Spiaggia libera

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spiaggia libera

Fotografie di MARCELLO CAMPORA FOTOGRAFIE DI MARCELLO CAMPORA


Giugno 2017 - seconda edizione


spiaggia libera fotografie di marcello campora

introduzione di mario muda



La fotografia è un grande strumento per dare rispetto al prossimo. Luca Nizzoli Toetti

18 novembre 2016 Galata Museo del Mare Incontro Gianni Berengo Gardin e Luca Nizzoli Toetti Due generazioni a confronto



INTRODUZIONe

di mario muda

SPIAGGIA LIBERA, TESTIMONIANZE DA UN MONDO PARALLELO Fotografia, il termine deriva da scrivere, tracciare, con la luce.

Inizialmente e, forse, improvvidamente, si pensava al gesto meccanico, al fatto materiale. Ottica e chimica.

Ma già appena nata la fotografia divenne arte, mezzo artistico, espressione intellettuale e sentimentale. Il

tracciare con la luce, quindi, è diventato espressione tecnica di uno strumento intimo, la luce è quella dello spirito, dell’anima, del sentimento.

Raccontare qualcosa con la propria luce interiore. Dare sfogo ai propri sentimenti, al proprio sentire. Interpretare.

E’ straordinario che una virtù tecnica diventi voce. Di un sentimento. Accade con la fotografia, ma anche

con la scrittura, la pittura, altre arti. Qui entra in gioco, poi, la rappresentazione della realtà, e questo è un altro tema, sicuramente centrale, quando si discute di fotografia.

Grandi fotografi lo hanno fatto. Qualcuno ci ha commosso, qualcuno fatto ragionare, altri aperto autostrade di pensiero che hanno trasformato stampe in veri e propri seminari emotivi.

Ecco, per me, la fotografia, è soprattutto luce che illumina, che mi fa pensare, ragionare, emozionare. La foto nel suo complesso: dallo scatto alla stampa. Alla rappresentazione completa.

Tempo fa discutevo con un maestro di quest’arte, o di questa filosofia. Fulvio Rosso che in maniera mirabile e con la sua acuta profondità che rende gioioso e lieve ogni confronto, anche il più grave, esprimeva un

punto nodale della tecnica fotografica parlando della unicità fondante della stampa. Difendendo il valore di una fotografia stampata rispetto, ad esempio, a una proiezione.

Frettolosamente travolti da internet, che pure alla fotografia ha reso grandi servizi, spesso ci dimentichiamo del rapporto privilegiato e irrinunciabile con l’immagine unica, con ciò che, in quello scatto, il fotografo ha voluto affrontare, raccontare, rendere.

Devo essere grato a Marcello Campora per “Spiaggia libera” e le sue scelte su temi a me cari, quelli del rapporto con gli altri, l’accoglienza e, più in generale, il confronto con chi vive diversamente da me.

Nel trovarmi di fronte alle immagini di Marcello Campora ho avuto una sorta di scossa, di frustata emotiva. Mi ha “sentimentalmente turbato”. Intanto per la bellezza, definiamola così, “estetica” delle foto. Alcuni

scatti sono straordinari in assoluto. Vale per la foto in sé, ma anche per aver colto, in un contesto di assoluta quotidianità, immagini con un significato profondo. Aver cioè saputo raccontare con la propria luce


interiore. Non solo forme, quindi, ma rappresentazioni. Racconti. Storie. Una bella fotografia non deve aver bisogno di didascalia. E questa regola scandisce perfettamente il “sistema-Campora”. Per citare un esempio la foto della partita di calcio, davanti ad un televisore, in un bar del centro di Savona, è uno scatto

straordinario a prescindere. Diventa un’opera d’arte quando si contestualizza, ovviamente, ma indipendentemente dalla collocazione spazio-temporale, direi aneddotica, resta una foto notevole. Non è semplice. Non è poco.

“Spiaggia libera” è la rassegna che Marcello Campora ha proposto raccontando non solo quanto fissato sulle spiagge dell’entourage savonese, ma anche come rappresentazione, in senso esteso, dell’immigrazione, dell’inserimento. Una sorta di citazione, in generale, del mondo degli immigrati.

