Ticino7

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03 | VII | 09

numero

L’appuntamento del venerdì

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 5 all’11 luglio

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Reportage Gotthard Schuh il maestro invisibile Agorà Costi e medicinali

Media Massimo Rocchi

Peccati Lussuria


Âť illustrazione di Adriano Crivelli


numero 28 3 luglio 2009

Agorà Costi della salute. Farmaci, avanti il prossimo! Media Massimo Rocchi. Scherzare, io?

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Vitae Akira Johann Sugawara

DI

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STEFANO GUERRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

GIANCARLO FORNASIER

GAIA GRIMANI

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Chiusura redazionale

Reportage Gotthard Schuh. Il maestro invisibile

Editore

Peccati La lussuria

Direttore editoriale

Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

DI

GIANCARLO FORNASIER

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Venerdì 26 giugno Teleradio 7 SA Muzzano Peter Keller

DI

FRANCESCA RIGOTTI

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Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

Milano notturna Fotografia di Gotthard Schuh ©Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Cavalli selvaggi Cari lettori, la pubblicazione su questo numero di Ticinosette del pezzo di Francesca Rigotti dedicato al penultimo dei vizi capitali, la lussuria, appare quanto mai attuale. E non mi riferisco solo alle recenti indiscrezioni relative all’inchiesta avviata dalla procura di Bari sul giro di prostituzione che coinvolgerebbe il primo ministro italiano – la cui compulsività sessuale è fatto noto e ammesso anche dai suoi stessi uomini di partito nonché oggetto di derisione (si legga l’intervista a Massimo Rocchi a pag. 6-7) e sconcerto da parte dei media di mezzo mondo –, ma al fatto che quest’ultimo, in una sorta di modalità parimenti compulsiva e peculiare del suo personaggio, insiste nella tesi del complotto orchestrato dalle opposizioni e da una serie di organi di stampa accusati di attacchi eversivi nei suoi confronti. Oltre a dimenticare che il suo nome appare all’improvviso in un’inchiesta avviata in precedenza su altre persone, con le sue reazioni stizzite egli mette in atto un’ulteriore “lussazione”, una deviazione – perché, come ci spiega Rigotti, è questo il senso originario della parola – da quelli che sono i cardini del diritto e della democrazia. A prescindere dal fatto che in qualunque stato occidentale un comportamento del genere, privo di misura e ignaro del peso della pro-

pria funzione pubblica, avrebbe condotto a immediate e irrinunciabili dimissioni, resta l’incapacità da parte del Cavaliere di accettare le dinamiche della democrazia che si basano sulla libera espressione delle opinioni. Eccolo dunque pronto a “istigare gli industriali a boicottare e interrompere gli investimenti pubblicitari” nei confronti dei media ostili. Certo, farsi beccare con le mani nella marmellata e poi dichiarare che la colpa è di qualcun altro non sta affatto bene. Ma l’uomo non sorprende più. La distanza fra le sue parole e i fatti cresce di giorno in giorno a dispetto dell’innata vocazione alla demagogia: si era presentato come interprete di un nuovo liberismo ma ha dimostrato di essere in realtà il re dei monopolisti (i concorrenti lo sanno bene) con una scarsissima capacità di comprendere e accettare le regole della democrazia e del mercato. Difetti gravi che rischiano di disarcionare il “temerario cavaliere” il cui futuro politico, a dispetto delle corpose stimolazioni messe in atto per tentare di risollevarsi, appare sempre più incerto, come spiega il recente articolo apparso sul Financial Times. E allora, davvero, wild, wild horses… (Rolling Stones, Sticky Fingers, 1971) Cordialmente

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iù grande è l’offerta di salute, più le persone rispondono che hanno dei problemi, dei bisogni, delle malattie, e chiedono di essere garantite contro i rischi”. Pochi anni prima della sua morte, e a quasi trent’anni da Nemesi medica, il saggio in cui formulò una radicale e più che mai attuale critica della medicina moderna, Ivan Illich era tornato a denunciare con la consueta passione e l’irrinunciabile rigore scientifico un sistema che “crea senza sosta nuovi bisogni di cure”, suscitando e intrattenendo “l’ossessione della salute perfetta”1. Come il compianto pensatore austriaco, anche le case farmaceutiche – protagoniste, assieme ai medici, di questo sistema – sanno bene che i loro profitti dipendono dalla convinzione che hanno dottori e pazienti di ricorrere a medicinali di qualità. Meglio, poi, se si tratta dell’ultima promettente “novità” immesse sul mercato. “Innovazione” è diventata una parola magica per le industrie farmaceutiche. Veicola l’idea del progresso terapeutico, uno dei pilastri nella strategia delle multinazionali produttrici di medicinali. Dal loro punto di vista, i nuovi farmaci sono sempre superiori a quelli che rimpiazzano: migliorano la qualità di vita di numerosi pazienti oltre a generare risparmi nelle cure ospedaliere e ambulatoriali. Il progresso, però, ha il suo prezzo: vent’anni fa i costi di sviluppo di un nuovo farmaco si aggiravano attorno ai 100 milioni di dollari, oggi sfiorano i 900 milioni2. La regola, perciò, è che i nuovi medicinali siano immessi sul mercato a un costo sufficientemente elevato per coprire le spese di anni di ricerca in laboratorio e di sperimentazione clinica.

