Ticino7

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numero

17 | XII | 10

IL FIGLIO ERRANTE Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Tessiner Zeitung

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numero 51 17 dicembre 2010

DI

ROBERTO ROVEDA

Levante Chi ha paura dell’islam riformista?

DI

MARCO ALLONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Decalogo Non dire falsa testimonianza

Impressum

Letture Storielle dalla Capitale

A CURA DELLA

Vitae Anahì Traversi

Chiusura redazionale

Reportage Presepe. Il Figlio errante

Editore

Tendenze Profumi. Uno spirito incompreso

Venerdì 10 dicembre Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Relazioni La suocera Giochi

DI

NICOLETTA BARAZZONI

DI

GAIA GRIMANI

DI

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FRANCESCA RIGOTTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

DI

Tiratura controllata 72’011 copie

REDAZIONE

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FABIO MARTINI; FOTOGRAFIE DI REZA KHATIR DI

MARISA GORZA

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Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

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Agorà Nomadi. Un’esperienza di confronto

Astri / Sondaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

Presepe. Collezione Monsignor Pier Giacomo Grampa Fotografia di Reza Khatir

Assange, il Natale e il sondaggio Procediamo in ordine inverso. A partire dal numero scorso (Ticinosette n. 50/2010) abbiamo inserito, nell’ultima pagina della rivista e nel sito del nostro settimanale (www.ticino7. ch) un sondaggio rivolto a tutti i lettori di veloce e facile compilazione. A oltre due anni dal completo rinnovamento della testata ci è sembrato indispensabile avviare una verifica non solo per comprendere il livello di gradimento da parte del pubblico ma anche per ricevere critiche, idee e suggerimenti, indispensabili al miglioramento e allo sviluppo di Ticinosette. È allora indispensabile ricordare a tutti voi che anche nel nostro caso – come del resto per i media cartacei in tutto il mondo – la presenza delle inserzioni pubblicitarie svolge un ruolo fondamentale, sia per l’esistenza stessa del “prodotto” – una parola un po’ fredda ma a volte necessaria – sia perché solo grazie a essa può essere garantita quella pluralità di voci e idee che fa di un giornale uno strumento di dibattito e di confronto sociale e culturale. Per chi compilerà il breve modulo sul web (oltre che dal sito della rivista vi si può accedere anche dai siti dei quotidiani “Corriere del Ticino” e “LaRegioneTicino”), una volta inviato non sarà più possibile ripetere l’operazione dallo stesso computer. Un’ovvia precauzione per evitare che una sola persona possa inviare più questionari falsando i risultati. La versione cartacea, come indicato in calce allo stesso questionario, può essere inviata per fax (+41 91 960 32 51), oppure per posta all’indirizzo: Ticinosette c/o Centro Stampa Ticino, via industria, 6933 Muzzano. Per alcune settimane avrete dunque la possibilità di offrire i vostri suggerimenti e consigli. Un grazie e un invito a tutti a partecipare in modo costruttivo.

Veniamo al Natale, ormai alle porte e a cui è dedicato questo numero. Un grazie particolare lo rivolgiamo al Vescovo Pier Giacomo Grampa che, pur oberato di impegni, ci ha concesso di fotografare la sua personalissima collezione di presepi, i veri e propri protagonisti del nostro Reportage fotografico. Si tratta di piccole rappresentazioni realizzate con spontaneità e devozione da persone di tutti i continenti a memoria dell’evento, la nascita di Cristo, che ha segnato in modo indelebile la storia degli ultimi due millenni. In questa occasione abbiamo voluto però offrire una lettura diversa dell’episodio narrato dai vangeli di Luca e Matteo, mettendo in risalto il tema dell’erranza e del nomadismo, centrale nelle vicende delle Sacre Scritture ma altrettanto cruciale nella nostra contemporaneità (si veda gli articoli di Roberto Roveda e di Marco Alloni). A questo punto qualcuno si chiederà che cosa “c’azzecca” Julian Assange con tutto ciò... In effetti poco o nulla. Anzi, vista la visibilità che l’australiano si è conquistato nelle ultime settimane, è molto probabile che alcuni presepi della grande tradizione partenopea avranno la bontà di ospitare il responsabile del portale Wikileaks fra pecorelle, buoi, asinelli e Re Magi. Da parte nostra, ricordiamo come in tempi meno sospetti l’argomento sia già stato trattato (Ticinosette n. 37/2010): lasciamo dunque che altri si sbizzarriscano in letture e interpretazioni, nell’attesa che qualcuno finalmente ci spiega chi sta dietro ad Assange e alle informazioni che lo stesso è in grado di raccogliere. Alcuni quesiti a cui ci piacerebbe trovare risposte convincenti già premono sulle nostre scrivanie... Buone Feste, la Redazione


Nomadi. Un’esperienza di confronto

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Agorà

I Nomadi che transitano nel nostro Paese hanno cultura, tradizioni, norme e regole piuttosto diverse dalle nostre. Ci capiscono poco e noi capiamo poco loro. Perché allora non provare per una volta a mettersi nei loro panni e a guardare il mondo con i loro occhi? Il primo passo per superare secoli di diffidenza è, appunto, provare a conoscersi…

I

n un recente intervento pubblicato su queste pagine abbiamo tracciato una sorta di carta d’identità della presenza dei Nomadi in Europa e nel nostro Paese (Ticinosette n. 42/2010). In quell’occasione abbiamo raccontato chi sono quelli che chiamiamo genericamente “Zingari”, le loro vicende storiche e le discriminazioni che hanno subito, anche nella Confederazione. Certo, la presenza nel nostro paese delle comunità nomadi, pur con le loro notevoli differenze e peculiarità, è fonte di preoccupazione e di sospetto da parte degli abitanti stanziali. La percezione collettiva di queste piccole comunità tende ad assimilarle ad attività criminali non diversamente da quanto accade in Francia o in Italia. Il fatto che realmente alcuni esponenti delle comunità nomadi delinquano – spesso i più poveri e di recente immigrazione con provenienza da paesi come la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria –, rafforza il cliché, nonostante i dati mostrino che la maggior parte dei Rom presenti in Svizzera risultano ben integrati e per lo più dediti a una vita e ad attività ordinarie. Non sorprende che fra di essi vi siano professionisti, medici, tecnici, ristoratori con regolare passaporto svizzero, persone del tutto integrate e per questo “invisibili”; eppure la maggior parte di loro discende dall’ondata Rom giunta in Svizzera dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Del resto l’Ufficio federale delle migrazioni attesta come non vi sia, al 2010, alcun incremento nel numero di Rom che entrano in Svizzera. Il sistema di contingentamento adottato garantisce flussi di ingresso estremamente limitati e controllati, indipendentemente dalle origini etniche o geografiche. Proviamo a focalizzare adesso l’attenzione sulla realtà dei Nomadi che transitano nel Canton Ticino, cercando – per quanto questo sia possibile – di entrare nel loro universo, nel loro vivere la quotidianità e di guardare al mondo che li circonda. Un modo per provare a parlare di Nomadi mettendosi almeno un poco nei loro panni nato da un lungo colloquio con l’antropologa Nadia Bizzini che da quattro anni opera come mediatrice culturale nell’ambito del progetto “Accompagnamento nomadi” istituito dal Dipartimento delle istituzioni. Il suo compito principale è infatti quello di avvicinare i membri delle comunità di passaggio nel nostro territorio, per superare le diffidenze e cercando di individuare un territorio comune su cui dialogare, al fine di individuare soluzioni per una migliore convivenza con la popolazione stanziale. E per farlo, il primo passo è conoscersi, reciprocamente.