Noi siamo abituati a sistemi di forza (a mio avviso di debolezza) con il mondo dell’immigrazione. Di fronte alla inadeguatezza normativa e strutturale dell’accoglienza che trasforma tutto in confronti che spaziano

dalla prevaricazione, al dominio, al pietismo, allo sfruttamento, nella migliore delle ipotesi valutiamo il rapporto con gli immigrati (siano essi storicamente collocati da tempo o di recente insediamento) attraverso

l’ottica del lavoro e dell’adeguamento alle nostre logiche titolare-subalterno: sicurezza, accettazione dei nostri canoni e regole. Ci sfuggono in genere, le difficoltà non tanto dell’inserimento, quanto dell’adattamento. Come se i meccanismi di due orologi (il nostro da una parte, il loro dall’altro), muovendosi su stesse

dimensioni non riuscissero ad articolare e sincronizzare le differenti parti di due sistemi simili e complementari.

Quindi continuiamo a vivere vite parallele dove i punti di contatto (ovviamente in situazioni di normalità) sono episodici e praticamente inesistenti.

Marcello Campora ha saputo attraversare questa barriera spazio-temporale, cogliendo l’essenza di questa

vita reale che ci scorre a fianco, ci ha fatto notare, sottolineando con immagini a volte di cronaca, altre di autentica poesia (la gara di capriole sulla piaggia è un momento commovente e straordinario, vale da solo un trattato sull’accoglienza….) la grande umanità, i valori, l’essenza del bene, di un mondo parallelo che la mia (solo la mia?) indifferenza non è stata in grado di sapere cogliere, individuare, capire.

Le immagini che solitamente scorrevano davanti ai miei occhi, nella episodica conquista di un momento di

relax o di quiete, mi sono state riproposte sfrondate dalla banalità delle ore, dalla cascata di ovvietà del quotidiano, restituendole per quelle che erano: la partecipazione di miei compagni di viaggio alla mia vita di ogni giorno. Io che vivo una città da privilegiato, a fianco di un mondo che silente non è, che sovente mi sussurra (e qualche volta urla) la propria diversità, ho trascurato, travolto dall’abitudine, dalla sciatteria

intellettuale e dall’assuefazione, i generosi segnali che mi arrivavano e che Marcello Campora ha saputo

leggere, raccogliere, metterli, è il caso proprio di dirlo, in mostra non solo per me, ma anche per gli altri


“distratti” e indifferenti.

Eccole, così, episodio, dopo episodio, raccontate, scolpite dalla luce le immagini dimenticate dal nostro

inverno intellettuale. Ci viene chiesto di osservare, pensare, ragionare su quello che spesso vediamo, ma non valutiamo e che sovente ci scivola addosso qualche volta anche in maniera colpevole.

Questa è anche una mostra sui confini morali e spirituali delle persone: quelli che sono alla ricerca di una

vita, quelli che vorrebbero una vita degna per i loro cari. Degna nel senso della dignità. Cosa non da poco anche per chi immigrato non è. Sono immagini che parlano di momenti di serenità, di normalità, di tregua

quotidiana alle fatiche. Una vita per noi scontata che per altri è un miraggio. Giochi di ragazzi, uomini che chiacchierano, persone che assistono a una partita, si tuffano in mare, passeggiano.

Quella che per me è una regola, qualche volta scandita dall’ovvio e dalla noia, per altri è un sogno.

Fotografando il quotidiano di una spiaggia Marcello Campora ha applicato uno specchio temporale mostrandoci l’Italia di oggi, la spiaggia di Savona in questo caso, come eravamo noi italiani cinquant’anni fa.

Avevamo superato le paure, le incertezze, avevamo ideali, molti sogni. E adesso? E poi, quali sono i sogni dei protagonisti delle foto di Campora, quali i loro ideali?

Forse il lavoro, la pace, serenità. Tutte cose che noi, da questa parte dello “schermo”, diamo per scontate. Ma scontate ormai non sono più per nessuno.

