Ticino7

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02 numero

L’appuntamento del venerdì

08 I

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R EPORTAGE

Oltre il Po AGORÀ Assistenza e abusi MEDIA Campagne antifumo TENDENZE Corto Maltese

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Tessiner Zeitung

CHF 3.–

con Teleradio dal 10 al 16 gennaio


Âť illustrazione di Adriano Crivelli


numero 2 8 gennaio 2010

Agorà Assistenza, abusi e cattivi poveri

DI

STEFANO GUERRA

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Media Comunicazione. Il fumatore assediato

DI

Impressum

Domus La sala e il salotto

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Tiratura controllata

Vitae Stefano Knuchel

DI

KERI GONZATO

Chiusura redazionale

Reportage Oltre il Po

DI

ALESSANDRO TABACCHI; FOTOGRAFIE DI GIOSANNA CRIVELLI . . . . . . . . . . . .

89’345 copie (72’303 dal 4.9.2009) Giovedì 31 dicembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

DI

FRANCESCA RIGOTTI

NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Tendenze Corto Maltese, la Svizzera e l’immortalità

DI

ROBERTO ROVEDA

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Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Il fiume Po all’altezza di Cascina Crocedue Fotografia di Giosanna Crivelli

Stato o governo canaglia? Tutti ricordiamo la definizione di “asse del male” introdotta dall’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush nel corso del celebre discorso sullo stato dell’Unione del 2002, a pochi mesi dalla tragedia dell’11 settembre. Si introduceva allora uno sviluppo al concetto di rogue state (appunto, Stato canaglia), espressione che durante l’era Clinton era stata ricondotta alla più diplomatica forma di state of concern (Stato da seguire con particolare attenzione). L’Iran, a prescindere dalle fluttuazioni linguistiche e semantiche, è da tempo inserito in questa lista nera insieme a Corea del Nord, Iraq (pre conflitto, perché ora va tutto bene…), Afghanistan, Pakistan, Siria, Libia ecc. Anzi, da un punto di vista storico, vanta una permanenza pluridecennale, visto che durante la guerra Iran-Iraq l’intero occidente era schierato a sostenere il fido Saddam. Ma questa è acqua passata. Da alcuni mesi accade invece che nello “stato canaglia” centinaia di migliaia di persone stanno mettendo a repentaglio la vita per affermare i propri diritti personali e politici, cancellati da trent’anni di dominio di un’oligarchia affaristico-religiosa che ha saputo affermarsi grazie alla creazione dell’esercito parallelo dei pasdaran (una sorta di Guardia nazionale sciita), alla soppressione delle libertà di espressione e a un gioco diplomatico complesso e articolato. Ma, alla luce di quanto sta accadendo nelle piazze e delle profonde divisioni nelle stesse strutture pub-

bliche – testimonianze di lunedì 28 dicembre parlano di poliziotti che si sono rifiutati di sparare sulla folla –, sorge spontanea una domanda: stato canaglia o governo canaglia? Sì, perché un regime teocratico che decide di sparare contro i propri cittadini inerti (fra l’altro proprio nel giorno sacro dell’Ashura) o di incarcerarli solo perché aspirano a una vita regolata da leggi civili e democratiche, è non solo un governo debole ma un governo canaglia. Ce ne sono ancora tanti nel mondo, Cina in testa. Perché a costituire il concetto di Stato non concorre infatti solo l’apparato, il potere centrale sovrano, ma anche lo Statonazione inteso come comunità popolare e come società civile. Che Cosa accadrà in Iran è oggi difficile dirlo. L’oligarchia clericale ha rafforzato nel tempo le sue radici, gli stessi pasdaran usufruiscono di importanti risorse economiche grazie alle numerose concessioni petrolifere ottenute. La partita sarà dunque tutta giocata all’interno dell’apparato, nello scontro fra conservatori e riformisti. Al di là di tutto, per noi occidentali, c’è qualcosa di assolutamente imperscrutabile in questa situazione. Valgono allora, sopra ogni considerazione, le parole dello scrittore Philip K. Dick: “Questo per me è, in ultima analisi, il tratto eroico della gente comune: dicono di no al tiranno e con calma accettano le conseguenze di questa resistenza”. Cordialmente, Fabio Martini


Assistenza, abusi e cattivi poveri

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O

vunque in Svizzera, Ticino compreso, gli abusi accertati nell’assistenza pubblica rappresentano una piccola percentuale sia del totale dei casi, sia dell’ammontare complessivo delle prestazioni versate*. Eppure, oggi la “lotta agli abusi” è sulla bocca, o nelle orecchie di tutti. Da argomento quasi scandaloso, proprio di una certa retorica populista, nel giro di un ventennio si è trasformata in una questione degna della massima considerazione per politici (di sinistra come di destra) a caccia di consensi, responsabili amministrativi e anche per non pochi assistenti sociali. Certo, poi tutti (o quasi) si affrettano a relativizzare (“è solo una piccola minoranza”) o a giustificare (“se non facciamo nulla ci vanno di mezzo gli assistiti onesti”). Ma intanto la logica del sospetto sta comunque già producendo i suoi effetti.

