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NUMERO 45 | DICEMBRE 2020
STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
ITALIA VERSO LA NUOVA NORMALITÀ
Lo tsunami che ha travolto le nostre vite lascerà un segno indelebile? Il ruolo della tecnologia nel futuro del Paese.
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MODA CONTACTLESS
CYBERPANDEMIA
Lusso e lifestyle sono tra i settori più colpiti dagli effetti del covid-19. Il digitale li salverà? Faremo acquisti a distanza anche per i brand iconici?
Durante il lockdown abbiamo assistito a un aumento degli attacchi informatici. I dati dell'ultimo rapporto Clusit 2020.
EXECUTIVE ANALYSIS La trasformazione del settore bancario, accelerata dalla pandemia, cambia la relazione tra istituti e clienti.
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SOMMARIO 4 STORIA DI COPERTINA STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
N° 45 - DICEMBRE 2020 Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012 Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Valentina Bernocco Hanno collaborato: Roberto Bonino, Carmen Camarca, Roberto Masiero, Mario Nobile, Chiara Ornigotti, Vittoria Pietra, Angelo Tofalo, Elena Vaciago Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Shutterstock
Verso una nuova normalità
Execution: passare dalle parole ai fatti
Digitale e pandemia, un legame a doppio filo
Risorse, competenze, mentalità: le nuove sfide italiane
11 IN EVIDENZA
La resilienza della nazione e il ruolo della Difesa
Dal backup alla protezione del dato
Tenere tutto sotto controllo è un’impresa possibile
Ovhcloud e Google, la strana coppia
24 LOMBARDIA DIGITALE
Reti, mobilità, dati: in viaggio nel futuro
Trasporti, una rivoluzione all’insegna della complessità
L’Europa guarda al digitale (e allo spazio)
28 FASHION
Il digitale salverà moda e lifestyle?
Nel lusso non ci sarà un “new normal”
32 INFRASTRUTTURE Editore e redazione: Indigo Communication Srl Via Palermo, 5 - 20121 Milano tel: 02 87285220 www.indigocom.it Pubblicità: The Innovation Group Srl tel: 02 87285500
IT e security, due competenze da separare
Un mercato altalenante e in evoluzione
36 CYBERSECURITY
È scoppiata la “cyberpandemia”
Ransomware dalle grandi ambizioni
40 EXECUTIVE ANALYSIS
Una relazione sempre più digitale
Stampa: Ciscra SpA - Arcore (MB)
Sfide di trasformazione
© Copyright 2020 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.
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Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.
Università per Stranieri di Perugia – D-Link
Poste Italiane – Appian Irsap – Lenovo
InfoCert – Infinidat
Sara Assicurazioni – Tibco
Sky Italia – Vmware
STORIA DI COPERTINA
Lo tsunami del covid-19 ha travolto inaspettatamente le nostre vite, il sistema sanitario, la scuola, le imprese e il lavoro. Ma quanto saranno strutturali e profondi questi cambiamenti?
VERSO UNA NUOVA NORMALITÀ
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entre arrancavamo da anni alla ricerca di una mitica “killer app”, il pipistrello cinese ha fatto irruzione e ci ha imposto di tagliare la testa al toro: la digitalizzazione è decollata, le reti per fortuna hanno resistito, ma la nostra economia e la nostra società ne sono state stravolte. La domanda ora è: accadrà come con gli tsunami, che irrompono, devastano e poi si ritirano, lasciando dietro di sé una distesa di rovine su cui però poi la natura torna a rifiorire, rinascono le città, ripartono le attività? E dopo qualche anno tutto torna come prima, magari un po’ più nuovo e moderno? Oppure siamo di fronte a un’accelerazione tremenda di cambiamenti che erano già in corso sotto la superficie, destinati ora a rivoluzionare in modo permanente 4
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il nostro modo di vivere e di lavorare? In altre parole, i vaccini ci permetteranno semplicemente di tornare a vivere, produrre e consumare come prima, o apriranno la strada a una “nuova normalità” profondamente diversa da quella che conoscevamo? Se ne è discusso molto durante la tre giorni del “Digital Italy Summit 2020” organizzato da The Innovation Group. L’ idea che ci siamo fatti è che l’esperienza del covid-19 abbia accelerato i tempi di una rivoluzione mentale già in atto, e che essa ci restituirà un mondo diverso da quello in cui siamo entrati all’inizio del 2020. Due esempi: secondo la nostra ultima survey, il personale operativo in smart working passerà dal 14% dell’anno scorso al 34% dopo la fine dell’emergenza. Si tratta di un cambiamento
strutturale, che influenzerà le forme di organizzazione, i sistemi di management e di incentivazione, le politiche di real estate, le stesse strategie aziendali. Il secondo esempio: nel corso dell’emergenza, in Italia l’80% degli acquisti è transitato dall’e-commerce. Pensiamo forse che questo non produrrà un mutamento destinato a permanere nella propensione dei consumatori e nelle loro modalità di acquisto? E che impatto avrà tutto ciò sulla crisi conclamata del commercio di vicinato e su quella incombente della grande distribuzione? Il nostro Paese era ed è caratterizzato da profondi squilibri: rimane una delle maggiori realtà manifatturiere a livello internazionale, ma l’inadeguatezza delle infrastrutture, la carenza di competenze e le lungaggini della Pubblica
Amministrazione rischiano di minarne ulteriormente la competitività e il posizionamento sulla scena estera. Il Next Generation Eu, di cui molto si è parlato nel Summit, offre quindi l’opportunità unica di fare contemporaneamente un doppio salto: quello che deve consentire il superamento dei nostri deficit strutturali, e quello che deve prepararci a una nuova normalità molto diversa da quella del passato. Il primo salto: colmare il gap delle infrastrutture
Dalla discussione del Summit sono emersi alcuni principali assi di intervento. Per le infrastrutture è prioritario completare la rete in banda larga del Paese. Serve un’infrastruttura diffusa, in fibra ottica e in 5G, come condizione per il deployment di nuove applicazioni essenziali per la competitività delle imprese e per la qualità dei servizi della Pubblica Amministrazione ai cittadini. Per questo è essenziale lanciare i nuovi bandi per le aree grigie e attivare le incentivazioni d’utenza a famiglie, Pmi e centri per l’impiego, tutte iniziative già cofinanziate da fondi Ue. Per la Pubblica Amministrazione è importante la spinta che il ministro Fabiana Dadone sta dando sia alla trasformazione dell’organizzazione (nel Decreto Roberto Masiero
Semplificazioni, l’obiettivo di portare entro tre anni al 30% la quota di personale operativo in smart working va ben oltre la semplice risposta all’emergenza). Il fine dell’interoperabilità tra i database della Pubblica Amministrazione è particolarmente ambizioso, meglio sarebbe scandirlo in fasi ragionevolmente realizzabili. Ed è importante la scelta di fissare date che sanciscono la necessità di superare la piaga della frammentazione dei processi: innanzitutto, il 28 febbraio 2021 come giorno dello “switch” in cui tutte le Amministrazioni pubbliche avranno l’obbligo di consentire l’accesso ai propri servizi online esclusivamente mediante identificazione tramite Spid, Cie o Cns, nonché l’obbligo di avviare i progetti di trasformazione digitale necessari per rendere disponibili i propri servizi sull’app Io, e quello di completare l’integrazione della piattaforma PagoPA nei propri sistemi di incasso. Per la Scuola, poi, è necessario andare oltre la risposta emergenziale della didattica a distanza per sviluppare nuove strategie di digitalizzazione dell’insegnamento, in grado di contribuire alla formazione del capitale umano essenziale per il futuro del Paese. Infine, per la Sanità, secondo Marco Gay, “L’emergenza ha in sé accelerato processi di digitalizzazione. Considerando ad esempio un parametro importante nel calcolo del Desi, la percentuale di medici di base che utilizzano ricette digitali, vediamo che in poche settimane è passata dal 32% di fine 2019 alla quasi totalità. È auspicabile che questo sia l’inizio di una serie di avanzamenti che il sistema sanitario italiano deve compiere in tempi molto brevi, soprattutto se incidono sui processi legati a un’emergenza sanitaria ancora non terminata, quali lo scambio di dati clinici tra ospedali e medici in via telematica e la diffusione e l’utilizzo in tutte le regioni del fascicolo sanitario elettronico”.
Il secondo salto: sostenere l’innovazione
Tuttavia non dobbiamo preoccuparci solo dell’emergenza sanitaria ed economica. Il nostro Paese deve pensare al suo sviluppo sul medio-lungo periodo. Per diventare più competitivi a livello internazionale è evidente che servono maggiori risorse e un approccio strategico condiviso tra industria Ict, Miur e Mise per rimettere la ricerca e l’innovazione al centro di una politica industriale vera e propria per il settore dell’informatica e delle telecomunicazioni. Da anni in Italia la spesa in ricerca e sviluppo in questo comparto non è aumentata, ed è sostenuta per l’80% dalle imprese. Il quadro è migliorato con il Decreto Rilancio, ma serve ora una ripartenza rapida e diffusa degli investimenti, a cominciare da quelli per la trasformazione digitale, nel quadro di una visione strategica condivisa e dell’interoperabilità dei sistemi sanitari (che hanno sofferto pesantemente della frammentazione istituzionale del settore nel periodo dell’emergenza). Occorre concentrarsi su alcune cose semplici. Quali? Il Ceo di Cefriel, Alfonso Fuggetta, ne ha proposto recentemente una sintesi esemplare: evitare i rischi di moltiplicare iniziative di “innovazione” parzialmente o totalmente sovrapposte e prive di focalizzazione; rilanciare la ricerca di base, che crea conoscenza e va promossa attraverso programmi nazionali di ricerca affidati attraverso bandi competitivi; favorire concretamente l’innovazione delle imprese, rendendo strutturali gli investimenti diretti alle realtà che si impegnano su questo fronte e mettendo in competizione i Centri di ricerca; focalizzarsi sulle applicazioni, cioè sulla creazione di nuovi prodotti, servizi, processi. Infine, serve nuova imprenditoria. Lo Stato deve intervenire con fondi di fondi per spingere il mercato a investire di più in startup, senza creare competizione tra il mondo pubblico e il privato. Roberto Masiero 5
STORIA DI COPERTINA
EXECUTION: PASSARE DALLE PAROLE AI FATTI Economisti, industriali, ricercatori e docenti universitari spiegano come rendere concreti gli obiettivi di digitalizzazione dell’Italia.
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l più grande insegnamento che traiamo dalla crisi è che avremmo dovuto affrontarla con una preparazione maggiore e più adeguata. Il Paese non era pronto a subire cambiamenti di portata tanto vasta come quelli vissuti negli ultimi mesi: eppure, non senza difficoltà, abbiamo ricostruito una quotidianità secondo modalità differenti rispetto a quelle del passato. Che ciò sia stato possibile grazie al massiccio ricorso a strumenti e soluzioni digitali (sconosciute ai più nel periodo pre-covid) è stato più volte ribadito, ma che questa tendenza sia stata rilevata in un Paese come l’Italia che, secondo l’ultima edizione dell’indice Desi, occupa l’ultima posizione nell’ambito delle competenze digitali,
induce a delle riflessioni. Che cosa abbiamo imparato? Come supportare i tanti cambiamenti imposti dalla diffusione del covid-19? Come indirizzare il Recovery Fund verso progetti strategici, in grado di dare forza e resilienza al sistema economico e produttivo italiano? Tali tematiche sono state oggetto dell’ultima edizione del Digital Italy Summit di The Innovation Group, dal titolo “Execution: L’innovazione digitale del Paese dai piani ai fatti!”. Per Elio Catania, senior advisor e consigliere per la politica industriale del Ministero dello Sviluppo Economico, “Qualsiasi scelta di politica industriale dovrà basarsi su due assi di riferimento fondamentali: la crescita del Paese e la centralità dell’impresa”. Le po-
Tra pubblico e privato
litiche di sviluppo industriale dovranno, inoltre, soffermarsi sulla rilevanza della componente umana con l’obiettivo di creare quello che Carlo Robiglio, vicepresidente e presidente Piccola Industria di Confindustria, ha definito come un “welfare innovativo”. Secondo Stefano Firpo, economista di Intesa Sanpaolo, “siamo nell’ora della verità”, in cui il Paese deve dimostrare se è realmente capace di realizzare i cambiamenti strutturali di cui necessita da tempo, nella consapevolezza che “le riforme richiedono sforzo e amministrazione, oltre che una grande attenzione al policy design”. La questione è stata affrontata anche da Patrizio Bianchi, economista, titolare della cattedra Unesco su Educazione, Crescita e Uguaglianza dell’Università di Ferrara e direttore scientifico della Fondazione Big Data, secondo il quale “Bisogna che il sistema di execution dell’Italia si metta in linea con le potenzialità di scienza e tecnologia: il primo passo delle politiche industriali dev’essere quello di ricucire il Paese”.
Per Marco Bellezza, amministratore delegato di Infratel Italia, “Bisognerà trovare degli strumenti operativi che consentano di vedere l’intervento pubblico laddove manca quello privato”. La forte attenzione allo sviluppo di adeguate politiche industriali richiede, inoltre, la realizzazione di attività volte a rafforzare il sistema centrale dei Competence Centre, dei Digital Innovation Hub, e a creare delle reti di trasferimento tecnologico. A ricordarlo in occasione del Digital Italy Summit è stato Marco Bentivogli, esperto di politiche del lavoro e di innovazione industriale, secondo cui è necessario “costruire un’infrastruttura in cui le aziende non vengano lasciate sole nel percorso verso l’accelerazione digitale”. Non va, infine, dimenticato che la capacità di execution dev’essere accompagnata da una forte azione legislativa. È quanto ha dichiarato Mirella Liuzzi, sottosegretario allo Sviluppo Economico del Mise, la quale ha anche parlato delle iniziative portate avanti dal governo nell’ambito della diffusione della banda ultralarga e del 5G, che “permetterà di rivedere i modelli di business nelle aziende e porterà un contributo di crescita annua del Pil dello 0,3%”. Uno sviluppo digitale e sostenibile
“La pandemia ci ha ricordato la necessità per il Paese di riuscire a creare innovazione e, soprattutto, di saperla diffondere all’interno di tutti i settori”. È quanto ha affermato da Paola Pisano, ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, nel suo intervento durante la cerimonia di apertura del Summit. “Ciò richiederà”, ha proseguito, “un grande lavoro di informazione e comunicazione ai cittadini”. Del resto, come riportato da Jean-Bernard Auby, ricercatore della Sciences Po Law School, “La digita-
lizzazione è un fenomeno di civilizzazione”. Tuttavia per Sabino Cassese, giurista, giudice emerito della Corte Costituzionale, “In Italia, pur essendovi gli innovatori, non si è ancora creato il circuito dell’innovazione”. Al riguardo una proposta di rilievo è stata quella di Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia d’Impresa ed Economia Aziendale di Sda Bocconi, secondo cui bisognerebbe “scrivere una nuova costituzione dell’Unione Digitale Europea”, perché “Il digitale non si può fare in un solo Paese”. Inoltre, come ricordato anche da Enrico Giovannini, economista e professore ordinario dell’Università di Tor Vergata, l’Europa ha compreso la necessità di concentrare il proprio modello di sviluppo dei prossimi anni sui due pilastri dell’innovazione tecnologica e sostenibile, andando verso la direzione di un’economia “digicircolare”. Ad ogni modo, qualsiasi iniziativa di execution e digitalizzazione del Paese deve passare dal superamento del digital divide, dallo sviluppo delle competenze digitali e dal ringiovanimento della Pubblica Amministrazione. In particolare su quest’ultimo tema è intervenuto il ministro della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, che tra le iniziative promosse dal suo ministero per snellire i processi della burocrazia ha citato l’introduzione del principio dello “once and only once” per far dialogare tra loro le banche dati delle diverse amministrazioni. Come si fa a passare da una cultura degli adempimenti a degli obiettivi? Come affermato da Carlo Cottarelli, economista e direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici, sono necessarie “una grande volontà politica, una presa di coscienza e pretesa di responsabilità da parte di chi è al governo, e l’estrema trasparenza sulle attività che si svolgono”. Carmen Camarca 7
STORIA DI COPERTINA
DIGITALE E PANDEMIA, UN LEGAME A DOPPIO FILO
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Fonte: TIG, 2020
Pc desktop/notebook Applicativi Web Software/strumenti per la collaborazione Software/prodotti per la cybersicurezza Servizi per la cybersicurezza Servizi di telecomunicazione (rete fissa/mobile) Software per la gestione di documenti/workflow Servizi di cloud computing Servizi di consulenza/training/system integration Servizi di outsourcing INCREMENTATA
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Innovation Group, da cui è emerso a una riconsiderazione del trade off tra come per il 2020 sia atteso un forte profitto dell’azienda e benessere delle incremento nella spesa in Pc (+35%), persone e a promuovere il passaggio applicativi Web (+30%), strumenti di verso un nuovo modo di operare, che collaborazione a distanza e software per si potrebbe definire con il concetto di Numero di attacchi gravi“lavoro perubiquo”. semestre la sicurezza informatica (per entrambi +27%). Di contro, le maggiori riduzioBisognerebbe, dunque, riflettere sulla 900 ni sono previste per la spesa in servizi natura di tali cambiamenti, se siano di consulenza/training/system integrafrutto di una pura reazione all’emer850 tion (in calo del 22%) e di outsourcing genza o se piuttosto non ci troviamo 800 (19%). di fronte a una tendenza strutturale 750 Le principali aree di investimento sono, dell’economia e della sua organizzazio700 quindi, legate alle tecnologie che hanne. Ad ogni modo, la forte predisposi650 no maggiormente consentito di abilitazione all’uso degli strumenti digitali a re lo smart working e di sviluppare una cui si è assistito durante la pandemia 600 nuova organizzazione del lavoro e delle dev’essere trasformata in opportunità, 550 attività approntate in reazione alla crisi. riconoscendo il ruolo fondamentale 500 In questo contesto sono attese profonsvolto dal digitale per affrontare una 450 de trasformazioni dell’organizzazione ripartenza che poi dovrà diventare 400 delle imprese (che dovranno muovere ripresa. Bisognerà anche iniziare a risempre di più da una logica incentrata flettere sulla realizzazione di una posul documento a una logica incentrata litica industriale che abbia un approcsul dato), delle modalità in cui viene cio sistemico e nella quale iniziative, svolto il lavoro e dell’economia nel suo obiettivi e risultati siano coordinati in complesso, con forti impatti su asset una grande operazione di partenariato tangibili e intangibili. Tutto ciò porterà pubblico-privato. C.C. 1
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ella sua consueta attività di analisi sull’andamento del mercato digitale, The Innovation Group ha rilevato come la relazione tra Pil e mercato digitale, salvo rare MINE eccezioni, sia sempre stata di carattere ciclico, tale per cui gli investimenti in ONAGGIO GGIO quest’ambito tendono ad aumentare al crescere del Pil e viceversa. Nel TION WARFARE 2020, pur rilevando una decrescita per entrambe le variabili, è possibile osserSMO vare un fenomeno differente in cui, a fronte di una notevole flessione del Pil (attesa tra il -13% e il -8,3%), il mercato digitale dovrebbe limitare le proprie perdite al -2,5% (nello scenario positivo) o al -4% (nello scenario negativo). Il tema è stato affrontato nel corso del Digital Italy Summit, in cui si è cercato di comprendere quale sia stato e sarà l’impatto del coronavirus sugli investimenti del settore, ma anche l’importante ruolo della tecnologia in 41% questo scenario. Se da un lato la pandemia ha agito da forte acceleratore di trasformazione digitale, dall’altro ciò è avvenuto con impatti differenziati sulle diverse componenti del merca0% to, riguardando soltanto alcune delle categorie di prodotti e servizi che lo compongono. A confermarlo è anche un recente sondaggio condotto da The
Previsioni di spesa per il 2020
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Il 2020 è segnato da investimenti tecnologici altalenanti. Per Pc, applicazioni Web e altre soluzioni a misura di smart working si registra una crescita a doppia cifra.
RISORSE, COMPETENZE, MENTALITÀ: LE NUOVE SFIDE ITALIANE Per la ripartenza è cruciale investire bene i fondi europei a disposizione, ma servono anche iniziative di reskilling portate avanti dalle imprese.
