Ticino7

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L’appuntamento del venerdì

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R EPORTAGE Oltre la diga AGORÀ Nomadi, zingari, gitani DECALOGO Santificare le feste SGUARDI Ritorno dall’alpe

Corriere del Ticino

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numero 42 15 ottobre 2010

Impressum Tiratura controllata 72’011 copie (dal 1. ottobre 2010)

Agorà I nomadi, questi sconosciuti

DI

Arti Giuseppe Pambieri. Giochi di ruolo Decalogo Santificare le feste

DI

Sguardi Appenzello. Ritorno dall’alpe

Editore Teleradio 7 SA, Muzzano

Vitae Joanna Schönenberger

Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier

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MARISA GORZA

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch

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S. LO TURCO; FOTO DI A. MENICONZI. . . . . . . . . . . . . .

CHIARA PICCALUGA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage La diga. Oltre il grigio cemento

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Tendenze Mostre. Switzerland vs. the World

E. ALLI; FOTO DI M. AROLDI . . . . . . . . . . . . . . . .

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VALENTINA GERIG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il padre dello straniero Siamo tutti stranieri. Lo sono anche coloro che stranieri “a casa loro” non vogliono proprio sentirsi. Perché stranieri sono stati forse alcuni dei loro padri; e più probabilmente lo sono stati i padri dei loro padri. Non esistono cognomi ticinesi: esistono invece cognomi di lingua italiana, tedesca, francese... altri ancora sono da ricondurre all’Europa dell’Est oppure, più a settentrione, alle regioni anglosassoni. Sì, perché esiste sempre un Nord, più ricco e intransigente, a volte più potente, volgare e razzista rispetto a chi “gli sta sotto”. Il Ticino è uno dei tanti Sud. È una protuberanza fattasi Stato (in seguito alla Mediazione napoleonica) fra Cantoni confederati oltremodo litigiosi. Le terre ticinesi: un asse strategico per la difesa della supremazia economica francese in Europa. In precedenza, per secoli e secoli, un misero baliaggio nel quale la gestione amministrativa del territorio aveva i connotati di “una presa di potere a termine” che mirava a raccogliere la maggior quantità di denaro nel breve volgere di poche manciate di mesi.

Sì, il Ticino è stato anche questo, una “terra di conquista”. Per qualcuno lo è ancora, oggi però minacciato da ratti pronti a rubare il lavoro – e forse anche le donne… – di queste valli, “aiutati” però da leggi che non lo vietano. Che siano allora i politici e parte degli imprenditori di questo Cantone i veri parassiti? La memoria, sappiamo, è sempre troppo corta. Così, molti non ricordano le sofferenze vissute dagli emigranti che dal Ticino partivano disperati verso le Americhe e l’Australia (circa 50.000 solo tra il 1850 e il 1930). Oppure raggiungevano le capitali del Continente: vaccari, cioccolatai, artigiani… anche loro erano a volte accusati di nefandezze, considerati portatori di malattie e di miseria. Chissà, come i “ratti affamati” dei noti cartelloni, anche chi oggi si arrocca nelle proprie sedi di partito e di giornale alla ricerca di consensi (mitra o matita alla mano) ha avuto un padre che aveva fame e ha mangiato altrove. Perché era uno straniero. E forse considerato anche un parassita e un ladro… Buona lettura, Giancarlo Fornasier

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In copertina I 92 metri della diga di Malvaglia (Valle di Blenio) Fotografia di Matteo Aroldi

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Photo editor Reza Khatir

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FRANCESCA RIGOTTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiusura redazionale Venerdì 8 ottobre

Direttore editoriale Peter Keller

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i conosciamo poco e per questo diffidiamo di loro. Del resto, per quanto possa apparire semplicistico, spesso è proprio così. I pregiudizi nascono quasi sempre da scarsa informazione e superficialità. Li vediamo arrivare con le loro roulotte oppure chiedere l’elemosina all’uscita di un supermarket e subito li associamo a un’idea di sporcizia, delinquenza e al vagabondaggio improduttivo. Addirittura li consideriamo ladri di bambini. Allora proviamo a capire qualcosa di più del mondo dei nomadi, un universo variegato e multiforme, attraverso alcune informazioni tratte da un lavoro di ricerca ancora in corso dell’antropologa Nadia Bizzini, incaricata dal Dipartimento delle istituzioni del nostro Cantone come mediatrice culturale proprio per queste popolazioni.

Chi sono i nomadi? La prima cosa da precisare è che quelli che chiamiamo genericamente nomadi sono distinti in “gruppi” in realtà diversi tra loro. Con molta probabilità discendono tutti da alcune tribù fuggite dall’India circa un millennio fa e datesi poi al nomadismo. Oggi in Europa vivono quindi i rom, in origine situati principalmente nell’Est europeo, i sinti, caratteristici dell’Europa centrale, i calé, del Portogallo e della Spagna e gli jenisch, in centro Europa. Dai sinti poi si sono separati circa un secolo fa i manouches, anch’essi presenti in Europa centrale. Un’altro elemento da considerare è che per quanto vengano chiamati nomadi, buona parte degli appartenenti a questi gruppi tanto nomade non è. Magari vive in roulotte, ma sta sempre ferma nello stesso luogo e ha da tempo la cittadinanza dello Stato in cui vive abitualmente. Per fornire qualche dato, l’insieme di queste popolazioni dette zingare arriva a circa sei milioni di individui, dei quali un milione e mezzo vive in Europa occidentale. Solo la metà di questo milione e mezzo conduce una vita veramente nomade. La situazione in Svizzera Passando alla Confederazione, la maggioranza dei nomadi presenti nel nostro Paese sono jenisch che nel corso dei secoli si sono imparentati con gruppi manouches. Gli jenisch e i manouches, infatti, sono presenti soprattutto in Francia, in Germania e in Svizzera. Gli jenisch e manouches svizzeri sono circa 35.000, dei quali 3.000 conducono ancora vita semi-nomade, mentre la maggioranza si è sedentarizzata. I nomadi che invece transitano nella Confederazione – così come accade in Francia e in

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I nomadi, questi sconosciuti