L’intervista

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Agorà

Siamo in piena guerra agli “abusi”. Dalla disoccupazione all’invalidità, dall’asilo all’assistenza pubblica, l’ossessione per i “falsi invalidi asilanti disoccupati assistiti” ha ormai invaso tutti gli ambiti della politica sociale. La stretta repressiva colpisce duro nel settore dell’assistenza, ultima rete di salvataggio statale a disposizione di chi non raggiunge il minimo vitale. Com’è stata costruita, che forme assume oggi e quali conseguenze ha l’arma retorica dell’abuso in quest’ambito?

Per capirne i meccanismi, ci siamo rivolti a Carola Togni, collaboratrice scientifica all’Ecole d’études sociales et pédagogiques di Losanna e co-autrice di Temps d’assistance (Ed. Antipodes, 2008), un’indagine storico-sociologica sulle politiche d’assistenza in Romandia.

Signora Togni, il discorso sugli “abusi” nell’assistenza è una novità degli ultimi anni? “No. Lo troviamo già quando vennero varate le prime leggi sull’assistenza, alla fine del 19esimo secolo. Da allora la volontà dichiarata di lottare contro gli abusi ha sempre avuto lo scopo di limitare l’aiuto ai poveri. Il discorso, infatti, permette di operare una selezione tra “buoni” e “cattivi” poveri, e quindi di escludere dall’assistenza chi è presentato come non (o meno) meritevole. La retorica sugli abusi riacquista poi vigore alla metà degli anni Novanta, con la crisi economica e l’impennata della disoccupazione che mettono a dura prova l’assistenza e le altre prestazioni sociali”. Perché il discorso sugli abusi torna in auge proprio in questo contesto? “In Svizzera come altrove, la risposta politica alla crisi non è stata quella di rafforzare lo Stato sociale, bensì di applicarvi i precetti dell’ideologia neoliberale. In nome di “inevitabili” tagli di bilancio, sono state messe in discussione le prestazioni sociali. Il discorso anti-abuso è funzionale a questa logica: delegittimando i beneficiari, si finisce col giustificare la riduzione delle prestazioni. Alla fine degli anni Novanta, inoltre, emerge un discor-


In che modo negli ultimi anni in Svizzera è stata estesa la definizione di “abuso”? “Quando si parla di assistenza la parola «abuso» è usata in modo molto ampio. Spesso le cifre riportate dai mass-media o avanzate dai politici sono vaghe: non viene quasi mai precisato se si tratta di casi accertati, di semplici sospetti, di verifiche in corso o altro. Nella nostra ricerca abbiamo constatato come verso la fine degli anni Novanta il clamore suscitato dalla copertura giornalistica di alcuni casi d’abuso abbia alimentato dure critiche alle istituzioni, ai servizi sociali e ai loro dipendenti, accusati di lassismo. Da qui lo sviluppo di nuovi strumenti di controllo e repressione («ispettori sociali» eccetera), in

genere salutati positivamente da politici e mass-media. Negli ultimi 4-5 anni, infine, le accuse si sono focalizzate nuovamente sulle persone assistite”. Lei sostiene che “attorno alla questione degli abusi all’assistenza sociale si gioca l’ossessione della selezione dei poveri”. Si spieghi. “Negli ultimi anni, come dicevo, nei massmedia, nei discorsi dei politici, dei responsabili amministrativi dell’assistenza e infine anche nei testi della Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (Cosas), ritroviamo le due figure «classiche» del beneficiario abusivo di prestazioni assistenziali: l’indigente «simulatore» (colui che le ottiene in modo fraudolento grazie a dichiarazioni false o incomplete) e l’indigente «moralmente incompetente» nell’impiego dell’aiuto statale (colui che, per esempio, destina ad altri usi i soldi ricevuti per pagare l’affitto). Ma accanto a queste due tipologie di «truffatori», emerge con forza una figura inedita di indigente non degno di ricevere un aiuto: la persona «inattiva», colui che non fa nulla per uscire dall’assistenza. Con questa estensione della parola «abuso», la logica secolare di selezione tra «buoni» e «cattivi» poveri fa un altro passo avanti”.

Come vivono i beneficiari questa “morale dell’attivazione” che impregna le riforme dell’assistenza avviate in diversi cantoni dagli anni Novanta? “Spesso la interiorizzano. Dalle nostre interviste emerge la ricerca di riconoscimento, la volontà di apparire come un «buon» povero. Gran parte dei beneficiari si sforza di mostrarsi conforme all’esigenza di attivazione, partecipando a misure d’integrazione che peraltro sono lungi dal garantire uno sbocco nel mercato del lavoro. Molte persone, però, semplicemente non dispongono delle risorse necessarie. Così i «progetti» che in alcuni cantoni sono tenuti a elaborare diventano spesso un’esigenza supplementare, dal peso insopportabile. Il fatto è che queste misure non sono un diritto per il beneficiario, bensì un obbligo. Nella pratica, si rivelano degli strumenti che, attraverso l’imposizione della morale dell’attivazione, rendono meno attrattiva l’assistenza”.