Il prezzo dell’ “innovazione” Le nuove molecole, le tecniche medico-chirurgiche e gli studi epidemiologici su larga scala messi a punto in buona parte tra il 1950 e il 1975, hanno permesso di curare parecchie malattie, migliorando la qualità di vita di milioni di persone. Negli ultimi trent’anni, però, il discorso sull’innovazione ha perso la sua iniziale innocenza. Le multinazionali del settore spendono ormai più soldi nel marketing che nella ricerca e nello sviluppo dei medicinali,

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Agorà

Farmaci, avanti il prossimo!

Assicurazione malattia: è urgenza e bisogna agire per evitare nel 2010 l’ennesimo aumento dei premi. Sul banco degli imputati ritroviamo i medicinali e il loro prezzo. Silenzio, invece, sulla vera ragione del rincaro: le pseudo-innovazioni che le case farmaceutiche riescono a imporre sul mercato dei medicinali rimborsati dalla LAMal... e buona parte dell’ “innovazione” “ha poco o nessun valore aggiunto dal punto di vista terapeutico rispetto ai trattamenti esistenti”, riconosce l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse)3. Persino la società di consulenza PricewaterhouseCoopers oggi avverte i gruppi farmaceutici che se non mireranno i propri investimenti “più sulla ricerca e meno sulla vendita e il marketing”, rischiano di perdere la “sfida principale” dei prossimi anni, quella della “mancanza di innovazione”4. In un libro che fa luce sulle relazioni tra medici e industria5, il cardiologo torinese Marco Bobbio svela l’ipocrisia di fondo del discorso sull’innovazione: “(...) è ovvio – scrive Bobbio – che i farmaci realmente innovativi non hanno bisogno di grandi promozioni, perché vengono rapidamente inglobati nel patrimonio terapeutico dei medici; sono invece proprio i farmaci copia (...) che per essere venduti devono essere lanciati sul mercato. Ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: tanto meno è importante un farmaco, tanto più viene spinto nella vendita”. Chiave d’accesso ai brevetti (da ottenere o da estendere) che garantiscono prezzi elevati ai medicinali – a loro volta sinonimo di lauti e prolungati guadagni per le case farmaceutiche, ma anche di costi in crescita esponenziale a carico dell’assicurazione malattia –, l’“innovazione”, che in realtà, significa sempre più sostituzione di farmaci vecchi con preparati nuovi: “novità” che raramente rappresentano progressi dei reali terapeutici, ma che però crescono di prezzo. Secondo la rivista indipendente “Prescrire“, solo 9 (lo 0,24%) dei 3.731 nuovi farmaci immessi sul mercato in Francia tra il 1981 e il 2008 hanno rappresentato un progresso terapeutico “sostanziale”; 81 (2,17%) hanno costituito un progresso terapeutico “importante” (con alcuni limiti); 338 (9,05%) hanno fornito un apporto limitato dal punto di vista terapeutico. Tutti gli altri (3.155, pari all’84,57%) si sono rivelati essenzialmente copie di farmaci esistenti senza alcun interesse clinico quando non (è stato il caso di 161 di essi) potenzialmente o effettivamente dannosi per la salute6.


piazzare i loro prodotti sul mercato più redditizio, cioè il mercato dei medicinali rimborsati dall’assicurazione sociale”. E “le istituzioni preposte non hanno semplicemente favorito questo sviluppo. Sono state con ogni evidenza strumentalizzate a questo scopo”7. Una parte del problema sta proprio qui, nella vulnerabilità delle “istituzioni preposte”: l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), che decide dell’ammissione di un farmaco nell’elenco delle specialità rimborsate dalla LAMal e Swissmedic, l’istituto che autorizza la messa sul mercato degli agenti terapeutici, e nel quale l’industria farmaceutica è ben rappresentata. L’Ufsp – via la Commissione federale dei medicamenti – si accontenta spesso di dimostrare l’efficacia, l’appropriatezza e l’economicità di un nuovo preparato rispetto a un placebo, invece di determinarne il valore aggiunto terapeutico relativo, cioè rispetto ai farmaci già sul mercato. E siccome Swissmedic in sede di omologazione dei preparati queste verifiche non le compie, “l’ammissione [di un farmaco nell’elenco delle specialità, ndr.] avviene in sostanza automaticamente (...). Vengono scartati solo i preparati chiaramente sopravvalutati o

la cui efficacia, nonostante il certificato di omologazione, appare dubbia”, rileva Josef Hunkeler8. “L’Ufsp – aggiunge Hunkeler, che segue il dossier medicinali alla Sorveglianza dei prezzi – (…) deve però anche gestire attivamente la lista dei preparati a carico delle casse malati, senza doversi preoccupare di continuo delle possibili minacce di ricorso” da parte di fabbricanti più smaniosi di guadagnare che di innovare. Note L’obsession de la santé parfaite, “Le Monde diplomatique“, marzo 1999 1