Agorà

Li chiamiamo, zingari, gitani, nomadi e ci sembrano tutti uguali e stranieri. Eppure vivono in Europa da secoli e sono parte della storia del nostro continente, né più né meno degli altri popoli… Italia – e sostano nelle aree ufficiali messe a loro disposizione dalle istituzioni sono di origine prevalentemente rom di prima emigrazione, cioè giunti in Europa occidentale agli inizi del Novecento. Si tratta quindi di persone con passaporto francese, italiano o spagnolo da almeno quattro generazioni. Un discorso diverso va riservato ai cosiddetti rom di seconda emigrazione, giunti dalle nostre parti dopo la guerra dei Balcani negli anni Novanta. Queste persone spesso sono clandestine, si stabiliscono in aree abusive situate nelle periferie delle metropoli e vi rimangono solitamente per anni fino a che non vengono allontanati con la forza. Allora cercano un altro luogo poco distante e sempre abusivamente vi si insidiano. Si tratta di un fenomeno tipico delle grandi città europee, come Milano, per esempio, dove nelle periferie sorgono spesso campi nomadi abusivi, privi di alcun controllo e di infrastrutture. Non mancano poi tensioni tra gli abitanti di queste vere e proprie baraccopoli e i residenti delle aree limitrofe, tensioni che proprio nel capoluogo lombardo sono sfociate in assalti ai campi nomadi e in aggressioni. I nomadi come problema Sicuramente alcuni nomadi – soprattutto tra i rom di seconda emigrazione che vivono nella clandestinità – delinquono e sfruttano i loro bambini per chiedere l’elemosina, però la generale diffidenza verso tutti i nomadi è qualcosa di diverso, di più profondo, di più radicato. Il plauso trasversale che ha attraversato l’Europa per la recente decisione del presidente Sarkozy di imporre il rimpatrio coatto a centinaia di rom, di seconda emigrazione, di origine rumena e bulgara – quindi cittadini dell’Unione europea come qualsiasi altro rumeno o bulgaro – testimonia di come i rom siano considerati prima di tutto un “problema”, che come tale va risolto. Con le buone o con le cattive. Anche nel Cantone Ticino, tra l’altro, non sono mancati episodi di intolleranza come lo sparo esploso contro alcuni rom, francesi e italiani, lo scorso 18 giugno a Galbisio. È una storia antica questa, che affonda le sue radici nel XV secolo, agli albori dell’epoca moderna, periodo a cui risalgono i primi documenti che attestano la presenza di nomadi in Europa. Erano anni in cui si andava affermando lo Stato moderno e prevaleva il desiderio di eliminare lo stile di vita nomade all’interno dei confini nazionali. Il nomadismo era considerato una minaccia all’ordine stabilito, poiché conferiva troppa libertà di movimento alle persone e conseguentemente un minor controllo


Persecuzioni in Svizzera La Svizzera non è stata, purtroppo, esente da persecuzioni contro i nomadi. Nel 1906 il Consiglio Federale ha decretato

la chiusura assoluta delle frontiere ai nomadi, definiti “vagabondi” in seguito alla campagna denominata Heimatlose (“senza patria”). Nel 1926 la Pro Juventute – un’organizzazione privata che mirava alla sedentarizzazione degli jenisch – ha attuato L’Oeuvre des enfants de la grand-route (“Opera per i bambini di strada”), sostenuta dalle autorità federali, cantonali e comunali. L’intento era di rieducare i bambini nomadi allo stile di vita sedentario, “all’ideale dell’individuo borghese”, e di sradicare quindi lo stile di vita nomade. Fondamentalmente i nomadi erano ritenuti dei “criminali”, “fannulloni”, “senza morale”, “sofferenti di tare congenite” e “incapaci di educare i propri figli”. E questo nonostante gli jenisch fossero cittadini svizzeri a tutti gli effetti dal 1851. Dal 1926 al 1972 circa 600 bambini di famiglie nomadi svizzere sono stati collocati in orfanotrofi, in famiglie affidatarie oppure, se non c’erano altri luoghi, nei penitenziari. Ai bambini, sradicati dalla propria famiglia, veniva cambiata l’identità in maniera da fare perdere le tracce ai parenti che per decenni non hanno avuto più notizie dei figli o nipoti rapiti dalle autorità. Molti di questi minori sono stati schiavizzati,

sfruttati e maltrattati e numerosi sono stati i casi di abuso sessuale. Storie del passato che hanno scavato ferite profonde nell’identità dei nomadi svizzeri. Basta leggere una delle poesie di Mariella Mehr, poetessa di origine jenisch (Notizie dall’esilio, Effigie, 2006), una delle molte bambine vittime delle politiche della Pro Juventute, per rendersene conto: “Non c’era mare ai nostri piedi, / anzi, gli siamo / sfuggiti a malapena, / quando – le disgrazie, si dice, non vengono mai sole – / il cielo d’acciaio ci incatenò il cuore. / Abbiamo pianto invano le nostre madri / davanti ai patiboli, / e ricoperto i bambini morti con fiori di mandorlo / per scaldarli nel sonno, il lungo sonno. / Nelle notti nere ci disseminano / per poi strappare noi posteri alla terra / nelle prime ore del mattino. / Ancora nel sonno ti cerco, erba selvatica e menta: / chiuditi, occhio, ti dico, / e che tu non debba mai vedere i loro volti, / quando le mani diventano pietra. / Per questo l’erba selvatica, la menta. / Ti stanno leggere sulla fronte / quando arrivano i mietitori”.

» di Roberto Roveda

da parte delle autorità. Alla fine del XVIII secolo vennero poi formulate le teorie razziali e tutti i nomadi (anche quelli divenuti sedentari) vennero definiti razza inferiore, primitiva e con predisposizione ereditaria al vagabondaggio e quindi alla criminalità. Queste concezioni –, che portarono nel XX secolo a definire i nomadi come congenitamente refrattari al lavoro, asociali, criminali e in generale devianti – fornirono le basi pseudoscientifiche alle politiche di stermino del nazifascismo a partire dagli anni Trenta del Novecento. Contro i nomadi si è perpetrato un vero e proprio genocidio: considerati vagabondi, non-cittadini e conseguentemente non-persone e privati dei diritti, almeno mezzo milione è stato sterminato nei lager, mentre un numero ancora maggiore è stato sterilizzato e torturato. Solo negli anni Settanta del Novecento i gruppi nomadi (sedentari o non) sono riusciti a ottenere la protezione giuridica conferita alle minoranze, anche se le discriminazioni non mancano neppure oggi.

