non più esclusivamente limitato a gestire il funzionamento della macchina informatica, ma sempre più convolto nell’interazione con il business. Nel 23% dei casi, invece, si vedono fra tre anni come i leader nel portare la rivoluzione digitale all’interno dell’azienda. Ed è questa,

in sostanza, la vera notizia per le realtà italiane: il Cio ha assunto il compito di trasferire la propria impronta digitale all’interno dell’organizzazione, in molti casi affiancato da altre (e nuove) figure come il chief digital officer o il chief innovation officer, offrendo una chiara visione strategica per l’evoluzione delle attività aziendali. Gianni Rusconi 23


TECHNOPOLIS PER BROTHER

BROTHER BUSINESS COLOR LASER L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE

Efficienza senza limiti per tutte le aziende in cerca di soluzioni progettate per sostenere elevati volumi di stampa dalla qualità professionale. Per migliorare la produttività di Pmi e gruppi di lavoro caratterizzati da elevati volumi di stampa e produzioni documentali dalla qualità professionale, Brother offre oggi una gamma di Color Laser Printer e all-in-one di ultima generazione, in grado di garantire non solo maggiore efficienza, ma anche funzioni di sicurezza di livello enterprise e una connettività mobile senza pari. Sette i modelli che compongono la nuova famiglia Business Color Laser, che in anteprima ha visto il lancio dei due top di gamma, HL-L9310CDW e MFC-L9570CDW, capaci di rivoluzionare la stampa a colori sotto ogni aspetto, dalla velocità al design. “La serie completa comprende tre stampanti e quattro multifunzione, sette modelli pensati per offrire alle aziende tutta la flessibilità, l’affidabilità e la sicurezza di cui necessitano, garantendo stampe di altissima qualità e costi copia ridotti al minimo sia a colori sia in bianco e nero” afferma Lorenzo Matteoni, Senior Marketing Manager di Brother Italia, che sottolinea come la nuova gamma permetta di risparmiare sul costo copia grazie ai nuovi toner a tecnologia laser ad altissima capacità, in grado di stampare fino a 9.000 pagine in bianco e nero e 9.000 pagine a colori. Una maggiore durata che permette di produrre più documenti, abbattendo significativamente i costi di gestione. Efficienza e produttività aziendali sono garantite anche dall’altissima velocità dei dispositivi che arriva fino a 31 pagine al minuto in stampa e fino 24

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a 100 immagini per minuto in scansione fronte-retro automatica grazie al nuovo ADF, più veloce e più capiente per scansioni e copie ancora più rapide. Grazie alle 48 scorciatoie memorizzabili all’interno dei nuovi pannelli touchscreen ampi e intuitivi, le nuove Brother Business Color Laser offrono, inoltre, un livello di personalizzazione senza precedenti, permettendo di salvare sui dispositivi un numero elevatissimo di funzioni ed evitando così inutili perdite di tempo nella ripetizione delle diverse impostazioni di processo. Per quanto riguarda la mobilità, infine, grazie all’applicazione iPrint&Scan e alla compatibilità dei nuovi dispositivi con la maggior parte dei servizi cloud, stampa e scansione dei documenti sono ancora più semplici. All’interno delle nuove Business Color Laser è presente, infatti, un’ampia gamma di soluzioni mobile, compatibili con tutti i dispositivi Android, Apple e Windows che consentono di stampare e scansionare direttamente da e verso smartphone o tablet. E LA SICUREZZA? Con i nuovi modelli L8000 e L9000 tutti i documenti sono protetti grazie al monitoraggio degli utenti e alle funzionalità di sicurezza integrate. L’accesso alle funzionalità della stampante è consentito solo agli utenti autorizzati in possesso di PIN o in grado di autenticarsi tramite card NFC, mentre linguaggi e protocolli sono tutti criptati per proteggere le informazioni in fase di stampa e scansione.

• + 83% capacità carta in ingresso (fino a 2.380 fogli) • + 34% dimensioni del display touchscreen (fino a 7 pollici) • + 60% capacità dell’ADF (fino a 80 fogli) • + 50% rendimento del toner (fino a 9.000 pagine)


TECHNOPOLIS PER MODULO

PIGRECOOS, L’INNOVAZIONE 100% MADE IN ITALY La nuova piattaforma cloud completa per gestire la formazione in sede, blended e online. PigrecoOS (www.pigrecoos.it) è un sistema gestionale per la formazione, frutto di vent’anni di lavoro a stretto contatto con grandissime realtà nazionali che gestiscono giornalmente migliaia di iscritti a corsi in sede, blended e online. Un prodotto 100% made in Italy, sviluppato senza nessun compromesso e con tanta passione. Ogni parte del gestionale è pensata, infatti, per ottimizzare i processi che un’azienda in ambito formazione si trova a gestire, con soluzioni che consentono un risparmio di tempo e denaro. Ma che cos’è, nel dettaglio, PigrecoOS? È una piattaforma cloud fruibile in modalità Saas (Software-as-a-Service), che permette di gestire in un unico ambiente il sito Internet aziendale, corsi in sede blended e a distanza, anagrafiche, fatture, mailing e molto altro. La sua peculiarità risiede nel fatto di essere stata ideata e sviluppata da “formatori per i formatori”: per questo motivo, “offre tutti gli strumenti per gestire una realtà aziendale che voglia operare nell’ambito dell’apprendimento a distanza, Fad ed e-learning” ci spiega Simone Vannucci, Ceo di Modulo e project manager della piattaforma. DA PIGRECO A PIGRECOOS La prima versione di Pigreco nasce nel 2001 dall’unione delle competenze tecniche di Abacusweb (www.abacusweb.it) e didattiche di Abacusonline (www.abacusonline). “PigrecoOS è una eredità diretta delle varie versioni di Pigreco ed è una piattaforma riscritta ex novo. La tecnologia utilizzata è stata sviluppata all’interno di Modulo puntando a conseguire una libertà assoluta da dipendenze terze, una completa mantenibilità del codice, la più assoluta sicurezza da falle informatiche e i più alti livelli di qualità possibili”, sottolinea ancora Vannucci. La piattaforma consente una organizzazione efficiente del lavoro di avvio, di partenza e di conclusione dei corsi in maniera automatica e semplice. Il suo modulo Lms prevede una serie di strumenti che permettono alle imprese formative di gestire decine di migliaia di corsi e centinaia di migliaia di utenti con pochi click. Inoltre, le funzionalità dell’Lms di PigrecoOS sono in grado di espandersi e personalizzarsi a seconda delle richieste. La piattaforma, oltre a garantire strumenti pensati per qualsiasi ambito formativo, offre nello specifico una serie di strategie ad hoc per le aziende che lavorano nell’ambito della formazione sulla sicurezza. Già nella sua versione Pigreco4 la piattaforma garantiva la perfetta adesione alle linee guida allora in vigore e, ovviamente, anche PigrecoOS è stata adeguata alle norme dettate dal Nuovo Accordo Stato Regioni del 7 luglio

Simone Vannucci, Ceo di Modulo 2016 in ambito formazione sulla sicurezza sul lavoro. Possiamo affermare, quindi, che Pigreco è stata ed è la prima piattaforma di formazione in Italia conforme all’accordo Stato Regioni sin dal 2011. OLTRE L’E-LEARNING Ma PigrecoOS non è solo e-learning: si tratta di una soluzione completa, un unico gestionale e un unico ambiente. Con essa si può creare il proprio sito internet, gestire il proprio parco clienti, fare e-commerce, preventivi, ordini, fatture, proforma, gestire un bilancio, esportare verso gestionali contabili come Teamsystem e Zucchetti; si può fare marketing, mailing, acquisire clienti, aprire corsi, venderli, pubblicizzarli e amministrarli. Il cuore della piattaforma, infatti, è composto dai moduli Cms, Crm e Lms, utilizzabili sia in maniera separata sia integrata. Tutto il gestionale è responsive, visualizzabile da qualsiasi dispositivo e utilizzabile anche attraverso l’app proprietaria per Android e iOS. PigrecoOS si amplia costantemente: nuove applicazioni, nuove integrazioni con gestionali esterni per fare campagne di marketing mirato e workflow automatici completano ancora di più la nostra offerta. La nuova formula, la licenza Basic, offre un taglio molto vantaggioso e completo con tutti gli strumenti necessari per un’azienda che voglia iniziare a lavorare in ambito formazione con metodologia, qualità e sicurezza.

www.pigrecoos.it 25


SCENARI | | Banking & Fintech TECNOLOGIE

L'affermazione delle startup della finanza e di nuovi player digitali ha cambiato le regole del gioco: le aziende tradizionali devono reagire, puntando sul valore dei dati e sulla creazione di servizi coerenti con il profilo evoluto dei consumatori.