È complicato entrare in relazione con i Nomadi? “Quel che è certo, è che le domande troppo dirette portano unicamente a essere percepite come impertinenti e si ottengono risposte dai contenuti falsati. I Nomadi, come d’altronde ciascuno di noi, rispondono a domande dirette secondo ciò che sanno che l’interlocutore vorrebbe sentirsi dire. Sanno benissimo come sono visti e considerati dagli «altri» e in qualche misura amano «prendere in giro», sia se stessi sia coloro che li osservano, giocando sugli stereotipi. Si divertono a testare le reazioni e a riderci sopra. L’umorismo, diciamo, li caratterizza in maniera rilevante. Fa parte del loro temperamento: prendono tutto molto sul serio, magari fino a fare scenate da finimondo, e un attimo dopo ci ridono sopra. Comunque, il modo migliore per entrare in contatto con chicchessia, non solo con i Nomadi, è non essere invadenti e aspettare che l’altro si apra spontaneamente. È interagendo quotidianamente che si conoscono le persone”. Quali rapporti hanno con le popolazioni stanziali? “I Nomadi che frequentano abitualmente il nostro Cantone, hanno qui amicizie che portano avanti da generazioni e hanno molte conoscenze di antica data – soprattutto medici, avvocati e imprenditori –, persone con cui hanno una prossimità e di cui si fidano. I Nomadi, infatti, tendono a sostare nei luoghi dove conoscono persone, poiché ciò permette loro di sentirsi al sicuro in caso di bisogno, di commerciare e quindi di guadagnare e non di meno di passare momenti piacevoli di condivisione. Certo è che negli ultimi anni la loro situazione economica si è fatta più precaria”. Che cosa è cambiato? “C’è meno richiesta dei lavori tipici svolti dai Nomadi: vendita di tappeti, affilatura di coltelli, restauro di oggetti in metallo, ecc. Servizi che oggi si trovano facilmente altrove. I Nomadi fanno quindi fatica ad adeguarsi ai cambiamenti strutturali del capitalismo. Alcuni, pur di ottenere un lavoro, abbassano i prezzi per poi rialzarli al momento della consegna. Questo comportamento ha contribuito senz’altro all’immagine dello «zingaro» come truffatore. D’altra parte, anche se queste persone fossero tutte dei «santi», la gente li considererebbe comunque sotto una luce negativa. La realtà è che essi vivono da secoli nel terrore di essere perseguitati o incolpati di reati non commessi. I Nomadi si sentono persone di serie Z, che vengono dopo tutti, anche dopo lo straniero considerato più straniero. Per questo, al di fuori delle loro relazioni abituali, diffidano degli altri. Ragione per la quale nei loro commerci essi non rivelano la loro origine. Preferiscono dire di essere italiani, o spagnoli o francesi, cosa che d’altronde sono. Addirittura molti di loro rifiutano d’essere fotografati, perché hanno timore di farsi riconoscere”.

Che cosa non capiscono di noi, popolazione stanziale? “Prima di tutto l’individualismo e il vivere isolati. È impensabile per loro che un anziano possa essere inserito in una casa di riposo oppure che una madre viva sola con i figli. I Nomadi, anche quando viaggiano, sono sempre in gruppo, e non solo per paura di essere in qualche modo minacciati. Per loro la famiglia, di tipo allargata, è la cosa più preziosa: significa compagnia, solidarietà e condivisione della vita quotidiana. È probabilmente il pilastro che li tiene uniti e che mantiene l’identificazione alla cultura d’appartenenza. In tante cose sono tuttavia cambiati. Sono al passo con l’evoluzione tecnologica e vivono nel mondo del consumismo quanto noi. Però, la famiglia unisce e mantiene i membri solidali fra loro. Ragione per cui i divorzi sono rari. La famiglia si basa su valori tradizionali come il rispetto e la distinzione dei ruoli tra uomini e donne, tra giovani e anziani. Il più anziano ha sempre l’ultima parola, anche se il figlio ha cinquant’anni. La famiglia è poi molto legata alla religione, un altro elemento di forza e coesione. Per secoli sono stati cattolici, ma poi hanno visto che la religione cattolica non li aiutava a conservare certi valori e sono diventati evangelici pentecostali, un credo molto tradizionalista che contesta appunto la desacralizzazione della famiglia e la perdita dell’autorità dell’uomo”. I Nomadi desiderano conoscere gli “altri”? “Nei miei confronti dimostrano di essere molto curiosi soprattutto riguardo al mio stile di vita. È un confronto costante tra i mondi rispettivi e porta spesso a ridere della differenza che ci distingue. Spesso manifestano la volontà di migliorare i rapporti con gli altri, poi, però, quando si presenta l’occasione – incontri pubblici, interviste – si tirano indietro, mostrandosi reticenti. Devo ammettere che c’è qualcosa che ancora mi sfugge in questo loro atteggiamento. Da un lato sono perseguitati da secoli, ma dall’altro amano lamentarsene, un po’ come se questo permettesse loro di «comportarsi male» di tanto in tanto. Non dico che siano contenti di essere discriminati, ma forse un po’ ci giocano...”. Possiamo affermare che il senso di superiorità che noi manifestiamo nei confronti dei Nomadi, loro lo hanno un po’ verso di noi? “Certo, anche perché ogni gruppo si ritiene superiore agli altri. I Nomadi che ho incontrato sono assolutamente fieri della loro cultura. Se, per esempio, si dimostrano a tratti reticenti a mandare i loro figli a scuola, è perché hanno timore di essere assimilati totalmente alla cultura occidentale”. È il timore di ritrovarsi diversi, forse cambiati... “Già. Altro esempio: i Nomadi, pur avendo delle regole e attività professionali, non concepiscono i ritmi «mètro, boulot, dodo» (espressione tratta da un verso di Pierre Béarn che sintetizza lo stile di vita dei parigini: “metrò, lavoro e ritorno a casa”, ndr.). Così come non riescono a immaginarsi in un appartamento, chiusi fra quattro mura sempre in uno stesso posto. L’istituzione scolastica è per loro sinonimo di assimilazione, anche perché vi vige una strutturazione del tempo e dello spazio: orari di lezione in classe e momenti di ricreazione all’esterno. I Nomadi amano il ritmo spontaneo e la vita all’aperto. È il loro modo di essere e non è peggiore o migliore del nostro. I bambini nomadi giocano in continuazione e raramente in «casa». Usano meno i giochini elettronici e il computer per chattare. Preferiscono i giochi di gruppo e all’aperto. Incontrare i Nomadi, insomma, dà la sensazione di attraversare una frontiera e di trovarsi altrove. Esperienza di confronto, che come tutte le altre, non può che arricchire e insegnare, sempre in modo reciproco”.

