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L’appuntamento del venerdì
AGORÀ Economia svizzera
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numero 39 24 settembre
Impressum Tiratura controllata 89’345 copie (72’303 dal 4.9.2009) Chiusura redazionale Venerdì 17 settembre Editore Teleradio 7 SA, Muzzano Direttore editoriale Peter Keller Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch In copertina Mulino di Bruzella, interno Fotografia di Flavia Leuenberger
Agorà Finanza. La Svizzera e la crisi economica globale Arti Fondo Rabaglio. Dal lago alla Spagna
Luoghi Milano. L’Isola nella città che sale Vitae Nora Romano
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CHIARA PICCALUGA
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Sfide L’uomo e l’angelo
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MARIELLA DAL FARRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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VALENTINA GERIG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Reportage Mulini in Ticino. La forza dell’acqua
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R. ROVEDA; FOTO DI F. LEUENBERGER .
FABIO MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Capelli. Una questione di chiome
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . .
GIANCARLO FORNASIER
Società Cinema. Anche la guerra è una droga
PATRIZIA MEZZANZANICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il Presidente, i Rom e l’Europa Nel corso delle ultime settimane si è intensificato lo scontro fra il presidente Nicolas Sarkozy e la Commissione Europea relativamente all’espulsione dei Rom da parte del governo francese. La faccenda – al di là delle accuse di intolleranza rivolte alla Francia e ai parallelismi con le persecuzioni e i tragici pogrom attuati da nazisti e sovietici – ha però risvolti seri e preoccupanti che non possono non essere tenuti in serissima considerazione. Ma l’analisi deve essere compiuta con lucidità, scevri da ogni strumentalizzazione politica ed elettorale, sterili scorciatoie purtroppo percorse sempre più spesso da quei gruppi politici che coagulano il loro consenso attraverso l’identificazione di un “diverso” indicato come pericoloso e minaccioso. Il problema esiste e l’Europa nel suo complesso non può e non deve ignorarlo. Certo, può essere considerato un problema nostro ma io credo che sia soprattutto un problema loro, che richiede interventi immediati e una strategia ben coordinata. Se si considera infatti che sono quasi tre milioni i Rom che dalla Romania si stanno spostando verso il resto dell’Europa
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Quelli con l’arcobaleno
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(oltre alle comunità già presenti un po’ dovunque), il fenomeno assume le dimensioni di una spaventosa emergenza umanitaria (si parla complessivamente di 10-12 milioni di persone). La difficoltà a censire e a monitorare i flussi migratori, i problemi connessi alla scarsa igiene, la diffusione endemica della microcriminalità e la difficoltà di integrazione sono fatti concreti ai quali si deve fornire una soluzione. I rapporti forniti annualmente dall’associazione italiana “Opera nomadi”, che da quasi cinquant’anni si occupa del tema “zingari”, sono allarmanti: disoccupazione, analfabetismo, degrado, emergenze sociali, sanitarie e abitative, devianza, tossicodipendenza, endogamia. La tentazione dell’uomo medio, a riguardo, è sempre la stessa: “non sono razzista, ma…”. Un atteggiamento forse comprensibile, non al sottoscritto, ma al quale l’Unione Europea dovrà rispondere in modo articolato, rapido ed efficace. Sovrastando le politiche nazionali controverse, troppo facilmente subordinate a tentazioni demagogiche ed elettorali. Cordialmente, Fabio Martini
La Svizzera e la crisi economica globale
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onostante le rassicurazioni dei governi e delle autorità finanziarie e bancarie internazionali la situazione economica globale resta al momento ancora incerta. Per ora si intravedono solo tiepidi segni di ripresa, che spesso sono seguiti da nuove tempeste. Inutile nasconderselo: probabilmente la crisi economica che ormai da più di due anni sta scuotendo dalle fondamenta la maggior parte dei Paesi occidentali passerà alla storia come una nuova Grande Depressione. E sono sempre di più – nel mondo dell’economia e della finanza, ma non solo – le voci che evidenziano come ci sia bisogno di un cambio di prospettiva radicale per uscire dal pantano in cui si sta sprofondando. L’idea che ha da sempre sostenuto il sistema capitalistico e l’ideologia liberista, quella di una crescita economica infinita nella totale assenza di regole sta, infatti, mostrando drammaticamente i suoi limiti. Così come appare sempre più evidente che imperi costruiti su vertiginosi giochi borsistici e su attività speculative servono solo a creare scatoloni vuoti, con nessun valore reale che sia di concreta garanzia nei momenti difficili. Il problema è che questo mutamento di prospettiva non pare trovare riscontro nell’azione della maggior parte dei governi, soprattutto in Europa. Si attuano delle politiche di emergenza, si “pompano” soldi pubblici per sostenere istituti bancari in difficoltà – che sono poi spesso i veri responsabili della crisi – e, in buona sostanza non si aspetta altro che tutto riprenda finalmente a “girare” come prima. Per provare a capire meglio i problemi dell’attuale congiuntura economica, in particolare per quanto riguarda il nostro Paese, abbiamo incontrato Loretta Napoleoni, economista che collabora con alcune delle maggiori e autorevoli testate europee (“Le Monde”, “The Guardian”, “El País”) e autrice del recente saggio La morsa (Chiarelettere, 2009) dedicato proprio agli scenari aperti dall’attuale crisi dell’economia mondiale.
