Ticino7

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25 numero

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L’appuntamento del venerdì

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Reportage - AlpTransit pt.1

La banda del buco Agorà Mobilità Arti Playground Tendenze Costumi

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo

Tessiner Zeitung

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numero 25 12 giugno 2009

Agorà Mobilità. L’auto in rosso Arti Mostre. La prima volta

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Chiusura redazionale Venerdì 5 giugno

DI

DI

FABIO MARTINI

KURT SGHEI

Libri Tira fuori la lingua. Storie dal Tibet Vitae Tashi Albertini

DI

GIORGIA RECLARI

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DI

GIORGIA RECLARI

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Reportage AlpTransit pt.1. La banda del buco

DI

G. FORNASIER; FOTO DI R. BUZZINI

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Editore

Teleradio 7 SA Muzzano Peter Keller

Fabio Martini

Coredattore

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Tendenze Costumi. Mare in vista!

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Direttore editoriale Redattore responsabile

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MARISA GORZA

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

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Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Libero pensiero

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In copertina

Cantiere AlpTransit: il fronte di Sedrun Fotografia di Roberto Buzzini

Cari lettori, in questo numero di Ticinosette proponiamo la prima parte di un Reportage dedicato ai cantieri AlpTransit (presenti sulla Galleria di base del San Gottardo) della Nuova Trasversale Ferroviaria Alpina: si inizia con Sedrun a cui farà seguito, la settimana prossima, il servizio sul cantiere ticinese di Faido. Un progetto tanto discusso e riguardo al quale sono state sollevate molteplici perplessità sia a proposito della sua ciclopica dimensione (soprattutto in relazione a un territorio tanto esiguo come quello della Confederazione) sia per gli enormi costi. Resta il fatto che, a pochi mesi dalla caduta dell’ultimo diaframma (programmato per l’inizio del 2011) della Galleria di base di 57 chilometri, l’attenzione e l’interesse pare si siano ulteriormente ravvivati. Ne è testimonianza il buon successo di pubblico che hanno avuto le recenti “Porte aperte” anche alla nuova Galleria di base del Ceneri e la curiosità che il “progetto del secolo” solleva e ha sollevato ben oltre i confini ticinesi. In passato anche il nostro settimanale aveva espresso qualche perplessità sulle conseguenze che progetti come la NTFA possono avere sul territorio (“Nuove montagne. Mi ricordo montagne verdi…”, Ticinosette n. 24/2008).

Una visita e qualche parola con chi opera nei cantieri forse non scioglierà in alcuni di voi tutti i dubbi, ma certamente mostra come una visione unilaterale e solamente critica – a nostro parere probabilmente viziata da una certa miopia – non renda giustizia a chi con competenza e professionalità ha creduto, progettato, organizzato e in questi anni sta portando a compimento quello che sarà (non dimentichiamolo) il più lungo traforo ferroviario del mondo. Un concentrato di tecnologia che non ha eguali, erede del primo traforo del San Gottardo che più di un secolo fa divenne il vanto dell’ingegneria svizzera. Del resto nuove esigenze e forme di mobilità più efficienti sotto il profilo economico e ambientale si impongono come fatto necessario e indispensabile nella cornice di una Europa sempre più interconnessa. Certo, l’idea ancora romantica del viaggio, così come la si intendeva ai tempi di Robert Louis Stevenson (1850–1893) – la cui figura è oggetto di uno dei libri recensiti in questo numero –, è ormai definitivamente tramontata. Inutile farsene un cruccio… Un cordiale saluto, la Redazione


L’auto in rosso

La crisi del mercato automobilistico rappresenta uno degli aspetti critici della presente recessione. Ma a livello globale la situazione è tutt’altro che omogenea dato che nei paesi emergenti la richiesta di veicoli segna una crescita esponenziale. Una tendenza che obbliga costruttori, amministratori e cittadini a individuare con prontezza soluzioni tecnologiche per ridurre le emissioni nocive ma anche a proporre concetti innovativi di mobilità

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Un fattore cruciale Per chi, come l’autore del presente articolo, è nato negli anni Cinquanta, l’automobile “per tutti” ha rappresentato un vero e proprio mito. Era la concreta attuazione di un sogno di autonomia e velocità fino a pochi anni prima prerogativa esclusiva delle classi più abbienti. L’automobile diveniva così, per la piccola borghesia, l’estensione

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Agorà

arack Obama ha annunciato qualche giorno fa la bancarotta del gruppo General Motors a cui il governo statunitense andrà in soccorso con un ulteriore e consistente apporto di 30 miliardi di dollari (che si aggiungono ai 20 già versati in precedenza). Con questa operazione di fatto lo Stato americano si configura come il principale azionista dell’azienda a cui fanno capo i marchi di Buick, Cadillac, Chevrolet, Daewoo, Opel-Vauxhall, Pontiac, Saab, Saturn. La ricaduta sui lavoratori sarà pesante: oltre 20.000 posti di lavoro andranno perduti con la concomitante chiusura di ben 11 stabilimenti. Nel suo discorso il presidente americano ha ribadito la necessità di riconvertire la produzione automobilistica sulla base di una concezione di maggiore responsabilità ambientale, sottolineando lo sforzo indispensabile che la collettività americana – e non solo – deve affrontare per reagire al crollo dei grandi colossi dell’auto. Certo è che l’automobile, feticcio per intere generazioni, si sta configurando come uno dei nodi cruciali della contemporaneità le cui valenze, come bracci di un’enorme piovra, si estendono a coprire gli aspetti più diversi della realtà: dalla mobilità alla sostenibilità ambientale, da elemento simbolico e culturale a volano del capitalismo globale.