Interpharma, Le marché du médicament en Suisse 2008, p. 54 2

3 Oecd, Pharmaceutical pricing policies in a global market, 2008, p. 12

PricewaterhouseCoopers, Comunicato stampa, 13.6.2007 (www.pwc.fr; consultato il 9.6.’09) 4

Marco Bobbio, Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza, Einaudi, 2004, p. 30 5

“La Revue Prescrire“, 29 (304), feb. 2009, pp. 138–144 (www.prescrire.org; cons. il 19.6.’09) 6

Josef Hunkeler, “Le marché des médicaments”, in: P. Boschetti, P. Gobet, J. Hunkeler, G. Muheim, Le prix des médicaments. L’industrie pharmaceutique suisse, Editions D’en bas, 2006, p. 107 7

Josef Hunkeler, Medikamentenpreise und Medikamentenmarkt in der Schweiz, sett. 2007, pp. 56–57 (www.preisueberwacher.admin.ch; cons. il 15.6.’09)

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Ruf Lanz

La Svizzera non fa eccezione. Già nel 2003 l’allora preposto federale alla sorveglianza dei prezzi aveva individuato – e denunciato quale causa essenziale dell’impennata dei costi dei medicamenti a carico dell’assicurazione malattia obbligatoria (LAMal) – il “meccanismo di sostituzione” attraverso il quale le case farmaceutiche riescono a imporre l’inserimento di farmaci più cari e di nuove combinazioni di sostanze già in commercio nell’elenco delle specialità rimborsate dalla LAMal. Rudolf Strahm ha calcolato che nel 2006, 598 preparati dal prezzo medio di 66,50 franchi sono stati ritirati dall’elenco e rimpiazzati da 543 “nuovi” prodotti dal prezzo medio di 180,70 franchi, in buona parte da considerarsi come farmaci copia, cioè senza alcun valore aggiunto terapeutico. Interpharma replicò definendo questi ultimi prodotti “altamente innovatori”, e precisando che a essere sostituiti sono i medicinali che non soddisfano più gli standard attuali. Una difesa, quella dell’associazione delle aziende farmaceutiche svizzere, che non convince. Chi conosce bene il mercato elvetico dei farmaci constata che “(...) i fornitori sono interessati soprattutto a

» di Stefano Guerra

Lo scenario nazionale

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Media

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pallavolo, storia e romanzi russi. Un po’ pesantino. Eravamo un bel terzetto di pallavolo, abbiamo vinto assieme il trofeo del liceo che frequentavamo”. E dopo gli studi in filosofia a Bologna, l’estero: forse spinto da un innato bisogno di capire... “Non avevo nessun bisogno di capire. Credo di essere stato anche un po’ addormentato, ma amavo il teatro. Studiarlo non mi stancava, vederlo non mi annoiava. Ne ero affamato. A 19 anni decisi di partire per Parigi, senza sapere il francese. Lì c’erano le scuole di Etienne Decroux e Marcel Marceau, the boss. Ci sono rimasto quattro anni. Poi sono arrivato in Sviz-

Scherzare, io?

e spero con gusto. Ho 52 anni e sono nuoto-dipendente. Ho sempre con me il costume da bagno e occhialini da nuoto. Appena arrivo in un albergo chiedo dove posso trovare una piscina. Sarebbe bello se i marciapiedi avessero corsie di nuoto, non solo per le biciclette. Immaginate uno struscio al centro di Lugano a stile libero o a dorso?”. Con queste parole si presenta Massimo Rocchi, braccato e catturato per qualche istante, un piede in Svizzera l’altro nella nativa Italia. Comico, cabarettista, osservatore, provocatore... Tutto ciò sin da bambino? “Ho avuto un’infanzia felice, a Cesena. Giocavo con treni veri, mio nonno era impiegato delle Ferrovie dello Stato. Erano convogli pieni di fragole, pesche e mele diretti nel Nord Europa. Avevo due amici e compagni di scuola, Roberto e Franco, ora medici a Cesena. Loro adoravano i film sul kung fu, mentre io ero un po’ solitario. Nuoto, conventi,

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“Sono uno che fa ridere di gusto

Il 7 e l’8 luglio sarà a Lugano con “À la carte”, uno spettacolo che si rinnova a ogni replica. Un Massimo Rocchi da menu, insomma... zera, per amore... e per amore ci sono rimasto. È comico leggere che qualcuno si sia innamorato della Svizzera, eh?”.

