Ticino7

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20 | XI | 09

numero

L’appuntamento del venerdì

786

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Tessiner Zeitung

CHF 3.–

con Teleradio dal 22 al 28 novembre

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REPORTAGE - WINTERTHUR Fondazione Svizzera per la Fotografia AGORÀ Referendum. Addio alle armi? | ARTI Cinema e ambiente | SCIENZA Darwin e Mill


o i d u a a m e t s i s l i Con , D C 3 P M e r o t t e l / io d a r d n u o S m u i m e Pr o i g g e h c r a p i d i r so n e s i , e v i r D s s e l y Ke ", 7 1 a d A r e g g e l a g le n i i h c r e c I , i r o i r e to post n e m i t s e v i r l i , e l na o i z n u f i t l u m e t n a e il vol n o i z a g i v a n i d a tem s i s il , e l l e p in i il sed di e t n e i l c o i g g a t n a ed un v

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numero 48 20 novembre 2009

Agorà Referendum. Addio alle armi?

DI

STEFANO GUERRA

Arti Ambiente. Il cinema è sempre più verde

Impressum Tiratura controllata 89’345 copie (72’303 dal 4.9.2009)

Chiusura redazionale Venerdì 13 novembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Scienza Darwin e Mill: una coincidenza? Vitae Lukas Fröhlich

DI

GIANCARLO LOCATELLI

DI

DI IVO

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VALENTINA GERIG SILVESTRO

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G. FORNASIER; FOTO DI P. KELLER . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Reportage Fotostiftung. Gli occhi di una nazione

DI

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione

Armi come funghi

via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Winterthur. La Fondazione Svizzera per la Fotografia Fotografia di Peter Keller

Egregi signori, siamo due amici amanti dei funghi e dei nostri fantastici boschi. Vediamo con piacere che “Ticinosette” dedica spazio alla natura e al nostro territorio e questo ci fa molto piacere. Ma un appunto ve lo dobbiamo proprio fare. Perché trascurate il mondo della micologia? Vediamo tanti bei servizi dedicati alle bellezze del nostro cantone e non solo. Vi spostate anche lontano, come con quel suggestivo reportage sul tempio buddista in Cambogia. Spesso parlate poi di animali, di ecologia, di effetto serra ecc. ecc.; ma lo sapete che anche il mondo dei funghi è in crisi? E le ragioni sono sempre le stesse (e non certo per colpa dei raccoglitori intelligenti e rispettosi del bosco): è colpa dell’inquinamento che distrugge il rapporto tra il fungo e gli alberi, la condizione dei boschi e il loro continuo degrado, le piogge acide e non da ultimo i raccoglitori della domenica, secondo noi dei veri e propri “saccheggiatori” dei boschi. Se consultate la pagine di Internet della Confederazione, potete constatare che il 32% delle specie presenti sul nostro territorio sono seriamente minacciate e rischiano a breve di scomparire. Chissà a quanti dei vostri lettori è mai successo di trovarsi di fronte a magnifico porcino integro? È una sensazione difficile da spiegare che ci piacerebbe continuare a provare. Pensiamo che con uno dei vostri servizi si potrebbe sensibilizzare le persone che leggono la rivista fornendo anche degli strumenti e delle indicazioni per una raccolta dei funghi più “sostenibile”, come si usa dire oggi. Vi ringraziamo per l’attenzione e aspettiamo nella speranza che la nostra richiesta sia prima o poi esaudita.

Gentili lettori, se fino a oggi non abbiamo riservato alcuno spazio fotografico al “mondo della micologia” non è certo per mancanza di attenzione verso i tanti appassionati di funghi che popolano il cantone (a volte con drammatiche conseguenze, come le cronache spesso riportano). A onor del vero, proprio pochi giorni fa progettavamo con uno dei preziosi fotografi che collaborano con Ticinosette di confezionare un servizio proprio su questo argomento; un Reportage da pubblicare però con l’arrivo della prossima stagione di raccolta – e dunque nelle settimane di agosto/settembre del prossimo anno – visto che ora, con l’inverno e il pungente freddo ormai prossimi, siamo certamente “fuori tempo massimo”. L’occasione potrebbe altresì fornire lo spunto per un’analisi della “situazione micologica ticinese” che – come giustamente sottolineano i gentili lettori di Bellinzona – corre seri (e non trascurabili) rischi. Per quanto invece concerne il presente numero, vi invitiamo a un’attenta lettura dell’articolo di Stefano Guerra dedicato all’esportazione di armi da parte di aziende svizzere (pubbliche e private). Un tema di grande importanza e al centro di uno dei Referendum del 29 novembre prossimo. Se è vero che alcuni mezzi di informazione in questi giorni pongono l’accento anche sui risvolti legati all’occupazione degli addetti del settore, crediamo sia necessario ribadire come i valori etici dovrebbero essere prioritari rispetto a qualsiasi altra considerazione. In particolare se questa è meramente lucrativa.

C.K. e A.P. (Bellinzona)

Cordialmente, la Redazione


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U

na cosa è certa. Di “brutti casi” è infarcita la storia dell’export elvetico di armi1. Dal contributo al riarmo e allo sforzo bellico della Germania nazista prima e durante la Seconda guerra mondiale, all’“affare Oerlikon-Bührle” scoppiato all’inizio degli anni Settanta, quando si scoprì che un aereo del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) in missione umanitaria in Biafra era stato abbattuto da cannoni fabbricati a Oerlikon. Dalla condanna di Dieter Bührle per aver esportato armi con falsi certificati verso il Sudafrica dell’apartheid (dal 1963) e la Nigeria (dal 1967), al “caso Pilatus” rivelato nel 1978 da una rivista romanda, che spiegò come i PC-7 costruiti a Stans e venduti anche a Birmania, Guatemala, Iraq e Iran, potessero facilmente essere trasformati in velivoli da combattimento o da sterminio. Fino ai giorni nostri: sono di queste ultime settimane le notizie sulle pistole automatiche “made in Switzerland” finite nelle mani di bambini-soldato nel nord dell’India, e sulla fornitura in sordina all’Egitto, al Pakistan e all’Arabia Saudita di pezzi di ricambio e munizioni per armi e altro materiale bellico la cui vendita era già stata autorizzata. Nei confronti di questi paesi lo scorso 25 marzo il Consiglio federale aveva decretato un tanto sbandierato stop delle esportazioni2.

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Agorà

Addio alle armi?

Pilatus PC-9 fabbricati a Stans (Nidvaldo) che scaricano bombe sui civili nelle tendopoli in Darfur; carri armati della Mowag di Kreuzlingen (Turgovia) venduti agli Emirati Arabi Uniti e poi finiti in Marocco. Si tratta di episodi isolati, di “due brutti casi” (Doris Leuthard dixit), da “metabolizzare” attraverso un nuovo irrigidimento dei pur già severi controlli in materia di esportazione di armi? Oppure, l’ennesima prova che è giunta l’ora di passare da una prassi, per restrittiva che sia, a un principio, ovvero a un divieto tout court dell’esportazione di materiale bellico, come sostiene chi ha lanciato l’iniziativa popolare in votazione a fine mese?