dell’ambiente domestico, con i suoi ninnoli, le immaginette di san Cristoforo, i cagnolini che muovevano la testa su e giù dietro il lunotto posteriore, mentre per i nuovi e giovani professionisti si profilava la possibilità di accedere a quei marchi (Alfa Romeo, Lancia, Mercedes) che avevano fatto la storia dell’automobilismo sportivo. Ed ecco allora spuntare i guantini di cuoio, gli occhiali da sole, i fazzoletti al collo che rendevano simili i papà a tanti novelli Manuel Fangio. Sta di fatto che l’auto ha trasformato radicalmente le abitudini di milioni di persone, modificando modi e stili di vita e divenendo il riflesso di aspettative e illusioni, attese e identificazioni. Fino ai nostri giorni: il trentennio liberista, il coinvolgimento delle classi borghesi occidentali nell’idea di una crescita da raggiungere a tutti i costi ben si riflette nell’immagine ingombrante e opulenta dei SUV, modelli ambiti da molti ed espressione di una mentalità aziendale sorda alle esigenze collettive e ambientali (ma forse qualcuno si ricorderà di un tale Bob Lutz, ex-vicepresidente della General Motors, che fino a poco tempo fa sosteneva che il cambiamento climatico è una “stronzata”).

Fantasia e innovazione In Europa il problema “auto” si è cominciato ad affrontarlo da tempo sia per una minore pressione delle case automobilistiche sulla classe politica sia per una maggiore sensibilità verso i problemi ambientali: motori più puliti, consumi ridotti, carburanti alternativi, obiettivi fissati per la diminuzione delle emissioni nocive sono divenuti dei must. Ma questo è solo l’inizio: è il generale concetto di mobilità che deve essere rivisto


Fame d’auto Le vendite di auomobili e veicoli commerciali in Europa e negli Stati Uniti sono in netto calo con una flessione che si aggira intorno al 15/20%. In Giappone il fenomeno è molto marcato

come dimostrano i dati forniti da Toyota e dalle altre grandi aziende del Sol Levante. Anche all’interno della piccola realtà rappresentata dal Cantone Ticino questi dati trovano una sostanziale conferma, come ci spiega Walter Robbiani, presidente di UPSA Ticino (l’Unione professionale svizzera dell’Automobile): “Il calo nelle vendite si attesta intorno al 12%, un dato che non riguarda però la fascia delle piccole utilitarie che si muovono in controtendenza, registrando un incremento. Per quanto riguarda le vendite di vetture ad alimentazione alternativa sono rimaste invariate dal 2008 ai primi mesi del 2009, con un valore del 2% sul mercato globale, ma in Ticino il discorso è legato alla mancanza di una rete capillare di distribuzione di metano e GPL. Per quanto concerne l’occupazione, in alcuni casi c’è stata una riduzione del personale sia nella vendita sia nelle officine, essendo diminuito anche il lavoro a livello di servizi e riparazioni, un fatto negativo che nel tempo può riflettersi negativamente sul livello di sicurezza delle vetture”. Questa la situazione in Occidente. Se però si guarda ai paesi emergenti – Russia, India, Brasile, Cina – la tendenza

è diametralmente opposta. In questo comparto le vendite sono in costante aumento: si prevede che in Cina entro il 2010 circoleranno 17 milioni di auto in più mentre in Brasile le vendite nel 2007 e 2008 sono cresciute del 30%. E i margini di crescita sono davvero immensi se si pensa che in Europa circolano 600 autovetture ogni mille abitanti contro le 30 della Cina, le 130 del Brasile e le 200 della Russia. È proprio in questi paesi che si giocherà la grossa partita del futuro mercato automobilistico sia dal punto di vista produttivo sia sotto il profilo ambientale: una crescita rapida della diffusione dell’auto nel cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), se non condotta fin da subito attraverso criteri di una concreta sostenibilità ambientale, potrebbe infatti accelerare la distruzione del pianeta e questo senza necessariamente allargare il discorso alle conseguenze che l’ampliamento delle indispensabili infrastrutture potrebbe determinare in paesi ad economia sostanzialmente agricola. Si tratta dunque di capire se potremo disporre in tempi utili e a costi accettabili della necessaria tecnologia per affrontare una sfida del genere.

» di Fabio Martini

dal car pool, al car sharing, al sistema delle mobility cars. Oggi è indispensabile investire in idee, sistemi e piani tecnologici per modificare il rapporto con l’idea che fino a ora abbiamo avuto della mobilità. Un piccolo esempio? In Trentino nel corso del mese di maggio è stato utilizzato in via sperimentale il sistema denominato Jungo (www.jungo. it), una forma di autostop organizzato ed estemporaneo. Sia gli utenti che gli automobilisti associati dispongono di una tesserina di identificazione e i primi pagano ai secondi 10 centesimi di euro al chilometro e 20 centesimi di diritto fisso. Inoltre dall’autostoppista viene inviato un sms alla centrale operativa con il numero di targa. Risultato? Tempi di percorrenza ridotti, calo dell’impatto ambientale, crescita del rapporto di fiducia fra cittadini. Non solo tecnologie, ma idee, soluzioni e concetti culturali nuovi.