» di Roberto Roveda

Dottoressa Nadia Bizzini, come è stato il suo primo contatto con il mondo dei Nomadi? “Quando ho iniziato il lavoro di mediatrice delle questioni legate al passaggio dei Nomadi nel Canton Ticino, sono partita veramente da zero: avevo le mie rappresentazioni, i miei pregiudizi. Mi aspettavo, per esempio, di incontrare persone «alla buona». Capita spesso, quando si ha a che fare con persone diverse, di pensare che siano meno complesse, con regole di comportamento meno rigide. Mi sono così scontrata con la realtà di un popolo che ha norme differenti da quelle di altre culture, ma la cui trasgressione è sancita in maniera altrettanto severa. Per fare un esempio, una donna Rom incinta non accennerà mai alla questione del suo stato di gravidanza con suo padre. Come non parlerà mai con sua madre di questioni intime. Mi è successo di creare imbarazzo generale, quindi, poiché non conoscevo queste e altre loro usanze e norme. D’altronde, è attraverso «gaffe» di questo genere che progressivamente ho scoperto l’universo Rom...”.




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Chi ha paura dell’islam riformista? La storia è quella di Nasr Hamid Abu Zayd, uno dei più insigni pensatori musulmani contemporanei, il quale, dopo aver trascorso gli ultimi anni di vita in Olanda, ha lasciato il vuoto di chi non trova ascolto

Levante

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fine hanno vinto loro, gli oscurantisti. Dopo averlo costretto all’esilio l’hanno portato alla morte. Abu Zayd era il massimo maître-à-penser del cosiddetto riformismo islamico. Un movimento intellettuale che, dall’Ottocento in poi, ha lottato per consegnare la religione di Mohammad (Maometto) alla modernità. Erede della grande tradizione riformista nata sotto il governo illuminato di Mohammad Ali (1769–1849), Abu Zayd ha seguito le orme di intellettuali come Mohammad ‘Abduh, Gamal al-Din al-Afghani e quanti hanno condotto l’eroica battaglia per dotare l’islam di un’interpretazione adeguata ai tempi. Tra l’ostilità dei contemporanei e il sistematico attacco del conservatorismo. La posta in gioco? La storicizzazione. Un ambito della riflessione critica che in Occidente diamo per scontato poiché – tra ermeneutica, esegesi, storicismo e revisionismo – accogliamo la “pluralità di letture” del passato, da Giordano Bruno in poi, come segno di libertà. Ma nel mondo islamico la questione è più complessa. La logica che presiede all’organizzazione delle sue società è di tipo dogmatico. E il passato affonda in un momento fondativo – la rivelazione del Corano nel VII secolo d.C. – in cui la Verità si propone come una e intangibile, ed è quindi da ritenersi valida per ogni luogo e tempo. Adeguare o ridefinire tale Verità – come i riformisti hanno tentato di fare nel corso dei secoli – significa intervenire umanamente su una materia divina, suggerendo lo “scandalo” della relatività e della provvisorietà del dogma. Insomma, “storicizzare” confina, nel mondo islamico, con “profanare”. E osare quel che dall’epoca dei Lumi in poi ha caratterizzato la modernità occidentale – porre l’Uomo e non più Dio al centro dell’universo – equivale ad attentare alla assolutezza e intangibilità del messaggio divino. Questo ha fatto Nasr Hamid Abu Zayd, l’autore di un’opera fondamentale come Islam e storia (Bollati Boringhieri, 2002). Proponendo per esempio una lettura del Corano in quanto testo letterario, passibile pertanto di interpretazioni discordi e fallaci riletture. Oppure suggerendo che l’essere stato rivelato in arabo presuppone

una sua limitazione geografica, dunque una perdita de facto del suo valore universale. Oppure ancora invitando a riconoscere elementi anacronistici, incompatibili con le legislazioni e Costituzioni moderne, nella shari’a. Tutte posizioni, queste e altre – sue e di altri riformisti come Mohammad Arkoun, Hassan Hanafi, Fazlur Rahman e Khaled Fouad Allam – che gli sono valse la reazione spietata del “clero” islamico, supportato da regimi che nell’ortodossia trovano sempre il migliore strumento di sottomissione dei propri cittadini. E così è scattata la fatwa, quel famigerato avviso giuridico che ha il potere di condannare per “apostasia” chiunque ardisca smarcarsi dal monolitismo degli ulamà: i depositari della “retta” interpretazione del Corano e degli ahadith (i detti del Profeta). Abu Zayd viene marcato a fuoco dall’anatema. L’accusa di apostasia gli impone una scelta drammatica: o divorzia dalla moglie (l’islam proibisce infatti l’unione fra una musulmana e un apostata) o prende la via dell’esilio. E così, raccolti i propri beni nel 1990, parte con la moglie alla volta dell’Europa. Il suo cuore, però, non è il cuore di un europeo. Il colto, illuminato, raffinato e moderno Nasr Hamid Abu Zayd resta un egiziano, e un musulmano. La sua patria odora di datteri, la sua terra riceve la carezza del Nilo, la piccola Olanda è una prigione candida ma mortale. Così, dopo pochi anni, si ammala, e la morte nel luglio di quest’anno sarà il suo epilogo di esiliato. Vincono loro, gli oscurantisti. Gli stessi che hanno colpito a morte l’intellettuale laico Farag Fuda, assassinato Theo Van Gogh, accoltellato Naguib Mahfuz, perseguitato Haider Haider, Salman Rushdie e altri liberi pensatori. Gli stessi che hanno elevato a vessillo il jihaad e Bin Laden a paladino. E l’Occidente? Con miope compiacimento continua a proporre letteratura “esotica” di cassetta, i soliti harem e i soliti veli. E non si chiede se, invece di idioti best-sellers, non sia ora di promuovere pensatori come questi, che l’islam non lo stanno attaccando ma difendendo in nome di una modernità che gli spetta come è spettata al cristianesimo, nella faticosa e irreversibile secolarizzazione dell’Occidente.

