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IL CODICE INVERSO

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FOTO PER SEMPRE

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Ticinosette n° 53 31 dicembre 2010

ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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ELISABETH ALLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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FRANCESCA RIGOTTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Agorà Dislessia. Quel problema con la lettura... Società Lewis Pugh. Il custode del clima Lessico Vergogna

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GABRIELE SCANZIANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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MARISA GORZA; FOTOGRAFIE DI FLAVIA LEUENBERGER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Impressum

Vitae Kenoma Eugene Abgamu

Tiratura controllata

Reportage La seta

Chiusura redazionale

Opinioni Marco Bellocchio

NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Editore

Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Sondaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Venerdì 24 dicembre Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Piccole variazioni sul tema

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Illustrazione di Antoine Deprez

Cortesi lettori, come forse avrete notato Ticinosette ha subito alcuni piccole modifiche sia di natura grafica sia nella struttura e nella disposizione dei contenuti. Piccoli interventi sono già avvenuti negli scorsi mesi, con la creazione di nuove rubriche e impaginazioni. Ma, a partire da questo numero, anche la copertina è stata aggiornata: innanzitutto d’ora in avanti sarà prevalentemente dedicata al tema trattato nell’Agorà, articolo di approfondimento e di inchiesta, e non più al Reportage di cui rappresentava “un’anteprima”. In questo modo si rende disponibile un ulteriore spazio per lo sviluppo di idee e concetti nuovi, affidato a illustratori e fotografi ticinesi incaricati di interpretare creativamente in copertina il principale contenuto giornalistico di Ticinosette. Questa novità si accompagna, come dicevamo, a un leggero restyling grafico sia della testata – che si è cercato di rendere più organica – sia di alcuni elementi interni al settimanale. Interventi che vanno inquadrati nell’indispensabile processo di attualizzazione e aggiornamento continuo e constante nel rapporto con il nostro lettorato, con i settori pubblicitari di riferimento e con le altre testate nazionali e internazionali. In questo senso anche la raccolta di informazioni che sta avvenendo attraverso il Sondaggio – presente nelle ultime pagine di Ticinosette – ci consente di meglio comprendere le vostre esigenze e aspettative. Cogliamo l’occasione per invitarvi dunque a fornire la vostra opinione. Il modulo, disponibile sia sul giornale che in forma elettronica (www.ticino7.ch), è di facile e rapida compilazione e si riferisce ovviamente ai contenuti della nostra rivista

e non solo ai Palinsesti radio-televisivi, come qualcuno ha erroneamente inteso. A oggi, alla Redazione ne sono giunti un numero consistente ma per poter compiere un’indagine accurata dei vostri orientamenti è indispensabile che il loro numero sia il maggiore possibile. Ulteriore novità di questa uscita numero 53 è rappresentata dall’introduzione della rubrica Opinioni che darà spazio alle posizioni di personaggi di spicco della cultura e del pensiero svizzeri e internazionali; come nel caso presente, con l’intervista al regista Marco Bellocchio realizzata dalla collega Nicoletta Barazzoni. Augurando a tutti un Felice e sereno Anno nuovo, ci pare indispensabile stimolare l’attenzione sulle tante persone che in Ticino si danno da fare e operano con entusiasmo nell’ambito del volontariato e dell’aiuto a chi è meno fortunato, sia a livello locale sia internazionale. Essi, e sono più di quanto non si pensi, rappresentano un invito costante a rompere il guscio in cui spesso ci chiudiamo, sazi del nostro benessere e talvolta disorientati dalle richieste d’aiuto che continuamente giungono da ogni parte del mondo. La molteplicità di queste situazioni non può e non deve diventare un alibi in grado di giustificare atteggiamenti di inazione e insensibilità. Basta scegliere e qualcuno, sicuramente, in qualche parte del pianeta avrà la possibilità di studiare, di formarsi e di contribuire allo sviluppo del proprio paese e, indirettamente, dell’intera civiltà. Si tratta certamente del miglior regalo che potete fare a voi stessi e ai vostri figli e nipoti. Cordialmente, la Redazione