Fatta la legge, trovato l’inganno Da un certo punto di vista, per evitare questi “brutti casi” basterebbe in fondo che le au-

torità preposte rispettassero le leggi assai restrittive attualmente in vigore. Se queste non venissero regolarmente aggirate, forse non ci accingeremmo nemmeno a votare di nuovo (è la terza volta dal 1972) per decidere se la Svizzera debba o no continuare a esportare materiale bellico. Lo hanno ricordato alcune settimane fa una settantina di professori di diritto elvetici, che in una lettera aperta alle autorità federali hanno sottolineato come sia contrario alla legislazione vigente esportare materiale bellico verso paesi come gli Stati Uniti o la Germania, implicati nei conflitti in Iraq e in Afghanistan, e verso il Pakistan o l’Arabia Saudita, nazioni in cui i diritti umani sono sistematicamente violati. Si trattava semplicemente di un richiamo al rispetto dell’Ordinanza sul materiale bellico (Omb), modificata nel dicembre 2008 (contro il parere di Swissmem, l’organizzazione mantello dell’industria metalmeccanica elvetica...) anche per tagliare un po’ di erba sotto i piedi ai fautori dell’iniziativa. Un’ordinanza che, appunto, vieta espressamente la vendita di armi a paesi implicati in un conflitto armato o che violano in modo grave e sistematico i diritti umani. Liquidata come “propaganda di voto” da Doris Leuthard, la lettera dei professori porterà presumibilmente a “una precisazione” della Omb in modo che vengano “esplicitamente autorizzate” le esportazioni di armi verso paesi implicati in conflitti armati “nell’am-


Un settore in fiorente crescita Di queste disquisizioni giuridiche farebbero volentieri a meno anche gli industriali del tutto sommato modesto (5.100 posti di lavoro diretti e indiretti, che producono lo 0,5 per cento delle esportazioni nazionali) ma pur sempre influente settore bellico rossocrociato. Grazie alla regolamentazione attuale, e nonostante la crisi economica, i principali fabbricanti di armi elvetici (Ruag, Pilatus, Mowag, Oerlikon-Contraves) negli ultimi anni si sono ritagliati significative fette di mercato nei rispettivi settori di competenza. Nel 2008 le esportazioni di armi hanno toccato addirittura quota 722 milioni di franchi (principale acquirente il Pakistan), un record che quest’anno – a ulteriore conferma del boom delineatosi dal 2005 – dovrebbe essere superato. Stando

all’autorevole SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), la Svizzera figurerebbe al 13esimo posto nella classifica degli esportatori di armi, ma al secondo posto (dopo Israele) se il volume delle vendite all’estero viene rapportato alla popolazione. Non sorprende, perciò, che la lobby delle armi abbia incaricato la società di pubbliche relazioni Farner di infiltrare il campo nemico per carpire preziose informazioni sulla strategia degli avversari in vista del voto. E non sorprende nemmeno che le grosse industrie del settore stiano finanziando generosamente la campagna per il “no”4. Dopo la querelle giuridica su regole e prassi vigenti, innescata dai professori di diritto, e i battibecchi sui reali o presunti pericoli per l’esercito e la difesa nazionale derivanti da uno stop alle esportazioni di armi, il dibattito attorno all’iniziativa del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) è tornato a focalizzarsi su un argomento economico: i posti di lavoro che verrebbero sacrificati se il prossimo 29 novembre dovesse prevalere il sì. Ma tra il catastrofismo degli industriali, che paventano massicci tagli del personale, e le promesse dei fautori dell’iniziativa, pronti a giurare sulle

possibilità di riconversione dal militare al civile (peraltro già in atto) delle industrie colpite, il rischio è che si perda di vista un’altra volta il quesito etico posto da questa votazione. Un quesito ineludibile, al quale prima o poi ognuno di noi (nella propria coscienza e poi nel segreto dell’urna) è chiamato a dare una risposta: è moralmente lecito vendere armi? O perlomeno, è moralmente lecito che lo faccia la Svizzera, paese che sul palcoscenico internazionale si professa neutrale paladino della pace, dei diritti umani, del diritto umanitario e del controllo delle armi, ma che intanto continua a esportare in tutto il mondo il suo materiale bellico, come le munizioni “pulite”, senza piombo, tipicamente svizzere vantate sul suo sito internet dalla Ruag, impresa di proprietà esclusiva della Confederazione? “Esportazioni militari, una storia di scandali”, swissinfo.ch, 18 ottobre 2009 1

» di Stefano Guerra

bito di un mandato Onu”3. Ma, Onu o meno, la faccenda è irrilevante, dal momento che vi sono forze militari o gruppi armati che si sparano addosso: un conflitto armato è punto e basta, come d’altronde sancisce il diritto internazionale umanitario, e in particolare le Convenzioni di Ginevra, di cui la Svizzera è depositaria...

“Waffen für Kindersoldaten”, Sonntag, 8 novembre 2009; “Weitere Rüstungsexporte nach Pakistan”, Nzz am Sonntag, 1. novembre 2009 2

“Die Schweiz kann Waffen liefern”, TagesAnzeiger, 17 ottobre 2009

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“Zurück in die Zukunft”, Die Wochenzeitung, 29 ottobre 2009 4

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Perché vivere una sola vita? Il nuovo Multivan. Il nuovo Multivan offre tantissima libertà e flessibilità a voi e a tutta la famiglia. Il generoso abitacolo, il divanetto posteriore e i due sedili individuali (disponibili a richiesta) assicurano il massimo comfort per ogni esigenza di mobilità, sia che si tratti di portare a scuola i bambini, fare la spesa del weekend o partire per le vacanze. Con la sua versatilità il nuovo Multivan viene perfettamente incontro anche ai vostri hobby. Grazie al flessibile sistema a 4 binari, infatti, potete creare lo spazio necessario ad esempio per attrezzature sportive ingombranti, mentre il nuovo Servotronic opzionale e i nuovi sistemi di assistenza alla guida vi consentono di affrontare rilassati ogni viaggio. Ciliegina sulla torta: la nuova

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Dvd

The age of stupid (2009) - il film “L’era della stupidità” è (purtroppo) la nostra. Un anziano signore nel 2055, nel consultare un archivio fotografico del 2008, si chiede “Perchè non abbiamo arrestato il cambiamento climatico quando ne avevamo la possibilità?”. Il film è stato proiettato anche a “Cinemambiente”.