Dottoressa Napoleoni, come giudica il comportamento delle autorità svizzere di fronte alla crisi economica di questi anni? “A mio parere, dal punto di vista della difesa del franco svizzero, hanno fatto quello che dovevano fare. Mi
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Agorà
I paralleli fra l’attuale crisi economica e la grande Depressione seguita al crack di Wall Street del 1929 sono sempre più ricorrenti. Molti economisti ritengono che ci vorranno anni e grandi cambiamenti nel mondo della politica e dell’economia per modificare radicalmente le cose. In questo quadro, come si inserisce la Svizzera? Ne discutiamo con l’economista Loretta Napoleoni sembra, quella delle autorità elvetiche, una politica abbastanza in linea con la protezione dell’economia, in particolare delle esportazioni. Teniamo presente che il franco svizzero si trova in una situazione un po’ paradossale, perché proprio in questo periodo di crisi – una crisi che ha colpito soprattutto i Paesi dell’area euro e in misura inferiore la Svizzera – la moneta della Confederazione viene percepita come un bene rifugio, c’è stato quindi un apprezzamento del franco. Il rischio è che un franco troppo forte influisca negativamente sulle esportazioni. Per questo le autorità della Confederazione sono intervenute in difesa della loro moneta per evitare speculazioni. Un evento raro, perché non succede quasi mai che la Svizzera intervenga sul mercato internazionale in difesa della propria moneta. È stata, però, una decisione saggia. Il problema è cosa faranno le autorità in futuro; certamente queste tendenze alla rivalutazione continueranno proprio perché la gente si rifugia nel franco svizzero. Ma soprattutto si rifugia nei conti in Svizzera, per paura del peggio... nel senso del timore di bancarotta di alcuni Paesi”. Queste tendenze in atto, che rischi comportano per la Confederazione sul lungo periodo? “Sicuramente il rischio più grosso è quello relativo alle esportazioni. La Svizzera, fuori dai suoi confini, è avvertita come una economia che poggia quasi unicamente sul settore finanziario e sulle banche. La realtà è diversa e una gran parte della popolazione vive in relazione alla produzione di beni che vengono poi venduti all’estero. Anche il turismo, per esempio, risente di un franco troppo forte, perché meno gente va in vacanza in Svizzera. E questi sono problemi che hanno un impatto serio sull’economia reale”. Date le difficoltà che attraversa in questo periodo l’intera Unione Europea, l’isolamento di cui gode la Svizzera ha giovato al paese? “Vista la situazione attuale, il vostro Paese ha fatto benissimo a non entrare nell’area euro. Oggi si troverebbe a dover usare le sue riserve per aiutare i paesi dell’Unione in difficoltà. Sicuramente la situazione odierna della Svizzera è, quindi, migliore di quella di una Svizzera all’interno dell’Unione Europea; però la Confederazione è comunque al centro dell’Europa e come tale subisce delle pressioni per la crisi che coinvolge i Paesi che la circondano. La
Lei ha citato il caso dell’UBS. Il sistema bancario, un po’ il fiore all’occhiello del Paese, ritiene sia uscito appannato dallo scandalo che ha coinvolto la maggiore banca della Confederazione? “Sicuramente queste situazioni non hanno giovato all’immagine della finanza e del sistema bancario elvetico. Però mi sembrano casi limitati e molto meno gravi di quello che è accaduto in tutti gli altri Paesi occidentali. Il sistema bancario occidentale, in generale, sta uscendo malissimo, come immagine, dalla crisi in atto e la Svizzera mi pare messa molto meglio di altri. Un
investitore occidentale, in questo periodo di paura e di incertezza, non va certo a investire a Dubai o a Singapore. Va nella Confederazione. Quindi permane questo primato del sistema finanziario-bancario svizzero all’interno dei paesi occidentali”. Vista la solidità di una divisa nazionale come il franco svizzero, ritiene che qualche Paese dell’area euro si possa sganciare dalla moneta unica? Penso, per esempio, al ritorno al marco da parte della Germania… “Mi pare un’ipotesi remotissima che la Germania – o uno dei Paesi del Benelux, per fare un altro esempio – abbandoni l’euro. In generale nessuno Stato che ha l’euro lo vuole abbandonare e alla Germania la moneta unica fa comodo perché semplifica le esportazioni, uno dei punti di forza del Paese. Può, però, accadere che uno Stato sia costretto ad abbandonare la moneta unica, come potrebbe succedere alla Grecia in caso di bancarotta. Tecnicamente, in casi come quello greco, l’euro diventa un po’ una camicia di forza, perché se uno Stato fa bancarotta l’unico modo per ripartire è la svalutazione della moneta. Con l’euro la svalutazione non è possibile. Proviamo a pensare cosa sarebbe successo in Argentina dopo la bancarotta del 2001 se avesse avuto
una moneta come l’euro che le impediva quella svalutazione selvaggia che è poi ha fatto da volano alla ripresa...”. Un ultima domanda, quella che si fanno tutti: la crisi economica si sta risolvendo? “No. La crisi economica non si sta risolvendo, assolutamente. Anzi, penso che siamo di fronte a una nuova fase di caduta. Esattamente come nella crisi del ’29, quando l’apice è stato toccato nel ’33, si tratta di un fenomeno di lunghissima durata. Con molte incognite su quelle che saranno le sue evoluzioni future. Non siamo di fronte a una recessione oppure a un rallentamento della produttività: questa è una crisi sistemica, nel senso che non funzionano più questo tipo di Europa unita e il primato monetario del dollaro. Ecco perché monete tipo il franco svizzero si apprezzano; perché vengono percepite come gli unici punti fermi, gli unici beni rifugio. Lo stesso vale per l’oro: in questi giorni il prezioso metallo ha superato i 1200 dollari all’oncia, una cosa mai successa. In due anni è salito da 800 a 1200 dollari, cioè si è apprezzato del 40%... È chiaro che questi sono indicatori che ci dicono che è il sistema in generale a non funzionare e che l’attuale non è una crisi congiunturale. Questa è una crisi sistemica”.
» di Roberto Roveda
rivalutazione del franco, di cui le ho detto, ne è un esempio. Voglio, però, essere chiara: la Svizzera ha meno problemi di altri Paesi perché non si può parlare di recessione nella Confederazione. Al contrario, è uno dei pochissimi paesi che è uscito da questa crisi molto velocemente. Certo nel 2009 l’economia ha avuto una flessione, UBS e Credit Suisse hanno avuto dei problemi e la crisi del credito si è fatta sentire anche in Svizzera, però i problemi sono stati risolti velocemente. Questo perché la Confederazione è un Paese con una economia solida, cosa che non si può dire, per esempio, della Spagna e della Grecia”.
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disegni preparatori, bozzetti e studi riconducibili a Vigilio (capomastro; 1711–1800) e Pietro Rabaglio (stuccatore; 1721–1799). I due emigrarono e operarono in Spagna, tra il 1737 e il 1760, lasciando importanti tracce nell’architettura cortigiana di Madrid. Un’attivita apprezzata dalle stesse autorità spagnole che, nel corso del 1995 e quasi casualmente, acquistarono un lotto di disegni da un antiquario di Berna. Una vicenda narrata da Antonio Bonet Correa, direttore della Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando (Madrid). Quello spagnolo è così il secondo grande fondo riferibile alla famiglia di Gandria (il terzo troncone è in mani private); tipologie di materiali del tutto simili e complementari fra lo-
Il volume promosso dall’Archivio di Stato conferma l’apprezzamento che i maestri dei laghi hanno avuto in tutta Europa nel corso dei secoli. E le loro indiscusse abilità ro e che vanno studiate “come un’unità” (p. 238, op. cit.). Ma l’opera dei Rabaglio ha radici anteriori al tardo Barocco: è una storia segnata da religione, dinamiche sociali ed economiche, sviluppo del
Mastri d’arte del lago di Lugano alla corte dei Borboni di Spagna Edizioni Stato del Cantone Ticino, 2010 Fra i contributi, segnaliamo quello di Edoardo Agustoni dedicato alla parrocchiale di San Vigilio a Gandria.
Carla Arcolao Le ricette del restauro. Malte, intonaci, stucchi dal XV al XIX secolo Marsilio, 2001 Più che un testo sui materiali e le tecniche, un curioso “ricettario”. Una finestra su quel complesso e meraviglioso universo del costruire oggi del tutto scomparso.
territorio, tutti aspetti presenti negli interessanti interventi raccolti nella prima parte del libro. Se documenti riferibili a un membro della famiglia “de Raballis” attivo al Duomo di Milano datano del primo Settecento, di un membro della famiglia di Gandria potrebbe già essere una “Madonna con Bambino” (1605) “realizzata in stucco da mano esperta” (p. 17). Secondo una tradizione diffusa nelle nostre terre, infatti, proprio lo stucco doveva essere sin dall’inizio una delle loro specializzazioni, “artigiani della scagliola, abili a mescolare gesso, colle e colori (...) così si spiega il motivo del ritrovamento fra le carte di famiglia di un’antica ricetta manoscritta «per fare tutte sorti di mischi di marmo et la sua aqua cola»”. Erano questi ancora i secoli della sperimentazione e delle “segrete ricette di famiglia”...