» di Stefano Guerra

so politico-scientifico che presenta la povertà come un problema individuale, con cause e soluzioni individuali. La responsabilità strutturale, della società, passa in secondo piano. Diventa così molto meno scandaloso accusare i più poveri di approfittare dell’aiuto pubblico. Infine, nel 1999 l’assistenza viene riconosciuta come un diritto costituzionale, e molti cantoni abbandonano l’obbligo del rimborso. Il discorso attuale sugli abusi nasce anche dal timore che questo diritto venga esercitato con disinvoltura”.

* A fine maggio 2009 in Ticino gli abusi accertati erano 18, lo 0,64% delle circa 2.800 richieste d’assistenza. Nella migliore delle ipotesi, il loro impatto annuo è di 294mila franchi, lo 0,5% circa del totale delle prestazioni versate nel 2008 (Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento, 1. Rapporto ispettore sociale Ussi, 27 luglio 2009).

Allevia il mal di gola e disinfetta Qua... Qua...

Leggere i foglietti illustrativi.

Combina Mebucaïne e Mebucaspray


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Il fumatore assediato

Annalisa Cattani Pubblicità e retorica. Meccanismi argomentativi della persuasione Lupetti, 2009 Il saggio propone un’applicazione della retorica alla pubblicità “come analisi delle strategie che mirano alla persuasione”, ripercorrendo le varie tappe di ideazione, disposizione, espressione e messa in scena del messaggio pubblicitario.

marca di sigarette che pubblicizza la virilità del tenebroso cowboy. È scientificamente provato che il fumo della sigaretta contiene benzene, nitrosamine, sorta di “elettroshoc” visivo. formaldeide e cianuro d’idrogeno e che le Lo scopo delle immagini evosigarette sono fonte di numerosi batteri, recative è quello di scuotere e sistenti alla combustione, in grado di causare impaurire i fumatori. “I fumainfezioni e malattie. Le cifre dell’Accademia tori muoiono prima” e “Il fumo di medicina sul tabagismo, pubblicate in provoca il cancro” sono alcuni Francia nel 1999, parlano di 1,2 miliardi dei messaggi intimidatori e di fumatori, 5 milioni di morti su scala coercitivi. Ormai l’ideologia planetaria e di 4,5 bilioni di mozziconi che igienista, quella evocata da inquinano l’ambiente. Sullo stesso pacchetMarc Bonhomme nel suo stuto sono iscritte due comunicazioni: quella dio Democrazia, propaganda e promozionale della marca e quella dissuaretorica (vedi Apparati) imposiva del Ministero della salute. Il messaggio ne all’industria del tabacco soggiacente è l’emblema del paradosso. Marc la diffusione di rappresentaBonhomme sottolinea che le misure, oltre ad zioni terrificanti sul retro dei alimentare il marketing sociale e le strategie pacchetti di sigarette: una del capitalismo, simboleggiano il crescente bocca deturpata dal cancro, controllo dello Stato sulle condotte persoun bambino con la maschera nali dei cittadini, in nome di una politica d’ossigeno, un polmone deche tende a diventare il credo delle società vastato dal fumo sono alcuni moderne. Uno studio condotto in Francia frammenti di realtà a colori, nel 2004, su un campione di 1047 fumatori, conferma che tre La comunicazione pubblicitaria si avvale spes- quarti degli interrogati so di un linguaggio caratterizzato da una forte ritengono pertinente ambiguità e da un contenuto marcatamente l’iscrizione delle avpersuasivo. Il caso delle campagne antifumo vertenze sui pacchetti, il 19% di loro dice di riprodotti in serie sulle conavere rinunciato alla sigaretta, il 79% sostiefezioni. Il rischio d’impotenne che le misure anti tabacco servono alla za sessuale, dovuta al fumo, discussione, mentre il 68% afferma che la non è però stato tradotto in loro presenza contribuisce all’informazione immagini per evidenti motivi sulle conseguenze nefaste del fumo. Senza di decoro. Ciò avrebbe perlocontare che ci sarà pure un’assuefazione alle meno sconfessato una nota immagini di morte.

» di Nicoletta Barazzoni

Media

pubblicità della compagnia telefonica italiana Wind risalente a quest’estate avrà lasciato a bocca aperta chi confida nella maestosità del messaggio religioso. Il grande marchio arancione era infatti posto su un lenzuolo bianco che, ricoprendo il colonnato del Bernini, si erigeva a sponsor ufficiale dei lavori di restauro della Basilica di San Pietro. L’ambiguità, in questo caso, è dovuta alla strategia dell’azienda che mal si sposa con la sacralità dei luoghi vaticani. Ma quale collegamento ci può essere tra la pubblicità dell’operatore italiano della telefonia mobile e le misure anti tabacco avviate in Gran Bretagna ed estese, da inizio ottobre, in tutta Europa? Apparentemente nessuno. Eppure è evidente come, in entrambi i casi, siano le immagini a giocare un effetto psicologico sui nostri processi mentali. Se prima sul retro dei pacchetti di sigarette spiccavano solo le avvertenze scritte, da qualche mese i rischi e pericoli del fumo vengono amplificati da una

Marc Bonhomme et al. Communication de l’Etat et gouvernement du social Presses Universitaires de Grenoble, 2009 Il volume in francese, raccoglie, oltre a quello di Bonhomme, contributi di altri autori come Emmanuelle Danblon, Philippe Breton e Patrick Charaudeau.