BANCHE, È IN ARRIVO LA RIVOLUZIONE

T

re criticità affliggono il mondo delle banche: una carenza di capitale proprio, un eccesso di capacità produttiva, una massa di crediti deteriorati ancora da smaltire. Ciò che manca in modo diffuso e approfondito è la consapevolezza su quale sia il modello di banca più efficiente per i clienti. Nel suo recente libro, Marco Onado ricorda come Paul Vockler, storico presidente della Federal Reserve statunitense, avesso detto che “l’unica vera innovazione prodotta dalle banche negli ultimi decenni è il Bancomat”. Ma è proprio così? 26

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Le tecnologie digitali hanno generato enormi cambiamenti nel modo in cui consumatori e clienti interagiscono con le banche e hanno portato efficienza in molti processi interni ed esterni. Hanno inoltre reso possibili sistemi di trading e scambi ultraveloci, accanto a modalità di pagamento elettronico sempre più pervasive e facili da usare. La vera rivoluzione deve però ancora arrivare e ci stiamo interrogando sulle sorti progressive delle tecnologie digitali con la nascita delle fintech. La dimensione di questo fenomeno continuerà a crescere nel medio-lungo termine? Il

Ezio Viola


loro vero patrimonio nascosto sono i dati. Tra pochi mesi le serrature di quel forziere saranno scardinate. Con l’entrata in vigore, nel maggio del 2018, delle normative Gdpr (General Data Protection Regulation, ndr) e Psd2, cambieranno radicalmente le procedure che regolano l’utilizzo dei dati dei clienti, con l’apertura di Api (interfacce di programmazione delle applicazioni, ndr) per l’esposizione e l’accesso alle informazioni bancarie. Tale cambiamento favorirà la nascita di nuovi player in grado di sfruttarne il valore, anche in campi diversi da quello strettamente bancario. Il processo di trasformazione vede quindi protagoniste le cosiddette “banche digitali”. Questi debuttanti del mercato finanziario hanno sostenuto la creazione di servizi coerenti con il mutato profilo dei consumatori e con i loro nuovi bisogni. La diffusione pervasiva degli smartphone incentiva ulteriormente a richiedere tramite app servizi on-demand con caratteristiche posizionamento sul mercato dei vari nuovi player, nei diversi segmenti dei servizi bancari, sarà competitivo? Le banche tradizionali cercano di ottenere i vantaggi più radicali dalle nuove tecnologie, ma molte volte sono frenate dai vecchi sistemi legacy, che impediscono loro di muoversi velocemente in avanti in un mondo più agile e snello, in cui proprio le fintech nascono e crescono. Osserviamo infatti come molte nuove imprese tecnologiche della finanza lancino servizi per i clienti basati sulle più recenti tecnologie, dal mobile al cloud, dai Big Data all’Internet of Things, fino all’intelligenza artificiale. Sono soluzioni semplici e aperte, facilmente integrabili in altri servizi forniti da terzi, e pensate per poter operare con più agilità. E per avere, in prospettiva, una banca che funziona come una piattaforma tecnologica programmabile. L’impatto delle fintech ha reso anche consapevoli le banche di un fatto: il

di immediatezza e semplicità. Le nuove banche digitali, dei veri e propri “challenger” come le inglesi Atom Bank e Starling Bank e la tedesca N26 Bank, hanno trovato così terreno fertile avendo tra i principali driver di riferimento una struttura di tipo “asset light” (l’offerta di prodotti semplici, un’interazione immediata e costante con il cliente) e focalizzandosi su prodotti sempre più specifici, come prestiti, finanziamento a Pmi, mutui e servizi di trasferimento di denaro. Un’azione dirompente sull’attuale settore finanziario è quindi possibile e in un orizzonte di medio-lungo termine ci saranno due probabili scenari: alcune fintech, ampliando il numero di servizi offerti, verranno percepite come concorrenti delle banche tradizionali; altre invece daranno origine a modelli ibridi di collaborazione con le stesse banche, diventandone piattaforme di gestione per i loro servizi digitali. Ezio Viola, amministratore delegato di The Innovation Group

BLOCKCHAIN ALLA PROVA DEL NOVE Ci sono anche UniCredit e Intesa Sanpaolo nel gruppo delle 22 banche che, a livello globale, hanno aderito a una sperimentazione promossa da Swift. Un progetto che mira a verificare se la tecnologia Dlt (Distributed ledger technology) possa realmente aiutare le aziende del mondo finanziario a gestire in tempo reale la liquidità dei cosiddetti “conti nostro” per i pagamenti internazionali, oltre a valutare con precisione l’entità della disponibilità necessaria su ogni conto in qualsiasi momento, liberando così risorse da impiegare in altri investimenti. La sperimentazione è parte dell’iniziativa nata per favorire l’innovazione dei pagamenti transfrontalieri. Le ban-

che coinvolte avranno il compito di convalida, testando l’applicazione basata su una blockchain privata (ancora in fase di sviluppo) e valutando la performance e la scalabilità del sistema che sfrutta i registri distribuiti “blindati”. Secondo Stefano Favale, head of global transaction banking di Intesa Sanpaolo, “i tesorieri delle banche devono adattare i propri sistemi di tracciabilità e position keeping perché la Dlt potrebbe diventare la tecnologia su cui fondare queste attività”. Nello sviluppo del test Swift si appoggia alla piattaforma open-source Hyperledger Fabric v1.0 e presenterà i risultati del progetto questo mese, durante l’evento Sibos di Toronto.

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| Smart | Banking TECNOLOGIE SCENARI agriculture & Fintech

L’ALGORITMO VALUTA IL LIVELLO DI RISCHIO Workinvoice sfrutta una piattaforma tecnologica sviluppata in casa per mettere all’asta le fatture e convertirle in contante. Ecco come funziona.

N

el sempre più variegato universo italiano del fintech, Workinvoice si muove in una delle “specialità” meno diffuse fra gli operatori innovativi della finanza, quella dell’invoice trading. Nata a fine 2013 per iniziativa dei tre fondatori – Matteo Tarroni, attuale Ceo, Ettore Decio (già co-founder di Quinary, poi acquisita da Tiscali) e Fabio Bolognini (ex Citibank, Unicredit e Intesa) – questa startup ha scommesso su una piattaforma, interamente sviluppata in casa, che offre alle piccole e medie imprese la possibilità di mettere all’asta le proprie fatture e convertirle rapidamente in contante. Tutto funziona in modalità digitale e nel rispetto della normativa che regola la cessione del credito fra soggetti privati. La bontà della scelta si riflette in questi numeri: circa 77 milioni di euro di fatture “anticipate” a tutto agosto 2017 (in poco più di due anni di attività), l’obiettivo di arrivare a 100 milioni entro fine anno, un centinaio di clienti attivi e un fatturato (esercizio 2016) che si ag28

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gira sui 530mila euro. L’idea iniziale, poi trasformata in progetto concreto grazie a tre diversi round di finanziamento, era quella di creare un collegamento “privilegiato” tra le Pmi bisognose di liquidità (e con difficoltà di accesso al credito bancario) e gli investitori (privati e istituzionali) in cerca di nuove opportunità di impiego dei propri capitali. “Abbiamo pensato a uno strumento”, spiega in proposito Tarroni”, in grado di smobilitare un asset inutilizzato in una logica di scambio, massimizzando il vantaggio della tempistica e della praticità di realizzo per il cedente e nell’opportunità di una rendita molto elevata e a breve termine per chi acquista”. Da qui la creazione di un marketplace per la compravendita dei crediti commerciali, appoggiato al cloud di Amazon Web Services, e molto simile al modello di eBay. L’azienda titolare della fattura, una volta abilitata a operare nel sistema (il processo di registrazione/validazione una tantum dura circa una settimana), seleziona i crediti da vendere attraverso

Workinvoice, li carica in un’area riservata del sito utilizzando un codice Pin e nell’arco di pochi giorni può realizzare l’incasso, riducendo in media i tempi di pagamento di ben 45 giorni. Dall’altra parte, l’investitore (nella maggior parte dei casi sono fondi di investimento) acquista il credito disponibile con il meccanismo dell’asta, che dura un giorno o due al massimo, andando a conseguire rendimenti netti variabili tra il 4% e l’8%. A muovere il sistema c’è un software che utilizza avanzati algoritmi di intelligenza artificiale per la valutazione delle informazioni inerenti fattura e debitore e del livello di rischio; un team di esperti completa il processo di accettazione sulla base dei dati elaborati dalla piattaforma. La logica del servizio è quella del “pay per use”, per cui ogni impresa può liberamente decidere quante e quali fatture cedere (purché non inferiori ai 10mila euro) e il prezzo minimo che è disposta a incassare. Il valore finale dell’operazione è frutto della negoziazione, gestita online, fra gli investitori. G.R.


WATSON ASSISTE I CLIENTI

PIÙ SERVIZI DIGITALI, MENO FILIALI

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irca 33mila clienti di banche, assicurazioni e altri servizi finanziari intervistati in diversi Paesi, tra cui l’Italia, per capire come cambiano le richieste e i gusti degli utenti. L’edizione 2017 del “Global Banking Distribution & Marketing Consumer Study” di Accenture ci dice che i consumatori della Penisola sono decisamente aperti nei confronti del digitale e chiedono alle proprie istituzioni soluzioni online intuitive e veloci a fronte di una maggiore personalizzazione dei servizi di consulenza tipicamente erogati in filiale. Il dato che balza sicuramente più all’occhio è il seguente: il 62% degli intervistati italiani si dice disposto ad abbandonare la propria banca per passare a un provider alternativo. Il 42%, in particolare, è propenso ad affidarsi alle piattaforme tecnologiche delle varie Google, Amazon, Facebook e Apple per gestire il proprio denaro e il conto corrente in autonomia. La fiducia degli italiani verso servizi in formato digitale offerti da operatori non tradizionali è sorprendentemente superiore a quella di francesi e tedeschi. La possibilità che le grandi Internet company possano strut-

turarsi come vere e proprie banche, come osserva Piercarlo Gera, senior managing director di Accenture, è al momento remota “ma è altresì evidente che le tecnologie di cui dispongono potrebbero permettere a questi attori di insinuarsi nel mercato finanziario e occupare nicchie di servizi come il trasferimento digitale di denaro, ambito nel quale Facebook è già operativa”. Per questo motivo le banche devono muoversi in fretta per arginare il pericolo e la strada da seguire, secondo gli esperti, è quella di focalizzarsi sulla customer experience nei diversi punti di contatto. Per avere successo, in altre parole, gli istituti tradizionali devono offrire al cliente l’opportunità di scegliere in qualsiasi momento la modalità di accesso preferita (filiale, mobile, Web) mantenendo lo stesso patrimonio informativo su ogni canale. La classica e vituperata filiale, insomma, dovrà attrezzarsi per garantire un’esperienza d’eccezione, simile a quella che i clienti ottengono oggi in un Apple Store. E i cassieri dovranno trasformarsi in veri e propri “ambasciatori del brand” della banca, sfruttando le funzionalità innovative delle tecnologie digitali. P.A.

Da dicembre la chatbot “Luvo” inizierà ad aiutare i clienti della Royal Bank of Scotland, rispondendo alle loro domande o indirizzando rapidamente (in frazioni di secondo) le richieste agli operatori in caso di quesiti più complessi. La sperimentazione annunciata a luglio dalla banca anglosassone a braccetto di Ibm testerà l’efficacia di un servizio di webchat che sfrutta una piattaforma di intelligenza artificiale appoggiata a Watson Conversation, un servizio cognitivo basato su cloud. In futuro la chatbot potrebbe usare la funzionalità Watson Alchemy Language per comprendere meglio la “reazione” dell’utente, se per esempio è insoddisfatto o frustrato, e modificare di conseguenza il tono e le azioni suggerite.