» di Marco Alloni; fotografia di Reza Khatir, 2003

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“Non dire falsa testimonianza e aiutali a uccidere un uomo. Lo sanno a memoria il diritto divino e scordano sempre il perdono. Ho spergiurato su Dio e sul mio onore e no, non ne provo dolore. Ho spergiurato su Dio e sul mio onore e no, non ne provo dolore”

Un precetto in tribunale Si insegna ai bambini e al popolo, per semplificare il messaggio dell’ottavo comandamento, che esso sta per un generale e generico “non mentire”. Ma questa interpretazione è un puzzle logico, un ossimoro, un paradosso: mentre prescrive di non mentire, mente. Il logo in realtà, nella versione originale come in quella mnemonico-divulgativa del catechismo della chiesa cattolica, intima una cosa ben precisa: non dire falsa testimonianza, come canta infatti De André nel “Testamento di Tito”, in una delle ultime strofe giacché questo precetto si trova in fondo all’elenco, all’ottavo posto. Ricondotto al contesto originale dell’antico Israele, il comandamento ci pone di fronte a un procedimento processuale dove il testimone è chiamato a deporre lealmente davanti a un tribunale di uomini liberi (non donne né schiavi né bambini).

condanna, tra l’altro, esattamente i fenomeni di corruzione e concussione che manipolano i processi e alterano la trasparenza della vita pubblica. Tutte cose che in Svizzera non avvengono e che secondo alcuni – pochi pochissimi, per fortuna – introduciamo soltanto “noi ratti” che immeritatamente lavoriamo nella Confederazione, per associarmi alle parole del caporedattore di questa rivista (cfr. Editoriale n. 41/2010). Il profeta Michea, tornando sul terreno biblico, illustra in maniera molto plastica e con un linguaggio duro e diretto le conseguenze dovute al comportamento dei governanti che non rispettano il diritto verso il loro popolo: “Nemici del bene e amici del male” strappano la pelle di dosso alle persone, ne divorano la carne, ne spezzano le ossa, li squartano “come carne nella marmitta, come lesso nella pentola” (Michea 3, 2-3).

L’omertà come delitto Se proprio vogliamo estendere il precetto senza tradirlo, potremmo pensare di farlo nello spirito, civico e laico, della condanna dell’ingiustizia passiva. Fu Cicerone nel De officiis, l’opera morale più letta e discussa nell’antichità, a sviluppare e a perfezionare l’idea, scrivendo: “Chi, potendo farlo, non previene l’ingiustizia, o non le si oppone, ne è colpevole né più né meno che se avesse abbandonato il proprio paese”. Il testimone di un delitto e di un’ingiustizia, vuol dire Cicerone, è colpevole al pari dell’esecutore, se non ne dà testimonianza denunciandola. Rende falsa testimonianza quindi non soltanto chi trae vantaggio personale da delitti e atti ingiusti, ma anche chi chiude gli occhi davanti a essi. Un ciceroniano doc vedrebbe nelle nostre città vuoi i crimini e le ingiustizie perpetrati da pubblici ufficiali, criminali e imbroglioni, vuoi quelli commessi da cittadini che per evitar fastidi si rifiutano di dar notizia di quelli di cui sono a conoscenza e di soccorrerne le vittime.

E la (falsa/vera) testimonianza delle donne? Torniamo all’enunciazione del precetto “Non dire falsa testimonianza” per metterne in rilievo ora un altro, poco discusso, aspetto. Chi è testimone, o meglio chi può fare da testimone in un processo condotto davanti a uomini liberi? Solamente altri uomini liberi. Non donne. Le donne non potevano dire né falsa né retta testimonianza, perché non potevano testimoniare – come gli ebrei del resto –, non ne avevano il diritto. A ben vedere la loro testimonianza, che non valeva nulla nell’Europa cristiana dei nostri avi, vale ancora poco nell’islam contemporaneo. Delle donne non ci si può fidare, dice la tradizione denigratoria, la quale annovera fra i suoi sostenitori un altro personaggio del mondo musicale che non è certo il Tito di De André che, deluso da chi gli ha strappato la pelle e squartato la carne, alla fine spergiura su Dio e sull’onore senza provarne dolore. Il personaggio, più comico che tragico, è però il vecchio Don Alfonso del Così fan tutte (libretto di Lorenzo da Ponte, musica di Wolfgang Amadeus Mozart). Se le donne non sono affidabili (“È la fede delle femmine…”) tanto meno lo sarà la loro testimonianza.

Un precetto a componente civica Il comandamento di non dire falsa testimonianza rivela insomma, a ben guardarlo, una forte componente civica e

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Mimmo Mendicino

Decalogo

Non dire falsa testimonianza


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Storielle dalla Capitale

“Don Pierino Lavizzari, parroco di Ravecchia (una frazione di

Bellinzona, ndr.) era particolarmente severo in fatto di presepi: li voleva curati nei minimi dettagli; un artigiano della frazione sottopose al suo giudizio una Natività da lui preparata: don Pierino la esaminò a lungo e poi, scuotendo la testa, disse: «Non va bene». «E perché?» gli domandò l’autore. «Perché – gli rispose l’esigente curato – non vi vedo gli zampognari». L’artigiano, che era una vecchia volpe, gli spiegò: «Non ci sono perché, essendo italiani, non hanno ricevuto il permesso di lavoro». Don Pierino rise di gusto e gli perdonò la dimenticanza”.

Vista l’imminente festività natalizia e riallacciandoci al Reportage fotografico che proponiamo in questo numero di Ticinosette, ecco di seguito alcuni significativi “aneddoti di stagione”...

» a cura della Redazione

“Severino Bomio voleva dar vita, a Prada, a un presepe solo ricorrendo a materiale trovato sul posto. Chiese consiglio, prima di realizzarlo, a don Lavizzari, che gli disse con quell’ironico tono che faceva parte del suo carattere: «Sarà certamente un presepe di vetro: penso a tutti i fiaschi vuoti che lasciate lassù»”. “Don Giovanni Genucchi era risolutamente contrario ai presepi d’avanguardia che Quello appena letto è uno degli oltre 600 negli ultimi anni della sua attività pastoaneddoti che lo storico Plinio Grossi ha rale stavano prendendo piede anche da noi. raccolto nei suoi decenni di attività, mateGli mostrarono, una volta, una Natività con riale ora organizzato per soggetti in questo la Madonna e San Giuseppe indossanti abiBellinzona e i suoi aneddoti volume arricchito con fotografie dell’epoti alla moda attuale. La guardò e poi chiedi Plinio Grossi ca. In parte già apparse sulla “Rivista di se: «Chi ha avuto una simile idea? L’asiSalvioniEdizioni, 2010 Bellinzona”, queste storielle popolari – no o il bue?». oppure leggende, chissà – hanno il merito di tracciare lo spac- “Don Genucchi costatò, un’altra volta che il Bambino di un presecato storico-culturale di una società e di “un’epoca vivacemente pe non era di razza bianca, ma nera. Lo tolse delicatamente dalspassosa”. Oggi si ride molto meno, come sostenuto nell’intro- la culla e vi mise al suo posto un biglietto che fu letto poco dopo duzione al libro? Forse sì, anche se le fonti, in particolare quelle dall’ideatore del presepe e diceva: «Il Bambino è andato in Afri“umane”, certo non mancano... e le notizie nemmeno. ca: qui fa troppo freddo»”.