muteranno. Una scomoda verità è tra l’altro il primo documentario a “impatto zero”: le emissioni di CO2, necessarie alla realizzazione del film, sono state controbilanciate da opere di riforestazione. Anche quest’anno, un altro film che ha fatto molto discutere fino, pare, a influire sulle sorti della politica francese. Il documentario si intitola Home - La nostra terra. Il regista è Yann Arthus-Bertrand, il fotografo famoso per le sue foto aeree sulle meraviglie del Pianeta, la nostra “casa” appunto. Questa volta Arthus-Bertrand si è messo dietro la macchina da presa e ha realizzato immagini spettacolari su una Terra bellissima, ma che soffre sempre di più, per colpa dell’uomo. Il film, presentato come un grande evento, è stato proiettato contemporaneamente in tantissimi Paesi. E in Francia, pochi giorni dopo, in occasione delle elezioni europee, si è registrata un’impennata dei Verdi, non senza qualche polemiIn principio erano documentari. Di nicchia, ca. Il dubbio era lecito: per lo più. Oggi si può quasi parlare di eco- può un film arrivare a influenzare le sorti cinema, ovvero di film a tematica ambientale della politica? Se così che illustrano, sensibilizzano e mettono in fosse, l’affermazione di guardia sulla situazione del nostro malmesso un filone come questo, a carattere ambientale, Pianeta potrebbe dire di avere raggiunto il suo scopo. Perché parlarne e cia tutti i rischi che il pianeta mostrare in tutti i modi le meraviglie del corre se le amministrazioni nostro Pianeta deve scuotere, far pensare dei nostri governi non si dee reagire. Perché possiamo fare qualcosa di cideranno ad intervenire sulle concreto, subito. A partire dalle abitudini emissioni di gas inquinanti quotidiane. Prima che le conseguenze siano nell’atmosfera e se le nostre irreversibili. abitudini quotidiane non

chi, ragni, cavallette e farfalle. L’urgenza del peggioramento climatico, dell’inquinamento e del riscaldamento globale ha diffuso sempre di più l’esigenza di parlare dell’ambiente. E non rivolgendosi solo agli appassionati di documentari, ma, fortunatamente, anche al grande pubblico. Ecco che nel 2006 Arnold A. Al Gore (ex vicepresidente degli Stati Uniti) presenta il film Una scomoda verità. Il ritiro dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari e le catastrofi naturali sono da imputare a un unico responsabile: il surriscaldamento climatico. Il film, presentato da Al Gore nelle sue conferenze in giro per il mondo, denun-

» di Valentina Gerig

Arti

gli appassionati del genere, il capostipite può essere considerato Koyaanisqaatsi, primo documentario di una trilogia cult che ha fatto storia. Il titolo, dal nome quasi impronunciabile, è in lingua Hopi e significa “vita in tumulto”. La particolarità del documentario era la completa assenza di dialoghi, una musica plumbea (del compositore Philip Glass) e le immagini, magistralmente girate da Godfrey Reggio, in slow-motion e time-lapse. Nuvole, deserti, distese immense si alternano alla frenesia delle metropoli, alle luci, alle lunghe file di auto. Insomma la tecnologia pervade la natura con un ritmo inquietante, destinato a crescere pericolosamente. Era il 1983, e da allora di cose ne sono cambiate parecchie. Per la salute della Terra in peggio, purtroppo. Ecco dunque svilupparsi a ritmo crescente una risposta del cinema, segno di una maggiore sensibilità versi i temi ecologici. Come non ricordare l’incredibile Microcosmos? La macchina da presa dei due registi entomologi si immergeva nel mondo infinitamente piccolo di formiche, coccinelle, api, bru-

Cinemambiente-Torino www.cinemambiente.it Ogni anno Torino ospita il Festival dedicato al cinema a tematica ambientale. Si è da poco conclusa la XII edizione. E ogni anno cresce l’attenzione e l’affluenza di pubblico. Perché parlarne è importante.

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Per

Il cinema è sempre più verde

Locandina della recente edizione della rassegna “Cinemambiente”

Internet


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luppati dalla filosofia della scienza del Novecento, Mill sostiene la piena libertà di espressione, anche per quelle idee chiaramente e indubbiamente false, perché solo dal libero confronto tra le diverse opinioni si può giungere alla verità. Per Mill, un democrazia è tale solo se tutela le libertà degli individui: la vera cartina al tornasole non è dunque il rispetto della volontà della maggioranza, ma la tutela delle minoranze, spesso discriminate. Il saggio di Mill venne pubblicato nel mese di febbraio. Non sono riuscito a scoprire il giorno esatto, ma mi piace pensare che abbia raggiunto le librerie il 12 febbraio, giorno del cinquantesimo

John Stuart Mill La libertà. L’utilitarismo. L’asservimento delle donne Rizzoli-BUR Curata da Eugenio Lecaldano, questa edizione comprende il saggio del 1859 e altri due testi dedicati all’utilitarismo e alla situazione femminile, tema sul quale Mill si è molto impegnato, sia come filosofo sia come politico.

do adattamento all’ambiente? La soluzione di Darwin è la famosa selezione naturale. Le risorse, in natura, sono limitate, e alcuni individui, grazie a mutazione casuali, risultano più avvantaggiati di altri: una pianta con delle radici che si spingono in profondità, una lumaca con il guscio più robusto, e così via. Questi individui avranno più discendenti degli altri, e questo porterà alla diffusione, all’interno della popolazione, di quelle specifiche caratteristiche. Tutto ciò, ovviamente, finché l’ambiente non muta e, per esempio, le radici profonde o il guscio robusto diventano un inutile impiccio. Una spiegazione semplice, elegante e incredibilmente potente, talmente potente da modificare radicalmente la nostra visione del mondo. Credo sia doveroso rendere omaggio, nel centocinquantesimo della pubblicazione di queste due importanti Con estrema probabilità gli editori londinesi opere, ai loro autori: John Murray e John W. Parker and Son non John Stuart Mill, da una parte, e Charles si resero affatto conto dell’importanza dei Darwin, dall’altra. due libri che, indipendentemente, stavano per Certo, se non vi fossepubblicare nel 1859, proprio centocinquanta ro stati loro, qualcun altro avrebbe preso il anni fa loro posto. Dopotutto, teorie liberali come quelle di Mill erano già compleanno di Charles Darstate espresse, giusto per fare due nomi, da win, l’autore del secondo imJohn Locke e Alexis de Tocqueville, mentre portante saggio apparso nel per quanto riguarda Darwin, il naturalista 1859, On the Origin of Species Robert Wallace era giunto, in maniera in- Sull’origine delle specie. dipendente, a conclusioni molto simili. Il Come spiegare la varietà degli debito nei loro confronti, tuttavia, resta. esseri viventi e il loro splendi-