Bibliografia essenziale F. De Vaux de Foletier, Mille anni di storia degli zingari, Jaca Book, 2010 L. Piasere, I rom d’Europa, Laterza, 2007

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Giuseppe Pambieri. Giochi di ruolo

Arti

sguardo dai lampi blue, il sorriso malandrino, la camminata dinoccolata sono esattamente quelli di Remo, seducente nipote di Le sorelle Materassi (con Sarah Ferrati e Rina Morelli), serial che nel 1972 spopolava sugli schermi della televisione italiana. Argento nei capelli (e baffi) a parte, dove avrà mai nascosto il ritratto alla Dorian Gray che assume al posto suo i malefici segni del tempo? Difficile a dirsi, perché Giuseppe Pambieri, da impegnato attore di teatro, è sempre in giro in lunghe tournée. Lo incontriamo a Borgio Verezzi, in occasione del noto Festival Teatraleedizione estate 2010 subito dopo l’applaudita prima di Anfitrione, tragicommedia di Plauto, rivisitata da Heinrich von Kleist (1777–1811) e da lui diretta e interpretata insieme a Lia Tanzi, affiatata partner sulla scena come nella vita. Galante e cordiale Pambieri è molto disponibile al dialogo ed è certamente diverso sia da Giove, viveur arrogante, come pure dall’arrabbiato Anfitrione. Tuttavia non posso fare a meno di chiedergli se c’è in lui qualche affinità con l’uno o con l’altro.

Heinrich von Kleist La brocca rotta Anfitrione Garzanti, 2005 Il volume raccoglie alcune delle opere teatrali del grande scrittore e drammaturgo tedesco. Nell’Anfitrione, sulla falsariga di Plauto e Molière, Kleist rappresenta il dissolvimento di un’anima incapace di riconoscere la realtà obiettiva.

vessato da quei capricciosi meccanismi socio-culturali che sono le attuali divinità. “Infatti si tratta di una metafora e di una critica del potere e delle gerarchie – commenta il nostro regista – come pure di un’opera che disquisisce sulla filosofia del teatro stesso e della sua costante rappresentazione del doppio”. Quale versatile attore di teatro, televisione e cinema, con una carriera ricca di ruoli e generi disparati, come vive questo continuo sdoppiarsi? “Con nessuno dei due – ri“Mi diverte cambiare apparenza e personalità sponde deciso – Il Re degli dei alla maniera pirandelliana! A ogni modo ririsulta vincente, ma usa mezzi mango, o ritorno, sempre me stesso. Il tema delsubdoli, indegni della sua nala doppia identità viene riaffrontato da Plauto tura nobile-divina. Proprio per in Menecmi e ispira pure La Commedia degli questo il pubblico simpatizza Errori di Shakespeare – lavori nei quali mi sono per lo smarrito, beffato genecimentato – e prosegue poi nella letteratura e rale Anfitrione. Probabilmente nell’arte fino ai nostri giorni. Certo la riflessioanch’io”. ne sugli aspetti dualistici della personalità mi Capolavoro della letteratura intriga parecchio!”. latina, trasposta nelle atmoDa Remo ad Alcesti, da King Lear a Mattia sfere post belliche degli anni Pascal, da Edipo Re a Enrico V, da Diego Cinquanta, la commedia diOlivares a Cesare Pavese e altri mille… Qual pinge i vizi umani in una satiè il personaggio interpretato che le assomira articolata sul classico tema glia di più? dello scambio. È la vicenda “In tutti i caratteri tratteggiati dagli autori, di Giove che, invaghitosi di capaci di sublimare i sentimenti universali, c’è Alcmena (Lia Tanzi), le si qualcosa che ci appartiene. Uno dei miei preferiti presenta sotto le spoglie del è Oreste ne Le Mosche di Sartre, per rappresenmarito Anfitrione impegnato tarlo ho dovuto entrare in una sorta di osmosi in guerra e trascorre con lei con i suoi tratti psicologici. Una fatica che il una notte d’amore. Mentre il pubblico coglie e ti premia con calore (per incicompare Mercurio (Sebastiaso, uno dei numerosi riconoscimenti ricevuti no Colle) favorisce la tresca da Giuseppe Pambieri In occasione dell’edizione 2010 del Festival è stato la Noce D’Oro a Teatrale di Borgio Verezzi abbiamo incontrato soli 23 anni per questa intensa interpretazioil noto attore italiano. Amato dal pubblico, ne, nda.). Altro ruolo a vanta una lunga carriera teatrale e televisiva me congeniale è quello e calca le scene con immutato entusiasmo di Baldovino (Premio Gassman 2005, nda.) ne Il piacere dell’onestà di Pirandello, per non sotto le sembianze di Sosia parlare di Alcesti o di Pericle…”. (Nino Bignamini), servo del Il personaggio di Remo che l’ha resa popolagenerale, quest’ultimo e il suo re, si può considerare una sorta alter ego? fido ritornano a casa. Si crea “Devo molto a quel mascalzone fedifrago, ma così un intreccio di situazioassolutamente non gli assomiglio, o almeno ni esilaranti che inducono a spero…”. Gli crediamo sulla parola. riflettere sul sistema odierno

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Lo

Libri


Ricordati di santificare le feste “Ricorda di santificare le feste. Facile per noi ladroni entrare nei templi che rigurgitan salmi di schiavi e dei loro padroni senza finire legati agli altari sgozzati come animali. Senza finire legati agli altari sgozzati come animali”

Bisogna dire che il giovane Fabrizio De André – che nel suo Testamento di Tito, da cui è tratta la strofa di apertura, scrisse comunque osservazioni significative e penetranti a commento dei comandamenti – sembra aver percepito con notevole intuito un aspetto centrale della storia. I suoi ladroni infatti non santificano il tempio, giacché lo saccheggiano per poi uscirne indenni, riuscendo pure a scampare al destino delle vittime del sacrificio, ovvero degli animali sgozzati sugli altari. Ma sul senso del sacrificare e santificare torneremo in seguito.