»

La

Libri


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La sala e il salotto “Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come una tavola è posta tra coloro che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in-fra, mette in relazione e separa gli uomini allo stesso tempo” (H ANNAH A RENDT)

teoria; in pratica, oggi, dove si guarda la televisione, che ha sostituito, nel mondo postmoderno il fuoco del camino: infatti, posti davanti al fuoco, non possiamo fare a meno di fissare incantati la fiamma che si muove, ondeggia, danza, oscilla, analogamente alla visione del mare del quale non possiamo non contemplare, immersi nella meditazione, nel sogno, nella fantasticheria, il moto delle onde. Oggi non riusciamo a sottrarci dal gettare almeno uno sguardo verso lo schermo del televisore acceso, se si trova nelle nostre vicinanze. Abbiamo sostituito lo spettacolo del movimento del fuoco del camino o della fiamma della candela con il monitor – sempre più grande – e le sue immagini mobili e fredde, ma il principio resta il medesimo: subiamo il fascino della luce ondeggiante che attrae lo sguardo e invita a rilassarsi. Con o senza fuochi e camini i salotti furono comunque, per secoli, luoghi nei quali si esercitava l’arte della conversazione, talvolta “civile”, allorché i convitati educatamente discutevano di tematiche interessanti i cittadini, civili dunque (noi diremmo civiche); talvolta “incivile”, senza mai comunque toccare i vertici di maleducazione, sopraffazione e volgarità che caratterizzano oggi i salotti televisivi italiani. Esortiamo dunque i partecipanti a tali dibattiti a riprendere in mano testi del Cinquecento come La civil conversazione di Stefano Guazzo o magari Il galateo di Giovanni Della Casa, invece di frequentare apposite scuole di conversazione incivile dove viene insegnata, pare, l’arte di interrompere, intimidire e sopraffare con le urla l’avversario. Auspichiamo insomma che si conversi e si guardino spettacoli televisivi civilmente seduti su divani e poltrone, che insieme formano il mobilio detto a sua volta “salotto” (abbiamo comprato “un Luigi XV”), nel salotto o soggiorno, che dall’atto di dimorare (soggiornare) in una data località è diventato l’ambiente in cui si sta “sotto il giorno”, per poi recarsi in camera da letto a dormire, “sotto la notte”.

Domus

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» di Francesca Rigotti; illustrazione di Mimmo Mendicino

Iniziamo questa volta con una citazione della grande pensatrice ebrea tedesca che ci fornisce l’occasione per partire dalla tavola e costruirvi attorno, per così dire, l’intera sala da pranzo. È su questa tavola, asse di legno o di altri materiali, che s’apparecchia la mensa per la consumazione del pasto, sia che si ci trovi in una apposita sala o salone, sia che si pranzi più semplicemente in cucina, o in un angolo del soggiorno, se non addirittura del tinello (magari marròn, come quello che il padrone del Mocambo condivide con una fantomatica austriaca nell’insuperabile canzone di Paolo Conte). La tavola/ mensa è così importante e centrale che Arendt la paragona addirittura al mondo, quel mondo fatto e abitato dall’uomo che come tavola unisce e separa e mette in relazione i commensali stabilendo tra loro la giusta intimità ma anche l’opportuna distanza; la tavola insomma ci riunisce insieme e tuttavia ci impedisce – con l’essere tra noi frapposta – di “caderci addosso a vicenda”. Intorno, sopra e sotto e ai lati della tavola – termine composto su una radice ta – che significa stendere ed essere steso (da cui anche estensione) – si trova la sala vera e propria, stanza ove si apparecchiano le mense o anche il locale meglio ornato della casa, nel quale si accolgono le persone che vengono a fare visita. “Sala” non è una parola derivata dal latino o dal greco, le lingue che più massicciamente impregnano il nostro vocabolario; viene invece dall’antico tedesco sal, termine che indicava originariamente la struttura organizzativa della piccola proprietà terriera e che a noi portarono, diffondendolo anche nel meridione d’Europa, i guerrieri dalle lunghe alabarde o longobardi, che depositarono qua e là questo toponimo testimoniando linguisticamente la loro discesa verso il centro-sud della penisola italica, giù giù fino a Sala Consilina nell’odierna Campania. Dalla sfarzosa sala passiamo ora al più modesto salotto, che invece è, della casa, l’ambiente dove si riceve e si conversa, in