» di Ivo Silvestro

Scienza

no pensato, di quelli che si fatica a vendere anche la prima edizione. E invece i due libri furono un successo non solo editoriale, ma anche e soprattutto culturale: inaugurarono un nuovo modo di vedere le cose e il mondo. In un certo senso, chiusero un’epoca e ne aprirono un’altra, attirandosi per questo non poche critiche (che perdurano ancora oggi). Ed è curioso che due libri simili siano stati pubblicati lo stesso anno. Iniziamo dal primo: On Liberty - Sulla libertà, di John Stuart Mill. La libertà e l’autonomia dell’individuo assumono una posizione centrale all’interno della riflessione di Mill. Nel rapporto con gli altri, l’individuo deve rendere conto unicamente delle azioni che ledono gli interessi delle altre persone: delle azioni che riguardano unicamente i suoi interessi, invece, non deve rendere conto a nessuno. Lo stato che ha in mente Mill è “antipaternalistico”: i cittadini non sono bambini che vanno amorevolmente protetti da loro stessi, ma sono adulti responsabili che meritano la libertà. Libertà di sbagliare, perché no? Anticipando alcuni temi poi svi-

Charles Darwin L’origine delle specie Rizzoli-BUR Giuliano Pancaldi, professore di Storia della scienza all’Università di Bologna, cura questa nuova edizione del saggio di Darwin, arricchita dalle risposte del naturalista inglese alle prime (e certo non ultime) obiezioni alla sua teoria.

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Due saggi come tanti, avran-

Darwin e Mill: una coincidenza?

Darwin in un’immagine di Charis Tsevis tratta dal sito www.fubiz.net

Libri


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Il drink allo yogurt Actilife Cornwell al gusto di lampone non è solo un piacere per il palato ma anche un vero toccasana per l’intestino. Infatti i batteri acidolattici probiotici e le fibre alimentari in esso contenuti contribuiscono all’equilibrio della flora intestinale e favoriscono le difese naturali. Trovi maggiori informazioni sul sito www.actilife.ch. Actilife. Un pizzico di salute in più.


» testimonianza raccolta da Giancarlo Locatelli; fotografie Igor Ponti

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una forte passione e a tanto impegno ma anche grazie a mio padre che mi ha molto aiutato e spronato. La revisione meccanica di un pianoforte, attività che amo particolarmente, viene svolta in laboratorio. In alcuni casi di restauro completo, il pianoforte viene smontato in ogni singola parte, riparato e ricostruito. L’intonazione è il passo finale del lavoro di accordatura, cioè la fase in cui viene definito il suono che avrà il pianoforte. Molto importante in questa fase è la regolazione della durezza del martelletto che percuote le corde. Il feltro del martello viene compresso attorno alla Una professione in cui passione, cono- sua anima in legno, con una scenze musicali e un orecchio eccellente pressione di 30 tonnellate. si coniugano alla ricerca della perfezio- Pungendo la parte in feltro con degli aghi si dà o si toglie ne… oltre a un’indispensabile sensibilità elasticità al martelletto che psicologica rimbalza sulla corda in maniera diversa. Il suono cambia la manutenzione, la revisione quindi notevolmente. L’arte sta nel definire il e la riparazione degli strusuono in relazione allo strumento ma anche e menti. In tedesco il termine soprattutto in relazione all’acustica del luogo che definisce il nostro lavoro in cui questo strumento si trova, cercando è Klavierbauer “costruttore di inoltre di soddisfare, nel limite del possibile, pianoforti” e non Klavierstimle esigenze del pianista. E i solisti sono spesso mer “accordatore”, anche se molto esigenti ma alle volte soltanto nervosi. in realtà ciò non corrisponde Bisogna quindi rimanere calmi e trasmettere più alla realtà. La metà del mio tranquillità. lavoro è dedicata all’assistenNella mia breve carriera ho avuto la fortuna za tecnica il resto concerne di lavorare con innumerevoli pianisti come invece le revisioni meccaniChick Corea e Herbie Hancock, fra i jazzisti, e che, soprattutto di pianoforti Martha Argerich, Rudolf Buchbinder, Gerhard Steinway, marca di cui abbiaOppitz, Ashkenazy figlio, Murray Perahia e mo la rappresentanza. Grazie molti altri, in ambito classico. Ricordo con a mio padre ho avuto poi piacere la volta in cui accordai il pianoforte la fortuna di fare esperienze per Rudolf Buchbinder. Un pianista che ama in laboratori all’estero. Sono un suono estremamente aggressivo e squilstato in Giappone, a contatto lante in quanto ritiene che anche nei “piacon tecnici eccellenti, in Gernissimo” gli spettatori seduti in fondo alla mania diverse volte, negli Stati sala abbiano il diritto di sentire. Quel giorno uniti e l’anno scorso ho assoldovetti andare io al teatro di Bellinzona e mio to l`accademia della Steinway padre mi diede tutti i consigli per fare bene. in Amburgo, con il guru della Mi raccomandò anche di regolare lo sgabello Steinway, George Amman (che all’altezza massima. Un dettaglio importante casualmente è uno svizzero). per far sentire a suo agio il maestro BuchLo scambio diretto di espebinder. Arrivò molto agitato ed entrò senza rienze e opinioni rappresenta salutare, si sedette al pianoforte e si stupì senz’altro la migliore forma di che lo sgabello fosse all’altezza giusta, suonò apprendimento. una mezz’ora e poi, di colpo, mi chiese “ma Si dice che per diventare acl’hai accordato tu?”. Risposi di sì, e lui: “un cordatore da concerto ci vobel cannone, un po’ troppo morbido ma un gliano minimo dieci anni di bel piano”. Oltre a un lavoro fatto bene basta esperienza dopo l’apprendistaun dettaglio apparentemente insignificante to. Io sono riuscito a iniziare per stemperare una tensione che alle volte prima del previsto grazie a potrebbe farsi pesante.