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» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Igor Ponti

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che in me non sono doti ancora del tutto acquisite. In questo aiuta anche la reazione del pubblico: la risposta più totalizzante per arrivare a capirmi. A volte trasmetto tristezza altre volte gioia, come se passassi dalla tragedia alla commedia. Tragicità e comicità penso siano due facce della stessa medaglia. Sono necessarie entrambe e non si escludono a vicenda. Nella tragedia c’è un lato comico, e dunque c’è sempre il risvolto del contrario. Il mio sorriso è la diretta conseguenza della mia timidezza che riesce a sciogliermi nel contatto con l’altro. Il sorriso è un modo per ascoltare anche le altre Sul palcoscenico riesce a fondere la sua persone. Dai all’uomo una preparazione artistica al talento innato, maschera e ti dirà la verità? interpretando la parte con la carica del Nel teatro la maschera assume la valenza della trasforsorriso e la forza delle emozioni mazione come la possibilità di essere altro ma allo stesso concentro solo nelle esprestempo può essere una rivelazione di se stessi. sioni che già riesco a gestire, Nella vita a volte facciamo del teatro ma è come la voce o la gestualità, un modo per definire certe distanze tra le ma tengo in particolare consipersone, oppure un modo per raccorciarle. derazione l’intero movimento “Pirandellianamente parlando”, come vedo corporeo, finora forse poco me stessa, come penso di esser vista e come “coltivato”. vorrei essere? Mi sento molto donna e molto Spesso mi coglie l’assillo di bambina. Come sono vista dipende dagli non conoscere tutto, di non ambiti, che sostanzialmente cambiano la sapere abbastanza, ma questo percezione che gli altri hanno di me. Mi piami spinge a voler scoprire cerebbe che mi si vedesse sincera e vera, sia ancora, mi permette di essere in quello che faccio sia in quello che sono. sempre più curiosa. L’attore Penso che piacerebbe a tutti riuscire a essere deve essere un insieme coecome si appare, e dunque conciliare le due so di molte componenti. Se cose. Nel teatro, ma anche nella vita, i non penso alla maggior parte dei detti sono dei sottotesti di qualche cosa, i miei coetanei, che a 25 anni silenzi o le pause possono essere dei respiri, hanno già un futuro solido, un cambiamento di stato, un passaggio una famiglia e dei figli, mi ma anche un ritorno e un ripensamento. sorge il dubbio di stare in una Mentre i simboli possono rivelarsi un altro vita diversa, con zero certezmodo per interpretare e vedere la realtà. Se ze, perché non so nemmeno penso a un’immagine positiva mi ricordo i dove sarò tra sei mesi. Essere travestimenti che facevo da piccola, quando attore significa anche questo: parodiavo la cantante Miriam Makeba. capacità di movimento e spiSe tra dieci anni dovessi incontrare me rito di adattamento. L’idea stessa in un bosco spero di trovare una di mettere su famiglia è beldonna con i piedi per terra. Quello che ti lissima, ma so che comporta salva sono le passioni, la continua ricerca. una serie di rinunce; non lo Sicuramente sarò più disincantata. Qualescludo a priori, ma ora non siasi esperienza negativa che avrò fatto sarà è la mia priorità. La mia vita stata anche utile. Guardando la televisione attuale è anzi continuamente individuo una decadenza di contenuti. Per affacciata su possibili crisi: contribuire a migliorare il mondo vado in tecniche, professionali, forbicicletta, faccio la raccolta differenziata mali, contenutistiche. Quello dei rifiuti ma soprattutto resto incantata che cerco è perciò di rafforzae affascinata dalla vitalità, che continuare la costanza e la pazienza, mente si rigenera.

Anahì Traversi

Vitae

ono nata a Viganello. Mia madre è di origini argentine e mio padre è di nazionalità italiana. Ho una sorella che è nata in Argentina. La considero la mia terra d’origine, anche perché vi si trova gran parte dei miei familiari. Nel testo di Flavio Stroppini, che ho interpretato nello spettacolo I sentieri, c’è un passaggio in cui si dice che le radici sono là dove sono seppelliti i nostri cari e dove saremo seppelliti noi. Tornerò in Argentina anche perché mi immagino di riscoprirvi aspetti che potrebbero completare il mio disegno esistenziale. Buenos Aires mi interessa. È una metropoli che dopo la crisi si è arricchita culturalmente e socialmente, portando parecchi stimoli e attirando molti artisti anche dall’Europa. In tutte le mie scelte la mia famiglia mi ha sempre sostenuto, sia moralmente che economicamente, e credo per loro sia stato un enorme sacrificio. Ho condiviso in famiglia questo mio rischio, tentando di realizzare desideri che vengono dal profondo. Il percorso artistico intrapreso al Piccolo Teatro di Milano, mi permette di capire quali sono le mie possibilità e anche i miei limiti. Ho frequentato le scuole dell’obbligo in Ticino e il liceo artistico a Varese, percorrendo un’ampia panoramica in discipline artistiche diverse: quelle plastiche così come la musica e il canto. Il teatro è arrivato molto dopo. A Milano sto concludendo una formazione che predilige il teatro di parola. Anche se quello che mi interessa, in particolare, è un lavoro teatrale di ricerca, e perciò non escludo altre forme espressive che possano allargarsi anche agli aspetti musicali piuttosto che fisici. Dal punto di vista musicale ho avuto la fortuna di suonare in gioventù il clarinetto, una passione che ora mi consente una certa facilità negli aspetti ritmici e vocali. Proprio per questo, nel mio lavoro quotidiano, non mi

