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L’appuntamento del venerdì

R EPORTAGE Agricoltura biologica | AGORÀ Giovani e sport | KRONOS Uomini e topi | VITAE Michael Beltrami

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

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numero 20 14 maggio 2010

Agorà Pratica sportiva e agonismo: il ruolo delle società Kronos Uomini e topi

DI

GIANCARLO FORNASIER

DI

ELISABETH ALLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Impressum

Vitae Michael Beltrami

Tiratura controllata

Reportage Una vita da Bio

GIORGIA RECLARI; FOTOGRAFIE DI ROBERTO BUZZINI . . . . . . . . . . . . . .

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Chiusura redazionale

Giochi / Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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89’345 copie (72’303 dal 4.9.2009) Venerdì 7 maggio

DI

ELISABETH ALLI DI

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Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Dignità femminile

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

Un campo di grano dell’azienda La Colombera, Sant’Antonino Fotografia di Roberto Buzzini

Cari lettori, sul numero 17/2010 di Ticinosette abbiamo pubblicato un’intervista di Roberto Roveda all’avvocatessa Hadia Himmat sul tema della condizione femminile nel mondo islamico. Contestualmente, vi sono stati una serie di interventi che hanno contribuito a riaccendere l’attenzione su questo e altri temi correlati: da un lato le dichiarazioni deliranti e pericolose di Nicolas Blancho, dall’altro il voto del Gran Consiglio argoviese che ha mostrato di accogliere la proposta dei Democratici svizzeri di vietare il burqa negli spazi pubblici nazionali. Fra l’altro, in Redazione abbiamo ricevuto da una lettrice una lunga lettera assai polemica nei confronti di quanto espresso proprio dalla signora Hadia Himmat. Nonostante la tematica sia estremamente complessa e controversa – intorno a essa ruotano nel mondo occidentale posizioni filosofiche, culturali e religiose diverse, che vanno dal più estremo laicismo a forme di aperta e irragionevole xenofobia – ci pare indispensabile tentare di assumere una posizione il più possibile corretta e indipendente. Il burqa e il niqab (gli indumenti che lasciano intravedere solo l’area degli occhi) sono certamente un problema, in quanto, come sostiene Saîda Keller-Messahli – Presidente del Forum per un Islam progressista, intervistata dal “Corriere del Ticino” il 6 maggio scorso – rappresentano “una violazione dell’integrità corporale della donna”. Detto questo è indispensabile precisare che questo tipo di abbigliamento è estremamente raro, ma citarlo a paradigma risulta molto comodo a qualcuno. Come, per esempio, al signor R. F. di Bosco Luganese – la sua lettera appare sullo stesso numero del “CdT” – che pensa bene di fare, come molti di questi tempi, di tutta l’erba un fascio. Il lettore definisce infatti, non senza una sfumatura dispregiativa, “stracci islamici” il burqa, come i foulard e gli scialli che la maggior parte delle donne islamiche invece indossano e che, peraltro, lasciano perfettamente visibile il volto. Ma il lettore del

“CdT” vorrebbe andare oltre: “vietare ogni tipo di copricapo in tutte le scuole pubbliche e private ticinesi, comprese quelle superiori e professionali”. Perché, evidentemente, le ragazze che portano questi indumenti (non necessariamente il burqa) sono costrette da “genitori e parenti ultraortodossi e fanatici”. E, dunque, dei potenziali terroristi, immaginiamo... La pensa in maniera un po’ diversa invece Ulrich Schüler il quale, benché sia stato il promotore dell’iniziativa antiminareti, non si nasconde dietro il dito, sostenendo che “la Svizzera deve lottare contro l’islamismo politico, mentre il burqa è in ultima analisi solo un indumento”. Che una donna, musulmana o meno, indossi un foulard o uno scialle non ci pare rappresenti né una minaccia né un motivo di scandalo e neppure un’offesa alla sua dignità di essere umano. Piuttosto, vi invitiamo a osservare con maggiore attenzione l’abbigliamento di molte nostre adolescenti e giovani (e meno giovani) donne che, aderendo ai modelli proposti dai media pubblicitari e televisivi, non rivelano spesso alcun senso di pudicizia nel mostrare seni e sederi. Evidentemente, per noi, i modelli femminili occidentali – con tutto l’indotto rappresentato da tette rifatte, dalle ossessioni per la perfezione fisica, dalla mercificazione di volti e corpi in pose esplicite e sessualmente sin troppo ammiccanti – sono assai meno problematici e meno lesivi della “dignità femminile”. O forse, più probabilmente, risulta più comodo e appagante criticare società che fanno scelte differenti o chi appartiene a una cultura diversa. Ma qui la questione è un’altra. Concerne la paura. Ricordiamo allora le parole rivolte a suoi studenti dal professor Falconer, il personaggio interpretato da Colin Firth nel recente lungometraggio A Single Man di Tom Ford: “Le minoranze non sono che persone, persone come noi. La paura è il nostro vero nemico e sta invadendo il nostro mondo. La paura viene usata per manipolare la nostra società”. Cordialmente, la Redazione