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uante volte in Italia si è assistito alla realizzazione di iniziative di notevole interesse, a cui però non ha fatto seguito un’attuazione altrettanto incisiva. Ora la difficile e drammatica esperienza del covid-19 rende necessario per il Paese dare avvio a una strategia di execution. Nella fase molto delicata che stiamo vivendo ci viene richiesto di assumere delle scelte, oltre che un impegno di condivisione e responsabilizzazione, uno sforzo collettivo necessario anche in virtù della forte interdipendenza (rilevata soprattutto in questo periodo) tra sfera pubblica e privata, tale per cui lo sviluppo delle imprese italiane è sempre più legato a quello dei beni collettivi come la salute, l’educazione e la mobilità. Hanno discusso di questi temi Elio Catania, senior advisor e consigliere per la politica industriale del Ministero dello Sviluppo Economico, e l’economista Patrizio Bianchi (titolare della cattedra Unesco su educazione, crescita e uguaglianza dell’Università di Ferrara e direttore scientifico della Fondazione Big Data) durante una sessione plenaria organizzata del Digital Italy Summit 2020, in cui sono intervenuti anche Carlo Cottarelli (economista e direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici), Carlo Robiglio (presidente Piccola Industria e vicepresidente di Confindustria), Stefano Firpo (economista di Intesa Sanpaolo) e Marco Bentivogli
(esperto di politiche del lavoro e di innovazione industriale). Nei prossimi mesi una delle principali sfide per l’Italia sarà l’allocazione ottimale delle risorse europee, un’allocazione che dovrà evitare investimenti privi di coerenza e lo sviluppo di un confuso patchwork di iniziative sovrapposte fra loro. Bisognerà promuovere, invece, e un piano di riprogettazione che si basi su pochi e chiari elementi. In questo contesto uno dei principali ambiti su cui intervenire sarà quello della formazione, con l’obiettivo di sviluppare un ampio piano di reskilling e riqualificazione della struttura sociale, istituzionale e amministrativa del Paese: in particolare, si avverte il bisogno di un’ impronta ma-
nageriale all’interno delle Pmi (la cui forte presenza caratterizza il tessuto produttivo del Paese), promuovendo un cambiamento di governance e di mentalità da parte degli imprenditore. Al riguardo, l’azienda dovrà concepire la formazione continua come una necessità insita nella sua relazione con il collaboratore, promuovendo al contempo lo sviluppo di un nuovo modello di welfare innovativo che metta al centro la crescita della persona e, soprattutto, delle sue competenze. Ecco, dunque, che la formazione continua deve diventare una forma mentis imprescindibile dell’operatore economico, chiunque esso sia. Oggi l’Italia non può più permettersi di continuare a indebolire il suo tessuto produttivo per la difficoltà di collegare alcune realtà ai nuovi sistemi di organizzazione del lavoro, alle nuove tecnologie e alla capacità di generare e rigenerare le competenze. Se le risorse europee permettono di creare un’Italia più forte e ricca, allora al policy maker spetta il dovere di sviluppare una via nazionale all’innovazione digitale, contando sul fatto che il Paese ha numerosi poli di eccellenza e innovazione che necessitano di interagire tra loro. Riprendendo le parole di Carlo Cottarelli, “Un’efficace strategia di execution prende le mosse da un atteggiamento pragmatico: si può esserlo soltanto con una forte pretesa di responsabilità da parte dell’opinione pubblica”. C.C.
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Digital italy PROGRAM
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Summit Regionali e 7 Digital Web Conference nel 2021 Prestigiosi Sponsor nel 2020 oltre a 20 media partner e patrocini Relatori selezionati tra le migliori intelligenze digitali del nostro Paese Partecipanti agli eventi online dell’edizione 2020 del Programma
Nel corso degli ultimi anni il Digital Italy Summit si è affermato come il più autorevole Forum in cui Imprese, Governo, Pubblica Amministrazione, Università e Centri di Ricerca si confrontano sulle strategie per accelerare l’innovazione digitale del nostro Paese.
DIGITALIZZIAMO L’ITALIA
Insieme
IN EVIDENZA
l’analisi
LA RESILIENZA DELLA NAZIONE E IL RUOLO DELLA DIFESA Promuovere una cultura della sicurezza e la cooperazione tra ministeri: questa la strategia del governo. La sfera cyber ne fa pienamente parte.
La minaccia cibernetica non ha confini. Per tali ragioni, e soprattutto in seguito all’emergenza sanitaria, dal punto di vista internazionale si sta cercando di armonizzare il quadro normativo partendo dall’Unione Europea e coinvolgendo anche l’Alleanza Atlantica. La necessità viene avvertita maggiormente se si considera che sulla sicurezza cibernetica c’è una forte polarizzazione a livello globale tra mondo orientale (Cina) e mondo occidentale (Stati Uniti), contesto che richiede dunque all’Italia e all’Ue un lavoro sinergico. Il Paese, avendo intrapreso già anni fa alcune iniziative (prima con il decreto Monti, poi con Gentiloni), può vantare diverse attività: ad esempio, l’evoluzione del nuovo decreto del 2019, approvato dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente Giuseppe Conte, relativo al perimetro di sicurezza cibernetica. Il decreto identifica le infrastrutture critiche e le reti di sicurezza strategiche per l’Italia, oltre alla governance della sicurezza cibernetica che rientra nel più ampio contesto della sicurezza nazionale e di competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con riferimento al settore della Difesa, bisognerebbe promuovere la diffusione della cultura della sicurezza, obiettivo che si cerca di raggiungere soprattutto attraverso le testimonianze di ufficiali e comandanti all’interno di scuole e università. Si cita, inoltre, l’importante lavoro che ha portato alla nascita del Cor (Comando per le Operazioni in Rete) per dare atten-
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zione al dominio cibernetico: come insegna il summit della Nato di Varsavia del 2016, esso rientra nel dominio ufficiale di operazioni militari. Si sta lavorando anche per proteggere il dominio spaziale, che in virtù del dettato costituzionale e delle leggi di primo rango è ancora un settore in cui non si possono effettuare operazioni militari. In relazione a esso, tuttavia, stanno sorgendo le prime minacce (non si dimentichi che in questo settore si gioca la partita tra Russia, Stati Uniti e Cina): al riguardo è prevista la nascita del Cos, Comando Operazioni Spaziali. Tali iniziative mostrano come nella Pubblica Amministrazione si stia lavorando per creare un nuovo metodo gestionale che funga da modello per gli altri ministeri e che si basi su un’analisi dettagliata degli uffici ministeriali strategici volta a verificarne il livello di sicurezza, un’attività necessaria anche per provare a superare alcune problematiche culturali e promuovere una nuova sensibilità al tema. L’attenzione alla sicurezza dovrebbe in realtà coinvolgere, oltre che i ministeri strategici e chiunque ricopra
un ruolo istituzionale, anche i singoli cittadini. Il governo sta comunque mettendo in atto strategie rilevanti e l’applicazione di una delega specifica sulla cybersecurity (in capo al Sottosegretario di Stato alla Difesa) indica la volontà di individuare una governance per disciplinare la tematica, attribuendovi una forte impronta politica: un’iniziativa che andrebbe promossa anche negli altri ministeri strategici. L’applicazione di una delega specifica alla sicurezza permette altresì una migliore gestione della tematica, abbattendo i silos e risolvendo problematiche spesso generate dalla verticalità dei settori. Al riguardo, nel Ministero della Difesa (composto da Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri) si sta lavorando per promuovere una forte collaborazione tra le aree, superando le specificità di ogni settore. Il modello da seguire dev’essere, dunque, fortemente collaborativo, richiedendo azioni sinergiche da parte di tutti i ministeri, che devono agire per creare best practice di sicurezza e protocolli interoperabili (soprattuto dal punto di vista di applicativi e software). Il Ministero della Difesa ha per natura un’alta competenza grazie a ufficiali e sottoufficiali esperti. Ci sono senz’altro altri ministeri molto avanzati in quest’ambito ma altri, nonostante l’elevato ruolo strategico, sono ancora indietro e dovrebbero accelerare. Angelo Tofalo, sottosegretario di Stato, Ministero della Difesa (tratto da “La visione dei leader” di TIG)
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EFFETTO COVID, MA IN POSITIVO, PER I NUMERI DI LENOVO I manager italiani delle principali aree di business commentano l’andamento di un trimestre record per la multinazionale cinese. Il lavoro da remoto, cresciuto esponenzialmente a seguito della diffusione del covid-19, ha avuto un effetto benefico sul bilancio di Lenovo: l’azienda ha registrato un aumento del 53% dell’utile netto nel terzo trimestre del corrente esercizio fiscale. Anche il fatturato globale è cresciuto del 7%, raggiungendo i 14,5 miliardi di dollari. Per la prima volta da sei trimestri a questa parte, le tre principali aree di attività hanno fatto segnare tutte insieme un valore in aumento anno su anno, pertanto abbiamo provato ad analizzare l’andamento di ciascuna di esse con i manager che le guidano a livello nazionale. Nel settore dei Pc, Lenovo ha rafforzato la posizione di leader, arrivando a detenere, secondo Idc, il 25,7% del settore, davanti a Hp e Dell Technologies (rispettivamente 21,6% e 15,2%). Tutto il comparto ha beneficiato dell’impennata di domanda conseguente alla diffusione lavoro da remoto iniziata con il lockdown della scorsa primavera. “La domanda ha fin qui sopravanzato le capacità dell’offerta”, conferma Emanuele Baldi, country general manager di Lenovo Italia, “e non siamo ancora usciti da questa situazione. Certamente è stato superato il picco di urgenza generato dal lockdown, ma la coda durerà ancora qualche trimestre. La penuria di componenti sta incidendo sulla puntualità nella soddisfazione delle richieste, oggi tornate a una pianificazione più razionale e meditata degli ordini. La nostra capacità di fornire più mac-
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chine rispetto alla norma ha rafforzato la posizione di leadership, poiché oggi le quote di mercato si guadagnano sapendo produrre di più e non cercando nel marketing o nella pura tecnologia gli elementi di differenziazione”. Il Data Center Group ha invece ottenuto vendite pari a 1,48 miliardi di dollari, in ascesa dell’11% rispetto allo scorso anno. A pesare in positivo è stata, fra l’altro, la componente legata ai cloud service provider, aumentata del 34%. “Si tratta di un fenomeno collegato alle necessità contingenti delle aziende alle prese con la gestione dello smart working”, commenta Alessandro De Bartolo, country manager e amministratore delegato di Lenovo Data Center Group. “In Italia stiamo ora assistendo a un ritorno di attenzione verso l’infrastruttura, per consolidare quanto implementato nella prima parte dell’anno e rafforzare elementi come la sicurezza. I budget non sono stati azzerati bensì indirizzati verso le
priorità del momento. La nostra capacità di offrire soluzioni sia per chi lavora on-premise sia per i fornitori di servizi cloud ha garantito il corretto bilanciamento necessario per tenere il passo”. Particolare rilievo nell’ultimo trimestre ha assunto l’andamento del Mobile Business Group, cresciuto del 39% anno su anno, ma soprattutto capace di risollevare un inizio di esercizio meno eclatante. “La modalità di utilizzo del dispositivo mobile è oggi il maggior fattore di spinta”, rileva Carlo Barlocco, executive director di Motorola Europe Expansion. “Appare più facile fare i numeri su mercati emergenti ma noi siamo forti anche in quelli maturi, dove non si guarda solo al prezzo bensì contano il tipo di utilizzo del dispositivo e il form factor, che porta all’interesse verso novità come gli schermi pieghevoli. Stiamo crescendo e puntiamo a un ruolo di rincalzo rilevante in un mercato molto competitivo”. R.B.
CLOUD, IOT E 5G: I FRONTI APERTI DELLA CYBERSICUREZZA Check Point Software analizza lo scenario che la pandemia ha contribuito a creare e che influirà sulle scelte delle imprese. Tra i tanti effetti drammatici generati dalla pandemia di covid-19, uno di segno opposto può riguardare l’accelerazione della trasformazione digitale delle aziende. La repentina necessità di passare a una modalità di lavoro remoto per una fetta rilevante (quando non la totalità) degli organici ha imposto cambiamenti drastici anche a realtà fino a poco tempo fa ancorate alla tradizione. Al di là della contingenza e dell’onda lunga della pandemia, appare ormai evidente come alcuni effetti siano destinati a diventare permanenti. “Gartner prevede che nel 2024 il 30% dei dipendenti mondiali lavorerà in remoto”, osserva Marco Urciuoli, country manager di Check Point Software Italia. “Molte aziende erano già preparate all’urto ma al-
tre hanno dovuto adattarsi rapidamente e spesso in modo poco strutturato. Di certo il peso della tecnologia è cresciuto, da un lato per la più ampia adozione del cloud per ragioni di agilità e dall’altro per l’utilizzo sicuramente più diffuso di accessi Vpn, strumenti di collaborazione e device mobili come terminali”. Una ricerca realizzata da Check Point ha fatto emergere come anche sul fronte tecnologico si stia aprendo una nuova
fase dominata dal tema della prevenzione (indicata tra le principali priorità dal 79% del campione esaminato), cui segue l’integrazione fra sicurezza IT e sicurezza operativa (50%) a rimarcare come il dialogo tra diverse funzioni resti un punto dolente e debba essere superato per affrontare correttamente l’evoluzione verso il cloud e l’Internet of Things. “Quest’ultimo rappresenta un tema delicato in prospettiva”, sottolinea David Gubiani, regional director security engineering per il Sud Europa di Check Point, “poiché rende gli ambienti più vulnerabili, amplia la superficie d’attacco e parte da una base tecnologica di protezione piuttosto debole. Cio e Coo devono cooperare per superare limiti tecnologici e prassi negative sull’aggiornamento delle password e delle patch”. Priorità meno citate, ma importanti, riguardano la difesa dalle minacce legate alla mobility (43%), il consolidamento necessario per eliminare le “zone d’ombra” della sicurezza (39%) e il rafforzamento dell’infrastruttura cloud (29%). R.B.
IL DIGITALE ACCELERA IN EUROPA Uno studio realizzato da Vanson Bourne per Dell Technologies evidenzia i progressi delle aziende nella trasformazione tecnologica. L’impatto della pandemia sulle strategie di trasformazione delle aziende non poteva non essere presente all’interno del nuovo “Digital Transformation Index”, studio riferito all’Europa che Dell Technologies realizza ogni due anni in collaborazione con Vanson Bourne. I
ricercatori hanno interpellato 4.300 top manager di realtà con sede in 18 Paesi del Vecchio Continente, rilevando innanzitutto l’impennata della curva di trasformazione: l’80% delle organizzazioni ha accelerato i propri programmi di digitalizzazione, il 79% di questo ha reinventato il proprio modello economico per adattarsi al nuovo contesto. Tutto questo però non significa si debba pensare a uno scenario ottimistico. Vanson Bourne non nasconde che ci si sta preparando a un periodo difficile e che diverse realtà sono ancora indietro
nel percorso. Nel campione analizzato, un’azienda su tre potrebbe mollare il colpo entro i prossimi due anni e anche nel 60% di soggetti convinti di andare avanti si evidenzia la consapevolezza di dover perdere parte del proprio organico e di dover impiegare anni per tornare ai livelli abituali di profittabilità. Lo studio commissionato da Dell evidenzia un 94% di realtà che ancora vedono ostacoli sul proprio percorso. Tre sono le barriere di maggior rilevanza, ovvero la penuria di budget e risorse, la difficoltà nel gestire grandi quantità di dati e la cybersicurezza.
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IN EVIDENZA
DAL BACKUP ALLA PROTEZIONE DEL DATO Commvault porta anche in Italia la soluzione “as-a-Service” Metallic, utile per mettere in sicurezza le applicazioni in cloud ma anche i dispositivi. Nata quasi trent’anni fa, Commvault è una realtà che ha costruito la propria fortuna sul backup, ma che è stata anche capace di ampliare nel tempo il proprio portafoglio in direzione della protezione del dato su scala enterprise, in linea con l’evoluzione infrastrutturale delle aziende. Quando nel 2019 fa la società lanciò la propria soluzione Software-as-a-Service di backup & recovery, chiamata Metallic, era però difficile immaginarsi quanto diverso sarebbe stato lo scenario mondiale solo un anno dopo. “La protezione degli endpoint è diventata uno dei temi portanti per tutte le realtà che hanno dovuto convertire la propria organizzazione allo smart working, in precedenza riservato solo a piccole fette della forza lavoro”, osserva Sergio Feliziani, country manager di Commvault Italia di recente nomina. “E anche la migrazione verso il cloud ha subito un’accelerazione dovuta alle differenti condizioni di lavoro e all’aumento delle esigenze di scalabilità e flessibilità”. Sergio Feliziani
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La disponibilità in Emea di Metallic, dunque, arriva nel momento più opportuno, forte dei progressi già realizzati negli Stati Uniti e in Asia-Pacifico, ma anche di un accordo pluriennale stretto con Microsoft per integrare tutto il portafoglio di data protection nella piattaforma Azure. La soluzione si compone di diverse declinazioni: Metallic for Office 365 protegge i dati delle applicazioni di Microsoft, come Sharepoint, Exchange, OneDrive, Teams e così via. “Può agire anche come prodotto di backup cloud-to-cloud, allo scopo di soddisfare le esigenze dei clienti alla ricerca di maggiori capacità di backup rispetto a quelle offerte dai cloud provider”, fa notare Edwin Passarella, sales engineering manager di Commvault Italia. A questo prodotto si aggiungono Metallic for Endpoints (protezione di desktop e laptop, compresi i Mac) e Metallic Cloud Storage, che consente di eseguire il backup di specifici workload in cloud, ma anche di memorizzare copie attive on-site localmente per un ripristino più rapido in caso di necessità. Il backup-as-a-service può essere gestito da una console unica, in combinazione con la soluzione enterprise Hyperscale X, su workload distribuiti on-
Edwin Passarella
premise, su cloud pubblico o ibrido. Oltre agli sviluppi di prodotto, Commvault è molto attenta al rapporto con i partner. Nel mondo cloud non c’è solo Microsoft ma anche Aws (Amazon Web Services), che ha integrato Metallic nel proprio marketplace. “Per noi è importante anche il rapporto con i system integrator e con i partner locali, per i quali è partito in luglio un nuovo programma”, sottolinea Feliziani. “In Italia con i distributori Arrow e Icos abbiamo lavorato molto sulla formazione e ora è in corso una selezione per individuare i soggetti più adatti a indirizzare il mercato delle imprese e della Pubblica Amministrazione, oggi più ricettiva verso i servizi in cloud”. R.B.
CORELDRAW SFIDA ADOBE NELLA GRAFICA PROFESSIONALE Arricchimento della Graphics Suite classica, ritorno nel mondo Mac, nuova Technical Suite e apertura alla collaborazione rilanciano l’offerta della storica software house canadese. Il brand Corel rimanda a un passato di popolarità che sembrava essersi poi offuscato con la progressiva affermazione di Adobe nel mondo della grafica professionale. Le cose sono cambiate con l’acquisizione da parte del fondo Kkr nel 2019, preludio di un rilancio fatto di acquisizioni e revisioni di portafoglio, non solo nel prodotto-faro CorelDraw ma anche in una galassia comprensiva di marchi come Winzip, Parallels e Pinnacle, tra gli altri. Certamente il pilastro della proposizione della società canadese resta la CorelDraw Graphics Suite, composta da tre applicazioni principali: il software di illustrazione vettoriale CorelDraw, il prodotto di fotoritocco Photo-Paint e Font Manager. A essa si aggiunge però la Technical Suite (già nota come CorelDesigner), che è pensata soprattutto per la produzione di brochure, cataloghi, packaging e altri formati prevalentemente destinati alla stampa fisica. Se nel 2019 si era registrato il grande ritorno nel mondo macOS, dopo qualche anno di assenza, il 2020 è stato caratterizzato dal completamento dell’offerta in diverse direzioni. Da un lato sono state introdotte le versioni Standard ed Essential, più leggere e
specifiche per determinati impieghi. “La prima è pensata per le microimprese con focus o passione per la grafica che vogliano fare in casa visual communication in ottica anche social”, illustra Giovanni Ragusa, sales director Nord e Sud Europa, Medio Oriente e Africa di Corel. “Costa 355 euro e non richiede l’appoggio a un grafico professionale. La seconda contiene solo la suite di base, è rivolta all’utilizzo occasionale e costa 130 euro”. Un altro passo importante riguarda la disponibilità di CorelDraw.app, versione collaborativa della Graphics Suite, che include il login multiplo, la possibilità di aggiungere annotazioni, commenti, revisioni o approvazioni ed è studiata per un utilizzo anche in cloud. Quest’ultimo rappresenta un altro passaggio storico importante e prelude a un aggiustamento del modello commerciale, con la possibilità di acquisire la suite in licenza perpetua a 719 euro oppure con sottoscrizione annua a 349
euro: “In questo caso sono inclusi i servizi di collaborazione e aggiornamento, oltre a funzionalità avanzate”, specifica Ragusa. Questa modalità di fruizione, tuttavia, non è disponibile per le versioni Essential e Standard. La Technical Suite è indirizzata invece soprattutto agli illustratori che realizzano documentazione visuale complessa, con utilizzo di tool isometrici e importazioni dal Cad. Oltre agli elementi grafici, sono inclusi maggiori funzionalità di grafica vettoriale, Photo-Paint 2020 e lo strumento di visualizzazione Xvl Studio 3D. Qui i costi spaziano dai 999 euro per la licenza perpetua ai 499 euro annui per l’abbonamento. La disponibilità è solo per Pc, anche perché il Mac in quest’ambito viene assai poco usato. I prodotti professionali di Corel vengono venduti solo tramite canale e nella versione Enterprise sono compresi anche la manutenzione e la multilicenza.