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Con l’approssimarsi del Santo Natale abbiamo chiesto a Monsignor Pier Giacomo Grampa di mostrarci la sua collezione di presepi che, a partire dal 1975, ha raccolto acquistandoli durante i suoi viaggi o ricevendoli in dono da missionari e da persone a conoscenza di questo suo interesse. Si tratta per lo più di oggetti, talvolta davvero minuscoli, di arte povera che attestano lo spirito devozionale di genti appartenenti a civiltà e culture diverse ma accumunate dal medesimo sentire religioso. Come egli stesso ci ha scritto: “Dio, facendosi uomo, parla la lingua di ogni uomo, si incarna in ogni civiltà e si esprime attraverso l’arte di ogni nazione”. Questa varietà di provenienze, di stili, di materiali ci ha portato a riflettere sul tema dell’erranza, argomento di attualità che ricorre nei diversi articoli di questo numero di Ticinosette. Una questione centrale anche nelle vicende bibliche e neotestamentarie, come le stesse vite di Cristo e dei suoi discepoli rivelano

testo di Fabio Martini; fotografie di Reza Khatir





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o spunto lo troviamo nel passo biblico “Mio padre era un arameo errante…” (Dt 26.5), luogo di partenza per una rilettura dei racconti evangelici di Luca e Matteo, ma al contempo chiaro invito a coltivare l’esperienza della memoria o, capovolgendo i termini e scendendo più nello specifico, a preservare la memoria di un’esperienza. La formula dell’arameo errante, espressa per via simbolica e liturgica dalla festa ebraica del sukkot – che celebra l’esodo del popolo ebraico dall’Egitto verso la terra di Israele –, rappresenta infatti un invito ai fedeli a non smarrire, nella sicurezza e nella pienezza della vita stanziale, il ricordo di un passato segnato dalla peregrinazione e dal nomadismo. Il termine arameo rivela le sue radici etniche e geografiche nel riferimento ai contatti fra Israele e la Mesopotamia (Aram Naharaim), riconducibili al viaggio di Giacobbe (Gen 28.1). Inoltre è necessario rammentare come il termine arameo – che in Geremia (3.2) assume di fatto il significato di “arabo” – coagulasse intorno a sé elementi di sospetto e diffidenza: popolo nomade privo di radici e di patria, gli aramei erano considerati inclini al crimine e alla razzia. Anche Abramo, padre della fede per ebrei, cristiani e musulmani, centra la propria vicenda umana e spirituale sull’esperienza dell’erranza: egli abitava a Canaan “come straniero” (Gen 17.8) e lascerà la sua patria per una terra sconosciuta. A nessuno può sfuggire come nei vangeli di Luca e Matteo la nascita di Cristo si inscriva all’interno di una ben precisa esperienza nomadica. Il vagare dell’anziano Giuseppe e della sua giovanissima moglie in attesa di dare alla luce il Figlio di Dio, si conclude in una capanna, forse una tenda, con il neonato adagiato in una mangiatoia, “perché non c’era posto per loro

nell’albergo” (Lc 2.7). Subito dopo, il pericolo rappresentato dai soldati di Erode, spinge il piccolo nucleo familiare a un lungo esodo verso l’Egitto: “Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto” (Mt 2.14). Questo ulteriore errare per sottrarsi al pericolo di una morte certa prelude al costante nomadismo di Gesù e dei suoi apostoli, condizione indispensabile alla diffusione della Parola di Dio fra le genti. In realtà, il termine abad, che traduciamo con “errare”, racchiude anche i significati di “perdersi”, di “smarrirsi” e infine di “perire”. L’esperienza nomade attiene pertanto, nella cornice biblica e neotestamentaria, anche alla condizione di smarrimento e disorientamento culminanti nella caducità e nella morte. Esperienze che la memoria, nella pace e nella routine della stanzialità, ha il compito di mantenere vive e presenti perché duplice è la valenza che il ricordo della condizione nomadica implica: quella di non ricondurre alla sola personale attività il/i bene/i di cui si andrà a godere nella stanzialità e il rispetto per coloro che vivono ancora il nomadismo, per scelta o per cause estranee alla loro volontà (il rifugiato politico o l’emigrante ne offrono oggi piena testimonianza). Ecco allora che una memoria, estesa e consapevole del proprio passato, non ristretta alla propria individuale esistenza ma al suo essere parte della Storia, si trasforma in strumento indispensabile alla formazione non di una società della tolleranza – termine ambiguo benché importante nella storia dell’Occidente e di cui a breve tratteremo su queste pagine – ma piuttosto di una società dell’accoglienza. Perché è questo, in ultima istanza, il significato intrinseco del Natale: l’incarnazione di un principio di amore da affermare senza se e senza ma.


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"o spiri$o incompres# Il profumo più che al corpo appartiene all ’anima. Più che alla materia appartiene allo spirito e alla psiche, dove giunge appena percepito dal naso. Se secondo gli esperti il profumo ha una testa, un corpo e una coda, per gli amatori ha soprattutto, a sua volta, un’anima. Grazie alla sua generosa capacità di richiamare alla memoria le emozioni, solleticare i ricordi, predisporre al sogno… Tendenze p. 44 | di Marisa Gorza

L’origine del profumo, come piacere edonistico, si perde nella

notte dei tempi. Millenni di peripezie hanno permesso il passaggio dei suoi effluvi dalle regioni indiane a Babilonia, dall’Egitto alla Grecia all’Impero Romano. Bruciate in onore degli dei, resine ed essenze esalavano un fumo inebriante che saliva devoto al cielo; da qui l’etimologia della parola profumo, dal latino per fumus. Durante il Medioevo, la pratica di profumarsi quasi scomparve, ma il Rinascimento coincise con la rinascita della cura del corpo e del proprio olezzo. I sovrani francesi dell’Ancien Règime ne divennero dei cultori e, più tardi, un esempio di aristocratica aspersione non mancò di darlo Giuseppina, adorata moglie di Napoleone. Si dice, però, che l’Imperatore preferisse il suo odore naturale e circolavano storielle a proposito... Le fragranze d’oggi provengono dalla tradizione di Grasse, in Provenza, anche se la scoperta dei prodotti di sintesi alla fine dell’Ottocento ne cambiò notevolmente l’elaborazione. Il profumo, espressione di eleganza e benessere, ha un nuovo exploit dopo la Seconda guerra mondiale ed è in questo periodo che rinasce il profumo maschile, in particolare con l’arrivo di “Moustache”. Questa tendenza prospera con il successo di “Eau Sauvage” a conferma dell’evoluzione degli aromi maschili che continua nei giorni nostri. Il più bello del reame Proprio da “lui”, ovvero dall’atteggiamento maschile nei confronti delle scie olfattive, riparte la nostra carrellata. “Gli uomini sono molto vanitosi, in genere però non ammettono di usare il profumo espressamente per sedurre... anche se le loro attese a riguardo sono le più esigenti”, sono parole di Carlo Torielli, abile “barista” di Olfattorio-Bar à Parfums nella Milano storica. Un bar?! Certo, uno spazio speciale dove si possono gustare, centellinare, apprezzare fragranze rare, essenze di nicchia offerte in esclusiva in un modo singolare. Difatti la degustazione è imperniata su