Una lezione straordinaria, un richiamo di grande qualità stilistica e di cifra morale alta.

Una riflessione dove nessuno è giudice, ma ognuno ha, quantomeno, la responsabilità di diventare testimone.



N O TA D E L L’A U T O R E

Questo lavoro esiste solo grazie all’entusiasmo e alla caparbietà di Eleonora Secco e Mario Clemente Rossi miei amici e stimati colleghi.

Dal 16 dicembre 2016 al 31 gennaio 2017 la mostra ‘Spiaggia Libera’ è stata ospitata a Imperia in via

Cascione 86 nella sede dello STUDIOROSSI+SECCO e così , grazie alla loro idea, ha avuto modo di essere visitata per la prima volta.

Le immagini raccolte in questo catalogo sono il contenuto completo delle fotografie esposte, scattate nei dintorni della città in cui abito, Savona, fra il giugno e il novembre 2016.

Ogni fotografia, o gruppo di fotografie, è nata come una storia a sè e vive di vita propria; mai avrei imma-

ginato che un giorno avrei avuto l’opportunità di raccogliere queste immagini in un lavoro unitario, così da permetterne una lettura più completa e articolata.

A corredo delle fotografie esposte troverete alcuni brani tratti da due conferenze tenute da David Grossman, romanziere israeliano, tra i 2006 e 2007 e raccolte nel volume ‘Con gli occhi del nemico’ edito da Mondadori nel 2007.

Credo che la loro lettura possa essere utile ad accompagnare la visione delle immagini


Se mi chiedeste di descrivere i caratteri che trasformano una persona in uno scrittore parlerei , per prima

cosa, del potente impulso a creare delle storie; a organizzare entro il contesto di una trama quella realtà

che non di rado risulta caotica e incomprensibile; a trovare in tutto ciò che accade i nessi evidenti e quelli

occulti, capaci di dare un significato particolare; a evidenziare in ogni in ogni evento i tratti avvincenti, e a farvi spiccare i ‘protagonisti’.

Dal mio punto di vista , l’impulso a raccontare una storia , a inventare o ad attingere alla realtà, è quasi

un istinto a sé, l’istinto narrativo: per determinate persone – alcune delle quali finiscono poi per diventare scrittori – questo istinto è potente e primario come ogni altro.

La grande fortuna sta nel fatto che esso trova nel mondo l’istinto parallelo: quello di ascoltare storie. David Grossman –

Conoscere l’altro dall’interno, ovvero la voglia di essere Gisele -

Conferenza al Congresso nazionale dei bibliotecari , Tel Aviv gennaio 2006 Con gli occhi del nemico – Mondadori 2007


Spiaggia libera

Delle due parole mi interessava ‘libera’.
























Quando dico ciò , ho paura che dopo decenni in cui abbiamo concentrato gran parte della nostra forza e del nostro sangue, delle risorse intellettuali, dell’attenzione e del talento inventivo sui nostri confini esterni, per difenderli, per corazzarli sempre più, dopo tutto ciò noi, forse stiamo per diventare come un armatura dentro la quale forse non c’è più nessun cavaliere, nessuna persona. David Grossman –

Conoscere l’altro dall’interno, ovvero la voglia di essere Gisele -

Conferenza al Congresso nazionale dei bibliotecari , Tel Aviv gennaio 2006 Con gli occhi del nemico – Mondadori 2007


cercano il pallone

Avevano scavalcato lo steccato della loro spiaggia per cercare il pallone finito nella spaggia libera.






Io scrivo. Il mondo non mi si chiude addosso, non diventa più angusto. Mi si apre davanti, verso un futuro,

verso altre possibilità. Io immagino. L’atto stesso di immaginare mi ridà vita. Non sono pietrificato, paralizzato dinnanzi alla follia. Creo personaggi. Talora ho l’impressione di estrarli dal ghiaccio in cui li ha imprigionati la realtà. Ma forse più di tutto , sto estraendo me stesso da quel ghiaccio.