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La prima volta

per dare luogo (e un buon motivo) a un dialogo fra spettatori attivi e artisti presenti. È innanzitutto un confronto fra viventi, fra operanti, senza filtro”. Qualche prima volta, a dirla tutta, c’era già stata. L’anno scorso, per esempio, proprio qui, all’Artelier “Al solito posto” – è il caso di dirlo, ma era anche il nome della mostra… – una collettiva organizzata da un gruppo di artisti visuali legati ai Warriors, la ghenga di brutti ceffi dello skate park. Non solo ginocchia sbucciate, dunque. Non solo birra. Non solo disagi, noie, spinelli, musica a palla, nichilismo e tag sui muri dei cessi pubblici. Sto parlando di giovani di talento. Timidi forse. O forse timida è la scena. Poco Una delle opere esposte alla mostra Playground importa, come si può ben vedere: c’è chi Difficile la gloria incoroni sacro fuoco dell’arte… non s’arrangia. Nessuna recriminazione. d’alloro i novizi, giovani ca- che a queste sponde l’arte sia L’idea di chi segue questo progetto, Playvalieri, eppure costoro non da mai venuta a mancare (“fuga ground, non è quella di dare alla città un meno s’allenano, si sfidano e Von Thyssen” a parte): dalle evento culturale fine a se stesso ma di tragiostrano, cozzando anche rive del Ceresio è passato davsformare l’evento in un appuntamento che duro, mettendosi in mostra vero un gran bel catalogo: da possa anche ripetersi, rinnovandosi ogni sulla giostra dell’arte. Modigliani a Bacon, Schiele, volta. “Un meeting sullo stato d’avanzamen“Qui si gioca ancora – ci di- Munch… e chi se li dimento”, una finestra di confronto, diciamo così, ce il curatore della mostra tica? I più grandi artisti del aperta sulla scena dei giovani artisti ticinesi Playground, Marco, 26 anni Novecento, presenti su ogni e quella di giovani artisti provenienti da – questi artisti, intanto, sono manuale di storia dell’arte. altrove, anche da lontano – dalla Bulgaria ancora in viaggio, alla ricer- “Ma qui la cosa è proprio e dall’Italia – come in questo caso. “Non ca di uno stile, di una cifra un’altra, niente retrospettive, necessariamente una fiera del nostrano” personale, nella giungla di roba fresca, ancora umida – ci conclude il nostro interlocutore. ipotesi formali e di deliri con- spiega Marco – … i nostri visiL’esposizione all’Artelier di Lugano (vedi cettuali, che è l’arte contem- tatori, molto probabilmente, Apparati) si svolgerà sull’arco di un mese: poranea... in questo senso il saranno giovani illustratori, quattro appuntamenti frontali, ogni sabato, gioco assurge alla funzione di designer, videomaker. Persone a partire dal 13 giugno. Occasioni di dialotramite, di oscillatore fra vego, di scambio di opirità e simulazione, fra natura Non è detto che la prima volta debba per forza nioni, di discussione, e artificio, come fra oggetto e andare male. Chiaro, si è tutti un po’ nervoset- di critica diritta. Dei opera. Playground: sala giochi, ti, anche i più scafati, anche quelli con qualche sette artisti – valgono parco divertimenti, kinderassolutamente la nogarten…”. Non che si debba esperienza preliminare in più. Uno sguardo stra considerazione e prenderli meno sul serio, per alla scena artistica giovane di Lugano una visitina – e delle questo; giocare è faccenda loro opere in esposizioanche grave, importante… che negli ultimi anni hanno ne (fotografia, scultura, scrittura e grafica, guardate attentamente le frequentato da vicino l’arte, impianti luministici e video) non vi voglio facce dei bambini, mentre fra Svizzera e mondo intero, parlare e non farò nomi; come fossero gli giocano… molto spesso dando vita a operai delle cattedrali medievali o i membri A Lugano la scena artistica delle vere e proprie reti, oltre di una setta segreta. è forse un filo ignifuga per che di amicizia, di influenza, Andiamo a conoscerli nel loro territorio di chi, dentro di sé, conserva il di scambio. Playground nasce gioco, ‘sti giovinastri.

» di Kurt Sghei

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La mostra Playground verrà inaugurata sabato 13 giugno alle ore 18 presso l’Artelier, in via Bossi 12 a Lugano. Fra gli artisti presenti, giovani svizzeri e stranieri pronti a confrontarsi e dialogare attraverso i loro linguaggi con il pubblico, senza filtri.

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Arti

Mostre


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Abbiamo letto per voi

Pompe di calore

di attraversare una parte del mondo dove non avevo alcun diritto di stare”. Durante il viaggio l’autore assiste alla sepoltura celeste di una ragazza morta di parto, smembrata e data in pasto ai rapaci per liberarne l’anima, incontra un orafo che custodisce il cadavere essiccato della sua amante, un padre in pellegrinaggio per ottenere il perdono dall’aver avuto rapporti incestuosi con la figlia. Ascolta infine la storia di una lama morta durante un rito iniziatico tra sesso e ghiaccio. Il Tibet è un paese ferito, impoverito e abbruttito dalla morsa dell’occupazione cinese che lo sta lentamente strangolando. “In questa terra sacra sembrava che Buddha non riuscisse a salvare se stesso, come potevo aspettarmi che salvasse me?” si chiede Ma Jian al termine del viaggio. Crollata la fede e l’idea di un Tibet simbolo di libertà spirituale, rimane solo la scrittura, come testimonianza tragica di storie sospese fra realtà e leggenda, tra paesaggi di folgorante bellezza e purezza e immagini dolorose

