Technopolis 31

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NUMERO 31 | DICEMBRE 2017

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

INNOVAZIONE SOSTENIBILE Giampaolo Tacchini, responsabile infrastrutture Ict e sicurezza di Edison, racconta come la missione dell'efficienza energetica faccia leva su tecnologie all'avanguardia. A cominciare dai Pc. CARRIERE HI-TECH

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Intelligenza artificiale e robotica sono un rischio per l'occupazione o stanno creando nuove opportunità?

TURISMO DIGITALE

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Connessioni WiFi in albergo, analytics, assistenti virtuali e applicazioni mobili: il settore dei viaggi è in rapida evoluzione.

FOCUS STORAGE

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Internet delle cose e cloud stanno cambiando il panorama delle soluzioni per l'archiviazione dei dati.


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SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 31 - DICEMBRE 2017 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Piero Macrì, Sergio Patano, Claudia Rossi. Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Martina Santimone

4 STORIE DI COPERTINA

L’innovazione è sostenibile

9 IN EVIDENZA

Dalla manovra allo Spid: la macchina digitale sta partendo?

Gli informatici vanno sempre di moda

La tecnologia saluta lo sportello

Il software per le Pmi? Basta un euro al giorno

Presente e futuro dell’Internet of Things

16 SCENARI

Le tecnologie alleate delle risorse umane

Cambiare è impossibile senza competenze

La parte della nuvola che piace alle imprese

Industria 4.0 vista dalle aziende dell’elettronica

26 TECNOLOGIE

Il turismo è digitale, ma il Web non basta più

Dove vai, se il WiFi non ce l’hai?

31 FOCUS STORAGE

Attenti, è l’ora degli zettabyte

Più spazio per l’Internet delle cose

Dati nella nuvola, fra pubblico e privato

39 ECCELLENZE.IT Equitalia Giustizia - Avaya Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it

Stampa: Elcograf S.p.A. - Verona

Fabbrica digitale, il piano funziona. A metà

Mediaset - Huawei Sorgenia - Accenture

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© Copyright 2017 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Fujitsu

L’ecosistema cresce, le ombre rimangono

48 VETRINA HI-TECH Prove di intelligenza artificiale mobile


Edison STORIA DI COPERTINA | Perpiciatis

L’INNOVAZIONE È SOSTENIBILE Per migliorare l'efficienza energetica sono necessari requisiti di affidabilità e soluzioni tecnologiche all’avanguardia. Iniziando dai computer portatili in uso ai dipendenti, dai tecnici sul campo ai top manager.

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na delle principali società di energia attive in Italia ed Europa, tra i maggiori operatori energetici del nostro Paese. Una presenza sul mercato che spazia dall’approvvigionamento alla produzione e vendita di elettricità e gas. Edison è un’eccellenza dell’industria italiana con oltre 130 anni di storia alle spalle, una realtà che ha vissuto passaggi storici (vedi la fusione con Montecatini, il maggiore gruppo chimico italiano, che diede vita nel 1969 alla Montedison) mantenendo però inalterata nel tempo la propria identità. Anche dopo il 2012, anno in cui è passata sotto bandiera francese con l’acquisizione operata dal gruppo Edf (che detiene attualmente il 99,48% del capitale). La missione dell’azienda oggi è più che mai quella di scommettere sulla sostenibilità come elemento integrato nel business e come motore per la creazione di valore a lungo termine. Gli obiettivi di redditività e crescita si sposano, infatti, con logiche di processo i cui tratti distintivi sono l’efficienza energetica e operativa, l’affidabilità e la tutela dell’ambiente. Caratteristiche sulle quali, insieme all’innovazione e alla ricerca, Edison fa leva per portare sul mercato soluzioni che soddisfino le mutate esigenze dei consumatori e ricalchino i nuovi modelli introdotti dalla rivoluzione digitale. A cominciare dalla possibilità di condividere in tempo re4

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ale quantità enormi di informazioni. “L’affidabilità nella fornitura dei servizi e nella gestione del cliente sono per noi un must, a tutti i livelli”, spiega Giampaolo Tacchini, responsabile infrastrutture Ict e sicurezza di Edison. “Il personal computer è un mezzo di delivery chiave, che è in dotazione agli addetti sul campo, a cominciare dai tecnici che lavorano in modalità 24x7 nelle centrali operative, così come a tutto il management. La componente efficienza è per noi fondamentale e per questo ci affidiamo a soluzioni che rispecchiano in modo coerente i cardini di una strategia che punta tutto sul fattore green”. Per i computer la scelta di Edison è caduta in passato su Ibm, mentre da anni premia Lenovo. Una fedeltà significativa, che oggi trova espressione in un parco installato di circa 2.500 macchine esteso a praticamente tutti i dipendenti ed equamente ripartito fra ultrabook ThinkPad (serie X) e desktop “ultra small factor” (ThinkStation P320 Tiny e ThinkCentre M710q Tiny) a basso consumo. La scelta di preferire ad altri dispositivi dei veri e propri Pc portatili nasce, sottolinea Tacchini, “dall’esigenza di gestire in mobilità applicazioni realmente mission critical, relative alla distribuzione dell’energia, e da quella di contenere ai minimi termini i costi di gestione dell’hardware. Nei ThinkPad troviamo da sempre l’affidabilità e la robustez-


FRA RINNOVABILI E STARTUP Offrire alle famiglie e alle imprese energia sempre più sostenibile. Questo il motto che accompagna Edison nel settore delle rinnovabili, attività che ha preso forma con le prime centrali idroelettriche a fine Ottocento e che si estende oggi al campo dell’eolico, in cui l’azienda milanese punta a diventare il primo operatore italiano. Non meno rilevante è l’impegno nel comparto termoelettrico, in cui operano 18 centrali, quasi tutte dislocate sul territorio italiano. Un vanto di Edison nella generazione di energia elettrica sono inoltre gli investimenti effettuati in nuovi impianti sostenibili: la società è stata la prima, nel 1992, a introdurre in Italia il ciclo combinato alimentato a gas naturale, la tecnologia termoelettrica attualmente più efficiente e rispettosa dell’ambiente. Se uno dei “gioielli” attuali di Edison è il centro di Trofarello, nei dintorni di Torino, dedicato dal 1993 a progetti di ricerca nei settori del gas e dell’energia elettrica, il futuro della compagnia punta sulle startup. Il premio Edison Pulse, oggi alla sua quarta edizione, è nato nel 2013. Ha visto la partecipazione di oltre 1.700 iscritti tra startup, organizzazioni no profit, centri di ricerca e studenti, e ha finanziato complessivamente i vincitori con 900mila euro, affiancandoli con una specifica attività di consulenza.

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STORIA DI COPERTINA | Edison

PRODURRE RISPETTANDO L’AMBIENTE Ridurre le emissioni di carbonio del 35% entro il 2017 e risparmiare nel 2018 qualcosa come 5.900 tonnellate di emissioni di CO2: è l’obiettivo che si è posta Lenovo annunciando, lo scorso febbraio, un nuovo processo di produzione dei Pc basato su saldature a bassa temperatura (Low Temperature Solder, Lts). Fin dall’abbandono dell’uso del piombo a favore dello stagno, più di dieci anni fa, l’industria elettronica è sempre stata alla ricerca di una soluzione che potesse limitare il calore, i consumi e le emissioni di carbonio, riducendo nel contempo lo stress cui sono sottoposti i componenti. Con il sistema Lts, Lenovo ha introdotto nelle fasi di produzione un cambiamento radicale, estensibile senza costi aggiuntivi e in modo universale a tutta la manifattura di elettronica che coinvolge circuiti stampati.

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Il calore di saldatura viene applicato oggi a 180 gradi Celsius, con una riduzione di ben 70 gradi rispetto alla tecnica precedente. Si tratta di un salto in avanti tecnologico rilevante, che nasce dall’aver testato migliaia di combinazioni di materiale della pasta saldante e delle temperature di saldatura. I primi modelli interessati da questa innovazione sono stati i ThinkPad E e la quinta generazione della famiglia X1 Carbon, mentre entro la fine dell’anno prossimo Lenovo punta ad avere 33 linee di montaggio superficiale interessate da tale processo. I primi risultati ottenuti, oltre al risparmio energetico, sono confortanti: la deformazione dei circuiti stampati per stress da calore si è quasi dimezzata e si è ridotto sostanzialmente anche il numero di parti difettose per milione riscontrate durante la produzione.

za necessarie a soddisfare la domanda dell’utenza tecnica. Ma anche la continuità nel design e nell’ergonomia, doti che favoriscono la produttività del management e che si affiancano alla possibilità di utilizzare una penna digitale per esigenze di certificazione documentale”. Operare in condizioni estreme significa, per esempio, potersi affidare a portatili in fibra di carbonio, resistenti e molto leggeri, in grado di assorbire fino a 60 millilitri di liquidi grazie a un sistema di drenaggio nascosto dietro alla tastiera e di esibire conformità a specifiche militari per la resistenza a temperature, pressione, polvere, umidità e vibrazioni. La sicurezza dei dati, infine, per Edison è dogma: “Tutti i ThinkPad in uso sono cifrati, certificati all’ultima versione dello standard Tpm (Trusted Platform Module, ndr) e dotati di un chipset che raccoglie su server remoti i dati biometrici sugli accessi al computer effettuati tramite impronte digitali”. Il tutto per evitare furti di identità nel caso il notebook venga smarrito o rubato. Gianni Rusconi


THINKPAD, IL PORTATILE “PRO” CHE HA FATTO EPOCA Venticinque anni fa Ibm lanciava il primo esemplare della famiglia di computer portatili utilizzata da manager di aziende di tutti i settori. Da allora è rimasto un esempio di innovazione.

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ttobre 1992. Parlando di personal computer, un’era geologica fa. A Las Vegas andava in scena il Comdex Fall: fu l’occasione per il debutto ufficiale del primo ThinkPad di Ibm, il modello 700C. Si chiamava così avendo mutuato la scritta riportata sui taccuini dei dipendenti di Big Blue, “think”, termine spesso utilizzato dal presidente della compagnia, Thomas J. Watson senior, per motivare i propri collaboratori. L’ambizione del ThinkPad era quella di diventare la prima scelta per amministratori delegati e manager. E così è stato. Dei 130 milioni di ThinkPad venduti complessivamente, qualcuno ha accompagnato esploratori negli angoli più remoti della Terra, altri hanno viaggiato con gli astronauti in decine di missioni nello spazio. La vera storia, però, questo computer l’ha fatta nelle aziende e nei più disparati ambiti di applicazione in cui ha prestato e presta opera, dalla sanità alla finanza, passando per la moda e l’industria. Nel 2004 il marchio ThinkPad è passato di mano in seguito all’acquisizione della divisione Pc di Ibm da

parte di Lenovo (un’operazione da 1,25 miliardi di dollari) e i modelli che ne hanno segnato via via l’evoluzione hanno cambiato pelle, cuore e cervello. L’intelligenza, la capacità di calcolo e di memoria, le funzionalità e gli strumenti di sicurezza a bordo dei ThinkPad: tutte queste variabili sono migliorate esponenzialmente. Basti pensare che a pilotare le operazioni del primo esemplare c’era un processore da soli 25 MHz, mentre oggi i chip in dotazione ai modelli di ultima generazione si spingono fino a 2,8 Ghz, con una potenza 112 volte superiore. Ciò che non è cambiato troppo è il design, rimasto coerente con l’idea originaria e immediatamente riconoscibile, anche nell’ultimo nato della famiglia X1 Carbon, l’attuale top di gamma, 3,5 volte più sottile e tre volte più leggero del primo 700C. Il segno distintivo però è ancora lì, in mezzo alla tastiera: il Trackpoint rosso magenta, così realizzato per fungere da interruttore di emergenza per lo spegnimento. “La riconoscibilità del design, le prestazioni e l’affidabilità sono gli elementi di continuità dei ThinkPad rispetto al passato”, dice convinto Emanuele Baldi, amministratore delegato e general manager per l’Italia di Lenovo, “e le caratteristiche che lo proiettano

in un futuro in cui il Pc portatile, soprattutto nel formato convertibile due-in-uno, rappresenterà ancora una prima scelta dell’utente professionale”. Gli smartphone e i tablet? Nessun dubbio in merito: “Non costituiscono delle alternative al notebook, bensì dei complementi”. Per celebrare questa ricorrenza, Lenovo ha estratto dal cilindro un ThinkPad speciale, l’Anniversary Edition 25, un modello in edizione limitata che rivisita in chiave moderna il concept originale con alcune caratteristiche rétro divenute ormai iconiche, come la tastiera retroilluminata a sette file di tasti e i pulsanti dedicati alla regolazione del volume. Il prossimo appuntamento è per il 50esimo compleanno, che verrà celebrato domenica 5 ottobre 2042. In Lenovo sono sicuri di poter continuare ad alimentare il prestigio dei ThinkPad, seguendo quella che è ancora oggi l’unica strada possibile: innovare. G.R.

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IN EVIDENZA

l’analisi DALLA MANOVRA ALLO SPID: LA MACCHINA DIGITALE STA VERAMENTE PARTENDO? Il nuovo modello di Italia passa, inevitabilmente, dal digitale. Assunto conosciuto e più volte dibattuto, che ha trovato ulteriore conferma nei dati resi noti in un recente rapporto (“Digital Italy 2017”) preparato da The Innovation Group (Tig), secondo cui il mercato dell’Information e communication technology vale nel 2017 oltre 55 miliardi di euro, il 2,4% in più rispetto all’anno scorso. Buone le indicazioni emerse relativamente all’adozione di tecnologie più di “frontiera” (come Big Data, Internet of Things e soluzioni di business analytics), dove si nota una maggiore consapevolezza, rispetto al passato, sui temi della trasformazione digitale. “Occorre sviluppare il prima possibile un piano condiviso fra tutti gli attori economici, sociali e tecnologici, che non debba necessariamente tendere a riproporre ricette e rimedi ripresi da altri Paesi e che risponda a un modello di innovazione orizzontale rispetto alle esigenze di imprese, cittadini e Pubblica Amministrazione”, ha detto Roberto Masiero, presidente di Tig, commentando i risultati del rapporto. Un’analisi condivisibile, ma che lascia scoperti, consapevolmente, i punti deboli del nostro ecosistema, afflitto da diversi e noti limiti (infrastrutturali, culturali e finanziari) nel processo di attuazione di un’Italia digitale. Che la strada da compiere sia ancora lunga, del resto, lo suggerisce anche l’Ocse, collocando il Belpaese nella posizione di chi rincorre pur avendo messo in campo alcune best practice importanti, come il piano Industria

Diego Piacentini

La spesa in tecnologie Ict raggiungerà quest’anno quota 55 miliardi di euro, con una crescita del 2,4%. L’Ocse ci ricorda però che la "digital economy" italiana arranca. Ma il Commissario straordinario Diego Piacentini è fiducioso. 4.0. Nella diffusione della banda larga e del cloud computing (a cui ricorre il 20% delle aziende italiane, due punti percentuali in meno rispetto alla media mondiale) siamo però indietro e lo stesso vale, in generale, per l’utilizzo di Internet da parte della popolazione. C’è quindi bisogno di ulteriori stimoli a innovare, stimoli validi per tutti e che devono essere resi sistemici rispetto agli

incentivi fiscali per le imprese manifatturiere che investono in tecnologie per l’ammodernamento delle fabbriche. La Legge di Bilancio 2018 qualcosa promette per rendere più veloce il processo di digitalizzazione: dal credito d’imposta al 40% per la formazione dei dipendenti su temi tecnologici (per cui sono stati stanziati 250milioni di euro) all’obbligo della fattura elettronica tra privati in ambito B2B a partire dal 2019. Non si parla al momento di “Web tax”, cioè della tassa sui giganti di Internet, che sarà probabilmente inserita con un emendamento parlamentare, ma in ballo ci sono le risorse che deriveranno dall’asta sulle frequenze televisive destinate al 5G (entro il 30 settembre 2018 gli operatori telco sono chiamati a versare i primi 1,25 miliardi di euro). In questo scenario in evoluzione va registrato l’ottimismo del Commissario straordinario del Governo, Diego Piacentini, che ha promesso l’identità digitale, lo Spid, per l’80% degli italiani entro i prossimi cinque anni. A oggi è stato rilasciato a circa 1,7 milioni di persone, ma questo non basta: secondo il manager (in aspettativa non retribuita) di Amazon, Spid dovrà diventare un crocevia fondamentale per facilitare ai cittadini l’uso dei servizi innovativi della Pa, sistemi di pagamento in testa. “La macchina sta partendo”, ha detto Piacentini, ammettendo però che ci vorranno anni per cambiare gli ingranaaggi di una macchina tanto complessa e viziata da troppa burocrazia come quella dello Stato italiano. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

GLI INFORMATICI VANNO SEMPRE DI MODA Il 16% circa delle inserzioni di lavoro pubblicate su Infojobs nel primo semestre di quest'anno riguardavano professioni Ict, tecniche o digitali. Più di un'offerta su due proviene dalla Lombardia.

Studiare informatica, ingegneria delle telecomunicazioni, ma anche marketing o comunicazione, purché in ottica “digitale”: ecco quel che serve per non restare senza lavoro, anche in tempi di crisi occupazionale. Da Infojobs, portale di inserzioni e ricerca lavoro oggi appartenente al gruppo editoriale Schibsted, giunge una nuova fotografia dell’attuale scenario italiano, dopo quella presentata mesi fa da Jobrapido. Secondo l’Osservatorio InfoJobs sul Mercato del Lavoro in Italia, ben il 27% degli annunci pubblicati sulla piattaforma nel primo trimestre di quest’anno riguardava ruoli di consulenza manageriale (una categoria piuttosto ampia ed eterogenea), mentre il 16,2% delle inserzioni aveva per oggetto professioni relative all’Information & communication technology. Anche questa è un’etichetta eterogenea, non strettamente riservata alle profes-

sioni tecniche e tecnlogiche: comprende innanzitutto (per il 70,8% delle proposte di lavoro di questa categoria) offerte rivolte a informatici, professionisti It ed esperti di telecomunicazioni, ma secondariamente anche ad addetti ad amminstrazione e contabilità (8,1%), esperti di arti grafiche e design (3,7%), personale di marketing/comunicazione (3,6%) e venditori (2,6%). “Il settore legato alle professioni dell’innovazione digitale continua ad essere fra i più richiesti”, ha commentato Melany Libraro, Ceo di Schibsted Italy, “a ulteriore conferma della necessità di profili in grado di apportare valore aggiunto e permettere alle aziende di emergere in un panorama competitivo sempre più affollato e sfidante”. Confermata, rispetto ai monitoraggi degli scorsi anni, è anche la forte concentrazione geografica degli annunci

di lavoro relativi alle professioni digitali: più di metà delle posizioni aperte, il 57%, riguardano aziende lombarde. Seguono, nell’elenco delle Regioni più attive nel recruiting in ambito Ict, il Lazio (17,3%), il Piemonte (6,1%), il Veneto (5,5%) e l’Emilia Romagna (3,8%). Guardando invece non alle offerte di lavoro ma ai curricula pubblicati, ci si può fare un’idea di chi sia il “candidato tipo” del settore Ict: si tratta quasi sempre di persone in possesso di una laurea (nel 44% degli annunci) o di un diploma di maturità (43,8%), e che possono vantare un’esperienza di lavoro pregressa di almeno tre anni (solo nel 30% dei casi non viene raggiunta o superata tale soglia). Il 42,8% di coloro che cercano lavoro in quest’ambito ha fra i 36 e i 45 anni, il 36,2% appartiene alla fascia dei 26-35enni e solo il 14,2% ha tra i 46 e i 55 anni di età. V.B.