inediti calici – non ricordano la coppa di champagne? – che sostituiscono le classiche mouillette. Il naso in full immersion coglie così l’intera evoluzione delle note. In effetti mi sento un vero sommelier e parto all’assaggio delle varie proposte al maschile offerte con savoir-faire. E siccome le feste natalizie sono prossime, non mi lascio sfuggire l’occasione di un consiglio per una strenna profumata.È come evocare tipi d’uomo diversi: dal gentleman impeccabile che indossa “Blenheim”, già il preferito di Churchill, calibrato sulle note di limone, legno di pino e un mix di spezie, al raffinato edonista alla Luchino Visconti che sceglie le atmosfere orientali di “Hammam”, al genere classico virato all’avventura espresso da “Zizonia”, che suggerisce pepe, patchouli, cuoio... tutti appartenenti al brand britannico Penhaligon’s, all’egocentrico, personalissimo “Al Oudh” della Maison L’Artisan Parfumeur. Sarà vero che i maschiacci seducono “solo” con i propri mezzi? Personalmente un uomo che ha intorno un tal alone mi trasmette all’istante qualcosa... L’atelier è una scatola d’argento rivestita di un caleidoscopio geometrico che espone oltre duecento profumi artistici e cosmetici selezionatissimi. Vi regna l’entusiasmo per il bello e la voglia di regalarti vere emozioni. Mi perdo così nelle profumazioni femminili. Mi piacciono particolarmente il misterioso “Malabah”, il sensuale “Sxy Angelic”, il freschissimo “Lily of the Valley”, il dinamico “Vamp à New YorK”, composto da rhum e balsami segreti completamente bio. Intrigante anche “La Rose de Rosine” ispirato alla regina dei fiori. Per non far torto a nessuno vengo gentilmente aspersa di “Eau de Biarritz”, dal texture mosso a onde variabili. Ma non ho ancora finito di farmi coccolare, Morena Musi, esperta e sensibile make up artist, mi spolvera sul viso un soffio della celebre cipria T.LeClerc, un tratto di eye-liner (viola), e un tocco di blush. Esco dall’Olfattorio e attraverso il quartiere latino sospesa su una nuvola.


La suocera Additata come “figura di disturbo”, malevola e arcigna, la madre dello sposo o della sposa rappresenta nella realtà una diversa forma della maternità...

Critodemo, primo maestro dell’astrologia greca, scrisse un libro intitolato Visione nel quale la vita umana risulta divisa in tanti momenti di passaggio tra un’età e l’altra, da lui denominati “scalino”, in greco klimacter, donde la parola italiana “climaterio”. La visione di Critodemo fu anche quella del famoso medico dell’antichità Ippocrate, secondo il quale l’uomo e la donna, di sette anni in sette anni, dovevano essere capaci di salire al gradino successivo in un’ascesa che avrebbe portato l’essere umano dall’infanzia alla vecchiaia. Nella medicina attuale la parola climaterio si è conservata solo per indicare quel periodo della femminilità, intorno ai 50 anni, che precede la grande trasformazione fisica e psichica della menopausa. È l’età in cui la donna dovrà sostanzialmente scegliere un nuovo atteggiamento interiore: se essere madre o suocera. La suocera è, in realtà, solo la madre della sposa o dello sposo, una creatura potente che in genere si prefigura come malevola e arcigna, tanto che in italiano esiste il modo di dire “non fare la suocera” per indicare un atteggiamento autoritario e litigioso. Stranamente questa accezione negativa riguarda solo la femminilità e nulla di simile viene attribuito al suocero che, solitamente, oltre alla simpatia, raccoglie una certa solidarietà se non altro per la sorte che lo ha condannato a vivere insieme alla suocera. A cinquant’anni la vita chiede alla donna di accettare il suo corpo così com’è, la sua età così com’è, il suo prossimo così com’è. Vi sono donne incapaci di accettare tale cambiamento, donne che si ribellano, al prossimo, al marito, al genero, alla nuora, alla vita. Aggressive, vorrebbero tutti ai loro piedi: protestano sempre e divengono insopportabili, bisognose d’amore ma incapaci di farsi amare. Vivere maternamente, invece, vuol dire accettare la vita senza rivolta e senza rassegnazione. La madre è una donna che nell’immaginario collettivo si presenta tenera e soccorrevole, la suocera è una donna che si oppone al destino, implacata e aggressiva. In lei v’è tanta forza da renderla quasi maschile ed è forse questa contraddizione che ci permette di riderne, pur temendola. La suocera è temuta dagli uomini perché ha il potere di essere invadente e di rendere la vita insopportabile, ma anche le giovani donne, le mogli, la temono, perché esige la loro sud-

ditanza. E a ragione, poiché per lei la sposa è un’usurpatrice che, col figlio, le ha tolto l’ultima illusione di gioventù. Se diamo uno sguardo al passato, ci rendiamo conto che né Eva né Adamo ebbero suocere. Eva, in un certo senso, era figlia di Adamo ed egli non avrebbe potuto essere la suocera di se stesso. I primissimi uomini e donne dunque non conobbero questa relazione umana, dal che si potrebbe arguire che la parentela fra nuora, genero e suocera abbia in sé qualcosa d’innaturale, quasi non corrispondesse ai supremi disegni. Taluni popoli primitivi, con la loro semplice saggezza, hanno abolito la suocera, eliminando ogni rapporto fra suocera e nuora, fra suocera e genero. Alcune società native dell’America settentrionale, per esempio, vietano alla suocera (con minacce orrende) d’avere qualsiasi comunicazione diretta con la nuora o col genero. Se vuol comunicar loro qualcosa, deve ricorrere a un intermediario. Essi sanno che il potere della suocera sta nella lingua e, impedendole di parlare, le impediscono di nuocere. In altri popoli primitivi, ove vige il matriarcato, la suocera è invece dominatrice. Appena la nuora o il genero la scorgono, debbono gettarsi in ginocchio e restare fermi in quell’umiliante posizione, finché la padrona non se n’è andata. Per conto suo la Chiesa cattolica non s’è mai pronunciata a riguardo. Segno di saggezza, di grande prudenza. O forse soltanto manifestazione di dimenticanza. Infatti il prete non manifesta interesse per il problema: non avendo moglie, egli non ha suocera e così può dedicarsi alla sua vocazione, in santissima pace. Eppure la suocera è materna, anzi, senza passare attraverso la maternità, non avrebbe potuto divenire suocera. Nostra nonna, la nostra mamma, nostra moglie, nostra figlia sono o saranno suocere. Il che ci sembra incredibile. Le creature umane non hanno un solo volto, ne hanno moltissimi, non soltanto perché ogni giorno ci porta un volto diverso, ma perché ciascuno di noi ne ha contemporaneamente tanti quante sono le persone che incontra, a ciascuna delle quali offre un aspetto differente della sua personalità. La suocera che presta la sua faccia da virago ai caricaturisti, è la stessa che ha il volto dell’affetto per la nipotina, quello della tenerezza per il vecchio marito e l’effigie della madre per i propri figli.