di un’umanità senza scampo. Quando è uscito in Cina nel 1987 il libro è stato proibito come “volgare e osceno”, perché Ma Jian non era considerato in grado di descrivere “i grandi passi compiuti dal popolo tibetano nella realizzazione di un Tibet socialista unito e prospero”. Oggi l’autore vive a Londra, si reca solo saltuariamente in Cina e ha appena pubblicato un nuovo libro: Pechino è in coma (nelle nostre librerie dal 1° giugno ma proibito in Cina), il primo romanzo cinese che affronta con estremo realismo gli avvenimenti di Piazza Tienanmen del 1989. Ma Jian descrive gli avvenimenti con gli occhi di chi li ha vissuti dall’interno. Dopo la censura di Tira fuori la lingua e il trasferimento a Hong Kong, nel 1989 torna infatti a Pechino e partecipa alla preparazione delle dimostrazioni studentesche. Ma quel fatidico 4 giugno, il giorno della strage, non è in piazza ma al capezzale del fratello, in coma a causa di un incidente. E dal coma si risveglia anche

Ma Jian Tira fuori la lingua. Storie dal Tibet Feltrinelli, 2008

il protagonista del romanzo, Dai Wei, un giovane colpito alla testa da una pallottola durante la manifestazione, che dal letto d’ospedale rievoca i tragici avvenimenti di quegli anni. È un coma metaforico infine, uno stato di inerzia e di semi-incoscienza, quello in cui secondo l’autore si trova l’intero popolo cinese, dovuto alla paura costante e all’incapacità di reagire all’oppressione di un regime dispotico e sanguinario.

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mantiche che noi occidentali tanto amiamo del Tibet, si nasconde una realtà dura e violenta, affascinante e terribile. Sesso, sangue e morte – fisica e spirituale – ricorrono ossessivamente nei cinque racconti di Ma Jian, scrittore cinese “proibito”, rifugiatosi in Tibet nel 1987 per fuggire dalla “società senz’anima” cinese e per ritrovare la propria fede buddista. “Tirare fuori la lingua” è il più antico saluto tibetano e insieme richiesta di diagnosi per un male spirituale, la fede che vacilla, la perdita di se stessi. Ed è in un estremo tentativo di cura che Ma Jian viaggia nell’aria rarefatta delle campagne tibetane alla disperata e inutile ricerca di salvezza. “I tibetani mi trattavano con indifferenza o con disprezzo. A volte mi tiravano i sassi. Ma più vedevo il Tibet e i danni imposti al paese dal dominio cinese, più comprendevo la loro rabbia.” E il senso di colpa per l’appartenenza al popolo oppressore si fa bruciante: “Per la prima volta nella vita provavo la sensazione

» di Giorgia Reclari

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» testimonianza raccolta da Giorgia Reclari; fotografia di Igor Ponti

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a mio fratello tasse sempre maggiori, fino a sottrargli la casa. Questa è solo l’ultima di una serie di ingiustizie che abbiamo dovuto subire dai cinesi. Quando sono tornata ho imparato il tibetano e mi sono avvicinata al buddismo, leggendo moltissimo e studiando, un po’ da autodidatta e un po’ a Rikon (località vicino a Zurigo sede di un monastero e in cui risiedono molti esuli tibetani, ndr.). Ho trovato finalmente un equilibrio fra le mie due identità, senza più dover scegliere. Spesso le persone vogliono creare delle categorie, etichettarmi in modo univoco, e mi chiePresidente di “Ticino-Tibet”, ha tentato dono se sono più occidentale di perdere le proprie origini per sentirsi o orientale; in realtà ora i due aspetti coesistono armodavvero svizzera. Ma poi un incontro niosamente nella mia vita. speciale le ha fatto scoprire un nuovo Qui in Svizzera mi occupo di fondazioni, di gestione impegno per la causa del suo popolo immobiliare e patrimoniale, fratelli è stato molto intenso del contatto con varie associazioni e autoed emozionante. Per me ha rità; quindi dal lato pratico si può dire che significato anche l’inizio di sono occidentale. Dal lato spirituale però la una nuova consapevolezza cultura tibetana ha una grande influenza e di un nuovo senso di resul mio modo di affrontare le cose. sponsabilità nei confronti Dopo il mio rientro dall’India mi sono spodel mio popolo. Ho potuto sata con un ticinese, sono venuta in Ticino constatare quanto siano pree abbiamo aperto uno studio di fisioterapia. carie le condizioni di vita I miei due figli sono nati e cresciuti qui. Nel nei campi profughi in India, 1997, dopo varie esperienze di impegno per oltre che per la mancanza la causa tibetana, ho fondato con alcuni di mezzi, anche per il clima amici l’Associazione Ticino-Tibet (www. umido a cui i tibetani non ticino-tibet.ch), di cui sono presidente e sono abituati e che provoca la grazie alla quale promuovo vari progetti, in diffusione di molte malattie. particolare per la costruzione di scuole dove La mia era una famiglia molsi insegni la nostra lingua e cultura. to benestante e influente in Sono passati esattamente 50 anni dall’inTibet, possedevano parecchie surrezione popolare a Lhasa e dalla fuga del case e mio padre è lontaDalai Lama, cinquant’anni in cui noi non no parente del Dalai Lama. abbiamo mai smesso di combattere. La granA Dharamsala erano invece de forza dei tibetani è l’equilibrio interiore, costretti a vivere in una bache deriva dal buddismo, una caratteristica racca. Durante i primi anni che non è andata persa con l’esilio. Il nostro di esilio i miei genitori hanno atteggiamento sorridente e tranquillo, che collaborato alla creazione di spesso sorprende gli interlocutori, non scuole per i figli dei profughi, va interpretato come una resa, ma come mentre mia sorella lavorava resistenza estrema. Io stessa mi sorprendo per il governo. Recentemendi come mia madre, ormai ottantenne, sia te mio fratello ha tentato di sempre serena nonostante tutto quello che tornare in Tibet per ristrutha dovuto sopportare. Noi esuli traiamo turare la nostra casa dopo ispirazione e forza dal messaggio del Dalai quarant’anni di abbandono. Lama, che è universale e non si limita a Ma gli edifici in centro città esprimere la nostra condizione di sofferenora interessano ai cinesi, che za, ma promuove la speranza. Una speranza fanno di tutto per sottrarli di libertà in cui tutti noi tibetani riusciamo ai tibetani. Hanno imposto ancora, nonostante tutto, a credere.