» testimonianza raccolta da Keri Gonzato; fotografia di Igor Ponti

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alla preparazione, riuscendo spesso a esasperare i miei collaboratori. Nel mio lavoro di giornalista per le rubriche culturali della RSI, anche per una breve intervista, divoro articoli e libri per conoscere al meglio la persona che ho davanti. Le sue risposte sono quello che arriva al pubblico, la preparazione è quello che rimane a me! Per poter lavorare in modo indipendente nel 2004, ho fondato la mia casa di produzione cinematografica “Venus and beyond” con l’amico Ivan Nurchis. Il nostro primo progetto fu Nocaut un documentario sul valore simbolico del pugilato nella Cuba socialista. Un percorso formativo controcorrente ha In quell’occasione ci siamo forgiato uno spirito assetato di libertà. lanciati parecchie sfide: girare in pellicola nonostante fosse La curiosità ha alimentato una vita fatta la prima regia, usare unicadi viaggi e scoperte professionali. Com- mente la lingua spagnola che positore, giornalista, regista… interpreta nessuno dei due maneggiava con facilità, confrontarsi con il ritmo dell’esistenza, a modo suo tutti gli stereotipi che somvita ci vuole passione, però mergono Cuba e vivere a stretto contatto mi è capitato spesso di farmi con le persone del luogo. A distanza di anni guidare unicamente dalla rami rendo conto che tutti i documentari che gione per prendere la scelta ho vissuto così intensamente, specialmente più consona al mio percorso per l’aspetto umano, mi hanno profondadi uomo. Nel 1998, dopo diemente cambiato. Entrare nel profondo di ci anni trascorsi felicemente altri mondi è un’esperienza sconvolgente, sia ai microfoni di Rete Tre, mi che questo avvenga nelle montagne etiopi sono posto l’obiettivo di dio nel centro di Lugano. Vorrei che la gente ventare un regista documenqui da noi fosse più curiosa e aperta. Mi tarista e di riuscire, entro dieci affligge il poco interesse che suscita la culanni, ad arrivare a un festival tura, a favore invece di un intrattenimento internazionale con un film. sempre più demenziale. Non si tratta solo di Se avessi seguito il mio spirito moltiplicare le cosiddette attività culturali, onnivoro e bulimico mi sarei parlo del valore di dignità e consapevolezza perso in mille rivoli. Invece che la cultura porta nella vita di ognuno. mi sono fissato uno scopo, Manca la “fame” di cultura. Mi ricordo dei l’ho perseguito con disciplina giovani di Timor Est che avevo incontrato e ce l’ho fatta (con il docuper un documentario su una loro scuola di mentario Hugo in Africa ha Belle Arti, nata per miracolo da un vecchio vinto il Premio della critica ospedale bruciato, in un paese ridotto alla 2009 per la regia al Festival fame. Passavano la giornata a perfezionare di Venezia, ndr.). le loro tecniche e la sera dormivano vicini Adoro la complessità del cialle loro opere, per terra o negli armadi! nema. Per essere regista non Ricordo anche il volto pieno di gioia di un basta avere il cappellino alla bambino etiope al quale avevo regalato una Spielberg ed essere sempre alla penna dall’inchiostro rosso, che subito aveva ricerca della “Santa Inquadrausato per realizzare splendidi disegnini arzitura”. Bisogna saper reggere la gogolati. Era l’ultimo giorno di tre settimane coerenza del progetto dall’inidi riprese in zone poco popolate. Il giorno zio alla fine, in tutti i suoi dopo, 24 dicembre 2007, mi ritrovai a Lugaaspetti. C’è indubbiamente no nel caos assurdo degli acquisti natalizi. molta tecnica ma è la visione Una doccia fredda. È un mestiere che spesso d’insieme a essere cruciale. ti mette in crisi, ma adoro il suo modo di Infatti dedico molto tempo entrare a gamba tesa nella mia vita.

Stefano Knuchel

Vitae

primi cinque anni della mia vita li ho passati in Ticino e forse è per questo che, pur essendo uno spirito libero, ho un certo attaccamento a questo luogo. In seguito la mia vita ha preso una piega nomade. Mio padre ha trascinato la famiglia in un viaggio in bilico tra il reale e l’assurdo attraverso l’Europa. Siamo stati in oltre una cinquantina di posti. Era una vita estremamente eccitante, ma non sempre facile, soprattutto quando il viaggio si è trasformato in una fuga dalla polizia a causa degli “affari” di mio padre. Questa libertà mi si è impressa dentro. Fatico ad accettare le strutture chiuse e le etichette. In compenso sono estremamente metodico e detesto il disordine. Le strade che ho percorso seguono una linea eccentrica. In tutto ho frequentato non più di 3 anni di scuola. Non ho alcun diploma da vantare, tranne quelli di Tip Tap, ottenuto a Montpellier, e di arrangiatore per Big Bands (al Conservatorio di Friborgo). La mia spinta all’apprendimento è la curiosità. Sorprendo spesso gli amici perché riesco a essere in più posti allo stesso tempo, ad assorbire grandi quantità di informazioni e a ricordarmi tutto. Questa è sicuramente una delle mie qualità più spiccate. Da autodidatta ho sempre il timore che la scuola spenga la fiamma dell’individualità. Cerco di insegnare a mia figlia che non deve aspettare che siano i diplomi scolastici a dirle chi è o cosa può fare ma che deve ritagliarsi il suo spazio da sé. Ora sta curando un sito e sono fiero di vedere che si esprime a modo suo. Nella giungla di impegni lo spazio dedicato a lei è intoccabile. Sono affascinato in ugual misura dalla cultura alta e da quella bassa, adoro le opposizioni e le incoerenze. Chi si contraddice, dubita e si muove, comincia ad essere interessante. Detesto chi si rifugia dietro un modello collaudato. Insomma, nella