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questi è stato donato nel 2001 all’Archivio ed è composto da disegni, incisioni e documenti a stampa (oltre 150 pezzi in tutto). Nella seconda parte del volume è proposto un inventario di questo materiale: sono
Libri
» di Giancarlo Fornasier; immagine tratta da op. cit. (2010)
Arti
“Gandria rispecchia la storia di quelle aree dei laghi insubrici fortemente caratterizzate da un’economia della mobilità differenziata e plurima, dipendente dalle migrazioni stagionali di artigiani dell’edilizia, che per secoli ha coinvolto buona parte delle famiglie del paese”. Così si apre il contributo di Giovanni Buzzi presente nel volume dedicato al “Fondo dei Rabaglio”, famiglia di artisti originaria di Gandria. Primo tomo della collana “Repertorio delle fonti iconografiche e d’architettura” (diretta da Carlo Agliati), la pubblicazione è il frutto dello studio storicoarchivistico dei documenti che riconducono all’attività dei Rabaglio. Il complesso corpus documentaristico della famiglia di artisti è oggi diviso in tre tronconi; uno di
Dal lago alla Spagna
Vigilio Rabaglio, Alcalá de Henares (Madrid), palazzo arcivescovile, progetto per la facciata principale, 1751; prospetto
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che rende memorabile un film è, in estrema sintesi, la sua capacità di creare immedesimazione. Ovvero, di calare lo spettatore in una dimensione spazio-temporale diversa dalla propria, mettendolo in condizioni di sperimentare emozioni e sentimenti che appartengono a una situazione esistenziale “altra”. The Hurt Locker, la pellicola che quest’anno si è aggiudicata sei premi Oscar – compreso quello come miglior film – raggiunge esattamente questo obiettivo. E lo fa subito, a partire dai primi fotogrammi che scorrono sullo schermo, mentre seguiamo la soggettiva di un piccolo robot cingolato che percorre un terreno disseminato di detriti in una strada di Baghdad: una full immersion a effetto immediato, resa ancora più efficace dall’angolo visuale che mette a fuoco la lercia concretezza del suolo. Otto minuti dopo, è ancora il suolo che ci cattura, sollevandosi al rallentatore verso l’alto nella prima, spettacola-
Vacanza wellness.
Un fotogramma tratto da The Hurt Locker (2008)
La vicenda è imperniata sulle azioni della Delta Company, un’unità di tre marines specializzata nell’individuazio-
Parlare di esplosioni che ti spediscono dritto in un hurt locker fa parte del gergo militare delle truppe impegnate in Iraq. Ma l’espressione significa anche un periodo di immenso, ineludibile dolore (fisico o mentale) e, soprattutto, “il cuore di una persona”… ne e disinnesco – ma anche, quando è inevitabile, nella detonazione controllata – degli I.E.D., gli “ordigni esplosivi improvvisati” (ovvero, artigianali) disseminati dalla resistenza per le strade della città. Durante gli ul-
timi trentotto giorni di durata della missione, lo spettatore segue i soldati in sette diversi episodi (corrispondenti ad altrettanti sub-plot), divenendo partecipe delle modificazioni che gli eventi determinano in loro. In particolare, il film focalizza la difficoltà da parte dei militari di tornare alla quotidianità della propria esistenza dopo avere sperimentato condizioni di vita così estreme. “La furia della battaglia provoca una dipendenza fortissima e spesso letale, perché anche la guerra è una droga”, recita la citazione del giornalista Chris Hedges che compare all’inizio del film. Questa tesi è incarnata con efficacia dal personaggio del Sergente William James, il cui compito è quello didisinnescare fisicamente gli ordigni. Appa-
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re ma terribilmente realistica esplosione di questo racconto filmato. La sequenza si chiude sull’artificiere che viene scagliato a terra, la visiera del casco trasformata in una cortina di sangue, mentre l’inquadratura successiva
Anche la guerra è una droga
A terra.
ci mostra l’hurt locker: una scatola bianca avvolta in una bandiera che contiene gli oggetti appartenuti al soldato, pronta per essere rimandata in patria al posto del proprietario. In Iraq, dice la regista del film Kathryn Bigelow, fa parte del gergo militare parlare di esplosioni che “ti spediscono dritto in un hurt locker”. Ma l’espressione significa anche “un periodo di immenso, ineludibile dolore fisico o mentale” e, soprattutto, “il cuore di una persona: il luogo in cui le cose che accadono vengono conservate”. Come afferma l’attore Jeremy Renner, che nel film interpreta lo Staff Sergeant William James, “il titolo ha assunto diversi significati nel corso delle riprese. (…) È stato solo quando sono tornato a casa che ho realizzato di essere rimasto per tre mesi in una sorta di hurt locker spirituale”.
Libri
Alberto Asor Rosa La guerra Einaudi, 2002 Il volume raccoglie Fuori dall’Occidente ovvero ragionamento sull’Apocalissi (1992), libro dedicato alla Guerra del Golfo e alla susseguente omologazione di tutto il pianeta a un unico sistema di valori. A questo testo si aggiungono nuovi capitoli sulle guerre balcaniche e sulla recente offensiva contro l’Afghanistan. Il pensiero di Rosa non verte tanto “sulla guerra” quanto sugli effetti che produce sui modi di essere, pensare, sentire e comunicare nel mondo occidentale.
Filmografia
Kathryn Ann Bigelow, classe 1951, è stata la prima regista donna a essersi aggiudicata l’Oscar per la migliore regia nella storia dell’Academy; è autrice di film ritenuti di culto come Point Break e Strange Days. Si consiglia la visione della sua intera produzione, caratterizzata dalla capacità di declinare temi drammatici, complessi e originali in pellicole avvincenti e spesso spettacolari. Oltre a The Hurt Locker, la sua filmografia comprende: The Loveless (1982), Il buio si avvicina (Near Dark) (1987), Blue Steel - Bersaglio mortale (Blue Steel) (1990), Point Break - Punto di rottura (Point Break; 1991), Strange Days (1995), Il mistero dell’acqua (The Weight of Water; 2000), K-19 (K-19: The Widowmaker; 2002).
In piena forma. rentemente un “drogato di adrenalina” capace di mettere a rischio non solo la propria incolumità ma anche quella dei suoi compagni, esacerbando la tensione all’interno dell’unità James rivela invece nel corso della narrazione una notevole e articolata complessità psicologica. Rifuggendo così da facili stereotipi e, anzi, fornendo allo spettatore un insight di rara autenticità sui meccanismi che lo spingono ad agire. In questo senso, e senza nulla togliere all’intensità degli episodi ambientati
in Iraq, la parte più drammatica del film è forse quella finale; quando James torna a casa dalla moglie e dal figlio di pochi mesi, al quale “confessa” che c’è solo una cosa che lui ama davvero, lasciando intendere che è il suo lavoro. Coerentemente, la sequenza che chiude la vicenda lo vede di ritorno sul teatro di guerra, con indosso la tuta anti-detonazione, impegnato nel primo dei 365 giorni previsti dal nuovo ingaggio. Basato sulla sceneggiatura di Mark Boal, corrispondente di guerra, The Hurt Locker è un film dichiaratamente apolitico che, invece di schierarsi, sceglie di concentrarsi sull’essenza della guerra, fenomeno specificamente umano che, per venire compreso, richiede appunto una profonda rif lessione sugli esseri umani e la loro natura.