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umorismo, la sua profonda critica? “Il pubblico non solo ascolta ma, se l’attore sa fare il suo mestiere, prova emozioni, riflette. Nel mio caso il pubblico non mi deve capire. Non sono un professore o un predicatore: sarei felice se, durante 90 minuti, divertendoci, ci volessimo anche un po’ di bene. Il teatro comico non cambia nulla, è come una Citrosodina: fa fare il ruttino per dormire meglio. O come una pioggerellina improvvisa e repentina. Si figuri che molti politici sono i primi fans dei comici... che li sbeffeggiano”. Secondo lei, quanto e come la comicità oggi si è dovuta adattare ai linguaggi multimediali, a internet, palmari, sms...? “Non saprei dirle se il comico si è dovuto adattare alla tecnologia. Riscontro che abbiamo tutti il nostro negozietto in internet, che senza Tv in Italia non si sopravvive, che i palcoscenici sono computerizzati. La tecnologia aiuta se non disturba il cuore del teatro: le emozioni”. E se Massimo Rocchi potesse mettere in scena un ultimo definitivo spettacolo, quale soggetto affronterebbe? Di che cosa parlerebbe al suo pubblico? “Il «se» in teatro usa il presente, non il congiuntivo. Voglio dire che in teatro si mette in scena sempre non l’ultimo ma il penultimo

spettacolo. Un attore ha il terrore dell’ultimo spettacolo. Un sogno, un’idea o un’ipotesi devono avverarsi, concretizzarsi, altrimenti non è teatro, è cicaleccio. Ma che cosa vuole che io faccia, se non ridere? Cambierei solo per diventare baritono, e le assicuro che è più probabile che Berlusconi faccia un governo con Di Pietro, piuttosto che io diventi baritono. Sono stonato come una campana rotta. In questo mio penultimo spettacolo volevo essere solo svizzero, senza paura e vergogna di esserlo. Siamo timidi, abbiamo un po’ la coda di paglia, in Svizzera, come se avessimo rubato la marmellata. È ora di prendersi in giro. Già l’idea che abbiamo tanto denaro... che non ci appartiene e non lo spendiamo! Non lo trova comico?”. Denaro, qui le cose si fanno serie... Domanda di riserva: Rocchi va in vacanza e ha posto per un solo libro nella sua valigia. Che cosa sceglie? “Porterei il dizionario Tedesco-ItalianoTedesco. Lo apri e ogni giorno trovi una parola nuova, sconosciuta, straniera, o impari altri significati e origini di vocaboli che hai sempre usato. Il vocabolario è un censimento del verso dell’animale uomo: la parola. Conoscere è scoprire, ma impari solo quando dimentichi. Madonna mia, che finale che mi è uscito fuori...!”.

» di Giancarlo Fornasier

Quanto di quello che avviene attorno a lei riesce ancora a sorprenderla? “L’essere umano è anche un animaletto, gli manca solo la coda. Credo che sarebbe meno aggressivo con la coda. Ve lo immaginate il Papa o un mullah con la coda? Un rabbino con le treccine e la coda. Berlusconi, Bignasca, Blocher, Putin con la coda. E Carla Bruni, la Clinton, la Regina Elisabetta con la coda. Fredy Knie con la coda... naturalmente da cavallo”. Eppure le persone riescono sempre meno a ridere di se stesse... “Devo purtroppo dire che nella nostra società si vuol ridere troppo, a tutti i costi. Penso al primo ministro italiano, con quella faccia, o maschera, di carnevale di Viareggio con stampata una dentiera di impianti. Il solletico fa ridere, ma non ha nulla di comico. In Svizzera tedesca esiste la Schadenfreude: un comico non deride, fa ridere. L’uomo è un’insalata mista di emozioni e dovere, in un corpo dove scorazzano ormoni disubbidienti: non possiamo che finire per essere comici. Se ci ha fatti il Buon Dio, mi chiedo, a sua immagine e somiglianza, anche lui è cosi? Maldestro... Ma che deodorante userà mai?”. Le è mai successo di avere la sensazione che chi la ascoltava non cogliesse il suo