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el corso degli ultimi anni il tema della dislessia ha attirato l’attenzione crescente di genitori, educatori, insegnanti e psicologi. Nell’ambito dei non addetti ai lavori si è anche creata una certa confusione al riguardo: per alcuni, la dislessia è una difficoltà scolastica dovuta a scarso impegno e svogliatezza, per altri, una malattia causata da un danno cerebrale o il risultato di un ritardo cognitivo che impedisce una corretta lettura dei testi. La dislessia, intendendo qui e in seguito con questo termine unicamente la dislessia evolutiva e non la meno frequente e più disomogenea dislessia acquisita, non è nulla di tutto ciò. La dislessia è un disturbo che riguarda specificamente la capacità di apprendere la lettura. Tale disturbo – che non è dovuto a deficit cognitivi, disturbi neurologici o sensoriali –, si manifesta tipicamente all’inizio del percorso scolastico, creando importanti problemi di apprendimento dei contenuti, con conseguenti disagi psicologici. Un disturbo, quindi non minore e che riguarda una fetta abbastanza consistente della popolazione scolastica. Un recente studio, condotto tra il 2008 e il 2009 da ricercatori del nuovo Dipartimento della Formazione e dell’Apprendimento (DFA) della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ha evidenziato che tra il 3,5% e il 4,5% dei bambini di terza elementare della popolazione scolastica della Svizzera italiana presentano problemi di dislessia. Lo studio, inoltre, ha provato a sondare quale tipo di rappresentazione abbiano del problema gli insegnanti. I risultati hanno mostrato una grande incertezza da parte dei docenti sulle cause della dislessia e di conseguenza sugli strumenti con cui affrontare il problema. Insomma, di questo disturbo si parla, ma poco si sa in maniera corretta. Abbiamo a tal proposito incontrato il dottor Fabrizio Arosio che insegna Linguistica Generale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e partecipa ad alcuni progetti dell’Unione Europea che studiano in specifico l’acquisizione del linguaggio nei bambini

Dottor Arosio, la dislessia è una malattia? “No, la dislessia non è una malattia. La dislessia è un disturbo specifico d’apprendimento, ovvero, non è causata direttamente o indirettamente da malattie neurologiche o da altri disturbi cognitivi o sensoriali. Come specificato dai criteri di diagnosi fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini con dislessia hanno un’intelligenza perfettamente nella norma, non hanno deficit neurologici o sensoriali, ma hanno una prestazione nella lettura sensibilmente al di sotto della media dei bambini di pari età o pari classe scolastica. Questo loro problema dipende da un funzionamento atipico dei processi di decodifica della lettura. Più precisamente riguarda l’automatizzazione di tali processi. Un lettore esperto legge in modo automatico e senza

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Dislessia. Quel problema con la lettura…

Agorà

Comunemente si tende ad associare la “dislessia” a problematiche di natura cognitiva oppure a qualche forma di malattia o lesione a livello neurologico. Niente di più inesatto… sforzo; questo è in realtà il risultato di una serie di processi molto complessi: riconosciamo degli stimoli visivi come segni del nostro sistema ortografico (macchie di inchiostro come lettere dell’alfabeto), traduciamo tali segni in suoni della nostra lingua seguendo principi e regole precise, fondiamo tali suoni in sequenze in modo da formare una parola che appartiene al nostro lessico mentale secondo le regole di composizione (denominate fonotattiche) della nostra lingua. Il bambino con dislessia presenta delle difficoltà a rendere tali processi automatici. Questo disturbo dei processi di decodifica si osserva quando al soggetto con dislessia è richiesto di leggere ad alta voce: egli legge male, commette molti errori e procede con incertezza. Attenzione però, la dislessia riguarda la lettura in generale, anche quella silente”. Conosciamo le cause di questo disturbo? “Possiamo dire che la dislessia ha cause congenite; i ricercatori hanno mostrato che vi è un’ereditarietà e hanno identificato alcuni geni coinvolti in questo disturbo. Attenzione però: dire che dei geni sono coinvolti nella dislessia non significa dire che esistono i geni della dislessia, ovvero geni la cui alterazione ne è causa diretta o indiretta. L’alterazione di tali geni è un fattore di rischio che solamente assieme ad altri fattori, anche ambientali, può determinare le condizioni perché questo disturbo insorga. Per quanto riguarda la sua natura, recentemente, tra i ricercatori si è fatta strada l’ipotesi che esistano «tante dislessie»; questo è plausibile, dato che sono molteplici i processi complessi che possono funzionare in modo anomalo nel compito di decodifica, cioè quando si legge. Secondo l’ipotesi fonologica, la dislessia ha alla base un disturbo dei processi di traduzione dei segni ortografici (grafemi) in suoni della lingua (fonemi), dovuto a un deficit fonologico, cioè di rappresentazione mentale dei suoni linguistici e delle regole per fondere tali suoni in stringhe più complesse che formano le parole. Una recente diversa ipotesi riconduce la dislessia a un disturbo dei processi cognitivi di più basso livello, per esempio, del sistema attentivo e/o della percezione visiva e acustica. I ricercatori si muovono anche in altra direzione indagando l’eventuale atipicità di processi cognitivi più alti, per esempio, di natura linguistico-grammaticale. Il gruppo di ricerca europeo CLAD dell’Università di Milano-Bicocca diretto da Maria Teresa Guasti, con il quale collaboro, sta esaminando la relazione tra dislessia e disturbo specifico del linguaggio. Questo disturbo, che si manifesta in circa il 7% dei bambini in età prescolare, è caratterizzato da una difficoltà a comprendere e produrre oralmente enunciati, in presenza di un’intelligenza non verbale perfettamente nella norma e in assenza di danni neurologici o deficit sensoriali. Da queste ricerche è emerso che la popolazione di bambini con dislessia che è stata studiata ha difficoltà nel comprendere frasi complesse (proposizioni relative come «i bambini che la nonna saluta») presentate loro oralmente; i bambini con dislessia fanno più errori nella comprensione di queste