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Il piacere dello sport La psicologia sportiva è più pragmatica quando si tratta dell’apprezzamento del “piccolo super atleta”. A tal riguardo Mattia Piffaretti specialista in psicologia dello sport ci dice che: “All’inizio del percorso agonistico la parola d’ordine per i giovanissimi è esplorare, misurandosi con la polisportività. Infatti, purtroppo o per fortuna, non esiste il gene del cestista o della pattinatrice: esiste piuttosto una sorta di innamoramento di questa o quella disciplina che con il tempo sboccia in passione”. Nell’ottica della polisportività alcuni anni or sono il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS), su proposta di Swiss Olympic e con il sostegno di alcuni sponsor privati ha coniato il programma Talent Eye (“Occhio al Talento”) che, come ci spiega Amedeo Rondelli, delegato alla Scolarizzazione dei Talenti in Ticino, conosce oggi uno “stop” tecnico per meglio ridefinirsi: “Il progetto aveva come scopo di detettare il talento sportivo in giovane età attraverso sessioni d’allenamento extra-scolastiche e la conoscenza diretta «sul terreno» di diverse

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Agorà

ella fascia d’età tra i 10–20 anni, il Ticino è uno dei cantoni più sportivi con 35.000–38.000 giovani che partecipano alle attività proposte dalle circa 700 società e associazioni sportive ticinesi. Poi, più in là con l’età, torniamo a essere meno attivi degli svizzero tedeschi, tuttavia mi preme gettare acqua sul fuoco evitando di suscitare inutili paure: siamo sì meno «sportivi», ma nessuno è in pericolo di morte come potrebbero lasciar suppore alcuni messaggi allarmistici”, ci ricorda Marco Bignasca responsabile dell’ufficio Gioventù e Sport ticinese. Ciononostante, c’è chi mormora che le cifre relative alle adesioni dei giovanissimi nei club sportivi nascondano un trend battezzato, da alcuni monitori, del “piccolo super sportivo”, espressione che contraddistingue il ragazzino che pratica più di una disciplina all’anno gonfiando così in modo artificiale le statistiche: “Non è raro incontrare bambini che all’età di 10 anni hanno alle spalle esperienze stagionali in discipline sportive disparate e praticano più di uno sport a settimana. Generalmente, ce li contendiamo”, ammette un monitore di basket, che prosegue, “sono piuttosto dotati, ma alla fine, però, vince sempre il calcio. È una specie di magnete per i maschietti”.

Pratica sportiva e agonismo: il ruolo delle società

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Le società sportive – ossatura del movimento agonistico nel quale hanno mosso i primi passi i campionissimi protagonisti delle recenti Olimpiadi di Vancouver –, devono imparare a convincere una gioventù sempre più attratta dalle sensazioni forti e dai risultati spettacolari… ma, al contempo, assai poco incline ad accettare sacrifici e rinunce petitivo, ma interessa meno a chi intende praticare uno sport per il puro piacere di far del movimento. È infatti difficile motivare le centinaia di volontari che animano i club, togliendo loro la gratificazione insita nello sport di competizione” evidenzia Rondelli. Il passaggio dallo “sport piacere” allo “sport agonistico” miete tuttavia delle vittime dissanguando i club: “Tra i 13 e i 17 anni non è raro incontrare giovani nel pieno della loro «rottura agonistica», ragazzi che qualche anno prima avevano abbracciato una disciplina sportiva animati da una passione che poi con gli anni si è affievolita. Spesso quando vengo sollecitato dalla famiglia, il giovane atleta ha già deciso unilateralmente di chiudere con la pratica sportiva e con l’esercizio fisico. Il mio ruolo è di accompagnarlo aiutandolo a ridefinire una collocazione dello sport nella sua vita, incorraggiandolo a non voltare le spalle definitivamente all’attività fisica, che resta comunque una valvola di sfogo fondamentale”, ammette Piffaretti.

La rottura agonistica Riassumendo abbiamo da un lato l’opera più che lodevole d’invogliare i piccoli a fare del moto a 360 gradi grazie a GS Kids; d’altro lato, dopo i 10 anni, l’effettivo è convogliato nei club sportivi ticinesi, dove la logica è invece improntata alle soddisfazioni che procurano l’agonismo e i risultati. “Il club sportivo ha un ruolo nella crescita dello sport com-