Lukas Fröhlich

Vitae

a ragazzo non ho mai pensato che avrei fatto l’accordatore. All’inizio mi sono dedicato al commercio, ma con scarsi risultati. L’unica cosa che mi interessava veramente era la musica, in qualsiasi forma o contesto. Studiavo già pianoforte e tra i sedici e i vent’anni ho suonato la batteria in diverse formazioni locali più o meno “non famose”. Non ho capito subito che avrei potuto approfittare dell’esperienza di papà che nel 1978 aveva fondato, assieme alla signora Lehmann, un’attività commerciale di vendita, noleggio e manutenzione di pianoforti. A un certo punto però, essendo portato per il lavoro manuale e avendo un buon orecchio ho pensato che questa potesse essere l’occasione per lavorare nel mondo della musica. Mio padre, consapevole di cosa volesse dire mandare avanti una attività in proprio, in un primo momento non era d’accordo, ma alla fine accettò. Nel 1999 ho cominciato il mio apprendistato per diventare accordatore, inclusa una formazione di quattro anni di studi teorico-pratici. Andavo a Zurigo il lunedì e lavoravo in bottega durante il resto della settimana. A Zurigo si studiava cultura generale e materie teoriche come fisica, chimica, matematica, disegno tecnico e anche biologia, indispensabili per approfondire la conoscenza dei materiali che si utilizzano nella costruzione di un pianoforte: legni, metalli, feltro, pelli, colle, lacche etc… Ogni anno seguivo altri corsi pratici a Bienne: lo scopo finale era quello di costruire per intero un pianoforte verticale. Noi in effetti siamo restauratori, tecnici, accordatori e in teoria anche costruttori. Purtroppo in Svizzera non si costruisce più da almeno 35 anni, da quando la Burger & Jacobi di Bienne chiuse a causa della forte concorrenza. L’accordatura è la parte più evidente del nostro lavoro ma è altrettanto importante anche tutto quello che riguarda

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Fondazione Svizzera per la Fotografia - Winterthur

G     “Le fotografie si caratterizzano per la loro capacità di rivelare – malgrado tutti gli sforzi che mirano alla perfezione tecnica – un momento irrazionale, impossibile da controllare. Tra l’idea e il risultato visibile sulla carta c’è un lungo cammino sul quale molteplici influenze lasciano le loro tracce. La luce e i movimenti, fenomeni tecnici o legati alla prospettiva, possono provocare degli effetti involontari, sconvolgenti, affascinanti. E questo senza ombra di dubbio fa parte del fascino particolare di questo medium che, in tal modo, paga un tributo ai lati inconsci e misteriosi della nostra esistenza. Non è proprio questo aspetto di imprevedibilità a legare le immagini fotografiche alla realtà che cercano di catturare?”

di Giancarlo Fornasier; fotografie di Peter Keller


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interthur. Tarda mattinata. Un traffico lento e ordinato ci accompagna verso il Fotozentrum situato in una ex area industriale di questa cittadina distante pochi chilometri da Zurigo. È qui che dal 2003 ha sede un ampliato Centro per la fotografia, costituito dal Fotomuseum Winterthur (www. fotomuseum.ch; uno spazio espositivo nato nel 1993) e dalla Fotostiftung Schweiz, la Fondazione Svizzera per la Fotografia. I due edifici si osservano, uno di fonte all’altro. L’uno al servizio dell’altro. 2001: storia di una Fondazione La Fondazione nasce presso il Kunsthaus di Zurigo nel 1971, “e lì è rimasta sino al 2003” ci dice Nicoletta Brentano-Motta, responsabile delle Pubbliche relazione della Fondazione, mentre ci mostra l’archivio climatizzato dove sono conservati le stampe e i negativi. “La Fondazione, che allora si chiamava

Schweizerische Stiftung für die Photographie aveva quale direttore Walter Binder; era naturalmente un po’ sottomessa all’ingombrante peso del Kunsthaus, anche se operava come istituzione indipendente. Sino a quando è giunta, inaspettata, la proposta della Volkart Stiftung di Winterthur, nella quale si offrivano 8 milioni di franchi per l’edificazione di una nuova sede. Era il 21 maggio 2001. All’inizio vi è stato del timore a lasciare Zurigo con la sua centralità e i vantaggi del grande polo urbano. Ma Winterthur offriva molto altro, in particolare la possibilità di disporre di spazi specifici adatti a organizzare eventi tutto l’anno”. Oggi, nella sola sede della Fondazione, vengono proposte annualmente tre mostre. Da poche settimane si è conclusa quella dedicata al grande maestro svizzero Gotthard Schuh (Ticinosette n. 28 del 3.10.2009), con un successo di pubblico e di critica che conferma l'importanza della Fondazione come uno dei centri di eccellenza per la fotografia del continente “con legami con molte altre fondazioni europee” precisa la nostra


sopra: Peter Pfrunder, l'attuale direttore della Fotostiftung Schweiz a sinistra: Martin Gasser (conservatore presso la Fotostiftung) fra gli armadi dell'archivio climatizzato sotto: vista posteriore di una serie di preziosi album di famiglia di inizio Novecento; “I segni della vita di una fotografia sono essenziali, proprio per la comprensione della funzione stessa dell’immagine e dei passaggi del suo vissuto” afferma Martin Gasser sulla copertina del reportage: parte del lascito del fotografo svizzero Jacob Tuggener. Lo scritto che accompagna l'immagine è estratto dalla postfazione “Segni e prodigi” di Peter Pfrunder in What you see, catalogo della mostra di Luciano Rigolini (6.9–16.11.2008; Fotostiftung Schweiz, Winterthur), Lars Müller Publishers, Zurigo 2008 indirizzo, informazioni e orari di visita: Fotostiftung Schweiz, Grüzenstrasse 45, 8400 Winterthur Info: tel. 052 234 10 30; www.fotostiftung.ch; info@fotostiftung.ch Orari: mar.–dom., ore 11–18; mercoledì, ore 11–20; lunedì chiuso

interlocutrice. La Fondazione è sostenuta dall’Ufficio Federale della Cultura. Ma un ruolo rilevante lo giocano anche gli Amici della Fotostiftung, all’incirca 200 persone che versano un contributo annuo utilizzato per nuove acquisizioni, in particolare opere appartenenti a fotografi svizzeri. Due edifici, un Centro per la fotografia Benché la Fotostiftung Schweiz e il Fotomuseum Winterthur siano due entità separate, condividono una biblioteca ricca di 20.000 titoli, oltre a sale per conferenze e seminari, un bistrot, una libreria e tre spazi espositivi, il più grande dei quali situato presso il Fotomuseum. Alla Fotostiftung sono impiegate 8 persone. Le due istituzioni perseguono scopi diversi: il Fotomuseum si concentra principalmente sulla fotografia internazionale contemporanea e sui maestri della storia della fotografia, mentre la Fondazione si dedica al patrimonio fotografico svizzero. “La Fotostiftung Schweiz gestisce un archivio e una collezione che