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Feel the difference


» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Igor Ponti

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mento abbia acceso una fiamma dentro di me sulla quale sono riuscito a concentrarmi più o meno secondo le diverse circostanze. La mia vita è stata sempre caratterizzata a fasi alterne da questo amore. Mio padre mi dice che il termine “pescare” in giapponese significa anche equilibrio e spesso ci penso e trovo che sia vero. Infatti se si è stressati o inquieti, a pescare non si combina nulla: i pesci sentono questa tua debolezza e ne approfittano. Pratico la pesca di fiume e quella di lago. La pesca di fiume è un’attività in cui si è spesso soli in mezzo alla natura. Si deve quindi fare molto affidamento su se Nato da madre svizzero tedesca e padre stessi, camminare tanto ed giapponese, condivide la famiglia con elaborare una tattica precisa, perché i pesci che vivono nel sua sorella e due fratelli afroamericani fiume, soprattutto le trote, soai quali si sente molto unito. È un giova- no molto paurosi e aggressivi. ne della nostra epoca con due passioni: Se hanno l’impressione di essere in pericolo, si nasconla figlia di cinque mesi e la pesca dono ed è inutile pescare, se invece non ce l’hanno, l’agba essere vissuta come un gressività e la fame che li caratterizzano li arricchimento, d’altra parte porta ad abboccare. Sul lago lo spazio è più oggi ce ne sono tante. La cosa vasto, si può incontrare tanta gente, si può fondamentale è che i genitori, stare lì a chiacchierare; se uno però vuol stare una volta che si separano, solo, si cerca un luogo appartato o pratica la anche se non sono più una pesca dalla barca che consente di spostarsi in coppia, mantengano con i posti inaccessibili a piedi. In generale è una figli il loro ruolo genitoriale… pratica più di attesa nella quale non sei tu poi possono risposarsi, creare che ti muovi, ma sono i pesci che si muovoaltre realtà, ma non debbono. Se il pescatore pesca in maniera corretta no dimenticare di esercitare non interviene sul corso della natura, anzi lo quella funzione. Se ci si riesce, asseconda. Dopo qualche tempo, se si entra anche la famiglia allargata nella cosa, ci si sente quasi come un pesce, può essere una ricchezza, non si avverte quando è il momento, di andare qualcosa che toglie, ma quala mangiare, di essere in una certa zona, di cosa che dà. La mia è anche reagire in un certo modo. Per me è una vera una famiglia multiculturapassione e una sfida con me stesso. le, però devo confessare che Cinque mesi fa sono diventato padre per la questo aspetto non l’ho mai prima volta e questa esperienza sconvolgenpercepito in un modo partite ed emozionante è stata l’unica che non colare. Noto delle differenze mi ha fatto più pensare alla pesca per due fisiche con i miei fratelli, ma mesi. Con mia figlia ho un rapporto speciale: le esperienze che abbiamo quando arrivo a casa dal lavoro e la vedo, mi vissuto sono le stesse, ero il rendo proprio conto che c’è qualcosa in più maggiore e ho fatto un po’ di molto importante nella mia vita. Adesso da papà ai più piccoli, quindi da qualche tempo ha imparato a sorridere e siamo molto vicini, anche se quando la prendo in braccio e sento che si diversi. tranquillizza, mi sembra che mi riconosca. La mia grande passione è la Appena è nata sono stato subito con lei, noi pesca che sarebbe riduttivo due soli, e le ho parlato tantissimo, dicendodefinire hobby. Deve essere le che l’accoglievo con gioia, che ero molto stata un’alchimia che ha fatto felice che fosse arrivata e sarei stato in ogni sì che vedendo fin da piccolo momento al suo fianco. Il mio tempo le il lago, l’acqua, questo eleappartiene per sempre.

Akira Johann Sugawara

Vitae

ono nato a Lugano Cassarate e fino ai dieci anni ho vissuto fisicamente a contatto con il lago. I miei genitori si sono conosciuti a Milano, perché mio padre è venuto in Europa a lavorare come missionario scintoista, un’attività che è stata anche la sua passione. Ha cercato di portarmi il suo esempio e la sua visione del mondo, ma io non mi ci sono mai veramente ritrovato. La cosa più bella che mio padre mi ha tramesso è l’umiltà, una virtù difficile che obbliga a un lavoro quotidiano e molto arduo su se stessi. Anche nella società in cui viviamo è una dote che spesso viene confusa con una certa imbecillità e con la propensione alla sottomissione. È difficile per un giovane trovare un equilibrio tra ciò che la società oggi propone: da una parte le moto, le belle macchine, le vacanze e dall’altra parte l’umiltà. L’umile è una persona contro corrente, ma, secondo me, per arrivare alla sorgente forse bisogna andare un po’ controcorrente. Mia madre si è separata quando ero piccolo e mia sorella e io siamo vissuti con lei. Poi s’è risposata con un afroamericano dal quale ha avuto altri due figli e la famiglia si è allargata; in seguito anche mio padre si è risposato con una giapponese e ha avuto un figlio. Ci frequentiamo tutti in armonia e trovo che ciò sia molto bello. Con mia madre ho avuto un rapporto stretto, sicuramente ho visto anche le sue difficoltà nel ricoprire bene e male i ruoli di madre e di padre per tutti questi figli. Adesso che ho una famiglia mia, le riconosco parte degli sforzi che ha compiuto, nonostante non condivida la sua visione del ruolo genitoriale. Io mi sono sposato con una donna che proviene anche lei da una famiglia allargata con delle origini diverse e quindi abbiamo una situazione simile in cui ci ritroviamo. Ritengo che la famiglia allargata deb-

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Gotthard Schuh

il maestro invisibile

Allievi nei pressi di Perugia ©Fotostiftung Schweiz

Nell’anno del quarantennale dalla scomparsa di Gotthard Schuh, la Fotostiftung Schweiz (Fondazione Svizzera per la Fotografia) ha intrapreso un nuovo inventario del patrimonio del grande fotografo. Una retrospettiva da poco inaugurata nella sede di Winterthur rilancia la modernità del suo occhio curioso, attento, discreto, sempre coerente con la sua personalità eternamente “innamorata”

di Giancarlo Fornasier; fotografie di Gotthard Schuh per gentile concessione della Fotostiftung Schweiz, Winterthur


Gotthard Schuh è da annoverare fra i più grandi fotografi del Novecento, tanto da essere accostato a grandi innovatori come Robert Capa (1913–1954) e Henri Cartier-Bresson (1908–2004). Intimo, discreto e apparentemente “staccato” dalla scena ripresa, Schuh era profondamente convinto che lo sguardo del fotografo sul mondo dovesse essere sempre soggettivo e che fosse necessario “immergersi” nella scena cogliendo il presente al fine di riuscire, quasi intuitivamente, ad afferrarlo…