L’INNOVAZIONE VA A LAS VEGAS

A TUTTO FINTECH

Las Vegas: la destinazione delle startup italiane che ambiscono a sfondare nel mercato mondiale. Non c’è miglior vetrina del Consumer Electronics Show (l’annuale fiera ospitata dalla capitale del Nevada) per le sessanta giovani imprese che andranno a comporre la delegazione tricolore figlia di un’iniziativa dell’incubatore

A tre anni dalla nascita, la startup bergamasca WeAreStarting ha vinto il contest “Ing Challenge” promosso da Ing Italia e H-Farm per premiare la migliore idea imprenditoriale in campo Fintech. WeAreStarting è stata premiata per il suo (omonimo) portale di equity crowdfunding, che mette in contatto professionisti in cerca di supporto e potenziali investitori.

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triestino Tilt, di UniCredit StartLab, Italia Startup, e-Novia e Industrio. Il progetto ha anche il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico e si avvarrà del supporto dell’Istituto del Commercio Estero (Ice). Una vera e propria “missione” ufficiale, quindi, che per la prima volta ritaglierà al Ces uno spazio tutto italiano.


PARTE LA SCOMMESSA ITALIANA DEGLI HOLOLENS Iveco Bus, Volvo, Ford, Wwf, Widiba e Save The Children sono solo i più illustri fra i clienti “early adopter” dei visori Hololens. Ma la lista è sufficiente a dimostrare come la realtà aumentata sia un affare serio, che scavalca i

confini dei videogiochi e delle esperienze ludiche: si presta, per esempio, a rendere più efficiente e facile il lavoro alle linee di produzione, nei magazzini, e nelle attività di manutenzione degli impianti. Da inizio dicembre i visori

di Microsoft sono sbarcati in Italia, in due versioni: la Development Edition (3.300 euro per l’hardware e il software) e la Commercial Suite (5.500 euro circa, comprensiva di funzionalità di sicurezza e gestione di garanzia estesa).

LA VIRTUALIZZAZIONE SPOSA IL “MULTI-CLOUD” Undicimila persone hanno percorso le aree espositive dell’evento Vmworld Europe 2017, tenutosi a Barcellona, e hanno ascoltato dalla viva voce di Pat Gelsinger, Ceo della multinazionale, la visione e le strategie di domani. “Il futuro sarà multi-cloud”, ha dichiarato Gelsinger, archiviando gli ormai obsoleti tentativi di classificazione delle varie forme di computing sulla nuvola, “quindi le aziende si muoveranno indifferentemente sul cloud pubblico e privato, in un mondo It che sarà guidato dal software”. Visioni a parte, il business attuale di Vmware è composto solo per il 9% da contratti di tipo SaaS (Software as-a-Service), ma la crescita di questa voce è ovviamente molto più rapida rispetto alla licenza software tradizionale ed è destinata ad accelerare ulteriormente anche in virtù della strategia della multinazionale. Una strategia che prevede tre diverse linee di azione: rendere più facile la realizzazione di architetture di cloud privato, stringere partnership importanti con i fornitori di cloud pubblico (Amazon Aws e Ibm in primis) e creare una rete di cloud provider. Per questo a Barcellona si è insistito molto sulle novità presentate da Vmware in agosto, e in particolare su Vmware Workspace One, una piattaforma unificata realizzata da AirWatch per il management e la si-

curezza di tutti i device, e soprattutto sulle tecnologie Vmware Hcx, che consentono la portabilità delle applicazioni su qualsiasi tipo di “nuvola”. Offerte tramite i Vmware Cloud Provider e inizialmente erogate da Ibm e Ovh, le tecnologie Hcx consentono ai clienti di modernizzare i data center con le tecnologie software-defined di Vmware pur mantenendo inalterate la business continuity, la stabilità dell’applicazione, le architetture di rete e le prestazioni. Lenovo sotto i riflettori

Tra i tanti partner di Vmworld, la presenza di Lenovo testimoniava anche un forte messaggio di indipendenza di Vmware (sempre per la verità dichiarata apertamente da Michael Dell) dall’azionista di maggioranza, vale a dire Dell Technologies. “Tra le soluzioni più centrate con la strategia Vmware”, ha dichiarato Wilfredo Sotolongo, vice presidente Enterprise Systems Sales di Lenovo Emea, “c’è la

Wilfredo Sotolongo

prima appliance progettata e realizzata interamente da Lenovo: la serie Vx di ThinkAgile alimentata da Vmware vSan”. Annunciata lo scorso giugno, ThinkAgile Vx è un’infrastruttura iperconvergente e preconfigurata che strizza l’occhiolino alle aziende “fast movers”, cié più innovative. “Contiamo di acquisire un’importante quota di mercato”, ha detto Sotolongo, “anche in virtù del fatto che siamo un vendor indipendente e che, contrariamente a molti concorrenti, non abbiamo uno stack software da proteggere”. E.M.

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IN EVIDENZA

Le banche oggi sono impegnate nel processo di trasformazione digitale, per ridurre i costi e per riportare il cliente al centro della propria offerta.

LA TECNOLOGIA SALUTA LO SPORTELLO Meno rapporti umani, più tecnologia: entro i prossimi dieci anni il 56% delle banche italiane prevede di ridurre al minimo l’interazione tra persone nei servizi dedicati al retail, perché i bisogni dei clienti continuano a evolversi rapidamente. Gli istituti di credito temono la competizione e quindi, per non essere superati dalle startup del Fintech e dai grandi colossi del Web, stanno cercando di recuperare terreno sui servizi digitali personalizzati e innovativi. Lo sottolinea una ricerca commissionata da Avanade a Vanson Bourne, secondo cui il processo di trasformazione sta investendo in modo pesante oltre due istituti su tre. Ma per il 92% degli intervistati (280 decisori aziendali dell’area It e digital di realtà bancarie retail e commerciali) l’interazione fra organizzazione e clientela

dev’essere al centro del cambiamento. In questo modo sarà possibile migliorare la personalizzazione dei servizi (ne è convinto l’80%), offrire un’esperienza univoca e multicanale (48%) e in qualche caso chiudere alcune o tutte le filiali, puntando con convinzione sul digitale (12%). La banca del futuro, secondo un’altra indagine condotta da SourceMedia Research per conto di Vmware, è quindi pronta ad abbracciare tecnologie come applicazioni mobili, Api/open banking, intelligenza artificiale, realtà aumentata, autenticazioni biometriche e blockchain. In particolare, il 67% delle aziende coinvolte sta realizzando soluzioni basate sulla catena di blocchi e sui registri distribuiti crittografati: una tecnologia che permette di verificare l’autenticità di ogni transazione, mantenendone una copia immu-

tabile lungo tutta la catena. Una tecnologia che, fra le altre cose, permetterà alle banche di semplificare l’elaborazione back-end e ridurre drasticamente i costi. Ma il percorso di trasformazione non è sgombro da ostacoli. Le sfide che attendono gli istituti di credito sono principalmente due: l’integrazione delle nuove soluzioni nelle piattaforme esistenti e l’aggiornamento dei sistemi legacy. Questi ultimi, per il 46% degli intervistati, hanno ancora un notevole impatto sulla capacità delle organizzazioni di lanciare nuovi prodotti. Per affrontare il problema, circa la metà delle persone che punta il dito contro la vecchia infrastruttura dichiara che le banche per cui lavorano sono attualmente impegnate in progetti di modernizzazione del data center e di cloud computing. A.A.

TANTI DATI, TANTA CONFUSIONE Le aziende italiane utilizzano in media 25 sistemi diversi per la gestione e l’archiviazione dei dati dei clienti. Il 17%, però, supera i quaranta. Inoltre, quasi il 57% delle imprese condivide queste informazioni con una media di 36 altre realtà. Una dispersione che non facilita il lavoro di chi deve gestire la sicurezza e la riservatezza dei dati. Il compito è

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delicato, soprattutto in vista dell’introduzione del regolamento europeo Gdpr sul trattamento delle informazioni: le organizzazioni che non si adegueranno rischiano multe pesanti. E le sfide da affrontare, come sottolinea un sondaggio commissionato da Citrix a OnePoll su 500 addetti It di imprese italiane, sono numerose. Le più significative sono tre:

l’enorme afflusso giornaliero di dati personali, la loro dispersione in diversi sistemi di archiviazione e l’incertezza sulla loro proprietà. Quest’ultimo ambito genera ancora molta incertezza: la metà del campione è convinta che le informazioni siano di proprietà dell’azienda, mentre il 36% pensa che siano invece dei clienti.


COMPAGNI DI VIAGGIO NELLA NUVOLA Fabio Spoletini

Dall’intelligenza artificiale al cloud, passando per l’open source. Sono queste le tre direttrici su cui si sta muovendo Oracle, che quest’anno ha svelato diverse soluzioni pensate per portare la tecnologia smart all’interno delle aziende. Su tutte svetta Autonomous Database: grazie al machine learning può garantire Sla del 99,995% in termini di disponibilità. Dai servizi intelligenti si passa all’open source che, come ricorda Fabio Spoletini, country leader e vice president technology sales di Oracle Italia, è probabilmente il tema di maggiore impatto sul busi-

ness. “Supportiamo le community per fare sì che questi strumenti siano sempre più affidabili e sicuri per l’enterprise”. Ultimo ma non ultimo il cloud, che Oracle ha ormai sposato in tutti i suoi aspetti, mettendo a disposizione dei clienti un team di consulenti che accompagnano le aziende nel viaggio verso la nuvola. È centrale in questo ambito l’offerta Cloud at Customer, che prevede l’impiego di macchine ingegnerizzate (date in uso con una formula di sottoscrizione) per erogare servizi cloud dall’interno del perimetro dei firewall.

IL SOFTWARE PER LE PMI? BASTA UN EURO AL GIORNO Zoho compete con i grandi vendor con l’obiettivo di diventare il punto di riferimento per le medie e piccole organizzazioni. Nata nel 1996, Zoho è una realtà da cinquemila dipendenti e da 30 milioni di utenti. Una software house che non si è lasciata stregare dalle sirene della Borsa – è infatti privata e profittevole dal primo giorno della sua costituzione – e ha una particolarità, tra le tante: non investe quasi nulla in marketing ma fa del passaparola, oltre che della ricerca e sviluppo, il proprio motore di crescita. A ottobre ha aperto ufficialmente la sede europea ad Amsterdam (aveva già un ufficio a Londra ma è comunque un’azienda ubiqua, basata sul cloud al 100%) e ha annunciato la disponibilità di Zoho One anche in italiano. “Zoho One è sostanzialmente un sistema operativo per il business”, spiega Sridhar Iyengar, vice presidente di Zoho Corporation,

a capo delle attività europee, “una suite all-in-one che copre tutte le attività di un’impresa e che si può amministrare da un unico e semplice pannello. Zoho One è innovativo anche nel costo: un euro al giorno per ogni dipendente”. Erogato in modalità Software-as-aService (Saas) da otto data center distribuiti nel mondo (due sono in Europa, in Irlanda e Paesi Bassi), Zoho One comprende in un unico prodotto integrato oltre 35 strumenti informatici indispensabili per il business: applicazioni di marketing, Crm e vendita, moduli per la gestione delle Sridhar Iyengar

risorse umane, produttività d’ufficio (ovviamente anche foglio elettronico e word processor), posta elettronica e collaboration. Zoho One è un pacchetto integrato di nuova concezione, ma le singole applicazioni sono già disponibili da tempo. “In Italia Zoho è cresciuta più velocemente rispetto alla media delle altre country europee”, rivela Iyengar, “forse anche per via del tessuto imprenditoriale, formato soprattutto da Pmi, e sicuramente grazie al lavoro dei nostri partner”. Zoho One, in effetti, è indirizzato soprattutto alle piccole e medie imprese (nell’accezione statunitense del termine, quindi sotto il miliardo di dollari di fatturato) e, sia pur acquistabile via Web, può essere integrato nel sistema informativo aziendale (tutte le applicazioni sono in grado di “parlare” con centinaia di programmi di terze parti) attraverso una serie di partner; in Italia quelli autorizzati sono sette. È possibile richiedere una versione di prova gratuita della suite, della durata di trenta giorni. Emilio Mango

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IN EVIDENZA

PRESENTE E FUTURO DELL’IOT

Ray O’Farrel

Sicurezza, analisi dei dati, consulenza alle aziende: tanti i progetti della nuova divisione di Dell Technologies. “Il software è il motore che rende intelligenti e prodotti e i servizi. I dati sono il carburante. E ogni nodo in più della ragnatela delle cose aggiunge intelligenza all’intero sistema”, così esordisce Michael Dell, fondatore e Ceo di Dell Technologies, durante l’evento di presentazione della nuova strategia della multinazionale in ambito Internet delle cose. In un futuro in cui tutti gli oggetti saranno connessi, è la sintesi dell’annuncio, Dell Technologies vuole avere un ruolo di primo piano. Per farlo, oltre a investimenti che hanno già superato il miliardo di dollari, la società ha creato una nuova divisione guidata niente meno che dal Cto di Vmware, Ray O’Farrel. “Come noto”, ha dichiarato O’Farrel, “Iot è costituito da quattro componenti: gli oggetti, l’edge (cioè la periferia: sensori, attuatori, gateway), il core (computer, reti e storage) e il cloud. Edge e core sono fondamentali: nel primo ci vuole soprattutto velocità di rea-

zione, bisogna operare in tempo reale; il secondo è strategico perché lì risiedono le funzionalità di gestione e sicurezza di tutto l’ecosistema”. La divisione Iot di Dell Technologies si occuperà non solo di studiare e concretizzare la futura strategia in ambito Internet delle cose, ma anche di coordinare gli sforzi e le soluzioni attuali dei brand della multinazionale (Dell, Emc, Vmware, Pivotal, Rsa), già oggi impegnata su importanti iniziative: tra queste il progetto Nautilus, un software che può elaborare in tempo reale flussi di dati provenienti dai gateway Iot; e poi il progetto Fire, una piattaforma iperconvergente della famiglia Vmware Pulse, che consente di implementare rapidamente architetture Iot efficienti; il progetto Iris, per estendere la protezione dagli attacchi informatici oltre il livello edge. Naturalmente, a iniziative articolate come questi si affiancano servizi (soprattutto di consulenza) e pro-

dotti (gateway, server) già disponibili sul mercato. “Il primo mercato servito dalla nuova divisione Iot è quello statunitense”, ha dichiarato Howard Elias, presidente di Dell Emc Services, “ma in Europa abbiamo già pronte squadre di data scientist e tecnici che si occuperanno di aiutare le aziende a realizzare i progetti Iot, perché la tecnologia è già disponibile”. “Abbiamo lavorato a questo progetto in silenzio per mesi”, gli ha fatto eco Barbara Robidoux, a capo del marketing di Dell Emc Services, “e ora siamo pronti ad aiutare non solo gli uomini dell’It, ma anche i responsabili delle linee di business, a creare soluzioni Iot innovative e sicure”. E.M.

IMPRESE DIGITALI ITALIANE: POCHE, PICCOLE E GIOVANI Dal commercio elettronico alla fornitura di servizi Internet, dalla vendita di software alla gestione di portali Web, passando per l’analisi dei dati e molto altro ancora: le imprese digitali italiane sono oltre 122mila. Tante? Non proprio, se si pensa che corrispondono solo al 2,3% delle aziende attive nello Stivale. In compenso, sono realtà giovani, dinamiche e capaci di fatturare. Secondo i dati di Unioncamere, alla fine del terzo trimestre di quest’anno si contavano, appunto, 122mila imprese digitali, tremila delle quali nate nel

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2017. Pur con numeri assoluti ancora relativamente piccoli, le realtà che basano sul digitale il proprio core business stanno crescendo quasi quattro volte più della media: sono aumentate numericamente del 2,4% fra gennaio e ottobre, contro una media dello 0,6% registrata in generale per le aziende italiane. Negli ultimi due anni, inoltre, i loro fatturati sono cresciuti a un ritmo doppio rispetto alla media delle imprese tricolore. Va detto, per contro, che si tratta spesso di realtà piccole, le quali contano in media 5,4 dipendenti e beneficiano dei gran-

di margini di crescita degli inizi. Ma al dato può aver contribuito anche la freschezza delle idee (nel 12,5% dei casi a capo della società c’è un under 35 e la percentuale è in aumento). “Oggi nel nostro Paese abbiamo un numero di imprese digitali esiguo, ma è una realtà con un forte potenziale di sviluppo”, ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello. “Le aziende ci dicono di avere un gran bisogno di digitalizzazione e per questo occorre innalzare la cultura e le competenze digitali delle nostre imprese”.


spunti

ANALISI PIÙ FRUTTUOSE

PAGAMENTI PIÙ APERTI

INCUBO RANSOMWARE

Uno dei principali e più importanti trend con i quali il settore bancario oggi deve confrontarsi è come applicare al meglio l’intelligenza artificiale e le analitiche avanzate per ridefinire ogni ambito del business. Questi strumenti aumentano la capacità di trarre profondità dai dati e dai contenuti, filtrando contemporaneamente il “rumore di fondo” rispetto alle informazioni di valore. Queste analitiche consentono alle organizzazioni di sfruttare i dati strutturati e non strutturati nei propri sistemi di Enterprise Information Management (Eim). Algoritmi e modelli cognitivi aiutano a individuare le tendenze e gli schemi e a giungere a conclusioni coerenti. L’analisi dei Big Data sta ormai diventando uno standard per le aziende, ma le soluzioni dotate di analitiche “AIenhanced” permettono di valutare anche il contenuto non strutturato nei sistemi Eim per sbloccare il valore dei cosiddetti “Big Content”: documenti spesso caratterizzati da maggiore contenuto contestuale e maggiori insight preziosi rispetto ai dati strutturati e transazionali. Le organizzazioni ottengono così più visibilità e comprensione su ordini, fatture, dichiarazioni, pagamenti e rimesse, oltre che sulla documentazione legata al portfolio clienti e ai comportamenti dei partner commerciali. Senza dimenticare l’ambito dei pagamenti. Antonio Matera – OpenText

Entro il 13 gennaio 2018 gli Stati dell’Unione Europea dovranno recepire nei propri ordinamenti la direttiva 2015/2366/UE, meglio nota come Psd2. È un regolamento complesso, che rappresenta la risposta comunitaria alla necessità concreta di affrontare una situazione di forte deregulation nel mondo dei pagamenti digitali. Questo significa però introdurre sul mercato nuove dinamiche industriali che portino le aziende verso una prospettiva di maggiore internazionalizzazione, dotandole di un nuovo approccio collaborativo. Una delle principali novità della Psd2 è proprio la regolamentazione di nuovi attori e fornitori di servizi di pagamento. Alle banche tradizionali vengono affiancate le imprese Fintech e i Ttp (Third Party Provider), autorizzati dalla legge a gestire la fase dell’accesso ai dati o all’inizializzazione di pagamenti, attraverso servizi che le banche tradizionali devono mettere a disposizione. La direttiva Psd2 spiana la strada all’adozione di Api gateway o management sicure, pur senza farne riferimento, per consentire agli sviluppatori terzi di costruire applicazioni e servizi intorno alla banca stessa. Emerge quindi sempre più il concetto di open banking, che per gli istituti rappresenta l’opportunità di mantenere e sviluppare la base clienti, con l’inserimento di servizi sviluppati da terze parti personalizzati sui loro bisogni. Andrea Scarpa – Iks, Gruppo Kirey

A livello globale, circa il 49% delle aziende ha sperimentato nel 2016 almeno un cyberattacco ransomware. Esempio recente è WannaCry, che ha avuto impatto in più di 150 Paesi e coinvolto enti governativi, impianti industriali e sistemi di trasporto. Inoltre, da quando la criptovaluta e il bitcoin sono diventati la modalità più comune di pagamento dei riscatti, il rischio di questi attacchi è aumentato. La forza del ransomware sta nel fatto di sfruttare la paura delle persone di perdere file vitali, spingendo a considerare il pagamento come una soluzione rapida e conveniente: nel 2016 più del 40% le vittime ha scelto tale opzione. La continua proliferazione di queste minacce deriva anche da pratiche di sicurezza deboli e dal Byod (Bring Your Own Device). Molte organizzazioni sono inconsapevoli delle vulnerabilità più recenti e dell’importanza di strumenti di gestione delle patch, mentre l’aumento del numero di dipendenti operativi da remoto anche attraverso dispositivi personali contribuisce ad aggravare un scenario in cui più dell’80% delle organizzazioni dichiara di aver adottato un approccio Byod. Le aziende devono garantire che tali dispositivi siano gestiti in modo ottimale e sottoposti ad adeguati controlli di sicurezza con attività di patching tempestive, per tutti i sistemi operativi usati da Pc o da mobile. Gianandrea Daverio – Dimension Data

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SCENARI | Professioni digitali

LE TECNOLOGIE ALLEATE DELLE RISORSE UMANE Uno studio di Capgemini analizza l’impatto dell’intelligenza artificale sulle dinamiche organizzative ed economiche delle aziende. Il dato più interessante? L’effetto positivo sulla creazione di nuove posizioni professionali.