Io scrivo. Percepisco le innumerevoli opportunità presenti in ogni situazione umana e la possibilità che ho di scegliere fra esse, la dolcezza della libertà che pensavo di avere ormai perso. Mi compiaccio della ricchezza

di un linguaggio vero, personale, intimo, al di fuori del clichè. Riprovo il piacere di respirare nel modo giusto, totale, quando riesco a sfuggire dalla claustrofobia degli slogan, dei luoghi comuni. Improvvisamente comincio a respirare a pieni polmoni. David Grossman –

L’arte di scrivere nelle tenebre della guerra -

Conferenza al Pen Club , New York aprile 2007 Con gli occhi del nemico – Mondadori 2007


capriole

Ho incontrato questi due ragazzi che facevano capriole Una volta uno faceva fare la capriola all’altro e subito dopo si scambiavano le parti ed era l’altro a fare da sostegno al primo. CosÏ sono andati avanti per ore








Infatti la natura e la sostanza della condizione violenta è il desiderio di provare a rendere le persone senza volto, a trasformarle in una massa indistinta e priva di volontà.

Guerre, eserciti regimi totalitari e religioni fondamentaliste tentano continuamente di cancellare quelle sfumature che creano l’individualità, la peculiarità di ciascuno, il miracolo irripetibile che ogni individuo

rappresenta , cercando di trasformare le persone in un gruppo, in una massa, decisamente più congeniale ai loro scopi e alla situazione. David Grossman –

Conoscere l’altro dall’interno, ovvero la voglia di essere Gisele -

Conferenza al Congresso nazionale dei bibliotecari , Tel Aviv gennaio 2006 Con gli occhi del nemico – Mondadori 2007


Albania-Romania 1-0

Passai in questa piazza giorni prima e sentii urla di gioia e speranza senza capire il perchè. Quella sera non giocava l’Italia. Quando ho capito che erano ‘radici’ sono voluto ritornare.










Il movente di cui parlo è l’aspirazione a rimuovere, volontariamente , ciò che mi difende dall’altro.

L’aspirazione ad abbattere quella parete divisoria , per lo più invisibile, che separa me dal prossimo (chiunque egli sia), verso il quale provo un interesse fondamentale, profondo; l’aspirazione a espormi in tutto e per tutto , senza alcuna difesa, in quanto individuo e non soltanto scrittore, di fronte alla personalità e alla vita di un altro individuo, alla sua interiorità più segreta , autentica, primordiale. David Grossman –

Conoscere l’altro dall’interno, ovvero la voglia di essere Gisele -

Conferenza al Congresso nazionale dei bibliotecari , Tel Aviv gennaio 2006 Con gli occhi del nemico – Mondadori 2007


VELI

Ho osservato la dignitĂ






Ecco, ho l’impressione che sotto molti aspetti noi esseri umani – creature sociali per eccellenza, che tanto

investiamo nel rapporto affettivo ed empatico con la nostra famiglia , i nostri amici , il nostro pubblico – sia-

mo in realtà sulle difensive , asserragliati in modo assai efficace , non solo di fronte a un nemico: in un certo senso siamo sulle difensive – cioè difendiamo noi stessi – dal prossimo, chiunque esso sia. Dalla radiazione della sua interiorità dentro di noi. Da quella cosa che qui chiamerò il caos che risiede dentro l’altro.

‘L’inferno è l’altro’ ha detto Jean-Paul Sartre, e forse proprio per questo, per la paura di quell’inferno che

esiste nel prossimo, il sottile strato d’epidermide che ci avvolge, che separa noi dal prossimo, a volte è spesso e coriaceo come il muro di cinta di una fortezza, nella sua duplice funzione di confine e di ostacolo che separa.

David Grossman –

Conoscere l’altro dall’interno, ovvero la voglia di essere Gisele -

Conferenza al Congresso nazionale dei bibliotecari , Tel Aviv gennaio 2006 Con gli occhi del nemico – Mondadori 2007


selfie

Senza l’orizzonte ti rimane un selfie.




www.marcellocamporafotografie.it




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