Donne in attesa della processione di Corpus Domini, Vallemaggia ©Fotostiftung Schweiz

Un autodidatta innamorato Nato nel 1897 a Berlino, Gotthard Schuh come la maggior parte dei fotografi della sua generazione si forma come autodidatta. Alle spalle ha una piccola carriera artistica come pittore quando, sul finire degli anni Venti, scopre la macchina fotografica come mezzo di espressione. I suoi interessi tendono da subito verso la quotidianità, anche nei suoi lati più banali, ma che diventa attraverso il suo occhio misteriosa ed enigmatica. Uno sguardo che gli permette un approccio originale al

fotogiornalismo, che nei primi decenni del Novecento stava definendo le sue coordinate. Dal 1932 collabora quale fotografo indipendente con Paris Match e Life, producendo reportage da tutta Europa. Nel biennio 1938/39 intraprende un lungo e importante viaggio in Indonesia durante il quale definirà in modo decisivo il proprio stile. Ma già dal 1931 le immagini di Schuh trovano spazio in uno dei giornali che più si dedicano al reportage fotografico, la Zürcher Illustrierte di Arnold Kübler con cui inizia a collaborare insieme a Hans Staub e Paul Senn.


Nel 1950 con lo stesso Senn, Werner Bischof – a sua volta tra i più importanti fautori della rivista DU – e Jakob Tuggener fonderà il Kollegium Schweizerischer Photographen. Nel 1941 Schuh diventa il redattore fotografico della Neue Zürcher Zeitung, ruolo che lascerà nel 1960. Con Edwin Arnet crea l’inserto “Das Wochenende” che in poco tempo diventa un riconosciuto forum per la fotografia e su cui pubblica i propri reportage, oltre a presentare il lavoro di giovani sconosciuti come quello di fotografi più noti. Gotthard Schuh muore il 29 dicembre del 1969 a Küsnacht (Zurigo).

La fotografia irrazionale Per meglio capire la rilevanza della figura del grande maestro, abbiamo raggiunto a Parigi il direttore della Fotostiftung, Peter Pfrunder, curatore e co-autore del ricco catalogo che accompagna la retrospettiva “Gotthard Schuh - Eine Art Verliebtheit” allestita presso la Fotostiftung Schweiz di Winterthur sino all’11 ottobre. Signor Pfrunder, quali possono essere considerati i maestri a cui Gotthard Schuh si è ispirato? Quando Schuh si lanciò nella fotografia, attorno al 1930, questa viveva un momento di grandi cambiamenti. In Svizzera il Pittorialismo (movimento fotografico nato alla fine dell’Ottocento che interpretava la fotografia come imitazione del linguaggio pittorico e in cui la ricerca artistica prevaleva sul soggetto riprodotto, ndr.) era sempre dominante, ma una nuova giovane generazione di fotografi di cui Schuh faceva

Osteria all’aperto, Mendrisio ©Fotostiftung Schweiz

Coppia di amanti sulla nave, Lago Maggiore ©Fotostiftung Schweiz


Conversazione al caffè ©Fotostiftung Schweiz

parte insisteva su una rottura rispetto a tutte le tendenze che miravano a imitare la pittura. Per segnare questo profondo cambiamento si ispirarono prima alla Neues Sehen propagandata in Germania, per esempio da László Moholy-Nagy e dal Bauhaus. Ma, in seguito, vi sono stati un paio d’anni nei quali Schuh prese piuttosto a riferirsi ai fotografi francesi come Brassaï e Cartier-Bresson, che cercavano di “catturare” l’atmosfera, il momento decisivo, e centravano le loro immagini sull’uomo.

Credo che Schuh definì il proprio linguaggio visuale in particolare durante i lunghi soggiorni parigini tra il 1931 e il 1932. Ma, per tornare alla sua domanda, credo sia difficile nel caso di Schuh identificare “un maestro”: in quegli anni il suo modo di interpretare la fotografia era alquanto originale. Si sviluppava parallelamente a Cartier-Bresson, per fare un esempio. Vede, anche la collaborazione con Arnold Kübler, il redattore capo della Zürcher Illustrierte, ha senza dubbio segnato il suo stile.


Nel presentare la mostra, lei fa spesso riferimento all’ “l’innamoramento” e alla “perdita di sé”. In che modo questi stati dell’animo agiscono nell’opera di Gotthard Schuh? L’approccio amoroso, cioè un approccio non-razionale, guidato dalle emozioni, era essenziale per lui. Non agiva da “intellettuale” nel catturare le immagini. E per trovare il “momento giusto” dello scatto decisivo era necessario, secondo lui, identificarsi totalmente con la situazione o la persona fotografata. Questo atto è paragonabile alle esperienze di qualcuno che si innamora e che sviluppa una sensibilità straordinaria per quello che avviene all’interno degli uomini e delle cose, oltre l'apparenza e la superficialità. Sono convinto che vi siano anche degli aspetti legati alla meditazione zen nella fotografia di Schuh... Che cosa rappresenta oggi la figura di Gotthard Schuh? Quali insegnamenti ha lasciato alle generazioni di giovani fotografi? Bisogna dire che tra i giovani Schuh è stato pressoché dimenticato. Ho constatato che vi sono veramente pochi fotografi che conoscono le opere degli anni Trenta e Quaranta e che si ispirano alle fonti storiche di quest’arte. Da un punto di vista più strettamente scientifico, invece, Gotthard Schuh è stata una figura estremamente importante per lo sviluppo della fotografia in Svizzera. La generazione dei grandi fotografi degli anni Cinquanta, come Werner Bischof o René Burri, lo consideravano un’autorità. La sua opera è stata una base sulla quale essi hanno potuto sviluppare il loro personale stile fotografico. Esiste poi una linea diretta che dall’opera di Schuh conduce alla soggettività di Robert Frank, uno dei maggiori fotografi del Novecento.