Decalogo

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Osserva il giorno di sabato Per ora è importante capire in che cosa consiste il nucleo del terzo precetto o logo, che viene dopo il primo, legato all’essenza di Dio, e il secondo, connesso al suo nome. Per comprenderlo occorre allontanarsi dalla formula abbreviata del catechismo cattolico, che sembra dar peso prevalentemente al santificare la giornata festiva, magari con l’”andare a messa la domenica”, e rivolgersi invece alla formulazione originale espressa nelle due versioni veterotestamentarie dell’Esodo (20, 2-17) e del Deuteronomio (5, 6-21). In entrambe le varianti il comando è quello espresso con la formula più ampia di tutti e dieci comandamenti, costruita con dovizia di spiegazioni e aggiunte: “Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato” (Deut. 5, 12-15). Senza il riferimento alle questioni della storia tradizionale la comprensione del precetto è dunque impossibile, giacché quel che vi si dice è di rispettare il sabato. Ma per farlo bisogna sapere che cosa è il sabato. In entrambe le versioni si intende con questo termine il riposo. Ma che sia cadenzato,

che sia un non lavorare alla distanza regolare di sette giorni perché il settimo giorno sia riservato al riposo, alla quiete, al non lavoro: šbt. Ritmo dei giorni, ritmo degli anni Nel riposo sia coinvolto tutto il ménage che circonda il padrone di casa (non si dimentichi che i comandamenti sono rivolti a un gruppo ristretto di uomini liberi, proprietari di terre e di bestiame): ne godano anche schiavi, stranieri, bambini, bestiame, donne. Il ritmo dei giorni secondo la formula “sei più uno” – che noi abbiamo stravolto negli ultimi pochi decenni trasformandola in quella del “cinque più due” – si adegui al ritmo dell’uso dei terreni da coltivare. Dice infatti il Signore in Esodo 23, 10: “Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno la lascerai riposare e rimanere incolta; i poveri del tuo popolo ne godranno, e le bestie della campagna mangeranno quel che rimarrà. Lo stesso farai della tua vigna e de’ tuoi ulivi”. Un popolo di liberi, che da Jahwé ha ricevuto la libertà, la eserciterà col riposo scandito, rispettando anche l’anno sabbatico, di cui oggi godono esclusivamente alcune poche fortunate categorie di mortali che esercitano particolari professioni.

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Rendere santo, rendere sacro Il riposo sia dunque rispettato e anche reso santo con l’essere dedicato al Signore e ai culti riservatigli. Il passaggio è accentuato nel cristianesimo con la nuova denominazione del giorno di non lavoro, che, da giorno del riposo (sabato), diventa giorno del sovrano, del padrone di casa (dominus, da cui domenica). Sul significato dei termini santo e sacro, santificare e sacrificare – colto estemporaneamente da De André – si è interrogato il pensiero contemporaneo a partire da alcuni studi di filologi e antropologi che per primi notarono, sul finire dell’Ottocento, il carattere ambiguo di tali parole. Ambiguo dal momento che “sacro” è ciò o colui che non può essere toccato senza essere profanato o senza profanare, è benedetto o maledetto, come spiega Giorgio Agamben in Homo sacer (Torino 1995).


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Appenzello. Ritorno dall’alpe testo di Sergio Lo Turco; fotografie di Alessandra Meniconzi

“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi

Sguardi

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i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti”. Come non arrendersi alla malìa delle suggestive immagini evocate da Gabriele D’Annunzio nella sua lirica “Pastori?”. E se per una sorta di invenzione fanta-poetica (improbabile, certo, ma perché non lasciar vagare l’immaginazione?), D’Annunzio fosse stato un vate nostrano, in quale scenario si sarebbero mossi i “suoi” pastori? Quale sarebbe stata la location del rosso-crociato Alcyone? Ma l’Appenzello, che altro? L’Appenzello, coi suoi mari d’erba smeraldina, i sinuosi pascoli di collina, i freschi alpeggi rigogliosi. In Appenzello, come in tante località della Svizzera ma con quel pizzico in più di festoso e orgoglioso attaccamento alla tradizione, si rinnova annualmente il rito della salita all’alpeggio: a partire da maggio i pascoli alpini sono meta di mandrie e pastori, alla ricerca di erbe abbondanti, profumate e ricche di quelle proprietà capaci di rendere unici latte e formaggio. Si “carica” l’alpe, come si usa dire, per vivere tra cielo e terra, tra le gioie e le fatiche quotidiane della malga... Ma alle prime avvisaglie dell’autunno, ecco, è appunto “tempo di migrare”, di tornare alle stalle di vallata. Così, con questo periodico salire all’alpeggio o discendervi, si compie una delle principali attività dell’universo contadino.

Un atavico cerimoniale fatto di gesti, canti e suoni Il termine tecnico è “demonticazione”, ovvero “discesa delle mandrie dai pascoli alpini alla vallata a fine estate”: un vocabolo che avrebbe certamente fatto inorridire il Vate. In realtà si tratta di un rito che si ripete secondo un atavico cerimoniale fatto di gesti, canti e suoni, che ha il suo clou nella pittoresca, esaltante processione di uomini e animali in marcia dalle vette alpine, giù giù, per sentieri e dirupi, talvolta a rotta di collo, fino ad attraversare la città fra schiere di spettatori ammirati dalla spettacolarità dell’evento, per raggiungere le stalle dove si trascorrerà l’inverno. Per cogliere appieno la profondità e l’unicità di questa tradizione bisogna viverla direttamente. Da Lehmen (nelle vicinanze

di Weissbad), di buon mattino, ci arrampichiamo per un’ora e mezza all’alpe di “Oberes Sönderli” dove Erwin Moser, il contadino proprietario della mandria, ha già dato il via ai preparativi. Nell’aria cristallina, nella scenografica prospettiva dell’alpe, si muovono figure che paiono uscite da un quadro di Albert Manser, uno dei massimi esponenti della pittura contadina appenzellese. Dopo la mungitura, la preparazione della mandria e la sistemazione degli attrezzi, i pastori si riuniscono nella cucina della malga per l’ultima colazione che ha insieme la solennità e la gioiosità di una celebrazione. Indossano tutti il classico gilet rosso e il copricapo ornato di freschi fiori alpini. Poi si preparano i tre grandi campanacci, i veri protagonisti della demonticazione. Perfettamente armonizzati, il loro suono è l’orgoglio della popolazione contadina di entrambi i lati del Säntis. Quattro pastori seguiranno le campane, con il compito di cantare e far risuonare questi tre particolarissimi strumenti. Ecco perché l’arte dei contadini non consiste solo nel selezionare i migliori capi di bestiame ma anche nell’assumere i migliori pastori dotati di buone doti canore. La vibrante armonia dei campanacci Verso mezzogiorno inizia la discesa. Da Weissbad le mucche raggiungeranno il centro di Appenzell, passeranno accanto alla chiesa grande e, attraversato il ponte, imboccheranno la strada per Hirschberg, dove si trova la fattoria. Se la discesa dall’alpe era stata tutto uno spericolato “scapicollarsi” di animali e uomini per i sentieri montani, l’attraversamento della città è una trionfale parata tra spettatori di ogni età, incuriositi e affascinati dall’evento atteso ma sempre nuovo. Quando la vibrante armonia dei tre campanacci unita alle voci dei pastori si alza nella dolce brezza autunnale, il pubblico è rapito da un’atmosfera quasi irreale che risveglia emozioni uniche e irripetibili. È qui che i cittadini fanno a gara nell’offrire cibi e bevande ai pastori, per ristorarli dalle fatiche del viaggio ma, soprattutto, per simpatia, perché così vuole la tradizione. Gli spettatori più attenti collocati sul ciglio della strada verificano che non sia trascurato alcun dettaglio: dopo il corteo di mucche vengono i buoi e i vitelli. Tra le mucche che scendono a valle ce ne sono alcune con una grande cintura bianca sul ventre e altre con una stretta fascia bianca sulla schiena: sono le mucche allevate da secoli nel puro rispetto della tradizione, dai contadini che desiderano perpetuare gli antichi costumi. Infine arrivano i tori con la corda legata attorno al collo. Chiude la sfilata il proprietario, con la giacca marrone e il fedele pastore appenzellese al fianco... Appuntamento a primavera È sera. Nel tramonto ormai imminente si smorzano i suoni e i canti. Mentre muggiti, zoccolii e figure si perdono nell’aria tremula, la città riprende il controllo degli eventi e del paesaggio. Il momento magico è già un ricordo, da rivivere nelle conversazioni o scorrendo l’album delle fotografie. Ora bisognerà attendere fino alla prossima primavera.