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benefici dell’intelligenza artificiale vanno ben oltre la sfera dell’esperienza di intrattenimento dei consumatori. Lo dice, argomentando la tesi con parecchi dati a supporto, uno studio del Digital Transformation Institute di Capgemini (“Turning AI into concrete value: the successful implementers toolkit”), che ha raccolto la testimonianza di circa un migliaio di imprese e startup in qualche modo già attive su progetti legati all’AI. Tra i manager intervistati, provenienti da nove Paesi (tra cui l’Italia), l’83% segnalato la nascita di nuove posizioni professionali all’interno dell’azienda, smentendo in apparenza i timori di un impatto negativo dell’intelligenza artificiale sull’occupazione. Nello specifico si tratta di ruoli di profilo senior, con i due terzi delle nuove assunzioni registrate a livello manage-

riale o superiore: il 60% degli incarichi sarà riservato in particolare a dirigenti e direttori di dipartimenti, il 18% a coordinatori, il 15% a dipendenti generici e il 7% alla cosiddetta “C-suite”, che comprende Ceo e top manager. Oltre i tre quinti (63%) delle imprese che hanno implementato soluzioni su larga scala affermano, inoltre, che non sono stati fatti tagli di personale. Diminuire lo svolgimento di attività ripetitive e di mansioni amministrative, in modo da poter generare più valore, è il grande beneficio dell’intelligenza artificiale, al pari dei vantaggi correlati al miglioramento della customer experience e quindi del grado di soddisfazione del cliente e della sua fidelizzazione. La stragrande maggioranza di chi l’ha adottata in modo esteso, inoltre, vede questa tecnologia come uno strumento che semplificherà i compiti


più complessi (tesi sostenuta dall’89% degli intervistati) ed è convinto che le macchine intelligenti coesisteranno con la forza lavoro esistente (nell’88% dei casi). Nella corsa verso l’adozione dell’intelligenza artificiale, i settori che si stanno muovendo più rapidamente sono le telecomunicazioni, il mondo retail e quello bancario. Automotive e manifatturiero registrano al contrario, almeno attualmente, il livello più basso di adozione.

Se guardiamo ai singoli Paesi, invece, fa scuola l’India (dove oltre la metà delle società è impegnata in progetti di AI su larga scala), seguita da Australia e, gradita sorpresa, dall’Italia. Nella Penisola le aziende attive in modo organico ed esteso sull’intelligenza artificiale sono il 44% del campione: i manager che le rappresentano sono fra i più convinti sostenitori del fatto che questa tecnologia stia creando nuovi posti di lavoro e non stia mettendo a rischio le posizio-

NUOVI LAVORI OFFRENSI Che cosa faranno, esattamente, gli specialisti dell’intelligenza artificiale all’interno delle imprese? La risposta, con tanto di curiosi neologismi, arriva da una recente indagine di Accenture: si tratta di figure attualmente sconosciute ai più, nella maggior parte dei casi oggi non esistenti, che richiedono abilità e formazione senza precedenti, si legge testualmente nel rapporto. L’automation ethicist, per esempio, risponde al profilo di un esperto che studia l’impatto etico e sociale delle macchine e dei dispositivi intelligenti. Al suo fianco opereranno professionisti specializzati nel valutare l’utilità delle tecnologie, gli AI usefulness strategist, mentre altri, gli empathy trainer, si occuperanno di “educare” all’empatia assistenti virtuali come Siri (di Apple), Google Assistant o Alexa (di Amazon). L’analisi di Accenture raggruppa le nuove professionalità in tre macrosettori, catalogandole rispetto alla funzione svolta. I trainer saranno chiamati a istruire gli algoritmi sul come eseguire i loro compiti, spingendosi oltre la meccanicità delle funzioni di base. Le aziende potrebbero, infatti, aver bisogno di specialisti capaci di far comprende-

re ai “Bot” le sfumature e il significato non letterale delle frasi (prerogativa del meaning trainer) o di insegnare alle macchine a imitare i comportamenti dei dipendenti umani (compito dello smart-machine interaction modeler). Gli explainer avranno la funzione di accorciare le distanze tra sviluppi tecnologici e applicazioni concretamente impiegate dalle aziende: in altre parole, aiuteranno a tradurre le sperimentazioni di intelligenza artificiale in valore aggiunto per le imprese e per i manager. Rientrano in questa categoria gli usefulness strategist, oltre ad altre tipologie di divulgatori in grado di mostrare ai comuni addetti aziendali come funzionano le soluzioni più innovative. I sustainer, infine, rimandano a profili come quello del machine relations manager, deputati a valutare e controllare l’impatto delle tecnologie di AI (per esempio, promuovendo o bocciando gli algoritmi sperimentati in base a precisi indicatori di performance). Altri ruoli potrebbero nascere e altri modificarsi in corso d’opera. E qualcosa, dentro gli staff delle grandi aziende tecnologiche e delle startup attive in questo campo, si osserva già oggi.

ni esistenti (così afferma il 64% degli intervistati italiani). Ha inoltre già avviato in modo proattivo corsi di formazione o aggiornamento per i dipendenti per gestire l’impatto dell’AI ben l’88% delle aziende nostrane, una percentuale che supera la media del 71% rilevata sull’intero campione. Sullo specifico aspetto della formazione e del “reskilling”, solo l’India può vantare percentuali superiori alle nostre. Gianni Rusconi

LE ABILITÀ DEL LEADER 4.0 Accettare l’errore e ridurre la complessità sono le principali caratteristiche che un top manager deve possedere, oggi, per guidare l’innovazione in azienda. Un compito che va ben oltre le competenze tecnologiche e che va inteso come un passaggio obbligatorio per chi non voglia fallire nella missione di affrontare e vincere la sfida del digitale. Gli esperti di Exs, la società di “executive search” di Gi Group (multinazionale italiana specializzata nei servizi dedicati al mercato del lavoro), hanno tracciato l’identikit di un manager chiamato a gestire il cambiamento, definendo alcune caratteristiche distintive che questa figura dovrebbe possedere. L’essere ambasciatori dell’innovazione è una di queste: i leader 4.0 devono diventare il primo testimonial della rivoluzione digitale all’interno della propria impresa, per favorirne l’adozione prima che avvenga nel mercato di competenza. Allo stesso tempo devono essere un “facilitatore generazionale”, che faccia da ponte tra la creatività dei Millennial e la competenza degli addetti senior.

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SCENARI | Professioni digitali

CON LE MACCHINE DIVENTEREMO LAVORATORI DIGITALI. NEL 2030

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l connubio tra uomo e macchina diverrà più profondo e inscindibile. Qualsiasi azienda per sopravvivere dovrà diventare un’organizzazione digitale, abbracciando in modo sistemico realtà virtuale e aumentata, robotica e cloud computing. E questa ondata di innovazione tecnologica si abbatterà in modo esteso anche sulle professioni, richiedendo nuove abilità. La fotografia arriva da uno studio, “The Next Era of Human-Machine Partnerships”, realizzato dall’Institute for the Future (organismo no profit e indipendente statunitense) per conto di Dell Technologies. Dal 2030, si legge nel rapporto, entreremo in una nuova era di collaborazione fra gli esseri umani e i Bot, gli agenti software intelligenti su cui le grandi società tecnologiche mondiali (Google e Facebook in primis) stanno pesantemente investendo per aumentare il livello di personalizzazione dei propri servizi. Nel prossimi decennio – questa la predizione elaborata da un panel di venti professori universitari ed esperti di tecnologia di tutto il mondo – la fiducia degli esseri umani nell’intelligenza artificiale e nelle tecnologie di machine learning è destinata a evolversi in una vera e propria partnership. Il lavoro del domani, estremizzando il concetto, sarà fortemente influenzato dalla tecnologia e basato sul rapporto uomo/macchina.. Secondo lo studio, ed è questo forse il dato più eclatante, l’85% dei lavori del futuro non è stato ancora inventato. La capacità di acquisire competenze nel corso della carriera, inoltre, sarà molto più rilevante rispetto al patrimonio di conoscenze iniziali. Gli ad-

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Una nuova forma collaborazione fra gli esseri umani e i Bot segnerà il futuro delle nuove professioni. Otto su dieci oggi non esistono. detti e i professionisti aziendali saranno chiamati a diventare dei “conduttori digitali”, ad adeguarsi velocemente ai cambiamenti vorticosi del mercato. Al contempo la tecnologia diverrà una sorta di estensione della persona, utile per gestire meglio le attività quotidiane, e renderà tracciabili le capacità e le competenze di ogni lavoratore e manager. Al punto che le aziende potranno selezionare e assumere talenti grazie ad avanzati strumenti di matchmaking “data-driven”, basati cioè su indicazioni residenti nei dati. Trasformarsi o scomparire

L’assai diffusa preoccupazione che le macchine intelligenti e i robot possano prendere il posto degli uomini trova nell’analisi elaborata dall’Institute for the Future l’ennesima smentita. Il lavoro cambierà però profondamente, la logica del posto fisso verrà meno e la professione sarà considerata come una

“serie di compiti”, ciascuno dei quali definito in modo che le aziende possano cercare le figure migliori e più adatte a svolgerlo. Uno scenario che obbliga il management a fare dei passi in avanti: soprattutto perché, per la prima volta nella storia moderna, i leader non sono oggi in grado di prevedere se le loro attività ce la faranno o no a sopravvivere nel tempo. Su circa quattromila dirigenti aziendali intervistati dalla società americana, infatti, poco meno di uno su due teme che la propria azienda diventi obsoleta entro tre/ cinque anni e non ha idea di che cosa sarà di essa in futuro. Per entrare nell’era della partnership uomo-macchina, questo il “consiglio” che emerge dallo studio, ogni impresa deve necessariamente diventare un’impresa digitale, muovendosi velocemente e facendo in modo che le proprie infrastrutture e la propria forza lavoro siano pronte per il cambiamento. G.R.


SCENARI | Professioni digitali

CAMBIARE È IMPOSSIBILE SENZA COMPETENZE Secondo uno studio commissionato da Sap, il problema della mancanza di skill digitali riguarda un'impresa su due. Una soluzione possibile: la collaborazione fra ruoli aziendali.

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olte aziende non hanno ancora definito una strategia con cui dotare i propri dipendenti delle competenze necessarie per una appropriata alfabetizzazione digitale. L’allarme, se tale si piò definire, arriva da uno studio elaborato dalla Technical University of Munich per conto di Sap (“Skills for Digital Transformation”) e condotto su 116 decision maker in area

business e It di organizzazioni attive in 18 Paesi. In assenza di competenze adeguate, questo il punto focale della questione, è impossibile pensare a un cambiamento che abbracci tutte le sfere operative, di processo e di management dell’impresa. Anche in presenza di un’adozione strutturata delle nuove tecnologie. Lo studio evidenzia, in particolare, una tendenza per certi versi sorprendente.

Nell’edizione 2015 della ricerca, i manager che ritenevano i dipendenti della propria azienda privi delle competenze necessarie per una trasformazione digitale di successo erano il 53% del totale. Oggi questa percentuale è aumentata al 64%. Come si spiega questo dato? I motivi sono diversi. Innanzitutto, dicono gli autori del rapporto, la crescente velocità dell’innovazione tecnologica e la maggiore consapevolezza dell’importanza di quest’ultima per il futuro delle imprese. Gli executive, inoltre, potrebbero essere più severi nel giudizio perché hanno sviluppato una migliore comprensione su quali siano le competenze di cui l’azienda ha bisogno e quali le capacità disponibili internamente. Non è un caso, in proposito, che solo il 16% degli intervistati avesse istituito due anni fa un programma dedicato di recruiting o alla formazione, per costruire la base di conoscenza necessaria a plasmare il futuro digitale della propria azienda. Oggi, e questa è la buona notizia, assistiamo a una convergenza di vedute sui requisiti delle competenze digitali richieste. Aumenta, inoltre, la consapevolezza sul fatto che le aziende debbano collaborare con i dipendenti per creare le conoscenze necessarie per una transizione indolore. Resta però il fatto che molte organizzazioni stiano ancora cercando di orientarsi nella trasformazione digitale e non abbiano completato la definizione di un percorso strategico che includa, in modo strutturato, tutte le aree e i livelli aziendali. G.R. 19


SCENARI | It as a Service

LA PARTE DELLA NUVOLA CHE PIACE ALLE IMPRESE Cresce in modo consistente, anche in Italia, la domanda di servizi infrastrutturali. I benefici? Maggiori prestazioni in fatto di velocità e disponibilità dei sistemi.

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offerta di servizi infrastrutturali erogati in cloud (IaaS) ha generato nel 2016 un giro d’affari di 22 miliardi di dollari, pari a un incremento complessivo del 31,4% rispetto all’anno precedente.. Secondo la società di ricerca Gartner, questa componente della nuvola sarà caratterizzata anche per il 2017 da tassi di crescita maggiori rispetto alla parte software (SaaS) e a quella di piattaforma (PaaS). I numeri sono importanti e si 20

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riflettono senz’altro anche in Italia, dove l’Infrastructure-as-a-Service piace sempre più alle aziende. Lo ha confermato anche una recente ricerca commissionata da Oracle a Longitude (“You and IaaS”), che ha sottolineato come il 69% delle imprese pensi che con i servizi infrastrutturali erogati in cloud sia più facile innovare. Il dato, rilevato fra giugno e agosto 2017, è risultato in crescita di 13 punti percentuali rispetto ai primi mesi dell’anno. Un cambiamento significativo e corroborato da un’altra cifra: per il 73% delle organizzazioni della Penisola lo IaaS consente di raggiungere performance operative di alto livello in termini di velocità e disponibilità. Ma la nuvola non è solo agilità e incremento della produttività: da quasi un’azienda su cinque viene vista come un vero e proprio elemento dirompente del mercato, perché libera l’It da compiti ripetitivi e gravosi, dando ai professionisti più tempo per dedicarsi a progetti a valore

aggiunto. Ovviamente non mancano problemi che possono inframmezzare od ostacolare il “viaggio” verso il cloud. Ecco quindi fare capolino l’annosa questione della sicurezza dei dati, citata dal 32% degli intervistati, a cui fanno seguito lo sforamento del budget e la mancanza di competenze nei team It. Complessivamente, comunque, il 54% delle realtà coinvolte da Oracle nell’indagine “You and IaaS” ritiene che la migrazione sulla nuvola sia stata abbastanza semplice, non più complicata di quanto possa essere un comune cambiamento di server. Certo, a posteriori le imprese modificherebbero qualche elemento del loro viaggio, fra cui l’utilizzo di strumenti automatici e una collaborazione maggiore con partner e advisor tecnologici. Ma la sostanza non cambia: il cloud, in particolare con lo IaaS, rappresenta ormai un’alternativa che non si può evitare di prendere in considerazione. A.A.