Società sportive, Stato e famiglie Per mantenere alta la fiamma agonistica tre condizioni devono essere contemplate. In primo luogo l’opportunità di conoscere e praticare una disciplina, e per questo è necessaria una certa libertà nell’esplorazione. Secondariamente, è necessario assicurarsi che il giovane atleta abbia la capacità fisica e motoria per sentirsi a proprio agio nello sport praticato. Infine, è indispensabile la volontà

per lavorare sodo al fine di raggiungere il massimo della propria espressione sportiva. La rottura agonistica avviene quando la motivazione, con la quale si è aderito alla pratica sportiva, garante della volontà, vacilla. A questo proposito Lisa, giocatrice di tennistavolo, ha di recente raccontato a La Regione Ticino: “Tra noi ragazze è così, quando una comincia uno sport vanno le sue amiche e poi quando un’amica smette, smettono anche le altre”. La rottura agonistica a partire dai 13–15 anni è un dato di fatto, ma gli abbandoni sono superiori tra le donne. “Infatti, a parte atletica, ginnastica, danza, nuoto... c’è un vuoto strutturale per la ragazza che desidera continuare la disciplina sportiva senza per questo mirare a un livello da campionessa” analizza Marco Bignasca, “mentre negli sport di squadra i ragazzi possono continuare nelle leghe inferiori. Per questo motivo il DECS ha di recente elaborato un concetto di sostegno ai club che sapranno rispondere al bisogno pressante con l’introduzione di programmi specifici per questa fascia d’età”. Le società sportive sono dunque chiamate a una svolta, ma il loro ruolo resta essenziale: “Quasi tutti gli sport hanno bisogno di infrastrutture costose, sussidiate dallo Stato, che a sua volta trova nelle società il partner ideale per gestirle con rispetto” afferma Bignasca. Un binomio, quello tra società e Stato, che non potrebbe che arricchirsi con la partecipazione attiva dei genitori che rappresentano un fattore decisivo nella motivazione dei giovani.

Agorà

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» di Elisabeth Alli; illustrazione di Mimmo Mendicino

discipline sportive. La creazione di GS Kids ha spinto i responsabili ad effettuare un ripensamento del progetto per evitare doppioni. Si collabora con altri cantoni per poter ripartire su nuove basi nel 2010–2011”. Di fatto con la creazione di “GS Kids”, Gioventù e Sport ha voluto rivolgersi alla popolazione comprendente i bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia su su fino a quelli della quinta elementare. “In questa fascia d’età, l’obiettivo principale è quello di mettere in movimento il corpo. Siamo contro una specializzazione precoce”, sottolinea Marco Bignasca. Infatti, GS Kids mira a una polisportività del bambino senza nessun fine agonistico, questa la differenza sostanziale con “Occhio al Talento”. “Lo sport di punta non è una competenza del GS”, precisa ancora Marco Bignasca: “la nostra vocazione è di istillare nel giovanissimo il piacere di fare del moto e a questo proposito abbiamo creato una formazione ad hoc per accedere al titolo di «monitore GS Kids»”.


Uomini e topi Alle spalle di ogni uomo vi sono almeno sei topi pronti a pedinarlo. Entrambi sono onnivori, una somiglianza che si fa competizione per la sopravvivenza...

Nel classico Uomini e topi (1937), racconto di John Steinbeck

Kronos

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ambientato in una fattoria californiana durante la Grande Depressione degli anni Venti, il bracciante Lennie Small – gigante buono e ingenuo quanto la sua stazza, ma incosciente della sua forza – uccide involontariamente dei topilini nel solo gesto di accarezzarli. Malauguratamente, l’immagine narrata dal grande scrittore statunitense non rappresenta le reali forze in gioco: i topi, i ratti, le enormi nutrie (e altri roditori) sono uno sterminato esercito di animali affamati che nessun veleno è in grado di fermare a lungo. Vuoi per la loro capacità di adattamento, vuoi per la velocità nel riprodursi, vuoi per il destino che li lega alla storia della civiltà. Ratti e topi sono un genere di roditori affini, almeno dal punto di vista della classificazione, appartenendo entrambi al genere Mus. Per la verità il ratto – come qualcuno avrà almeno una volta nella vita constatato – ha dimensioni ben maggiori del classico topo domestico (Mus musculus; da non confondere con il topo selvatico, Apodemus sylvaticus). Le due specie più comuni e diffuse sul nostro pianeta sono il ratto nero (Rattus rattus) e quello marrone (Rattus norvegicus), il cui nome deriva dalla regione scandinava dove vennero compiuti i primi studi sul suo comportamento. A volte trattato alla stregua di animale da compagnia, il topo (termine generico con il quale identifichiamo qui anche il ratto) ha la “spiacevole” capacità di adattarsi alle condizioni di vita più estreme. È fra i pochi animali onnivori, come l’uomo: si nutre di prodotti di origine vegetale, ma anche di derivati del latte e della carne. A dispetto di altri animali che condividono il nostro territorio domestico (come il cane e il gatto), il topo non disdegna gli zuccheri; aspetto che, sommato al fatto che i suoi denti crescono per l’intero arco della vita, ne fa un roditore in grado di nutrirsi sempre e comunque. Questa facoltà di adattamento e resistenza lo porta in assenza di liquidi a ricavare l’acqua di cui necessita dallo stesso cibo. E, fra le “particolari” caratteristiche della sua dieta segnaliamo, con una certa reticenza, la coprofagia: ebbene sì, questi roditori si possono nutrire anche dei loro stessi escrementi (o di quelli di altri animali). Ma quanto sono vicini dal punto di vista “scientifico” gli uomini e i topi? Molto: si pensi che ciascun gene del topo pare trovi un omologo nel genoma dell’essere umano. Da qui forse la “praticità” nell’utilizzo di eserciti di topilini nei laboratori,