Dal suo punto di vista, esiste oggi in Svizzera una figura paragonabile a quella Gotthard Schuh? È necessario precisare che non esiste più un profilo omogeneo nella scena fotografica svizzera, e in questo non si distanzia dalle situazioni presenti in altri paesi europei. Oggi le fonti di ispirazione si sono moltiplicate e gli scambi internazionali si sono estremamente semplificati e fatti più intensi. Credo che l’ultima figura che ha giocato (e gioca ancora oggi) un ruolo fondamentale almeno quanto quello di Schuh, è il già citato Robert Frank. Per molti fotografi degli anni Ottanta e Novanta, Frank è stato un punto di riferimento… anche se il suo sguardo volgeva in tutt’altra direzione ■

La mostra Gotthard Schuh - Eine Art Verliebtheit dal 30 maggio all’11 ottobre 2009 Fotostiftung Schweiz Grüzenstrasse 45 8400 Winterthur Telefono +41 52 234 10 30 info@fotostiftung.ch www.fotostiftung.ch

Il catalogo Gotthard Schuh – Eine Art Verliebtheit. Con testi di Peter Pfrunder, Gilles Mora e Martin Gasser. 312 pagine, 200 illustrazioni Steidl Verlag, 2009

Orari d’apertura Da martedì a domenica: 11–18 mercoledì: 11–20, lunedì chiuso. Biblioteca: da martedì a venerdì: 13.30–17.30

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La lussuria È tra i peccati che più hanno risentito delle trasformazioni e delle conquiste sociali. La lussuria, un vizio oggi sinonimo di pornografia e forme di perversione ma che nasconde un profondo ed essenziale bisogno fisico. Come per il cibo...

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femminile, ad affrancare la sessualità e a spostare il comune senso del pudore, facendo uscire molti comportamenti dall’alveo di quello che era prima il vizio della lussuria: tant’è che a questo punto rientrano nella logica del vizio quasi soltanto i comportamenti pornopedofili e alcune forme di perversione lesive della integrità fisica e della dignità morale altrui. È interessante inoltre notare che la lussuria era, ed è ancora in alcuni casi, forse più di ogni altro vizio, imbevuto dell’arcaica concezione secondo la quale il peccato è anche delitto, e va punito sia dalla legge di Dio sia dalla legge degli uomini, qualora esse già non coincidano. La nostra logica secolarizzata non prevede tale convergenza: fare l’amore tra persone maggiorenni e consenzienti, prima o fuori dal matrimonio, non è più considerato reato. Altrettanto non lo è seguire inclinazioni omosessuali, transessuali ecc.: per qualcuno non sarà forse etico, è comunque legale. Non era così in occidente fino a poco tempo fa, e non è così in molte società islamiche ove la popolazione non vive in conformità con la legge bensì con la religione, anche qualora la legge prenda le difese dei diritti di libertà in campo sessuale. Nella Turchia rurale migliaia di donne sono vittime di delitti d’onore commessi da padri, fratelli, zii e tante di più commettono suicidio per imposizione familiare. Le donne uccise come pure i loro parenti assassini sono vittime – secondo la giornalista turca Ayse Onal che discute il tema in Delitti d’onore (Einaudi, 2009), libro di grande impatto emotivo – di una cultura che ha assegnato alla donna tratti distintivi di virtù e modestia e che classifica ogni minima trasgressione di questo codice come un peccato di lussuria che per essere riscattato esige punizione da parte del clan familiare maschile. E l’uomo che risolvesse di non aderire al codice di purezza femminile che garantisce l’onore maschile, e decidesse di non uccidere anche per la minima trasgressione o per l’ombra del sospetto, sarebbe a sua volta denigrato, umiliato e respinto dal suo ambiente.