I NUOVI ALLEATI DEI CIO: CLOUD, CONTAINER E MICROSERVIZI

S

empre più aziende trovano nell’utilizzo del cloud un alleato naturale per lo sviluppo di nuove applicazioni e servizi. Ma per riuscire nell’impresa è indispensabile individuare le componenti infrastrutturali che possano concorrere alla fluidità operativa dell’ecosistema “as-a-service”. Requisiti che possono essere oggi soddisfatti dalle soluzioni nate dall’ambiente open source. È quanto emerge dalle esperienze di Vodafone Automotive e di Sogei, realtà fra loro molto diverse ma che evidenziano un’insolita convergenza. Quali i progetti? Il primo riguarda lo sviluppo ad hoc di servizi per alcune della maggiori case automobilistiche, compagnie assicurative e gestione di flotte, il secondo vede come interlocutore il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Per Antonio Carlini, head of architecture & process optimization di Vodafone Automotive, e per Luca Nicoletti, responsabile sviluppo architetturale in ambito Divisione Economia di Sogei, esiste un obiettivo comune: mettere a punto un sistema per l’automazione di tutto il ciclo di vita del software – dall’ambiente di sviluppo e produzione a quello di test e integrazione – per acquisire un più alto livello di servizio e, contemporaneamente, ridurre i costi di realizzazione dei progetti. Entrambe le realtà hanno scelto le soluzioni di Red Hat, soluzioni di infrastruttura, di piattaforma e di orchestrazione delle risorse cloud. I tre tasselli di questo puzzle architetturale sono OpenStack (per la gestione infrastrutturale), OpenShift (gestione della piattafoma) e CloudForms (orchestrazione e integrazione). “Stiamo

portando su OpenShift l’intera catena del processo di sviluppo, test, produzione e integrazione”, spiega Antonio Carlini di Vodafone Automotive. Il progetto, iniziato da alcuni mesi, vede già in produzione alcune componenti relative alla gestione dei contratti e alla gestione del field, mentre prossimamente sarà realizzata l’orchestrazione complessiva dello stack tecnologico. “Red Hat ha reso possibile passare da un ambiente virtualizzato tradizionale a un ambiente a elevata automazione”, sottolinea Carlini. “Sulle componenti architetturali così definite si possono innescare nuove logiche DevOps, garantendo tempi di delivery e reattività di gran lunga migliori rispetto al passato. Vantaggi che si vanno a sommare alla capacità di integrare tutti gli strumenti complementari alla gestione del processo”. OpenShift è una piattaforma per la creazione di applicazioni container pienamente integrata con strumenti come Docker e Kubernetes: ciò significa poter scomporre l’applicazione in microservizi, con la garanzia di

poter gestire il tutto in un modo più automatizzato, controllato e veloce. “Nelle sue diverse declinazioni di infrastruttura, piattaforma e orchestrazione di tecnologie cloud”, spiega Nicoletti, “l’impianto architetturale di Red Hat sovrintende al funzionamento e all’erogazione del servizio Cloudify NoiPA, il sistema del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e in particolare del Dipartimento dell’amministrazione del personale e dei servizi, che gestisce il trattamento economico dei dipendenti pubblici”. La logica software-defined, rendendo implicita la possibilità di disaccoppiare l’hardware dal software, ha consentito notevoli vantaggi economici. Questa logica, aggiunge Nicoletti, “significa poter acquisire hardware a basso costo sfruttando al massimo le convenzioni Consip e al tempo stesso predisporre ambienti di produzione in tempi rapidissimi, uno o due giorni al massimo. Anche il monitoraggio avviene in modo dinamico senza dover ricorrere a interventi manuali”. Piero Macrì

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SCENARI | Data journalism

I benefici del Piano Industria 4.0 per ambito aziendale 15% 16%

Gli ostacoli verso l’implementazione di Industria 4.0 3% 13%

32%

17%

17% 20%

17%

28% 22%

MIGLIORAMENTO DEL PROCESSO PRODUTTIVO

SCARSA CONOSCENZA DELLE NUOVE TECNOLOGIE

LOGISTICA ED EFFICIENZA ORGANIZZATIVA

RITORNO DEGLI INVESTIMENTI LENTO E SCARSA RICETTIVITÀ DEL MERCATO

MARKETING E VENDITE

SCARSITÀ DI PROFITTI PROFESSIONALI ADEGUATI

CREAZIONE DI SERVIZI INNOVATIVI

SCARSA COOPERAZIONE FRA GLI OPERATORI DEL SETTORE

UPGRADING DELL’OFFERTA

RISCHI LEGATI ALLA SICUREZZA DEI DATI

Fonte: Osservatorio sul mercato delle tecnologie ANIE

ALTRO

INDUSTRIA 4.0 VISTA DALLE IMPRESE DELL’ ELETTRONICA Due terzi delle oltre 1.300 aziende associate di Anie confermano budget in crescita per l’innovazione. Ma un'impresa su quattro è ostacolata dall'insufficiente conoscenza delle nuove tecnologie.

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U

n settore che annovera circa 1.300 imprese, poco meno di 470mila addetti e che sviluppa circa 74 miliardi di euro di fatturato aggregato l’anno. Per Anie, il consorzio che raggruppa ben 14 associazioni relative ad aziende operative nel campo dell’elettronica e dell’elettrotecnica, il bilancio 2017 degli investimenti in innovazione è positivo. Mediamente, la quota di spesa dedicata alle attività di ricerca e allo sviluppo è pari al 4% del fatturato. Per quest’anno – ed è, forse,

il dato più positivo in assoluto – l’80% delle 120 aziende prese a campione (rappresentative di tutti i comparti, aree geografiche e dimensioni d’impresa) segnala di aver già concretizzato progetti legati alle nuove tecnologie, mentre il 65% ha confermato budget in crescita rispetto al 2016. Per il 34% delle realtà, invece, l’andamento della spesa in innovazione è stabile. Le attività di ricerca e sviluppo sui nuovi prodotti sono la voce di costo più importante (citata nel 36% dei casi), seguita dall’innovazione tecno-


logica per il miglioramento dei processi aziendali (34%) e dall’acquisto di beni strumentali durevoli (27%). La sensibilità delle aziende oggetto di indagine nei confronti del piano Industria 4.0 è frastagliata e risente di diverse criticità nella concretizzazione delle iniziative “digitali” previste dal Governo. I benefici attesi dall’utilizzo delle nuove tecnologie interessano in particolare l’ambiente produttivo (automazione di fabbrica) e, a seguire, logistica ed efficienza organizzativa, marketing e vendite, creazione di servizi innovativi e

aggiornamento dell’offerta. Fra gli ostacoli, invece, spicca la scarsa conoscenza delle nuove tecnologie, ammessa dal 28% delle imprese oggetto di indagine. Seguono, quindi, il lento ritorno degli investimenti e la scarsa ricettività del mercato (22% delle risposte), la penuria di profili professionali adeguati e la limitata cooperazione fra gli operatori della filiera (17%) e, ancora, i rischi legati alla gestione dei dati (13%). I vertici di Anie si dicono sicuri che cybersecurity, cloud computing e soluzioni per l’analisi avanzata dei dati sia-

no diventati temi “caldi” anche nell’industria elettronica ed elettrotecnica. I segnali raccolti sul fronte del fatturato, degli ordinativi e degli investimenti in innovazione, insomma, sono considerati positivi. Ma sullo scenario complessivo gravano alcune ombre, relative alle difficoltà economiche in cui versa una buona fetta (circa un terzo del totale) delle imprese, nonché alle difficoltà di accesso al credito di cui le aziende italiane soffrono, da tempo, in modo sempre più diffuso e sistemico. Gianni Rusconi

PERCHÉ LE AZIENDE INVESTONO NELL’IOT? Il 41,5% delle aziende italiane utilizza già tecnologie dell’Internet of Things, mentre il 23,7% investirà in questa direzione nel breve termine. Nella fetta (30,4%) di chi non le considera una priorità aziendale abbondano soprattutto realtà della Pubblica Amminsitrazione e dei servizi. È la fotografia scattata da una recente ricerca condotta da Sda Bocconi per Qlik su un campione di 135 imprese di diversi settori merceologici (circa la metà appartenenti al com-

parto manifatturiero). Perché si investe in soluzioni IoT? Le motivazioni risiedono innanzitutto (nel 23,9% dei casi) nel contenimento dei costi operativi di produzione, acquisti e logistica; seguono, al secondo posto, il controllo delle performance operative di impianti, macchine, reti e infrastrutture e, al terzo, la possibilità di creare nuovi modelli di business. In un quinto dei casi, invece, alla base della spesa vi è la disponibilità di dati finalizzata all’innovazione di prodot-

to/servizio. Non manca qualche criticità. Fra gli ostacoli all’introduzione dell’Internet of Things in azienda spiccano al primo posto i costi di investimento per la progettazione e la realizzazione delle soluzioni (27,3%), mentre sono leggermente meno sentiti i problemi di complessità nella progettazione e gestione dei sistemi (citati dal 22,7% degli intervistati) e le carenze di competenze e cultura digitale aziendale (21,6%).

Ambiti di applicazione attuali e/o previsti delle tecnologie IOT

PROCESSI DI PRODUZIONE PROCESSI DI TRACCIAMENTO DI COSE E PERSONE PROCESSI DI GESTIONE DELLE RETI PROCESSI DI RELAZIONE COL CLIENTE PROCESSI DI LOGISTICA

0%

5

10

15

20

25

30

35

Fonte: SDA Bocconi School of Management

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TECHNOPOLIS PER BROTHER

SISTEMI DI STAMPA PROTETTI E SICURI persone non autorizzate. Molti dispositivi multifunzione, inoltre, sono dotati di un disco fisso in cui i documenti vengono elaborati prima di essere stampati, acquisiti, fotocopiati o inviati via fax. Tale passaggio rappresenta un rischio per i possibili attacchi al dispositivo, sia quando esso è in uso sia durante la gestione del suo fine vita, quando i dati memorizzati nell’hard disk possono essere recuperati e copiati. Se, poi, le impostazioni delle stampanti e dei multifunzione non sono protette, i lavori in esecuzione diventano suscettibili a reindirizzamenti, mentre i documenti salvati possono essere addirittura copiati da hacker che potrebbero rubare facilmente le credenziali degli utenti. Esistono, infine, minacce alla sicurezza delle reti: normalmente, infatti, le stampe inviate a un dispositivo multifunzione non sono protette sui print server e ciò significa che chiunque può facilmente accedere a informazioni riservate o realizzare un’infezione malware. Un ulteriore pericolo è costituito dalle porte di rete aperte, che consentono di violare le stampanti da remoto e di farle diventare un target privilegiato per attacchi Denial-of-Service.

Lo specialista in imaging e printing ha previsto specifiche funzionalità, utili per mettere in totale sicurezza i dati sensibili inviati ai suoi dispositivi. Oggi la protezione dei dati costituisce un tassello imprescindibile per tutte le operazioni di business: le implicazioni finanziarie, giuridiche e reputazionali legate alle violazioni possono, infatti, arrivare a compromettere le attività aziendali in modo addirittura definitivo. Un pericolo che, in prospettiva, è destinato solo ad aumentare con l’entrata in vigore del nuovo Gdpr (General Data Protection Regulation), il regolamento europeo sulla riservatezza delle informazioni personali, che prevede pesanti sanzioni in caso di mancata salvaguardia dei dati sensibili trattati. Per le organizzazioni di ogni dimensione diventa, quindi, sempre più importante sviluppare una strategia di sicurezza multilivello, in grado di proteggere una superficie d’attacco in continua espansione: dalle reti agli endpoint, fino ai più piccoli dispositivi di stampa. Questi ultimi, in particolare, rappresentano una pericolosa vulnerabilità all’interno delle organizzazioni, spesso poco consapevoli dei rischi associati a questo tipo di periferiche. Un primo pericolo è rappresentato dalle stampe abbandonate: documenti in cui sono talvolta contenute informazioni confidenziali e che possono essere prelevati, intenzionalmente o meno, da 24

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STOP ALLE VULNERABILITÀ CON LE SOLUZIONI BROTHER Per azzerare tutti i rischi associati ai sistemi di stampa, da tempo Brother offre alcune funzionalità specifiche, capaci di proteggere i suoi dispositivi ed evitare furti di dati, accessi non autorizzati e violazioni di rete. In particolare, le stampe sono messe in sicurezza con la funzionalità ‘Follow-me printing’, che garantisce la privacy dei documenti inviati ai sistemi condivisi, producendoli solo previa autenticazione degli utenti tramite schede Nfc o codici Pin. Per evitare la violazione dei file memorizzati sugli hard disk interni alle periferiche, buona parte dei dispositivi Brother non necessita di dischi fissi per l’esecuzione delle operazioni di stampa, mentre per impedire le fughe di informazioni i sistemi laser di fascia alta sono stati tutti dotati di funzionalità di sicurezza Tls/Ssl, usate per crittografare i dati in fase di trasmissione. Alcuni dispositivi, infine, sono in grado di bloccare a distanza chiunque acceda senza permesso ai device via rete, filtrando gli indirizzi IP e sfruttando il “controllo protocolli”, che consente agli amministratori di disattivare selettivamente alcuni protocolli senza bloccare Ftp o Smtp.


TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUVER TAX & ACCOUNTIG ITALIA

ESPERIENZA GLOBALE PER L’INNOVAZIONE ITALIANA Genya di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è la dimostrazione di quello che una ricerca e sviluppo italiana può realizzare con il coraggio e la volontà del cambiamento. Avendo, però, alle spalle la robustezza di una multinazionale. Sergio Boaretto, chief application officer di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, sta portando a termine un progetto gigantesco che ha avuto l’ardire di voler cambiare radicalmente l’approccio a una professione, quella dei commercialisti, con una forte propensione alla conservazione: Genya. Si tratta di un progetto biunivoco, perché Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha stabilito che l’innovazione debba portare valore sia allo studio sia ai suoi clienti, oltre a poter dare una robusta spinta alla trasformazione digitale nel settore dei professionisti, avvicinandolo ad altri ambiti già da tempo incamminati sulla strada della digitalizzazione. E il mercato le sta dando ragione. Boaretto è un manager che governa la propria “software factory” con grande conoscenza ma anche con grandi visioni. “Wolters Kluwer Tax & Accounting è un brand che si offre a garanzia di un prodotto, ma soprattutto di una visione”, spiega. “Quando abbiamo avviato il progetto Genya, uno degli obiettivi che ci siamo posti era quello del cambiamento del paradigma lavorativo, sia il nostro sia quello dei nostri clienti. Un progetto come Genya obbliga al ripensamento di tutta la filiera dell’innovazione e, quindi, della struttura della software factory. Uno sforzo non indifferente, che forse solo una multinazionale può decidere di affrontare. Oggi i layer non sono più qualificabili e bisogna fare insourcing di competenze ed esperienze nuove. Non servono più soltanto sviluppatori ed esperti di dominio, ma anche architetti, esperti di sicurezza, project manager e, soprattutto, UX designer”. La ricerca & sviluppo di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha fatto leva proprio su un gruppo di esperti di UX design, nuova figura professionale che con una visione olistica si preoccupa di curare maniacalmente ed “end to end” ogni momento di interazione dell’utente con la soluzione: dalle prime fasi di onboarding fino alla possibilità di acquisto di nuovi prodotti o di volumi aggiuntivi, in totale autonomia. Costruire un software davvero innovativo per i professioni-

Sergio Boaretto, chief application officer di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia sti significa preparare per loro una nuova “user journey”, un nuovo viaggio nell’esperienza utente. Secondo Boaretto, “Genya è l’unica suite applicativa che si lascia provare. Sviluppiamo la nostra idea insieme ai clienti ed effettuiamo costantemente il fine tuning osservando gli utenti che decidono di provare il software. Abbiamo creato dei team di lavoro congiunti: da questi tavoli, oltre che dal laboratorio, nasce l’innovazione”. L’innovazione digitale di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha modificato anche la formulazione di vendita. “L’agente commerciale, il cliente e lo sviluppatore diventano una squadra che all’unisono affinano un prodotto che servirà al professionista a tutto tondo”, spiega Boaretto. Il paragone è quello di una squadra di manutenzione di una Formula 1 che, ai box, applica quanto suggerito dalla direzione corse e dal pilota. “Il progetto Genya”, prosegue il manager, “riflette l’internazionalità di Wolters Kluwer Tax & Accounting, un tratto distintivo rispetto al carattere prettamente locale delle altre offerte sul mercato. Questo carattere multinazionale è decisamente una garanzia di solidità nei confronti sia dei clienti sia dei partner. Non dimentichiamo, poi, che Wolters Kluwer non è solo l’unica realtà internazionale nel mercato delle soluzioni per professionisti in Italia, ma è anche l’unica ad avere un’offerta completa, che comprende il software, l’editoria, le banche dati e la scuola di formazione”. Dunque spalle robuste, visione chiara, ascolto del mercato, valore tangibile: Genya è tutto questo. 25


SCENARI | | Hospitality & traveling TECNOLOGIE

L'e-commerce di titoli di viaggio, prenotazioni alberghiere e pacchetti turistici continuerà a crescere a un ritmo annuo dell'11% almeno fino al 2021, secondo Netcomm. Essere online non è più sufficiente: servono app e omnicanalità.

IL TURISMO È DIGITALE, MA IL WEB NON BASTA PIÙ L’INFLUENCER PER ECCELLENZA Amato e odiato da albergatori e ristoratori, per cui rappresenta un portentoso megafono ma anche una fonte di grattacapi, a diciassette anni dal suo esordio Tripadvisor ha superato il traguardo dei 500 milioni di recensioni pubblicate, in media, ogni giorno (e corrispondenti a circa 290 contributi al minuto). Attraverso le schede di hotel, ristoranti e attrazioni turistiche, ma

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anche con il servizio di verifica delle disponibilità e di comparazione prezzi, la piattaforma ha il potere di orientare moltissime decisioni. Uno studio di Oxford Economics del 2016 ha quantificato questo potere: in un anno, Tripadvisor ha influenzato le scelte di 22 milioni di viaggi e 352 milioni di pernottamenti, generando 64 miliardi di dollari di valore di spese incrementali.