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I


Oltre il Po

di Alessandro Tabacchi; fotografie di Giosanna Crivelli

Noto per i suoi vini, i castelli e la dolcezza del paesaggio, l$Oltrepò pavese, area di cui fanno parte ben %# comuni della provincia di Pavia, si incunea lungo l$asse nord-sud quasi a lambire il confine con la vicina Liguria. Ci siamo mossi lungo le sue strade alla ricerca di realtà ormai scomparse, ma le cui tracce restano vive tra i filari, luoghi di operosità e di fatica, e nei centri abitati, la cui storia affonda nei secoli


sopra: l’aspetto spoglio e un po’ spettrale della vigna in pieno inverno; nell’area dell’Oltrepò la produzione vinicola rappresenta la principale risorsa economica prima di reportage: il tetto di una cascina oltre l’argine maestro del Po. Il corso del fiume segna un confine netto all’interno della provincia pavese



sopra: il mare di nubi nasconde le colline dell’Oltrepò osservate dalle pendici del monte Penice al centro: la signora Maria Chiappano ritratta con il nipotino nella sua salumeria di Varzi, luogo di produzione del mitico salame

C

os’è un confine? Una linea immaginaria che divide culture, paesaggi, linguaggi, tempi? O forse una astratta costruzione intellettuale che ci permette di giustificare diversità altrimenti poco catalogabili? L’esperienza di questo ultimo reportage in compagnia di Giosanna Crivelli mi ha fatto riflettere molto su questo termine. L’Oltrepò possiede una morfologia particolare: ampie e generose colline, che poco per volta diventano montagne dalle forme bonarie, si innalzano dall’estremo lembo della Pianura padana subito a sud del Po, generando un paesaggio agricolo forgiato nei secoli dalla mano dell’uomo, con ampie porzioni collinari fasciate da splendidi vigneti, che, con la loro armonica ripetitività, mi fanno sempre pensare a una partitura musicale impressa fra i boschi e i casolari. Percorrere la Valle Staffora da Voghera fino al passo del Penice significa lasciare alle spalle una pianura resa ormai anonima dall’onnipresenza delle costruzioni prefabbricate, delle squallide stazioni di servizio, dei megacentri commerciali e dei concessionari d’auto, per inoltrarsi in un mondo che, all’apparenza, poco sembra essere cambiato negli ultimi cento anni, animato da antichi borghi dalle cui cantine esalano ancora i sapori della tradizione. Eppure anche qui le cose non stanno proprio come appaiono: prova ne sia la nostra disperata ricerca di un’osteria autentica, quella coi vecchietti che giocano a carte attorno a una bottiglia di vino rosso senza etichetta, per intenderci, tavoli di formica e atmosfera calda e fumosa, quelle che venivano chiamate “le società” solo pochi anni fa. Pensavamo di fare di queste immagini il perno del reportage, per metterle in relazione ai paesaggi

incontrati lungo il cammino. Orbene, di siffatte osterie non ne abbiamo trovate! Non che manchino i bei locali: ma sono identici a quelli che ci siamo lasciati alle spalle nella pianura spersonalizzata, e, qualora vogliano apparire autentici (mattoni e travi di legno a vista, per intenderci), appaiono forse ancora più posticci dei mille irish pub che hanno sterminato i nostri beneamati baretti di periferia. Per fortuna la nostra ricerca di autenticità è stata appagata. Nel paese di Varzi abbiamo scovato, complice l’aiuto di un neosindaco coscienzioso e di belle speranze, un negozio autentico, che sembra essere uscito dagli anni quaranta, dove sulla porta si può leggere “suonate ma datemi il tempo di scendere”, dove a servirti è una meravigliosa nonnina piena di vigore anche se un po’ dura di orecchio, la cui cantina stipata di salami meravigliosi emana ancora odori che paiono giungerci da chissà quanti anni fa. Salendo poi verso il passo del Penice (ormai in piena montagna) siamo stati sorpresi dalla bellezza dei boschi di pini che hanno offerto scatti molto suggestivi: orbene, ho scoperto che non sono autoctoni, ma sono stati impiantati artificialmente alcuni decenni fa, e che gli ambientalisti li considerano una sorta di oltraggio alla flora autentica dell’Appennino. Belli, ma artificiali, quindi? O semplicemente belli e basta? Proprio osservando questi boschi splendidi, e rimuginando sulla scomparsa di ciò che fino a pochi anni fa era scontato, ho meditato su cosa sia un “confine”: una convenzione che ci permette di mettere in relazione ciò che c’è e ciò che non esiste più. Un esercizio di nostalgia. Il prezzo pagato per il semplice fatto di “esserci”, e avere qualcosa da ricordare.