sui quali sperimentare creme lenitive o depilatorie, rossetti e farmaci più o meno necessari. Insomma, saranno anche infestanti, ma certo non brillano per la loro inutilità… Alcune settimane or sono i mezzi d’informazione resero pubblico che nella romantica Parigi vivono la bellezza di 6 milioni di topi. Per la verità, se qualcuno volesse rendersi conto di quanto questi roditori siano “in sintonia” con l’uomo, sarebbe sufficiente appostarsi per qualche minuto nei pressi di un cestino per i rifiuti presente in un’area turistica o lungo una qualsiasi riva lacustre. Scoprirebbe come il topo – nelle sue due grandi categorie, il “topolino domestico” e il “ratto delle chiaviche” o Rattus norvegicus o surmolotto o ratto delle fogne – sia uno dei pochi animali che si è perfettamente adattato all’ambiente umano. Come lui solo la sfuggente blatta e il piccione sono riusciti nell’impresa, moltiplicandosi a dismisura. Tanto che non è scorretto affermare che tutti loro vivono sempre con noi. Nonostante questa “rassicurante prossimità” e familiarità, i topi sono in grado di scatenare in noi un furia selvaggia appena, irrequieti e veloci, improvvisamente si materializzano in casa: chi non ha mai ammazzato una volta nella vita un topo o ha cercato di farlo...? Una fine ingloriosa che, al contrario, in pochi dedicherebbero a gatti randagi, uccellini, lucertole ecc. ecc. Evitiamo a questo punto di addentrarci nel complesso terreno simbolico legato al topo, animale che, almeno in Occidente, ha connotazioni prevalentemente negative. Strizzando un occhio al cinema, ricordiamo solo l’esemplare sbarco del vampiro in Nosferatu (1922) di F. W. Murnau, gesto accompagnato da un tappeto di infausti topi pronti a conquistare la città. Una metafora della peste di cui il roditore è storicamente simbolo e portatore (si veda il romanzo La peste di Albert Camus, 1947). Se per secoli il topo è stato considerato una vera calamità, in tempi più recenti la sua figura ha acquisito sfumature più positive, in particolare nel mondo dell’infanzia. Da Topolino di Disney a Topo Gigio che canta in allegria con Memo Remigi, dal topogiornalista Stilton al ratto-cuoco di Ratatouille sino a Firmino (il lettore-parassita di Sam Savage), la convivenza tra uomo e topo continua a mostrare una sottile ambiguità. Perché rimane pur sempre un problema di sopravvivenza, come magistralmente ci ricorda Art Spiegelman dalle tavole del suo Maus (1973).

» di Giancarlo Fornasier; nell’immagine: una pagina tratta da “Maus” (op. cit.)

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“Entro

è un “posto”, certo, ma non esattamente per quel genere di “villeggiatura”... Un saggio dunque dedicato all’organo genitale femminile; tipicamente macista, osserveranno le lettrici più diffidenti. Forse, ma potrebbe esserci qualcosa in più: l’autore dipana qualsiasi dubbio sin dall’introduzione: “Bene, qui si parla della... della... E siamo già fermi. Problema. Come chiamarla...?”. In effetti, saranno i paradossi delle nostre società segnate dalla superinformazione, ma l’attribuzione di un nome a “quella cosa lì” non è un problema da considerarsi propriamente risolto. E i primi capitoli hanno il pregio di condurci tra appellativi e definizioni, tra Oriente e Occidente, Borneo e Indiani d’America, rappresentazioni paleolitiche e sperduti luoghi

di culto indiani. Il risultato sono 150 pagine che disegnano un affascinate viaggio culturale, una mappa di nomi e nomignoli della “natura femminile” dietro ai quali si celano storie ed etnografia, e miti parecchio bizzarri, “dalla vagina ardente della mitologia polinesiana, dove non è Prometeo ma è la prima donna che procura il fuoco all’umanità, alla vagina cannibale degli indiani apache”. Ma Canestrini, attento osservatore – come non ricordare i suoi recenti lavori dedicati a souvenir, pupazzetti e adesivi che decorano le nostre auto... – si spinge oltre, affrontando temi legati alla rappresentazione della verginità e alla ritualità associata ai primi rapporti sessuali, passando dalla mitologia all’anatomia, dalle credenze popolari sull’imene ai moderni rituali sessuali, alla

Duccio Canestrini I misteri del monte di Venere Rizzoli, 2010

visione “infernale” che ha portato per secoli l’Occidente cristiano a considerare “la vagina la porta dell’Inferno, icona di lussuria, fonte di ogni vizio, potenziale rovina degli uomini”. E per qualcuno è ancora (e sempre sarà) così.