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itoli di viaggio, camere di hotel, musei, attrazioni, ristoranti. L’e-commerce ha da tempo conquistato il settore del turismo, causando non pochi problemi a tour operator e agenzie di viaggio, che hanno dovuto ripensare al proprio ruolo di venditori e mediatori. Questo settore è, anzi, da sempre uno dei cavalli di battaglia del commercio elettronico nel mondo e può ancora galoppare: secondo le stime di Netcomm, il giro d’affari continuerà a beneficiare di tassi di crescita annui superiori all’11% almeno fino al 2021, anno in cui avrà raggiun-


Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti e Austria) e le assegna un valore di 5,4, su una scala che va da uno a sette, alla voce “Ict readiness”. La stessa per cui hanno meritato punteggi superiori al sei Paesi come la Svizzera, il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca. Si può, dunque, fare meglio. Ma che cosa significa essere “digitali” nel campo dei viaggi e dell’hospitality? La presenza su Internet è più che un obbligo, considerando che transita dall’online una prenotazione su tre, secondo i dati del Wef. Questo, però, non è più sufficiente. Fra le priorità attuali spicca certamente lo sviluppo di siti Web ottimizzati per la fruizione da mobile o di applicazioni dedicate, dato che le prenotazioni e gli acquisti via smartphone crescono quattro volte di più della media generale dell’e-commerce turistico. Questo è comunque solo un tassello del mosaico chiamato omnicanalità: un approccio che richiede di sapere gestire la relazione con il cliente (dalla comunicazione al marketing, dalle vendite al supto un valore di 268 miliardi di dollari. “Quello dell’e-commerce turistico è un caso di grande interesse”, spiega Roberto Liscia, presidente di Netcomm, “perché ci dimostra che un mercato digitale considerato maturo non può mai in realtà definirsi tale: stiamo assistendo a un rinnovamento e a un cambiamento continuo, con chiare conseguenze su tutta la filiera del settore”. La sfida dell’innovazione digitale coinvolge un po’ tutti: compagnie aree e ferroviarie, albergatori, tour operator, agenzie di viaggi, enti di promozione nazionali e regionali e via dicendo. Ed è una sfida non secondaria se è vero che, come suggerisce lo studio “Travel & Tourism Competitiveness Index 2017” del World Economic Forum, esiste una correlazione diretta fra la predisposizione al digitale e il successo di una destinazione turistica. Nella classifica mondiale dei mercati più competitivi in quest’ambito, il Wef piazza l’Italia all’ottavo posto (dopo Spagna, Francia,

porto post-vendita) in modo coerente su tutti i canali. Iniziano ora a colonizzare anche questo settore tecnologie già ben presenti altrove, per esempio nell’industria e nel retail, come gli oggetti connessi dell’Internet delle cose, i trasmettitori beacon, i robot, i software di analisi dei dati, l’intelligenza artificiale. “L’adozione delle nuove tecnologie continuerà ad accelerare”, sottolinea Francesca Benati, amministratore delegato e direttore generale di Amadeus Italia, filiale della multinazionale specializzata in software e servizi per il settore del turismo e dei viaggi. “Nuovi modelli di business, nuove idee e nuovi processi stanno offrendo grandi opportunità agli operatori del travel per creare esperienze personalizzate e significative, e per guidare la relazione e la fidelizzazione dei clienti”. Uno studio realizzato da Accenture per il Wef stima che fra il 2016 e il 2025 la digitalizzazione possa aggiungere al giro d’affari dell’industria dei viaggi un valore di 305 miliardi di dollari. Valentina Bernocco

MENO STRESS CON GLI ACQUISTI VIA APP Gli italiani trascorrono in media circa 400 ore all’anno in coda, tra uffici postali o banche, supermercati, stazioni o quant’altro, e ben l’85% delle persone tende a diventare insofferente prima che arrivi il proprio turno. Questi dati Istat sono sufficienti a far capire quanto sia preziosa la possibilità di evitare file davanti alle biglietterie e alle postazioni self-service delle stazioni, attese che spesso sono origine non solo di nervosismo ma anche di partenze e coincidenze mancate. Trainline (una piattaforma digitale che veicola giornalmente 125mila prenotazioni di titoli di viaggio ferroviari in 24 Paesi) e la società di ricerca britannica Development Economics stimano

che l’anno prossimo i siti e le app per l’acquisto di biglietti del treno consentiranno di risparmiare 13,5 milioni di ore, considerando che la durata media di una procedura eseguita su smartphone è inferiore al minuto. Traducendo il tempo in denaro, Trainline ha quantificato in nove euro il valore di ogni ora della giornata di un viaggiatore o pendolare: in base a questo calcolo, il Web e gli smartphone consentiranno di risparmiare circa 122 milioni nel 2018, e la somma annua salirà a 181 milioni di euro nel 2020. Aggiungendo a tutto ciò l’incalcolabile valore dello stress evitato, è intuibile che siti e app possano presto trasformarsi nella modalità di acquisto preferenziale.

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| Smart | Hospitality TECNOLOGIE SCENARI agriculture& traveling

DOVE VAI SE IL WIFI NON CE L’HAI? La disponibilità di un accesso Internet gratuito e ben funzionante influenza sempre di più le scelte di prenotazione. E la felicità del cliente.

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osizione, pulizia, comfort della stanza, cortesia in reception, bontà della colazione, rapporto qualità-prezzo. Manca ancora qualcosa all’elenco delle voci che orientano una prenotazione alberghiera e che poi, terminato il soggiorno, influenzano il giudizio positivo o negativo dell’ospite: i servizi tecnologici. Al primo posto, ça va sans dire, una connessione WiFi ben funzionante, ancor meglio se inclusa nel costo della camera e se non vincolata a complesse procedure di registrazione online. Un’indagine condotta dalla società di ricerca J.D. Power (“2016 North America Hotel Guest Satisfaction Index Study”) colloca la disponibilità di una connessione Internet nel terzetto dei tre servizi considerati più importanti da chi soggiorna in hotel statunitensi di ogni fascia di prezzo, accanto alla colazione inclusa e al parcheggio gratuito. Tant’è che anche negli States l’anno scorso il 71% delle strutture ricettive ha incluso il WiFi tra i benefit offerti senza costi aggiuntivi. Un quadro analogo emerge da un maxi sondaggio (“TripBarometer”) eseguito due anni fa da Tripadvisor su 34mila viaggiatori: il 46% considera l’accesso a Internet come un must, che influenza le scelte di prenotazione. Un più ristretto 26% pretende di poter navigare ad alta velocità e, fra costoro, circa uno su due 28

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è anche disposto a pagare per ottenerla. Gli utenti di Tripadvisor addirittura antepongono la necessità di andare online al piacere di una nuotata, se è vero che la percentuale di chi indica come prioritaria la presenza di una piscina all’interno dell’hotel si limita al 26%. Ma come è perché si accede al Web quando si è in vacanza o in trasferta lavorativa? Un sondaggio della piattaforma di prenotazione Roomzzz offre uno spaccato su quanto accade negli hotel di una serie di località dell’Inghilterra: il 45% degli ospiti antepone il desiderio di una buona connessione WiFi al privilegio di una bella vista dalla finestra della camera, mentre uno su dieci è pronto a chiedere il rimborso di quanto pagato se riscontra difficoltà a navigare. Emerge anche una certa “ansia” di andare online, se è vero che un cliente su tre domanda già al momento del check-in quale sia la password di accesso, e che il 65% degli

ospiti vuole connettersi entro soli sette minuti dall’arrivo in hotel. Piuttosto che un valore aggiunto che permette di distinguersi dalla concorrenza, il WiFi sembra, quindi, ormai un obbligo per le catene e le strutture alberghiere. Più differenzianti e innovativi sono, invece, servizi come Handy: uno smartphone completo di scheda Sim con chiamate illimitate, traffico dati gratuito e chip Nfc (utilizzabile per aprire e chiudere la porta della stanza), che viene prestato agli ospiti per tutta la durata del soggiorno. Partorita da Tink Labs, una società di Honk Kong, la soluzione include anche un software con cui gli albergatori possono monitorare statistiche sui clienti, gestire le recensioni su Tripadvisor, inviare sugli smartphone notifiche push con promozioni e offerte. Un centinaio di strutture ricettive delle principali città italiane sta già sperimentando questo servizio. V.B.


SERVIZIO IN CAMERA CON SIRI

IN VIAGGIO CON L'AI L’intelligenza artificiale può essere una risposta alle esigenze di profilare meglio il cliente. L’esempio di Sabre.

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eggono, pianificano, confrontano, recensiscono. Pretendono, e se qualcosa non va per il verso giusto utilizzano il Web e i social network come megafono della propria insoddisfazione. I turisti dell’era digitale (ma il discorso vale anche per i viaggiatori d’affari) sono una popolazione variegata, la cui costante è la voglia di una user experience sempre più personalizzata. Per chi vende prodotti o servizi, la disponibilità di dati di vario tipo – aggregati, segmentati, riferiti a gruppi piccoli o addirittura a singoli individui – può tradursi in una grande opportunità ma è anche una sfida. Come navigare nel mare dei Big Data, come assegnare un peso specifico alle informazioni, come correlarle fra loro o tradurle in scelte di marketing e di vendita? L’intelligenza artificiale può essere una risposta. Un avanguardista in questo campo è Sabre, multinazionale texana che fornisce (ad agenzie di viaggi, aziende e

sviluppatori) servizi di prenotazione e acquisto di biglietti aerei, camere di hotel, noleggio auto e altro ancora: la società ha realizzato con il contributo di Microsoft un programma chatbot che permette di gestire in modo automatizzato le richieste di informazioni e i reclami dei clienti attraverso Facebook Messenger, WhatsApp e Twitter, oltre che via Sms. Due agenzie di viaggio hanno già scelto di testare una versione white-label di questa soluzione, e nel frattempo Sabre sta anche lavorando a un software che consentirà di cercare offerte e destinazioni, prenotare camere e comunicare con gli albergatori via Sms, via chat (Messenger, Whatsapp, messaggi privati di Twitter) oppure interagendo con gli assistenti virtuali di smartphone e smart speaker, quali Amazon Alexa, Google Assistant e Cortana. Come sottolineato da Mark McSpadden, vice president per i prodotti e le tecnologie emergenti di Sabre, “I viaggiatori vogliono disporre di soluzioni tecnologiche che offrano un’esperienza più semplice e intuitiva, soprattutto nella gestione delle modifiche dell’ultimo minuto e dei disservizi che possono verificarsi”. V.B.

Sei viaggiatori d’affari su dieci non partirebbero senza avere in tasca il proprio smartphone. E quattro su dieci (il 43%) si aspettano che l’intelligenza artificiale modifichi in meglio le loro esperienze di viaggio. Così racconta lo studio “Expedia/Egencia Mobile Index”, realizzato da Northstar intervistando più di 4.500 business traveler. Un assaggio del futuro lo forniscono catene alberghiere come Aloft Hotels, che hanno introdotto in due strutture di Boston e Santa Clara un sistema di domotica particolare: gli ospiti possono controllare le luci e la temperatura delle stanze, o trovare contenuti sullo schermo del televisore, attraverso comandi vocali impartiti a Siri.

ALGORITMI PER IL TEMPO LIBERO Un sito, un’app mobile e portali Web dei partner commerciali. Gli ingredienti di Musement – piattaforma per l’acquisto di biglietti per eventi, musei e per la prenotazione di ristoranti – potrebbero non sembrare rivoluzionari. L’azienda milanese, nata nel 2013, ha fatto però il salto di qualità acquisendo Triposo, un servizio che aggrega suggerimenti e guide turistiche su oltre 50mila destinazioni. La peculiarità di Triposo è l’impiego di un algoritmo di machine learning che analizza ed elabora i dati di milioni di siti e recensioni, allo scopo di produrre contenuti personalizzati.

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TECHNOPOLIS PER OVH

RIDURRE I COSTI DELLO STORAGE DI DATI FREDDI Per estendere la propria offerta di servizi di archiviazione e rispondere alle richieste del mercato, Ovh ha sviluppato il servizio Public Cloud Archive. E integra la soluzione Veeam Cloud Connect nella propria infrastruttura per ospitare in tutta sicurezza i backup dei dati aziendali. I dati vengono replicati completamente tre volte e, grazie al metodo di erasure coding, il footprint sul sistema è particolarmente ridotto. I file vengono suddivisi in porzioni singole, che poi vengono riassemblate nel momento in cui diventa necessario ricomporli. Questa elevata resilienza ai dati ne permette una durabilità virtualmente infinita. Gli utenti pagano solo per le operazioni di invio e recupero dati e non per le singole operazioni read/write. Ciò porta a un’ottimizzazione dei costi, che possono rivelarsi fino al 50% più bassi rispetto ad altre offerte similari. Ulteriore vantaggio del Public Cloud Archive è la sua compatibilità con i principali protocolli di protezione del traffico dati (come Https, RSync, Scpd e Sftp), compatibilità che rende il servizio adatto per numerose tipologie di utilizzo, dal backup di Nas al backup di lungo termine di log, archivi video, fotografici e simili. È estremamente semplice da utilizzare: l’utente si collega al manager, crea un progetto cloud, un container cold storage e sceglie l’area geografica di sua scelta tra i data center attualmente disponibili. Altri ne verranno via via aggiunti. Notoriamente, i dati non sono tutti uguali. Alcuni vengono utilizzati con regolarità per il business aziendale, altri invece vengono conservati per motivi differenti – backup, compliance, rispetto delle normative – e recuperati più raramente. Non per questo, però, tale seconda categoria di dati deve essere trascurata: le organizzazioni devono conservarli in modo affidabile e sicuro ma anche con costi possibilmente contenuti, tanto più che spesso e volentieri si parla di volumi importanti di dati. Ovh risponde a questa esigenza con il Public Cloud Archive: si tratta di una soluzione cloud realizzata partendo da Swift, un progetto libero OpenStack, abbinata a metodologie di data protection tese a ottimizzare l’utilizzo dello spazio su disco. Ovh ha scelto server storage dotati di dischi ad alta capacità, che permettono di ridurre gli investimenti e di ottenere risparmi significativi sulla manutenzione grazie al numero minore di dischi da sostituire. 30

BACKUP SICURO CON VEEAM Da oggi Ovh si affida alla tecnologia Veeam Cloud Connect per offrire una soluzione che permetta agli utenti di salvare facilmente i backup dei propri dati sulle sue infrastrutture. Un’offerta che consente alle aziende di consolidare la propria strategia di protezione dei dati con un backup in un sito remoto, che non ha necessità di essere gestito. Disponibile con licenza separata, l’offerta Veeam propone un design premium per l’invio e lo storage di dati nel cloud Ovh. La progettazione della soluzione (resa disponibile inizialmente sulla piattaforma So you Start) si fonda sui feedback dei clienti e integra nativamente la crittografia end-to-end delle informazioni grazie alla connessione Ssl, la replica dei dati nel Cloud Ovh e il Wan Accelerator per demoltiplicare il trasferimento dei dati. Il tutto è proposto con una tariffazione trasparente, basata esclusivamente sullo storage utilizzato.


FOCUS | Storage

AZIENDE ATTENTE, È L’ORA DEGLI ZETTABYTE Il boom dei dati impone diverse sfide, in primis l’aumento della capacità di archiviazione e la scalabilità dell’infrastruttura storage. Quale strada prendere? Le memorie a stato solido e flash stanno diventando la prima scelta per tutte le tipologie di applicazioni.

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l mondo digitale è in continua e costante espansione, e questo è un fenomeno sotto gli occhi di tutti. Ciò che però è meno evidente ai non addetti ai lavori è la portata di questo fenomeno. Secondo le ultime stime elaborate da Idc, a livello mondiale l’universo digitale è destinato a passare da una dimensione di circa nove zettabyte (l’equivalente di circa un miliardo di terabyte) di dati creati nel corso del 2015 agli oltre 180 zettabyte stimati per il 2025. Stiamo parlando di una quantità di informazioni superiore a 20 terabyte per ciascun individuo vivente: bambino, adulto, anziano, residente a New

York o in un monastero himalayano. Tutti questi dati sono prodotti sia dall’interazione umana (e quindi da messaggi, fotografie, cartelle cliniche, relazioni con la pubblica amministrazione, video, film, canzoni e altro ancora) sia da macchine e sensori in grado di funzionare in modo autonomo e automatizzato. Si pensi, in proposito, al fenomeno dell’Internet of Things. Tale aumento esponenziale delle informazioni in formato digitale sta sottoponendo a una forte pressione l’infrastruttura dei data center, e in particolare la componente storage, mettendo le aziende di fronte a varie sfide. La prima, la DICEMBRE 2017 |

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FOCUS | Storage

più ovvia, è quella legata alla capacità di archiviazione, tanto per la crescita dei dati originali quanto per la proliferazione delle copie. La necessità di maggiori risorse per memorizzare documenti può determinare un aumento nel livello di complessità dell’infrastruttura storage in relazione alle componenti server e networking. A sua volta, tale complessità può provocare un calo nelle prestazioni con impatti sulla scalabilità, sulla flessibilità e sulla velocità di “ingestione” dei dati. Per ogni esigenza serve uno storage ad hoc

Per far fronte a queste sfide le imprese italiane si stanno rivolgendo a differenti tipologie di soluzioni in grado di raggiungere singoli o molteplici obiettivi. Per quanto concerne l’aspetto della capacità, oltre l’85% delle aziende intervistate da Idc nel corso degli ultimi anni ha dichiarato di aver investito in sistemi di storage su disco tradizionali (gli Hdd). Per ridurre la complessità dell’infrastruttura, invece, il campione intervistato si sta indirizzando in circa il 90% dei casi verso soluzioni convergenti e iperconvegenti e su soluzioni di tipo software-defined storage. Prodotti all-flash array, piuttosto che hybridflash, vengono invece presi in considerazione per coniugare velocità e livelli

Sergio Patano

Per ridurre la complessità dell’infrastruttura, il 90% delle aziende si sta indirizzando verso soluzioni convergenti e di tipo software-defined storage.

di I/O con esigenze di workload sempre più impegnative. Le componenti flash sono quelle che al momento stanno attirando attenzioni e investimenti, sia a livello mondiale sia

italiano. Nate e sviluppatesi inizialmente per rispondere a esigenze legate solo alla velocità, grazie alle prestazioni decisamente più elevate rispetto ai tradizionali dischi, le memorie a stato solido (Ssd) e flash stanno uscendo da questa nicchia per diventare il supporto primario per diversi casi d’uso. Non solo per workload che necessitano di tempi di latenza molto bassi (per esempio i Big Data analytics, l’IoT, lo streaming, il computing cognitivo e il machine learning) ma anche per applicazioni più tradizionali quali il backup, l’archiviazione, l’Erp o il Crm. Una tendenza, quella appena descritta, che sta avendo un impatto significativo anche sulla spesa in sistemi di archiviazione. Secondo le nostre ultime stime, a fronte di un mercato storage italiano pari a circa 500 milioni di euro nel 2017 e in leggera contrazione nell’orizzonte 20152020 (l’andamento composito annuo è negativo nella misura dell’1%), la componente flash è quella che registrerà il tasso di crescita medio più elevato, l’8%. All’interno di questo comparto le soluzioni all-flash array cresceranno con un tasso medio di poco inferiore al 22% da oggi al 2020, passando dagli 70 milioni di euro del 2017 agli oltre 110 milioni previsti da qui a tre anni. Sergio Patano, senior research & consulting manager di Idc Italia

UNA NUVOLA DI DATI CHE VALE 92 MILIARDI Lo storage vola sulla nuvola. Secondo un’indagine di Research and Markets, il mercato dell’archiviazione di dati in cloud (nelle tre varianti pubblico, privato e ibrido) dovrebbe crescere nel prossimo quinquennio a un tasso annuale composito di oltre il 29,7%, passando dai 25,2 miliardi di dollari del 2017 ai 92,5 miliardi del 2022. L’offerta di soluzioni di storage in cloud, parte della componente infrastrutturale (Infrastructure-as-a-Service, IaaS), verrà trainata in particolar modo da settori 32

verticali come l’healthcare, i media e quello finanziario. Stando a quanto riportato da Research and Markets, inoltre, l’archiviazione off-premise beneficerà in linea di massima della crescente consapevolezza delle aziende verso le soluzioni erogate in cloud. Non mancheranno comunque alcuni scogli importanti, che le imprese dovranno superare per riuscire a sfruttare pienamente i benefici della nuvola: i due problemi principali, sottolinea la società di ricerca, saranno la privacy

e gli aspetti legati alla sicurezza delle informazioni. Temi non secondari soprattutto in questo momento storico, considerando che il 25 maggio 2018 entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati (General Data Protection Regulation, Gdpr). Una serie di criticità che potranno comunque essere risolte, in quanto “i vantaggi offerti dal cloud supereranno ben presto questi dubbi, grazie anche a nuove soluzioni sviluppate in modo specifico”. DICEMBRE 2017 |

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FOCUS | Storage

PIÙ SPAZIO PER L’INTERNET DELLE COSE La diffusione dei dispositivi connessi costringe le aziende a ripensare le proprie strategie di archiviazione e di analisi dei dati. L’importanza del software e dell’intelligenza artificiale.