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Micha Dalcol

Peccati

La lussuria è – ce lo rivela il suo nome – una “distorsione” dell’anima, una lussazione dei sensi. Il termine “lussuria” come pure quello di “lusso” derivano infatti dall’aggettivo greco loxòs, obliquo, fuori posto, lussato. Lusso e lussuria sono lussazioni del modo di vivere, perché designano comportamenti storti e deviati: il primo per quanto concerne il desiderio di vanità e ambizione; il secondo, l’appetito di godimenti carnali. Lussuria dicesi anche fornicazione, dal latino fornix, bordello, da un’etimologia che ha il significato di “sostenere” e da cui derivano anche fermo, forma, forno. Presso i romani fornix significò – spiega il benemerito vocabolario etimologico del Pianeggiani – volta, stanza a volta, luogo dove stavano le prostitute di bassa sfera: donde il peccato di fornicazione ovvero il peccato della carne. Già, perché la lussuria condivide con la gola (come si vedrà nella prossima e ultima puntata sui vizi) due aspetti. Il primo è quello di essere un vizio della carne, il che significa che per manifestarsi implica necessariamente la partecipazione del corpo; che ha nel corpo la sua sede; che usa – unico vizio – tutti i cinque sensi del corpo, dalla gola al tatto passando per la vista, l’odorato e l’udito, e che infine sul corpo rovescia anche le conseguenze, ovvero le malattie provocate dall’eccesso di attività erotica. Il secondo e altrettanto importante aspetto della lussuria o fornicazione è però anche quello di essere, prima che un vizio, un bisogno. Persino un grande papa quale fu Gregorio Magno dovette riconoscere che sia l’alimentazione sia i rapporti sessuali sono attività corporee necessarie alla sopravvivenza del singolo e della specie, al punto che vi fu persino qualche temerario o ingenuo che, all’interno della Chiesa, giunse a rivendicare la naturalità e quindi la liceità del piacere e del desiderio sessuale, esattamente come del piacere e del desiderio di cibo. In realtà sono state le trasformazioni scientifiche e tecnologiche, con la produzione di anticoncezionali efficaci, a determinare la liberazione del corpo, specialmente di quello


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Orizzontali 1. Si spalma sul pane • 9. Superficie • 10. Cortile agreste • 11. Una pratica vettura da città • 14. Via ginevrina • 15. Un distillato • 16. Nota Bene • 17. Ispida • 19. Elegante via luganese • 21. Grossolano, villano • 23. Ritorno in centro • 24. Beni preziosi • 25. Il James 007 • 26. Ohio e Cuba • 28. Piccolo strumento a fiato • 29. La nota Martinetti • 30. Il noto Ventura • 31. Art. determinativo • 32. Un frutto oleoso • 35. Questa cosa • 37. Struzzo australiano • 38. Est-Ovest • 39. Medico svizzero, premio Nobel • 41. Vantaggio • 43. Le residenze dei sultani • 46. Pezzo di strada • 48. Un combustibile • 49. Malattie ereditarie • 50. Oscuri • 52. Andati in poesia • 53. Preposizione semplice • 54. Alcolisti Anonimi.

Verticali 1. Il regista di “Domani si balla” • 2. Il nome di Toscanini 13 • 3. Abbandonato 16 da tutti • 4. Se è comune è mezzo guadio • 5. La lingua di Cicerone • 6. La fune di Tarzan • 7. Attraversa Berna • 8. L’arma delle Guardie Svizzere • 12. Ri34 ga centrale • 13. Passa le notti in 38 bianco • 18. È ai piedi del Gottardo • 20. Eroica • 45 22. Insetti... pigri • 25. Maestria, capacità • 27. Burle • 33. Lo è il lavoro ingrato e faticoso 54 - 34. Crea copricapi • 36. Cimiteri di guerra • 40. Si placa bevendo • 42. Il giorno in corso • 44. Consonanti in ruota • 45. Una nota e un articolo • 47. Topo ginevrino • 51. Articolo indeterminativo. 8

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Momento magico per la vita affettiva. La prima decade invece si trova a essere favorita dal transito di Mercurio. Espansione delle vostre capacità intellettuali. gemelli Grazie all'ingresso di Venere sarete spinti a migliorare il vostro aspetto fisico. Grandi opportunità tra il 9 e l'11 luglio per i fortunati effetti del transito di Giove. cancro Per buona parte di luglio, Venere transiterà nella vostra dodicesima casa solare. Attrazione verso le storie sentimentali caratterizzate da mistero o clandestinità. leone Progetti con il partner favoriti dal transito di Venere nella vostra undicesima casa solare. Nascita di rapporti basati sullo scherzo e sulle affinità intellettuali. vergine Possibile scandalo rosa con conseguenze sul piano dell’immagine pubblica. Maggiori effetti per i nati nella terza decade, sottoposti al lungo transito di Urano. bilancia Grazie a Venere favorevole si apre un periodo ottimo per andare in vacanza, per conoscere nuove persone, per confrontarvi con nuove culture. scorpione Grazie al transito di Mercurio, potrete allargare le vostre conoscenze. Una gita in uno dei luoghi passati della vostra infanzia potrebbe rivelarsi fondamentale. sagittario Sbalzi umorali nella vostra vita affettiva. Tendenze opposte in magico tandem. Un giorno single incalliti, un altro votati per il matrimonio. capricorno

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Mercurio in opposizione a Plutone: cercate di tenere a freno la lingua. Momento di fondamentale importanza per i nati nella terza decade.

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La seconda settimana di luglio si apre con una fase favorevole segnata dal transito di Venere: incontri sentimentali e nuove situazione amorose. pesci

Grazie a Mercurio e Venere potrete vivere divertenti storie sentimentali negli ambienti professionali. Evitate atteggiamenti radicali e bruschi sul lavoro.

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