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IN EVIDENZA
l’opinione
TENERE TUTTO SOTTO CONTROLLO È UN’IMPRESA POSSIBILE Come costruire una panoramica centralizzata per il monitoraggio dell’infrastruttura di una grande azienda?
Una delle sfide più significative nel monitoraggio dell’enterprise IT, che definiamo come ambienti con oltre milledispositivi, è ottenere una vista unificata. In questi ambienti quasi certamente ci sono dei server dedicati al monitoraggio che raccolgono dati da diverse parti dell’infrastruttura, e ciò può portare alla creazione di ogni genere di problema: dal “rumore di fondo” determinato dall’elevata quantità di allarmi, alla presenza di molteplici strumenti di monitoraggio. Quando ciò avviene diventa impossibile valutare lo stato di salute dell’intera infrastruttura a colpo d’occhio. Come fare per raccogliere in un’unica vista centralizzata i dati provenienti da una miriade di dispositivi in luoghi diversi? La risposta è semplice: serve una dashboard con una panoramica dell’infrastruttura, in modo da poter capire immediatamente se c’è un problema, anche potenziale, e le possibili cause. Ma arrivarci non è così semplice. Vediamo quali sono gli aspetti fondamentali da considerare quando si crea una panoramica di monitoraggio centralizzata. È possibile gestire tutto da un’unica posizione, nel qual caso avrebbe senso una dashboard centrale che fornisca una panoramica globale. Oppure i diversi siti potrebbero essere amministrati separatamente, ciascuno con le proprie dashboard. Ma anche in questo caso potremmo voler avere una dashboard di alto livello che fornisca un’unica panoramica di tutte le location.
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Chiara Ornigotti
Una vista centralizzata dovrebbe essere di altissimo livello: che cosa significa? Anche in questo caso, tutto dipende da come è stata segmentata la rete, ma un buon metodo consiste nel mettere in relazione i componenti dell’infrastruttura con i servizi di business. Ad esempio, il servizio email aziendale, il sistema di gestione delle licenze o i processi di build del software sono tutti servizi IT forniti da diversi elementi di hardware e connettività, collegati tra loro. Una volta definiti i servizi si procede a mappare le parti corrispondenti dell’infrastruttura. Per il servizio email, ad esempio, il mail server, gli storage server e la connessione Internet sono i componenti della rete e le infrastrutture che vanno mappate al servizio di business “servizio email”. Sulla dashboard centralizzata ciò che si vedrà è lo stato di salute del servizio email. In caso di problemi minori (ad esempio un mail server ridondante che mostra problemi di performance) il servizio di posta elettronica non è a rischio, essendoci altri mail server di failover.
Viene quindi inviata una notifica a un membro del team, ma non è necessario allertare l’intero team e sulla dashboard centralizzata il servizio è sempre segnalato in verde. Se invece sorge un problema critico (come un crash dello switch su cui transitano tutti i messaggi), allora la dashboard invia un allarme all’intero team e segnala il servizio email in rosso. A questo punto si può fare un’analisi per vedere quale componente sta causando il problema. Organizzare l’infrastruttura come servizi di business rende più semplice non solo avere una panoramica, ma anche gestire i service level agreement (Sla). Le grandi imprese spesso ne hanno molti: Sla interni per garantire che i team IT soddisfino certi requisiti, Sla esterni rivolti ai clienti dell’azienda. Ad esempio, in un accordo di uptime per un certo servizio bisogna controllare costantemente la connessione a quel servizio e lanciare un allarme quando questo non è disponibile. Altro esempio, in un accordo che prevede la disponibilità di una certa quantità di banda bisogna misurala in continuazione e lanciare un allarme se il valore si abbassa troppo. Strutturando i servizi di business in base agli Sla da tracciare otterremo una panoramica migliore dello stato dei servizi offerti e, in caso di problemi, potremo andare in profondità per scoprire l’origine del problema e risolverlo prima che i service level agreement siano violati. Chiara Ornigotti, senior sales manager Southern Europa di Paessler AG
TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX & ACCOUNTING DIGITAL TRANSFORMATION | Perpiciatis
UN PROFESSIONISTA TUTTO NUOVO L’IT contribuisce alla trasformazione del lavoro dei commercialisti, investiti oggi più che mai di una significativa responsabilità sociale. Essere professionisti nel terzo millennio impone anche una scelta: vivacchiare e porsi nei confronti della clientela come dei gestori di adempimenti sempre più automatici, e dunque soggiacere alla logica del prezzo del servizio (ovviamente al ribasso), oppure scegliere la via dello sviluppo, della crescita, dell’innovazione, della rivisitazione del proprio ruolo nel mondo produttivo e nella socialità, con l’ausilio del digitale? “I commercialisti devono innanzitutto completare una trasformazione digitale già in atto, ma non del tutto conclusa”, riflette Claudio Ferrante, director, sales di Wolters Kluwer Tax & Accounting. Oltre a coordinare, guidare e indirizzare un potente team di vendita, Ferrante è un profondo conoscitore del suo mercato, composto da studi professionali di ogni dimensione, e affronta la questione anche in in termini di ruolo. “Con l’automazione delle attività dello studio”, prosegue, “la trasformazione digitale diventa l’abilitatore della funzione del consulente, che poi dovrebbe essere la primaria per un commercialista”. La pandemia sta causando e causerà moltissime difficoltà al mondo delle Pmi, del retail, dell’artigianato. Gli imprenditori si rivolgeranno al proprio commercialista perché ai loro occhi è sicuramente la più immediata ancora di salvezza. Per anni i commercialisti hanno gestito l’amministrazione dei loro clienti, ma oggi sono chiamati a un passo ulteriore: devono gestire il futuro dei loro clienti. Devono diventare consulenti non solo amministrativi e fiscali, ma anche manageriali e finanziari. Claudio Ferrante sottolinea come proprio le nuove soluzioni Genya e il programma “Con Te – B. Point Edition”, presentati recentemente da Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, siano un ausilio importante sia al progresso digitale degli studi sia alla trasformazione professionale dei commercialisti: “La professione non è più l’adempimento, l’F24. La professione è aiutare il proprio cliente in questo momento di estremo bisogno. Per questo il professionista deve innanzitutto studiare il proprio cliente e il suo mercato, e deve dotarsi di strumenti che gli rendano dati coi quali, grazie alla sua esperienza e capacità, potrà far superare la crisi”. Non è esagerato, quindi, considerare i commercialisti come figure di fondamentale responsabilità sociale in questo momento storico. “Il commercialista non deve immaginare di gestire una chiusura”, rimarca Ferrante. “Non può aspirare a gestire un fallimento, ma deve supportare la rinascita di un’impresa commerciale o produttiva. Un business sano impatta sulla società e ogni chiusura non danneggia solo il commerciante o l’imprendi-
Claudio Ferrante, director, sales di Wolters Kluwer Tax & Accounting
tore bensì danneggia i fornitori, i clienti e tutte le loro famiglie, quindi è un danno sociale. Il fallout di una chiusura è vastissimo e bisogna evitarlo. Il commercialista lo può fare aiutando il suo cliente non solo a pagare le tasse ma a essere competitivo, a tirarsi fuori dalla crisi. Il servizio consulenziale è interpretato oggi ancora in modo elitario, invece deve diventare un concetto di massa. In questo i professionisti devono cambiare e trasformarsi”. Ma come, esattamente? A detta del manager, “Spesso dovranno uscire dalla loro comfort zone e prepararsi ad aiutare non solo concettualmente, ma anche fattivamente i loro clienti. I commercialisti devono acquisire la consapevolezza della loro trasversalità nel successo, o meno, dei loro clienti”. Nella visione di Wolters Kluwer, il commercialista dev’essere prontamente responsivo rispetto alla domanda di oggi. Deve qualificarsi sempre di più e meglio ai propri clienti. “Non è l’adempimento in sé che aiuta il professionista”, conclude Ferrante, “ma l’adempimento digitalizzato che gli restituisce i dati sui quali può costruire una strategia vincente per il suo cliente. Wolters Kluwer, con i suoi avanzati applicativi e programmi, gli offre tutti gli elementi per trasformarsi. Ma la vera consapevolezza della centralità sociale dei professionisti deve crescere e solidificarsi in ognuno di loro autonomamente”.
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IN EVIDENZA
LA SICUREZZA COMINCIA CON LA GESTIONE DEGLI ASSET Il recente passaggio al fondo Ta Capital permette a Ivanti di rafforzare la propria offerta di strumenti per il controllo degli endpoint e per il service management. Nata con il marchio Landesk come realtà dedicata alla gestione e al controllo delle postazioni di lavoro aziendali in tutte le loro declinazioni, Ivanti ha avviato a partire dal 2017 un nuovo corso, estendendosi in ambiti complementari che spaziano dall’IT service management alla cybersecurity. Il percorso è partito con l’ingresso del fondo Clearlake e con l’integrazione di Heat Software, per poi rafforzarsi ulteriormente di recente con il subentro del nuovo investitore forte Ta Capital. Gli effetti si sono tradotti in nuove acquisizioni, indirizzate soprattutto a puntellare la gestione degli asset in direzione dei dispositivi mobili e la cybersecurity. Di notevole impatto dovrebbe rivelarsi l’integrazione di MobileIron, specialista di mobile device management nelle varie accezioni, che si tratti di integrazione di nuovi dispositivi, accesso in base a ruoli e privilegi, applicazione di regole di sicurezza a una flotta o rilevamento ed eliminazione delle minacce. Gli 872 milioni di dollari dell’operazione potrebbero valere il gioco, poiché Ivanti si assicurerà un’offerta fin qui assente nel proprio portafoglio. Quasi in contemporanea è arrivata anche l’acqui-
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sizione di Pulse Secure, per una cifra non comunicata. L’azienda, meno nota di MobileIron, porta in dote tecnologie nel campo dell’accesso alle applicazioni secondo l’approccio “zero trust” (che non protegge solo dagli attacchi provenienti dall’esterno del perimetro, ma anche dalle minacce che già si trovano all’interno della rete). Non parliamo in questo caso solo di Vpn, ma soprattutto di Application Delivery Controller, Network Access Control e gestione unificata degli endpoint. Le ultime mosse rafforzano una strategia che Aldo Rimondo, country manager di Ivanti Italia, definisce di “incremento del presidio di un’area di governance a tutto tondo degli asset informatici, area che va dalla discovery al service management, per essere un player di riferimento destinato qui a collocarsi nel quadrante dei leader di Gartner”. In questo scenario si inquadra anche la più recente evoluzione tecnologica, ovvero la piattaforma Neurons, che consente di riparare le periferiche in modo autonomo, sfruttando una sicurezza di tipo adattativo e un’esperienza contestuale personalizzata. Una tecnologia particolarmente attuale in questo periodo di forte orientamento allo smart working. “Il progetto era nato prima della diffusione della pandemia”, precisa Rimondo, “ma affronta temi diventati di stretta attualità. La denominazione scelta evidenzia la volontà di rafforzare l’operato dei neuroni umani, con uno strumento che aggiunge un’intelligenza utile per stabilire priorità e procedure necessarie per gestire la complessità dei dispositivi utilizzati in azienda, che si
Aldo Rimondo
tratti di quelli utilizzati per l’accesso (magari da casa) alle risorse interne o di quelli IoT, che avranno un peso crescente già a breve termine”. Le ultime novità su questo fronte riguardano i moduli Patch Intelligence, utili per accelerare la realizzazione di Sla in materia di correzione delle vulnerabilità, e Spend Intelligence, che invece fornisce dettagli sulle spese in software e applicazioni aziendali. In merito alla parte più tradizionale dell’offerta, Ivanti ha poi introdotto nuove funzioni di gestione unificata della postazione client per i collaboratori mobili e per il remote working, comprensive di automazione delle patch, analisi delle vulnerabilità agentless e un miglior controllo a distanza, con gestione tramite un’unica console. Unified Endpoint Manager e User Workspace Manager vanno a rafforzare le capacità di gestione degli endpoint, che siano on-site o remoti, forniti o meno dall’azienda, in ambienti Windows, Android, macOs, iOS e Linux. R.B.
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l’intervista
OVHCLOUD E GOOGLE, LA STRANA COPPIA Finito il tempo della contrapposizione, i grandi cloud provider stringono alleanze strategiche, spinti anche dal successo del progetto Gaia-X. Trasparenza e sovranità sono garantite?
Gaia-X, il progetto per un cloud europeo promosso nel 2019 da Francia e Germania e rimasto per qualche mese a scaldare i motori, ha visto nelle ultime settimane una forte accelerazione nelle adesioni (comprese quelle di Governo e aziende italiane) e nell’esposizione mediatica. Soprattutto dopo che al gruppo di lavoro si sono aggiunti proprio quei grandi provider per contrastare i quali cui il progetto era nato. Uno dei pochi fornitori europei di dimensioni importanti che aveva sin dall’inizio sostenuto Gaia-X è Ovhcloud (già noto come Ovh), che con il suo fondatore Octave Klaba aveva sì puntato i riflettori sui benefici per gli utenti europei (trasparenza, apertura, protezione della privacy e resilienza dell’infrastruttura continentale) ma aveva anche cavalcato la spinta anti-oligopolistica. Poi, come in una tempesta perfetta, si è trovata in mezzo a una raffica di novità: l’accelerazione di Gaia-X, nuove strategie e nuove alleanze (tra cui quella eclatante Alban Schmutz
con Google), proprio con i vecchi “giganti egemoni” che nel frattempo sono anche entrati nel programma europeo. Technopolis ha intervistato due manager dell’azienda per approfondire meglio il tema: Sylvain Rouri, Cso di Ovhcloud e Alban Schmutz, senior vice president, business development and public affairs di Gaia-X.
Sylvain Rouri
Come spiegate un’alleanza con quello che fino a ieri era il “nemico”?
Rouri: Google ha dimostrato elasticità e ha accettato di smantellare il suo approccio monolitico, aprendo a una collaborazione con noi nel private cloud che fino a poco tempo fa era impossibile. Oggi componenti dell’offerta Ovh possono integrarsi nello stack Google, e questo è un grande vantaggio per gli utenti. Che cosa significa, nel concreto?
Rouri: Che le tante aziende di dimensioni corporate che stanno entrando nel complesso mondo del multi-cloud (quindi non sono native in cloud) hanno un’opzione in più. L’offerta con Google è solo la prima di tante soluzioni “open” che porteremo sul mercato proprio in nome dei principi che hanno ispirato la nascita di Gaia-X. A proposito, come si concilia la presenza dei grandi provider nel progetto europeo?
Schmutz: L’ingresso di provider e industrie americane e asiatiche in Gaia-X è
un bel segnale, che non cambia assolutamente la direzione presa dal progetto in termini di trasparenza e sovranità. In Gaia-X ci sono tantissimi soggetti europei, che tra l’altro continueranno a operare nel board e a garantire che i cittadini e le imprese europee siano tutelati. Sì, ma così l’indipendenza è a rischio…
Schmutz: Libertà e indipendenza sono nel Dna di Ovh e di Gaia-X, non penso che la collaborazione con aziende Usa (ma ne stanno entrando anche dai Paesi asiatici) sia una minaccia. Dalla nostra parte c’è un ecosistema sempre più solido e un sistema di regole, pensiamo al Gdpr, senza eguali. Noi continueremo a lavorare affinché i clienti possano avere a disposizione sempre il miglior rapporto tra prezzo e prestazioni e tutti i partner che ci aiuteranno a raggiungere tale obiettivo non potranno che essere accolti a bordo con entusiasmo. E.M.
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IN EVIDENZA
SALESFORCE COMPRA SLACK: UN “INCONTRO PERFETTO” Con un'acquisizione da 27,7 miliardi di dollari, la piattaforma per il Crm integrerà al suo interno nuovi strumenti per la collaborazione e lo smart working. Marc Benioff, l’amministratore delegato di Salesforce, l’ha definito come un “incontro perfetto”. L’azienda da lui guidata, da sempre sinonimo di Crm, ha firmato un accordo da 27,7 miliardi di dollari per acquisire Slack Technologies, software house proprietaria dell’omonima piattaforma per la collaborazione e le comunicazioni a distanza. La cifra è importante ma giustificata: sull’onda dei lockdown, un po’ tutte le applicazioni di chat e videochat (aziendali e consumer, a pagamento e gratuite, da Microsoft Teams a Zoom) hanno conosciuto inediti livelli di utilizzo. L’acquisizione multimiliardaria è
inoltre motivata dalla solidità di Slack: fondata nel 2009 a San Francisco (la medesima città natale di Salesforce), da allora la società ha raccolto circa 1,4 miliardi di dollari attraverso 12 round di investimento e ha realizzato sette acquisizioni per espandere la propria tecnologia. Oltre 750mila aziende utilizzano la piattaforma per consentire la comunicazione a distanza fra i dipendenti con
chat, chiamate e videoconferenze, per pianificare e gestire il calendario e per collaborare a distanza sui progetti. La tecnologia di Slack, stando alle dichiarazioni, diventerà “la nuova interfaccia per Salesforce Customer 360”. A detta di Benioff, questa accoppiata permetterà di “plasmare il futuro del software enterprise e di trasformare il modo in cui tutti lavoriamo”. V.B.
RETI MOBILI, LO SCATTO DI WINDTRE In sei mesi, WindTre ha fatto enormi progressi in Italia: sia la velocità di download della sue rete mobile sia parametri meno oggettivi, come la qualità percepita dei servizi, sono migliorati in modo significativo. Così svela l’ultimo dei periodici studi di OpenSignal, realizzato tra inizio giugno e fine settembre 2020 attraverso più di 3,3 miliardi di misurazioni (su oltre 892mila smartphone con installata la relativa app di monitoraggio). Rispetto al precedente studio di maggio, WindTre ha migliorato di 4,8 Mbps la media della velocità di download, ora assesstata sui
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30,1 Mbps e superiore a quella dei concorrenti Tim, Vodafone e Iliad. Primo
posto aggiudicato da WindTre anche per il parametro della velocità media di upload, 9,9 Mbps. L’altro progresso significativo riguarda la qualità percepita dell’esperienza di fruizione video: gli utenti WindTre assegnano all’operatore in media 69,4 punti in una scala che va da zero a cento. In questo caso però il margine di vantaggio sul secondo classificato Vodafone è minimo (0,5 punti) e gli altri due seguono a distanza ravvicinata, collocandosi tutti all’interno del range di punteggio (67-75) corrispondente a un’esperienza “molto buona”.
l’opinione
L’IMPORTANZA DELLE EMOZIONI NELL’AFFRONTARE LA CRISI L’attenzione per la resilienza delle persone deve accompagnarsi a quella delle macchine.