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» testimonianza raccolta da Chiara Piccaluga; fotografia di Igor Ponti

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le. Dal blu-verde-bianco bagnato all’ocra-rosso torrido. Rientrata a Zurigo, ho terminato gli studi e sono ripartita per la Virginia. All’Università Virginia Tech raccoglievamo dati sugli orsi. Passavo i giorni nei boschi a seguirli, mettevamo delle trappole per catturarli e munirli di radiocollare, un dispositivo che permette di seguirne gli spostamenti e studiarne la dinamica di popolazione. Le esche erano delle schifezze, doughnuts o resti del McDonald’s. Nel periodo invernale rintracciavamo le femmine in letargo all’interno dei tronchi cavi delle querce. Dall’alto dei primi rami sparavamo giù Gli orsi e il volo sono parte integrante nella cavità la freccia con il della sua vita. Ma il futuro porterà un sonnifero. In basso poi, con certo cambiamento: sono in arrivo due una motosega aprivamo una finestra nel tronco e spesso gemellini e con loro intende scoprire le vi trovavamo da uno a tre piccole meraviglie dei dintorni piccoli nati da poco. Prendevamo i dati che ci servivano, l’occasione di sfogare la mia rinnovavamo il radiocollare alla madre e voglia di libertà e di natura richiudevamo il tronco. Dalla Virginia, dopo perché si dormiva all’aperun altro lavoro da ranger in Florida, sempre to, si viveva alla giornata e per caso e con “zero soldi”, sono arrivata a in completo spirito di incerNew Orleans, per seguire il carnevale. Mi tezza e avventura. Poi sono sono infine spostata in Arizona dove c’era tornata a studiare e lavorare un amico con cui ho finalmente imparato per risparmiare qualcosa per a volare. il viaggio successivo; questa Se ho un’idea, prima o poi la realizzo, ma volta direzione Alaska dove spesso ci vuole molto tempo per trovare ho lavorato un anno come un’opportunità, e ho dovuto adattarmi national park ranger. Nel corso alle circostanze, un po’ come i fiumi che della stagione estiva ho avuto scendono verso il mare e si adattano al modo di percorrere il sentiero percorso, fluendo intorno agli ostacoli che di Chilkoot che dal mare conincontrano. Volare mi è sempre piaciuto duce fino in alta montagna e e così, tornata in Ticino, mi sono iscritta che dal 1896 vide il passaggio alla scuola Crossair di Basilea come pilota di tanti cercatori d’oro fra cui di linea. Ottenuta la licenza, c’è stato il lo stesso Jack London. È un grounding della Swissair, e mi sono ritrovata sentiero di circa 53 km acsenza lavoro. Oggi decollo per dei voli pacessibile solo a piedi e molto noramici o fotografici, e sono responsabile difficile da percorrere, dato del progetto orsi per il WWF. che richiede in media 3-5 Il filo rosso di tutte queste attività è che mi giorni di cammino, spesso piace scoprire e celebrare la bellezza, che nella neve. Solo 30.000 delle per me è la ricchezza della natura e delle circa 100.000 persone che culture, i ritmi dei linguaggi e della musica, partirono per i campi d’oro l’avventura, l’umorismo e l’assurdità nei fatti di Klondike, li raggiunsero. della vita. Una cosa che non capisco è il conMolti furono costretti a torsumismo, che altera tutti questi valori. Con nare indietro e altri persero il consumismo ci rendiamo complici delle la vita. In questo luogo fuori ingiustizie sociali e della distruzione della dal mondo ho avuto i miei natura. Anche già solo un ramo storto di caprimi incontri con gli orsi. Da stagno parla di questa bellezza: le sue forme, lì sono partita diretta verso il se osservate attentamente, sono in continuo Burkina Faso per un periodo mutamento a seconda del volgere della luce, pratico nella gestione forestaun po’ come le nostre stesse vite.

Joanna Schönenberger

Vitae

ono nata in Algeria ai bordi del Sahara, ad Aïn M’lila, che significa “occhio o sorgente nella notte”. Mio padre vi costruiva delle scuole per un progetto di aiuto allo sviluppo. Quando avevo due anni siamo tornati in Ticino, a Beride in Malcantone, dove sono nati anche gli ultimi quattro dei miei cinque fratelli. Dopo il liceo a Lugano ero pronta all’avventura. Ho sempre sognato di lavorare all’aperto e in varie parti del mondo, così mi sono iscritta alla facoltà di ingegneria forestale al Politecnico di Zurigo con specializzazione in protezione della natura. Mi affascina tutto ciò che accade nell’ambiente, dalla vita dei piccoli insetti agli immensi fenomeni che avvengono in natura. Né il “Poly” né il sistema di studio svizzero offrivano tante possibilità di aprirsi al mondo; ho usato quindi i contatti dell’associazione studentesca internazionale che avevamo appena creato per alternare gli anni di studio a periodi di pratica in giro per il mondo. Non avevo un centesimo per viaggiare e già mi era difficile sbarcare il lunario a Zurigo, così ho cercato di lavorare in progetti legati alla natura o alla collaborazione allo sviluppo. Durante gli studi, invece, fare la postina è stata l’attività forse più esterna al mio mondo anche se si possono scoprire tantissime cose della gente, a quale partito appartengono, quali sono le loro abitudini e sensibilità. Al Politecnico mi sentivo schiacciata e imprigionata come in una scatola di fiammiferi; mi opprimeva la struttura ed ero assetata di conoscenza di altri luoghi, usanze e modi di vita. In quasi otto anni di università, tre li ho passati tra Chicago, Alaska, Amazzonia, Burkina Faso, Malesia, Australia e Sudafrica. Al secondo anno di ingegneria forestale sono partita per il Brasile per studiare la foresta amazzonica e ballare ai ritmi africani di Salvador da Bahia. In sei mesi ho avuto