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in un’edicola di giornali a Malcesine, sul Lago di Garda, dove vendono un po’ di tutto, maschere, pinne, ricariche telefoniche, automobiline e... vagine. Sì, vagine di gomma, a grandezza naturale. Ne compro una. Sembra una grossa goccia rosa, con una fenditura colorata di rosso. Non è un giocattolo sessuale. Ma allora a cosa serve? Un oggetto ricordo? Un feticcio? Mistero (...) Di sicuro ne comprano parecchie: le usano come portachiavi, dice l’edicolante”. In questo serio e circostanziato (ma per nulla noioso) piccolo saggio di Duccio Canestrini – i cui originali scritti Ticinosette ospita sempre con piacere –, l’occhio attento dell’antropologo questa volta non scandaglia le abitudini dell’homo turisticus. No, Canestrini si concentra invece sul monte di Venere che, come tutti sanno,

Letture

» di Giancarlo Fornasier

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ucrisse.

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» testimonianza raccolta da Elisabeth Alli; fotografia di Igor Ponti

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ni per portarlo a termine, mia madre ricoprì il ruolo di prima “produttrice”. A sorpresa Bella? fece il giro di parecchi festival. Ma fu Our Hollywood Education (1991) che mi diede una bella spinta. Con questo film documentario vinsi il Premio del Cinema Svizzero al festival di Soletta nel 1992. Di colpo mi si aprì la porta a delle collaborazioni con la TSI (oggi RSI, ndr.) e Marco Müller (storico direttore del Festival di Locarno, ndr.) mi propose di occuparmi di una sezione del Festival, i “Pardi di domani”. Durante quell’esperienza, durata cinque anni, ho avuto la possibilità di conoscere la realtà della produzione cinematografica di molti paesi Regista cinematografico e televisivo, in e di seguire i primi passi di tenera età impara a mettere in movigiovani cineasti svizzeri oggi mento le parole raccontate trasformando affermati colleghi. la vita e i fatti in pellicola Michael o Michel? In verità mi chiamo Michael alla teIn un primo tempo avevo desca, ma siccome in Ticino risultava più faticato a inserirmi in quel semplice per la gente chiamarmi Michel – nuovo ambiente montano e alla francese – e dato che alla fine non mi mi ero isolato nella scrittura: dispiace, mi lascio chiamare Michel senza scrivevo e realizzavo storie problemi. Il mio cognome invece ha radici filmate. Mi ricordo che il nolatine. I miei nonni paterni erano piemonstro appartamento era nello tesi. Il nonno era un contastorie nato, ma scantinato dell’Hôtel Motta. anche nella famiglia di mia madre il racconAvevamo un salotto con teto aveva un posto importante. Come spesso levisione dove in tutta libertà accade dove si è privati di molto si tende a potevo guardarmi Il posto delle vivere un grande spirito di condivisione. fragole (1957; Ingmar BergCi si ritrovava nei salotti per raccontarsi man, ndr.), Sentieri selvaggi storie e, mentre le ascoltavo, la mia fantasia (1956; John Ford, ndr.) o Le le trasformava in immagini: vedevo mio notti di Cabiria (1957; Fedebisnonno – mai conosciuto – e i suoi enorrico Fellini, ndr.). Film forse mi cavalli, i ragazzi polacchi che avevano azzardati per un bambino, trovato rifugio nella casa materna durante ma ero spesso solo davanti la Seconda guerra mondiale, ma immagiallo schermo. Poi mi ricordo navo anche storie fantastiche e misteriose. anche di due drammoni enPensandoci bene, tutto quell’assorbire storie, trambi di Douglas Sirk, Come poi modellate a piacimento nella mia testa, le foglie al vento (“Written mi deve aver predisposto, credo, al mestiere on the wind”, 1956) e Lo di regista. Il cinema? Mi ha fatto viaggiare specchio della vita (“Imitation molto e non soltanto con la fantasia… ho of life”, 1959). Mi colpirono conosciuto culture diverse e avuto esperientantissimo e li vidi più volte. ze molto intense. Per sei anni ho vissuto a In seguito, da giovane regista Los Angeles che ancora oggi considero come alle prime armi, scoprii i film la mia seconda casa e ci torno sempre molto di Rainer W. Fassbinder e cavolentieri. Lì ho studiato regia e sceneggiatupii ancora meglio il perché ra. In mezzo a tutto mi sono anche sposato e quel genere di film mi era già sono diventato papà molto presto; ho avuto piaciuto tanto da bambino. una figlia, Sarah Lou, che oggi ha 25 anni e Il mio primo film? Fu un lunstudia antropologia. Il mio secondogenito, gometraggio dal titolo Bella?. Gabriel, ha invece 9 anni: con lui condivido Lo girai in pellicola 16mm, il mio amore per il cinema portandolo il avevo poco più di vent’anni e più spesso possibile a sognare insieme a me pochi mezzi. Impiegai tre andavanti al grande schermo.