Il termine “crisi” non vuol dire problema o sofferenza, sta piuttosto a significare scelta, decisione: in greco antico, “krino” è il punto di rottura. Molto spesso si parla della volontà di assumere delle decisioni razionali: in realtà di puramente razionale all’interno del processo cognitivo c’è soltanto il ragionamento matematico, definibile come “razionale” secondo l’accezione corrente. L’assunzione di una decisione, infatti, si basa su un mix di fattori quali le esperienze pregresse, lo stato d’animo di un particolare momento, scopi prefissati di varia natura, aspettative, credenze morali, disposizione fisica. E quali di queste variabili possono essere razionali, precise, non intaccate dalle emozioni? A proposito delle emozioni, c’è sempre maggiore ricerca di metodi e strategie che aiutino a controllarle o addirittura eliminarle, soprattutto quando sono considerate negative (sebbene non esista una polarità positiva o negativa tra le emozioni, piuttosto si può dire che alcune sono più dolorose e intense di altre), ma tutte contribuiscono al monitoraggio e alla salvaguardia dei nostri scopi. Questa è la loro funzione principale: informarci in maniera chiara e “sensibile” sullo stato di raggiungimento di ciò che, consapevolmente o inconsapevolmente, ci siamo prefissati come obiettivo. Peccato però che le emozioni non possano e non debbano essere controllate: più tentiamo di farlo e meno riusciamo a conoscerle. Se fosse
Vittoria Pietra
davvero possibile eliminare le emozioni si arriverebbe a un punto in cui tutto si equivale e niente può essere scelto. La principale emozione vissuta nei mesi del lockdown è stata ed è la paura, un’emozione a cui non si accede con facilità. Sembra che sia così perché la si cita, ma in realtà il riferimento è più che altro alla preoccupazione, più comunemente conosciuta come ansia: paura e ansia non sono però sinonimi. La paura si attiva di fronte a una minaccia incombente e circoscritta, mentre l’ansia è molto più diluita, tant’è vero che possiamo essere preoccupati per qualcosa che accadrà nel futuro, anche di ipotetico e sfuocato. In particolare, la paura viene definita un’emozione “tiranna” perché fa il vuoto intorno, , interrompe qualunque processo cognitivo in atto perché è l’emozione salvavita, ed è necessario darle ascolto. Per il suo alto valore adattativo, è l’unica emozione in grado di generare tre tipi di comportamento diversi: l’attacco, la fuga e la paralisi (o freezing).
Nei mesi della pandemia, nonostante lo stato emotivo caratterizzato dalla paura, le persone sono state in grado di organizzarsi, andare avanti, continuare a lavorare, a vivere, e nella maggioranza dei casi l’hanno fatto anche molto bene. Questo ci dimostra che per prendere decisioni efficaci ed essere resilienti è necessario essere emozionati. A proposito di resilienza, le sue due caratteristiche distintive sono la deformazione e il mantenimento dello scopo fisso. Ci possiamo definire resilienti innanzitutto se ci siamo “deformati”, se abbiamo perso la nostra forma usuale, abbiamo cavalcato un corpo e abitudini diverse pur mantenendo inalterati i nostri scopi. Se, invece, l’individuo è rimasto lo stesso è corretto parlare di resistenza. Durante la pandemia abbiamo perso la nostra forma usuale (pensiamo alle vacanze fatte nel cortile di casa, allo smart working o all’e-learning) mantenendo fisso uno scopo (che sia lavoro, viaggio, affetti). Un esempio di che cosa voglia dire essere resilienti è rappresentato dai virus: sono considerati semi-inanimati ma prendono la forma del corpo che li ospita e cominciano a essere vitali, mantenendo il proprio Dna (che ricombinano insieme a quello dell’ospitante) e perseguendo con grande tenacia il loro scopo unico, ovvero riprodursi il più possibile. Dunque proprio dal paradigma del virus, sia esso biologico o tecnologico, potremmo imparare come essere davvero resilienti. Vittoria Pietra, psicologa psicoterapeuta
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UNA COMUNICAZIONE VERAMENTE UNIFICATA Le nuove cuffie Jabra Evolve2 65 racchiudono in un unico oggetto tutte le funzionalità più utili in tempi di smart working. Con un’autonomia fuori dal comune. Di solito Technopolis non realizza prove di prodotti. Raccontiamo la tecnologia con gli occhi delle imprese e degli utenti, non siamo attrezzati e titolati per dare giudizi in prima persona anche se, come tanti, utilizziamo a piene mani molte soluzioni hardware e software.Quando ci hanno proposto di provare le nuove Jabra Evolve2 65, però, eravamo in piena emergenza pandemica (senza poter sapere quanto dovesse durare) e l’idea di poter analizzare a fondo un prodotto utile per lavorare meglio anche in un contesto emergenziale come quello che stiamo ancora vivendo ci ha solleticato. Così, ecco l’eccezione che conferma la regola: una “prova su strada” di ben sei mesi, durante i quali abbiamo potuto valutare con cura tutti gli aspetti tecnologici, ergonomici e di utilizzo di queste cuffie . Le Evolve2 65 fanno parte di una gamma che comprende anche i modelli 85 (con cancellazione attiva del rumore) e 40 (con connessione a filo). Sono cuffie a padiglione imbottito e microfono integrato, quindi avvolgenti e relativamente ingombranti, se paragonate ai comuni auricolari o ai modelli più leggeri. L’ingombro tuttavia potrebbe rappresentare un problema solo di natura estetica (il look da Dj, o se si preferisce da nerd, esibito nella varie videochat di lavoro), visto che pesano solo poco più di 170 grammi. Si connettono facilmente e velocemente al Pc attraverso l’adattatore Jabra Link
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380, una ricetrasmittente Bluetooth disponibile sia in versione Usb-C sia UsbA ed estremamente compatta. Le cuffie presentano tre microfoni, due dei quali situati nel “braccetto” e uno nel padiglione dell’orecchio destro, per una resa audio - a detta dei nostri interlocutori in questi lunghi mesi - ottimale e con una protezione dai rumori dell’ambiente
circostante notevole, rispetto a quella dei normali auricolari o del microfono integrato nei laptop. La fedeltà del sonoro in ingresso, invece, è assicurata da due altoparlanti da 40 millimetri che offrono una risposta in frequenza tra 20 e 20.000 Hz, in grado di riprodurre perfettamente non solo le sfumature del parlato ma anche il suono e gli effetti di file musicali
e di film. Diciamo con franchezza che il dispositivo non è tra i più economici: ha un costo di 209 euro nella versione a due padiglioni senza base di ricarica (249 euro con la base) e di 199 nella versione a padiglione singolo. Ma con altrettanta sincerità bisogna ammettere che sono soldi ben spesi. Le nuove Evolve (sostituiscono la prima serie, sul mercato già da qualche anno) hanno un’autonomia stupefacente; il costruttore dichiara 37 ore e non mente: con una ricarica completa ci si lavora praticamente tutta la settimana. Ma i vantaggi che maggiormente balzano all’occhio sono la facilità di connessione e la gestione di più dispositivi contemporaneamente (via Bluetooth abbiamo sempre tenuto collegati sia il Pc sia il cellulare, passando con nonchalance, ahinoi, da una videochiamata a una telefonata senza soluzione di continuità e durante tutta la giornata). In più, il nuovo modello ha una portata wireless molto ampia: nelle lunghe giornate di smart working ci si può tranquillamente spostare dalla scrivania alla macchina del caffè e al divano senza minimamente preoccuparsi di dove siano posizionati il computer e lo smartphone. Tra l’altro, praticamente tutte le funzioni delle cuffie sono gestibili con i pulsanti collocati sui padiglioni con Led di diversi colori, compreso (in alcune versioni) un tasto dedicato a Microsoft Teams che consente la connessione istantanea a chat e riunioni.
TECHNOPOLIS PER BROTHER
STAMPA E SCANSIONE PER RIPARTIRE IN SICUREZZA A4 collocati su scrivanie o mobiletti, dedicati a ogni postazione o a gruppi di lavoro, che garantiscono allo stesso tempo distanze, privacy e azzeramento delle attese.
Dispositivi multifunzione A4, scanner e soluzioni software sono strategici per le aziende nella “nuova normalità”. Nella “nuova normalità” c’è bisogno di tecnologie ad hoc. Per rendere più sicuri i luoghi di lavoro, nel rispetto del distanziamento sociale, oggi molte aziende sono obbligate a riorganizzare i propri spazi e procedure. Le stampanti e i dispositivi multifunzione possono giocare un ruolo importante nelle strategie di ripartenza, purché consentano di ottenere ambienti, processi e flussi di lavoro sicuri. Brother ha accettato la scommessa con un’offerta di stampanti e multifunzione che assecondano tutti i requisiti di produttività e sicurezza, oltre a garantire risparmi e ottimizzazione degli spazi. Un dispositivo A4 di Brother può vantare molti dei punti di forza di modelli più grandi: qualità di output professionale, efficienza, compresenza di diverse funzioni (stampa, copia, scansione, fax), schermi touch personalizzabili. Ma l’ingombro è decisamente inferiore. Una stampante posizionata su una scrivania o su un tavolino libera spazio da destinare ad altro e permette una diversa distribuzione dei flussi di persone. Con un voluminoso dispositivo A3 è facile che si creino piccoli assembramenti di persone che aspettano di poter ritirare una stampa, inviare un fax o fare una fotocopia: oltre a garantire scarsa privacy, questa situazione è incompatibile con le attuali esigenze di distanziamento sociale. Brother propone all’opposto un approccio battezzato “balanced deployment”: dispositivi
Tre “soluzioni leggere” e intelligenti Con l’offerta delle sue Light Solutions, Brother ha sviluppato tre soluzioni innovative per chi vuole ottenere la massima sicurezza, efficienza, velocità di installazione e semplicità di utilizzo. Secure Print+ è una funzionalità di Print Management, attivabile anche sulla singola macchina, che permette di stampare documenti riservati con elevata sicurezza e privacy, nel rispetto del Gdpr. Custom UI, invece, consente di personalizzare il pannello touchscreen dei dispositivi per migliorare i flussi di lavoro, ridurre gli errori e velocizzare le procedure di stampa e scansione. Barcode Utility, infine, è un software di scansione semplice e veloce, che archivia i documenti in modo automatico e strutturato attraverso la lettura dei codici a barre. Scanner per tutte le esigenze In tempi di smart working, digitalizzare i documenti (così da poterli condividere più facilmente) oggi è quanto mai importante. Ma anche nei contesti lavorativi tradizionali la digitalizzazione è strategica per abbattere i costi e semplificare la gestione documentale. Gli scanner professionali di Brother si adattano a diverse esigenze e contesti d’uso, garantendo in tutti i casi un’elevata velocità e qualità delle scansioni e un trattamento sicuro delle informazioni. I modelli desktop spiccano per prestazioni, strumenti integrati (per esempio il display touch personalizzabile con tasti scorciatoia) e compatibilità con un’ampia gamma di supporti (compresi documenti e schede di plastica). Per una più rapida condivisione dei documenti è possibile acquisire i file direttamente su Pc, su drive Usb, in rete o sul cloud, come Pdf, immagine o in altri formati. Gli scanner compatti, invece, per dimensioni e leggerezza sono perfetti anche per gli uffici più piccoli e per essere spostati facilmente da una stanza all’altra. La condivisione è immediata grazie alla connessione WiFi. Ancor più compatti e leggeri sono gli scanner portatili, pensati per l’utilizzo in movimento e alimentati tramite connessione Usb.
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LOMBARDIA DIGITALE
Al Lombardia Digital Summit, evento online di The Innovation Group, molte le testimonianze sullo stato dell'arte dell'innovazione regionale. Fra trasporti, piattaforme basate su open data, difesa della privacy e infrastrutture di telecomunicazione.
RETI, MOBILITÀ, DATI: IN VIAGGIO NEL FUTURO
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a Lombardia può porsi come capofila della trasformazione digitale italiana, ma attraverso quali iniziative pubbliche? Se ne è discusso lo scorso 19 novembre nell’ambito del Lombardia Digital Summit: un evento online (quinta tappa del progetto dei “Digital Summit Territoriali” di The Innovation Group) seguito da oltre mille partecipanti, e che fa seguito alle analoghe iniziative dedicate allo stato dell’arte della trasformazione digitale in Liguria, Lazio, Campania ed Emilia-Romagna. Massimiliano Salini, membro della 24 |
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Commissione Industria, ricerca ed energia del Parlamento Europeo, nel suo discorso d’apertura ha sottolineato che la Lombardia è pronta ad affrontare un ampio percorso di trasformazione digitale, a patto però di “mettere a terra le idee”. Tra le principali attività da promuovere, il tema del trasferimento tecnologico assume senz’altro un’importanza prioritaria. A ricordarlo sono stati Marco Simoni, presidente dell’istituto di ricerca Human Technopole, e Marco Bentivogli, esperto di politiche del lavoro e di innovazione industriale, che ha parlato di come in Ita-
lia si debba assumere un modello di trasferimento simile a quello del Fraunhofer Institute tedesco, perché “nessuna realtà da sola è in grado di innovare se non fa rete con gli altri sistemi”. Allo stato attuale, ha precisato Bentivogli, il nostro Paese “ha una massa critica insufficiente per consentire l’accelerazione digitale”. Ma è anche necessario “evitare la moltiplicazione di iniziative, che piuttosto devono essere declinate su specifiche tematiche”, come evidenziato da Alfonso Fuggetta, Ceo di Cefriel. Massimo Dal Checco, componente del
ha detto Liuzzi, “l’accelerazione sui temi della banda ultralarga è uno dei pilastri delle politiche di questo governo”. Lo sviluppo infrastrutturale e le reti di telecomunicazione supporteranno cambiamenti radicali ma richiederanno anche di prestare particolare attenzione alle tematiche di sicurezza: un ambito in cui, come affermato da Cosimo Comella, responsabile del Dipartimento tecnologie digitali e sicurezza informatica dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, in Italia si rileva un quadro giuridico fortemente carente. La minaccia cyber si avvale di tecniche di intelligenza artificiale e di analisi dei dati sempre più sofisticate, che richiedono risposte di livello altrettanto elevato: non si può pensare di disciplinare fenomeni nuovi con strumenti del passato. Economia circolare e smart city
Consiglio Generale di Assolombarda, ha ricordato che la Lombardia il prossimo anno sarà una delle Regioni per cui è prevista la maggiore crescita, grazie soprattutto alla forte presenza di industrie. Le tecnologie pilastro del futuro
Come accelerare, dunque, questo percorso? Al di là degli incentivi attesi dal Piano Next Generation Eu, come sollecitare le imprese a realizzare determinate tipologie di investimenti? La ripartenza economica deve fondarsi su nuove reti e tecnologie: il futuro è all’insegna di soluzioni innovative quali fibra ottica, 5G, cloud ed edge computing. A ricordarlo è stata Mirella Liuzzi, sottosegretario di Stato del Ministero dello Sviluppo Economico, che ha anche sottolineato come negli ultimi mesi sia cambiata in maniera significativa la percezione sulla connettività e sulla digitalizzazione del Paese. “Senz’altro”,
Digitalizzazione e sostenibilità saranno i driver di sviluppo nei prossimi anni. Ad affermarlo è stato Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e clima della Regione Lombardia, secondo cui se si vuole promuovere un modello di sviluppo diverso bisogna innanzitutto “diffondere la consapevolezza tra i cittadini, le comunità locali e le imprese che dovranno scegliere di lavorare secondo modalità differenti dalle precedenti”. Sulla tematica è intervenuto anche Fabrizio Piccarolo, direttore generale della Fondazione Lombardia per l’Ambiente, secondo cui “nel rapporto tra sostenibilità e digitalizzazione vi sono alcune relazioni essenziali: tali dimensioni devono confrontarsi e interagire”. “Nell’ultimo periodo”, ha ricordato invece l’architetto Stefano Boeri, “si è assistito alla grande diffusione dello smart working, che ha portato alla rivitalizzazione di molte aree periferiche di un Paese in cui, tuttavia, ancora emergono delle problematiche infrastrutturali. Vivere in un borgo storico disponendo di una connet-
tività di qualità è una nuova condizione che può essere importante”. In questo contesto, si rileva la necessità di individuare nuove policy sul territorio, rivolte a imprese e utenti, oltre che di approntare attività di informazione dei cittadini, di fornire incentivi alle aziende e di promuovere il superamento di determinate abitudini. Al riguardo Dante Scoccianti, unità organizzativa infrastrutture viarie e aeroportuali, direzione generale infrastrutture, trasporti e mobilità di Regione Lombardia, ha parlato dell’importanza di adottare approcci flessibili e aperti nella programmazione regionale: la Lombardia, a tal proposito, sta discutendo sulla possibilità di creare una piattaforma basata sugli open data. Per Elena Jachia, direttore area ambiente di Fondazione Cariplo, è necessario un maggior impegno in termini di governance: all’interno delle amministrazioni si richiede l’individuazione di un responsabile delle tematiche relative a clima e ambiente, che coordini e monitori tutte le politiche di questi ambiti. Oggi sempre di più si tra trasformando anche la mobilità, come ricordato da Mario Nobile, direttore generale, sistemi informativi e statistici del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: “Per il futuro sarà richiesto un trasporto personalizzato, basato su un numero crescente di informazioni disponibili e su modalità di pagamento agili”. Anche per Andrea Gibelli, presidente di Ferrovie Nord Milano e presidente, di Asstra Associazione Trasporti, servirà un piano orientato ai concetti di “mobilità as a service” (riassumibile nell’acronimo MaaS) e di “mobilità per la comunità” (Mac). Secondo Renzo Iorio, Ceo di Nugo (Gruppo Ferrovie dello Stato), infine, sarà necessario riuscire ad avere approcci condivisi e inclusivi e insistere di più su car sharing, micromobilità e altre forme di trasporto alternativi in parte già diffusi. C. C. 25
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TRASPORTI, UNA RIVOLUZIONE ALL’INSEGNA DELLA COMPLESSITÀ
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rima della pandemia di covid-19, dal punto di vista del trasporto urbano esisteva una domanda ben definita proveniente dal pendolarismo, da una mobilità basata su orari di uffici e scuole in un certo senso standardizzati. In sintesi, erano chiari i periodi di punta e quelli di “morbida”. Lo sforzo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, insieme a quello dei fornitori di servizi di trasporto pubblico locale, era orientato a migliorare l’esperienza degli utenti che esprimevano una domanda abbastanza rigida e a sviluppare soluzioni innovative per cogliere i cambiamenti di questa domanda. Abbiamo supportato progetti e definito la cornice normativa, non solo per l’auto a guida autonoma ma anche per i veicoli definiti multiscopo, per il trasporto collettivo dai sette ai dieci passeggeri, e anche per svolgere azioni di videosorveglianza, raccolta dei rifiuti, consegna di pacchi. Dopo lo scorso marzo, però, la domanda di trasporto è diventata più complessa e caratterizzata da comportamenti totalmente diversi rispetto al passato. Assistiamo a un radicale cambiamento degli spostamenti legati alla scuola e all’ufficio e lo stesso concetto di “ora di punta” si è notevolmente modificato. La domanda è diventata completamente elastica e a volte imprevedibile, poiché anche le grandi aziende hanno stabilito orari e regole di accesso differenziati. Nello scenario pre-covid i diversi attori della mobilità sviluppavano app e sistemi informativi soprattutto per ambiti verticali, pun-
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tando anche in certi casi ad allargarsi (come in alcuni sviluppi del trasporto pubblico locale) nel car sharing e in altri ambiti innovativi. Diverse agenzie per la mobilità, inoltre, hanno tentato e in alcuni casi sono riuscite a sviluppare una vera integrazione dei diversi modi di trasporto. Oggi però è necessario spingere maggiormente sull’integrazione e sulla condivisione dei dati perché, in assenza di orari di punta ben definiti, dovremo gestire in modalità “tailor made”, vestendo su misura il trasporto, una domanda molto particolare, individuale e disaggregata. Non si può più ragionare in termini di spostamenti pendolari, casa-scuola e casa-lavoro, come avveniva prima di marzo. Questa sarà un’opportunità per il periodo post-covid. Che cosa può fare il digitale? Il digitale mette a disposizione delle soluzioni tecnologiche, ma sta a noi spingere per una vera integrazione delle stesse, tra quelle adottate dai diversi provider dei servizi di trasporto pubblico. Se prima si poteva forse pensare che l’utente scaricasse una molteplicità di app dedicate al trasporto pubblico al fine di scegliere le singole modalità di trasporto che componevano il suo viaggio (metro, tram, treno, bus, eccetera), oggi questo non è più possibile. È necessaria, da parte dei soggetti pubblici e privati che erogano servizi di trasporto, un’integrazione dei sistemi con una concreta condivisione dei dati perché, considerando l’elevata frammentazione della domanda, l’utente deve poter accedere in tempo reale ai dati, alle disponibilità dei diversi mezzi e alle possibilità di acquisto dei bigliet-
Mario Nobile
ti (o dell’unico biglietto integrato). In conclusione, è necessario che i Nap (National Access Point) del settore dei trasporti, quali punti di aggregazione o “hub dei dati”, si sviluppino non solo in direzione dell’infomobilità (ossia per fornire informazioni sulla posizione in real time di un mezzo di trasporto) ma anche sulla percentuale di riempimento, al fine di non superare i limiti imposti dalle norme sul distanziamento fisico. Consentendo infine la prenotazione, ove possibile, e l’acquisto del titolo di viaggio digitale. Dobbiamo puntare a dare soluzioni di viaggio e a integrare anche l’offerta commerciale: la vera sfida è cogliere in questo cambiamento della domanda un’innovazione che possa portare benefici a tutti gli attori del trasporto, mettendo in primo piano la user experience. Chi opera nel settore della mobilità sa quanto questo obiettivo sia difficile da raggiungere. Ma il momento è quello giusto. Mario Nobile, direttore generale per i sistemi informativi e statistici, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
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L’EUROPA GUARDA AL DIGITALE (E ALLO SPAZIO) Le risorse del piano Next Generation Eu potranno finanziare progetti tecnologici variegati, fra intelligenza artificiale e satelliti.