» di Mariella Dal Farra
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Internet
www.bluenotemilano.it Inaugurato alcuni anni fa sul modello dello storico jazz club di New York, il Blue Note è diventato presto un punto di riferimento per tutti gli appassionati milanesi e non del mainstream e del modern jazz internazionale. Lo trovate in via Borsieri, nel cuore del quartiere Isola.
di Garibaldi-Repubblica. Qui cambierà lo skyline della città: giardini, nuovi poli culturali, un parco, un Museo della Moda e, soprattutto, grattacieli. Uno dei luoghi tipici dell’Isola, la Stecca degli Artigiani, ex fabbrica utilizzata nei suoi anni migliori per attività artigianali, culturali e ricreative, è già stata demolita, a seguito di uno sgombero, nel 2007. Il dibattito è in corso, come anche la lotta per preservare l’identità del quartiere, attraverso associazioni che cercano di mediare tra il patrimonio passato e i rischi delle trasformazioni future. È impossibile non notare, ora, nel farsi un giro tra le vie dell’Isola, il contrasto tra le palazzine basse al di qua dei binari e i giganti a specchio, a cui verrà aggiunto tanto verde, promettono gli architetti, due passi più in là. Il quartiere sembra più indifeso, piccolo, compatto, e forse anCase di ringhiera, botteghe di artigiani, locali cora più unito nei storici, negozietti vintage. È l’Isola di Milano, confronti delle trasforex quartiere popolare dal passato intenso e mazioni che già molte ricco di fascino... ora alle prese con il nuovo volte nella sua storia ha dovuto affrontare. “skyline” della città Probabilmente diverrà Se questa è la storia dell’Isola, un luogo ancora più ambìto, perché vicino il suo presente deve fare i al nuovo polo mondano e operativo della conti con la citata Città della Milano in costruzione. E diventerà ancora Moda e del Design che il Copiù caratteristico, perché così diverso dagli mune ha deciso di costruire edifici che svetteranno verso il cielo. La proprio a due passi dal quarsperanza è che rimanga sempre un’Isola. E tiere, nell’area finora irrisolta possibilmente felice.
» di Valentina Gerig; immagine tratta da www.skyscrapercity.com
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In questa atmosfera familiare, che rimanda a certi scritti di Giovanni Testori, i cortili e i pianerottoli sono ancora spazi di condivisione confidenziale. Il passeggio tra le discoteche e i locali notturni alla moda, appena dopo il ponte di Garibaldi, in Corso Como, sembrano appartenere a un’altra città. Gli artigiani continuano a essere il cuore dell’Isola: le botteghe, gli antiquari, i sempre più introvabili ferramenta costellano le vie del quartiere. Resistono alla concorrenza di Porta Ticinese anche i negozietti di modernariato e abiti vintage. La sera, poi, l’Isola si anima grazie a ristorantini e locali. Tra questi alcuni celebri jazz club come il mitico Blue Note, in cui si sono esibiti e si esibiscono tuttora personaggi leggendari della musica jazz e, proprio a due passi, il Nord Est Café.
Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti Italia, 1960 Uno dei film cult del regista italiano. L’ascesa e la caduta di una famiglia di immigrati del Sud è ambientata in una casa di ringhiera, tipica abitazione popolare di Milano caratteristica dell’Isola.
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Luoghi
Il nome lo deve alle sue caratteristiche topografiche: il quartiere Isola di Milano è infatti una sorta di città nella città, poiché i binari della Stazione di Porta Garibaldi lo separano dal resto del tessuto circostante. Il fascino di essere un’isola – non a caso viene paragonato al Greenwich Village di New York – aumenta, poi, se si conosce la sua storia. Il quartiere Isola è un quartiere popolare sorto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, adiacente allo scalo merci e ad alcune industrie storiche. Ha vissuto innumerevoli trasformazioni, di cui una è tuttora in corso: il nuovo polo chiamato Città della Moda in costruzione nelle immediate vicinanze. Del suo passato, l’Isola ha conservato soprattutto lo spirito operaio, creativo, artigianale e poliedrico. Si è sbarazzato invece della fama di zona poco raccomandabile, conservandone solo il fascino, diventando anzi uno dei quartieri più ambiti da chi cerca casa a Milano. Ed è proprio l’architettura delle abitazioni a rappresentare uno degli elementi più caratteristici dell’Isola: case di ringhiera, a ballatoio, palazzine degli anni Trenta e Quaranta tipiche del razionalismo milanese, prefabbricati, botteghe artigianali.
L’Isola nella città che sale
Le vecchie case dell’Isola sovrastate dai grattacieli del Polo Garibaldi
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GENIALE: Qualità duratura, design pregiato: lavorazione, materiali, design, elementi di comando... in questa vettura tutto è all’insegna della qualità e dello stile. GENIALE: Prezzi top il lancio è abbinato al Diamond Bonus di CHF 1’000.– o al Diamond Leasing 3.33% (non cumulabili): 2WD 1.6 benzina Inform Netto 26’990.–, Diamond Bonus 1’000.–, prezzo Diamond CHF 25’990.–* 2WD 1.8 DID Invite 150 CV Netto 30’990.–, Diamond Bonus 1’000.–, prezzo Diamond CHF 29’990.–* 4WD 1.8 DID Invite 150 CV Netto 33’990.–, Diamond Bonus 1’000.–, prezzo Diamond CHF 32’990.–*
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» testimonianza raccolta da Chiara Piccaluga; fotografia di Igor Ponti
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di capire chi vi fosse di così importante in quella macchina. Il bambino che dovevo seguire si chiamava Gimmy, aveva 6 anni e problemi piuttosto gravi. Con lui mi recavo spesso dai suoi nonni in campagna, in una villa circondata da un enorme parco. Li ho conosciuto una grande donna, la nonna di Gimmy, una persona molto ricca ma altrettanto semplice. Aveva quattro persone di servizio 24 ore su 24, senza contare giardinieri e altri aiutanti. La prima domenica che ero da loro mi sono recata in cucina e ho trovato la nonna che preparava la colazione. Le ho chiesto cosa stesse facendo e lei mi ha Il padre ha cucinato il risotto per Hitler, risposto che una volta alla setlei per il presidente francese. Una vita mo- timana toccava a lei servire il personale. È stata una scopervimentata, contrassegnata dal desiderio ta straordinaria e una grande di aiutare chi è stato meno fortunato lezione di umiltà. Gironzolavo spesso anche nelle cucine rienza che mi ha cambiato del presidente e una volta ho chiesto se era la vita, non solo perché ho possibile cucinare un risotto alla milanese. conosciuto quello che sarebI cuochi non sapevano cosa fosse e poi non be diventato mio marito, ma c’era lo zafferano a Parigi; così mi offrii io anche perché mi si è prestessa di cucinarlo. Mi feci inviare lo zaffesentata un’occasione unica. rano per posta da mia madre... Un’altra cosa In colonia, infatti, è arrivache ho insegnato ai cuochi del presidente ta anche una classe di Parigi, è il minestrone, un piatto che ebbe grande e l’accompagnatrice era alla successo. La cosa più divertente è che gli ho ricerca di un’insegnante prifatto credere che il vero minestrone doveva vata e così chiese a me se ero essere servito con la pentola in mezzo alla disposta a trasferirmi in Frantavola e non nella