comprendono più di 50 lasciti e circa 50.000 immagini, delle quali la parte più importante è costituita dalle fotografie in bianco e nero degli anni Venti/Cinquanta” prosegue la responsabile. “Tra i materiali più rari che conserviamo ci sono dagherrotipi databili attorno al 1840, lo stesso decennio nel quale la stessa fotografia nasceva…”. Su uno degli armadi adibiti alla conservazione del materiale – in molti casi volutamente archiviato nelle scatole originali appartenenti ai fotografi – un cartello indica i fondi presenti in quella sezione. Mentre ci muoviamo verso la biblioteca un gruppo di ragazzi entra in una delle sale espositive: “Tra le varie attività che coinvolgono la Fondazione ci sono i workshop. Sono organizzati con l’aiuto di pedagoghe museali esterne e indirizzati in particolare agli studenti. Nel corso degli anni abbiamo creato degli ottimi rapporti con le istituzioni scolastiche. Il sostegno finanziario datoci dalla Confederazione si giustifica anche attraverso l’educazione offerta agli studenti” conclude Nicoletta Brentano-Motta. Una società per immagini La ricerca del materiale fotografico e la raccolta dei fondi appartenenti ai fotografi sono tra i principali compiti della Fotostiftung. Come questo avviene lo chiediamo a Martin Gasser, conservatore e, assieme al direttore Peter Pfrunder, vera “mente” della Fondazione. “Ogni caso è diverso. Avviene, per esempio, che qualcuno chiama e avverte che nella soffitta di casa ha trovato delle fotografie o dei negativi. Nella maggior parte dei casi però non si tratta di materiale molto interessante dal nostro punto di vista...”. Ma che cosa significa, signor Gasser, interessante per voi? “La Fondazione colleziona fotografie da quasi quarant’anni e possiamo dire che abbiamo accumulato una tale esperienza che ci permette oggi di sapere che cosa succede ed è successo in passato nell’ambito della fotografia in Svizzera. Non ci sono molti fotografi che improvvisamente emergono, senza che nessuno in precedenza ne abbiamo mai sentito parlare... La maggiore parte sono conosciuti, siamo in grado immediatamente di classificarli e sappiamo se sono

stati in precedenza pubblicati. Quello che noi valutiamo come interessante è ciò che il fotografo ha ritratto, in particolare se i soggetti sono poco usuali. Per esempio, un fotografo che si dedicava alla fotografia urbana e al paesaggio, risulta di particolare interesse per noi, soprattutto se si è concentrato su un’area geografica precisa – continua Martin Gasser –. La fotografia di ritratti è spesso meno interessante, perché solitamente eseguita da fotografi professionisti che si dedicavano solo a quello. Per la Fondazione è di maggiore interesse un fotografo con una visione personale, originale, particolare; come potrebbe essere la collezione di un anonimo fotografo di inizio secolo che nella sua carriera ha riprodotto palloni aerostatici…”. Il nostro interlocutore si ferma per qualche istante. Silenzio. Poi, un ulteriore, sorprendente, esempio: “Pensate a qualcuno che si è dedicato a un soggetto preciso, come la decorazione degli alberi di Natale negli anni Venti o Trenta, con una serie di fotografie che mostrano i diversi gusti, stili decorativi, differenza tra classi sociali. Ecco, questo attira il nostro interesse. Opere particolare e temi non ancora presenti nei nostri archivi. Vede, lo scopo della Fondazione è di dotarsi di una visione la più ampia possibile della fotografia in Svizzera, arricchirci continuamente e aggiungere qualcosa alla nostra conoscenza. Agli archivi e a noi stessi”. Importante? Poco importante... Al di là dell’aspetto conservativo, dalle parole di Martin Gasser appare chiaro come la fotografia vada oltre la cattura di un’immagine: è una rappresentazione della società, delle sue abitudini, di modelli e stili di vita. L’attività assume le caratteristiche della ricerca antropologica e sociologica di un paese che cresce e si trasforma. In questo senso, possiamo affermare che vi sono fotografie e fotografi più o meno importanti? “Succede che i fotografi, professionisti o amatori, realizzino delle immagini ma per nulla spinti dalle intenzioni con le quali noi oggi le analizziamo – risponde il nostro interlocutore –, tanto che questi materiali attirano la nostra attenzione per ragioni a volte

sopra: l'interno di una delle sale espositive presso la Fotostiftung Schweiz. Sino al 14 febbraio 2010 è allestita una mostra dedicata a Christian Vogt


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Fine mese caratterizzato da Marte e Venere. Esplosione di sessualità per i nati nella seconda e terza decade. Gelosie a non finire alimentate da insicurezza e da una possessività tendenzialmente esagerata.

Tra il 23 e il 24 novembre potrete beneficiare degli effetti degli ottimi transiti lunari, oltre che di quelli alimentati da Giove e Nettuno. Esplosione mediatica della vostra creatività. Intuizioni geniali.

Fine novembre caratterizzato dalla rilevante quadratura tra Venere e Marte. Atmosfere passionali. Erotismo alle stelle. Cercate comunque di non assumere in pubblico atteggiamenti troppo aggressivi.

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Nonostante la vostra tendenza ad accentrare responsabilità e compiti, cercate di affidare una maggiore quantità di lavoro ai vostri collaboratori. Possibili discussioni in famiglia e senso di affaticamento.

Tra il 25 e il 26 novembre la Luna si troverà in opposizione di transito nella vostra settima casa solare. Evitate che malumori, o una parola di troppo, possano turbare la vostra vita di coppia. Affari di cuore a gonfie vele.

Tra il 22 e il 28 novembre le vostre aspirazioni potranno essere turbate dalla congiunzione con Saturno e dalla quadratura con Plutone. I vostri obiettivi non possono essere ostacolati da superiori e/o collaboratori.

Venere e Urano in forte aspetto tra di loro fanno da preludio all’inizio di un nuovo rapporto amoroso, eccitante, forse scarsamente stabile, se gestito con le vostre consuete modalità. Temperate la vostra gelosia.

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Mercurio in congiunzione per i nati nelle prime due decadi. È arrivato il momento di esprimere voi stessi. La vostra mente è particolarmente chiara, e così vi sentite più attenti, più acuti. Approfittatene per affrontare un colloquio di lavoro o un esame.

Vita sentimentale alla grande alimentata da nuovi incontri e da inaspettate opportunità. Momento più difficile per i nati nella prima decade a causa di Plutone con Saturno. Cercate di mantenere la vostra personalità senza farvi manipolare.

Espansione della conoscenza per i nati nelle prime due decadi. Grazie a Mercurio durante questa ultima settimana di novembre potrete realizzare importanti affari con persone residenti in una città diversa dalla vostra. Arricchimenti professionali.

Grazie ai transiti di Mercurio e di Urano la vostra vita professionale potrà riorganizzarsi seguendo le vie più originali. State comunque attenti a non distogliervi in hobby e passatempi a scapito di più importanti obiettivi. Vita sentimentale in crescita.

Webspecials

» a cura di Elisabetta

ariete Vita professionale in primo piano per i nati tra la prima e la seconda decade. Grazie al trigono tra Mercurio e Marte potrete realizzare un importante progetto. Puntate tutto sulla vostra creatività.