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lungo si è parlato della tecnologia come motore di profonde trasformazioni che hanno impatti dirompenti in diversi ambiti, modificando in maniera radicale la struttura della società, i modelli di business, la Pubblica Amministrazione. Di tali fenomeni si è appunto sempre discusso ma probabilmente la reale consapevolezza di che cosa sia possibile fare con il digitale, dei casi d’uso che questo è in grado di generare è maturata solo recentemente, in seguito alla drammatica esperienza del covid-19 e del conseguente lockdown. È ragionevole pensare che ci troviamo davanti a un punto di non ritorno, che molti dei fenomeni a cui si è assistito saranno parte integrante della cosiddetta “nuova normalità”, richiedendo a chi ha la responsabilità politica e ai soggetti privati di impegnarsi nelle sfide industriali e tecnologiche che tali cambiamenti richiedono. A spingere in questa direzione è anche il piano europeo Next Generation Eu, che prevede l’allocazione di 750 miliardi di euro di risorse comunitarie, il 30% delle quali destinate allo sviluppo della green economy e il 20% utilizzabile per progetti digitali e innovativi. Per l’Italia, principale Paese beneficiario di tali risorse (a cui andranno circa 208,8 miliardi di euro), il Piano rappresenta una
grande opportunità di cambiamento per accelerare progetti, interventi e riforme strutturali di cui il Paese necessita da tempo. Perché ciò accada, tuttavia, bisognerà adottare un preciso indirizzo strategico, orientato ad azioni mirate che permettano all’Italia di non porsi più come nazione subordinata alle catene di valore europee, ma piuttosto come protagonista di grandi sfide industriali e tecnologiche. Diversi i temi su cui si sta lavorando a livello europeo. A presentarne una breve panoramica occasione del Lombardia Digital Summit di The Innovation Group è stato Massimiliano Salini, membro della commissione Industria, ricerca ed energia del Parlamento Europeo. Tra le principali attività si rileva la creazione, all’interno del Parlamento Europeo, di una commissione speciale dedicata all’intelligenza artificiale, che avrà il compito di individuare le prioritarie destinazioni delle risorse disponibili una volta approvato il piano finanziario pluriennale. È, altresì, prevista la riforma del pacchetto legato al Digital Service Act, necessario soprattutto
per adeguare la direttiva sull’e-commerce e inserirla in una cornice giuridica che rispetti i principi dell’accountability e della tutela dell’utente finale. Altri 85 miliardi di euro sono destinati al programma Horizon Europe, il prosieguo di Horizon 2020, e a questo si aggiungono 9 miliardi di euro previsti per il programma Europa Digitale, che si articolerà su ambiti verticali quali il supercalcolo, l’intelligenza artificiale e cybersecurity. Ci sono poi le iniziative dell’Agenzia Spaziale Europea, articolate in diversi filoni: tra le principali spiccano il programma Galileo, per la realizzazione di un sistema di navigazione satellitare europeo, e il programma Copernicus per sistemi di osservazione e monitoraggio. Ma l’Italia è pronta ad affrontare tali sfide? In questo contesto appare cruciale la presenza della Lombardia, territorio che si colloca al centro delle grandi partite europee per il ruolo che può svolgere a fini del coordinamento e del supporto operativo locale della trasformazione digitale dei servizi per cittadini e imprese. C.C. DICEMBRE 2020 |
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IL DIGITALE SALVERÀ MODA E LIFESTYLE? Con il lockdown si moltiplicano le best practice volte a migliorare la relazione con i clienti e la customer experience, e in questo le tecnologie sono un importante alleato. Se ne è parlato nel corso dell’evento in streaming “Italian lifestyle innovation: the Ceo perspective”, organizzato da The Innovation Group e Jakala.
S
econdo McKinsey, nei mercati europei e statunitensi il calo della spesa in abbigliamento per effetto della pandemia toccherà il 70%, mentre la contrazione media globale degli altri settori non dovrebbe superare il 50%. In Europa non va meglio, anzi. Il Vecchio Continente, che prima dell’arrivo del covid-19 mostrava segnali di crescita, ha subìto una doppia battuta di arresto: prima l’interruzione dei flussi turistici da Asia e Medio Oriente, poi il blocco del mercato interno. Sembra un colpo mortale per uno dei mercati più strategici anche per l’economia del nostro Paese. Con un fatturato di oltre 80 miliardi di euro e quasi 500mila addetti, infatti, il settore della moda rappresenta in termini di occupati il 12,5% dell’industria manifatturiera italiana. L’ultima stima di Confindustria Moda prefigura per il settore del fashion una perdita di 29 miliardi di euro (corrispondente a un flessione del 29,7% rispetto al 2019) come conseguenza del covid-19: sono valori leggermente migliori rispetto a 28 |
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quelli di precedenti previsioni, ma comunque impressionanti. In generale, i mercati della moda, del lusso e del design sono solitamente piuttosto resilienti alle crisi economiche, e tuttavia sembrano questa volta risentire più di altri della prolungata incertezza dovuta alla pandemia. Questa sta facendo sentire i suoi effetti su più fronti: la crisi del mercato interno e delle esportazioni dovuta ai lockdown attuati in tutto il mondo, la recessione economica, ma anche i cambiamenti nelle abitudini di consumo (dovuti innanzitutto alla riduzione delle occasioni di socialità). La strategia per ripartire
Secondo un rapporto stilato a luglio di quest’anno da Ey, Cassa Depositi e Prestiti e Luiss Business School, per invertire la tendenza alla fine della pandemia serve un piano articolato per la ripartenza che preveda la definizione di policy mirate a creare valore nel lungo termine e a innovare i modelli di business. Lo studio individua quattro principali linee d’intervento: incentivi per il
rafforzamento dell’ecosistema nazionale, un più ampio ruolo delle partnership per l’innovazione del settore, differenti modelli di business (con un Made in Italy letto in chiave di sostenibilità) e infine un matching tra il digitale e i nuovi modelli di consumo. Ancora una volta, come già successo per altri comparti, il digitale sembra quindi venire in soccorso non solo del settore moda ma più in generale dell’ambito lifestyle, che include quindi anche lusso, design, arredamento. “Venendo meno il business in presenza”, dice Marco Di Dio Roccazzella, general manager di Jakala, “abbiamo in
segue Di Dio Roccazzella, “consentono di mantenere una buona customer experience anche a distanza, sia in negozio sia online: schermi digitali che permettono un dialogo con il sales assistant o anche di provare virtualmente gli abiti e sistemi che in videochiamata abilitano il contatto con l’addetto alle vendite”. Cresce l’e-commerce
L’e-commerce, secondo lo studio di Ey e Cdp, come è intuibile ha avuto invece una notevole spinta al rialzo in questi mesi, e l’andamento azionario di aziende come Zalando (+46%) riflette l’accelerazione delle vendite registrata nei mesi di lockdown, compensando parzialmente la chiusura dei negozi. Anche prima della crisi, in ogni caso, la digitalizzazione del settore stava progredendo in modo spedito lungo tutta la filiera. Se al momento l’esperienza digitale prevale ancora soprattutto nella fase di scelta (succede per il 70% degli acquisti totali), nel complesso le vendite online rappresentano ancora il 10% del totale: sono, però, cifre destinate a essere riviste profondamente nella “nuova normalità”.
In questi mesi, poi, molti convegni e fiere si sono trasformati in show virtuali, permettendo da una parte una discreta esperienza utente nella fase di acquisizione delle informazioni, dall’altra la possibilità di creare o mantenere una relazione con i brand espositori e, perché no, con gli altri partecipanti all’evento. “C’è poi una trasformazione digitale in atto anche nel back office”, conclude Di Dio Roccazzella, “perché tutte le aziende stanno spingendo per mettere a fattor comune del business il Crm. Questo è l’unico modo per far sì che le piattaforme e-commerce e social possano veramente instaurare un dialogo profittevole con il cliente anche a negozi chiusi”. Infine, non dobbiamo trascurare l’ambito della post vendita. Con il lockdown il tema della cura del cliente e del prodotto nelle altre fasi del ciclo di vita commerciale è diventato ancora più centrale: una fonte di best practice che, una volta finita la pandemia, possono risultare utili anche in tempi di “nuova normalità” per tutti i brand, compresi quelli meglio posizionati. Emilio Mango
L'opinione dei consumatori questi mesi assistito a un’accelerazione del potenziamento dei canali digitali. D’altronde, il cliente oggi si informa ancora di più attraverso l’online e molte fasi del processo d’acquisto che prima venivano realizzate in presenza vengono invece svolte, più o meno efficacemente, a distanza”. Le aziende, quindi, investono sul digitale in modo che le tecnologie possano favorire il processo di conversione e di acquisto, con o senza una tappa finale in negozio. Parliamo di disponibilità di immagini e informazioni sul prodotto ma anche, ad esempio, del processo di scelta della taglia. “Le nuove tecnologie”, pro-
Quanto il canale e-commerce ha sostituito il negozio nelle sue abitudini di acquisto?
Che impatto ha sulla sua esperienza di shopping avere una applicazione che orienti i suoi acquisti all’interno del punto vendita?
1% 21% 12% 35%
31%
NESSUN IMPATTO IMPATTO MODERATO IMPATTO ELEVATO IMPATTO ELEVATISSIMO NON SO
PER NIENTE POCO MEDIAMENTE MOLTO NON SO
0% 4% 28% 21% 47%
E-commerce utilizzato per gli acquisti con sempre maggiore frequenza
Applicazioni mobile fondamentali per guidare consumatori in negozio
Fonti: Osservatorio Jakala Martech, 2.500 intervistati (25-65 anni), settembre 2020
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FASHION
Alla fine della pandemia il contesto sarà completamente diverso rispetto al passato e i processi e le competenze andranno disegnati ex novo. Questo il quadro tracciato da due esperti del mercato lifestyle.
NEL LUSSO NON CI SARÀ UN "NEW NORMAL"
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l covid-19 si è abbattuto sul settore del lusso e dei marchi iconici in un momento molto delicato. Un momento in cui i nuovi modelli di consumo, già elaborati da altri settori, iniziavano a essere assimilati anche da aziende che, forti del loro prestigio, fino a quel momento si erano potute ancora permettere relazioni “analogiche” o comunque ancora molto centrate su brand e prodotto/servizio. A rendere ancora più complesso lo scenario c’era la spaccatura tra i modelli adottati nei nuovi mercati (come l’enorme bacino cinese) e la più tradizionale piazza europea. Il dato di contesto”, dice Stefania Saviolo, di30 |
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rettore del Knowledge Center Luxury & Fashion Master di Sda Bocconi, “è che con la pandemia siamo caduti di qualche gradino nel framework della customer experience che utilizziamo nei nostri studi e che si rifà alla piramide di Maslow: da livelli assimilabili a quello della stima (delight/inspire) siamo tornati a doverci confrontare con quelli della sicurezza e del trust. Il modello basato sui bisogni funziona ancora, ma ora dobbiamo tornare a semplificare e garantire sicurezza, che in ultima analisi sono temi prettamente organizzativi”. Secondo Saviolo, le direttrici, i trade-off, lungo i quali il modello deve evolvere
sono sostanzialmente tre. “Il primo è la revisione del modello centro-periferia”, spiega. “Fino a poco tempo fa la tendenza era la centralizzazione: l’headquarter disponeva e le periferie eseguivano. Ora i punti vendita stanno diventando luoghi dove i brand devono capire e interpretare modelli di consumo diversi e consumatori diversi. Anche il personale deve saper fare cose differenti, e qui torna prepotente il tema del re-skilling, a partire dall’utilizzo pervasivo di dispositivi multimediali per assolvere alle principali funzioni di assistenza alla vendita”. Nasce quindi una polarizzazione, un dualismo tra centro e periferia che va ge-
i vendor devono diventare broadcaster, media manager, e quindi gli skill devono entrare in azienda. L’ultimo trade-off è quello tra hardware e software. Prima si lavorava tanto sull’hardware, avevamo bisogno dei dati e quindi delle tecnologie in grado di trattarli. Ma il ‘ferro’ si può comprare facilmente, le competenze no. Il software, le persone sono tornati a essere strategici. Tutto deve ripartire dalle persone e dai loro bisogni. Questo implica un nuovo modello di leadership e di gestione dei processi”. È cambiato il mindset
Stefania Saviolo
stito, che crea una discontinuità rispetto al percorso precedente e che rende più complicata la vita ai marchi internazionali del lifestyle e lusso. “C’è poi il tema della contrapposizione fra interno ed esterno”, prosegue Saviolo. “Prima molte attività afferenti al digitale, come la gestione dei dati e dei contenuti, erano delegate a partner e a competenze esterne: pensiamo all’e-commerce o ai piani media realizzati e gestiti dalle agenzie. Ora
L’accento sulle persone, con le tecnologie a fare da abilitatore (dovendo essere utilizzate a un “livello di coscienza” superiore rispetto al passato), è anche il pensiero di un altro addetto ai lavori, che ha speso gli ultimi vent’anni interpretando i modelli di consumo dei settori retail, fashion e luxury con l’aiuto di strumenti tecnologici e di analisi dei dati sofisticate e strutturate. “Il tema è sempre quello di come comprendere e governare i pattern di consumo, in un momento in cui la complessità invece di diminuire aumenta”, dice Marco Di Dio Roccazzella, general manager di Jakala. “Io ad esempio non sono d’accordo con alcuni modelli che tendono a semplificare, come quello del generation shift, anche in virtù dell’evidente differenza tra mercati come quello cinese, statunitense ed europeo. Bisogna governare fenomeni come quello del contactless e dell’hyperprofiling, e si riesce a farlo solo possedendo skill e tecnologie innovative. Solo così si riesce a portare a casa una vista unica del cliente”. Secondo Di Dio Roccazzella, i tempi di recupero rispetto al crollo dei consumi dovuto alla pandemia saranno più lunghi del previsto e i livelli pre-covid si raggiungeranno solo nel primo trimestre del 2023. “Nel frattempo i brand dovranno riuscire a erogare un’ottimale contactless
Marco Di Dio Roccazzella
signature experience e soprattutto dovranno diventare sempre più delle media ed entertainment company”, specifica il manager. Sembra tutto molto complicato, ma non lo è. O almeno non dovrebbe esserlo, visto che proprio la semplificazione dei processi è uno dei segreti per vincere gli effetti della pandemia. Semplificazione e cambiamento, che vuol dire ad esempio ibridazione delle competenze, con l’emergere di nuove attività come il customer media management e di figure come i brand ambassador, che di fatto vendono fuori dal perimetro dei punti vendita e di contatto. “Infine”, conclude Di Dio Roccazzella, “serve un’orchestrazione reale ed efficace di tutti i canali, con il superamento dell’ormai scontata omnicanalità. Non è un obiettivo facile e noi che tutti i giorni lavoriamo a fianco dei brand del lusso e del lifestyle ci rendiamo conto che le vere difficoltà sono quelle legate ai cambiamenti organizzativi e agli skill che mancano”. “Aggiungo che quello che serve è proprio ri-scrivere da zero i processi e trovare le competenze”, chiosa Saviolo. “Una disruption talmente forte rispetto al periodo pre-covid che mi fa dire, provocatoriamente ma nemmeno poi tanto, che non ci sarà affatto un new-normal bensì un contesto completamente diverso dal precedente”. E. M. 31
INFRASTRUTTURE
IT E SECURITY, DUE COMPETENZE DA SEPARARE Maurizio Tondi, director security strategy di Axitea, spiega quali potenziali rischi si celino dietro una sovrapposizione dei ruoli e indica possibili vie d’uscita.
Maurizio Tondi
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scludendo le grandi imprese e quelle medie con un’organizzazione strutturata o una forte vocazione all’innovazione su base tecnologica, per il resto in Italia abbondano le realtà in cui l’information technology viene internamente delegata a pochissime figure specializzate. In questo contesto, per ragioni soprattutto di natura economica o culturale, chi gestisce l’IT si ritrova spesso a occuparsi anche di cybersecurity. “Si tende a considerare il tema solo dal punto di vista tecnologico”, osserva Maurizio Tondi, director security strategy di Axitea, “perdendo così di vista quanto invece abbia a che fare con qualcosa di strategico, con impatti diretti sul business in caso di furto di dati sensibili, blocco di siti Web o ransomware con richieste di riscatto”. Sarebbe quindi opportuno distinguere i due ruoli, definire un piano strutturato di sicurezza informatica e affidarne l’esecuzione e il controllo a chi ha competenze in questo ambito. Sulla scorta di quanto già fatto dalle realtà meglio organizzate, dovrebbe esistere in organico almeno la figura del chief information security officer (Ciso), quando 32 |
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non un team dedicato. “Tuttavia”, suggerisce Tondi, “laddove le dimensioni non rendano conveniente procedere con una simile scelta, la soluzione risiede nell’outsourcing o nell’appoggio a una realtà specializzata in sicurezza, che possa mettere a disposizione dell’azienda competenze avanzate e un certo grado di indipendenza”. Dietro questo tipo di scelta si nasconde la necessità di evitare alcuni rischi non trascurabili. La sofisticatezza delle minacce attualmente in circolazione rende essenziali una conoscenza approfondita delle tecniche di difesa e un aggiornamento costante. Inoltre, l’IT si trova spesso sotto la pressione delle richieste provenienti dal business e tende a dare maggior priorità alla loro soddisfazione, a detrimento della focalizzazione sugli aspetti di protezione di dati, sistemi e dipendenti. Uno degli elementi critici nella gestione delle infrastrutture, per esempio, riguarda la corretta implementazione delle patch: “In linea di
massima, spetta all’IT procedere con gli aggiornamenti”, indica Tondi, “ma solo disponendo di un presidio diretto sulla cybersecurity sarà possibile verificare che questo lavoro sia svolto in modo continuo e puntuale. In sostanza, i ruoli vanno separati per evitare un possibile conflitto d'interessi nel caso in cui controllore e controllato siano la stessa persona”. Parlando di realtà poco strutturate, Axitea indica come via maestra l’affidamento delle tematiche di cybersecurity a società esterne specializzate, che dispongano di un Soc (Security Operation Center) in grado di erogare servizi gestiti. “In questo modo”, conclude Tondi, “l’IT manager potrà concentrarsi sulle attività aziendali strategiche e garantirsi la continuità operativa con un adeguato controllo del rischio e risposte rapide a eventuali attacchi, mantenendo però la governance all’interno, con report periodici e dashboard in tempo reale se necessario”. Roberto Bonino
UN MERCATO ALTALENANTE E IN EVOLUZIONE Al rallentamento della spesa per i data center interni si contrappongono gli investimenti in infrastrutture cloud.