zuppiera! cia. Sapevo poco di quello che Una volta terminato il mio incarico, dopo mi aspettava, solo che il lavodue anni sono tornata; ma con questa espero era a Parigi e dovevo aiutare rienza ho scoperto che quello che mi intea scuola un bambino con hanressava fare era stare a contatto con persodicap fisici e mentali. ne in difficoltà per poterle aiutare. Mi sono Nel 1953 andare a Parigi era sposata e ho avuto due bambine. Poi ho inicome finire in capo al mondo. ziato a seguire i corsi della Croce verde per Ero ingenua, ma ebbi un’enordiventare volontaria. Sono diventata, prime fortuna perché andai a ma monitrice dei Corsi per samaritani, poi lavorare all’Eliseo. La famiglia istruttrice della Federazione cantonale del che aveva bisogno di me abiservizio autoambulanze; contemporaneatava in un’ala del palazzo premente ho fatto di tutto, anche nella Protesidenziale; il capofamiglia era zione civile, dal primo corso, fino a divenun collaboratore dell’allora tare capo-corso e capo-servizio ad Ascona. presidente Auriol. Io, giovane Oggi seguo il gruppo dei samaritani, una ragazza, cresciuta in una pictrentina di persone che si occupano di molcola realtà e con pochi mezzi te cose: dai picchetti ai servizi sociali. Colfinanziari, mi ritrovai catapullaboriamo con l’ATTE, “Terre des hommes”, tata in una realtà impensabile. con le scuole... Da 32 anni mi occupo anche Avevo a disposizione una lusdell’infermeria della piscina di Bellinzona e suosa auto con autista che mi tutti mi conoscono nella regione. Ho avuto portava dove volevo; quando tante gratificazioni nella mia vita e questo uscivamo dai cancelli dell’Elimi fa sentire bene. Perché so che posso aiuseo, controllati dalle guardie, tare gli altri e finché mi sentirò utile nulla i turisti incuriositi cercavano mi potrà fermare.
Nora Romano
Vitae
ono nata in casa, a Maccagno, il 31 agosto del 1935. Mio padre volle chiamarmi come la levatrice, Onorina. Un inizio già particolare, visto che mia madre avrebbe voluto chiamarmi diversamente e questo nome proprio non le piaceva e così sono sempre stata “la Nora”. Mio papà era un cuoco molto rinomato e fu chiamato a lavorare nelle cucine di Adolf Hitler durante la guerra. Preparava il risotto alla milanese che, a quanto pare, piaceva molto al Führer. Dopo aver lavorato in Germania per dieci mesi aprì un ristorante a Nervi, in Liguria. I miei genitori si sono separati quando io avevo solo tre anni. Ho sempre visto mia madre come una femminista: all’epoca divorziare in una famiglia credente era uno scandalo, ma lei è sempre stata coerente e decisa. Lavorava duramente e non ha mai chiesto aiuto economico a mio padre o ai suoi genitori, nonostante fossimo davvero poveri. Ricordo molto bene le scarpe con i buchi… ero consapevole che studiare era un lusso, così dopo le scuole dell’obbligo pensavo di non poter proseguire gli studi, anche se lo desideravo moltissimo. Mia madre però, con non pochi sforzi, mi fece il grande regalo di concedermi la possibilità di terminare il percorso scolastico. Sognavo di fare la maestra, ma non avendo le possibilità economiche mi sono iscritta a una scuola per fare la dattilografa. Terminata la formazione ho trovato un lavoro estivo come babysitter per la figlia del direttore dell’allora Scuola magistrale di Locarno, dove mia mamma lavorava come donna delle pulizie. Conoscendo il mio desiderio di proseguire gli studi per diventare insegnante, mi propose di fare le magistrali lavorando nella mensa del convitto. Così ho potuto finire la scuola e ottenere il diploma di maestra. La prima occupazione che ho trovato è stata in una colonia estiva a Rovio; un’espe-
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S
La forza dell’acqua
La potenza dell’acqua dei torrenti che scendono a valle, le grandi ruote che corrono veloci, il rumore degli ingranaggi e il lento sfregare delle macine in pietra di un mulino. Oppure i colpi di un antico maglio per la lavorazione del ferro… Immagini, suoni e suggestioni di un passato non così lontano che è ancora possibile riscoprire lungo i corsi d’acqua del Canton Ticino
testo di Roberto Roveda; fotografie di Flavia Leuenberger
La prima fonte di energia Per secoli, prima dell’energia elettrica, prima delle macchina a vapore e del motore a scoppio, prima del petrolio e del carbone, la fonte di energia per eccellenza è stata l’acqua. Laddove vi era un torrente con una corrente appena sufficiente venivano installate grandi ruote a pale, che il movimento dell’acqua trasformava in energia pura. Nascevano così mulini per la macinazione dei cereali, oppure frantoi per la torchiatura. Oppure si usava la forza dell’acqua per far funzionare le officine dei fabbri. L’energia prodotta azionava il maglio, che colpendo il metallo caldo posizionato sull’incudine dava forma grezza agli oggetti. Ma anche poteva muovere trapani e mole per rifinire la lavorazione. Per secoli avere i diritti di sfruttamento di un corso d’acqua e potervi costruire un mulino o un’officina rappresentò un privilegio destinato a pochi. Nel Medioevo, per esempio, solo i grandi signori feudali o gli enti monastici ne usufruivano. Poi, a partire dall’Ottocento le cose
hanno cominciato a cambiare e l’acqua è stata lentamente scalzata da motori elettrici e diesel. Certo, quella dei torrenti era un’energia a basso costo, pulita e poco inquinante. Però bisognava sottostare alle bizze delle stagioni e, quando calava la portata dei corsi d’acqua era facile vedere le grandi ruote ferme e all’asciutto. E allora spazio alla modernità e in pensione gli antichi mulini, i magli ormai fuori moda. Oggi, molti di questi edifici sono caduti in rovina, la ruggine e le ragnatele hanno preso il sopravvento fino a che, come è successo in alcuni casi nel nostro Cantone, qualcuno non ha pensato che si stava gettando un parte della memoria del territorio: tradizioni, cultura, tecnologia, insomma un patrimonio che valeva la pena di ripristinare. Una testimonianza di ingegno umano che è indispensabile riscoprire. Il maglio di Aranno Quando si pensa a una grande ruota mossa dall’acqua, subito ci si aspetta di entrare in un
sopra: le tre macine del mulino del Ghitello in apertura: il mulino di Bruzella, in Valle di Muggio
mulino e di essere avvolti dalle polveri della farina macinata. Ad Aranno, nel Malcantone, è possibile viceversa scoprire l’unico maglio a leva funzionante ad acqua ancora attivo in tutta la Svizzera. Qui, per generazioni, i contadini della zona hanno visto realizzare gli attrezzi che servivano per lavorare nei campi: falci, rastrelli, scuri, badili. Oppure venivano realizzate le ruote in metallo per i carri o i cerchi per tenere unite le assi delle botti. Lavorazioni semplici, da fabbro di campagna che doveva venire incontro alle esigenze della comunità di cui era parte integrante. Per quasi un secolo, a partire dal 1860, il maglio di Aranno fu un punto di riferimento. Poi tutto finì improvvisamente, il 10 agosto 1951: durante la notte le acque della Magliasina e quelle del vicino riale della Pirocca raggiunsero livelli mai visti prima. Fu un’alluvione storica che provocò danni in tutta la zona e che semidistrusse il maglio. La produzione non fu più ripresa e per decenni il maglio venne abbandonato, andando in rovina.