API APERTE PER I PAGAMENTI Lo Swift Institute ha pubblicato a luglio un nuovo documento di lavoro sull’open banking e sul possibile impatto dell’adozione di Api pubbliche nel settore dei servizi finanziari. Il loro utilizzo dovrebbe apportare benefici in termini di efficienza per i clienti finali grazie alle capacità innovative delle startup fintech. Secondo lo studio condotto dalla Warwick Business School, la direttiva europea Psd2 (Payment Services Directive) dovrebbe aprire ulteriormente il mercato europeo dei pagamenti elettronici già entro la fine del 2017.

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FOCUS | Sicurezza

SIAMO TUTTI NELLA MORSA DEGLI HACKER Allarme rosso per la sicurezza informatica mondiale: si moltiplicano gli attacchi mirati all'estorsione di denaro. L'Italia si trova nella top ten dei Paesi più colpiti dal cybercrimine.

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l 2016 è stato l’annus horribilis della sicurezza informatica, a livello globale e nazionale. Per gravità degli attacchi subìti e numero di vittime, l’Italia è entrata nella top ten delle nazioni più colpite dal cybercrimine. Ad affermarlo è il Clusit, l’associazione italiana per la sicurezza informatica, che con il suo annuale rapporto mappa lo stato di salute “digitale” del nostro Paese, segnalando i principali settori sotto assedio e le tecniche d’attacco più utilizzate. Impressionante è il tasso di crescita dei reati compiuti con l’obiettivo

di estorcere denaro alle vittime o sottrarre informazioni per fini di lucro: se nel 2011 il cybercrime risultava essere la causa del 36% degli attacchi sferrati in tutto il mondo, nel 2016 la sua incidenza è salita addirittura al 72%. Una situazione da allarme rosso, aggravata soprattutto dalla forbice sempre più ampia tra la rilevanza di questi reati e l’efficacia delle contromisure adottate. Questo accade per due ragioni: in un contesto in rapida evoluzione come quello delle minacce cyber, è difficile disporre di conoscenze specialistiche OTTOBRE 2017 |

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FOCUS | Sicurezza

aggiornate, ma spesso – più banalmente – si tende anche a sottovalutare il rischio o a non prestare attenzione agli aggiornamenti software, che risolverebbero vulnerabilità già note. Sono circa 1.050 gli attacchi del 2016 che in tutto il mondo hanno avuto conseguenze “gravi”. Tra questi, i reati compiuti con finalità di cybercrimine

Un terzo degli attacchi sferrati nel corso del 2016 è riconducibile a tecniche sconosciute. Raddoppiato il numero dei ramsomware

sono aumentati del 9,8%, mentre sono cresciuti addirittura a tre cifre quelli classificati come “guerra delle informazioni”, incrementati l’anno scorso del 117% rispetto al 2015. Risultano, invece, in calo gli episodi di cyberspionaggio e quelli relativi all’hacktivismo, rispettivamente dell’8% e del 23%. Quanto ai settori colpiti, a crescere sono

sati soprattutto i reati contro sanità (+102%), grande distribuzione organizzata (+70%) e finanza (+64%), seguiti da quelli contro le infrastrutture critiche (+15%). A livello geografico, invece, sono aumentati soprattutto gli attacchi alle organizzazione europee, balzati nel secondo semestre dell’anno scorso dal 13% al 16% del totale, e a quelle asiatiche, dal 15% al 16%, mentre sono diminuiti quelli indirizzati contro realtà domiciliate negli Stati Uniti. Ancora vittime del phishing

Per mancanza di informazioni precise da parte delle fonti di pubblico dominio, il 32% degli episodi del 2016 è stato sferrato con tecniche classificate come sconosciute, una percentuale in crescita del 45% rispetto all’anno precedente: un dato allarmante, che non eguaglia però l’incremento del 1.166% delle violazioni compiute attraverso phishing e social engineering, ossia quelle tecniche che portano gli utenti a compiere passi falsi. In sensibile crescita anche il malware co-

mune, tra cui i tristemente famosi ransomware (ossia quei programmi maligni che criptano tutti i file e obbligano a un riscatto da parte degli utenti), aumentati del 116% nel 2016 e sfruttati non solo da un cyber crimine poco sofisticato, che punta a generare piccoli guadagni moltiplicati per grandi numeri, ma anche da criminali più evoluti, che sferrano i propri attacchi contro bersagli molto più grandi per importi decisamente più significativi. In crescita del 13% anche le violazioni compiute con tecniche DDos (Denial of Service), mentre l’utilizzo delle vulnerabilità zero-day ha visto un balzo in avanti del 333%. In Italia, per quanto il numero di episodi gravi sia contenuto rispetto al totale (il che è dovuto alla scarsa propensione alla denuncia), il Clusit ricorda soprattutto la violazione dei sistemi non classificati della Farnesina e la campagna di phishing contro oltre 200.000 vittime, quasi tutte italiane, realizzata nel 2016 sfruttando la botnet Andromeda. Claudia Rossi

CONTO SEMPRE PIÙ SALATO PER LE VIOLAZIONI Oggi in Italia il costo medio di un data breach è di 2,6 milioni di euro, un valore in crescita del 10% rispetto all’anno scorso. Così ha rilevato l’ultima edizione di un’indagine sponsorizzata da Ibm Security e condotta da Ponemon Institute, studio che da anni esplora le implicazioni e gli effetti delle violazioni dei dati sulle aziende in Italia e nel mondo. Nel nostro Paese questi episodi costano in media 119 euro per record di dati persi o rubati, cifra in aumento del 6,1% rispetto al 2016. Una buona notizia arriva, secondo Wendi Whitmore, global lead, XForce Incident Response & Intelligence Services di Ibm, dai nuovi requisiti normativi (come il General Data Protection Regulation, noto come

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Gdpr) che in Europa riusciranno ad arginare i pesanti impatti finanziari dei data breach. “Oggi più che mai è importante sapere rapidamente a che cosa abbia avuto accesso un attaccante in seguito a una violazione”, ricorda Whitmore. “L’obbligo di disporre di un piano completo per rispondere rapidamente ed efficacemente agli incidenti rappresenta, quindi, una grande opportunità per chi cerca di gestire al meglio la propria reazione ai data breach”. In base alle direttive del Gdpr, a partire dall’anno prossimo le organizzazioni europee saranno obbligate a segnalare le violazioni dei dati entro 72 ore, sostenendo ammende fino al 4% del proprio fatturato annuo globale in caso di inadempienza.

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FOCUS | Sicurezza

DIFESE PIÙ VULNERABILI La pervasività di dispositivi mobili, cloud e sensori ha sgretolato il vecchio perimetro di protezione delle aziende. Il rovescio della medaglia di un mondo sempre più connesso è una rete porosa, da salvaguardare secondo una diversa logica. a dura prova le attività di rilevamento e investigazione”, afferma Antonio Madoglio, system engineering manager di Fortinet Italia. ”La situazione è inseverita dalla convergenza in atto tra Information Technology e Operation Technology”, spiega Fabio Panada, consulting systems engineer security di Cisco Italia, e ciò favorisce la crescita di “numero e tipologie di attacchi, consentendo ai criminali di percorrere nuove strade per perseguire i propri intenti malevoli”. Sebbene le capacità di difesa informatica sembrino migliorate, sottolinea Panada, in realtà l’approccio tradizionale basato su singoli prodotti di sicurezza porta solo a una maggiore complessità e a una perdita d’efficacia delle soluzioni. “Oggi stiamo assistendo a una proliferazione delle minacce anche su apparati diversi dai Pc. D’altra parte, il criterio per lo sviluppo degli attacchi è quello di una monetizzazione sempre più rapida, che sfrutti qualsiasi dispositivo connesso”, afferma Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italia, che ricorda quanto sia importante lo sviluppo “secure-by-design” di qualsiasi sistema, per evitare l’introduzione di vulnerabilità in rete.

L

e nostre tracce digitali stanno crescendo in modo esponenziale. A moltiplicarle sono dispositivi mobili, cloud e sensori che, garantendo la permanenza in un mondo sempre connesso, stanno aumentando il nostro “spazio digitale” ed estendendo, quindi, la superficie d’attacco. E le vecchie logiche di sicurezza sono ormai

Ransomware e oltre

inefficaci, messe in crisi da cybercriminali in grado di sfruttare una rete ormai porosa. “Tutto può essere usato come un’arma per sferrare attacchi sempre più intelligenti e difficili da identificare, con l’aggravante che anche le minacce più datate oggi tornano a presentarsi con un maggiore livello di pericolosità grazie a nuove tecnologie capaci di mettere

In prospettiva, secondo Trend Micro, le minacce da tenere d’occhio saranno soprattutto legate ai ransomware: tipologie di programmi che prendono in “ostaggio” un dispositivo, per esempio crittografandolo, fino al pagamento di un “riscatto” monetario. Nel mondo hanno già causato oltre un miliardo di dollari di perdite e l’Italia è tra i Paesi più bersagliaOTTOBRE 2017 |