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l covid-19 avrà effetti propulsivi sugli investimenti in tecnologie di infrastruttura, oppure li farà calare? Può sembrare paradossale, ma la risposta è: entrambe le cose. Da un lato, infatti, i periodi di lockdown e le necessarie riorganizzazioni di procedure e spazi hanno determinato per molte aziende un decremento di ricavi e un aumento dei costi, fattori che certo non incoraggiano gli investimenti. I numeri lo dimostrano: per il 2020 gli analisti di Gartner pronosticano una spesa mondiale in infrastrutture pari a 188 miliardi di dollari, corrispondente a un crollo del 10,3% sui livelli del 2021. Addirittura, le chiusure dettate dalla necessità di arginare il covid-19 hanno bloccato la realizzazione di nuovi data center in sei progetti su dieci. Ma il futuro non appare troppo fosco, fortunatamente: “Ci aspettiamo che gran parte della domanda scomparsa nel 2020 risorgerà nel 2021, quando il personale aziendale sarà fisicamente in sede”, ha commentato Naveen Mishra, senior research director di Gartner. Dopo il crollo di quest’anno, dunque, nel 2021 il mercato crescerà del 6%, toccando i 200 miliardi di dollari di valore, per poi continuare a espandersi senza flessioni almeno fino al 2024. Insomma, il bisogno di nuova capacità di calcolo, storage e traffico di rete tornerà ad alimentare gli introiti dei vendor di infra-
struttura una volta superata (si spera) la fase più critica della pandemia. Discorso a parte merita il mercato delle infrastrutture cloud, cioè erogate dai dati data center dei fornitori di servizi secondo vari modelli di vendita o abbonamento: in questo caso il covid non ha depresso gli investimenti, anzi. Proprio l’esigenza di riorganizzarsi nell’ottica dello smart working ha spinto molte aziende ad allargare la propria infrastruttura “fuori dal perimetro”, come si suol dire, per sostenere l’incremento del traffico dati generato dalle applicazioni per il lavoro a distanza. Per i grandi fornitori di cloud pubblico, come Amazon Web Services, Google, Microsoft e Oracle, si prevedono quindi ancora tempi di vacche grasse, dopo un 2020 già fortunato. Secondo Synergy Research Group, nel trimestre di marzo, aprile e maggio la spesa mondiale in cloud pubblico infrastrutturale ha toccato i 17 miliardi di dollari, segnando una crescita del 25% anno su anno. E l’ascesa continuerà, stando alle previsioni di un’altra società di analisti: fra le tendenze tecnologiche protagoniste del 2021, Idc indica l’ac-
celerata delle aziende verso un modello infrastrutturale cloud-centrico, al punto che otto su dieci si muoveranno in tale direzione molto più velocemente rispetto al passato. “I chief information officer”, scrive Idc, “devono accelerare la transizione verso un modello IT cloud-centrico per stare al passo con la concorrenza e aumentare la resilienza digitale delle loro aziende”. Un punto di vista interessato ma certamente autorevole è quello di Nutanix, un fornitore di software per infrastrutture iperconvergenti, servizi cloud e archiviazione: nell’ultima edizione dell’annuale “Enterprise Cloud Index”, l’86% dei 3.400 responsabili IT intervistati (in Nord America, Europa, Medio Oriente, Africa, Asia-Pacifico e Giappone) vede nel cloud ibrido il modello di infrastruttura ideale. L’accostamento di macchine on-premise e risorse cloud (solitamente di più fornitori) in un unico ambiente informatico integrato non è una novità, ma diventerà una scelta sempre più diffusa. “La maggioranza degli intervistati, circa il 76%, riferisce che la pandemia ha fatto pensare all’IT in modo più strategico”, commenta Wendy Pfeiffer, chief information officer di Nutanix, “e il 46% dichiara che l’aumento degli investimenti nel cloud ibrido ne è conseguenza diretta. Le distribuzioni di cloud ibrido durante la crisi hanno garantito vari vantaggi, tra cui la possibilità di offrire configurazioni di lavoro flessibili, rafforzare i piani per la continuità aziendale, semplificare le attività e aumentare l’uso di strumenti di videoconferenza”. Valentina Bernocco
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INTELLIGENZA ARTIFICIALE
ALLA RICERCA DI UN VALORE CONDIVISO Come possono le tecnologie di AI generare benefici per le aziende ma anche per l’intera società? Le iniziative, strategie e politiche industriali suggerite dagli esperti del settore.
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intelligenza artificiale applicata alle necessità delle imprese è ricca di vantaggi: consente, da un lato, di recuperare efficienza attraverso la manutenzione predittiva, la possibilità di programmare la produzione, il miglioramento dei sistemi di qualità; dall’altro, permette di promuovere un forte cambiamento dei modelli di business, muovendoli verso la customizzazione di massa, per meglio soddisfare i bisogni dei clienti. Tuttavia, sono diversi gli ostacoli che limitano una più ampia adozione di tali soluzioni. Il primo è la mancanza di un’integrazione consapevole, basata sulla conoscenza e sui dati: in gergo, un’integrazione knowledgebased e data-driven. Ci sono poi problematiche di comprensione dei modelli (explainability), la nota questione del bias e la difficoltà nel trasferire i modelli estratti da una macchina ad un’altra. Il terzo ostacolo è la necessità di rendere l’intelligenza artificiale di facile accesso per i non esperti in materia, i cosiddetti low tech user. In questo contesto sono state sviluppate diverse iniziative europee e italiane, volte alla realizzazione di sistemi di intelli34 |
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genza artificiale affidabili, basati sull’intervento e la sorveglianza umana e in grado di garantire trasparenza sulla governance dei dati e riservatezza nel loro trattamento. Tali tematiche sono state oggetto del panel “Quale strategia per Data & AI per il Paese - Che impatti su
economia e società” dell’AI & Data Forum Live 2020, organizzato lo scorso 17 novembre da The Innovation Group, e in cui sono intervenuti Andrea Bianchi (responsabile pianificazione strategica e politiche industriali di Invitalia), Patrizio Bianchi (economista, professore della Cattedra Unesco su Educazione, Crescita e Uguaglianza dell’Università di Ferrara e direttore scientifico della Fondazione Big Data), Michela Milano (head research dell’Institute for Human-Centered Artificial Intelligence dell’Università Bologna), Piero Poccianti (presidente di Aixia), Paolo Traverso (direttore del Centro per le Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione di Fondazione Bruno Kessler). Nel corso della discussione è stato analizzato lo stato dell’arte di iniziative e progetti, sia europei sia italiani, dedicati a intelligenza artificiale e Big Data, partendo dalla consapevolezza della necessità di sviluppare una strategia unica per questi due temi. Tale strategia dovrà basarsi sulla sinergia di competenze accademiche ed eccellenze industriali, nel pieno rispetto dei principi europei di privacy e protezione dei dati, in risposta al predominio che le superpotenze Usa e Cina intendono raggiungere nel settore (una volontà supportata da ingenti investimenti promossi dai rispettivi colossi tecnologici e dalla definizione di piani nazionali dettagliatissimi). I progetti europei, a differenza di quelli statunitense e cinese, propongono un approccio all’intelligenza artificiale basato su una visione antropocentrica. Tuttavia, bisogna considerare che l’intelligenza artificiale è una tecnologia dichiarativa, la cui applicazione richiede un forte cambiamento degli attuali modelli socio-economici. In Europa e, soprattutto in Italia, si rileva un tessuto economico differente da quello delle due superpotenze, caratterizzato dalla forte presenza di piccole e piccolissime impre-
se: sul loro modello di business l’intelligenza artificiale potrà avere comunque effetti dirompenti, modificando in maniera significativa lo scenario in cui operano. Per loro andranno create le stesse condizioni e opportunità che si rilevano per le grandi corporation. Ciò richiederà un cambiamento anche e soprattutto nell’approccio e nella definizione delle politiche industriali. Innanzitutto si avverte la necessità di ragionare per grandi ecosistemi (promuovendone l’interazione), di lavorare nell’ambito della ricerca e di incitare il passaggio da modelli di trasferimento tecnologico lineari a modelli circolari, in cui tutte le componenti della filiera producono a loro volta informazioni utili. In quest’ultimo ambito un esempio concreto proviene dalle attività portate avanti all’interno della Fondazione Bruno Kessler, in cui sono stati creati dei laboratori congiunti basati sulla collaborazione tra l’ente di ricerca e le aziende, volti a comprendere le reali esigenze del mercato e di un determinato business. Proponendo, così, soluzioni di intelligenza artificiale che davvero si adattino alle richieste aziendali. Realizzare partnership pubblico-private è, del resto, una necessità emersa soprattutto nell’ultimo periodo: l’emergenza del covid-19 ha dimostrato come lo sviluppo del sistema imprenditoriale sia fortemente legato a quello dei beni pubblici, come ambiente, salute, mobilità, vita collettiva. Ecco, dunque, che il dato deve essere messo a disposizione del bene comune, pur nel rispetto delle sue caratteristiche di universalità e e riservatezza, condizioni necessarie affinché questo esista. Lo sviluppo umano, pilastro fondamentale di qualsiasi politica industriale, nazionale o comunitaria, si sostanzia nella capacità non solo di controllare i dati ma soprattutto di utilizzarli per generarne valore. Carmen Camarca 35
CYBERSECURITY EXECUTIVE ANALYSIS
È SCOPPIATA LA “CYBERPANDEMIA” Il Rapporto Clusit evidenzia che, su 850 attacchi gravi osservati nel primo semestre su scala mondiale, il 14% fa leva sul tema del coronavirus.
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l covid-19, il coronavirus che causa la malattia, la pandemia mondiale, i lockdown, la crisi sanitaria: temi che in questo 2020 non soltanto hanno affollato i titoli dei telegiornali e le discussioni sui social, ma che sono serviti anche per sferrare attacchi informatici. Il fenomeno era già emerso da numerosi report di vendor di cybersicurezza, sia in primavera sia durante la “seconda ondata” autunnale. Ora, però, il Clusit (Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica) ne offre una panoramica più generale. Su 850 attacchi gravi osservati nel primo semestre su scala mondiale, 119 fanno leva sui temi del coronavirus e del covid-19: si tratta soprattutto di campagne di phishing (64% dei casi), anche associate alla diffusione di malware (21%). In più di sei casi su dieci gli autori delle operazioni di phishing legate al coronavirus fanno “economie di scala”, vale a dire cercano di colpire bersagli multipli con un unico attacco strutturato su più canali. L’11% delle campagne, invece, si focalizza sul settore sanitario, mentre il 12% prende di mira target governativi. Nel complesso, gli attacchi legati al covid-19 rappresentano il 14% degli episodi gravi del semestre e sono tanto diversificati e intensi da far dire ad Aldo Di Mattia, system engineer di Fortinet, che stiamo vivendo la “prima cyberpandemia nella storia dell’umanità”. L’andamento degli attacchi segue sostanzialmente quello 36 |
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Finalità e autori degli attacchi 3% 2% 12%
CYBERCRIMINE CYBERSPIONAGGIO /SABOTAGGIO INFORMATION WARFARE
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HACKTIVISMO
Le tecniche di attacco MALWARE PHISHING/ SOCIAL ENGINEERING SCONOSCIUTA
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DDOS Fonte: Clusit, “Rapporto 2020 sulla sicurezza Ict in Italia”, aggiornamento giugno 2020
Software per la gestione di documenti/workflow Servizi di cloud computing Servizi di consulenza/training/system integration Servizi di outsourcing
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SPIONAGGIO TAGGIO
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La “guerra delle informazioni” si riscalda
Allargando lo sguardo allo scenario generale degli attacchi informatici, si nota che il volume di episodi gravi del periodo gennaio-giugno è cresciuto costantemente tra il 2014 e il 2019, mostrando solo una lieve flessione nel 2020 (il Clusit considera “gravi” gli attacchi che hanno sulle vittime un impatto significativo in termini di perdite economiche, danni alla reputazione o diffusione di dati sensibili). Fra le tipologie di attività fraudolenta in cima alla classifica c’è come sempre il cybercrimine, ovvero le azioni tese al furto di denaro o di dati monetizzabili: 709 gli episodi gravi del primo semestre 2020, numero in crescita del 7,1% rispetto allo scorso anno. Più piccolo ma in forte ascesa (di oltre l’11%) è invece il numero degli attacchi di cyberspionaggio, cybersabotaggio e information warfare: distinguere nettamente una sottocategoria dall’altra non
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Numero di attacchi gravi per semestre
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dei contagi nella “prima ondata” primaverile. “Come era facile prevedere”, scrive Di Mattia nel report di cui è coautore, “i cybercriminali hanno sfruttato sin da subito l’emergenza sanitaria dovuta al covid-19, per poi intensificare gli attacchi nel periodo più acuto della pandemia. Estraendo dai FortiGuard Labs i dati relativi a malware e attacchi informatici sul territorio italiano, si possono osservare delle correlazioni evidenti con le statistiche dei contagi nello stesso periodo”. Nella prima metà del 2020 nel mondo le email di phishing sono aumentate di sei volte rispetto al 2019, e in questo il covid-19 ha sicuramente giocato un ruolo. Conseguentemente sono cresciuti i casi di dati finanziari messi in vendita sul Dark Web, così come sono aumentati i casi di vishing (in cui i malfattori cercano di carpire dati personali e codici bancari dispositivi attraverso truffe telefoniche).
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IVISMO
Fonte: Clusit, “Rapporto 2020 sulla sicurezza Ict in Italia”, aggiornamento giugno 2020
è semplice, ma complessivamente esse fanno registrare il livello più elevato degli ultimi nove anni e mezzo. Quanto ai bersagli colpiti, il 25% degli attacchi si è rivolto verso target multipli, il 14% verso l’ambito del commercio e della distribuzione organizzata, il 10% verso il settore sanitario, un altro 10% verso il mondo della scuola e della ricerca e altrettanto verso i servizi Internet e cloud. Gli alti e bassi dell’Italia
Il report è arricchito da un approfondimento sulla situazione italiana, frutto delle analisi eseguite da Fastweb su dati anonimi aggregati, ricavati dalla propria rete (oltre 6,5 milioni di indirizzi IP pubblici, ognuno dei quali può ricevere comunicazioni da centinaia di dispositivi e server dei clienti). Nel nostro Paese si osserva una forte crescita dei malware indirizzati soprattutto alle utenze domestiche, mentre si è notevolmente ridotto (da una quota 30% rilevata nel primo semestre 2019 all’attuale 7%) il numero
degli attacchi DDoS verso le Pubbliche Amministrazioni. Merito, verosimilmente, dell’adozione di nuovi strumenti di difesa informatica da parte degli enti pubblici. "Nella tragedia di questi mesi sta avvenendo una rivoluzione: il digitale sta trasformando l'organizzazione delle imprese e la vita dei cittadini, e stiamo comprendendo che la sicurezza del digitale è essenziale", ha commentato il presidente del Clusit, Gabriele Faggioli. In Italia si conteggiano nel semestre alcune decine di migliaia di euro sottratti con frodi legate al coronavirus rivolte a utenti singoli, spesso realizzate associando alle email dei malware oppure dei siti Web “clone”. Ma non sono mancate operazioni di Business Email Compromise più ambiziose: 28 grandi e medie imprese hanno subìto frodi, perdendo complessivamente 24 milioni di euro. Grazie alla Polizia Postale ne sono stati recuperati 14, ma siamo ben lontani dal poterci sentire al sicuro. Valentina Bernocco 37
CYBERSECURITY
RANSOMWARE DALLE GRANDI AMBIZIONI Gli attacchi basati sulla cifratura dei dati e sul ricatto sempre più spesso mirano a colpire bersagli importanti. E fanno vittime illustri, anche in Italia.