La dislessia è in aumento negli ultimi anni? “No, non è in aumento. Viene riconosciuta e diagnosticata più frequentemente. Questo a seguito di una maggiore attenzione di genitori, insegnanti ed educatori e di una maggiore specificità e sensibilità degli strumenti diagnostici, rispetto al passato. Purtroppo, ancora molta strada deve essere percorsa in tema di sensibilizzazione sociale per evitare che un bambino con dislessia venga diagnosticato tardivamente e sia erroneamente e dolorosamente reputato pigro e negligente”. Come si riconosce la dislessia? “Si riconosce secondo i criteri che abbiamo elencato precedentemente. Vi sono alcuni segnali che vanno tenuti in considerazione per un suo riconoscimento precoce. Uno dei segnali più importanti da valutare, non solo da parte dei genitori ma anche degli educatori della scuola materna e pediatri, è l’eventuale presenza di un disturbo del linguaggio in un bambino in età prescolare. Un disturbo del linguaggio, pregresso e apparentemente risolto, può avere ripercussioni nell’apprendimento della lettura. Fattori da considerare sono l’ampiezza del lessico, la lunghezza media delle frasi e la programmazione fonologica (semplificando: la pronuncia) non adeguati all’età. Un fattore di rischio importante è la presenza di dislessia o difficoltà scolastiche nella storia familiare. Una diagnosi spetta naturalmente ai servizi sanitari riconosciuti e legalmente autorizzati a emetterla. In Italia, per fare un esempio, una diagnosi non può comunque essere fatta prima della fine della seconda elementare perché, per l’italiano, è in quel periodo che i processi di lettura si automatizzano”. Che cosa si deve fare per aiutare un bambino dislessico? “Mi permetto di farle notare una cosa importante: si preferisce usare l’espressione «bambino con dislessia» e non «bambino dislessico». L’uso di questa seconda espressione rischia di mettere un marchio su un bambino che non ha una malattia ma legge in modo diverso e più lentamente della maggior parte dei bambini di pari età. Innanzitutto bisogna rivolgersi alle strutture sanitarie territoriali al primo segnale o campanello di allarme. Questo non deve creare allarmismi; una dislessia non diagnosticata però crea al bambino non solo dei problemi di rendimento scolastico ma anche frustrazione psicologica e un senso di inadeguatezza sociale. La letteratura scientifica ha mostrato che quanto più l’intervento logopedico è precoce e intenso tanto più il disturbo viene ridimensionato e le prestazioni di lettura possono raggiungere livelli di normalizzazione. Oltre alla terapia logopedica, la pazienza e la mediazione – ovvero un sostegno finalizzato alla ricerca di strategie alternative e soggettive che portano alla risoluzione di un problema – sono probabilmente l’aiuto più importante. Ricordiamo che il bambino con dislessia legge con fatica e lentamente e dunque ha bisogno di più tempo e di strategie personalizzate per portare a termine consegne che a noi paiono risolvibili velocemente. Questo atteggiamento deve prevalere anche in periodi successivi, quando a