Poi, nel 1979, l’antico proprietario decise di ripristinare la struttura, per tramandare questa antica tradizione alle generazioni più giovani. Ci sono voluti anni e investimenti ma poi il maglio ha ripreso a cadenzare il tempo con i suoi colpi sordi sull’incudine. Il mulino di Bruzella La Valle di Muggio ha un profilo incassato e versanti scoscesi. Qui i paesi sono appollaiati a mezza costa e sul fondo valle corre il torrente Breggia. Su queste acque sorse alla fine del Seicento il mulino di Bruzella, un’opera di ingegneria non da poco… Ancora oggi stupisce come la grande ruota del mulino possa girare e produrre energia anche in presenza di ridotte portate d’acqua. Tra le sue macine sono state trasformati in farina grano, granturco e durante i periodi difficili delle guerre mondiali anche i fagioli. I macinati qui prodotti arrivavano sui mercati di Lugano, Mendrisio e Como. La produzione, però, è terminata
sopra: l’iscrizione con la data di fondazione all’interno del mulino del Ghitello situato lungo il corso del torrente Breggia
nel 1965 e per il mulino il rischio di un eterno oblio era forte. A salvarlo è stato il Museo etnografico della Valle di Muggio che ha acquistato l’edificio e ha curato il restauro di tutte le parti del mulino, così da riportarlo in attività. Così, dal 1996, Bruzella è tornato a essere un luogo dove è ancora possibile macinare e chi vuole può acquistare la farina per polenta… come accadeva qualche decennio fa ai nostri nonni. Il mulino del Ghitello Sempre sul torrente Breggia si trova un altro importate mulino storico del Ticino, il mulino del Ghitello. Dal 1986 l’edificio appartiene alla Fondazione Parco delle Gole del Breggia, ente che ha curato il recupero e il ripristino alla funzionalità di questo mulino fondamentale. Qui, infatti, per secoli si sono serviti tutti i paesi del circondario. Il mulino entrò in attività nel XVII secolo, probabilmente nel 1606 come riportato da due iscrizioni trovate all’interno dell’antico edificio. Nelle sue macine passavano granturco, cereali come frumento, grano saraceno orzo, segale e pure le castagne. Operativo era anche un frantoio per la torchiatura delle noci e dei semi di lino. Il torchio venne chiuso nel 1950, mentre dieci anni dopo toccò al mulino. Nel 2006, in occasione dell’anniversario per i quattrocento anni dell’edificio, il mulino ha finalmente ripreso a funzionare. Un bel modo per commemorare quattro secoli di attività!
per informazioni: Maglio di Aranno www.malcantone.ch tel. 091 606 29 86 Mulino di Bruzella www.mevm.ch tel. 091 690 20 38 Mulino del Ghitello www.parcobreggia.ch tel. 091 690 10 29
pagina a fianco: pulitore meccanico per il grano (Museo etnografico della Valle di Muggio) in questa pagina, in alto: utensili in ferro forgiati dalla lavorazione del maglio e in seguito del fabbro; sotto: un dettaglio della ruota del mulino di Bruzella
Rivolgiamo un particolare ringraziamento al signor Giuseppe Frigerio, responsabile del mulino di Aranno, per la collaborazione fornita nella stesura dell'articolo.
Sfide
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L’uomo e l’angelo “Ci sono uomini, e ci sono strumentisti, la cui vita e la cui carriera sono tutte in piano, magari in discesa; ci sono uomini, e ci sono strumentisti, per i quali il cammino è sempre accidentato, e magari in salita”. Così Piero Rattalino sintetizzava il confronto fra due grandi musicisti del Novecento: i violoncellisti Pierre Fournier e Gregor Piatigorsky
Alcune settimane fa mi è stato fatto omaggio di un cd contenente un’incisione del 1962 di quella che allora si chiamava Orchestra della Radiotelevisione della Svizzera Italiana. A dirigerla era Hermann Scherchen, uno dei più prestigiosi e illuminati direttori d’orchestra del Novecento. Se la qualità audio non rappresenta nulla di eccezionale rispetto a quanto ci ha abituato la moderna tecnologia, di estremo interesse sono invece l’interpretazione della Terza sinfonia op. 90 di Brahms e del Concerto per violoncello e orchestra op. 104 di Dvorak nel quale dà straordinaria prova di sé Pierre Fournier (1906–1986). Per chi non fosse addentro alla materia, Fournier è stato uno dei più grandi e leggendari violoncellisti del Novecento. Ma per raggiungere questo risultato egli dovette affrontare, e superare, una serie non indifferente di prove. La vita non gli fu infatti del tutto favorevole e il suo successo come uomo e concertista fu il risultato di una volontà e di una tenacia davvero fuori dall’ordinario. Nato a Parigi, figlio di un alto ufficiale dell’esercito francese, Pierre fu colpito durante l’infanzia da una grave forma di poliomielite. La malattia causò la compromissione della gamba destra che, oltre a limitarne la mobilità, gli impedì di proseguire gli studi pianistici ai quali era stato avviato con ottimi esiti dalla madre. L’impossibilità di utilizzare correttamente i pedali dello strumento lo indusse quindi a scegliere il violoncello, strumento che si suona seduti ma che comunque necessità di un corretto appoggio sugli arti inferiori. Benché provvisto di una musicalità naturale straordinaria e a prescindere dagli ottimi risultati negli studi – fu, fra l’altro, allievo di Paul Bazelaire e Anton Hekking presso il Conservatorio di Parigi –, Fournier dovette dominare la materia del proprio strumento grazie a un impegno e a una dedizione costanti: tutto ciò che egli riusciva a ottenere dal suo arco era il frutto di un lavoro capillare e metodico che nulla lasciava al caso. Il naturale imbarazzo dovuto alla marcata claudicazione venne dunque compensato dall’enorme sforzo sul piano dell’affinamento espressivo e strumentale.