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LA DIGA OLTRE IL GRIGIO CEMENTO testo di Elisabeth Alli fotografie di Matteo Aroldi

Fanno parte integrante del paesaggio delle vallate alpine e la loro esistenza scorre tranquilla, come quella dei fiumi imprigionati all’interno dei loro invasi. Avvalendoci di tre specialisti del settore, abbiamo cercato di cogliere il lato più seducente e a volte curioso di quattro fra i più noti “giganti” delle nostre montagne: le dighe di Contra, del Sambuco, del Lucendro e del Luzzone


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mponenti e silenziose muraglie di cemento, le 22 dighe ticinesi sono dei veri e propri serbatoi d’acqua pronta a essere trasformata in energia elettrica dalle 29 centrali attive sul territorio cantonale. Quest’ultime sono di fatto in grado di generare, a dipendenza dell’intensità delle precipitazioni, 3.700 GWh all’anno. Una produzione in parte esportata, poiché al di sopra del fabbisogno energetico annuo ticinese, situato attorno ai 2.800 GWh. Le statistiche mostrano infatti che il contributo ticinese all’economia idroelettrica del Paese è pari al 10-11% circa.

La diga di Contra Del tipo ad “arco a doppia curvatura” – in relazione alla forma inarcata sia sull’orizzontale che sulla verticale –, la diga di Contra nasconde un’astuzia tecnica, come ci spiega Bernard Joos ingegnere e segretario generale del Comitato svizzero delle dighe, “che le conferisce pure un’eleganza tutta sua”. Infatti è proprio l’inarcatura che permette alla pressione dell’acqua, molto elevata, d’essere sospinta verso i fianchi della vallata riducendo la spinta sulle pareti centrali dello sbarramento. Quarta diga svizzera in termini d’altezza, con i suoi 220 metri,


a sinistra: il bacino del Narèt nella Valle del Sambuco (Ticino). Le dighe Narèt 1 e Narèt 2 (1970) come molte altre presenti sul territorio avranno un ruolo fondamentale nel contenimento delle inondazioni. L’effetto serra, infatti, farà sciogliere sempre più velocemente i ghiacciai e le primavere potranno rivelarsi dei momenti critici per il rischio di piene improvvise in apertura: la diga di Contra (1965) in Valle Verzasca è stata protagonista delle prime immagini della pellicola James Bond. Agente 007 - GoldenEye (1995) ed è perciò divenuta celebre nel mondo intero

lo sbarramento di Contra trattiene le verdi acque della Verzasca creando il lago di Vogorno, 105 milioni di metri cubi di liquido artificialmente trattenuti da un grattacielo di cemento. Lo spettro di una catastrofe sempre presente, fa della diga “uno tra gli edifici più controllati al mondo”, sottolinea l’ingegnere Roger Bremen vice-presidente del comitato svizzero delle dighe. La diga del Lucendro Sita nel comune di Airolo, la diga del Lucendro si riempie delle acque della Gotthardreuss ed è alta soli – si fa per dire… – 73

metri. Ciononostante, la muraglia è e rimane imponente, soprattutto a causa della sua corona di 269 metri di estensione. Gli ingegneri che progettarono questo edificio ebbero, come ci ha raccontato Bernard Joos, “un’importante sfida: edificare una diga economizzando sul cemento”. Erano infatti anni in cui nessuno era in grado di predire la fine della Seconda guerra mondiale. Si è perciò optato per una diga a “contrafforti”. Come tutte le dighe anche quella del Lucendro “è stata costruita per durare almeno 100 anni”, ci fa notare Roger Bremen, “ma sarebbe inimmaginabile pensare a un loro smantellamento”. Inol-



pagina a fianco: con i suoi 225 metri di altezza, la diga del Luzzone (1963) in Valle di Blenio è la prima diga ticinese e la terza a livello svizzero a sinistra: la diga di Santa Maria, Grigioni (1968). Come tutte le dighe svizzere, anche quella di Santa Maria possiede dei principi di sicurezza riconosciuti internazionalmente come i migliori al mondo. Annualmente, infatti, il gestore della diga effettua la propria manutenzione e ogni 5 anni il bacino è sottoposto alla perizia di un ingegnere esterno

tre, insiste Anton Schleiss, presidente del Comitato svizzero delle dighe nonché professore alla scuola Politecnica Federale di Losanna, “l’importanza di queste muraglie sarà vieppiù marcata per il contenimento e l'attenuazione delle inondazioni, nonché nella regolarizzazione del flusso dei fiumi”. (Aspetto questo al centro di un grande dibattito che vede associazioni legate alla pesca e alla salvaguardia del territorio criticare profondamente la gestione dei deflussi minimi, ndr.) La diga del Luzzone Tra le particolarità della diga del Luzzone va citato senza dubbio l’innalzamento di 17 metri del quale è stata fatta oggetto nel biennio 1996-97. Benché oggi esistano in Ticino dei progetti, ci conferma Roger Bremen, “la costruzione di nuove dighe è resa difficile dai vincoli ambientali e legislativi”. Una situazione che rende meno evidente, per i giovani, l’importanza della professione d’ingegnere civile, anche se il professor Schleiss, osservatore privilegiato, conferma l’interesse con il quale i suoi studenti s’appassionano alle esaltanti sfide del mestiere. La diga del Sambuco La diga del Sambuco deve la produzione d’elettricità alle acque della Maggia chiuse dietro 130 metri di cemento edificati 54 anni or sono e che formano l'omonimo lago del