Michael Beltrami

Vitae

a mia infanzia l’ho essenzialmente trascorsa in Ticino, tra Locarno e Airolo, conseguenza degli spostamenti legati alla professione alberghiera dei miei genitori. Dove sono nato? A Colonia, che ho lasciato quando avevo un anno. Tuttavia i miei legami con la Germania sono rimasti direi abbastanza forti anche perché mia madre è tedesca, dell’ex DDR. La sua famiglia è di Loitz, un paesino non distante dalla Polonia, una zona che un tempo era la Prussia. Ricordo che ogni estate s’intraprendeva una sorta di viaggio nel passato. Un viaggio strano e impegnativo e per certi versi anche ricco di incognite. Mi viene in mente la meraviglia con la quale osservavo quelle automobili dai colori pastello, tutte uguali: le mitiche Trabant! Era una sorta di mondo fantastico, visto attraverso gli occhi di un bambino, c’erano ancora tanti carri tirati dai cavalli, immagini pressoché sparite dal Ticino della mia infanzia. E poi c’erano molte cose che non si potevano dire o che non si potevano fare ... come per esempio filmare. Sì, filmavo già a quei tempi. Infatti, quando ho cominciato la scuola nel 1968 non so... forse complice lo spirito del momento, o la presenza di una maestra aperta e pronta a sperimentare cose nuove – io credo molto nell’importanza degli incontri che si fanno –, fatto sta che nella mia classe c’era un compagno che possedeva – già in prima – una cinepresa Super8 e, con la complicità della docente, abbiamo cominciato a girare dei piccoli film. È lì che ho scoperto la possibilità di poter raccontare con le immagini e, dunque, prestissimo ho deciso che avrei voluto fare quello nella vita. La mia prima cinepresa? L’ho ricevuta a 9 anni: convinsi i miei genitori a regalarmela con un proiettore, per consolarmi d’aver traslocato ad Airolo. Non era stato facile per me lasciare Locarno.

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Una vita da Bio Si dice “biologico” e subito si pensa a mucche felici nei pascoli fioriti, a galline razzolanti al sole e a orti traboccanti dei frutti di stagione. Non si pensa quasi mai, però, come dietro a tutto questo ci sia il lavoro di molti produttori, uomini e donne che si confrontano quotidianamente con obblighi e difficoltà di ogni genere. La realtà delle piccole aziende che promuovono un#agricoltura e un allevamento rispettosi della natura è meno idilliaca di quanto possa sembrare. Nonostante i prodotti biologici siano sempre più apprezzati, i problemi da risolvere restano ancora molti. Un viaggio dietro le quinte dell#agricoltura bio, fra battaglie quotidiane, piccole vittorie e grandi ideali

di Giorgia Reclari; fotografie di Roberto Buzzini


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on è solo un lavoro questo, è una scelta di vita”. Angela Tognetti parla con la calma e la determinazione di chi ne ha viste tante ma ancora affronta la vita con entusiasmo. Seduta al tavolo di granito della terrazza dell’Alpe Monda sopra Carasso, racconta la sua vita di agricoltrice biologica, fra sogni infranti e progetti realizzati, mentre intorno si muovono sazi e pigri al sole di mezzogiorno capre, mucche, maiali e galline allevati in libertà. Angela si concede un pausa dopo aver finito di cagliare alcuni formaggini e l’odore acidulo del latte si mescola a quello del fieno per gli animali. Un quadretto idillico, tanto caro ai cacciatori di büscion e ai gitanti salutisti di passaggio, ma che sotto l’apparente immagine da cartolina nasconde una realtà fatta di battaglie, fatica e sudate soddisfazioni, in cui il successo maggiore “è il fatto di esistere ancora dopo tutti questi anni. Un successo dovuto in gran parte al sostegno di familiari e amici”. Oltre all’Alpe Monda, Angela Tognetti gestisce con il marito Mario l’azienda agricola biologica La Colombera a Sant'Antonino – uno dei circa 140 produttori bio riconosciuti da BioSuisse nella Svizzera italiana – con annesso caseificio e macello, con bovini, caprini, ovini, suini, alcuni cavalli e campicoltura. “È la nostra filosofia: diversificare la produzione per non rischiare troppo in un settore unico. Inoltre la pluralità garantisce la biodiversità e arricchisce la vita dell’azienda”. L’azienda trasforma e vende i suoi prodotti in uno spaccio proprio e tramite l’associazione ConProBio.