Tashi Albertini

Vitae

olevo essere svizzera, a tutti i costi e completamente. Sembrava facile… ero arrivata qui dal Tibet a soli cinque anni nel ’62 insieme a un gruppo di altri bambini figli di esuli, fuggiti in massa dopo le sanguinose persecuzioni perpetrate dai cinesi nel ’59. Siamo stati affidati a famiglie svizzere: io e mio fratello siamo cresciuti a Winterthur, senza più contatti con la nostra famiglia di origine. Parlavamo svizzero tedesco e abbiamo ricevuto un’educazione religiosa cristiana. Ma io non mi sentivo mai totalmente integrata, a scuola gli insegnanti mi chiedevano sempre se capivo il tedesco. Desideravo confondermi nella folla, scomparire e invece tutti, vedendo i tratti somatici orientali, mi domandavano da dove venivo. Mio fratello mi rimproverava perché mi rifiutavo di partecipare agli incontri con gli altri tibetani in Svizzera, rinnegando le mie origini. Nel frattempo ho seguito diverse formazioni: liceo, segretaria di direzione a Ginevra, poi fisioterapista, perché volevo essere indipendente e poter lavorare con la gente. Insegnavo anche religione evangelica ai bambini. Nella mia ricerca di un’identità svizzera ho voluto avvicinarmi alle istituzioni, per comprendere davvero il funzionamento dello Stato della mia patria adottiva. Così mi sono messa alla prova, definitivamente e… ho fatto il militare! (ride, ndr.). È stata un’esperienza fondamentale: mi ha fatto capire che elvetica non lo sarei mai stata. Così, dopo vent’anni di lontananza, ho deciso di andare a trovare la mia famiglia a Dharamsala, la città indiana sede del governo tibetano in esilio. È stato un shock, perché mi sono resa conto di non essere nemmeno tibetana. Non parlavo la lingua e non conoscevo la cultura. Ma, nonostante le difficoltà di comunicazione, l’incontro con mia madre e i miei

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V


AlpTransit pt.1

La banda del buco di Giancarlo Fornasier; fotografie di Roberto Buzzini

I lavori nella Galleria di base del San Gottardo – che assieme alla Galleria del Ceneri e allo Zimmerberg sono l’elemento fondamentale della Nuova Trasversale Ferroviaria Alpina (NTFA) – stanno velocemente procedendo. Nel 2011, una volta abbattuta l’ultima membrana di roccia, la AlpTransit San Gottardo SA avrà costruito la galleria ferroviaria più lunga al mondo: 57 chilometri, da Bodio a Erstfeld, frutto della tecnologia più avanzata e dello sforzo di centinaia di uomini che tutti i giorni lavorano nelle viscere della terra. Ma che cosa c’è veramente, lì sotto…?