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sopra, in senso orario: l'atrio delle Fotostiftung Schweiz con, sulla destra, il bistrot; una sala espositiva; le postazioni multimediali presenti all'entrata della Fondazione; la biblioteca – aperta al pubblico da martedì a venerdì, ore 13.30–17.30 – con oltre 20.000 volumi dedicati al mondo della fotografia

lontane dalle reali intenzioni degli autori. Anche per questo, oggi, possiamo ritenere che esistono autori anonimi che hanno prodotto fotografie ricche di interesse, e dunque molto importanti... Ma non dividerei i fotografi tra importanti o meno. Le faccio un altro esempio: recentemente abbiamo raccolto del materiale fotografico sull'omicidio del responsabile di una stazione meteorologica e di sua moglie avvenuto molti decenni fa. Il proprietario del fondo aveva raccolto molte immagini sull’omicidio, i luoghi, i fatti e le persone coinvolte. Una raccolta particolare e certamente utile per la nostra ricerca; ma affermare che queste immagini siano più importanti, per esempio, di Gotthard Schuh... beh, è come paragonare mele e pere. Non ha molto senso...” puntualizza Gasser sorridendo. La fotografia oltre la fotografia Gli archivi non conservano solo stampe e negativi; anche i supporti con le quali sono arrivate a noi sono fonte di interesse. “I segni della vita di una fotografia sono essenziali, proprio per la comprensione della funzione stessa dell’immagine e dei passaggi del suo vissuto. Molte informazioni sono proprio nella fotografia, fisiche. Anche per questa ragione l’immagine deve essere vissuta e vista dal vivo… una volta scansita e osservata a video, la stessa fotografia non è più in grado di fornire tutte le sue reali e potenziali informazioni. Toccandola e osservandola da vicino, invece, si può cogliere il pieno senso di ciò che vi è rappresentato”. Un aspetto, quest’ultimo, che avvicina in modo impressionante la fotografia all’opera d’arte (per chi avesse ancora dei dubbi a tal proposito...), dove la parte iconografica e la parte tecnica-esecutiva, l’estetica e la fisicità, convivono e ne fanno un oggetto unico. E chiedono di essere sperimentate: “Qui sta la differenza tra la nostra Fondazione e un’agenzia fotografica: l’agenzia mette a disposizione le immagini, noi invece le conserviamo nel senso più vasto del termine” continua Gasser. La fisicità: un aspetto forse anacronistico in un mondo

digitalizzato nel quale molto credono che la fotografia sia ciò che uno schermo mostra… “Quella è solo una visione moderna della fotografia. La vera fotografia è ciò che osservi e che ti porta a riflettere sul contesto nella quale è stata eseguita” risponde il nostro interlocutore. E dunque, come si pone la Fondazione rispetto proprio alle immagini digitali; che cosa è cambiato dal vostro punto di vista, oggi che creare una fotografia richiede tempi infinitesimali...? “Fondamentalmente anche con il digitale nulla è cambiato. Oggi si scattano molte fotografie, interessanti o meno. Le si stampano, sono catalogate e conservate. Ma rimangono sempre e comunque fotografie, con il loro livello qualitativo. Mi pare piuttosto che oggi stia scemando maggiormente il senso di archivio come lo intendevamo pochi decenni fa. Oggi i fotografi utilizzano supporti digitali e lì tutto è conservato. È vero però che a monte vi è da parte degli autori una notevole selezione; si gettano molte immagini e si archiviano le migliori… proprio come operavano i loro predecessori. Il vero problema è come procedere con tutti i nuovi archivi digitali. A Winterthur, al momento, non siamo pronti per questo tipo di archiviazioni. E non abbiamo nemmeno gli strumenti per conservare queste migliaia di file per lunghi periodi. È un problema non risolto e credo che, innanzitutto, sia necessario chiedersi che cosa intendiamo fare con questo materiale: conservarlo per essere visualizzato su schermo? Stamparlo? E quale dovrebbe essere la funzione di questi archivi digitali…?”. Costi, scelte e collaborazioni Preservare la memoria: una parola d’ordine. In questo senso, un’unica e importante fotografia è paradossalmente meno rilevante della ricerca compiuta per anni da un singolo fotografo... “In verità, se qualcuno ci proponesse l’acquisto di un inedito di un fotografo di cui possediamo tutto l’archivio, allora non potremmo probabilmente rinunciare... Sarebbe come lasciarsi fuggire l'unico


tassello mancante nella vita fotografica di un autore. È vero, però, che tendenzialmente la Fondazione preferisce avere uno spettro il più ampio possibile di fotografi piuttosto che poco materiale di uno solo…”. Come in tutti i processi creativi, la fotografia è il prodotto finale, la stampa di un’immagine. Ma vi sono pure aspetti tecnici da considerare: apparecchi fotografici, processi di sviluppo… “La parte tecnica costituisce un elemento essenziale che richiede competenze particolari – precisa Martin Gasser –; per questa ragione noi ci concentriamo sull’archiviazione e lasciamo ad altre istituzioni, secondo una chiara ripartizione, l’approfondimento degli aspetti tecnico-meccanici. Penso al Museo Svizzero dell’Apparecchio Fotografico di Vevey (www.cameramuseum.ch) con il quale abbiamo una stretta relazione e proficui scambi. Per questo, se qualcuno ci offre o recuperiamo apparecchi degni di interesse, questi vengono dirottati a loro. Lo stesso avviene per il restauro e la conservazione del materiale fotografico: valutata la necessità di intervenire sulla fotografia, perché il suo stato conservativo risulta precario, chiediamo l’intervento di restauratori e specialisti del settore. Ma, in particolare, operiamo con l’Istituto Svizzero per la Conservazione della Fotografia di Neuchâtel (www.photo-conservation. ch) diretto da Chistophe Brandt. Quelle che ho citato sono istituzioni che operano all’interno di Memoriav (www.memoriav.ch), un’associazione svizzera che si prefigge la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio audiovisivo svizzero. Fa parte anche la vostra Fonoteca Nazionale…” (www.fonoteca. ch; con sede a Lugano, ndr.). Non solo archiviazione, dunque, ma un insieme di attività e persone coinvolte che rappresenta anche dei costi, signor Gasser… “La Fotostiftung Schweiz dispone di un budget annuo di circa 1,8–2 milioni di franchi. Il 70% di tale cifra viene eroso dai costi fissi, come personale e infrastrutture; il resto è investito in progetti ed esibizioni. Per le nuove acquisizioni disponiamo di circa 50 mila franchi annui. Quando è possibile la Fondazione cerca inoltre contributi presso società e istituzioni private. Ma questo non è sempre facile: bisogna considerare che la Fotostiftung è oggi una fondazione istituzionale. Per questo cercare dei contributi presso grandi aziende private significa dover scendere a compromessi rispetto alle nostre scelte... e un pericolo per la nostra indipendenza”. Memorie di un paese che non c’è più Martin Gasser si avvicina a uno scaffale che contiene una straordinaria serie di album di famiglia del primo Novecento. Ne apre uno con una ricercata copertina in pelle; all'interno visi antichi e persone dalle posizioni composte e serie. È la storia a ritratti di un’intera famiglia: “Il fotografo in questo caso è meno interessante: opera con gli stessi fondi, in modo seriale. E invece l’aspetto del racconto e la serie di personaggi ritratti che cattura la nostra attenzione. Questo non è solo album, è un vero racconto per immagini della società. Ed è anche una storia di immigrazione, visto che alcune delle persone qui ritratte abitavano all’estero e inviavano i loro ritratti al paese di origine. Quella che abbiamo tra le mani è dunque una vera mappa geografica di una società che cambia ed evolve. Che si sposta e si relaziona attraverso le fotografie...”. Gasser abbozza ancora un sorriso velato di amarezza; scuote la testa e ritorna sul problema del finanziamento della Fondazione: “Diciamoci la verità: quello che noi possiamo offrire è la fotografia svizzera: ritratti di cose e persone il più delle volte perfettamente sconosciute all’estero come nel nostro paese. Avere visibilità è molto difficile, ma cerchiamo di fare del nostro meglio;

