torino vuota
f o t o g r a f i e
d i
m a r c e l l o
c a m p o r a
torino vuota f o t o g r a f i e
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m a r c e l l o
c a m p o r a
Ho sempre amato la città che si svuota per le ferie di agosto. La città vuota si regala con dolcezza a chi è rimasto. Ho scelto Torino perchè lì ancora avviene questa piccola magia. La ricordo raccontata da Giovanni Arpino in ‘Fratello Italiano’, un romanzo che lessi durante le vacanze estive di tantissimi anni fa. Ancora viva in me è la sensazione di invidia che provai per Botero e Cardoso che potevano percorrere la città in quei giorni e così possederla.
Tutti i brani presenti in questo catalogo sono tratti dal romanzo di Giovanni Arpino ‘Fratello Italiano’ Garzanti 1980
bianco e nero
Non tutti i giorni ci si può svegliare ridendo, come diceva quel tale in coma. Così seppe darsi la giusta spinta, tossicchiando, Carlo Botero, vedovo, sessantaduenne maestro elementare in pensione, nel suo ridestarsi mattutino. Una pendola sovraccarica di falsi marmi e dorature indicava le otto in punto. Come sempre. Botero indagò tra le luci e forme della stanza. Un insulto ostile gli si introdusse nei ginocchi, nelle tempie. Un segnale malevolo, apportatore di fastidi. Avanzò comunque un piede oltre il lenzuolo , subito avvertendo il caldo estivo appiccicarglisi addosso in unta pellicola. Cercò di non sgualcire troppo il giaciglio: secondo una delle sue norme di vita bisognava rifar il letto ogni quattro giorni. Cinque anni di vedovanza avevano costituito per lui indispensabile ammonimento. Da un angolo lontano il gatto Stalin stava fissandolo con due mezzelune azzurre, gelide. E disapprovava l’alzata come sempre. Maresciallo, - gli si rivolse il vecchio, bofonchiando: - Creperai prima di me. Hai un bel darti arie da padrone del mondo. Prova a sfilarti la pelliccia se hai caldo.
Oltre la finestra vide il balcone di fronte: tre vasi di gerani ormai color cenere, uno spazzolone giallo, un cane lupo che dormiva pancia all’aria e pareva finto, anche se durante la notte non aveva smesso di uggiolare per la solitudine. - I tuoi padroni sono a bagnarsi le vergogne ad Alassio o a Rimini, tu resta pur lì a far la guardia, scemo di un cane; un’altra volta cerca di nascere geometra. - Così gli dedicò Botero. Nel cielo di latte e cenere salivano i morsi ferrosi dei tram lungo i viali. Se quel cielo non avesse ricordato una sterminata padella capovolta, forse sarebbero apparsi, a occidente, i nasi sottili e tormentati delle alpi, e ad oriente il profilo morbido della collina dell’Oltrepò.
Botero rimise in ordine le pagine del giornale, che dopo quella prima scorsa diventava l’unica occupazione fino a mezzogiorno. I misteri della politica, catastrofi , guerriglie, delitti, attentati, un seviziatore infferrabile a Londra e programmi televisivi e spiagge invase da genti nude rantolanti: ecco quale era il suo strepitoso cannocchiale puntato quotidianamente sul mondo. Al di là del balcone della cucina, il cortile sprofondava muto nell'abiezione d'agosto. File di finestre scolorite opponevano i loro denti serrati alla calura, qualcuna lasciando sporgere strofinacci grinzosi, trattenuti per un lembo. Fogli di plastica rinsecchiti pendevano dalle ringhiere. Manici di scope, ritti negli angoli. Lugubri colombi si trasferivano nei loro inutili andirivieni da questo o da quel tetto- Morire è un niente - CosÏ si inflisse il maestro, misurando vuoti e pieni, fantasmi e concretezze, vecchi comignoli e antenne incespugliate.
Mezz’ora dopo, sul balcone di casa, per pacificare Stalin più offeso che scombussolato dalla solitudine pomeridiana, lo spazzolò ripulendolo dei peli caduchi. Era un’ operazione che il gatto gradiva molto, tanto da offrire il ventre rovesciato alla spazzola, senza alcun timore. Dopo, con il suo bicchiere ben colmo, Botero sedette al medesimo balcone, un asciugamano sulle magre spalle nude. L’ aria era un ammasso di diversi colori l’un nell’altro schiacciati, e non muoveva foglia. Per esperienza il vecchio intuì i non lontani temporali. Una radio remota lasciava captare mozziconi del notiziario che parlava di traffico e incidenti lungo le strade.
due storie
colore
Dopo questo tratto di portici il primo viale a destra. E da lì, sempre avanti. Tutto un rettilineo. - Non ci si può sbagliare neanche volendo - indicò Botero, nuovamente sistemato sul piano del triciclo. Qui è tutto così diritto che sembra d’essere in caserma, - approvava Cardoso. Erano in un viale nuovo, di ippocastani, le cui fronde intrecciate fuggivano a perdita d’occhio in un’unica, buia ondulazione. Un cane randagio apparve, li osservo tremolando e sparì. Una statua si palesò con il suo pallido marmo maculato dalla ghiaia di un giardino. E c’erano le lance di alti cancelli, improvvisi neri cespugli compatti contro le reti di recinzione, macchie di foglie piccole, dure, fitte, ben spazzolate, d’un verde funebre senza odore. Si udiva l’acqua di una fontana, si poteva palpare la consistenza del segreto racchiuso in quegli spazi inavvicinabili.