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FOCUS | Sicurezza

L’ANELLO DEBOLE CHE PUÒ DIVENTARE FORTE Le risorse e gli strumenti di sicurezza non sono mai stati così evoluti, eppure il cybercrimine continua a colpire sempre di più. La verità è che, a fronte di tante soluzioni all’avanguardia, il fattore umano resta ancora l’anello più debole dell’intera catena, una vulnerabilità sfruttata senza esitazione da chi cerca di sferrare attacchi dal risultato certo. “La sicurezza aziendale comincia dalla creazione di un ‘firewall umano’, insegnando ai dipendenti come comportarsi di fronte a potenziali minacce, per esempio email infette o pop-up sospetti”, afferma Florian Malecki, international product marketing director di SonicWall. Malecki sottolinea anche l’importanza di aggiornare costantemente il software, i sistemi operativi e il firmware IoT. Fondamentale, poi, è garantirsi molteplici livelli di difesa, impostando policy che non si fidino di niente (network, risorse, sensori, eccetera) e di nessuno (fornitori, dipendenti e così via) e che stabiliscano eccezio-

ti. Aumenteranno anche gli attacchi alle email e alle applicazioni aziendali, vere e proprie truffe messe a segno utilizzando credenziali trafugate. “Il ransomware è solo al suo punto di partenza”, conferma Madoglio. “Ci attendiamo di vedere attacchi mirati rivolti a obiettivi di alto profilo, come persone famose, entità politiche e grandi organizzazioni. Parallelamente cresceranno gli attacchi automatizzati che porteranno questi malware a un’economia di scala, consentendo agli hacker di estorcere piccole somme di denaro a tante vittime contemporaneamente, prendendo di mira soprattutto i dispositivi Internet of Things”. A puntare il dito contro i ransomware è anche Antonio Pusceddu, country sales manager di F-Secure Italia, secondo 34

ni solo dove necessario. “Purtroppo l’essere umano rappresenta un pericoloso punto debole: basta una piccola distrazione, come aprire l’allegato sbagliato, per dare origine a un attacco”, conferma Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italia, raccontando come oggi i cybercriminali facciano un gran lavoro di ingegneria sociale e studino molto attentamente le proprie vittime per carpire abitudini e comportamenti sui social media. Questa attività di intelligence porta al confezionamento di email altamente targettizzate, che possono facilmente ingannare le vittime. Fondamentale, secondo Nencini, è quindi disporre di una soluzione di sicurezza in grado di proteggere il punto d’ingresso delle email, ma soprattutto educare tutti i dipendenti (di qualsiasi dipartimento) sui pericoli a esse collegati. “Ovviamente”, prosegue il country manager, “è fondamentale anche mantenere le soluzioni sempre aggiornate, perché questo non blocca

cui oggi “stanno cambiando soprattutto i metodi d’attacco: una volta c’era quasi solo il social engineering, ora i mezzi di diffusione sono più vari e tra i vettori prevalenti ci sono soprattutto le vulnera-

Cresceranno gli attacchi automatizzati che porteranno i malware per l’estorsione di denaro a un’economia di scala

bilità dei software e le configurazioni errate dei sistemi”. Si tratta, comunque, di una situazione in evoluzione, in cui per le aziende è difficile mantenere una postura difensiva sufficientemente chiusa per mettersi al riparo da qualsiasi rischio.

solo la maggior parte delle minacce in entrata, ma rende anche più facile il compito degli utenti di individuare le comunicazioni maligne”. “Un’azienda informata è il punto di partenza di una strategia di sicurezza seria e di lungo periodo”, dichiara Antonio Pusceddu, country sales manager di F-Secure Italia. Per questo l’azienda finlandese sta investendo risorse imponenti in un’attività divulgativa dall’approccio olistico ed esperto. Un impegno profuso anche da Cisco, che grazie al corso di Cybesecurity organizzato dalla sua Networking Academy ha già formato circa 2.500 studenti dall’inizio dell’anno. Ragazzi che sono i “futuri dipendenti delle nostre aziende”, afferma Fabio Panada, consulting systems engineer security di Cisco Italia. “Persone che un domani sapranno quanto è importante non cliccare su un’email sospetta e l’effetto che questa azione può avere sulla loro identità digitale di dipendenti e cittadini”.

Anche perché, spesso, un atteggiamento di eccessiva chiusura entra in conflitto con l’usabilità degli strumenti digitali. A confermare la crescita esponenziale degli attacchi ransomware è anche il Grid Threat Network di SonicWall, che nel 2016 ha registrato 638 milioni di casi contro i 4 milioni del 2015. “Si tratta di attacchi perpetrati tipicamente con campagne di phishing e che hanno trovano nel Ransomware-as-a-Service un importante facilitatore”, afferma Florian Malecki, international product marketing director di SonicWall, spiegando come il recente attacco Petya/nonPetya (simile a WannaCry) sia stato propagato via mail sfruttando la combinazione di codici malevoli già esistenti e innescati da un exploit sviluppato dalla Nsa. C.R. OTTOBRE 2017 |

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FOCUS | Sicurezza

UN NUOVO SCUDO: L’INTELLIGENZA DIFFUSA

Per neutralizzare la creazione continua delle minacce, lo sviluppo delle soluzioni di security esce sempre più spesso dai laboratori dei vendor per sfruttare l'arma delle informazioni condivise.

L’

evoluzione delle minacce non conosce sosta. Nuove tecniche d’attacco e codici maligni vengono generati incessantemente per eludere sistemi di sicurezza che, per stare al passo, richiedono investimenti continui in ricerca e sviluppo. Una sfida all’interno della quale i fornitori di tecnologia si orientano sempre più spesso verso nuove forme di intelligence. “In tutto il mondo contiamo oltre 1.200 ricercatori impegnati ad analizzare le ultime minacce

e a mettere a punto tecnologie capaci di garantire contromisure immediate”, esordisce Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italia, per sottolineare l’importanza che la ricerca e sviluppo riveste all’interno della sua azienda. Una rilevanza che ha portato la società a stanziare anche un fondo di 100 milioni di dollari da destinare a startup focalizzate sull’Internet of Things. L’iniziativa offrirà a queste piccole realtà un sostegno economico, l’accesso a una intelligence globale e la OTTOBRE 2017 |

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FOCUS | Sicurezza

possibilità di fare leva su alleanze strategiche; permetterà, inoltre, a Trend Micro di scoprire nuove opportunità all’interno degli ecosistemi emergenti, traendo insegnamenti e idee che influenzeranno le proprie strategie e le soluzioni di cybersecurity future. Fare leva su un’intelligenza diffusa è, invece, la strada percorsa da SonicWall, che per rilevare e prevenire le nuove minacce si avvale soprattutto del SonicWall Global Response Intelligence Defense (Grid) Threat Network. “Questa rete è alimentata quotidianamente da oltre un milione di sensori di sicurezza distribuiti in circa 200 Paesi e ci consente di essere aggiornati in tempo reale su quanto stia avvenendo nel mondo in termini di attacchi”, chiarisce Florian Malecki, international product marketing director di SonicWall. Sulla base di queste infor-

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mazioni e altri insight, la società ha potuto mettere a punto negli anni una gamma completa di soluzioni, comprensiva di next-generation firewall, una sandbox cloud triple-engine, prodotti d’ispezione Ssl ad alte prestazioni per la sicurezza degli accessi wireless/ mobile ed email security. La conoscenza approfondita del panorama delle minacce e la capacità di reagire velocemente a più livelli sono anche i presupposti di Fortinet, che sfrutta la distribuzione mondiale dei propri laboratori per permettere a centinaia di ricercatori di rilevare ogni giorno le minacce emergenti e sviluppare risposte efficaci. “Gli analisti dei FortiGuardLabs analizzano quotidianamente i risultati raccolti tramite gli honeypot, che attirano il malware, e i sistemi automatici, studiandone il comportamento e la natura per of-

frirne una classificazione”, spiega Antonio Madoglio, system engineering manager di Fortinet Italia. Alla fine del processo l’azienda californiana crea le diverse contromisure per i motori antivirus, antibotnet, di application control, di intrusion prevention e di

Una rete mondiale di oltre un milione di sensori di sicurezza ci consente di essere aggiornati in tempo reale sugli attacchi

Web content filtering, che poi andranno ad aggiornare tutti i componenti dell’architettura Security Fabric. Un importante tassello della ricerca e sviluppo di Cisco è rappresentato, invece, da Talos, dipartimento di intelligence sulle minacce informatiche e laboratorio di ricerca sulla sicurezza informatica, in cui lavorano 300 ricercatori specializzati con accesso a enormi quantità di dati telemetrici. “Talos rileva le minacce e fornisce analisi gratuite in grado di proteggere i nostri clienti, soprattutto grazie al fatto che l’architettura security messa a punto da Cisco non fornisce solo un’alta quantità di dati, ma soprattutto una loro elevata qualità”, afferma Fabio Panada, consulting systems engineer security di Cisco Italia. Tutto avviene nel pieno rispetto della privacy dei clienti, che sono i primi a usufruire gratuitamente e automaticamente di queste analisi. L’intelligence prodotta ogni giorno da Talos viene, infatti, caricata quotidianamente e automaticamente su tutte le soluzioni Cisco attraverso la sua rete. “La nostra architettura è aperta: questo significa che le soluzioni che la compongono sono totalmente interoperabili tra loro e con prodotti di terze parti”, precisa Panada. Queste caratteristiche di integrazione e automatizzazione semplificano la gestione dei prodotti di Cisco. C.R. OTTOBRE 2017 |

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RICERCA E FORMAZIONE PER SCONFIGGERE LE MINACCE Che cosa differenzia la vostra proposta sul mercato?

Morten Lehn

O

gni anno all’interno delle aziende il 46% degli incidenti di sicurezza It viene causato dai dipendenti. Il dato, emerso da una recente indagine di Kaspersky Lab condotta da B2B International, evidenzia l’urgenza di agire sulle minacce intervenendo su più livelli, fattore umano incluso. Morten Lehn, general manager Italy di Kaspersky Lab, spiega a Technopolis quali siano oggi le maggiori vulnerabilità da tenere sott’occhio e come sia possibile neutralizzarle, facendo leva su un’efficace combinazione di tecnologia e cultura diffusa della sicurezza.

Quali sono oggi le porte d’ingresso più sfruttate dagli hacker per mettere in ginocchio le aziende?