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er il 2018, il 65,6% delle aziende ha pianificato un aumento della spesa relativa ai progetti Internet of Things, per una crescita media dei budget già esistenti del 17,7%. Fra i principali ambiti di intervento spiccano in prima posizione i sistemi di storage (30,2%), seguiti dalle apparecchiature per l’edge computing (30,2%) e dai server (29,4%). Non è un caso che, secondo questa indagine di 451 Research, le soluzioni preposte all’archiviazione dei dati occupino la cima della classifica. Per comprendere meglio lo scenario ba-

sta infatti un numero: entro il 2020 le aziende dovranno fare i conti con circa 50 miliardi di dispositivi connessi, che genereranno decine di zettabyte di informazioni. Informazioni che andranno gestite, analizzate ed eventualmente archiviate in modo sicuro ed efficiente. E qui nasce un primo problema: dove compiere tutte queste operazioni? Direttamente ai margini della rete, nel data center o in cloud? “Lo sviluppo di nuovi progetti e applicazioni in ambito IoT e Industria 4.0 richiederà soluzioni in grado di memorizzare, elaborare e rendere disponibili

i dati generati dai sensori in volumi sempre maggiori e in tempi più rapidi”, spiega Fabio Zezza, sales lead Italy & Iberia di Dell Emc, per il quale la risposta giusta è nel mezzo. “Una parte di questi dati verrà progressivamente avvicinata ai sensori stessi, ma una frazione importante rimarrà all’interno dei data center. È per questo che la scelta di architetture storage di tipo moderno, capaci di accompagnare le imprese nel percorso di trasformazione digitale, diventa sempre più un fattore chiave per restare competitivi sul mercato. Per Dell Emc è necessario pensare in ottica DICEMBRE 2017 |

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FOCUS | Storage

all-flash, perché soluzioni di questo genere possono crescere orizzontalmente, sia in termini di capacità sia di potenza elaborativa, adottano il paradigma software-defined, sono in grado di interfacciarsi da subito con diversi modelli di cloud e, soprattutto, sono affidabili e sicure”. Aziende diverse avranno bisogni differenti, ma è certo che tutte le organizzazioni perseguiranno un obiettivo comune: trarre valore e vantaggio competitivo dalle informazioni generate, vale a dire riuscire a leggere il contenuto di questi dati nel minor tempo possibile. “In questo processo interno di selezione entra in gioco quella che può essere una nuova sfida per le imprese: usare gli analytics sul dato in fase di backup, per capire quanto questo viene utilizzato, da quanto tempo non viene letto o con che tipo di frequenza viene consultato. Un’operazione che permetterà alle aziende di essere sempre più veloci nella selezione delle proprie informazioni e che porterà a maggiore

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agilità ed efficienza”, commenta Andrea Sappia, sales consultant manager di Fujitsu Italia. “In questo scenario, le soluzioni di backup e protezione rappresentano una priorità strategica e l’infrastruttura ibrida semplifica notevolmente il processo di protezione dei dati, locali e in cloud. Le appliance Fujitsu, integrando risorse hardware e software e combinando funzionalità per deduplica e disaster recovery, rispondono a queste esigenze strategiche”. La chiave è ancora nel software

A prescindere dall’approccio seguito e dalla scelta della tecnologia, anche in ambito Internet of Things il perno su cui far ruotare un’efficiente gestione dello storage sembra essere il software. Una visione che mette d’accordo tutti i principali vendor. “La strada da seguire è la realizzazione di architetture basate sul concetto di software defined storage (Sds), che permette di svincolarsi da eventuali lock-in che si possono creare

adottando soluzioni proprietarie esclusivamente hardware”, sottolinea Maurizio Rizzi, storage & software defined infrastructure solutions leader di Ibm Italia. “Ricorrendo all’Sds è possibile focalizzarsi su tutti gli aspetti della gestione dei dati (volumi, varietà, velocità, veridicità) scegliendo la soluzione tecnologica e di business più efficace. Tramite l’offerta Spectrum Storage e Spectrum Suite, Ibm è in grado di realizzare tutto questo indipendentemente dalla scelta che il cliente voglia adottare: hardware, software o cloud”. Le infrastrutture, a prescindere dalla propria natura, si devono quindi mettere al servizio del business, con specifici accorgimenti dettati da nuovi paradigmi come IoT e Industry 4.0. E la necessità di gestire e analizzare in tempo reale i dati generati dai dispositivi diventa un tema centrale per le imprese manifatturiere impegnate sul fronte della digitalizzazione. Come conferma Roberto Patano, senior manager system engi-

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SCALABILITÀ E CONVENIENZA Da Openstack, il “sistema operativo” per il cloud, ai container. Red Hat ha rilasciato Ceph Storage 3, la nuova versione della piattaforma open source per lo storage definito dal software: una soluzione scalabile nell’ordine dei petabyte e programmabile, pensata per i carichi di lavo-

neer di Netapp Italia, “per rispondere a queste esigenze le infrastrutture hardware e soprattutto software devono essere in grado di superare, quando serve, la logica dei silos che vincola i dati a un determinato contesto. In quest’ottica Netapp approccia la loro gestione come Data Fabric, ovvero attraverso una lettura di tutto il tessuto connettivo per le informazioni che popolano i data center”. Una delle novità più recenti proposte dal vendor è Netapp Hci, un sistema iperconvergente di seconda generazione su storage all-flash, pensato per essere scalabile e modulare e dunque in grado di aumentare capacità computazionali e di archiviazione in base ai bisogni delle imprese. Il futuro è intelligente

Pervasiva ormai a tutti i livelli, l’intelligenza artificiale sta letteralmente rivoluzionando il modo in cui organizzazioni e utenti interagiscono con la tecnologia. Dagli smartphone (ne parliamo a pag. 48) alle infrastrutture di classe enterprise, gli algoritmi di apprendimento automatico e approfondito sono un componente sempre più rilevante della rivoluzione digitale. Anche in ambito storage, soprattutto se i sistemi di archiviazione devono affrontare le sfide imposte dall’Internet delle cose. Molte realtà stanno infatti considerando l’adozione del machine learning “come un nuovo modo per migliorare gli analytics su qualsiasi tipo di dato, sia che si tratti di una soluzione

ro più pesanti. Tra le principali novità dell’aggiornamento spicca il supporto per lo storage a blocchi via iScsi, che facilita così la migrazione dai sistemi legacy, e per l’archiviazione a file tramite CephFs. La piattaforma porta dunque il valore di uno storage unificato direttamente in Openstack

IoT per prevedere i guasti di una macchina di produzione o di un sistema di negoziazione presso una banca, sia per stimare il consumo di energia da parte dei consumatori finali”, afferma Paolo Spreafico, cloud customer engineering lead di Google. “Diverse aziende hanno in corso progetti in cui il dato deve essere analizzato con una latenza minore e in cui diventa fondamentale sfruttare ciò che noi chiamiamo streaming analytics: in questo caso le informazioni vanno elaborate e interrogate in tempo reale, al fine di generare in-

Gli algoritmi di apprendimento automatico sono un componente rilevante della rivoluzione digitale anche in ambito storage per le sfide imposte dall’IoT

sight istantanei”. Le imprese interessate agli algoritmi di intelligenza artificiale dovranno però stare attente, perché la tecnologia richiede migliaia di esempi per “imparare” e per aumentare la propria affidabilità. Il consiglio di Spreafico è quello di “iniziare a raccogliere i dati storici il prima possibile, per capire se ci sia la possibilità di estrarne valore. Qualsiasi iniziativa futura di machine learning potrà, così, far leva su queste informazioni per allenare i modelli che verranno costruiti successivamente”. Le analisi saranno eseguibili direttamente sull’edge, secondo una tendenza già

e in ambienti eterogenei, ormai sempre più diffusi nelle aziende di oggi. Infine, la più recente versione della soluzione consente di sfruttare container Linux per semplificare le operazioni e ridurre l’impronta dell’hardware. Secondo Red Hat è possibile ottenere risparmi anche del 24%.

segnalata da Idc, per cui entro il 2019 il 43% dei dati IoT verrà elaborato ai “confini della rete”. Per sostenere calcoli di questo genere sarà però necessario affidarsi a tecnologie emergenti, come la Storage Class Memory (Scm) e la Nvm Express (Nvme), che secondo Giorgio Iracà, Dchc product manager di Hewlett Packard Enterprise, “apriranno la strada a nuove possibilità. Combinando le performance della Ram con le capacità di archiviazione dei drive a stato solido, l’Nvme permetterà di estendere l’uso dell’in-memory computing oltre il mero ambito dei database, rendendolo capace di supportare processi come l’edge computing e persino l’intelligenza artificiale”. Ogni realtà, comunque, ha le proprie peculiarità e “conoscerle, analizzarle e inquadrarle alla luce degli obiettivi” è per Iracà “una tappa fondamentale nella scelta delle soluzioni da adottare. Per questo motivo Hpe ha dato vita alla propria divisione Pointnext, un’organizzazione di servizi tecnologici nata per accompagnare le aziende nel loro percorso di trasformazione e fondata sulle competenze di oltre 25mila specialisti in 80 Paesi impegnati dalla consulenza cloud a quella in servizi operativi. Sono team che collaborano con le imprese di tutto il mondo per velocizzare l’adozione di tecnologie emergenti come cloud computing, hybrid It, Big Data e analytics, Intelligent Edge e Internet of Things . Alessandro Andriolo 35


| Sed ut perspiciatis SPECIALE FOCUS | Storage

DATI NELLA NUVOLA FRA PUBBLICO E PRIVATO Le configurazioni ibride sono la principale soluzione a cui guarderanno le imprese. Soprattutto quelle di grandi dimensioni. I vantaggi: evitare problemi di latenza e compliance.

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archiviazione di dati in cloud? “È una vera e propria presa di coscienza da parte delle aziende, che hanno compreso l’importanza del ruolo dello storage nel processo di trasformazione digitale”: non ha dubbi Danilo Poccia, Emea technical evangelist di Amazon Web Services (Aws), nell’illustrare le potenzialità della nuvola in ottica memorizzazione. Una nuvola che non si limita a svolgere il ruolo di un semplice repository delle informazioni, ma vi affianca servizi di 36

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diverso genere, dalla collaborazione alla revisione, passando per gli strumenti di analytics e per l’accessibilità in tempo reale. Senza contare due caratteristiche che hanno reso il cloud una scelta vincente per lo storage: la scalabilità e i modelli di utilizzo a consumo e “pay-asyou-go”. Esistono comunque degli importanti parametri da valutare prima di intraprendere qualsiasi “viaggio” verso la nuvola. “Tra questi citiamo le dimensioni e l’organizzazione dell’azienda, la sua impronta (regionale o globale), la sua

maturità operativa, la cultura interna e se si tratta di una startup o di una realtà affermata”, continua Poccia. “A seconda delle specifiche esigenze sarà poi necessario valutare le opzioni più adatte per dare vantaggi in termini di riduzione di costi, di allineamento dell’It alla strategia business, di maggiore agilità e flessibilità per l’azienda. Nel corso della nostra esperienza abbiamo identificato best practice e modelli comuni che abbiamo sintetizzato in un approccio chiamato Aws Cloud Adoption Framework DICEMBRE 2017 |

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(Aws Caf ). Una guida utile per far sì che ogni area dell’organizzazione comprenda come aggiornare le competenze, adattare i processi esistenti e introdurne di nuovi per sfruttare al massimo i servizi forniti dal cloud”. Le ragioni del successo

Superando i timori che ne hanno caratterizzato le origini, a cominciare da quelli sulla sicurezza delle informazioni, le imprese stanno iniziando ad applicare l’archiviazione off-premise anche ai nuovi paradigmi emergenti. È il caso, ad esempio, delle realtà manifatturiere impegnate nei processi di digitalizzazione. “Microsoft è coinvolta in moltissimi progetti Internet of Things e Industry 4.0 e in ciascuno di essi la flessibilità, la potenza e la scalabilità del cloud di Azure si sono dimostrati fattori abilitanti e di successo. Abilitanti perché è stato possibile affrontare le iniziative azzerando gli investimenti iniziali in infrastrutture; di successo perché tutte le componenti hanno potuto scalare per supportare, poi, il carico per andare in produzione. Lo storage è uno di questi elementi”. La convinzione di Mattia De Rosa, direttore cloud and enterprise di Microsoft Italia, si specchia nell’offerta che il colosso di Redmond ha sviluppato in chiave storage. “Abbiamo una proposta ampia in termini di tecnologie e servizi (File, Dischi, Blob, Code e Tabelle), servizi di archiviazione, replica e disponibilità geografica, cui si aggiunge la possibilità di ricorrere a configurazioni ibride, con i dati ‘caldi’ mantenuti on-premise e quelli più ‘freddi’ conservati su Azure. Il tutto a costi ridotti e in maniera trasparente per l’utente e le applicazioni”. Come detto, le configurazioni ibride sono una delle opzioni messe sul piatto dai vendor e probabilmente, sulla lunga distanza, rappresenteranno la strada più battuta da parte delle imprese. Soprattutto da quelle di grandi dimensioni. Perché il cloud pubblico, pur continuando a costituire la componente dominante del mercato, non potrà essere la scelta

ideale per talune tipologie di aziende (si pensi alla questione della privacy e del trattamento dei dati dei clienti). Ecco allora come le soluzioni ibride possono conciliare i benefici delle implementazioni pubbliche e private allo stesso tempo, evitandone gli svantaggi. “L’abilità di interconnettere tutte le capacità che il cloud offre, senza cadere in un lockin, può fare la differenza tra il successo e il fallimento di un progetto. Inoltre non tutti i carichi di lavoro possono essere adatti per operare in cloud pubblici: basti pensare a problematiche come la latenza e la compliance”, commenta Maurizio Rizzi, storage & software defined infrastructure solutions leader di Ibm Italia. “Molte aziende stanno adottando una strategia multi-cloud e, per ottimizzare i benefici di questo approccio, si è reso necessario e indispensabile seguire un percorso ibrido. In ottica storage, Ibm mette a disposizione fra le altre cose soluzioni di Disaster Recovery-as-a-Service, di gestione dei dati non strutturati e di containerizzazione”. “Le soluzioni cloud rappresentano sicuramente una democratizzazione dell’accesso alla tecnologia”, sottolinea Paolo Spreafico, cloud customer engineering lead di Google. “Le aziende più grandi possono accelerare i cambiamenti e migliorare l’economia: in questo caso il punto chiave è definire una strategia ibrida che aiuti le imprese a definire ciò che è meglio eseguire nel cloud e ciò che ha senso mantenere on-premise. D’altro canto, se anche un cliente non sta esplorando nuove alternative ma dispone di una tecnologia su cui ha già effettuato investimenti dal punto di vista dello sviluppo applicativo, la piattaforma cloud ha ancora senso per molti dei workload che si prendono in considerazione, per ragioni finanziarie, risparmi operativi e flessibilità nella gestione del carico in crescita o in contrazione. In questi casi un approccio ibrido è la chiave per sfruttare il meglio dei due mondi e per aumentare la competitività della propria azienda”. A.A.

LO SPEZZATINO DEL CLOUD Dalla registrazione di contratti intelligenti alla finanza, passando per la cybersecurity e la legittimazione del voto elettorale. I possibili ambiti di utilizzo del blockchain, il registro distribuito cifrato più famoso del momento, sono sempre più numerosi. E lo storage non fa eccezione. Con il diffondersi di questo nuovo paradigma dirompente sono nate alcune startup che hanno avuto il merito di provare a ridefinire il concetto di storage in cloud. È il caso, ad esempio, di Storj e Sia. Entrambe le aziende stanno sviluppando progetti che hanno degli obiettivi in comune, fra cui quello di permettere di sfruttare un servizio di archiviazione decentralizzato, sicuro e tracciabile perché condiviso fra tutti gli utenti che fanno parte della rete. Mettendo a disposizione lo spazio libero dei dischi dei propri dispositivi, è possibile creare un enorme contenitore peer-to-peer a disposizione di chiunque, con la certezza che i file siano accessibili soltanto dal legittimo proprietario. Questo grazie al paradigma blockchain, che elimina il bisogno di ricorrere ad attori terzi per identificare con assoluta sicurezza l’identità dell’utente. La crittografia inoltre garantisce che, se anche dovesse riuscire a decifrare il contenuto di un singolo blocco, un hacker non possa mai risalire all’intero contenuto perché questo risulterebbe distribuito lungo tutta la catena.

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TECHNOPOLIS PER GRENKE

RINNOVO TECNOLOGICO NO PROBLEM Attraverso 15 filiali e una rete di seimila distributori l'azienda propone alle Pmi e ai professionisti italiani la formula del noleggio per hardware, software, macchinari, impianti per l'ufficio e altro ancora. Per garantirsi competitività ed efficienza, aziende e professionisti hanno bisogno di strumenti all’avanguardia e sempre aggiornati. Ma questa esigenza spesso si scontra con quella di un’adeguata sostenibilità finanziaria dei progetti di rinnovamento tecnologico e con la necessità di un impiego razionale degli investimenti. Come conciliare il continuo adeguamento di attrezzature e tecnologie con il mantenimento di adeguate risorse e capitali? Semplice: con il noleggio operativo. Forte di un’esperienza quarantennale nel noleggio di beni strumentali B2B, Grenke Locazione offre ai clienti il supporto necessario per dotarsi degli strumenti utili nella loro attività e per aggiornare continuamente tali strumenti. Grenke noleggia molto più di ciò che si può immaginare, facendo affidamento su un network di oltre seimila distributori in tutta Italia: grazie a questa rete e all’offerta proposta, si è certi di trovare sempre la soluzione più adeguata per il proprio business. Qualche esempio? Attrezzature It per ufficio, sistemi hardware e software, macchinari, arredamento, strumenti medicali, impianti telefonici, distributori automatici, sistemi di si38

curezza e illuminazione, carrelli elevatori e molto altro: qualsiasi sia la categoria di interesse, puoi preservare i tuoi capitali assicurandoti di utilizzare beni sempre performanti e rinnovabili, con formule comode che vanno da 24 a 60 mesi. Che cosa succede alla fine del contratto di noleggio? Nessun problema, anzi: proprio in questa fase Grenke offre ulteriori vantaggi. Nel caso si desideri sostituire le soluzioni adottate con le versioni più aggiornate, è possibile resistuirle a Grenke e attivare un nuovo noleggio con prodotti del tutto nuovi, selezionati dal cliente. Se invece i beni sono ancora efficienti e si desideri continuare a usarli, Grenke ricalcola il canone di noleggio, garantendo sconti fino al 40% su tutti i contratti prorogati. Le quindici filiali Grenke presenti in Italia sono a disposizione per ulteriori informazioni: www.grenke.it/it/sedi I VANTAGGI DELLA LOCAZIONE: • Mantenimento della liquidità • Miglioramento sensibile del rating creditizio • Sicurezza di pianificazione grazie ai canoni costanti • Tecnologia sempre aggiornata • Disponibilità anche per attrezzature di importo limitato, a partire da 500 euro • Vantaggi fiscali legati alla deducibilità dei canoni


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Equitalia Giustizia

PIÙ VELOCITÀ ED EFFICIENZA PER LE COMUNICAZIONI Avaya Aura assicura l'affidabilità dei sistemi di telefonia, videoconferenza e distribuzione di contenuti della società incaricata della gestione del Fondo Unico Giustizia e del recupero dei crediti di giustizia.