Sempre diritti e siamo alla stazione di porta Susa. Lì troverò un taxi - disse Botero- Come volete voi, per me non è fatica - rispose Cardoso Spingeva nuovamente il triciclo. Il viale s’incurvò raggrumando cupole di alberi solenni immobili. Percosso dalle luci cittadine il cielo riverberava sulle foglie lontane nebbie rosate. Dai ferri sbarrati dei negozi cartelli luminescenti avvertivano della chiusura per le vacanze d’agosto. Un signor temporale ci vorrebbe tutto - brontolava Cardoso: - Ma fra tante muraglie non so sentire se viene o non viene.- Non posso farle perdere tutta la notte - soffiò Botero e si rigirò sul legno del triciclo per uno sguardo all’uomo che pilotava a due mani sellino e manubrio. E cosa perderei, - venne il sospiro rauco di Cardoso:- dormo come i gatti, io. Dieci minuti ogni ora. Ho fatto anche il conto. Sarebbero quattro ore al giorno. Un corpo vecchio non merita di più. Queste strade sono velluto. Se non abbiamo montagne da scalare e voi mi dite la strada così liscia, posso accompagnarvi fino a domani a mezzogiorno. Disponete voi.
Dalla stanza gli arrivò il peso del silenzio. Oltre la finestra aperta si rizzavano gli spigoli di enormi casamenti periferici in arcigna simmetria, le geometriche ripetizioni di balconate tutte uguali. Nel cielo navigava una nuvola d’agosto, troppo arricciolata, troppo solitaria, troppo lattea. Pigolii di bambini in gioco salivano da vuoti lontani, rigando l’aria. Mi sento bene, mi sento benissimo, ma perchè, ma come è possibile: così seppe esplorarsi Botero.
Seduto sul balcone di fronte alla notte, Botero assaporava l’aria umida. Da una finestra illuminata oltre il cortile sgorgavano musiche, risate fanciulle. Mancavano due giorni a Ferragosto. Con minuzia, il maestro rielencò mentalmente le provviste in frigorifero, indispensabili per superare quella vacanza, sempre detestata. Il gatto Stalin lo andava fissando con pupille inquisitrici. Sbadigliò, poi superbo, per negare la sua stessa noia. E sì che gli sarebbe bastata una mosca a vincerla, tanta noia: un bel moscone intorbidito su un vetro. Se vuoi compagnia impara leggere il giornale, maresciallo, - gli regalò Botero , svogliatamente. Interdetto, Stalin prese leccarsi una zampa, trotterellando infine verso la cucina. Un proposito, un progetto andavano trovando consistenza nel riflettere di Botero. Si sentiva rinsecchito, calcinato, una canna a cui avevano succhiato tutto il midollo, ma già. E tuttavia in questa forma arida, in questo loculo vuoto, di dove era scomparsa ogni vibrazione dell’anima sua, quel proposito, quel progetto, navigavano per darsi un sistema. L’intera vita rimasta era a disposizione. E con ogni giudizio, con calma e insieme con sollecitudine, con la fermezza di chi ha appreso. Quando fu ben convinto e solido, quando il proposito gli si disegnò davanti agli occhi come il più preciso, il più amico degli orizzonti, Carlo Botero si alzò. Dal cassetto pescò uno dei quei vecchi quaderni scolastici. Lo scelse di copertina nera, lustra, lievemente granulosa, con le pagine a righe, con i bordi tinti di rosso. Sgranò fra le dita i fogli che negli anni si erano appiccicati. Sedette in cucina, svitò la stilografica. Avrebbe raccontato tutto. Come in un tema in classe, un tema di quinta elementare: più avverbi che aggettivi, poche descrizioni ma molte proposizioni nette, pulite. Cominciò a scrivere usando la terza persona, attento ad ogni tratto della sua puntuta, orgogliosa grafia. Il gatto Stalin, incuriosito, balzò sul tavolo molleggio avvicinandosi con mille prudenze al quaderno. La mano del maestro lo scostò, autorevole. Allora Stalin riprese a leccarsi la zampa, suo tipico atteggiamento per riacquistare dignità. L’identica dignità che Carlo Botero percepì dagli scricchiolii della carta sotto il pennino, ultimo gracile suono di vita tra tanto morire. da Fratello Italiano di Giovanni Arpino - Rizzoli Editore 1980
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