fianco di un notevole miglioramento delle capacità di lettura, a seguito di un’incisiva attività logopedica, possono comunque persistere instabilità nelle prestazioni scolastiche”. La dislessia può essere superata? “Le capacità di lettura migliorano grazie alla terapia riabilitativa logopedica. Spesso anche a livelli di normalizzazione. L’importanza della terapia è suggerita anche dai risultati di recentissimi studi neurobiologici che hanno mostrato un innalzamento dei livelli di attivazione della regione temporale posteriore sinistra durante la lettura in soggetti con dislessia dopo un trattamento logopedico. Il cervello del bambino è ancora molto plastico e comprende milioni di circuiti neuronali ridondanti. Ogni nuovo apprendimento modifica tali circuiti e dunque, un intenso e precoce intervento riabilitativo può portare a un innalzamento dell’attività cerebrale delle aree interessate e a un miglioramento della lettura”. Quali problemi incontra un bambino con dislessia? “Il problema maggiore è una diagnosi mancata o tardiva: tanto più l’intervento logopedico è precoce e intenso tanto più risulta efficace. Inoltre, la mancanza di una diagnosi comporta nel bambino l’assenza della consapevolezza di una propria difficoltà di lettura dalla quale dipendono le proprie difficoltà scolastiche. L’assenza di consapevolezza spesso acutizza il senso di frustrazione: una situazione di scarso rendimento scolastico a fronte di un forte impegno porta spesso a un malessere psicologico e socio-relazionale del bambino, con un conseguente rifiuto dello studio. Un altro problema riguarda la relazione con gli insegnanti. Può capitare che questi non siano preparati per affrontare il problema e i loro interventi, lasciati alla buona volontà e maturati da convinzioni personali, possano risultare controproducenti. Inoltre, dato che la lettura è un’abilità indispensabile nella nostra società, una condizione di dislessia non diagnosticata e non trattata è sicuramente un ostacolo a una riuscita socioeconomica adeguata alle proprie potenzialità cognitive in età adulta. L’intervento terapeutico logopedico deve essere anche visto come un intervento di rimozione di una barriera alle potenzialità di riuscita individuali. Per esempio, l’Unione Europea si è sensibilizzata notevolmente su questa tematica, proprio perché le risorse educative, anche economiche, che i governi investono in soggetti con dislessia non diagnosticata, non producono l’effetto desiderato di formare cittadini in grado di realizzare le proprie potenzialità, concorrendo attivamente al benessere del paese”. E i genitori come reagiscono di solito? “Frequentemente il genitore è disorientato. L’operazione più importante che deve compiere è rendersi conto che le difficoltà scolastiche non dipendono da una mancanza di impegno e svogliatezza ma da qualcosa d’altro. Inizialmente i problemi emergono quando il genitore aiuta il bambino a fare i compiti a casa, un’attività che spesso diviene una vera e propria tortura per il bambino e i genitori: il bambino vive una profonda inadeguatezza e frustrazione e si sente poco compreso dai propri genitori; il genitore stesso non capisce perché delle semplici consegne debbano trasformarsi in tragedie e, imputando le difficoltà alla negligenza, perde la pazienza e si arrabbia. A volte, l’ostinazione nell’imputare le difficoltà alla negligenza e alla pigrizia deriva dal timore di doverle ricondurre erroneamente a dei deficit cognitivi più generali del bambino. Alla fine del percorso di riconoscimento, la diagnosi e il conseguente impegno logopedico arrivano spesso come un sollievo sia per il genitore che per il bambino perché entrambi si rendono conto che le difficoltà scolastiche non sono imputabili a negligenza o a un deficit cognitivo ma hanno una causa precisa che può essere affrontata con interventi specifici”. Per saperne di più: Associazione Dislessia Svizzera – www.verband-dyslexie.ch

Agorà

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» di Roberto Roveda

frasi rispetto ai loro compagni, mostrando un comportamento più simile a quello dei bambini con disturbo specifico del linguaggio. In un altro studio, che l’Istituto Scientifico «E. Medea» di Bosisio Parini ha condotto in collaborazione con il gruppo CLAD, è emerso che i soggetti con dislessia presentano un quadro di attività elettrica cerebrale diverso da soggetti senza dislessia durante l’ascolto di frasi non grammaticali tipo «La bambina bionda giocano con la palla». Questi risultati sono assai significativi perché mostrano che il fattore linguistico-grammaticale è tutt’altro che trascurabile nella delineazione della natura di tale disturbo o di una sua sottoclasse. Nel corso degli ultimi anni studi sulle basi neurobiologiche di questo disturbo, condotti con la tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno evidenziato una minore attivazione di aree del lobo temporale posteriore sinistro del cervello nei soggetti con dislessia rispetto a lettori esperti durante la lettura”.