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i sta concludendo un anno che ha visto le aziende impegnate sui temi della cybersecurity come mai prima d’ora. Il principale effetto della pandemia di covid-19 sulle infrastrutture Ict delle imprese è stato, infatti, un’accelerazione dei percorsi di trasformazione digitale. Per facilitare il ricorso allo smart working estensivo, le imprese hanno portato in cloud un maggior numero di workload, hanno digitalizzato processi
che in precedenza avvenivano in presenza fisica, e hanno ampliato il ricorso a tecniche di automazione e intelligenza artificiale. Allo stesso tempo hanno dovuto confrontarsi con problematiche di cybersecurity molto più ampie rispetto al passato. Con una forza lavoro operativa da remoto, è diventato prioritario garantire accessi sicuri alle applicazioni e ai dati aziendali, e parallelamente c’è stata un’impennata di attacchi volti a sfruttare le vulnerabilità di una situa-
zione nuova e difficile da gestire. Nel corso del 2020 si è visto innanzitutto un forte incremento del phishing dovuto a campagne che hanno sfruttato la promessa di informazioni sul covid e sui vaccini. In secondo luogo, il 2020 è stato anche il peggior anno in termini di data breach: una ricerca di Risk Based Security ha conteggiato 36 miliardi di record di database esposti. E cominciano a preoccupare i furti di dati dagli ambienti cloud, sempre più usati per archiviare informazioni aziendali e soggetti a vulnerabilità, dovute in particolare agli (evitabili) errori di configurazione. Terzo punto importante, nel 2020 si è osservato come gli attacchi mirati a grandi aziende utilizzino sempre di più il ransomware, con schemi molto evoluti (come quello della “doppia estorsione”, in cui non solo i dati vengono cifrati ma si minaccia di diffonderli) e con domande di riscatto che hanno toccato cifre record da decine di milioni di euro. Le vittime illustri del ransomwmare
Tra le vittime, nella seconda parte dell’anno spiccano alcune importanti aziende italiane. L’ultima ad essere colpita, a novembre, da un attacco malware con cifratura di alcuni server è stata Campari. Prima di lei, hanno subìto richieste di riscatto il Gruppo Carraro (700 dipendenti rimasti a casa a settembre per un blocco ai sistemi informativi causato da un malware), Geox (a giugno un ransomware ha messo offline il server di posta elettronica dell’azienda veneta), Luxottica (per quest’ultima sono rimaste ferme la produzione e la logistica nelle sedi del Bellunese, oltre che in Cina) ed Enel (l’attacco con il ransomware Netwalker è andato a segno a fine ottobre: 4,5 TB di dati rubati e una richiesta di riscatto da 14 milioni di euro in bitcoin). Del resto, anche a livello mondiale il 2020 è stato
un anno di crescita per gli attacchi con ransomware: secondo un recente report di Check Point, nel terzo trimestre del 2020 la media giornaliera degli episodi con richiesta di riscatto è cresciuta del 50% rispetto al primo semestre. La giusta strategia di difesa
Che cosa abbiamo imparato dalle esperienze dell’anno che sta per concludersi? Il ransomware in teoria è disegnato per colpire qualsiasi azienda poco accorta, ma l’evoluzione degli attacchi mostra che l’intenzione dei gruppi di cybercriminali oggi è soprattutto quella di arrecare danni a grandi organizzazioni, pretendendo riscatti milionari. Va detto anche che alcuni costi collegati a un attacco con ransomware non possono essere risarciti: ad esempio, il danno d’immagine, i disservizi e l’interruzione di operatività (particolarmente pesante se sono coinvolte le fabbriche), le perdite nelle vendite, possibili multe e azioni legali associate al data breach. Inoltre, come ha osservato Coveware in un recente aggiornamento di una propria ricerca, alcuni autori di ransomware una volta ricevuto il pagamento non rispettano la promessa di cancellare tutti i dati di cui sono entrati in possesso: in alcuni casi, anzi, arrivano addirittura a ripetere l’operazione,
riutilizzando gli stessi dati per successive estorsioni sulle medesime vittime. In ultima analisi, il fatto che questi attacchi stiano coinvolgendo così tante grandi organizzazioni è il segnale che molte di loro non sono in grado né di prevenire l’infiltrazione di un malware, né di rispondervi con corrette procedure di gestione dell’incidente e di recovery. Servirebbe una più ampia adozione di strategie di cyber risk management in grado di valutare quali sono i punti più deboli e di mettere al sicuro particolari tipologie di dati (cioè quelli più sensibili per la resilienza e la compliance). Aggiungendosi a tutto ciò il tema delle ulteriori debolezze che si sono create durante i mesi dell’emergenza covid, oggi è sempre più necessario accompagnare i percorsi di trasformazione digitale con un’attenzione particolare alla sicurezza; educare le persone perché non rappresentino l’anello debole della catena; introdurre procedure e strumenti per garantire in ogni momento e da ogni possibile postazione di lavoro un uso del cloud allineato con il livello di sicurezza richiesto per dati e applicazioni; impostare capacità di risposta e di prevenzione delle minacce che siano allineate alle tendenze riscontrate a livello globale. Elena Vaciago
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EXECUTIVE ANALYSIS
UNA RELAZIONE SEMPRE PIÙ DIGITALE Spinte di mercato, normative e fenomeni contingenti (primo fra tutti, il lockdown) stanno trasformando le interazioni fra gli istituti di credito e il pubblico, ma anche i processi sottostanti
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saminandola dal punto di vista temporale del 2020, la storia della trasformazione digitale delle banche (come quella di altri settori industriali del Paese) non può che rapportarsi allo spartiacque del lockdown della scorsa primavera, conseguenza della pandemia di covid-19. Il repentino cambio di procedure e abitudini lavorative, imposto dal forzato confinamento domestico, ha certamente contribuito ad accelerare l’innovazione su diversi fronti e con effetti destinati, almeno in certi casi, a durare nel tempo. La crescita di richieste digitali ha messo alla prova il rapporto tra banca e cliente. Le maggiori criticità hanno riguardato la gestione dei nuovi utenti che non avevano mai utilizzato servizi di digital banking o fintech: si tratta di una fetta consistente di correntisti che ha acquistato prodotti online per la prima volta durante il lockdown, ma anche di coloro che per la prima volta hanno utilizzato un conto corrente online. I processi di trasformazione digitale impattano anche su diversi aspetti della galassia bancaria: la relazione con la clientela rappresenta la punta dell’iceberg, ma ci sono altri elementi fortemente strategici, a partire dalla capacità di conquistare nuovi utenti online con offerte interessanti sul fronte dei costi e dei servizi. La facilità di frui40 |
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zione del canale digitale, ovvero la “user experience” che gli istituti saranno in grado di garantire, farà la differenza. La testimonianza delle banche italiane
The Innovation Group e Technopolis hanno realizzato un’indagine qualitativa che ha coinvolto un ristretto gruppo di istituti di credito, fra i più rilevanti del nostro Paese. Idealmente suddiviso fra brand storici di grandi dimensioni, realtà di media grandezza con maggior connotazione territoriale e soggetti nativi digitali, il panel ha consentito di fotografare soprattutto l’evoluzione della relazione fra le banche e la loro clientela, alla luce sia dei processi d’innovazione digitale in corso sia dei mutamenti di scenario imposti dalle normative, dall’ingresso sul mercato di nuovi soggetti e dall'emergenza covid-19. Un primo dato che accomuna un po’ tutto il campione analizzato è la presenza di un percorso di trasformazione digitale ormai piuttosto consolidato e integrato nei piani strategici triennali (perlopiù stilati prima del lockdown di inizio 2020). A trainare l’evoluzione non c’è solo la spinta economica, bensì anche il “salto culturale” di quella parte di clientela che ha già superato la diffidenza verso la tecnologia. Ma una motivazione al cambiamento è rappresentata anche da
una concorrenza che spinge nella stessa direzione, soprattutto con l’arrivo delle cosiddette “challenger bank”. Qualche elemento di differenziazione si nota sullo stato di avanzamento della digitalizzazione: in alcuni casi è più estesa sull’intero portafoglio d’offerta al pubblico, in altri le banche sono ancora a metà dell’opera e il peso della tradizione è ancora forte sulle categorie di prodotti e servizi più complessi (come mutui, finanziamenti, polizze assicurative e consulenza finanziaria). Nello scenario fin qui tratteggiato s’innesta la spinta degli effetti del covid-19 sulle modalità di lavoro delle persone e sulle abitudini della clientela. Tutte le banche hanno rafforzato la capacità di interrelazione a distanza con la clientela, hanno portato in digitale processi in precedenza “analogici” e, naturalmente, hanno reso possibile lo smart working per tutti i pro-
pri dipendenti. Allo stesso tempo il covid-19 ha evidenziato la permanenza di un divario fra i processi di front-end, in molti casi già completamente digitalizzati, e un backend invece più indietro da questo punto di vista, in assenza dell’implementazione di una vera e propria “identità digitale” del cliente, che potrebbe favorire un maggior allineamento. Gran parte delle banche analizzate ha registrato uno spostamento rilevante verso il digitale nell’utilizzo dei servizi tipicamente transazionali e questo è vero soprattutto nella fascia consumer, dove lo smartphone rappresenta il nuovo standard d’interazione verso il mondo. Lo scenario cambia nel campo delle relazioni con il business, dove invece il peso della tradizione è ancora rilevante: soprattutto nel frammentato universo delle Pmi, la
cui modesta propensione all’innovazione a ogni livello si riflette anche nelle relazioni bancarie. In generale, la parte più complessa del portafoglio d’offerta di una banca viene ancora demandata in buona misura al rapporto diretto fra i clienti e i consulenti, presenti nelle filiali o distribuiti sul territorio per chi ha un modello costruito sulla figura dei promoter. Il loro ruolo non è stato fin qui sostanzialmente intaccato dalla progressiva trasformazione digitale, né tantomeno dagli effetti prodotti dal recente lockdown. Nessuno intende rinunciare al ruolo fiduciario conquistato da questi soggetti, ma certamente anche il loro lavoro è destinato a digitalizzarsi maggiormente in futuro. In linea di massima, gli istituti tradizionali tendono ad assecondare i propri clienti, le loro richieste e abitudini. Per questo, ormai l’operatività quotidiana viaggia sul digitale, richiesto e gradito dagli utilizzatori, mentre su altri fronti non si evidenzia l’intenzione di forzare i clienti verso una fruizione più innovativa. Tutto sommato, questo spiega anche un’accettazione del concetto di omnicanalità, che però non viene perseguito in modo universale, nella convinzione che non tutto si presti ad andare in questa direzione. Crm e personalizzazione
La tendenza appena evidenziata esaspera il concetto di customer relationship che ormai ha fatto breccia anche nelle banche, portando con sé scelte di rilievo anche dal punto di vista tecnologico. Più o meno tutti i soggetti analizzati dispongono di un Crm integrato o stanno adottandone versioni evolute, in cui si possano sfruttare strumenti analitici, intelligenza artificiale o altro per creare percorsi, stimoli o iniziative personalizzate (se non sul singolo, almeno su categorie di clientela). Con frequenza assai superiore rispetto al passato, le
banche sfruttano le tecnologie digitali per ampliare il grado di conoscenza del proprio (o dei propri) target, pur senza dimenticare che il primo depositario di informazioni preziose resta il consulente di riferimento in filiale o il promoter. L’obiettivo di costruire un customer journey evoluto ha spinto alcune realtà a creare anche team interni cross-funzionali, deputati proprio a supportare il lavoro delle business unit, sfruttando il “potere dei dati”. In questi casi, lo scopo dei progetti avviati è quello di essere presenti nei cosiddetti “micromomenti”, ovvero gli spazi temporali nei quali ogni persona esprime un bisogno e usa gli strumenti online per soddisfarlo o per acquisire informazioni finalizzate a quel bisogno. In un mondo ancora piuttosto ancorato a processi consolidati, benché avviato verso una trasformazione digitale in fieri, l’area a maggior potenziale innovativo potrebbe essere rappresentata dall’open banking. L’entrata in vigore della normativa Psd2 ha spinto, nel 2019, le banche a effettuare progetti di allineamento perlopiù giudicati onerosi, soprattutto dal punto di vista economico. Questa rappresenta una base di partenza per lo sviluppo di progetti o servizi ancora in larga misura da costruire. Sull’argomento le posizioni differiscono anche notevolmente fra gli istituti coinvolti. Da un lato, c’è chi ha deciso di credere nel potenziale di sviluppo dell’open banking, creando o associandosi a piattaforme dedicate oppure iniziando a definire alleanze con operatori del mondo fintech e fornitori di servizi esterni, per individuare aree di lavoro congiunto. Dall’altro, tuttavia, altre banche hanno deciso per il momento di osservare con distacco l’evoluzione del settore, giudicando prematuro investire in modo significativo, soprattutto in rapporto a un mercato poco preparato. Roberto Bonino 41
EXECUTIVE ANALYSIS
SFIDE DI TRASFORMAZIONE L'innovazione va abilitata e non forzata. Nel nostro caso, stiamo sicuramente facendo evolvere il rapporto con la clientela attraverso il Crm e la definizione di profili-tipo sui quali indirizzare azioni. Ma il vero patrimonio di informazioni è nella testa dei nostri family banker e quindi saranno comunque loro a continuare a interagire con i loro interlocutori, sfruttando anche approcci e informazioni rielaborate a livello centrale. Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo prodotti e modello di business di Banca Mediolanum Siamo ancora lontani dall'idea che la banca possa diventare una commodity che il cliente si porta appresso con un’app sul suo telefono. Il futuro sarà senz'altro ibrido e dovrà seguire le esigenze di una variegata clientela. Noi siamo ancora una realtà di territorio e finché non saranno i numeri a dirci qualcosa di diverso questo aspetto resterà nella nostra mission, anche se un ripensamento in chiave digitale appare inevitabile. Milo Gusmeroli, Cio di Banca Popolare di Sondrio L'open banking rappresenta per noi una modalità per rinnovarci internamente e per rilasciare nuovi servizi alla clientela. Siamo oggi l'unico istituto ad avere un'offerta basata sul dialogo machineto-machine fra banche e imprese via Api, per far connettere il nostro sistema informativo e il gestionale delle aziende. Inoltre abbiamo creato fabric, un ecosistema B2B2C di competenze, tecnologie e servizi per favorire la co-creazione di soluzioni finanziarie personalizzate in quest'ambito. Doris Messina, Chief transformation officer di Banca Sella 42 |
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Storia, posizionamento e modello di business sono i fattori che concorrono a definire la strategia per il futuro. Non si tratta di fare una scelta drastica tra fisico e digitale, ma di capire quali prodotti e processi sviluppino i migliori risultati per ciascun canale. Nel nostro caso le agenzie restano la fonte di maggior redditività, ma è innegabile che le modalità d’interazione cambieranno. Stefano Cioffi, responsabile servizi digitali e open banking di Banco Bpm La creazione di una smart identity è uno degli elementi chiave per far evolvere la relazione con i clienti in direzione digitale. Noi siamo pronti, ma registriamo ancora un certo gap nell'adozione. L'emergenza della prima parte del 2020 ha accelerato un po' questo processo, ma la transizione
deve ancora perfezionarsi. L'acquisizione di Unipol Banca, poi, ha portato all'integrazione della rete di promotori finanziari e questo per noi è il cantiere in maggior evoluzione sul piano digitale. Omar Campana, group Cio di Bper Nella nostra realtà digital-nativa, molti processi di base sono già gestiti attraverso modelli standardizzati e automatizzati. Tuttavia, stiamo ancora completando il percorso verso l'esperienza omnicanale completa, in direzione dell’ulteriore semplificazione e della fruibilità per i clienti. Soprattutto nella fase di onboarding o per i servizi più complessi, l'apporto del consulente continuerà a rivestire ancora un ruolo fondamentale. Marco Zaffaroni, chief operating officer di CheBanca!
Il digitale è una chiave di successo per noi, non tanto e non solo come canale per rafforzare la relazione, ma per creare un'esperienza più personalizzata nel nostro modello omnicanale, arrivando a essere presenti nei micromomenti, dove possiamo rispondere ancora meglio ai bisogni dei nostri clienti. Abbiamo creato anche un team centrale che aiuta le varie componenti dell'azienda ad amplificare tutto ciò che ruota intorno ai dati, nell'ottica della personalizzazione e dell'intercettazione dei bisogni. Fabio Caliceti, head of digital channels, e Piergiorgio Grossi, chief innovation officer di Credem Il miglioramento dell'esperienza per il cliente è sempre stato prioritario per Creval e questo nel tempo ha portato a una sempre maggiore integrazione tra canali fisici e digitali. Sui finanziamenti personali, per esempio, grazie a un nuovo processo di fast lending siamo in grado di soddisfare le richieste della clientela rapidamente, con la massima sicurezza anche da remoto, senza che abbiano la necessità di recarsi in filiale. Stefano Aquilino, responsabile area retail di Creval Già prima della pandemia avevamo avviato un progetto ambizioso, volto a migliorare alcuni aspetti della nostra interazione con i clienti. L'idea è di sviluppare e sfruttare al massimo la componente di analytics per migliorare la comprensione del comportamento dei clienti, a partire dall'onboarding. L'obiettivo non è di aumentare i nostri numeri, ma di avere il maggior numero possibile di clienti in target con lo standard che ci siamo prefissati. Gianluca Martinuz, Cio di Fineco Per tutte le linee di business stiamo da tempo spostando sul digitale le attività più gestionali e operative, lasciando alla
relazione personale le attività per cui il fattore umano è effettivamente in grado di aggiungere valore. Grazie a importanti investimenti realizzati negli ultimi anni, con “Alfabeto”, il private banker diventa anche qui il punto di riferimento del cliente per i suoi investimenti e per tutte le esigenze finanziarie e patrimoniali. Fabio Cubelli, condirettore generale di Fideuram – Ispb I big player del Web ci hanno mostrato come crescere con un modello a piattaforma, attorno al quale ruotano diversi attori che hanno interesse a investire per far parte di una rete relazionale, spezzando così il classico legame fra chi eroga il servizio e chi lo paga. Le ban-
che che riusciranno a muoversi in questa direzione potranno cogliere in pieno il valore della trasformazione digitale. Andrea Coppini, head of digital innovation and multichannel di Iccrea Banca Lo sviluppo dei canali digitali sta trasformando profondamente Intesa Sanpaolo. Noi possiamo oggi contare su oltre sei milioni di clienti che usano la nostra app almeno una volta ogni giorno e mezzo. Questo ci consente di analizzarne i bisogni e interagire con loro. Siamo arrivati a realizzare il 9% delle vendite digitali in self-service, una quota rilevante per una realtà nata in modo tradizionale. Massimo Tessitore, head of digital business partner BdT, private, retail products and digital channels di Intesa Sanpaolo
VERSO UNA BANCA DIGITALE ED EMPATICA Le banche da tempo hanno moltiplicato i canali digitali di interazione con i clienti: una ricerca Idc per Salesforce mostra però che il 46% degli utenti dichiara di non poter ancora oggi eseguire digitalmente operazioni complesse e che oltre il 39% ritiene di non ricevere offerte rilevanti e personalizzate. L’aggiunta di canali digitali ha semplificato l’accesso dei clienti ai prodotti, ma ha complicato l’integrazione nei processi esistenti, offrendo involontariamente esperienze meno personalizzate e diminuendo la capacità di leggere velocemente i cambiamenti dei comportamenti dei clienti. La maggior difficoltà di relazione nel periodo del Covid ha aumentato l’attenzione delle banche a rovesciare il paradigma e ripensare proprio intorno ai clienti la trasformazione digitale avviata, ridisegnando i processi intorno ai loro nuovi e molte-
plici customer journey fisici e online. La priorità ora è sfruttare il digitale e l’omnicanalità per facilitare la collaborazione remota tra dipendenti e clienti, proprio grazie a un’unica vista condivisa nel Crm di dati clienti e interazioni. Questo consente di aumentare velocità, coordinamento e completezza delle risposte di un team cross-funzionale di specialisti allineato alle necessità dei clienti e in grado di personalizzare le soluzioni alle necessità in modo più empatico. Una vista a 360 gradi dei clienti tempestivamente aggiornata permette anche la diffusione di una cultura “data-driven”: collaboratori della banca possono verificare e misurare gli effetti delle loro attività e analizzare cambiamenti e correttivi nelle loro decisioni per migliorare l’efficacia dei servizi per i clienti. Michele Cumin, Regional Sales Director Financial Sector di Salesforce
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ECCELLENZE.IT | Università per Stranieri di Perugia
UNA VIDEOSORVEGLIANZA MODERNA E RISPETTOSA DELLA STORIA D-Link ha realizzato per l’ateneo un impianto ad hoc, che ha permesso di salvaguardare il patrimonio architettonico di un edificio del XVIII secolo.
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n esempio di storia coniugata alla modernità tecnologica è l’Università per Stranieri di Perugia. Un’istituzione la cui origine affonda nel 1921, nei corsi ideati dall’avvocato Astorre Lupattelli, e che ancora oggi ha la missione di diffusione la lingua e la cultura italiana tra gli stranieri (benché accolga anche studenti italiani). Recentemente l’ateneo ha realizzato un impianto di videosorveglianza a protezione delle sue sedi, ovvero Palazzo Gallenga Stuart (ex Palazzo Antinori), un edificio barocco del XVIII secolo che funge da quartiere generale, e le quattro palazzine Prosciutti, Lupattelli, Orvieto e Valitutti poste nel circondario. L’università aveva bisogno di controllare gli accessi e scoraggiare gli atti vandalici senza però installare apparati che potessero rovinare alcuna infrastruttura, affresco o elemento architettonico di Palazzo Gallenga Stuart. La scelta è ricaduta sulla tecnologia di DLink e per l’occasione il vendor ha creato un sistema di sorveglianza IP ad hoc, composto da 22 videocamere cloud, tre videoregistratori di rete (Nvr) e sette switch, utili per l'integrazione con le reti esistenti. Le videocamere per esterni sono dotate di tecnologia PoE (Power over Ethernet), quindi possono essere alimentate direttamente dal cavo Ethernet collegato a uno switch: il risultato è un’installazione non invasiva, che mantiene l'integrità delle pareti e riduce al minimo l’impiego di cavi. Lo stesso 44 |
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modello è stato installato anche in alcune aree interne, come corridoio e scala d'ingresso, e programmato in modo da inviare email e immagini in alta definizione in caso di movimenti rilevati. Dotate di luci a infrarossi a Led, sensori progressivi Cmos e tecnologia di riconoscimento dei caratteri di testo, queste videocamere possono inviare allerte anche se vengono spostate, offuscate o bloccate da un malintenzionato. Un altro tipo di videocamera, più compatto, è stato posizionato invece negli angoli particolarmente pregiati dell’edificio, così da minimizzare l’impatto sull’estetica delle stanze. Il monitoraggio degli ingressi dall'esterno è affidato ad altre videocamere outdoor, la cui installazione non ha richiesto modifiche della facciata su cui sono applicate. La preesistente rete IP dell’ateneo è stata integrata con degli switch di facile configurazione, privi di ventilatori (quindi silenziosi e adatti anche a biblioteche, aule e sale riunioni) e capaci di minimizzare i consumi energetici delle videocamere. Per il controllo completo delle aree pubbliche e degli archivi video, invece, D-Link ha
installato tre videoregistratori di rete, ciascuno dei quali può registrare simultaneamente da un massimo di nove telecamere cloud per 24 ore al giorno, per periodi definiti o quando viene rilevato un movimento. A massima protezione dei dati, è possibile utilizzare una configurazione Raid 1 per duplicare le registrazioni su due diversi dischi. LA SOLUZIONE Il sistema realizzato da D-Link è composto da 22 videocamere cloud (i modelli Outdoor HD Day/Night, Outdoor HD PoE Day/Night Fixed Bullet Network e le compatte Full HD Cube), tre videoregistratori di rete (modello DNR-322L e sette switch (i modelli DGS-1008P PoE e DGS1008D). L’accesso ai live feed delle videocamere è gestibile tramite Web o tramite applicazione per smartphone.
ECCELLENZE.IT | Poste Italiane
DALLA FRAMMENTAZIONE ALL’AUTOMAZIONE Grazie alla piattaforma Rpa (Robotic Process Automation) di Appian, il front-end del supporto clienti è stato integrato con i processi retrostanti. LA SOLUZIONE La tecnologia Rpa (Robotic Process Automation) di Appian ha permesso di sviluppare rapidamente una piattaforma per la gestione del supporto clienti. I chatbot vengono utilizzati per gestire le richieste più semplici. I processi di back office sono stati in parte digitalizzati e reingegnerizzati per ottenere maggiore velocità.