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n’Italia che lavora con efficienza, che comunica velocemente, che risparmia tempo e denaro grazie alla tecnologia. Parlando di Pubblica Amministrazione, tutto questo può non essere un miraggio. Un recente progetto di rinnovamento informatico ha regalato una marcia in più a Equitalia Giustizia, l’unica fra le agenzie del gruppo Equitalia non smantellata dal 1° luglio del 2017: a essa spettano, fra le altre cose, la gestione del Fondo Unico Giustizia e il recupero dei crediti di giustizia. In vista della riorganizzazione, all’inizio di quest’anno la società si è messa alla ricerca di una soluzione che potesse coniugare le comunicazioni telefoniche e VoIp con le attività Unified Communication and Collaboration. Era necessario, infatti, che si dotasse di piattaforme informatiche proprie, indipendenti dalle tecnologie usate in precedenza. “I nostri utenti e clienti sono gli uffici giudiziari distribuiti sul territorio italiano”, illustra Patrizia Gabrieli, responsabile organizzazione, pianificazione e sistemi informativi di Equitalia Giustizia, “ed è quindi molto importante

per noi poter comunicare e collaborare a distanza con loro, ma anche poter gestire delle distribuzioni multimediali e servizi di videoconferenza”. A queste esigenze si affiancano quelle, comuni a ogni azienda di una certa dimensione, di sfruttare la tecnologia per supportare delle “riunioni virtuali”, che non richiedano la compreLA SOLUZIONE La piattaforma Avaya Aura è utilizzata quotidianamente per erogare servizi di centralino telefonico e VoIp, per i meeting aziendali e per il contact center. All’occorrenza, permette anche di fornire servizi di formazione a distanza, di condivisione e di distribuzione multimediale, a beneficio degli uffici giudiziari sparsi sul territorio. La cifratura delle comunicazioni assicura protezione ai dati anche in caso di accesso alle sessioni di videoconferenza tramite smartphone e tablet.

senza fisica dei partecipanti all’interno di una stanza. La scelta del fornitore è quindi ricaduta su Avaya, per diversi motivi. Il primo è la disponibilità delle sue soluzioni sul mercato Consip, fatto che ha garantito una notevole semplificazione delle procedure di acquisto. “Un altro vantaggio”, spiega Gabrieli, “è che l’impatto sul change management è stato piuttosto limitato, dato che Avaya ci ha supportati in tutte le fasi di configurazione e integrazione con i sistemi e gli applicativi esistenti. Calare la nuova tecnologia nell’organizzazione aziendale è stato un passaggio importante”. Nel corso di alcuni mesi (dopo la selezione del vendor, il progetto è partito a inizio anno e si è concluso in autunno) è stata quindi adottata la piattaforma Avaya Aura, grazie alla quale Equitalia Giustizia ha potuto implementare un nuovo protocollo di comunicazione non solo per le sessioni telefoniche in VoIp, ma anche per le distribuzioni multimediali e per le videoconferenze. “Ora”, racconta la responsabile dei sistemi informativi, “possiamo comunicare e distribuire servizi verso gli uffici giudiziari sparsi sul territorio. Inoltre una riunione del consiglio di amministrazione, per fare un esempio, potrà non richiedere più la presenza in loco dei partecipanti, perché possiamo condividere documenti attraverso una piattaforma basata su voce e multimedialità”. Una futura estensione del progetto potrà riguardare le comunicazioni da dispositivi mobili: l’idea è quella di poter usare smartphone e tablet non solo per partecipare ai meeting in videoconferenza, ma anche per condividere documenti via Web e per approvare i verbali delle riunioni. DICEMBRE 2017 |

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Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

UN UNICO INTERLOCUTORE PER LAVORARE MEGLIO Il Ministero ha affidato a Fujitsu, con un contratto settennale, il ruolo di fornitore esclusivo di servizi It per la gestione e la manutenzione di data center, reti, sistemi di telefonia e videoconferenza.

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n’architettura basata sul cloud privato, il passaggio a una logica di “servizio” e il ricorso a un unico fornitore di hardware e servizi It. Su questi tre pilastri il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fondato un progetto avviato l’anno scorso e mirato a incrementare le prestazioni della tecnologia, ma anche a renderne più semplice ed efficace la gestione. “Volevamo dare un segnale di discontinuità, facendo evolvere l’infrastruttura tecnologica verso una logica di servizio di qualità”, racconta Daniele Lunetta, It manager del Ministero. Il progetto è stato avviato cogliendo l’occasione dell’imminente scadenza dei contratti di gestione e manutenzione dei due data center, così come di quelli di gestione delle postazioni di lavoro. “Avevamo deciso di far evolvere l’infrastruttura tecnologica di pari passo con l’importante trasformazione in atto”, spiega Lunetta, “e volevamo essere in grado di servire non solo gli utenti interni. Avremmo quindi adottato una logica di servizio e un’architettura basata sul cloud privato, che ci avrebbe consentito di elevare gli standard qualitativi e anche di arricchire e poi monetizzare i servizi che avremmo erogato”. Il primo passo è stato il rafforzamento e l’implementazione di funzioni di backup e disaster recovery nel secondo data center del Ministero, posto a 700 chilometri di distanza da quello di Roma. È poi cominciata la ricerca di un nuovo partner tecnologico, che potesse sostituire la molteplicità dei soggetti fino ad allora incaricati della gestione e manutenzione dei due siti, nonché degli impianti di telefonia e teleconferenza, dell’help desk di 40

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LA SOLUZIONE Fujitsu è per il Ministero il fornitore unico di servizi It di gestione e manutenzione per i due data center, gli impianti di telefonia e videoconferenza, l’help desk, i sistemi di rete, le infrastrutture Microsoft e Oracle (compresa la piattaforma mission critical Oracle Unix), le soluzioni di Business Intelligence e di gestione documentale. La manutenzione viene condotta con logiche “gestite”, quindi con attività proattive e interventi volti a intercettare e risolvere i problemi prima che questi possano creare disservizi.

primo e secondo livello, degli apparati di rete e delle infrastrutture basate su tecnologia Microsoft e Oracle. La selezione, condotta attraverso uno degli strumenti Consip, è approdata su Fujitsu: l’azienda è diventata l’interlocutore unico per l’erogazione dei servizi al “nuovo” Ministero, con un contratto di sette anni. “Il rapporto tra Fujitsu e il Ministero nasce parecchi anni fa”, racconta l’It manager, “ma nel caso specifico la multinazionale giapponese è riuscita a proporre l’offerta migliore sia in termini di costi-benefici sia in termini di vision”. L’ambizione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è quella di diventare uno tra i non oltre venti soggetti della Pubblica Amministrazione che erogheranno servizi sia ai cittadini, sia a enti terzi e a intermediari. “Abbiamo concordato una serie di Sla (Service Level Agreement, ndr)”, spiega ancora Lunetta. “Le piattaforme più strategiche prevedono ad esempio un intervento entro le quattro ore lavorative sette giorni su sette, parametri che una volta erano tipici delle grandi imprese e che oggi sono efficacemente applicati anche alla Pubblica Amministrazione”. Fujitsu ha destinato al progetto un team di 26 persone, impegnate in opere delicate come quella del bilanciamento tra i servizi erogati da soluzioni on-premise e quelli in cloud. Il presente è già carico di vantaggi: un incremento del livello dei servizi It, l’introduzione della manutenzione gestita e proattiva, la possibilità di implementare backup e recovery. Per il futuro, invece, si stanno studiando nuove soluzioni da adottare sia per le attività di manutenzione, sia per l’erogazione di ulteriori servizi.


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Mediaset

UNA NUOVA RETE PER LA TV DELL'ERA DIGITALE L'emittente televisiva ha realizzato ex novo un'infrastruttura di networking basata su tecnologia Huawei. Un cambiamento necessario per evolversi e per sviluppare servizi di Internet Tv.

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ediaset non ha bisogno di presentazioni, essendo un protagonista storico della televisione italiana e qualificandosi ancora oggi come la principale emittente privata del nostro Paese, oltre che come casa di produzione e distribuzione cinematografica. Per restare competitiva nell’era dei servizi di streaming, senza cedere il passo a realtà come Netflix e Amazon Prime Video, l’azienda due anni fa ha deciso di riprogettare la propria infrastruttura informatica. “Anche se continuiamo a trasmettere via etere, non c’è dubbio che la trasmissione attraverso Internet sarà una parte crescente del nostro business in futuro”, spiega Stefano Bossi, responsabile della nuova area Video Content Management Systems di Mediaset. “Siamo determinati a guidare il mercato italiano in questo ambito, ma ci siamo resi conto un paio di anni fa che la nostra infrastruttura It esistente non era all’altezza del compito”. Il problema principale era rappresentato dal fatto che la rete si fosse sviluppata in modo non strutturato: in gran parte risultava esternalizzata e affidata a una gestione costosa. Era priva, inoltre, della flessibilità necessaria per poter sostenere la nuova strategia. L’unica strada per-

corribile era quella di costruire da zero una nuova rete, tutta gestita internamente. “La nostra esigenza”, racconta Bossi, “era trovare una soluzione completa che fornisse infrastruttura server, connettività Internet e archiviazione dei contenuti video. Abbiamo invitato diversi fornitori a presentare proposte e, dopo una revisione commerciale iniziale di ciascuna di esse, ne abbiamo selezionate tre per procedere a una valutazione tecnica proofof-concept più approfondita”. Dai test è emerso come la soluzione di Huawei, proposta dal system integrator MediaPower per i componenti It e da BT per i componenti di protocollo Internet e per la gestione della rete, offrisse il miglior mix in termini di prestazioni, scalabilità e affidabilità. Prima di procedere con l’implementazione, per una settimana l’azienda ha eseguito ulteriori test in un impianto di prova realizzato in Cina. “Sebbene la differenza in termini di costi rispetto ai concorrenti fosse minima, la soluzione ‘a prova di futuro’ di Huawei era ineguagliabile”, sottolinea Bossi. La nuova infrastruttura di rete ha permesso di ottenere risparmi significativi sui costi gestionali e operativi, ma anche migliori livelli di prestazioni e affidabilità, che sono la base su cui verranno costruiti i

futuri progetti di “Internet Tv”. Per il team di marketing, inoltre, le funzionalità della nuova rete hanno già stimolato la nascita di idee su progetti futuri. Non ultimo, c’è poi il vantaggio della user experience: “Come tecnico”, conclude Bossi, “ciò che mi ha veramente colpito dei prodotti Huawei è la loro semplicità d’uso. Sono facili da controllare ed è possibile risolvere rapidamente eventuali problemi, aspetto ovviamente di fondamentale importanza nel nostro business”. LA SOLUZIONE La soluzione verticale IP di Huawei si basa sugli switch per data center CloudEngine serie 6800, che offrono prestazioni a elevata velocità su porte da 10 e 40 Gbit, e sul router backbone NetEngine 40E, un sistema di fascia alta che garantisce piena ridondanza in tutti i suoi componenti. L’infrastruttura di distribuzione video realizzata da Mediaset è costituita da una farm di 14 server RH2288 e due sistemi di storage Nas OceanStor 9000, divisi su due siti.

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Sorgenia

NUOVA “ENERGIA” ALLE VENDITE CON L'INCENTIVE COMPENSATION Grazie alla tecnologia di Callidus e a un progetto curato da Accenture, i tempi di calcolo degli incentivi ai venditori sono stati ridotti del 70%. LA SOLUZIONE Callidus è un sistema in cloud che permette un certo grado di personalizzazione. Include un software per il calcolo delle quote e un portale Web a disposizione della forza vendite. Sorgenia ha creato dei piani di quote calculation di base che sono poi stati customizzati dopo il “go live”, eliminando la stratificazione dei piani che vigeva precedentemente. Usano la soluzione una ventina di utenti interni e duecento agenti di vendita.

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arte della vendita va premiata al meglio, anche nel campo dell’energia. Sorgenia, uno tra i principali fornitori di elettricità e gas naturale per il mercato residenziale e business in Italia, ha scelto di considerare l’incentive compensation come un motore della propria crescita. L’azienda nata nel 1999 era alla ricerca di tecnologie che potessero supportare l’aumento dei contratti e dei clienti, ma che la aiutassero anche nella creazione di piani di vendita allo stesso tempo semplificati, flessibili e personalizzabili. La risposta è giunta con Callidus, una soluzione di quote calculation (ma non solo) a cui Sorgenia è approdata con l’aiuto di una fra le più grandi società di consulenza e di servizi tecnologici. “Con Accenture abbiamo un contratto di un full outsourcing per la direzione It”, spiega il sales development manager di Sorgenia, Matteo Viganò. “Abbiamo chiesto loro di supportarci in un’opera di selezione del software che fosse anche basata sulle indicazioni del 42

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Magic Quadrant di Gartner. E siamo arrivati a Callidus dopo aver verificato la copertura funzionale e di requisiti di business”. L’azienda ha voluto che fosse realizzato un proof-of-concept utile per dimostrare la validità della metodologia di sviluppo Agile, quella che prevede la creazione di molti prototipi su cui fare correzioni in corso d’opera. “Questo per noi è stato molto importante”, specifica Viganò, “perché ci ha consentito di fare fine tuning e di andare live in soli tre mesi con la parte principale della soluzione, ovvero quella di quote calculation. Per essere certi di non avere problemi, abbiamo verificato la validità del nuovo metodo eseguendo una prima volta i calcoli con il metodo tradizionale”. Dopo aver creato i nuovi piani di quote calculation, Sorgenia ha adattato Callidus ad alcuni suoi processi aziendali, mentre successivamente sono stati realizzati il portale rivolto alle agenzie e la parte di approvazione dei pagamenti. Il portale di interfacciamento con i partner, sot-

tolinea Viganò, “è una delle motivazioni per cui abbiamo scelto Callidus. Ora possiamo gestire tutte le comunicazioni con le agenzie non più via email ma sul portale”. I risultati ottenuti hanno confermato la bontà del progetto: in soli sei mesi le acquisizioni si sono triplicate e le agenzie partner sono raddoppiate. Si è ottenuta, inolte, una riduzione di circa il 70% dei tempi di calcolo e del 30% sui costi. “Il vecchio tool”, racconta il manager, “su grossi volumi richiedeva alcuni giorni per eseguire le operazioni, mentre adesso possiamo farlo in un paio d’ore e possiamo lanciare calcoli successivi per fare eventuali correzioni. Il taglio dei costi è anche dovuto al fatto che una delle persone precedentemente addetta alla compensation ora è stata destinata ad attività più strategiche e a valore aggiunto”. A questi benefici si sommano quelli generati dal portale: è possibile tenere traccia delle dispute e rispondere più velocemente, mentre l’invio delle commissioni è diventato più rapido.



ITALIA DIGITALE | Industria 4.0

Crescono gli investimenti in nuove tecnologie del comparto industriale, sull'onda degli sgravi fiscali previsti dal Governo per l'innovazione del manifatturiero: spesi circa 1,7 miliardi di euro in un anno. Il salto in avanti riguarda però solo una minoranza delle piccole e medie imprese.

FABBRICA DIGITALE, IL PIANO FUNZIONA. A METÀ

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occasione, l’ennesima, per fare il punto sullo sviluppo del fenomeno Industria 4.0 in Italia è stato il Forum Annuale del Comitato Leonardo, tenutosi a Milano a metà novembre. Si è discusso, sfruttando i dati di una ricerca realizzata da Kpmg Advisory, delle dimensioni di questo fenomeno, di come sia stato recepito dagli imprenditori il piano varato un anno fa dal Governo e di quali risultati questo abbia raggiunto. Sorprende in positivo il livello di conoscenza degli imprenditori italiani nei confronti del Piano: tre su quattro si sono dichiarati informati sulle misure varate dal Governo. Per contro, perma44

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PROROGATA LA LEVA DEGLI INCENTIVI La legge di Bilancio 2018 mette a disposizione per la Sabatini ter 330 milioni di euro per il periodo 20182023 e viene costituita una riserva del 30% da destinare agli investimenti previsti dal piano Industria 4.0. Sono i tratti salienti della nuova dotazione finanziaria che estende i benefici legati all’innovazione tecnologica per quelle imprese (micro, piccole e medie, iscritte negli appositi Registri) operanti sul territorio nazionale in tutti i setto-

ri produttivi, inclusi agricoltura e pesca. L’altra buona notizia per le aziende manifatturiere arriva dalla proroga del super-ammortamento per l’acquisto di macchine utensili, che passerà però al 130% dal precedente 140%. I benefici fiscali dell’iper-ammortamento per gli investimenti (effettuati entro il 31 dicembre 2018) in beni e apparati funzionali alla digitalizzazione dei processi produttivi conserveranno, invece, l’aliquota del 250%.


ne un gap in alcuni settori, come quello del commercio, e nelle imprese più piccole. E spicca, fra i vari indicatori, una tendenza: in assenza delle misure di incentivo, il 48% delle realtà che hanno effettuato investimenti avrebbe stanziato un budget inferiore e il 5,6% della spesa non sarebbe stata effettuata. Se fra gli strumenti fiscali più utilizzati dominano il super-ammortamento e l’iper-ammortamento (sfruttati nel 43,8% e nel 51,4% dei casi censiti, mentre del credito d’imposta per attività di R&D hanno beneficiato il 29,2% delle imprese), c’è una voce che catalizza le tecnologie abilitanti della quarta rivoluzione industriale. Quale? Quella dell’insieme delle soluzioni di “advanced manufacturing”, adottate da un’impresa su due. Minore attenzione è stata invece rivolta alle tecnologie dell’Industrial IoT (28,5% delle imprese), ai Big Data e agli strumenti di analytics (27%) e al cloud (26%). Per quanto riguarda la formazione professionale, infine, circa il 70% delle imprese avvierà iniziative specifiche e anche in questo caso le realtà più interessate saranno le aziende di grandi dimensioni e quelle appartenenti al settore industriale in senso stretto. Per avere un’idea più precisa di quanto le aziende abbiamo messo mano alla cassa per investire in innovazione per l’Industry 4.0, ci arriva invece in aiuto uno studio condotto dal Politecnico di Milano su un campione di 240 aziende medie e grandi. Ebbene, l’effettiva entità della spesa in tecnologie pilotata dagli incentivi è di circa 1,7 miliardi di euro, e cioè circa il 15%-20% degli investimenti industriali, che nel complesso valgono tra gli 8 e i 10 miliardi. Le aziende hanno scommesso soprattutto in soluzioni IoT (sensori e chip collegati alla rete per la gestione dei macchinari) per un miliardo di euro, in sistemi di analytics dei dati industriali (330 milioni di euro), in soluzioni cloud (150 milioni), in automazione avanzata (120 milioni) e in interfacce uomo-macchina (20 milioni). Se il trend di investimento fosse mantenuto nei