Internet

www.lewispugh.com Il sito, dedicato all’impegno e all’attività di Pugh, consente di accedere a informazioni di grande interesse circa le problematiche legate al riscaldamento globale e ai suoi indotti geopolitici.

in Kayak al Polo Nord, area di cui Canada, Danimarca, Norvegia, Russia e Stati Uniti d’America, in ordine alfabetico, si stanno contendendo la proprietà. L’attrazione di cui gode il Mare Artico è da ricondursi alle sue ingenti nonché dormienti riserve di idrocarburi, che lo sciogliersi dei ghiacci rende sempre più a portata di mano. “Mi sta bene che qualcuno possegga un territorio, tuttavia la proprietà implica inevitabilmente una grossa responsabilità. Tutte quante le nazioni dovrebbero monitorare ciò che sta succedendo a queste latitudini e sentirsi in dovere di stilare un trattato simile a quello stipulato per proteggere l’Antartico!”. Il 4 settembre Pugh è però costretto ad attraccare a 500 miglia al largo del Polo Nord. Causa? Il ghiaccio. Ha così issato, l’istante di qualche fotografia, i 292 vessilli dei paesi membri dell’ONU, che aveva con sè, evidenziando così che ogni nazione senza distinzione ha la sua parte di responsabilità nel surriscaldamento del pianeta. Lewis Pugh, paladino delle cause ambientaliste, Quest’anno invece, a negli ultimi dieci anni non ha lesinato gli maggio, Lewis ha nuosforzi – fisici e intellettuali – nell’opera di tato per un chilometro sensibilizzazione alle problematiche del riscal- in un lago situato nei pressi dell’Everest, credamento globale atosi in seguito allo scioglimento del ghiacciaio Imja. Il fatto talista che tenne testa ai leader che l’acqua fosse a due gradi e il lago si del pianeta chiedendo loro dei trovasse a un’altezza di 5.300 metri, ha reso conti nel momento, appunto, più l’impresa difficilissima. Come nelle prececritico della nostra storia”. Con denti spedizioni, l’obiettivo di Lewis era questo obiettivo, alla fine di quello di sensibilizzare l’opinione pubblica agosto del 2008, Pugh monta sul riscaldamento del pianeta. una spedizione per recarsi

» di Elisabeth Alli; immagine tratta da www.muchbetteradventures.com

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tica e antartica dell’inizio secolo scorso. Ma sono gli exploît del nuotatore a eccitare l’opinione pubblica. A questo proposito, Pugh ha battuto vari record diventando l’unica persona ad aver completato una nuotata di lunga distanza in ciascun dei cinque oceani del mondo (Pacifico, Atlantico, Indiano, Artico ed Antartico). Le sue bracciate nelle gelide acque del Polo Nord gli hanno valso il soprannome di polar bear (orso bianco). Di fatto, nel febbraio del 2007, Lewis ha nuotato per ben 18 minuti e 50 secondi tra un iceberg e l’altro all’estremo settentrione, in un acqua la cui temperatura oscillava tra i –1,7 e gli 0 gradi centigradi. Come vorrebbe esser ricordato tra 100 anni? “Preferirei passare alla storia come quell’ambien-

Lewis Gordon Pugh Achieving the Impossibile Jonathan Ball Publishers, 2010 Nel volume, in lingua inglese ma di facile lettura, l’autore ripercorre le imprese che hanno segnato la sua vita. Il racconto di una sfida non solo alla natura ma a tutti coloro che ne minacciano la sopravvivenza

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Società

La Conferenza sul clima che si è tenuta dal 29 novembre al 10 dicembre a Cancùn (Messico), ha calato il sipario, stendendo un triste velo sulla situazione climatica mondiale. Già nel 2001, il gruppo d’esperti chiamati al capezzale del globo aveva dichiarato che il riscaldamento terrestre era da attribuirsi all’insieme delle attività umane. Benché in questi dieci anni molti governi abbiano formulato i loro “verdi propositi volti a rinvigorire la salute cagionevole della calotta terrestre, varrebbe la pena di riconoscere il coraggio di Lewis Pugh (vedi Apparati) che tanto si è prodigato per la causa del pianeta. Nato il 5 dicembre del 1969 in Inghilterra, Pugh, studia legge all’università di Città del Capo, ultimando poi gli studi all’università di Cambridge. Dopo la laurea lavora qualche anno nel campo del diritto marino a Londra. Poi, nel 2003 lasciata la carriera, inizia a dedicarsi completamente alla salvaguardia dell’ambiente come ambientalista, esploratore e nuotatore. A ispirarlo, il norvegese Roald Amundsen (1872–1928; il primo uomo ad aver raggiunto il Polo Nord e il Polo Sud) così come altri pionieri dell’esplorazione ar-