Scandali alimentari, Ogm e inceneritori: battaglie di ieri e di oggi “Faccio questo lavoro da… sempre!” racconta Angela. “Vengo da una famiglia di contadini. Una volta si viveva con poco e... tutto era bio!”. Si è avvicinata all’agricoltura biologica circa trent’anni fa: “Eravamo dei pionieri, procedevamo a tentoni e dovevamo combattere la diffidenza degli agricoltori tradizionali e dei consumatori. Era un rifiuto assurdo, perché in fondo noi agivamo per il loro benessere. Ci hanno aiutato i grandi scandali alimentari, grazie ai quali si è visto il limite di uno sfruttamento eccessivo della natura”. Dall’emarginazione dei primi anni ai controlli sempre più puntigliosi e frequenti di BioSuisse, la vita degli agricoltori biologici è estremamente impegnativa: “Siamo immersi nella burocrazia. È giusto che l’attività delle aziende sia monitorata per evitare abusi, ma passiamo quasi più tempo ad aggiornare formulari che a lavorare! Inoltre le leggi continuano a cambiare e apportare continue modifiche per adeguarsi è molto costoso”. Senza contare che la rinuncia ad antibiotici e trattamenti preventivi richiede una maggiore sensibilità nel saper cogliere lo stato di salute di piante e animali. “È una capacità che


sotto: alla Colombera di Sant'Antonino si coltivano cereali senza Ogm, nell’ambito dell’iniziativa “Seminare il futuro” che promuove un’agricoltura libera dall'utilizzo di organismi geneticamente modificati. In apertura: un momento della trebbiatura


non si impara a scuola, ma solo con l’esperienza” rivela Angela. E, per di più, per convertire un’azienda all’agricoltura biologica ci vogliono almeno tre anni. Un tempo lunghissimo che spaventa molti contadini tradizionali. Ma Angela non si lascia abbattere: “Sono trent’anni che dico le stesse cose, ma non mi fermo perché ci credo. È una questione di responsabilità: la terra è un patrimonio da preservare per chi verrà dopo di noi. Non si può far finta di non vedere”.

Energie rinnovabili: il biogas e… la passione Dopo pranzo la teleferica Mornera-Monte Carasso ci riporta sul Piano, “un salame da cui continuano a tagliare via fette” lo ha definito Angela, che negli anni ha visto diminuire drasticamente la superficie agricola. “Per fortuna non è passata la Variante 95…”. Per lei questa è una delle rare vittorie contro lo sfruttamento della natura. Alla Colombera si producono anche cereali senza l’utilizzo degli Ogm, seminati in primavera in concomitanza a un'iniziativa sostenuta da Greenpeace. A dirigere i lavori c’è Mario, marito di Angela. Instancabile come lei, sta lavorando a un nuovo progetto energetico che spera di realizzare presto: una centrale a biogas in comune con altre aziende dei dintorni. Ma voi la forza per andare avanti, dove la trovate? Non si può evitare di chiedere. Lo sguardo di Angela si illumina “Nel nostro lavoro non c’è un giorno uguale all’altro e il variare delle stagioni, la vita degli animali, la consapevolezza di agire per offrire un futuro migliore ai nostri figli, ci danno un’incredibile energia. Siamo come delle dinamo, ci ricarichiamo pedalando, non ci fermiamo mai…”. È forse questo: l’amore per il proprio lavoro e per la terra, la più preziosa energia rinnovabile posseduta da chi, come Angela e Mario, lottano ogni giorno per salvaguardare almeno una briciola di mondo.


sotto: l’azienda gestisce anche l’Alpe Monda sopra Carasso, dove durante l’estate soggiornano molti animali liberi di pascolare all’aria aperta. Nella foto piccola: Angela Tognetti con i prelibati formaggi bio dell’alpe


Novembre 1917: la Prima guerra mondiale infuria in Europa da più di tre anni e nonostante i milioni di morti la pace appare lontana. In questa burrasca Stefan Zweig ottiene dall’archivio di Vienna, dove presta servizio dall’inizio del conflitto, un permesso di due mesi per recarsi in Svizzera per alcune conferenze e per assistere alle prove del suo dramma, Geremia. Durante questo periodo Zweig è esentato dall’obbligo del Servizio militare in cambio di alcune corrispondenze dalla Svizzera per un giornale viennese. Così, la sua permanenza in terra elvetica si protrae per 15 mesi, fino al marzo 1919. Durante il suo “esilio” svizzero, lo scrittore assiste, come da un isola circondata da un mare in tempesta, al crollo del mondo in cui fino a

» illustrazione di Adriano Crivelli

Letture quel momento è vissuto. Gli giungono le notizie drammatiche del disfacimento del grande Impero asburgico e del trionfo dell’Europa delle nazioni e dei nazionalismi. Quando riprenderà il treno diretto a casa la Mitteleuropea, col suo fascino cosmopolita e sopranazionale, sarà solo un ricordo, struggente e malinconico. Il cataclisma di quei mesi a cavallo tra il 1917 e il 1919 è al centro di Sull’orlo dell’abisso, raccolta integrale dei diari svizzeri di Zweig e di parte della sua corrispondenza curata da Mattia Mantovani, a cui si deve anche la traduzione dagli originali tedeschi e la bella Introduzione al libro. L’“orlo dell’abisso” citato nel titolo è il tragico crinale su cui cammina l’Europa nei mesi raccontati nei diari di Zweig, ma allo stesso tempo

esprime in pieno il dramma angoscioso di una della anime più sensibili della letteratura del primo Novecento mentre osserva la fine del mondo “conosciuto” e la distruzione delle certezze di una vita. Un’angoscia per l’abisso sempre più prossimo che è tutta nelle pagine dei diari dedicate all’autunno 1918: l’infuriare della Spagnola, l’influenza che fece 20 milioni di morti in Europa, le notizie dal fronte sempre più drammatiche e incerte, la spasmodica attesa di una resa degli imperi di Germania e di Austria, che aveva sempre di più i toni della disfatta e dell’annientamento. Comincia in quei giorni e con quegli eventi una presa di coscienza che porterà a maturare una sorta di delusione senza fine, il senso di un fallimento senza possibi-