I dipendenti disinformati o distratti sono una delle cause principali degli incidenti di sicurezza informatica, secondi solamente ai malware. Sebbene questi ultimi siano sempre più sofisticati, il fattore umano continua a rappresentare il pericolo maggiore. Un’altra

vulnerabilità forte è insita nei dispositivi sempre connessi, che se da una parte offrono agli utenti importanti benefici in termini di operatività, dall’altra spalancano molte porte a potenziali attacchi di cyber criminali interessati a rubare informazioni preziose o addirittura a bloccare le attività delle aziende. Per questo è importante che le organizzazioni non si limitino alla protezione del proprio perimetro, ma installino soluzioni avanzate di cybersecurity anche sui dispositivi usati dai dipendenti e programmino corsi di formazione che li aiutino a riconoscere le tattiche e i metodi sfruttati dai criminali. Un altro punto d’ingresso critico è oggi rappresentato dagli ‘oggetti’ connessi, ancora scarsamente protetti. Kaspersky Lab sta lavorando da tempo in questa direzione e proprio di recente ha lanciato KasperskyOs, un sistema operativo specializzato per i sistemi embedded che risponde a rigorosi requisiti di cybersicurezza, introducendo un ambiente secure-bydesign per i sistemi integrati e i dispositivi IoT.

Vantiamo oltre vent’anni di esperienza e oggi siamo una delle maggiori aziende private di sicurezza informatica al mondo: operiamo in 200 Paesi e possiamo contare su quasi 3.700 specialisti altamente qualificati. Essere indipendenti ci permette di essere più flessibili e di agire più velocemente, sviluppando tecnologie di sicurezza all’avanguardia che consentono a noi e ai nostri 400 milioni di utenti di essere sempre un passo avanti rispetto alle potenziali minacce. La sicurezza degli endpoint è sempre stato un nostro core business, specialmente per le piccole e medie imprese. In prospettiva, però, ci aspettiamo una forte crescita nel mercato enterprise, soprattutto nel campo della sicurezza non-endpoint: perciò il nostro portfolio si sta progressivamente espandendo in questa direzione, con soluzioni e servizi rafforzati dall’intelligence globale di sicurezza informatica di Kaspersky Lab. Come è strutturata la vostra Ricerca e Sviluppo? Su quali aspetti vi state maggiormente focalizzando in questo momento?

Da sempre investiamo moltissimo in Ricerca e Sviluppo, un’attività su cui si concentra circa un terzo dei nostri dipendenti. Dal 2008 è poi attivo il Global Research and Analysis Team (GReAT), un gruppo d’élite composto da oltre 40 super esperti di sicurezza, di cui fa parte anche l’italiano Giampaolo Dedola. Il GReAT ha il compito di individuare le tendenze “underground” dei cybercriminali di tutto il mondo, rilevando malware, ransomware, Advanced Persistent Threat e le principali campagne di spionaggio informatico. Claudia Rossi 37



ECCELLENZE.IT | Ministero

dell’Interno

Dal 2014 è stato intrapreso dal Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali un progetto It per la gestione dei dati relativi al voto. Il monitoraggio delle prestazioni degli applicativi è stato affidato a Ca Technologies.

LA MACCHINA ELETTORALE NON TEME INTOPPI

I

l voto degli elettori italiani è al sicuro. Se non altro, lo è dal punto di vista della custodia dei tanti dati che raccontano la chiamata alle urne, sia essa per un appuntamento politico o amministrativo, europeo, nazionale o locale: statistiche di affluenza, ma anche aggiornamenti su liste, candidati, contrassegni elettorali, esiti dello spoglio. Dal 2014 un progetto tecnologico è stato intrapreso dal Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali (Dait), la struttura del Ministero dell’Interno incaricata di raccogliere, elaborare e rendere disponibili queste informazioni a uffici territoriali, stampa e cittadini. L’infrastruttura It realizzata qualche anno fa doveva essere potenziata, sia per far fronte all’incremento del carico di utenti (dovuto alla possibilità di raccogliere i dati elettorali direttamente dai Comuni, oltre che dalle prefetture), sia per esigenze di sicurezza. “Il primo obiettivo che ci siamo posti”, racconta Salvatore Galatioto, dirigente area sviluppo e manutenzione procedure dell’Ufficio Sistemi Informativi del Dait, “è stato fornire ai Comuni e alle prefetture una soluzione di strong authentication affidabile e comoda da usare. Parallelamente volevamo anche migliorare la nostra capacità di monitoraggio delle

prestazioni degli applicativi e scongiurare problemi di accesso da parte degli utenti. Intendevamo inoltre cambiare la nostra modalità di diffusione dei dati elettorali, passando dai Web service alle Api. Tutto questo con soluzioni razionali, facili da gestire, con cui poter risolvere rapidamente eventuali problemi e anche ridurre i costi”. La scelta degli strumenti di controllo degli accessi e di monitoraggio delle prestazioni degli applicativi è ricaduta su Ca Technologies. “La soluzione di strong authentication Ca Advanced Authentication”, spiega Galatioto, “è la più adatta alle nostre esigenze perché consente un provisioning semplice e flessibile”. Il certificato può essere installato facilmente sulla postazione di lavoro, senza obbligare il dipendente comunale a fare verifiche con il proprio cellulare. L’altra soluzione adottata, Ca Application Performance Management, consente di individuare i colli di bottiglia applicativi che possono mettere a repentaglio il funzionamento dell’infrastruttura di raccolta dei dati e l’accesso alla stessa da parte dei Comuni. Una seconda fase del progetto, intrapresa a inizio 2016 e recentemente conclusa, ha riguardato l’ottimizzazione dell’in-

frastruttura informatica del Dait, necessaria per evitare difficoltà di accesso ai dati durante i periodi “caldi”, come quelli prelettorali. Facendo leva sulle indicazioni fornite da Ca Application Performance Management, si è deciso di ridurre la complessità dell’architettura e l’eterogeneità degli strumenti usati, nonché di separare nettamente lo strato applicativo da quello della sicurezza. Le precedenti soluzioni sono state sostituite dall’intera suite di gestione delle identità di Ca Technologies, comprendente (oltre ad Advanced Authentication) anche Single Sign-On, Directory e Identity Management and Governance. Una piattaforma, sottolinea Galatioto, che è “molto più flessibile e quindi adattabile alle nostre necessità, oltre a garantire un migliore disaccoppiamento tra le varie parti dell’infrastruttura e una più facile gestione degli eventuali guasti”. Il nuovo assetto ha anche permesso di liberare alcuni server virtuali, riducendo costi e complessità. Il progetto non è terminato: con la terza fase, relativa alla modalità di distribuzione dei dati e delle analisi all’esterno, si passerà gradualmente dal modello dei Web service alle Api, e anche in questo caso è stata scelta una soluzione targata Ca (Api Management). OTTOBRE 2017 |

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ECCELLENZE.IT |

Istat

TRASPARENZA E VELOCITÀ PER LE STATISTICHE ITALIANE Uno dei principali istituti nazionali si è affidato alla piattaforma Archiflow di Siav per la gestione di alcuni protocolli, della Pec e del workflow documentale.

U

n flusso di documenti voluminoso, circa 700mila, da inviare a 2.500 interlocutori fra privati, aziende e pubbliche amministrazioni. L’Istat era alla ricerca di un modo per gestire più facilmente questa attività, sfruttando una soluzione unica e l’invio tramite posta certificata, e allo stesso tempo riuscendo a coordinare meglio il lavoro delle sue 75 unità organizzative distribuite su 21 sedi. Terzo ma non ultimo obiettivo: il rispetto dei vincoli di spesa. L’ispirazione è giunta dalla scelta compiuta in precedenza (nel 2015) da Banca d’Italia per gestire la propria corrispondenza e i propri procedimenti amministrativi: Archiflow, una soluzione targata Siav. A gennaio 2016, tramite gara nazionale, Istat ha acquisito in riuso la piattaforma per la gestione documentale, del protocollo, workflow e firma digitale, stipulando con Siav un contratto per l’ottenimento delle licenze di utilizzo di Archiflow e della relativa manutenzione. L’azienda fondata nel 1989 a Rubàno (Padova) e specializzata in soluzioni di gestione elettronica dei documenti e dei flussi di lavoro aziendali è stata scelta in virtù del preesistente legame con Banca d’Italia e dunque di un’esperienza maturata nel settore pubblico, ma anche per le competenze nel campo della progettazione e integrazione di sistemi. Ha poi pesato un elemento differenziante 40

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di Archiflow: la gestione della Pec integrata nel documentale e completamente automatizzata. Siav, inoltre, può realizzare moduli custom integrabili nella soluzione standard. La società padovana ha quindi inizialmente focalizzato la propria attenzione sulla predisposizione degli organigrammi e delle rubriche, per poter poi procedere con la razionalizzazione del protocollo informatico generale. Ha poi integrato in Archiflow la gestione automatizzata della Pec per l’invio massivo (funzione non consentita dal precedente fornitore) e messo in campo un workflow strutturato: ogni comunicazione di posta certificata viene protocollata e poi, tramite un modulo custom in grado di automatizzare il processo, smistata verso le direzioni di competenza. Tutto ciò ha permesso all’ente di statistica di ottenere maggiore trasparenza, velocità e tracciabilità di tutti i messaggi Pec in ingresso e in uscita, nonché delle altre informazioni e operazioni gestite. In particolare, i tempi di attraversamento dei documenti in ingresso sono stati ridotti da sessanta a sole sei ore.

La collaborazione con Siav proseguirà: Istat sta valutando di attivare nuovi servizi sulla piattaforma Archiflow e di avvalersi della firma digitale e della firma remota per digitalizzare i cicli autorizzativi e velocizzare diversi processi. LA SOLUZIONE Siav ha realizzato per Istat un’infrastruttura per la gestione del protocollo informatico e della documentazione, basata sui software Archiflow e Pec Manager. Ha poi integrato in Archiflow sia la gestione automatizzata della Pec per l’invio massivo, sia un modulo costum che in automatico protocolla i messaggi in ingresso e li smista verso gli uffici di competenza. Sono incluse funzionalità verticali per la gestione della Pec, delle rubriche, della riservatezza dei documenti, delle firme, della storia del fascicolo archivistico, dell’acquisizione da remoto e altro ancora.


ECCELLENZE.IT | Fca

- Alfa Romeo

LA FABBRICA 4.0 SI MUOVE IN PUNTA DI TOUCH Le nuove tecnologie hanno cambiato faccia all’impianto di Cassino dove si producono i modelli Giulia e Stelvio. Al fianco di Fca ha lavorato Samsung con i suoi dispositivi: smartphone, tablet e smartwatch. LA SOLUZIONE Totalmente integrato con il Mes (Manufacturing Execution System), il sistema informativo che gestisce l’intero sistema produttivo, lo smartwatch è utilizzato in alcuni tratti della linea di produzione. Raggiunta la propria postazione, l’addetto riceve dal Mes la lista delle operazioni da compiere sul veicolo in lavorazione; completata l’operazione e inviata la conferma via dispositivo, l’attività della linea può proseguire con la fase successiva.