sopra: la produzione vinicola dell’Oltrepò ha nella Bonarda, nel Barbera e nei diversi Pinot i suoi punti di forza


Corto Maltese, la Svizzera e l’immortalità | Tendenze, p. 38 | di Roberto Roveda |

La prima vignetta mostra un paesaggio collinare, con un cartello che indica 4 km a Montagnola. Tre vignette ancora e scopriamo che a percorrere le lande del Canton Ticino è l’eroe dei fumetti più inatteso in terra elvetica, Corto Maltese. A portarlo in Svizzera è il suo creatore, Hugo Pratt, per donargli nientemeno che l’immortalità!

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el 1987 Corto Maltese compie vent’anni dal suo esordio a fumetti e Hugo Pratt per festeggiare la ricorrenza scrive e disegna una nuova avventura del suo eroe più conosciuto. Immediatamente, pensando a questo marinaio, avventuriero e pirata immaginiamo un’ambientazione tipica del mondo di Pratt, i mari tra Polinesia e Melanesia, l’Argentina oppure l’Africa. Niente di tutto questo: il creatore di Corto Maltese sceglie a sorpresa la Svizzera e realizza una storia intitolata “Le elvetiche”. “In Svizzera dovevo mandare Corto, per fargli trovare il regalo che ho preparato per il suo ventesimo compleanno: non farlo invecchiare grazie al Sangue Reale, l’elisir di lunga vita che rende immortali e che lui beve. Così gli ho garantito l’immortalità!”. Ambientare questa nuova avventura di Corto Maltese in terra elvetica era anche un modo per proseguire sulla strada dell’identificazione tra il personaggio e il suo creatore. Le peregrinazioni per il mondo del nostro marinaio, infatti, erano sempre coincise con gli spostamenti di Pratt, eterno vagabondo, che però, dal 1983 risiedeva stabilmente vicino a Losanna e che aveva trovato nella Svizzera il luogo adatto dove riordinare una vita di esperienze e viaggi. Così Corto Maltese nel 1924 si ritrova ad accompagnare un vecchio amico, il professor Jeremiah Steiner dell’Università di Praga, a Casa Camuzzi, residenza ticinese dello scrittore Hermann Hesse. Come avviene sempre nel mondo di

Corto Maltese, ben presto realtà, storia, sogno e leggenda cominciano a mescolarsi e il marinaio di Pratt si ritrova a viaggiare in una Svizzera che non è quella dei luoghi comuni più triti, del cioccolato, delle banche e delle placide vallate con vette sullo sfondo. Pratt – è sempre lui a dircelo – prepara per il suo eroe un viaggio nella terra del mito e dell’esoterismo, un viaggio in cui sogno e realtà diventano indistinguibili: “C’è una Svizzera misteriosa, che si tende a ignorare. Da quelle parti viene Paracelso, medico, mago, alchimista. Lì la letteratura medievale trova il suo punto di raccordo tra i cavalieri di re Artù e Sigfrido che va alla ricerca dell’oro alle sorgenti del Reno. […] In Svizzera tutto il mondo pagano, legato a Merlino e alla Fata Morgana, si unisce alla letteratura del Sacro Graal, che è poi il Sangue Reale”… l’elisir che dona l’immortalità, appunto. Forse grazie all’avventura in terra elvetica oppure, più probabilmente alla magia creativa di Hugo Pratt, Corto Maltese è diventato veramente un immortale, un personaggio totalmente slegato da mode o stagioni: fatalmente universale ed eterno. Non invecchia, o meglio invecchia bene come certi vini e le oltre mille tavole realizzate da Pratt dal 1967 al 1988, continuamente ripubblicate dalle edizioni Lizard (www. lizardedizioni.com). È il fascino di un eroe estraneo al tempo e alle convenzioni, eppure percepito dai lettori come “vicino”. Anche quando compie imprese al di fuori della

portata della maggior parte di noi, Corto Maltese rimane, infatti, profondamente umano: con la sua sigaretta in bocca, l’orecchino all’orecchio sinistro e la divisa da ufficiale della marina mercantile – un eroe anarchico come quello di Pratt mai indosserebbe una divisa militare! – è l’uomo che tutti gli uomini vorrebbero un poco essere e che tutte le donne vorrebbero incontrare almeno una volta nella vita. Senza poteri da supereroe, Corto domina la scena con la consapevolezza di conoscere il mondo e le sue regole... sapendo di essere comunque un poco meglio del mondo che lo circonda. Corto Maltese è l’ultimo degli avventurieri e si muove in un’epoca – il primo trentennio del Novecento – non ancora del tutto modernizzata e tecnologica, in un mondo dove gli spazi terrestri e le distese marine possono concedere a un “gentiluomo di ventura” di dare il meglio di sé, agendo liberamente, con forza e vigore, ironia e distacco. “Non sono nessuno per giudicare, so soltanto che ho un’antipatia innata per i censori, i probiviri… ma, soprattutto, sono i redentori coloro che mi disturbano di più”: ecco in poche parole Corto Maltese, la sua filosofia di vita. Semplice, schietta ed eterna come può essere quella di un eroe letterario. Anche in Svizzera, bevuto l’elisir dell’immortalità, incontrato Hesse, Corto se ne riparte come nulla fosse da Montagnola in compagnia della pittrice Tamara De Lempicka verso Zurigo. La sua avventura continua e così la nostra con lui ■