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Reportage

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tazione multifunzionale di Sedrun. Sono le 11.30. Raggiungiamo un gruppo di operai in attesa che giunga un trenino. Questo condurrà loro e noi all’ascensore che dalla superficie porta alla Stazione multifunzionale di Sedrun. Così si entra, per ora, nei due tunnel della futura Galleria di base del San Gottardo. Siamo tutti muniti di una lampada, uno zaino di sopravvivenza, stivali, una tuta arancione, giaccone e un casco, che cambia colore in funzione del ruolo giocato in questo labirinto. Qui si lavora tutti i giorni, uomini e macchine, a diretto contatto. “Il rischio zero non esiste” ci dice Yves Bonanomi, geologo e nostro accompagnatore. È un lavoro rischioso, sporco, ma “i livelli di sicurezza sono comunque altissimi” puntualizza. Nel cantiere operano in totale 650 persone, 500 sono operai che lavorano in galleria; 120–130 quelli che scendono a turno nelle due canne della galleria per l’avanzamento dei lavori nelle due direzioni: verso sud (il portale di Bodio è a 36 km, ma sono circa 8 quelli che mancano all’appuntamento con la fresa che avanza da Faido verso Sedrun) e verso nord (il portale di Erstfeld è a 21 km). Scesi dal primo treno, un enorme ascensore ci conduce alle due gallerie, quasi un chilometro più in basso. Saliamo su un secondo trenino. Destinazione: il fronte sud. Sul nostro piccolo vagone incontriamo Matteo, un elettricista valtellinese. “In precedenza ho lavorato per due anni al cantiere di Bodio… ora sono a Sedrun da cinque anni. Mi trovo bene…” precisa subito, ma il suo sguardo è più che altro assonnato. Verso il fronte I 15 minuti per giungere al fronte passano velocemente. Nei vagoni semi aperti entra un’aria prepotente, una miscela perfetta di pesante umidità, odore di cemento e rumore a volte insopportabile. Una volta scesi altri rumori e odori acri, accompagnati da uno strano sapore metallico di terra, polvere e roccia ci sommergono completamente. Si respira a fatica. Qui se porti un pace-maker non puoi scendere per la presenza di forti campi magnetici e l’eventualità di improvvise scariche elettriche. La temperatura sarebbe di 50-55 gradi Celcius circa e l’umidità vicina al 90%... se (fortunatamente) l’atmosfera non fosse condizionata e la temperatura abbassata a 28 gradi in media durante l’arco della giornata. “Sarebbe altrimenti impossibile lavorare per l’uomo: in base alle condizioni climatiche, il tempo di lavoro di otto ore per turno cambia, abbassandosi se i parametri non sono rispettati”. Proseguiamo a piedi, sopra di noi almeno 1600 metri di roccia. La pressione sulle volte di questa galleria di 9 metri di diametro (già messa in sicurezza e in parte rifinita) è quasi inimmaginabile. Yves incontra dei


colleghi: saluti, sorrisi… ma il rumore copre qualsiasi parola. Per terra i nostri stivali calpestano fango e acqua. Si sprofonda per 20 cm buoni. Siamo nel cuore della montagna, ma uno degli elementi dominanti è l’acqua, che fuoriesce delle stesse rocce, calda, termale, a una temperatura di circa 42/44 gradi. Camminiamo ancora fra macchinari di ogni genere… e all’improvviso, davanti a noi, alcune potenti lampade illuminano un enorme insetto, metallico, munito di lunghe braccia che forano la parete. Eccolo il fronte: gli operai stanno procedono alla foratura della parete rocciosa per l’inserimento delle cariche esplosive. Il rumore è sempre più forte. L’esplosivo utilizzato è composto da due diversi liquidi, iniettati direttamente una volta fatti i fori: una terza sostanza schiumosa serve poi a sigillare il tutto. Vengono praticati 120

in queste pagine in senso orario: la Stazione multifunzionale di Sedrun; l'elettricità ha un ruolo fondamentale nella “vita” del cantiere; operai manovrano la perforatrice prima della detonazione pagina precedente la zona adiacente il fronte sud, in direzione di Faido pagina seguente in alto: le gallerie in avanzato stato di completamento; sotto: Santa Barbara


fori per ogni esplosione e circa quattro sono le ore necessarie per compiere l'operazione. Ogni “botto” asporta uno strato di tre metri di roccia. La scena ricorda un film di fantascienza… un cantiere minerario su Marte, ma qui si comunica nella lingua di Goethe: molti operai sono tedeschi e austriaci, anni di esperienza nelle miniere – molta della tecnologia utilizzata nei cantieri della società AlpTransit è di provenienza mineraria – e a loro fanno buona compagnia portoghesi, spagnoli, italiani. E gli uomini che manovrano la perforatrice sono proprio portoghesi. “Noi ci siamo formati nelle gallerie. Tutto quello che sappiamo lo abbiamo imparato qui sotto…” dice il più giovane, Elme (24 anni) a Sedrun da cinque anni. Sotto di loro, davanti alla parete di roccia nuda, altri uomini. Comunicano a gesti, per capire dove a quanto devono ancora forare. Ci allontaniamo di qualche metro e Yves, in modo quasi meccanico, procede alla lettura delle pareti: per lui le deformazioni delle centinature – una sorta di enormi anelli di acciaio necessari alla messa in sicurezza della galleria –, come pure le prime coperture in Beton, sono fondamentali per capire come si comporta la montagna. Il ritorno alla luce Arretriamo ancora dal fronte. Il nostro accompagnatore si ferma con Luz, un responsabile del comparto elettrico… il tempo di osservare le officine per la manutenzione e i nostri orologi segnano già le 15. Il trenino che ci doveva riportare verso la stazione multifunzionale (la via d’uscita) parte senza di noi. Nulla di grave, ci aspettano 5 km di “tranquillo cammino” fra luci al neon colorate, polvere e la solita colonna sonora. Le nostre lampade disegnano coni biancastri nel semi buio della galleria: e pensare che per vedere il primo treno passeggeri percorre a 250 km/h la Galleria di base sarà necessario attendere sino al 2017. “Sarà il tunnel più sicuro al mondo…” ma poi Yves si interrompe, rallenta il passo, quasi si ferma: questo era il luogo destinato alla ormai defunta Porta Alpina. “Un’opportunità mancata – sostiene – per Sedrun, la regione e per il turismo svizzero sarebbe stata una possibilità di sviluppo. Ma anche per una maggiore fruibilità del Glacier Express… Sapete, questo sarà il tunnel più lungo al mondo! (ferroviario, ndr.). Pensate che richiamo...”. Ma ora non si torna più indietro, Yves… “Un’occasione persa…” ci ripete lui, sconsolato. “Achtung, ein Zug kommt!”: sopraggiunge un treno con il suo lampeggiante arancione acceso. Il nostro accompagnatore fa ritmicamente dondolare la sua lampada per segnalare la nostra presenza. In compagnia di chi ha finito il turno di lavoro, risaliamo sul grande ascensore. Alla nostra sinistra, in una nicchia, illuminata veglia su di noi Santa Barbara, la protettrice dei minatori. Uno sguardo furtivo verso di lei lo lanciamo anche noi. Yves ci guarda ridacchiando: ci ricorda la promessa fatta qualche ora prima di una birra da consumare in compagnia prima di tornare verso il Ticino. Un invito che non possiamo rifiutare... ■