S

orto nel 1972 in prossimità della storica abbazia benedettina, lo stabilimento di Fca di Cassino (in provincia di Frosinone) ha finora prodotto oltre 7,3 milioni di vetture ed è stato ampliato fino a raggiungere gli attuali due milioni di metri quadrati di superficie, di cui 530mila coperti. La capacità produttiva di questo impianto, per cui sono stati investiti oltre 1,3 miliardi di euro e in cui si realizzano i modelli Alfa Romeo Giulia e Stelvio, è di circa mille vetture al giorno. Questi numeri fanno da sfondo a un esteso processo di digitalizzazione che l’azienda ha intrapreso, al fianco di diversi partner tecnologici, focalizzandosi sulla massa di informazioni disponibili all’interno delle fabbriche e puntando su sistemi avanzati di manifattura additiva e robot collaborativi per completare prototipi in tempi rapidissimi e ottimizzare al massimo alcune operazioni di fabbrica. L’obiettivo? Affinare l’efficienza della

catena produttiva e migliorare la qualità del lavoro degli addetti di linea. “La smart factory”, dice Gilberto Ceresa, chief information officer di Fca per le aree Emea e Latam, “è il nostro social network fisico, il tessuto digitale sul quale si evolve il nostro business. In questo quadro la collaborazione con Samsung ci consente di adottare soluzioni che migliorano il flusso di informazioni tra macchine e persone, fino ad arrivare all’uso dei dispositivi wearable, messi a punto con la collaborazione del personale che ogni giorno lavora sulle linee di montaggio”. Il vantaggio di questo sistema, spiega ancora Ceresa, è quello di poter essere “costantemente in contatto con il team leader e di trasmettere in tempo reale i dati e le informazioni sull’andamento della produzione”. La prima fase del processo di digitalizzazione ha visto l’installazione di dispositivi di visualizzazione (monitor Samsung ad alta luminosità) lungo la linea e di la-

vagne touchscreen in alcuni punti strategici dell’impianto sui quali viene mostrato l’andamento della produzione stessa. Nel caso di situazioni anomale, vengono generati degli avvisi presi immediatamente in carico dagli addetti incaricati. La seconda fase si è concretizzata attraverso un processo articolato di tipo “bottom-up” che ha coinvolto i diversi team leader aventi la responsabilità di un gruppo di lavoro: sono state proprio queste figure a identificare le esigenze e a disegnare personalmente le soluzioni che avrebbero potuto aiutarle a svolgere al meglio il lavoro. Sono stati due i dispositivi scelti per rispondere alle esigenze e garantire maggiore efficienza: uno smartphone Samsung dotato della tecnologia di protezione dei dati Samsung Knox e uno smartwatch personalizzato per Fca (il modello Gear S3 Frontier) utilizzato in modalità stand-alone dal personale di linea per snellire i flussi e migliorare l’ergonomia del lavoro. OTTOBRE 2017 |

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ECCELLENZE.IT | Terme

dei Papi di Viterbo

DATI IN TEMPO REALE E IL BENESSERE PARLA DIGITALE Le soluzioni software MySalus fornite da Zucchetti Itaca hanno migliorato tutte le procedure di gestione di uno dei centri termali più grandi d’Italia. Puntando sulla soddisfazione del cliente.

È

uno dei centri termali più antichi e grandi d’Italia, certificato con la Prima Categoria Super dal Servizio Sanitario Nazionale. Le Terme dei Papi di Viterbo sono conosciute fin dall’antichità per le proprietà benefiche e terapeutiche delle loro acque e dei loro fanghi termali. Il fiore all’occhiello dell’intera struttura è la monumentale piscina termale di oltre 2000 mq, attorno alla quale si sviluppano l’area composta dalle piscine terapeutiche per la riabilitazione in acqua termale, i reparti della fangobalneoterapia e delle cure inalatorie, le grandi vasche idromassaggio, il percorso vascolare carbogassoso, la grotta naturale, il centro benessere con oltre un centinaio di trattamenti disponibili, le sale relax e la sala fitness. A completare l’offerta benessere delle Terme dei Papi, in cui presta servizio un’equipe medica di una trentina di professionisti con diversa specializzazione, c’è l’hotel Niccolò V, vero gioiello a quattro stelle dell’intero centro termale. Per rendere ancora più efficiente e tecnologicamente avanzato il sistema di 42

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gestione del centro, le Terme dei Papi si sono affidate alla soluzione MySalus di Zucchetti Itaca, società del Gruppo lodigiano attiva da circa 30 anni nella fornitura di soluzioni informatiche per aziende operanti nei settori dello sport, del wellness e tempo libero. L’esigenza di un software in grado di coprire e coordinare tutte le procedure della struttura è nata dal grande afflusso di persone che si recano alle terme tutti i giorni dell’anno e dalla necessità di gestire per ogni cliente i voucher con prepagati per fruizioni singole e gli abbonamenti con multi tessera, nonché di migliorare il flusso dei trattamenti e delle prenotazioni effettuate. Il tutto, con analisi e report in tempo reale. “L’ampia gamma di statistiche che abbiamo a disposizione”, afferma Marco Sensi, amministratore delegato di Terme dei Papi, “ci permette di analizzare in ogni momento l’andamento dell’intera struttura, supportando decisioni strategiche e direzionali utili per noi e per tutti i nostri ospiti. Avevamo bisogno di un sistema performante e integrato che ci accom-

pagnasse quotidianamente nelle nostre attività e ne migliorasse i risultati, avendo al contempo come obiettivo la piena soddisfazione del cliente”. Fra i punti di forza di MySalus vengono segnalati la totale integrazione con hardware specifici per il controllo accessi e la gestione di casse automatiche, serrature elettroniche per armadi e impianti docce/phon. I 15 totem informativi installati in tutto il centro consentono invece di rendere self service molte procedure svolte in precedenza al desk con impegno di risorse umane, come la visualizzazione della scheda personale del cliente, del proprio piano trattamenti e delle cure effettuate e ancora da effettuare. La soluzione, spiega ancora Sensi, è da considerarsi anche un trampolino di lancio verso future evoluzioni dell’offerta di Terme dei Papi. “Abbiamo adottato un sistema facile e intuitivo, modellato sulle molteplici esigenze del nostro centro termale, che ci ha permesso di velocizzare molto procedure interne e che ci apre le porte a nuovi sviluppi e scenari tecnologici, sempre al servizio del cliente”.


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ITALIA DIGITALE | Startup e Pmi innovative

LA RICETTA PER CRESCERE? PIÙ MANAGERIALITÀ

Le startup italiane sono vittime di una fragilità che spesso ne mette a rischio la sopravvivenza. Giorgio Rapari di Assintel e Andrea Granelli del Cfmt hanno l’antidoto per superarla: più competenze di business e maggiore cultura imprenditoriale.

DALLA LOMBARDIA UN FONDO DA 50 MILIONI La Regione come motore di ricerca e innovazione. È il fine ultimo del nuovo fondo da 50 milioni di euro istituito dalla Lombardia per finanziare startup e giovani iniziative imprenditoriali. Figlio della Legge 29/2016 varata per favorire, sostenere e promuovere l’ecosistema dell’innovazione della Regione, il fondo intende far mantenere a Milano e a tutto il territorio il ruolo di leader dell’avanguardia italiana,

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portandola a destinare alla ricerca e sviluppo il 3% del proprio Prodotto interno lordo contro una media nazionale ferma all’1,5%. Oggi la Lombardia detiene già il record di presenza del maggior numero di startup innovative (circa 1.700, più di un quinto del totale) e dall’inizio dell’anno ha provveduto al finanziamento in due fasi di 12 nuovi progetti per 40 milioni di euro e di ulteriori 20 per 66 milioni.

I

n Italia sono poco meno di 7.400 (il dato è aggiornato a giugno) le startup cosiddette innovative, un ecosistema dinamico e attivo che soffre, però, di un alto tasso di mortalità. Poche riescono a diventare, infatti, vere e proprie imprese, superando l’iniziale fase di avvio. Normale, direbbero in Silicon Valley, ma la fragilità eccessiva delle nuove imprese tecnologiche della Penisola è testimoniata da un reddito operativo complessivamente negativo, attestato dal Ministero dello Sviluppo Economico attorno ai 70,5 milioni di euro (in leggera contrazione rispetto agli 86,4 milioni della precedente rilevazione). Le


CROWDFUNDING E VENTURE CAPITAL AL RADDOPPIO I capitali investiti online in startup e Pmi innovative, in cambio di quote societarie, sono aumentati nel corso dell’ultimo anno del 123%. Un boom per certi versi annunciato quello dell’equity crowdfunding italiano, dopo l’inizio in sordina di quattro anni fa e dopo il varo (primizia in Europa) di una normativa ad hoc. I numeri, certificati dall’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano, dicono infatti che in soli sei mesi, da gennaio a giugno 2017, 23 società hanno ricevuto in totale cinque milioni di euro, cifra superiore a quella dell’intero 2016 (4,3 milioni per 19 società finanziate). La raccolta complessiva, dal 2014, è stata di 12,5 milioni e ha riguardato 53 imprese finanziate. Sono numeri ancora relativamente bassi, soprattutto se confrontati con quelli di altri Paesi, ma il trend di crescita di questo strumento alternativo di finanziamento, appetito soprattut-

cifre sono aggravate dalla percentuale di startup con bilancio in perdita: a soffrirne è il 57,96% contro il 35% delle altre società di capitali. Per contro è in attivo il numero complessivo dei loro occupati, dopo la flessione registrata a fine 2016. Sempre secondo l’ultimo resoconto pubblicato al 30 giugno dal Mise, su dati Unioncamere e Infocamere, si è saliti infatti a 9.365 unità, 700 in più rispetto al consuntivo di fine anno. In salita è anche il numero medio degli addetti, cresciuto da 3,25 occupati per azienda a 3,6. Su queste cifre pesa però l’uscita (avvenuta nel corso del 2016) di 800 startup dall’elenco delle realtà classificate come nuove imprese innovative per lo scadere dei termini di legge: società che, oltre a essere le più “anziane” all’interno dell’ecosistema italiano dell’innovazione, contavano anche il maggior numero di addetti.