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» di Gaia Grimani; fotografia di Reza Khatir, 1991

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» illustrazione di Adriano Crivelli 2

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Orizzontali 1. Briganti, imbroglioni • 10. Stupefatto • 11. Strade cittadine • 12. Stato africano • 14. Il bel Sharif • 16. Hanno i serpenti in tasca • 17. Complessi canori • 18. Marina nel cuore • 19. Dittongo in giada • 20. Canta con le Storie Tese • 21. Giallo pallido • 23. Il fiume dei Cosacchi • 25. Cantore epico • 27. Le isole con Favignana • 29. Vezzo nervoso • 30. Avverbio di luogo • 31. Occidente • 33. Sughi • 35. La nota Pavone • 37. Precede oggi • 39. Pari in strenna • 40. Il noto King Cole • 42. Alcuni • 44. Schiene • 45. Frulla in testa • 46. Gigaro • 47. Auguste, scultore francese • 49. Commissario Tecnico • 50. Circoscrive un’area • 52. Vi sosta la carovana • 53. Uno a Zurigo.

decima • 9. Un Profeta • 13. Le Ninfe delle piante • 15. Cattivo • 22. Integrità morale • 24. Allietare, rallegrare • 26. Comprende la Tasmania e la Nuova Zelanda • 28. Una quantità del farmacista • 32. Consonanti in suora • 34. Misura di capacità • 36. Militari graduati • 38. Italia e Austria • 41. Importante arteria • 43. Spiagge • 48. Starnazza • 50. Mezza riga • 51. Cono centrale.

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Verticali 1. Noto romanzo di N. Rich • 2. Lo studio dell’origine delle parole • 3. Un gliceride • 4. I confini del Ticino • 5. Un’organizzazione internazionale • 6. Il barbiere di Siviglia • 7. Ancestrale (f) • 8. Precede la

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Grazie ai transiti di Luna e Marte si prospetta una movimentata notte di Natale. Svolte decisive portate dal transito di Saturno. Mancanza di autocontrollo per i nati nei primi giorni di aprile. Novità in arrivo.

Giornate segnate da frequenti sbalzi umorali. Stati competitivi con le figure femminili. Cercate di non sfogare le vostre ansie con attacchi di bulimia. Nuovi interessi culturali. Informatizzazione dei rapporti.

Le vostre comunicazioni con gli altri tenderanno a essere connotate da considerazioni personali, con una non sempre fedele esposizione dei fatti. Rapporti empatici ma decisamente umorali con fratelli e sorelle.

Inaspettate occasioni provenienti da un paese estero. Trasferimenti improvvisi. Bene le professioni legate all’informatica. Notizie di nuove opportunità professionali indotte da Giove e Urano.

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Siete determinati verso il raggiungimento dei vostri obiettivi. Passioni e discordie per i nati nella seconda decade in relazione al transito di Venere in Scorpione. Contrasti latenti tra desiderio e autoaffermazione.

Settimana di Natale accompagnata dai numerosi transiti nella quinta casa solare. Erotismo in crescita. Incontri karmici per i nati intorno al 25 agosto. Possibili ritorni di fiamma. Distraetevi, ballate e divertitevi.

I rapporti familiari tendono ad assumere una natura competitiva. Frenesia all’interno delle mura domestiche soprattutto per i nati nelle prime due decadi. Attenti a non irrigidirvi su specifiche posizioni.

Vigilia e Natale segnati dal transito lunare in Leone. Volete essere al centro dell’attenzione. Nonostante vi sia un periodo di feste il ritmo delle vostre attività sembra accelerare freneticamente.

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La notte di Natale sarà allietata oltre che dagli ottimi aspetti lunari anche dal passaggio di Mercurio in Sagittario. Grandi opportunità di affari provenienti dagli ambienti familiari e incontri con persone straniere.

Notte di Natale segnata da svolte karmiche. Cambiamenti per i nati nella prima decade. Incontro con il destino. Soprattutto per quanto riguarda le appartenenti al sesso femminile.

Le giornate di Natale saranno colorate dal transito lunare nel segno del Leone. Sbalzi umorali riconducibili alle dinamiche interne dei rapporti familiari. Nuovi interessi per i nati nella terza decade.

Vita sentimentale ricca di piacevoli novità. Incontri con donne seducenti dal fascino irresistibile. Per i giorni di Natale si consiglia di seguire una dieta naturale evitando le mangiate. Incontri con vecchie amicizie.

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» a cura di Elisabetta

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Questionario Ticinosette

Cari lettori, allo scopo di valutare il gradimento del nostro settimanale e di migliorare il servizio offerto, vi chiediamo gentilmente di compilare il questionario rispondendo in forma anonima alle seguenti domande. Nello spazio in calce pote-

te fornire inoltre un commento più esteso o eventuali suggerimenti. Per chi ha accesso a Internet è possibile compilare il questionario sul sito www.ticino7.ch. Grazie per la collaborazione, la Redazione

» In che località abitate? _________________________________________________________________________________ » Che tipo di professione svolgete? _______________________________________________________________________ » Da quante persone è composto il vostro nucleo familiare? ______________________________________________ fascia di età appartenete? » A quale ❏ meno di 25 anni ❏ da 26 a 45 anni ❏ da 46 a 65 anni ❏ più di 65 anni quale frequenza consultate Ticinosette? » Conquasi giornalmente ❏ da tre a cinque volte alla settimana ❏ meno di due volte alla settimana ❏ luogo consultate Ticinosette? » In che ❏ a casa ❏ al lavoro ❏ in un ritrovo pubblico (biblioteca, bar ecc.) ❏ sul Web ❏ altro » Siete più interessati: ❏ ai programmi radiotelevisivi ❏ alle rubriche ❏ a entrambi » Quali rubriche apprezzate maggiormente? ______________________________________________________________ » Quali invece vi interessano meno o per niente? _________________________________________________________ » Quali argomenti o rubriche, attualmente non presenti, vorreste vedere trattati in Ticinosette? _____________________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ Inviare in busta chiusa a: Ticinosette c/o Centro Stampa Ticino SA, Via industria, CH - 6933 Muzzano. Oppure via fax al seguente numero: +41 (0) 91 960 32 51.


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