La sua maturazione raggiunse il culmine dopo i quarant’anni, in netto ritardo rispetto ai suoi coetanei più dotati; ma da quel momento l’eleganza del suo gesto sonoro, la qualità timbrica dell’arcata, la fluidità del fraseggio conquistarono le platee di tutto il mondo, trasformandolo a ragione in uno dei musicisti più amati e stimati, anche sotto il profilo umano e relazionale. La sua interpretazione delle Suite bachiane resta ancora oggi, al pari di quella di Anner Bylsma, un punto di riferimento per tutti i violoncellisti. Suo grande rivale sulle scene e, come vedremo, anche nella vita privata fu Gregor Piatigorsky (1903–1976). Di solo tre anni più anziano di Fournier, di origini russe ma successivamente naturalizzato americano, Piatigorsky era dotato di una naturale predisposizione verso lo strumento e la sua vicenda personale seguì una direzione del tutto opposta a quella del collega francese. L’imponenza fisica, il fascino che sapeva trasmettere sul pubblico, la leggerezza del suo strumentismo – fu stretto collaboratore sia di Vladimir Horovitz sia di Arthur Rubinstein, oltre che primo violoncello dei Berliner – lo resero celebre in tutto il mondo. Definito un “angelo del violoncello”, Piatigorsky raggiunse il successo a soli trent’anni, grazie anche alla stima e all’apprezzamento di grandi compositori, non ultimo Sergei Prokofiev, che gli dedicarono pagine memorabili. Ma la rivalità fra questi due musicisti fu legata anche a fattori personali e sentimentali. Come racconta lo stesso Rattalino nelle note al cd, Pierre Fournier sposò infatti la moglie divorziata di Piatigorsky, una donna di rara bellezza e fascino e, a quanto pare, la loro fu un’unione felicissima e duratura. Personaggio riservato, silenzioso e di grande onestà intellettuale Fournier ha testimoniato con le sue interpretazioni e con il suo insegnamento – al pari di Piatigorsky egli dedicò una buona parte della sua vita a questa attività – che i grandi risultati professionali e personali sono inevitabilmente il frutto dell’autodisciplina, della tenacia e, nei casi migliori, dell’integrità morale. Un modello da tenere bene a mente, oltre che da ascoltare con attenzione!
» di Fabio Martini; illustrazione di Micha Dalcol
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Una questione di chiome Tendenze p. 44 | di Patrizia Mezzanzanica
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Credere che sia solo una questione di taglio e piega è un errore. I capelli sono molto, molto più di un mero fattore estetico e mai come oggi rappresentano un elemento importante dell’identità di ciascuno di noi. In quanto simboli universali esprimono poteri e proprietà dell’individuo e sono il concentrato spirituale delle sue virtù
come sede della forza vitale, dell’anima e persino del destino. Il biblico Sansone che senza capelli perde la sua forza è noto a tutti; ma che in Cina, in tempi remoti, la rasatura fosse considerata alla stregua di una vera e propria mutilazione, un sacrificio, una resa, quasi una castrazione, lo è certamente meno. Troviamo tracce di questa credenza anche nel famoso scalpo degli indiani d’America o nel taglio dei capelli richiesto dalla condizione monastica un po’ ovunque nel mondo. Altrove, rasarsi e radersi, veniva sospeso durante una guerra o per un viaggio o per un voto fatto. È storia recente quella dei Barbudos di Fidel Castro, che avevano giurato di non fare né l’uno né l’altro, finché non avessero ottenuto la vittoria. Riguardo alla capigliatura ogni popolo della Terra ha le sue tradizioni e tutti, fin dagli albori della civiltà, hanno adottato acconciature particolari con l’intento di mostrare l’appartenenza a una determinata classe sociale, di esprimere un disagio collettivo, ma anche di piacere e sedurre. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce rudimentali pettini in osso di età neolitica, e gli affreschi dei palazzi cretesi di Cnosso e Festo, risalenti al secondo millennio a.C., raffigurano uomini e donne con eleganti acconciature sia raccolte sia lasciate libere sulle spalle. Si racconta che Socrate andasse orgoglioso della sua calvizie, perché la attribuiva a un’intensa attività celebrale, e che Giulio Cesare, invece, se ne vergognasse... tanto da far approvare al senato romano un decreto per portare permanentemente la corona d’alloro. E pare anche che Ovidio, già nel primo secolo d.C., fosse preoccupato per la salute dei capelli delle sue concittadine, stressati oltre modo da tinte e arricciature. Il Cristianesimo riporta al rigore e le pettinature si fanno severe: capelli corti per gli uomini e cuffie o teste bendate per le donne. Col tempo i capelli lunghi diventano un’esclusiva delle classi nobili e le parrucche raggiungono, dal XVI secolo in poi, dimensioni e fatture certamente appariscenti. A dare letteralmente un taglio alla nuova moda esibizionista sarà, questa volta, la Rivoluzione Francese. Ma è nel Novecento, con un susseguirsi incalzante di novità, che si attua la maggiore trasformazione nella storia dell’acconciatura: tagli corti “alla maschio”, permanenti, code di cavallo stile Brigitte Bardot, lacche, cotonature, mèsches, colpi di sole e il famoso caschetto per le donne. Mentre gli uomini prediligono brillantine, retine, onde e i ciuffi ribelli dell’icona James Dean. Nel ’68, con la rivoluzione giovanile, nascono i capelloni e in seguito fanno la loro apparizione le creste colorate e i moicani dei punk. E le prime contaminazioni culturali: le treccine afro di Bo Derek hanno davvero fatto storia. E oggi? Che cosa vogliono donne e uomini nel 2010? “Soprattutto naturalezza” ci spiegano Roberta Marcello e Francesco Radaelli, hair stylist in Milano. “Lucentezza, corposità e morbidezza sono le qualità richieste più importanti. Prodotti e trattamenti devono essere naturali, al collagene o alla cheratina, al fine di nutrire il capello in profondità. La cosiddetta ricostruzione termica brasiliana è l’ultima novità del settore. Senza formaldeide né agenti chimici di alcun genere, dà consistenza, volume e toglie il crespo. Le tinture non devono essere aggressive ma piuttosto contenere liposomi vegetali, oli e oli essenziali. Le ultime tendenze moda che arrivano dalle sfilate prediligono pettinature lisce e lunghe per cui si fa largo uso di piastre. Le migliori sono quelle agli ioni che ammorbidiscono e non seccano, ma è fondamentale anche saper usare il phon; l’aria deve correre sulla spazzola, scivolare sul capello. Non si deve vedere che si è stati dal parrucchiere ma, al tempo stesso, ogni taglio e ogni piega devono avere uno stile ben preciso. Lo stile è fondamentale. Ogni acconciatura, anche la più selvaggia o naif deve avere una struttura, un senso. Perché senza armonia non c’è seduzione...”.
Letture
La sigaretta è stata per buona parte del Novecento uno status symbol, un elemento di distinzione, un segno di indipendenza e di raggiunta maturità. Fumare, era un modo per sentirsi adulti, arrivati, per imitare i grandi divi del cinema americano, le Marlène Dietrich, sensuali come non mai con il loro lungo bocchino, i Bogart con la perenne sigaretta pendente a un angolo della bocca. Sono queste le atmosfere che rivivono in Sigarette e cimiteri, scritto da Leo Manfrini, celebre reporter della nostra Televisione; cinque episodi in cui poesia, atmosfere e ricordi si fondono sul filo del fumo di una sigaretta... ma non solo. Ci sono, naturalmente, anche i cimiteri citati nel titolo e l’accostamento può far pensare banalmente a un
legame tra sigarette, fumo e conseguenze irreparabili per l’organismo dei fumatori. In realtà i cimiteri (come le sigarette) rappresentano un pretesto per ricordare persone del proprio passato. E sono anche i luoghi prediletti dove incontrare le loro anime, dove riscoprire ricordi e mantenere legami anche con chi non esiste più. Legami forse esili, quasi invisibili come un filo di fumo, come una boccata di sigaretta aspirata e poi rilasciata, che rapidamente si dissolve nell’aria. Un libro da leggere in una serata di pace e silenzio, senza forzatamente eccedere: non tutti come l’autore prediligono le atmosfere cimiteriali, né sentono il bisogno di una sigaretta per meditare e ricordare. Un libro magari diseguale dato che non tutti
gli episodi sembrano godere del fascino e dell’atmosfera che ammanta i primi due, Geneviève e Anna, veramente ricchi di incanto soprattutto per le figure femminili che vi vengono descritte: donne quasi divine, che muovono le fila della vita e che guidano i protagonisti dei racconti, le loro vicende, il loro destino. Chi scrive non ha mai toccato una sigaretta in vita sua e detesta il fumo; però l’iniziazione al fumo di un giovane da parte della sorella raccontata in Anna non può non regalare un brivido di emozione, con una descrizione che assume i toni realmente di “un rito”, pagano, ma profondamente spirituale. Con la sigaretta che si muove tra le dita e passa di mano in mano senza che un granello di cenere cada, che
Leo Manfrini Sigarette e cimiteri Armando Dadò Editore 2009
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si appoggia sulle labbra come se fosse stata inventata solo per quello e solo per quelle labbra.