to dalle piccole e medie imprese, è sostanziale. E, secondo gli esperti, fa ben sperare per il futuro. Oggi le piattaforme autorizzate a operare (Crowdfundme e Mamacrowd le più attive, con sette società finanziate ciascuna) sono una ventina e le campagne di raccolta all’attivo a tutto il primo semestre sono più che raddoppiate, passando da 48 a 109, di cui 36 chiuse con successo e 20 ancora aperte. Un dato sicuramente promettente è l’alta percentuale, il 90% di quelle avviate nel primo semestre, di campagne che hanno raggiunto l’overfunding, ovvero hanno raccolto più dell’obiettivo minimo e raggiungendo; per loro, la media dei finanziamenti ottenuti è stata di di 220mila euro. C’è però un rovescio della medaglia, riguardante il profilo degli investitori: sui 1.196 censiti dall’Osservatorio, 1.068 sono persone fisiche e 128 persone giuridiche. E in questa

Ma che cosa rende ancora fragili le startup nostrane? Giorgio Rapari, Presidente dell’Associazione Nazionale delle Imprese Ict (Assintel), è estremamente chiaro: “Mancano managerialità e fondi, mentre proliferano incubatori e acceleratori che non fanno altro che alimentarne le speranze, ma non fortificano la specie. D’altra parte, non basta inventare un’app per decollare, il digitale non è una bacchetta magica: fare impresa significa avere buone idee e soprattutto implementarle in progetti di business veri, solo così gli investitori potranno interessarsi e finanziarli”. Fondamentale, a questo punto, l’incontro con imprese esistenti “affinché nel percorso di trasformazione digitale tutto il sistema cresca attraverso un laboratorio diffuso”. A ribadire il tema della managerialità, e quindi delle competenze, è anche Andrea Granelli,

seconda categoria appare ancora troppo poco frequente la presenza di investitori professionali in ambito finanziario, fondi di venture capital in testa. Sempre a proposito di venture capital, non mancano per contro le buone notizie: stando alle rilevazioni pubblicate dall’Osservatorio Vem (Venture capital Monitor) dell’Università di Castellanza in collaborazione con Aifi, nel 2016 le società di rischio hanno investito in startup italiane di livello “early stage” (la prima fase di avvio della nuova impresa) oltre 140 milioni di euro, una cifra due volte e mezzo superiore ai circa 56 milioni distribuiti l’anno precedente. Un ruolo importante, dunque, quello dei venture capital rispetto al totale degli investimenti elargiti alle startup italiane nel corso dell’anno passato, e cioè 202 milioni di euro, l’esatto doppio rispetto ai 101 milioni di dodici mesi prima.

docente del Cfmt (Centro di Formazione Management del Terziario), che evidenzia la carenza di una cultura imprenditoriale nelle startup, spesso più assorbite da sviluppi tecnologici rispetto ad attività strategiche come il business planning o il people management. Da qui la sua ricetta: “Per essere più robuste, queste realtà devono imparare a puntare ai bisogni reali, rileggendo ciò che esiste con occhi digitali. Devono iniziare a fare squadra, ad applicare la logica delle rete, dedicando tempo ai business case e alla gestione delle risorse per attrarre quei talenti che oggi in Italia preferiscono ancora andare a lavorare per le multinazionali. Infine, devono saper sfruttare la mano pubblica, imparando a usare le leve finanziarie per garantirsi un percorso di crescita e sostenibilità”. Claudia Rossi 45


ITALIA DIGITALE | Industria 4.0

La nuova ricerca del Laboratorio Rise dell’Università di Brescia evidenzia come solo una parte delle imprese italiane abbia raccolto la sfida di Industria 4.0. La mancanza di competenze sulle tecnologie più avanzate rimane uno degli ostacoli.

SMART MANUFACTURING IN UN’AZIENDA SU DUE

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all’avvento delle prime macchine a vapore (seconda metà del Settecento), passando per la linea di montaggio di Ford e l’automazione dei processi produttivi, si è arrivati nel primo decennio del terzo millennio ad assistere a una commistione sempre più stretta fra tecnologie digitali e sistemi fisici. È innegabile che il settore manifatturiero stia vivendo oggi una delle trasformazioni più entusiasmanti della sua storia. Una trasformazione in grado di riportare al centro del dibattito un comparto che, in Italia, genera oltre il 15% del Pil. Ma, come ogni cambiamento epocale, anche la cosiddetta Industria 4.0 ha aperto nuovi scenari accompagnati da domande e dubbi. Una ricerca del Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) 46

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dell’Università degli Studi di Brescia, condotta su un panel di 105 aziende manifatturiere italiane di diversi settori e dimensioni (il 56% sono Pmi), ha provato a gettare una nuova luce sul fenomeno e a capire quanto le imprese nostrane siano pronte ad abbracciare concretamente la quarta rivoluzione industriale. Dallo studio è emerso che circa la metà del campione (il 47%), definito “ritardatario”, è ancora molto indietro nel processo di trasformazione; una realtà su dieci si è invece già avventurata in progetti implementativi concreti, ma non dispone del background teorico necessario per portare a termine con successo le iniziative avviate (sono i “praticoni”, cluster in cui figurano anche quelle imprese che pur di godere dei benefici fiscali del piano Calenda sono partite

mirando a rinforzare le competenze in corso d’opera). Il rimanente 40% è composto da aziende che hanno scelto di abbracciare la sfida di Industria 4.0 con coscienza, seppur a livelli differenti. Il Laboratorio Rise chiama “focalizzato” quel 32% di realtà manifatturiere impegnate su un numero ristretto di aree tecnologiche considerate rilevanti, mentre applica l’etichetta “polivalenti” alle imprese (il 3%) interessate ad approfondire tutte le tecnologie abilitanti e “stelle” a quelle (il 5%) che hanno effettivamente concluso il processo di maturazione. In quest’ultimo caso, otto realtà su dieci sono di grandi dimensioni, ma sarebbe ingiusto escludere le Pmi dalla corsa all’industria 4.0. La presenza di almeno un vertice dell’azienda “illuminato”, in grado di prendere in mano la trasformazione digitale,


INCENTIVI, ALLE AZIENDE MERIDIONALI SOLO LE BRICIOLE

è rintracciabile in un’impresa su due, a dimostrazione del valore strategico attribuito al fenomeno. Ma quali sono le tecnologie al centro del processo e, soprattutto, che conoscenze hanno le organizzazioni? Il know-how è molto limitato quando si parla di cloud manufacturing, realtà virtuale/aumentata e collaborative robotics. Le cose migliorano se si entra nel campo dei Big Data, degli strumenti di advanced analytics e della manifattura additiva: circa il 50% degli intervistati dichiara di conoscere l’argomento. Secondo i dati ricavati dal Rise, la tecnologia su cui le aziende sono più ferrate è quella dell’Industrial IoT (nella misura del 64%) mentre la stampa 3D è la più utilizzata. Quanto agli ostacoli che le imprese stanno incontrando, spiccano l’ancora limitato sviluppo delle tecnologie (riscontrato nel 39% dei casi), difficoltà nell’acquisizione o integrazione delle competenze (nel 35%), investimenti elevati (14%) e l’assenza di fornitori tecnologici di riferimento (12%). Tra le figure professionali più richieste, infine, davanti a tutti ci sono il progettista Cad additivo, il data analyst e il data security manager. Alessandro Andriolo

Aziende più piccole, poco informatizzate e meno pronte all’innovazione digitale: per il Mezzogiorno, la conformazione del tessuto imprenditoriale potrebbe rivelarsi un ostacolo sostanziale per l’adozione delle soluzioni previste dal piano Industria 4.0. Con il rischio, non certo trascurabile, che la frattura fra Sud e Nord Italia in termini di produttività e crescita possa ulteriormente allargarsi. Ridimensionando così drasticamente quella logica di sviluppo e di ripresa della competitività del Paese nel suo complesso, fortemente sponsorizzata dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. L’ultimo rapporto di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, parla in tal senso molto chiaro: gli interventi definiti dal Mise potrebbero avere, a regime, effetti positivi di intensità diversa fra Settentrione e Meridione. Le ricadute aggiuntive previste al Nord valgono lo 0,2% del Pil, mentre nel Sud l’effetto generato dai provvedimenti di Industria 4.0 è decisamente più basso, attorno allo 0,03%. Una prospettiva non certo entusiasmante, che secondo gli autori del rapporto (presentato a fine luglio) risiede nelle caratteristiche endogene dell’industria italiana. Un’industria che ha sempre trovato al CentroNord un terreno più fertile, sfruttando la capacità di reagire positivamente a misure orientate ad accrescere la dotazione di vantaggi competitivi meno diffusi, e che ha registrato al Sud una minore recettività, imputabile a problemi di natura strutturale mai affrontati con decisione.

Il piano Industria 4.0, sostengono dalla Svimez, va sì nella direzione di rimediare alla contrazione della capacità produttiva dell’industria meridionale (che nel corso degli anni di crisi economica ha viaggiato a ritmi negativi doppi rispetto al Centro-Nord), ma dovrebbe affiancare alle note misure fiscali previste altre iniziative capaci di accrescere le dimensioni assolute del “sistema Sud” e le sue interconnessioni con i servizi di mercato offerti localmente. Il tutto per tenere più unite possibili le due zone del Paese, invertendo una tendenza che ha visto gli interventi pubblici, a partire dal 2009, favorire maggiormente le imprese dell’area più ricca e produttiva del Paese. Se guardiamo al dettaglio degli sgravi fiscali previsti dal piano per gli investimenti in nuove tecnologie, alle imprese meridionali potrebbe andare una quota pari al 7% del totale delle agevolazioni stimate per il Paese. In soldoni parliamo di 650 milioni di euro nel periodo 20182027 contro gli 8,6 miliardi che sarebbero destinati alle aziende del Centro-Nord. Notevole anche la differenza sui valori del credito d’imposta sulle spese “incrementali” in ricerca e sviluppo relative all’arco temporale 2015-2019: il report prevede una quota di accesso per le imprese del Sud pari al 10% del totale, cioè circa 350 milioni di euro (per il quadriennio 2018-2021) mentre il Centro-Nord è destinato ad assorbire oltre 3,1 miliardi. Il rischio di una corsa verso la quarta rivoluzione industriale a due velocità è dunque reale ed evidente. E non va assolutamente sottovalutato.