è qualcosa che cresce e ne vediamo i risultati ogni volta che presentiamo una nuova mostra o proponiamo un’iniziativa. Lo sforzo e le attività di ricerca danno molta soddisfazione. In questo senso per noi sono essenziali i contatti con chi lavora sul territorio; in Ticino, per esempio, abbiamo ottimi rapporti con la Città di Lugano e con Marco Franciolli, direttore del Museo Cantonale d’Arte di Lugano (www.museo-cantonale-arte.ch), ma anche la Villa dei Cedri a Bellinzona collabora attivamente con la Fondazione (www.villacedri.ch). Sono loro il nostro prezioso sguardo verso Sud…”. La fotografia: un documento per comprenderci Queste ultime parole di Martin Gasser sono confermate da Peter Pfrunder, direttore della Fondazione: “La Fotostiftung Schweiz è un luogo importante per la memoria della Svizzera: ha una valenza culturale, perché è in grado di raccontare il paese in quell’istante, nel momento dello scatto di questa o quell’immagine. È assolutamente importante interpretare la fotografia come un mezzo che ha più aspetti, facce, e necessita dunque di approcci multipli. Vede, la fotografia è un vero documento, una finestra su una precisa e circoscritta realtà, fatta di momenti storici e di sviluppo della nostra società. Ma, d’altra parte, la fotografia è anche espressione, un mezzo di comunicazione nel quale si raccolgono problematiche legate allo stile e alla rappresentazione della realtà. Sono due aspetti essenziali – sostiene il direttore –. Ancora oggi, purtroppo, chi pensa alla memoria della Svizzera pensa immediatamente ai soli documenti scritti…”. Un’arte, la fotografia, da valorizzare dunque. E che necessita di strumenti per essere approfondita, studiata maggiormente. “Delle fonti scritte si conosce molto. Sono state studiate in passato e lo sono ancora – prosegue Pfrunder con sguardo fermo –; gli storici sanno come e dove trovare le informazioni di cui necessitano e le cattedre universitarie in questo ambito non si contano. Ma per quanto riguarda l’immagine fotografica, una fonte altrettanto importante, non esiste una vera tradizione e discipline universitarie nate per il suo studio. È vero, ne sono sorte di recente e alcune si interessano anche alla fotografia, ma non si sono ancora sviluppate specifiche discipline accademiche che si concentrano sulle immagini come fonte sociologica e forma di rappresentazione della civiltà”. Perché, come per i documenti scritti, anche le fotografie esigono una metodologia di studio… “La prima cosa che uno studioso deve possedere e applicare è un approccio critico al testo: chi, perché, quando, dove. Solo così si ricostruisce il contesto attorno al quale il documento è stato creato. Per i documenti scritti ci si pone sempre delle domande che mirano a ricucire storicamente il testo. Purtroppo, nel mondo della fotografia questa metodologia è ancora lontana; oggi molti vedono un’immagine e si limitano a osservare quello che mostra… In verità, ci dobbiamo ancora chiedere molto altro su quello che osserviamo. Molto altro per capire l'immagine pienamente. La fotografia non è un bene culturale isolato – continua il direttore della Fondazione –: contiene, è impregnato di una società, di un periodo storico e di situazioni culturali precise. È assolutamente necessario apprendere la lettura della fotografia. Questo è quello che noi cerchiamo di fare come Fondazione: mostrare questi diversi approcci e coltivare i nostri rapporti con la storia. Il nostro sforzo e compito, come per altre istituzioni culturali, è quello di rendere tutti coscienti che la storia di questo paese è sempre in costruzione. E non dimentichiamoci mai che è la nostra storia...”. La nostra storia: non aggiungiamo altro a queste ultime parole del direttore Pfrunder. Anche perché la fotografia va osservata “dal vivo”. E vissuta per ciò che “è” e sa mostrarci ■


«PER LA MIA RAGAZZA CHE PREPARA SEMPRE TUTTO A PUNTINO. TRANNE LA CARNE.» Ivo Adam, cuoco famoso.

Per momenti speciali.


» illustrazione di Adriano Crivelli

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 50

Giochi

Orizzontali 1. Proprio maleducato • 10. Fifa blu • 11. E così sia • 12. In mezzo al coro • 13. Ordite • 15. Gabbia per volatili • 17. La Hilton del jet set • 18. Cifra imprecisata • 19. Italia e Portogallo • 20. Un ruolo del calciatore • 21. Il vil metallo • 23. I confini di Carabietta • 24. Un frutto • 26. È ghiotto di miele • 28. Il nome di Ramazzotti • 29. Poesia lirica • 31. Il Nichel del chimico • 32. Esigui • 33. Asciugamano da spiaggia • 35. Gioca il derby con il Milan • 36. Poco fitti • 37. La soglia... della finestra • 41. Ha scritto “Il tempo e la vita” • 42. Oriente • 44. Pira • 45. Grosso camion • 46. Fiume engadinese • 47. Incapaci • 49. Cortile agreste • 50. Châssis.

Un nome di Chiusano • 19. Pron. personale • 22. Più che brutta • 23. Sono frastagliate • 25. Lo cela il baro • 27. Una fetta di formaggio fondente • 30. Spinta iniziale • 34. È fatta d’ardesia • 36. Consonanti in rione • 38. Belli... mitologici • 39. Uncino da pesca • 40. Risultati • 43. Complessino canoro • 47. Istituto Tecnico • 48. Articolo spagnolo.

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Verticali 1. Lo provoca un’esplosione • 2. Negozi frequentati da scolari • 3. Pari in Artù • 4. Ripida • 5. Attraversa Berna • 6. Antica città dell’Africa settentrionale • 7. Adorare • 8. Sposò il fratello Oceano • 9. Leale e sincera • 14. Quella indebita costituisce reato • 16.

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