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n cambiamento culturale, ancor prima che tecnologico. Così Luca Verducci, head of operations governance and transformation di Poste Italiane, descrive il percorso avviato tre anni fa dalla sua azienda con l’obiettivo di trasformare i processi di gestione dei servizi alla clientela. Il percorso “ha comportato un cambiamento culturale ancor prima che tecnologico, per far sì che tutte le persone coinvolte, circa 1.500, imparassero a lavorare con modalità comuni e condivise”. Nel 2017 in Poste Italiane si contavano oltre 5.500 persone coinvolte nei processi di customer service e back office, con una distribuzione su 85 siti e al servizio di sei differenti linee di business. Una frammentazione organizzativa a cui corrispondeva un’analoga frammentazione dei processi. “La reingegnerizzazione dei flussi di lavoro e delle applicazioni che li amministravano ha orientato l’innovazione dei processi in chiave digitale e l’ottimizzazione delle strutture impegnate sul territorio”, aggiun-
ge Giovanni Bertoli Palomba, head of back office services dell’azienda. Si puntava alla creazione di un contact center (sia per il mercato retail sia per le aziende) e di un back office unificati, per superare la preesistente frammentazione per categorie di servizi. La struttura gestiva circa 25 milioni di chiamate all’anno e 400mila reclami formali. “Al di là dei numeri impressionanti”, rileva Verducci, “si tratta di un patrimonio informativo che abbiamo pensato di poter sfruttare per aumentare la soddisfazione dei clienti e la qualità dei servizi offerti, attraverso una struttura meglio focalizzata e interoperante”. Fra il 2017 e il 2018 state create due “factory” dedicate al servizioclienti e al back office, semplificando la divisione dei servizi in categorie; le 85 strutture preesistenti (tutte con riporto a un unico centro) sono state riorganizzate in 13 strutture principali, responsabili di altre più piccole. Nel customer care sono stati introdotti strmenti chatbot per l’assistenza di primo livello. In parallelo è stato trasfor-
mato il back office, innanzitutto cercando di eliminare per quanto possibile i processi cartacei e poi lavorando sulla creazione di una piattaforma di case management, realizzata con gli strumenti Rpa di Appian per velocizzare i tempi di sviluppo. “La reingegnerizzazione dei processi è partita dall’area finanziaria”, prosegue Verducci, “selezionando quelli più complessi, come la gestione delle frodi, della tesoreria e delle successioni, per poter ottenere moduli riutilizzabili e procedere nel rinnovamento di nuovi processi senza dover ripartire ogni volta da zero”. La trasformazione è tuttora in corso e ad oggi ha toccato il lavoro di oltre 1.500 persone: tutte operano su una medesima interfaccia e struttura dei dati, senza più doversi occupare dei sistemi legacy sottostanti, grazie al layer intermedio unico creato con la piattaforma Appian. “Allo stato dell’arte, conclude Verducci, abbiamo digitalizzato circa il 60% dei processi in precedenza cartacei e ridotto del 30% i tempi di risposta alle richieste”. DICEMBRE 2020 |
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ECCELLENZE.IT | Irsap
L’IPERCONVERGENZA “RISCALDA” LE PRESTAZIONI DELL’ERP Con la piattaforma Sap Hana e un’infrastruttura iperconvergente Lenovo il produttore di radiatori ha velocizzato le operations.
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adiatori e condizionatori ad aria di design: è questa la specialità del Gruppo Irsap, azienda italiana tra i principali player del mercato dei sistemi per il riscaldamento e la ventilazione meccanica. Fondata a Rovigo nel 1963, è ancora un’azienda a controllo familiare ma dotata diun fatturato di 110 milioni di euro, oltre mille dipendenti e 500.000 metri quadri di stabilimenti produttivi (ad Arquà Polesine e in Romania). “Offriamo una completa gamma di stili, taglie e colorazioni, con milioni di potenziali combinazioni di prodotti possibili. Mediamente ogni anno i nostri clienti scelgono tra questi ben 100mila articoli diversi”, racconta il chief financial officer, Marco Monesi. Una gamma tanto articolata comporta ovvie complessità nelle diverse fasi delle operations dell’azienda, dall’approvvigionamento di materie prime alla produzione, dalla logistica alla gestione finanziaria. Per molti anni il gruppo si è affidato a sistemi di Enterprise Resource Planning di Sap, adottati su infrastrutture IT legacy. Con il crescere delle dimensioni e della gamma di prodotti, però, Irsap non riusciva più a rispondere prontamente alle richieste del mercato. “Ogni aggiornamento dell’anagrafica materiali richiedeva tempi sempre più lunghi”, ricorda Monesi. “Ciò ha avuto un effetto a catena sulla gestione materiali e sulla pianificazione della produzione, poiché i colleghi dovevano attendere il completamento degli aggiornamenti prima di poter analizzare le giacenze, gli ordini 46 |
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e conseguentemente pianificare la produzione. Questo ritardo rischiava di impattare sul lead time, con conseguenti ricadute sulle consegne e sul servizio ai clienti”. La società sapeva di dover modernizzare sia le applicazioni in uso sia la propria infrastruttura IT. Si è rivolta quindi a Estecom, consociata di Eurosystem e partner tecnologico di Lenovo, per essere aiutata nella scelta di una piattaforma hardware affidabile, scalabile e ad alte prestazioni. “Siamo rimasti colpiti dalla gestione semplificata e dalla scalabilità LA SOLUZIONE Irsap ha adottato una infrastruttura basata su tre nodi Lenovo ThinkAgile serie HX (i modelli HX3321, HX7821 e HX5521), progettata e ottimizzata per i carichi di lavoro Sap Hana in cluster iperconvergenti. Ciascun sistema è dotato di 1 TB di memoria, di processori Intel Xeon Scalable e di software Nutanix Enterprise Cloud.
offerta dalla soluzione iperconvergente Lenovo ThinkAgile serie HX”, spiega il Cfo, “ma all’inizio eravamo un po’ preoccupati all’idea di abbandonare l’infrastruttura a tre livelli che conoscevamo così bene. Estecom ed Eurosystem ci hanno dimostrato che l’infrastruttura iperconvergente era una tecnologia collaudata”. Lenovo ed Estecom hanno lavorato a stretto contatto per progettare una soluzione che soddisfacesse i requisiti tecnici di Irsap. Dunque è stato implementato un cluster ThinkAgile HX a tre nodi come base per il nuovo ambiente Sap Hana, che consiste in sistemi di produzione, controllo qualità e sviluppo. In un secondo momento è stato realizzato un ulteriore cluster basato su tre nodi certificati Lenovo ThinkAgile HX5521 per eseguire carichi di lavoro non Sap. “Siamo stati la prima azienda in Italia a implementare Sap Hana su un’infrastruttura iperconvergente. La nostra decisione di adottare un approccio differente è stata ripagata”, assicura Monesi. La nuova soluzione permette di supportare i carichi di lavoro Erp di circa 350 utenti aziendali, con notevoli benefici di velocità: i tempi di pianificazione del fabbisogno di materiali, per esempio, si sono dimezzati, i processi di elaborazione dei batch sono in media più veloci del 30%. Nel complesso, le prestazioni delle applicazioni degli utenti finali sono migliorate di circa il 20%. Altro vantaggio è la scalabilità: per aumentare la capacità di elaborazione o di archiviazione è sufficiente aggiungere un nuovo nodo al cluster. “Questo ci aiuterà a soddisfare la domanda dei clienti per le ultime tendenze e rimanere all’avanguardia nel mercato dei radiatori di design”, assicura Monesi. Per migiorare ulteriormente le operazioni, l’azienda prevede di adottare l’Erp Sap S/4 Hana in futuro.
ECCELLENZE.IT | InfoCert
UN NUOVO STORAGE VELOCE E FLESSIBILE L’autorità di certificazione ha adottato i sistemi di Infinidat per migliorare l’archiviazione dei dati di un milione e mezzo di clienti.
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er un’autorità di certificazione come Infocert l’archiviazione dei dati è quanto mai importante, strategica e delicata: a lei si affidano un milione e mezzo di clienti individuali, professionisti e imprese, oltre a 70 banche di 20 Paesi, per la gestione dei propri documenti digitalizzati, per la fatturazione elettronica, la Pec, l’identità digitale Spid e altri servizi. Con l’acquisizione di Sixtema (società specializzata in tecnologie per Pmi, associazioni di categoria, studi professionali, enti e intermediari finanziari), nel 2018 il carico di dati è notevolmente aumentato. Danilo Cattaneo, amministratore delegato di Infocert, la definisce come “una sfida di scalabilità”, anche perché nel contempo ci si stava preparando a gestire una nuova ondata di richieste con l’entrata in vigore dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica B2B. Dunque Infocert aveva la necessità di rinnovare l’infrastruttura di storage esistente per ottenere migliori prestazioni e la massima protezione dei dati. “Abbiamo provato Infinidat”, racconta Cattaneo, “e abbiamo voluto testarlo a fondo perché il nostro personale del data center aveva esperienza su altri brand”. Alla luce dell’esito positivo dei test di performance e di affidabilità, nel 2018 sono stati acquistati due sistemi di storage InfiniBox da 1,3 petabyte: uno è stato installato nella sede InfoCert di Padova e l’altro, destinato al disaster recovery, nella sede Sixtema di Modena. La nuova infrastruttura ha permesso di migliorare notevolmente i tempi di risposta delle applicazioni, offrendo
LA SOLUZIONE InfiniBox è un sistema di archiviazione di tipo Unified (San e Nas) per data center, adatto per il consolidamento di diverse tipologie di workload. Due macchine da 1,3 PB operano nel data center primario e due in quello secondario, adibito al disaster recovery. La soluzione offre funzionalità di snapshot illimitati, replica asincrona, sincrona e active/active (fruibili come servizio cloud). sia ai clienti sia al personale interno una migliore esperienza d’uso. Al contempo, sono aumentati la velocità, i tempi di attività e la scalabilità del sistema, mentre si è notevolmente ridotta la necessità di manutenzione. “Siamo molto soddisfatti dell’infrastruttura Infinidat”, assicura l’amminsitratore delegato di Infocert. “Grazie ai due InfiniBox installati a metà 2018 abbiamo riscontrato da subito un incremento delle prestazioni e una semplificazione dell’infrastruttura IT, nel pieno rispetto degli elevati standard di sicurezza richiesti a una Certification Authority con clienti in 20 Paesi. Questo ci ha permesso di essere molto più competitivi sul mercato, garantendo ai nostri clienti maggiore affidabilità e un’elevata capacità”. I risultati ottenuti hanno spinto Infocert ad adottare altri due sistemi InfiniBox, ugualmente destinati l’uno alla sede di Padova e
uno a quella di Modena. “La nostra realtà è in forte crescita”, spiega Cattaneo, “e la scelta di affidarci a Infinidat ci ha permesso di sostenere al meglio la strategia di sviluppo prevista”. “La fiducia accordataci da InfoCert”, commenta Donato Ceccomancini, country manager Italia di Infinidat, “è stata per noi un’ulteriore conferma della qualità e dei vantaggi che le soluzioni Infinidat possono offrire alle aziende di ogni settore. Inoltre, con la nostra proposta di “Capacity On Demand” diamo la possibilità ai clienti di avere a disposizione, sin da subito, uno spazio di archiviazione superiore al necessario, per poterne poi ampliare la capacità, senza l’esigenza di ulteriori interventi sull’infrastruttura. In questo modo, siamo in grado di sostenere le esigenze di un business in continua espansione, garantendo un'infrastruttura scalabile, affidabile e resiliente”. DICEMBRE 2020 |
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ECCELLENZE.IT | Sara Assicurazioni
UNA TRASFORMAZIONE A MISURA DI CLIENTE Il percorso di evoluzione tecnologica della compagnia assicurativa è orientato soprattutto al miglioramento della customer experience.
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a vocazione all’innovazione connota la storia di Sara Assicurazioni: una storia iniziata oltre settant’anni fa, alle origini focalizzata sui rischi automobilistici (poi estesa ad altri ambiti, in particolare il ramo vita) e approdata, nel 2015, alla creazione della prima Rca auto “pay-per-use”, il cui costo è determinato dai chilometri effettivamente percorsi dal cliente. Dal punto di vista dell’infrastruttura IT, invece, gli sviluppi della società hanno seguito il classico percorso comune a tante aziende appartenenti a settori tradizionali, con processi basati su mainframe, strati di applicazioni accumulati in modo disomogeneo e tempi di risposta alle richieste del business che nel tempo sono diventati troppo lenti. Per questo, a partire dal 2017 Sara Assicurazioni ha avviato una strategia di trasformazione che l’ha portata in un solo anno a diventare un’azienda “full-cloud” e a ripensare completamente, in chiave digitale, le modalità d’interazione con la clientela.“Non avremmo potuto intraprendere con successo un viaggio così articolato senza il l’impegno del management e la comprensione da parte di tutti i nostri oltre 600 colleghi in azienda”, racconta Luigi Vassallo, Cio e Coo di Sara Assicurazioni. “Per questo, siamo partiti tra anni fa con un processo di change management interno, costruito sulla volontà di abbattere i silos e di creare una maggior collaborazione, grazie anche all’adozione della Google Suite”. Il 2018 è stato forse dal punto di vista tecnologico l’anno chiave, nel quale è avvenuta e si è completata la migrazione verso 48 |
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il cloud. Un processo che ha coinvolto oltre sessanta applicazioni “core” e ha comportato, fra l’altro, la ricostruzione totale della componente Property & Casualty e il consolidamento di tutti i dati su un’unica piattaforma Oracle, ospitata sull’infrastruttura di Amazon Web Services (Aws). “Per realizzare tutto in un solo anno, abbiamo prestato attenzione ai tre aspetti fondamentali della governance, della pianificazione e dell’esecuzione”, sottolinea Vassallo. “Un ruolo centrale è stato giocato dalle soluzioni di Tibco, implementate per interconnettere dati e applicazioni, riutilizzare diverse componenti e lavorare con la logica dei microservizi”. Il lavoro svolto fino a questo punto è servito, a partire dal 2019, per lo sviluppo di applicazioni sulla nuova infrastruttura. Fra le novità introdotte spiccano SuperPay (un sistema di pagamento elettronico che permette di aprire o rinnovare le polizze e funge anche da motore di navigazione all’interno del portafoglio di Sara) e Bici2Go (uno strumento studiato per i ciclisti, nell’ottica di un’evoluzione verso le forme di mobilità più sostenibili), “Ci siamo aperti all’utilizzo dell’intelligenza artificiale a sostegno dei clienti”, aggiunge Vassallo, “per misurare il loro comportamento di guida, ma abbiamo introdotto anche il supporto dell’interfaccia vocale per la loro interazione con noi, attraverso Amazon Alexa”. La customer experience ha guidato tutto il processo di trasformazione fino al 2020, l’anno dell’evoluzione verso la logica omnichannel. “La tecnologia Tibco”, spiega il chief information officer, “è stata
sfruttata come layer di integrazione con altre applicazioni, in particolare quelle di Salesforce, “per fare in modo che l’azione online di un cliente sia aggiornata in tempo reale e renda possibile l’interazione immediata con un nostro agente. Costui può a sua volta attingere al Crm per ciò che serve a completare un processo commerciale”. Il cambiamento ha generato un’efficienza misurabile, tra l’altro, in una riduzione del 50% dei costi infrastrutturali, nella capacità di arrivare a due o più rilasci di aggiornamenti a settimana e nella possibilità di testare nuovi servizi senza investimenti upfront. “Nel 2021”, svela Vassallo, “l’idea è di andare verso sistemi dinamici di quotazione, basati sulle necessità dei clienti e non più sui prodotti, grazie a una piattaforma aperta alla connessione con fonti di dati e strumenti esterni di intelligenza artificiale”.
ECCELLENZE.IT | Sky Italia
TV IN STREAMING DI QUALITÀ CON LA VIRTUALIZZAZIONE Le tecnologie di Vmware hanno permesso di migliorare l’erogazione di contenuti on-demand, ma anche di risparmiare e di potenziare la sicurezza dei dati.
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igliorare i servizi di streaming senza rinunciare alla sicurezza e ottenendo anche una riduzione dei costi dell’IT: una triplice ambizione trasformata in realtà grazie a un progetto di rinnovamento della propria infrastruttura. Presente nel nostro Paese dal 2003, negli ultimi anni Sky Italia ha associato ai propri canali sul digitale terrestre anche un’offerta di contenuti in streaming, fruibili sia da browser Web sia su televisori dotati di Smart Stick. Recentemente l’azienda ha sentito la necessità di migliorare la qualità del servizio di streaming on demand, elevando la disponibilità dei dati e l’affidabilità delle applicazioni. L’architettura legacy in uso, basata sui tradizionali concetti di firewall e storage, non offriva la scalabilità e la flessibilità necessarie e inoltre comportava costi non irrisori. Bisognava migliorare le prestazioni, “scalare”, ma allo stesso tempo non compromettere la sicurezza dei dati e raggiungere un terzo obiettivo, la riduzione dei costi capex e opex. Per ottenere tutto questo occorreva implementare un servizio in grado di superare i confini, trasmettendo contenuti da data center locali o remoti indifferentemente e proteggendo le reti interne ed esterne che accedono ai server di “origine” e da qui portano a destinazione i contenuti. Dunque prestazioni, sicurezza e risparmio: la divi-
sione Technology di Sky Italia ha quindi cercato una soluzione capace di soddisfare i tre i requisiti. La scelta è ricaduta su due tecnologie infrastrutturali di Vmware, che trasformano le connessioni di rete e lo storage in ottica “software-defined” (cioè con regole di gestione flessibili e indipendenti dall’hardware). Si tratta di Nsx, piattaforma per la virtualizzazione del networking e per la microsegmentazione della rete (procedura importante per potenziare la sicurezza e contenere gli effetti di eventuali attacchi) e di vSan, piattaforma per la gestione dello storage delle macchine virtuali. A esse si affianca vRealize Network Insight, programma che permette di delineare il profilo dei flussi applicativi e adottare, per ciascuno, le regole di firewall più adeguate; il software inoltre migliora la visibilità sulle applicazioni, così da facilitare la pianificazione della capacità e la risoluzione dei problemi. Quanto all’hardware, la soluzione impiega sistemi equipaggiati con processori Intel Xeon e con dischi Ssd del medesimo vendor. Alcuni componenti software di Nsx vengono usati anche per scalare i flussi di throughput ad alta velocità verso
i cloud pubblici in base alle esigenze: ciò evita a Sky Italia di dover usare dei (costosi) firewall dedicati per la protezione di questi collegamenti, ma soprattutto permette di ridurre al minimo il tempo necessario per implementare nuove interconnessioni di streaming. “Nsx e le sue caratteristiche di microsegmentazione ci consentono di ridurre i costi e gli sforzi operativi presenti in soluzioni legacy e più tradizionali”, sintetizza Angelo Scano, senior research engineer di Sky Italia. “C'è un grande vantaggio in termini di flessibilità e time to market, e questi sono i due principali motivi che hanno facilitano questa scelta”. Sky Italia può oggi usare la rete fisica come un pool di servizi di trasporto, dove attributi di rete e sicurezza sono legati al carico di lavoro grazie a un approccio basato su policy. La disponibilità di dischi con prestazioni di I/O adeguate permette, inoltre, di supportare il processo di codifica e un firewall abilitato per le reti di consegna dei contenuti a tutti i livelli applicativi. E non è tutto: l’architettura targata Vmware verrà usata in futuro come principale piattaforma per le applicazioni aziendali di Sky Italia e per nuovi servizi di Tv interattiva. LA SOLUZIONE Sky ha adottato le tecnologie di Vmware Nsx (per la virtualizzazione di networking e sicurezza), vSan (piattaforma di storage per le macchine virtuali) e vRealize Network Insight (per analisi e visibilità delle reti). La soluzione è composta da un cluster di otto host vSan All-Flash con processori Intel Xeon.
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APPUNTAMENTI 2021
CONSUMER ELECTRONIC SHOW (CES) dove: https://www.ces.tech/ quando: 12-14 gennaio perché partecipare: La grande fiera dell’elettronica, nata nel 1967, non ha bisogno di presentazioni. Questa è la sua prima edizione digitale e per prendervi parte non ci sarà bisogno di volare a Las Vegas.
A&T - AUTOMATION & TESTING TORINO
RED HAT SECURITY ROUNDTABLE dove: https://www.redhat.com/it/events/webinar/ security-roundtable-how-do-you-better-secure-hybridcloud-environment quando: 12 gennaio perché partecipare: Durante il webinar (in inglese) gli esperti di sicurezza di Red Hat illustreranno lo scenario dei rischi informatici e le strategie per proteggere gli ambienti di cloud ibrido, oggi sempre più diffusi.
ORACLE CLOUD INFRASTRUCTURE WORKSHOP
dove: https://www.aetevent.com/
dove: https://eventreg.oracle.com/profile/web/index.cfm ?PKwebID=0x7692166467&varPage=home&source=W WSA201117P00023:OW:ES:LV
quando: 10-12 febbraio
quando: 22 gennaio
perché partecipare: Per scoprire le ultime novità nel campo dell’automazione e del software per numerosi settori verticali. Per questa 15esima edizione è stata sviluppata una piattaforma Web che permette di fare visite virtuali, incontrare in chat gli espositori e programmare l’agenda degli appuntamenti.
perché partecipare: Il workshop, gratuito e in italiano, è un’occasione di formazione sulle soluzioni di infrastruttura cloud (IaaS) di Oracle, indirizzato principalmente a figure sales e presales.
CYBERSECURITY SUMMIT dove: https://www.theinnovationgroup.it/?lang=it#
In vista di possibili variazioni, suggeriamo ai lettori di consultare i siti Web degli organizzatori.
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quando: 11 marzo perché partecipare: L’evento di The Innovation Group, a partecipazione gratuita, farà il punto sullo scenario delle più recenti minacce informatiche, sulle tecnologie all’avanguardia e sulle best pratice del settore.
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SICUREZZA SANITARIA E DISTANZIAMENTO SOCIALE: IL RUOLO DEL PRINTING.
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