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Astri gemelli

cancro

Periodo ottimale per risolvere un vecchio affare insieme a un amico importante. I nati nella terza decade devono stare attenti a non cedere a una momentanea pigrizia perché è venuto il momento di darsi da fare.

Grazie a Mercurio e Venere la settimana si presenta positivamente. Curate di più la vostra forma fisica. La Luna in Capricorno tra il 14 e il 15 gennaio potrà favorire il sorgere di atmosfere romantiche.

Grazie a Marte di transito nella vostra terza casa solare, incredibile intensificazione delle attività sociali oltre che intellettuali. Attenti a rispettare le idee altrui. Vita sociale e lavorativa in fermento.

State attenti a non istaurare con il partner un ciclo di critiche autodistruttive. Credete di più nel futuro. A breve Giove inizierà a stare dalla vostra parte portandovi una serie di benefici.

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State attenti a non sopravvalutare una situazione. Oltretutto in questa fase dell’anno correte il rischio di idealizzare troppo il partner. Giove e Nettuno in opposizione potrebbero falsare le vostre capacità di giudizio.

Tra il 14 e il 15 gennaio Luna congiunta a Mercurio e Plutone. Questo aspetto, unitamente al trigono con Venere, potrebbe spronarvi alla decisione di concepire un figlio. Nuove forme di comunicazione in casa.

Dal 10 gennaio i nati nella prima decade dovranno stare attenti a non istaurare un clima di polemiche con i membri della propria famiglia di origine. Momenti di gloria per i nati della terza decade.

Cercate di canalizzarvi maggiormente verso il raggiungimento di un obiettivo preciso. Amori alla grande per i nati nella terza decade. Irascibilità per i nati della seconda decade, sempre strattonati da Marte.

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Novità professionali per i nati nella terza decade favorite dal transito di Giove e Nettuno nella terza casa solare. Particolarmente protette le pubbliche relazioni e così le attività creative. Nuove passionalità.

Grazie a una concomitante Luna positiva, tra il 14 e il 15 potrete vivere atmosfere particolari di forte intensità emotiva. Amori per i nati nella prima e terza decade, sorretti dai transiti di Mercurio e Venere.

Affari e ottime possibilità di guadagno nel commercio, nei media e nell’informatica. Sentimenti e tentazioni tenderanno a sovrapporsi improvvisamente. Momenti di frenesia per i nati nella seconda decade.

Grazie agli aspetti con Venere e Urano si delineano costantemente nuovi scenari. State comunque attenti tra il 11 e il 13 a non farvi travolgere dal troppo lavoro. Ottimi momenti in compagnia del partner.

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Orizzontali 1. Scultore greco • 9. Intacca la vite • 10. Lubrificano • 11. Fu tramutata in cigno • 12. Esperimento, tentativo • 14. Profondo • 15. Un colore • 16. Lamentarsi, patire • 18. Dittongo in giada • 19. Vendono monili • 21. Germania e Malta • 23. Nostro in breve • 24. Pubblicano libri • 25. Il pronome dell’egoista • 26. Gianni, poeta del dolce Stilnovo • 27. Ultimo Scorso • 28. Diverbi • 29. Oriente • 30. Intelligenti, edotti • 33. Tiro centrale • 34. Gioco... inglese • 35. Occhiello • 36. Danno un punto a scopa • 37. Pari in Marzia • 38. Le iniz. di un Luttazzi • 39. Il noto Banfi • 40. Frulla in testa • 42. Pari in mastro • 43. Un obiettivo del fotografo • 45. Capo etiope • 46. Il nome di Papi • 48. La casa dell’ape • 49. Nord-Est.

quando vedono rosso • 7. Lodi • 8. La madre di Tiberio • 12. Temporali, violenti scrosci • 13. Dittongo in Paolo • 15. Urlati • 17. Lentiggine • 20. Andato in poesia • 22. Poeta provenzale • 28. Lucente, splendente (f) • 31. La perla del collezionista • 32. Il nome della Duncan • 41. Sta per “metà” • 43. Scuola buddhista • 44. Gavitelli • 47. Cuba e Norvegia.

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Verticali 1. Hanno tutti gli angoli e i lati uguali • 2. Tornato a galla • 3. La parte del tronco fra torace e bacino • 4. Chiude la preghiera • 5. I confini di Sonvico • 6. S’infuriano

Soluzione n. 53 2

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» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 4

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