Sambuco. Come la diga di Contra, il Sambuco potrebbe essere oggetto di una nuova rivalorizzazione energetica grazie alla tecnica del ripompaggio. Seguendo l’esempio della diga vodese dell’Hongrin, di notte (quando l’energia è a buon mercato) la si utilizza per pompare l’acqua del Verbano nel lago del Sambuco, aumentando così le sue capacità energetiche diurne, “quando il fabbisogno è maggiore e di conseguenza il costo del KWh è più elevato”, spiegano Bremen e Joos. Fra i progetti che potrebbero concretizzarsi a breve termine vi è quello relativo alla installazione di pale eoliche, visto l’investimento massiccio di alcune nazioni europee, per esempio, la Germania, nell’energia rinnovabile del vento. Ma la risorsa eolica, puntualizza Joos, “è imprevedibile e a questo proposito le dighe ticinesi e svizzere giocheranno un ruolo preponderante nell’approvvigionamento elettrico del continente”. Esse sono, infatti, in grado di sopperire rapidamente e puntualmente all’assenza di vento, e al conseguente deficit nell’erogazione energetica di tutta una regione. Per queste nuove sfide sarà perciò fondamentale disporre di “una forza lavoro preparata e numerosa, mantenendo in linea di mira – come tiene a precisare il signor Bremen – la parsimonia con la quale va utilizzata l’energia elettrica che abbiamo a disposizione quotidianamente”. Un tema, quello della razionalizzazione e del risparmio energetico che coinvolge questa volte non solo gli addetti ai lavori, ma anche noi cittadini. E, ovviamente, la classe politica.


Hadji Azam (Zanagha, Afghanistan)

Gerhard Schmiedbauer (Coira, Canton Grigioni, Svizzera)

Coton (Samangan, Afghanistan)

Vison (Losanna, Canton Vaud, Svizzera)

Chaoyangmen Xiaobeidajie (Beijing, Cina)

Kerns (Canton Obvaldo, Svizzera)


Casette di legno contro muraglie di mattoni cinesi. Originali

do Delille. Lo sguardo di Woods e compagni è imprevedibile, barbe alpine contro corrispondenti afghane. Pellicce da signora alternativo ed è diventato un marchio distintivo della loro contro burqua. Nanetti da giardino e riproduzioni gigantesche casa editrice. Se a questo si aggiunge poi l’idea di giocare con di forzuti texani. La Svizzera sfodera le sue armi? Ebbene sì, ma i cliché dei paesi attraversati, il risultato sono guide originali, la guerra è surreale (e in immagini) nella mostra La Svizzera con foto seriali raggruppate per tema, al fine di scavalcare o contro il resto del mondo presso la Galleria Bel Vedere a Milano, confermare i “luoghi comuni”. Un gioco, hanno spiegato gli (fino al 6 novembre; Via Santa Maria Valle stessi fotografi alla presentazione della 5; www.belvedereonlus.it). Dietro c’è lo mostra milanese, che li diverte molto. zampino dei fotografi della casa editrice Il risultato per il pubblico è una mostra Riverboom, che si sono dedicati al nostro e un catalogo che strappano più sorrisi: paese dopo aver pubblicato in passato due la barba del signor Schmiedbauer di guide anticonvenzionali sull’Afghanistan Coira è contrapposta a quella rossa di e sul Polo Nord. La scelta non è casuale. un pashtun afgano. Il completo da sci in L’attualità ha fatto rimbalzare la Svizzera tinta di una ragazza sulle montagne del sulle pagine dei giornali di mezzo mondo. Canton Vaud fa da contraltare alla tuta Tendenze, p. 42–43 E oltre ogni più ottimistica previsione: integrale di un cacciatore sui ghiacci di Valentina Gerig affaire Gheddafi, segreto bancario, midella Groenlandia. Il banchiere svizzero nareti, questione Polanski. “Dopo secoli coi baffi è contrapposto a un generale di pace soporifera, la Svizzera sorge ora afghano – naturalmente sempre coi bafdalle ceneri della neutralità e contrattacca. fi… – ma impegnato in ben altre faccende Aver dato origine alla Croce Rossa e al Bircher Muesli ora non è più (era lo scatto più dissacrante ma l’accostamento sembra non sufficiente. L’ora del confronto è suonata...” scherzano gli autori. aver suscitato troppe polemiche). L’ironia che attraversa le L’anima di Riverboom è composta di tre giovani fotografi: fotografie del progetto della Riverboom è anche un modo Claude Baechtold, Serge Michel (entrambi svizzeri) e Paolo per dare dignità ai paesi in guerra, spiega Baechtold, perché Woods. L’idea di fondare una casa editrice è nata in una notte quasi sempre vengono immortalati solo con immagini crude di paura e promesse, nel 2002, lungo le rive del fiume Boom, in e drammatiche legate ai terribili conflitti in corso. Afghanistan. I tre si trovano bloccati dalle acque e dalle bande Da segnalare, infine, anche un progetto collaterale online legato di Taliban che imperversano nella zona. Si riprometterono che, all’idea della serialità: “Baechtold’s Best” (www.baechtoldsbest. se ne fossero usciti vivi, avrebbero realizzeranno un sogno com), ovvero una sorta di inventario visuale di tutto il mondo comune: creare una casa editrice. Detto fatto: nasce Riverboom attraverso i cliché. La precisione e il rigore sono da svizzeri doc: e ai tre si aggiungono i colleghi Gabriele Galimberti e Edoarin questo caso il luogo comune ha trovato il suo riscontro.

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Âť illustrazione di Adriano Crivelli


Con

Visioni

la sua ultima pellicola Götz Spielmann – regista austriaco, classe 1961, numerosi riconoscimenti alle spalle – ci offre un saggio di grande cinema europeo, dimostrando che a partire dagli ingredienti classici del noir si può giungere a scandagliare temi e questioni morali di estrema complessità. L’elemento poliziesco si rivela infatti quasi un pretesto per concentrarsi sul tema della vendetta, della compassione e del perdono. Innamoratosi, corrisposto, di una delle prostitute del bordello di Vienna presso cui lavora come scagnozzo del proprietario, Alex decide, con l’aiuto della ragazza, di rapinare una banca del paese vicino alla fattoria del vecchio padre. L’obiettivo, ingrediente classico del genere, è quello di fuggire con la sua