» illustrazione di Adriano Crivelli

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Astri toro

gemelli

cancro

Attenzione a non compiere seri errori di valutazione per quanto riguarda la vita professionale. Verificate la validità delle vostre teorie prima di fare delle scelte. Momento comunque positivo per gli artisti.

Giove e Nettuno, di transito nella vostra nona casa solare segnano una improvvisa espansione delle vostre conoscenze. Possibile affioramento degli nteressi esoterici. Speculazioni legate alla filosofia.

Probabile miglioramento della situazione affettiva, sia per i single che per le coppie. Non sono da escludere guadagni legati alla creatività per i nati nella terza decade. Attrazione per i campi del paranormale.

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Giove e Nettuno in opposizione, Marte e Venere in quadratura: questa seconda metà di giugno, per i nati nella seconda decade potrebbe essere una riedizione personale delle gelosie dell’Otello di Shakespeare.

Dal 16 giugno, congiunzione retrograda di Giove e Nettuno. Il transito interesserà i valori espressi dalla vostra sesta casa solare: attenti a non soffocare le vostre fantasie professionali. Disturbi psicosomatici.

Momento di grande creatività per i nati in ottobre. Grazie agli ottimi influssi di Giove riuscirete a realizzare progetti a cui, per forza di cose, pensavate di aver rinunciato. Innamoramenti e idealizzazioni.

Cercate di rimanere con i piedi per terra restando sempre centrati su voi stessi, altrimenti correte il rischio di farvi prendere dalle vostre paure. Stress e calo emotivo tra il 20 e il 21 giugno. Evitate le superstizioni.

sagittario

capricorno orno

acquario

pesci

Antichi ricordi e vecchi ideali tenderanno a risorgere improvvisamente e prepotentemente. Ascoltate le richieste più profonde del vostro io. Se volete concentrarvi scegliete un luogo marino. Contenetevi a tavola.

Tra il 14 e il 16 il vostro piano emotiemoti vo sarà caldeggiato da una armonica Luna. Giove e Nettuno congiunti in moto retrogrado nella vostra seconda casa solare: cautela nella gestione delle risorse finanziarie.

Cercate di sintonizzarvi con la vostra reale essenza. Grandi passi avanti sul piano evolutivo. Maggiormente favoriti gli artisti e i politici. Tensioni amorose e scatti di gelosia per i nati nella seconda decade.

Dal 16 anche i nati nella seconda decade potranno iniziare a vedere rosa sui loro orizzonti celesti. Progressivo miglioramento di ogni situazione affettiva. Maggiore comunicabilità. Complicità e nuovi incontri.

» a cura di Elisabetta

ariete Il 16 giugno, importante congiunzione nella vostra undicesima casa solare. Questo aspetto segnerà il ritorno trionfale di un vostro antico ideale. Possibile realizzazione di progetti a cui avevate rinunciato.


mare in vista! di Marisa Gorza

e non solo… Com’è piena di promesse l’estate! Tempo di smanie e frenesie bizzarre, di canzoni galeotte, notti folli, amori da rotocalco. Stagione svestita che solletica esibizionismo ed eccitanti libertà...

Tendenze

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Nulla come il bikini sa esaltare l’appeal delle curve femminili, sottolineare la flessuosità del punto vita, la rotondità dei fianchi e del seno con le sue valenze... materne. Il un suo archetipo risale addirittura ai tempi antichi tanto da apparire tra i mosaici romani di Piazza Armerina. Guarda caso del tutto simile all’ultimo due pezzi creato da La Perla con un sofisticato groviglio di micro drappeggi che crea rifrazioni di luce. Così il panneggio da dea mitologica, grazie a una Lycra cangiante, ha un impatto visivo molto attuale e uno styling che punta al décolleté. Parah, per la linea Noir, propone invece il reggiseno a triangoli dal magico push up, mentre per Impronte ritorna alla grande il balconcino imbotti-

to che assicura una floridezza tutta “naturale”. Entrambi fanno coppia con lo slip sgambato ma non troppo e, mentre il primo è coordinato dalla stampa animalier e intarsi di vero pitone, il secondo espande fantasie leopardate e borchie dorate. Magici riverberi di fondali marini, ricami di canutiglie e lievi drappeggi disposti a onda scivolano dall’accoppiata bra intrecciato e alta coulotte di Argento Vivo, fino sugli hot pants, sui corsetti, sui minidress fascianti e sugli accessori da spiaggia. E c’è sempre profumo di terre lontane negli esuberanti coordinati di Yamamay: la calda sensualità dell’Africa tribale è espressa con le tinte cangianti delle terre e dei tramonti. Coralli, perline e pietruzze disegnano motivi etnici su fuoriacqua svolazzanti e su bikini dal reggipetto a vela e dal tanga rivoli di rouche che non copre più di tanto. Oblò, squarci, scollature e sgambature rivelano y ama Yam

ampie porzioni di epidermide tirata a lustro! Meno male che si tratta di costumi interi, come dire dei “pezzi unici”, magari resi tali da lembi che congiungono sopra e sotto – o viceversa – di costumi mistificatori e indecisi sulle loro performance. Prendiamo, per esempio, un’intrigante modello di Yamamay, praticamente un succinto bikini drappeggiato e ricamato di perline, però con strisce che si incrociano di fronte, annodandosi agli anelli dello slip. O in un altro modo da inventarsi con fantasia... quella che nel periodo estivo proprio non deve mancare ✻