FEDERMECCANICA: LE PMI FACCIANO RETE “Anche fare sistema è una forma di innovazione, e in tal senso le piccole imprese italiane hanno una formidabile opportunità di crescere. La politica industriale deve sviluppare un ecosistema favorevole ma serve formazione, perché l’investimento sulle persone è uno dei fattori strategici della competizione globale”. L’ammonimento di Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica, pur lanciato un paio di mesi fa, non rischia di diventare obsoleto in tema di strategie che favoriscano la digitalizzazione del manifatturiero. Anzi, tutt’altro. Sono molti, infatti, gli addetti ai lavori che ricordano come Industria 4.0 non possa essere solamente l’acquisto di nuovi macchinari, sensori o software, ma debba prevedere un cambiamento di modelli produttivi e organizzativi. È necessaria un’evoluzione della cultura industriale e in questo solco la formazione risulta

I risultati del primo anno del Piano Industria 4.0 sono molto incoraggianti: la via italiana, basata su sgravi diretti alle imprese, ha dato impulso alla produzione industriale e agli investimenti in tecnologie abilitanti. Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo

prossimi dodici mesi, si potrebbe ipotizzare per l’industria italiana una spesa in innovazione sensibilmente più strutturata, per quanto ancora non omogenea. Nelle piccole e medie imprese, come ha ricordato Elio Catania di Confindustria Digitale, il processo di digitalizzazione interessa solo una realtà su dieci (i dati

fondamentale, a tutti i livelli. Da qui l’auspicio, di Federmeccanica ma non solo, di misure fiscali che incentivino lo sviluppo di aggregazioni finalizzate alla crescita delle aziende e la formazione specifica su temi legati all’innovazione. Quello delle competenze è oggi il principale fra gli ostacoli che le aziende devono superare per allinearsi al piano Industria 4.0. La via per recuperare il ritardo che ancora zavorra l’Italia (secondo Eurostat, solo il 29% della nostra forza lavoro dispone di conoscenze digitali elevate) è tracciata. Peccato che – l’allarme lo ha lanciato il ministro Calenda a inizio novembre – il ritardo sui competence center previsti dal piano sia “tragico”. Problema rimediabile? Speriamo. Intanto i bandi per questi centri dovrebbero poter contare sui 30 milioni di euro di finanziamenti stanziati nella precedente manovra e non ancora utilizzati.

sono dell’Ocse e confermano come su quattro milioni di Pmi solo 800mila siano coinvolte in progetti di Industria 4.0), ma fa ben sperare il fatto che il 28% delle aziende abbia già implementato soluzioni in tal senso. La sfida della consapevolezza verso il “fenomeno” è dunque vinta, come sostiene qualcuno? Probabilmente sì, e non fa certo male sapere che, come ha confermato Francesco Cuccia, capo della segreteria tecnica del Mise, l’obiettivo del biennio 2017/2018 del Governo è quello di stimolare 10 miliardi di investimenti privati in più per il piano Industry 4.0 (divenuto da poco “Impresa 4.0”) attraverso il rinnovo degli incentivi fiscali. Dare volano all’innovazione e all’occupazione in modo sistemico resta, in ogni caso, un obiettivo ancora lontano da raggiungere. Piero Aprile 45


ITALIA DIGITALE | Startup & Pmi Innovative

L’ECOSISTEMA CRESCE, LE OMBRE RIMANGONO Il fatturato 2016 delle startup italiane ha superato i 700 milioni di euro e in cinque anni ne sono fallite soltanto 500 su 7.400. Solo poche aziende, però, hanno dimensioni che permettono di fare il salto. E una su due ha chiuso l’esercizio fiscale in perdita.

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tutto il 30 settembre 2017, nella sezione speciale del Registro delle Imprese risultavano iscritte 7.854 startup innovative, 460 in più rispetto al consuntivo di fine giugno. Nel momento in cui scriviamo (metà novembre) sono poco meno di ottomila e il dato è destinato a crescere. L’aumento della popolazione complessiva delle nuove imprese, pari a circa lo 0,5% delle oltre 1,6 milioni di società di capitali (attive e inattive) registrate in Italia, si rispecchia in un altro dato che attesta un’importante accelerazione del percorso di crescita 46

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dell’ecosistema, quello relativo al valore aggregato della produzione. Detto che i bilanci dell’esercizio 2016 presi in considerazione coprono meno del 60% di questa popolazione (nei restanti casi, i dati non sono ancora stati resi pubblici oppure l’impresa è stata costituita solo quest’anno), il fatturato delle startup iscritte nel registro ha sfondato il tetto dei 700 milioni di euro: 726,1 milioni, più precisamente. Si superano di gran lunga i 414 milioni contabilizzati nei bilanci relativi al 2015 . L’ultima edizione del rapporto trimestrale sulle tendenze demografiche ed

economiche delle startup innovative italiane, redatto dal Ministero dello Sviluppo Economico e da InfoCamere in collaborazione con UnionCamere, offre dunque diverse ragioni di ottimismo. Osservando gli indicatori finanziari, per esempio, spicca il giro d’affari medio per startup: nel 2016 era salito a circa 160 mila euro, 45mila in più rispetto alla media rilevata nei bilanci dell’anno precedente. Ma meno di 300 neoimprese superano i 500mila euro di fatturato. Numeri ancora limitati in valore assoluto, quindi, anche se va registrata la tendenza al rialzo. Molto interessante è


poi l’indice che misura la propensione a investire: il rapporto tra immobilizzazioni e attivo patrimoniale risulta pari al 26,8%, percentuale otto volte maggiore di quella media delle altre società di capitali italiane. Le notizie positive, in chiave economica, finiscono però qui. Il reddito operativo totale delle startup innovative nel 2016 è stato negativo (per poco meno di 83,7 milioni di euro, peggio quindi dei 63,5 milioni del 2015) e la maggioranza delle società iscritte nel Registro (il 57,3%) ha chiuso l’esercizio in perdita, confermando lo scenario registrato dodici mesi prima. Quanto al livello di mortalità delle nuove imprese (tema che sarà ampiamente ripreso nella relazione sullo Startup Act che verrà presentata al Parlamento entro fine anno dal Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda), al 30 giugno 2017 le nuove imprese “cessate” erano 479 su un totale storico di 9.300 (il 5,1%), mentre 1.400 aziende risultavano uscite dalla sezione del Registro per il venir meno dei requisiti base. Il Trentino Alto Adige presenta la percentuale più alta di aziende fallite (il 9,4% su 308) mentre la Lombardia si ferma al 4,7% (98 su 2.100). Per tre quarti delle startup che hanno terminato l’attività il valore della produzione era inferiore ai 100mila euro (parliamo di circa 360 imprese), mentre solo sette hanno chiuso i battenti pur fatturando oltre i 500mila euro. Che cosa ci dicono questi numeri? Riflettono la cronica mancanza competenze e infrastrutture e capitali necessari per il decisivo salto in avanti digitale italiano? E il livello di mortalità è da considerarsi fisiologico? L’universo italiano delle startup – questa una possibile risposta – ha caratteristiche peculiari, riflette un particolare tessuto economico e dà la sensazione di essere ancora alla ricerca di una sua vera e definitiva identità. Più importante del tasso (peraltro non alto) di mortalità registrato, e più importante della modestia dei volumi di fatturato. Gianni Rusconi

OPEN INNOVATION AVANTI TUTTA Sfiorano quota settemila le imprese che hanno partecipazioni nelle nuove imprese innovative. La “sfida” con i venture capital. Sono 6.727 le società che hanno investito quest’anno in startup tecnologiche, il 31% in più rispetto al 2016. E sulle circa 8.000 imprese innovative iscritte nell’apposito Registro (curato da Infocamere per il Ministero dello Sviluppo Economico e le Camere di Commercio) 2.154 possono vantare almeno una partecipazione di un socio corporate. La fotografiaemersadall’Osservatorio promosso da Assolombarda, Italia Startup e Smau, in collaborazione con Cerved Group, ci dice in estrema sintesi che la propensione delle aziende private a scommettere sulle nuove realtà imprenditoriali è elevatissima. Se guardiamo alle diverse tipologie di impresa, appare evidente come gli investimenti siano in ascesa in modo trasversale, dalle grandi (che vantano la percentuale più elevata di investitori, pari al 6,7%) alle piccole e micro organizzazioni, che sono il cluster più numeroso e con i tassi di crescita più sostenuti (fino al 45%). Su scala territoriale, l’Osservatorio evidenzia invece che la maggior parte dei soci “corporate”, e precisamente il 66%, ha sede nel Nord della Penisola e ma che le operazioni destinate alle startup del Centro Sud stanno progressivamente aumentando. Il 56% delle aziende scommette su una realtà domiciliata al di fuori del territorio della propria Regione, mentre la quasi totalità (il 95%) punta su im-

prese di settori differenti dal proprio mercato di riferimento. Altra voce interessante, infine, è quella relativa agli investitori “seriali”: il 18% delle aziende (487 società) è entrato direttamente nel capitale di almeno due startup, con un incremento del 36% rispetto all’anno precedente. Il fenomeno dell’open innovation in Italia sembra, dunque, scoppiare di salute. Ma sarà un volano decisivo per lo sviluppo dell’ecosistema delle nuove imprese tecnologiche? Più degli investitori di rischio specializzati in innovazione, e quindi fondi di venture capital, incubatori e business angels? Questi ultimi, secondo lo studio, hanno scommesso su circa 1.250 imprese, 700 delle quali sono startup nate dopo il 2010 (e di queste solo 287 sono iscritte nel Registro). La presenza dei soci corporate nel capitale delle “new co.” innovative è dunque sicuramente superiore rispetto a quella dei fondi di investimento. Non conosciamo però il valore delle operazioni concluse, né sappiamo quante di queste riflettano strategie di crescita e diversificazione del business (per acquisizione di quote societarie terze) piuttosto che veri progetti di innovazione. Secondo Alvise Biffi, coordinatore dell’Industry Advisory Board di Italia Startup, “il corporate venture capital è uno strumento di innovazione anche per le Pmi e ha il merito di abbassare la mortalità delle startup, di renderle più patrimonializzate e di connetterle in modo più rapido al mercato”. Basterà a dare fiato all’ecosistema imprenditoriale italiano? G.R.

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PROVE DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE MOBILE Sempre più sofisticati, i nuovi smartphone introducono un livello di innovazione superiore e puntano su capacità cognitive. L’obiettivo: diventare un “cervello” che affianca l’utente nella sua quotidianità.

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uali sostanziali passi in avanti hanno compiuto gli smartphone di ultima generazione? Come hanno lavorato Samsung, Apple, Huawei e Google per fidelizzare gli utenti o convincerli a spendere di più per acquistare nuovi modelli top di gamma? Schermi, fotocamera, autonomia delle batterie, usabilità e cura del design sono le componenti che, a ogni nuovo rilascio, promettono miglioramenti rispetto all’offerta precedente. Ma non è su questo piano che si gioca la sfida dell’innovazione, bensì su quello del software, dei sensori e dei chip che costituiscono il “cervello” dei nuovi telefonini. L’intelligenza artificiale – e gli ultimi annunci lo confermano – è il nuovo verbo che avanza. Siamo solo all’inizio, bene ricordarlo, e non a torto c’è chi precisa come sia forse più corretto parlare di machine learning (apprendimento automatico) più che di vera e propria “artificial intelligence”. Huawei Mate 10 Pro, Samsung Galaxy S8 e Note 8, Apple iPhone X e Google Pixel 2 sono i simboli di una nuova frontiera, oggetti in grado di imparare attraverso i dati e di redistribuire questa conoscenza sotto 48

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forma di funzionalità più intelligenti e più intuitive. Sperando che siano anche più utili nella vita di tutti i giorni. La tecnologia Face ID di Apple, utile per per lo sblocco del telefono attraverso il riconoscimento del volto (si può usare, per esempio, insieme a Apple Pay per pagare alla cassa nei negozi semplicemente guardando lo schermo dell’iPhone), sfrutta un componente del processore

Huawei Mate 10 Pro Il nuovo top di gamma della casa cinese (849 euro a listino) si presenta con il plus dichiarato del nuovo chip neurale Kirin 970 che gestisce la fotocamera con doppio sensore. Lo schermo da 6 pollici Oled, da 2.160 x 1.080 pixel, è in formato 18:9.


A11 Bionic che è preposto a replicare il funzionamento di una rete umana di neuroni, eseguendo fino a 600 miliardi di operazioni al secondo. Un’avanguardia, se parliamo di intelligenza artificiale applicata agli smartphone, ma non certo l’unica. Il Pixel 2 XL di Google, per esempio, oltre a beneficiare della localizzazione in italiano del maggiordomo virtuale Assintant, si fa notare per le funzionalità di machine learning integrate con l’algoritmo del motore di ricerca, che cambiano le modalità d’uso della fotocamera. Che cosa rende perfetti i ritratti con sfondo sfocato, con effetti da macchina professionale? Una rete neurale, sviluppata dagli ingegneri di Mountain View, grazie alla quale lo smartphone può continuare ad apprendere dai dati e dalle abitudini dell’utente

e riconoscere quali pixel dell’immagine appartengano a una persona e quali no. L’idea di creare un chip dedicato soltanto alle funzioni di intelligenza artificiale è venuta anche a Huawei, che nel suo Mate 10 Pro ha fatto debuttare Kirin 970, una Npu (acronimo di Neural Processing Unit) che si affianca nella scheda madre alle classiche Cpu e Gpu. Questa iniezione di capacità logiche nel motore dello smartphone comporta diversi vantaggi, fra cui quello di poter ridurre il degrado delle prestazioni del dispositivo nel tempo: seppur invisibile, si tratta di un beneficio non indifferente. Molto più tangibile è, invece, l’intervento dell’intelligenza artificiale sulle impostazioni di scatto della fotocamera, che il telefono regola in automatico in funzione del soggetto inquadrato (un volto, un

paesaggio e così via) e delle condizioni di luce ambientale. Il chipset Kirin 970 è dunque in grado di riconoscere oltre duemila immagini per minuto, una dote che si rivelerà sempre più utile via via che si renderanno disponibili applicazioni (di terze parti) sviluppate ad hoc per il processore neurale. Ad oggi, insomma, gli smartphone più evoluti in commercio sono alle prime esperienze con l’AI e si traducono nella capacità di prendere, in tempi rapidissimi, “decisioni” basate sulle informazioni disponibili. Per i dispositivi mobili che sapranno guidarci in tutto e per tutto nella nostra quotidianità digitale c’è dunque ancora tempo. Ma qualche importante passo in avanti, indubbiamente, è stato fatto. Gianni Rusconi

SCATTI PERFETTI GRAZIE AL MACHINE LEARNING Intelligente, “fotografico” e sempre connesso al cloud. A novembre è arrivato anche in Italia il Pixel 2 XL, il nuovo smartphone top di gamma di Google (989 euro). Una novità assoluta per il nostro Paese, perché la prima generazione di cellulari interamente realizzati dal colosso californiano non era stata commercializzata nella Penisola. Il Pixel 2 Xl ha un display Oled Qhd (2.880 x 1.440, formato 18:9) da 6 pollici, processore Qualcomm Snapdragon 835, 4 GB di Ram e 64 GB di capacità di archiviazione. Limitata per un apparecchio top di gamma? Fino al 15 gennaio 2021 immagini e video salvati sul telefono verranno trasferiti e mantenuti gratuitamente in qualità originale, senza limiti di spazio, su Google Foto. A partire da quella data, l’offerta varrà soltanto per le fotografie. Un servizio interessante, considerando le doti dell’obiettivo del Pixel 2 XL, che

dispone di un sensore da 12 megapixel in grado di eseguire una serie di scatti in una frazione di secondo e di scegliere, grazie all’intelligenza artificiale, la posa migliore. Con l’Hdr+ automatico, inoltre, il sistema legge la scena e, in base al soggetto e alle condizioni di lu-

minosità, sceglie la modalità più adatta al contesto. Lo smartphone dà quindi nuova forma alla visione di Google: gli algoritmi di machine learning possono essere integrati nei dispositivi più comuni, con l’obiettivo di assistere l’utente nella sua quotidianità.

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LG V30 Lg è stata tra le prime aziende a proporre degli smartphone con display cinematografici 18:9, e il V30 non fa eccezione. Un dispositivo “generoso”, con schermo da 6 pollici e con 64 GB di storage (ma la variante V30+ arriva a 128 GB), al cui interno batte un processore Qualcomm Snapdragon 835. La doppia fotocamera posteriore ha un sensore da 16 megapixel (f/1.6) e un altro da 13 megapixel (f/1.9) ultragrandangolare con flash Led dual-tone e lenti Crystal Clear. La capiente batteria è da 3.300 mAh con tecnologia Quick Charge. In Italia è disponibile esclusivamente nel colore nero (aurora black) al prezzo di 950 euro.

SAMSUNG NOTE 8 Chiamata a reagire al fiasco dell’incendiario (nel verso senso della parola) Note 7, Samsung non ha deluso: il Galaxy Note 8 è stato uno dei cellulari più attesi dell’anno e ad oggi è uno dei più apprezzati. In realtà si tratta di un phablet, in quanto la diagonale del display è di 6,3 pollici, dimensione più che sufficiente per essere produttivi anche in mobilità. La principale differenza con l’S8 è lo stylus S-Pen di serie, che permette anche di esprimere la creatività disegnando a mano libera sullo schermo. L’assistente vocale Bixby pienamente supportato in italiano (il rilascio della versione full è previsto per inizio 2018) completerà il quadro. Il prezzo è di 999 euro.

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ASUS ZENFONE 4 PRO Parte della numerosa famiglia Zenfone 4, la variante Pro offre specifiche hardware di fascia più alta rispetto ai fratelli. All’interno operano un processore Qualcomm Snapdragon 835 a otto core da 2,4 GHz, affiancato da scheda grafica Adreno 540 e da 6 GB di Ram. Pensato per un pubblico più giovane, lo Zenfone 4 Pro presenta un elegante profilo in metallo lucido dello stesso colore del vetro posteriore, con un sistema dual camera: il primo sensore è da 12 megapixel (f/1.7) stabilizzato otticamente, mentre il secondo è da 16 megapixel. Il dispositivo consente di registrare video con risoluzione 4K. Il prezzo è di 899 euro.

APPLE IPHONE X L’iPhone X si candida certamente a diventare l’oggetto tecnologico più desiderato degli ultimi mesi. In Italia è disponibile da poche settimane e nel frattempo ha infranto diversi record, come quello del prezzo: con i suoi 1.189 per la versione da 64 GB è il cellulare più costoso di sempre. Ma a essere da primato è anche la tecnologia di Apple, pensata per rendere l’iPhone X un prodotto

davvero esclusivo. La grande novità è il sistema di sblocco Face ID, che permette di accedere al telefono semplicemente guardando lo schermo. Una soluzione di autenticazione biometrica infallibile, secondo la Mela, che riconosce l’utente anche quando indossa occhiali e cappello o dopo che si è fatto crescere la barba. Il “segreto” è tutto nel chip A11 Bionic, che integra un motore neurale dotato di algoritmi di machine learning.


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