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Astri gemelli
cancro
Con Venere e Marte in opposizione vita sessuale e sentimentale in movimento. State attenti tra il 26 e il 27 settembre a non perdere il controllo. La Luna si troverà in opposizione con Marte e Venere in Scorpione.
Grazie a Mercurio vivete un periodo di notevole attività mentale: le vostre comunicazioni potranno entrare in una fase di fermento. State attenti a non manipolare gli altri per fini egoistici. Discussioni in famiglia.
Grazie al trigono con Marte e Venere troverete il perfetto equilibrio tra il bisogno di essere voi stessi e i rapporti con gli altri. Momento di comunicazione con la persona amata. Incontri sentimentali.
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vergine
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A fine mese, la quadratura di Marte e Venere interesserà soprattutto i nati tra la prima e la seconda decade. Impennata dei desideri sessuali, ma gelosie e manifestazioni d’orgoglio. Momenti problematici in famiglia.
Tra il 26 e il 27 settembre grazie al transito lunare sentirete un forte impulso a evadere dalla routine quotidiana. Tenete i piedi saldi a terra senza escludere qualche piccola divagazione. Più controllati col cibo.
Marte e Venere di transito nella vostra seconda casa solare. Shopping compulsivo per i nati tra la prima e la seconda decade. Svolta possibilmente “eros” sul vostro look abituale. Forti spese per l’automobile.
Amore a vele spiegate per i nati tra la prima e la seconda decade. Potere seduttivo in crescita esponenziale. Colpi di fulmine per i nati di novembre. Periodo estremamente positivo. Cautela tra il 26 e il 27.
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acquario
pesci
Marte e Venere di transito in dodicesima casa solare per i nati tra la prima e la seconda decade. Momenti di irritabilità con il partner. Affioramento di vecchi schemi di comportamento. Tenete a freno la lingua.
Vita sentimentale in movimento tra il 26 e il 27 settembre. Sbalzi umorali uniti a momenti di passione. Fase di rilevanza karmica per i nati della prima decade da ricollegarsi ai transiti del nodo nord e di plutone.
A fine mese, Marte e Venere in quadratura per i nati tra la prima e la seconda decade. Svolta trasgressiva dei vostri desideri. Accentuazione marcata del vostro “ego”. Forte risveglio delle ambizioni.
Ottimi transiti di Marte e Venere nella vostra nona casa solare. Momento ideale per compiere qualunque tipo di “evasione” insieme al partner. Possibili problemi di comunicazione per l’opposizione di Mercurio.
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Orizzontali 1. Equo, neutrale • 10. L’ama Petrarca • 11. Genere pittorico • 12. Radice piccante • 13. Sono maestre del cucito • 14. Misura agraria • 15. Consonanti in cavia • 16. Gola centrale • 17. Pronome personale • 18. Si affiancano ai diritti • 19. Allegre, gioiose • 20. Anno Domini • 21. Fa coppia con lei • 23. Originali, anomali • 25. Lussemburgo e Svezia • 26. Precise • 27. Dittongo in Coira • 28. Possono essere mancini • 29. Pari in baffi • 31. San Gallo sulle targhe • 32. Scritto, articolo • 34. Il noto Jannacci • 36. Misura di lunghezza inglese • 38. Nanni, regista • 40. Granturco • 41. Le iniziali di un Luttazzi • 42. Una... a Zurigo • 43. Escursionisti Esteri • 44. Grossa arteria • 46. Niente senza pari • 48. Stimolare, incoraggiare • 51. Un cetaceo • 52. Alain, attore.
Berna • 8. Strada costiera • 9. Lentiggini • 13. Ustionarsi • 18. Città etiope • 22. Uccellino canoro • 24. Antico Testamento • 26. Parte di chilo •30. È composta da parole • 33. Adesso • 35. Cuor di razzista • 37. Posteriormente • 39. Precede “si gira” • 42. Un vulcano • 45. In coppia con Gian • 47. Leali senza limiti • 49. In mezzo al nido • 50. I confini di Essen.
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Verticali 1. Opera pittorica di Sironi • 2. Il nome di Polo • 3. Infantili • 4. Fiume fiorentino • 5. Il dio egizio del sole • 6. Senza preavviso • 7. Attraversa
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» a cura di Elisabetta
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Grazie a Venere la vostra vita sentimentale prende un’improvvisa impennata. La relazione erotica diventa il tramite per una trasformazione interiore. Momento adatto per chiedere prestiti o finanziamenti.
La soluzione verrà pubblicata sul numero 41
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Un marchio Daimler
La nuova generazione. Per la prossima generazione. I modelli ecologici BlueEFFICIENCY abbinati a tanta potenza e alla trazione integrale 4MATIC. Alle Star Weeks dal 13.9 al 16.10.2010. Visitate le Star Weeks dal vostro partner Mercedes-Benz e scoprite i nostri modelli ecosostenibili BlueEFFICIENCY: meno consumi e meno emissioni, ma la stessa spinta potente di sempre – ora anche con trazione integrale. E non è tutto: alle Star Weeks vi attendono tante altre attrazioni a straordinarie condizioni. www.starweeks.ch
C 180 CDI BE, 2’143 cm3, 88 kW/120 CV, 4 porte, emissioni di CO2: 148 g/km, consumo di carburante nel ciclo misto: 5,7 l/100 km, categoria di efficienza energetica: B. E 200 CDI BE, 2’143 cm3, 100 kW/136 CV, 4 porte, emissioni di CO2: 145 g/km, consumo di carburante nel ciclo misto: 5,5 l/100 km, categoria di efficienza energetica: A. ML 300 CDI 4MATIC BE, 2’987 cm3, 150 kW/204 CV, 5 porte, emissioni di CO2: 224 g/km, consumo di carburante nel ciclo misto: 8,4 l/100 km, categoria di efficienza energetica: C. Valore medio di CO2 di tutti i nuovi modelli proposti in Svizzera: 188 g/km.
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File: 628144-7_MER_Ticino_295x210.pdf Media/Insert: Ticino_295x210
Trim HxW: 295mm x 210mm Bleed HxW: 301mm x 216mm
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