Parah Argento Vivo

La Perla

y ama Yam

Parah


» appassionato, più diverso, più lucido…”. Con queste parole Jorge Luis Borges definiva Robert Louis Stevenson, che nel dicembre del 1889 approdava nelle lontane isole Samoa dove sarebbe morto qualche anno dopo “come un uccello bagnato”. E proprio di questa parte della vita dello scrittore scozzese tratta il bel libro di Alex Capus, autore francese che risiede in Svizzera e scrive in lingua tedesca e di cui Casagrande propone per la prima volta un testo tradotto in italiano. Per chi, come il sottoscritto, ama Stevenson – l’Isola del tesoro è stato del resto in assoluto insieme a Capitani coraggiosi di Rudyard Kipling la mia prima vera e propria lettura –, il libro di Capus rappresenta una

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gustosa occasione, non solo perché approfondisce sotto il profilo biografico la parte finale della breve ma intensa vita dello scrittore ma anche perché offre uno scavo – compiuto a posteriori dallo stesso Stevenson (l’Isola del tesoro era stato scritto quasi dieci anni prima e terminata nello scenario tutt’altro che esotico di Davos) – nelle suggestioni e nei temi che stanno alle radici del grande romanzo d’avventura che lo rese celebre. A partire dal titolo, che fa riferimento a un isola del Pacifico prossima alle coste dell’America centrale e identificata come il luogo in cui si immagina che il capitano Flint avesse nascosto il celebre tesoro. Ma la figura centrarle è lo stesso Stevenson e attorno a lui la moglie

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 27

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Fanny, il figliastro Lloyd e una serie di personaggi di grande interesse: occidentali sradicati e bizzarri che le grandi correnti economiche e coloniali della seconda metà dell’Ottocento avevano portato per i motivi più diversi a stabilirsi nel remoto arcipelago delle Samoa. Capus, che vi si è recato con la famiglia per realizzare il suo progetto di scrittura, traccia il ritratto di un mondo affascinante in cui l’azione del “viaggiare”, racchiudendo viva in sé l’idea della scoperta e la possibilità di una personale interpretazione del mondo, si lega indissolubilmente alla biografia, un genere che, come ebbe a scrivere lo stesso Stevenson in una lettera del 1893 a sir Edmund Gosse riportata nel libro, “ha sempre,

Orizzontali 1. Predire, profetizzare • 10. Il poeta di Alicarnasso • 11. Breve esempio - 12. Sperperare • 14. Mezza tara • 15. I confini di Arogno • 16. Tra mini e maxi • 18. Nome russo d’uomo • 20. La Lescaut • 21. Ama Giulietta • 23. Consonanti in liutaio • 24. Sta per “vino” • 25. Grugnisce • 28. Ginevra sulle targhe • 29. Arbusto aromatico • 30. Di breve durata (f) • 31. Romania e Uruguay • 33. Agnese a Madrid • 35. Il fiume dei Cosacchi • 36. Il pronome che mi riguarda • 37. Se son chiari, l’amicizia è lunga • 39. Il noto Gnocchi • 41. Adoperato • 43. Un tipo di bilancia • 45. Antica città mesopotamica • 47. Tempi dispari • 48. Andati in poesia • 50. Città francese • 53. I confini del Ticino • 54. Ghiaccio a Londra • 55. Il più anziano dei due.

defunte • 13. Uno a Zurigo • 17. Circola in America • 19. Il fiume di Bottego • 22. Il bel Sharif • 26. Quota • 27. Dittongo in baita • 29. Li insinua il tarlo • 30. Mezza cena • 32. Oleoso • 34. Salvò la fauna • 35. Quaderni intimi • 38. Tra Mao e Tung • 40. Nostro in breve • 42. Diplomazia, delicatezza di modi • 44. Un Profeta • 46. In coppia con Gian • 49. Il pupo dell’Iris • 51. L’inizio del gelo • 52. Pena nel cuore.

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Verticali 1. Titolo di un’opera di Pirandello • 2. L’avaro di Molière • 3. Ritorno in centro • 4. Progettare, inventare • 5. La Chanel della moda • 6. Pari in pietra • 7. Regolamento • 8. Pedina coronata • 9. Scomparse,

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e sempre deve avere, le incurabili illogicità della vita, le profondità dell’indolenza e le lunghezze del tedio”.

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Alex Capus Cocos Island. Una congettura Edizioni Casagrande, 2009

» di Fabio Martini

Abbiamo letto per voi

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Dagli anni cinquanta, la pesca industriale ha distrutto il 90% degli stock ittici mondiali di grandi pesci come il tonno, il pesce spada e il merluzzo. Fermiamo il saccheggio dei mari! Aiutateci a proteggere il 40% degli oceani con delle riserve marine per dare alle popolazioni del mare una possibilitĂ di ripresa. Aderite a Greenpeace: www.greenpeace.ch


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