donna per crearsi una nuova vita. Sembra tutto facile da realizzare ma un imprevisto – l’intervento casuale di un poliziotto del luogo durante la fuga – porta alla morte della giovane donna. Rimasto solo, Alex si rifugia nella fattoria di famiglia ed è qui che, fra progetti di vendetta e il dolore per la perdita della ragazza, intraprende una sorta di trasformazione interiore grazie anche all’incontro con il poliziotto che, ignaro di trovarsi di fronte al rapinatore, gli rivela il suo profondo malessere per quanto accaduto... Non vogliamo fornire ulteriori “indizi” nella speranza che chi legge sia incuriosito a vedere il film. Al di là della ricerca di una catarsi, che non si compie mai nel corso della vicenda, numerosi sono gli elementi che, perfettamente

armonizzati fra loro, fanno di Revanche un film memorabile: il contrasto fra lo squallore urbano e l’apparente “normalità” della vita di campagna, in realtà costellata di piccoli e grandi segreti; la qualità della fotografia, che ritaglia immagini sempre impeccabili; i dialoghi, essenziali ma infusi di una naturalezza a cui l’ottima recitazione degli attori restituisce grande intensità; l’assenza di qualsiasi commento sonoro che rafforza il realismo dell’intera vicenda; la capacità di creare qualcosa di nuovo e sorprendente pur restando nel solco del noir (bella la citazione della battuta di Sterling Hayden in Giungla d’asfalto affidata dal regista al padre di Alex: “in città si diventa farabutti o arroganti”). Il furioso taglio della legna compiuto da

Rev Revanche he (Ti ucciderò) di Götz Spielmann Austria, 2008

» di Fabio Martini

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Alex e il progressivo crescere della catasta, danno ritmo a una originale elaborazione del lutto e del perdono in una vicenda che certamente sarebbe piaciuta a Friedrich Dürrenmatt.

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Astri gemelli

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L’ingresso di Mercurio potrebbe portare problemi di comunicazione all’interno della coppia. Se volete evitare incomprensioni dovete parlare con il cuore e mai con la mente. Fantasie e trasgressioni erotiche.

Il 17 ottobre potrà essere una giornata al di fuori della routine quotidiana. Se sfrutterete a pieno le vostre capacità di relazione, grazie ai transiti di Mercurio, potrete entrare in contatto con persone interessanti.

A partire dal 20 ottobre le relazioni sociali potranno prendere una piega positiva. Grazie a Mercurio favoriti incontri con persone più giovani o con forte dominante mercuriale come i nati nei Gemelli o nello Scorpione.

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Il vostro “ego” tenderà mano a mano a prendere il sopravvento. Competitività all’interno degli ambienti familiari. Dispute per un immobile. Stress e irascibilità tra il 17 e il 18 a causa dei transiti lunari.

Tra il 19 e il 20 ottobre la Luna si troverà nel segno dei Pesci. Attenti a non slatentizzare le vostre insoddisfazioni più del dovuto nel vostro rapporto di coppia Ritorno di fiamma e spese immobiliari.

Grazie al transito di Mercurio riuscite a esprimervi nella maniera migliore. La vostra mente si fa particolarmente chiara e così vi sentite più perspicaci. Cercate di canalizzare i vostri interessi verso obiettivi precisi.

Bene tra il 19 e il 20. Azioni straordinarie grazie ai trigoni con Marte, Giove e Urano. Possibile improvvisa vittoria di una vertenza legale. Incontri con persone provenienti da una località estera. Decisioni rapide.

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Fino al 20 ottobre attraversate un periodo intellettualmente stimolante. Grazie a Mercurio in sestile riuscite a divertirvi con facilità. La vostra mente si fa acuta ed è pronta ad affrontare esperienze di ogni tipo.

Grazie al moto retrogrado di Venere potrete presto riaprire una antica collaborazione. Scelte professionali in fase di stallo in relazione agli aspetti razionali inibenti dei transiti di Saturno. Stress familiari tra il 21 e 22.

Mercurio sarà dalla vostra parte almeno fino al 20 ottobre. Se volete risolvere una questione professionale in tutta facilità dovrete farlo entro questa data. Possibili gelosie per i nati nella seconda e terza decade.

Tutti a dieta tra il 19 e il 20! Per i nati nella prima decade a partire dal 20 ottobre inizia un periodo di nuove opportunità professionali. Collaborazioni lavorative all’interno di una storia sentimentale.

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Orizzontali 1. Voliera • 10. Il sommergibile di Verne • 11. È vicino a Roveredo • 12. Non ben definito, indistinto • 14. Lo usa il pompiere • 16. Lisa nel cuore • 17. Dittongo in Coira • 18. Opera di Verdi • 20. Una sigla del biologo • 22. La lingua di Cicerone • 23. Città e porto del Brasile • 25. Andata in poesia • 26. Produce frutti che producono olio • 27. L’ha buono chi ha fiuto • 28. Una spezia • 29. Non abbisognano di cure • 30. Canto solenne • 31. Il ritorno del pendolo • 33. Ha la voce fioca • 35. Gambo vegetale • 37. Forza senza pari • 38. La regina dell’arnia • 39. Dentro • 40. Spagna e Austria • 41. Monte ticinese • 43. Lo è il bimbo abbandonato • 45. La bevanda che si filtra • 46. Misure di capacità 47. Le imbarcazioni degli indiani • 48. Sud-Est.

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Verticali 1. Noto romanzo di F. Ozpetek • 2. Un alto prelato • 3. L’amor lo fa palpitar • 4. Un vulcano • 5. Un indimenticato Oreste dello spettacolo • 6. Le

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iniziali della Littizzetto • 7. Non è una tifosa interista! (J=I) • 8. Pari in messia • 9. Bel paesino malcantonese • 13. Non sono ancora liceali! • 15. Preposizione semplice • 19. Bello e robusto • 21. Anomala • 24. Una ghiottoneria per cavalli • 29. Infido dubbio • 32. È vicino a Quartino • 34. Pregare • 36. Paventare • 38. Il bel Delon • 42. Arti pennuti • 44. Villa senza pari.

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» a cura di Elisabetta

toro

Fino al 20 ottobre dovrete fare i conti con l’opposizione di Mercurio. Imparate a calcolare di più il peso delle vostre parole e a non commettere errori di comunicazione. Riposatevi tra il 21 e il 22 ottobre.

La soluzione verrà pubblicata sul numero 44

ariete

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* Focus Carving, prezzo di listino Fr. 27’100.-, più pacchetto Comfort Light Fr. 650.-, più ruote invernali del valore di Fr. 1’476.-, meno vantaggio cliente di Fr. 6’236.-. Modello riprodotto: Ford Focus Carving con pacchetto Comfort (sovrapprezzo Fr. 1’700.-) e fari allo xeno (sovrapprezzo Fr. 1’450.-).

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