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L'ascesa del cloud non ha frenato la domanda dei dispositivi di archiviazione esterna, imprescindibili per un numero sempre maggiore di persone e aziende. Dalle soluzioni più impegnative a quelle portatili, i nuovi prodotti si arricchiscono di funzionalità multimediali e di sicurezza.

NON SOLO NAS: LO STORAGE È MULTIFORME

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gni giorno su Instagram gli utenti pubblicano 95 milioni di foto e video. Su Snapchat vengono invece condivise ogni secondo 20mila immagini e, dalla sua nascita, su Facebook ne sono circolate oltre 250 miliardi. Senza contare tutti i file che non vengono caricati sui social network: musica, documenti di lavoro, foto e filmati che si vogliono tenere segreti. E così via. Un vero e proprio “diluvio di dati” (per riprendere una riuscita metafora del settimanale The Economist), che si intensifica ogni giorno di più. È indubbio che, pur avendo capacità di archiviazione sempre maggiori, i dispositivi elettronici utilizzati tutti i giorni (computer, smartphone, tablet) fatichino a tenere 48

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il passo. A sgravare notevolmente gli oggetti fisici sono arrivate in questi anni le soluzioni cloud: spostare interi archivi sulla nuvola, come tutti i filmini delle vacanze, può essere in certi casi un problema. Soprattutto se si considera l’infima larghezza di banda media in upload delle connessioni italiane. Ecco quindi giungere in soccorso le soluzioni di archiviazione esterne. I vendor ne propongono ormai di tipi completamente diversi fra loro: dalle classiche chiavette Usb, con funzionalità in certi casi che vanno ben oltre la semplice archiviazione, ai drive esterni, per arrivare ai sistemi Nas da scrivania. I prodotti certamente più utili per i piccoli uffici (e per l’utenza più sofisticata) sono questi ultimi, evoluti nel tempo

da meri contenitori passivi di dati a veri protagonisti della vita delle microimprese, degli studi professionali e dei “salotti digitali”. A livello consumer, secondo Technavio, il mercato crescerà a un tasso annuo composto dell’11% fino al 2020. Grand View Research prevede che nel 2025 il settore varrà 8,2 miliardi di dollari, trainato dall’incessante domanda delle piccole e medie aziende. Questa categoria di dispositivi, rappresentata da vendor chiave come Qnap, Synology, Western Digital e Netgear, è caratterizzata da un design molto semplice e intuitivo e richiede procedure di installazione semplificate all’estremo. I Nas, infatti, sono praticamente pronti all’uso e presentano un sistema opera-


dischi esterni oppure ai drive Usb (oltre ovviamente al cloud, ma qui si entra in un altro territorio), i quali hanno subìto notevoli trasformazioni rispetto a qualche anno fa. La riduzione dei costi per gigabyte delle soluzioni a stato solido ha favorito la commercializzazione di supporti caratterizzati da grandi capacità, leggerezza e prezzi contenuti. I produttori di unità flash Usb, invece, hanno

puntato sulla connettività wireless e sulla sicurezza, dotando le chiavi di algoritmi crittografici. In questo modo tutte le informazioni memorizzate non possono essere lette da terzi e, per le aziende, i vendor prevedono anche versioni “managed” che permettono ai reparti It di centralizzare la gestione di tutto il parco delle unità attive. Alessandro Andriolo

HARD DISK A TUTTO ELIO

tivo preinstallato, solitamente basato su Linux, con la possibilità di scaricare dagli store ufficiali (e non solo) una serie di applicazioni utili per ampliarne le funzionalità. Si va dal software per efficientare la gestione dello storage, a utility per la sicurezza, fino al ricco catalogo delle app per i contenuti multimediali. I Nas attuali possono diventare non a caso il cuore pulsante dell’intrattenimento domestico, grazie al supporto dei principali standard di comunicazione dei dispositivi audio e video, come il Dlna (Digital Living Network Alliance), e alle capacità di transcodifica 4K. Ovviamente, trattandosi comunque di prodotti nati per l’archiviazione di massa, è importante scegliere il modello che più si presta all’utilizzo desiderato. Quando si parla di soluzioni tower si parte dal vano (bay) singolo per arrivare anche a otto e più. Le varianti più diffuse nei piccoli uffici sono probabilmente quelle che ospitano quattro dischi, che rappresentano il giusto equilibrio fra capacità e facilità d’uso. All’utenza che necessiti di spazio in mobilità non resta però che ricorrere ai

Fra il 2009 e il 2011 il costo per gigabyte degli hard disk crollò del 45%, passando da 11 centesimi di dollaro a 5. Dal 2015 a oggi, invece, l’indicatore è sceso di 26 punti percentuali, arrivando agli attuali 3 centesimi di dollaro. Pur trattandosi di una flessione sensibile, è risultata essere molto meno drastica rispetto al triennio 20092011. Leggendo questi dati, elaborati dalla società di cloud storage Backblaze, è facile intuire come il costo per GB degli hard disk sia destinato a rimanere mediamente costante anche nel prossimo futuro. Ma, secondo dati di Idc, nel 2020 verranno generati a livello globale 44mila miliardi di gigabyte di dati, che comporteranno un costo non indifferente soprattutto per le aziende, costrette a fare spazio ampliando la capacità delle proprie soluzioni di archiviazione. Escludendo i drive a stato solido (Ssd), che rappresentano sempre più un’ottima alternativa anche dal punto di vista dell’affidabilità ma presentano costi per gigabyte nettamente superiori, è possibile ricorrere alle nuove tecnologie di produzione che i vendor stanno sviluppando per incrementare la densità dei dischi fissi. È il caso

dell’elio, che sempre più spesso viene utilizzato al posto dell’aria (perché più leggero) per ridurre l’attrito fra i componenti meccanici e aumentare la capacità dell’hard disk. Western Digital e Seagate, i due principali produttori di Hdd, sono presenti sul mercato con soluzioni business che arrivano sino a 12 TB. A livello consumer, invece, i tagli più generosi raggiungono i 10 TB e i vendor propongono modelli adatti a ogni utilizzo: dal desktop alla videosorveglianza, passando per l’archiviazione esterna tramite sistemi Nas. Ogni tipologia di disco presenta ovviamente caratteristiche differenti, che lo rendono adatto ai vari ambienti. Insomma, non resta che sbizzarrirsi.

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SYNOLOGY DS1517+ Un Nas a cinque vani alimentato da un processore a quattro core, con motore di crittografia hardware Aes-Ni. Fornito di porte Lan quad 1GbE, può essere installato con una scheda di interfaccia di rete (Nic) da 10GbE o una scheda adattatore Ssd dual M.2, migliorando le velocità di rete o potenziando le prestazioni con cache Ssd.

SANDISK CONNECT WIRELESS STICK Nella nuova versione da 256 GB pensata appositamente per i prodotti Apple, la chiavetta offre funzionalità di streaming Wifi video e audio senza disporre di router o collegamento Internet aggiuntivi. Quando non si vuole perdere tempo a stabilire una connessione wireless è sempre possibile ricorrere al connettore Usb 2.0 integrato, che esce dal corpo dello Stick con uno slider.

WD MY PASSPORT SSD

QNAP TS-1685 Sedici vani, di cui 12 dedicati a dischi rigidi da 3,5 pollici e quattro per drive flash da 2,5 pollici, oltre a sei slot Ssd M.2 Sata III. Il Nas di Qnap è un prodotto business con processori Intel Xeon D, tre slot Pcie, unità a stato solido Pcie Nvme, schede grafiche e schede di espansione Usb 3.1. Il set di specifiche si completa con 128 GB massimi di Ram Ddr4. La velocità di lettura dichiarata è di 2.339 MB/s.

Prima soluzione portatile a stato solido mai realizzata da Western Digital. Il My Passport Ssd è un prodotto sottile e leggero, dotato di interfaccia Usb Type-C Gen 2, velocità di lettura massima teorica di 515 MB/s e crittografia hardware a 256 bit. Nella confezione è presente anche un adattatore Usb-A per poter collegare il drive anche alle porte di vecchia generazione. Disponibile nelle versioni da 256 GB, 512 GB e 1 TB. Si parte da un prezzo di 100 dollari.

LACIE 2BIG DOCK THUNDERBOLT 3 Lacie strizza l’occhio agli utenti Mac con questo massiccio hub che può contenere fino a due dischi fissi da 3,5 pollici e che integra una doppia porta Usb-C Thunderbolt 3 (retrocompatibile), una Usb 3.1, slot per microSd, carte Compact Flash e un ingresso Displayport per

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collegare schermi con risoluzione 4K. Il dock supporta capacità fino a 20 TB ed è popolato da dischi Seagate Ironwolf Pro di classe enterprise. Secondo dati forniti da Lacie la soluzione garantisce velocità di trasferimento fino a 440 MB/s.


Più possibilità con la nuova linea di telecamere Mx6. Più fotogrammi, in ogni condizione di luce, con ogni Standard.

Più intelligenza a disposizione. Il nuovo sistema di telecamere da 6 MP Mx6 di MOBOTIX offre maggiori prestazioni. Grazie a un frame rate fino a 2 volte più elevato, rileva in modo ancora più preciso i movimenti rapidi e fornisce immagini eccellenti - simultaneamente nei formati MxPEG, MJPEG e per la prima volta anche con il nuovo standard di settore H.264. L’innovativa linea di telecamere Mx6 è dotata di maggiore velocità, flessibilità e potenza e offre nuove possibilità di applicazione e integrazione per tutte le esigenze.

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