Stefan Zweig Sull’orlo dell’abisso Armando Dadò editore, 2009

» di Roberto Roveda

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lità di “recupero”. In fondo a questo tragitto esistenziale ci sarà prima l’esilio definitivo dall’amato mondo tedesco, caduto in mano alle soldataglie hitleriane, e infine il suicidio dello scrittore nel 1942.


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8. Cantilene • 9. La sacerdotessa di Afrodite • 17. Rivali • 19. Bucherellati • 22. Irritazione cutanea • 24. Chiedono l’elemosina • 26. Prep. articolata • 28. Son ghiotte di miele • 32. Gola centrale • 33. Due nullità • 35. Cons. in rione • 38. Ammaliavano i marinai • 42. Quasi unica • 43. Abbondanza • 45. Il nome di Ramazzotti • 49. Cons. in talea • 51. Vocali in storto.

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A metà mese inoltrato Mercurio e Plutone formeranno un bellissimo trigono. Grazie a questo aspetto ogni funzione mentale si troverà a essere potenziata. Vi sentirete più ricettivi e profondi.

Mercurio contribuisce al risorgere di vecchie questioni ancora irrisolte con il vostro partner. Almeno questa volta cercate di spiegarvi come conviene. Possibili problemi di comunicazione.

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I forti aspetti tra Saturno e Urano vi spingono verso l’adozione di misure drastiche. Contate fino a dieci prima di prendere qualunque decisione. Vita sessuale in fermento.

Fase buonista, edonista, caratterizzata a volte da una certa superficialità. Momenti di iperattività professionale per i nati tra la seconda e la terza decade in relazione ai buoni aspetti con Marte.

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acquario Venere positiva fino al 19 maggio per i nati nella terza decade. Cercate di sfruttare al massimo gli aspetti con Nettuno per vivere momenti di autentica passione. Praticate più sport.

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Dal 20 Maggio i nati nella prima decade, grazie ai transiti di Venere e di Mercurio, potranno concludere importanti affari. Incontri sentimentali con persone più giovani. Cambiamenti drastici in vista.

Tra il 21 e il 22 maggio potranno accadere fatti importanti. Grazie a Mercurio i nati nella prima decade potranno usufruire di una maggiore lucidità mentale. Cambiamenti nella vita affettiva per i nati a fine segno.

Inglese + Stage: una carta vincente per il vostro CV

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A partire dal 20 maggio Venere entrerà in opposizione. Fase positiva, forse un po’ di facciata per i nati nella prima decade. Relazioni amorose condizionate da passate esperienze.

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cancro Tra il 17 e il 18 maggio la Luna transiterà nel segno del Cancro. Possibili attacchi di ansia per l’opposizione con Plutone. Sfruttate il vostro intuito per risolvere una situazione di lavoro.

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Verticali 1. Una parte della Bibbia • 2. Stato nordico • 3. Prep. semplice • 4. Non subiscono il contagio • 5. Turaccioli • 6. Imbarcazione da regata • 7. Viaggio lungo e avventuroso •

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Orizzontali 1. Dà il benvenuto agli ospiti • 10. Regola • 11. Oppure detto a Zurigo • 12. C’è anche quello di lancio • 13. Quattro romani • 14. Rupe centrale • 15. Spagna, Svezia e Italia • 16. Grosso pesce • 18. Partita a tennis • 20. Foga nel cuore • 21. Ha salvato la fauna • 23. Zia spagnola • 25. Strampalata • 27. Il mitico re di Egina • 29. Antico Testamento • 30. Le iniz. di Fermi • 31. Il maiale vi tuffa il muso • 34. Lo fa chi cambia casa • 36. Sportelli • 37. Il Sodio del chimico • 38. Società Anonima • 39. Grosso camion • 40. Istituto Tecnico • 41. Paladini • 44. Antidoti • 46. Un amico di Biancaneve • 47. Malattie ereditarie • 48. Mogi, mesti • 50. La Yoko di Lennon • 52. I confini di Osogna • 53. Il nome di Pacino • 54. Bel paesino malcantonese.

Grazie ai transiti di Venere e Nettuno potrete vivere intensamente una divertente storia di amore. A partire dal 20 maggio, i nati nella prima decade, entreranno in una fase edonistica.

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ariete Grazie agli ottimi transiti di Marte e Venere la vostra stagione degli amori prosegue brillantemente. Felici intuizioni per quanto riguarda investimenti e acquisti. Fermento il 19 e il 20 maggio.

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» a cura di Elisabetta

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