Il custode del clima

Lewis Pugh conclude la sua nuotata himalayana

Libri


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Vergogna Sentimento personale, riferibile solo a se stessi, attiene al senso di responsabilità e alla dignità di ciascuno. Una correlazione che, in ambito pubblico, rivela una valenza etica profonda, nonostante le elusioni di certi affaristi e politicanti

Parole da riparare Oggi in Italia, nota l’autore, stiamo assistendo a un processo patologico di espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. Se le nostre parole non funzionano... è compito di un’autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, comprendendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo e in modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo. Proviamo anche noi, con Carofiglio, a restituire senso alla parola vergogna. L’azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità. Vergogna e dignità In che cosa la vergogna si lega alla questione della dignità, ci chiediamo rendendoci conto che le riflessioni di Carofiglio, partite dal paese Italia, sono ben altrimenti estendibili? La vergogna è una perdita di onore o una violazione di fiducia che si verifica quando tali perdita e violazione sono causate dal medesimo soggetto, a differenza dell’umiliazione che provoca

effetti simili ma è inflitta da altri. La vergogna è la condizione di chi viene colto a compiere deliberatamente attività degradanti o indegne, di chi viene meno all’adempimento di quelle che concordiamo essere le forme di eccellenza umana. È anche la condizione di chi è colto in situazioni imbarazzanti, riguardanti magari atteggiamenti del corpo, situazione comunque privata che riguarderà colui che viene visto e colui che vede: a noi interessa invece circoscrivere la riflessione, nel nostro piccolo lessico, alla condizione pubblica. Vergogna e responsabilità La relazione tra vergogna e comportamento responsabile mette l’accento sul rapporto tra autostima e scelta autonoma e presuppone che le mie attività possano essere da me scelte e pianificate come parte dell’esercizio attivo della ragione pratica. Il filosofo greco Aristotele definiva la vergogna come “un dolore o un turbamento relativo a quelle colpe che sembrano condurre alla disistima”. Ci si vergognerà dunque maggiormente delle persone di cui si tiene conto. “In generale” scrive Aristotele, “ci vergogniamo dinanzi a coloro per cui abbiamo rispetto”, non solo di fronte ai conoscenti ma anche di fronte agli sconosciuti, soprattutto se abbiamo violato norme di legge. Ora, benché si possa sostenere che la vergogna e gli sforzi per evitarla potevano essere centrali nel pensiero etico e politico della Grecia antica ma non in quello dell’Occidente contemporaneo, le considerazioni aristoteliche suonano in realtà assai condivisibili anche alla mentalità moderna.

Kronos Lessico

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» di Francesca Rigotti; illustrazione di Mimmo Mendicino

Continuando con il nostro piccolo lessico filosofico-politico veniamo ora a parlare, dopo coraggio e fiducia, di vergogna. Vergogna? Che senso avrà mai la vergogna nel terzo millennio dell’era volgare? Come mai occuparsi di parole e di concetti così obsoleti? Invece noi abbiamo pensato che valesse la pena chiederselo e, per seguire questo percorso apparentemente fuori moda, ci siamo domandati se ci fosse qualcuno che ci potesse dare una mano o volesse accompagnare almeno per un tratto di strada. E così, per quanto riguarda la vergogna, abbiamo trovato, guardandoci intorno, nientemeno che Gianrico Carofiglio, il magistrato e scrittore italiano (e anche parlamentare) creatore del personaggio dell’avvocato Guerrieri. Nel luglio dell’anno scorso Carofiglio pubblica infatti su “Repubblica” un lungo articolo dedicato a democrazia e vergogna.

Vergogna, scuse e senso etico Per esempio, tendiamo istintivamente a essere più indulgenti nei confronti di chi, pur trasgredendo la norma, lasci poi percepire di aver provato il sentimento della vergogna ed enunci parole di scusa, purtroppo quasi inesistenti in bocca ai politici. Siamo inoltre inclini a ritenere che l’emozione della vergogna vissuta come perdita dell’onore e della faccia abbia un ruolo positivo nella reazione a un’azione disonesta in quanto indizio della valutazione etica di una situazione. Il vergognarsi di un’azione mostra che essa viene percepita come inadeguata rispetto alle norme morali riconosciute. Chi si vergogna è già una persona con un senso etico e con un atteggiamento di autorispetto.


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» testimonianza raccolta da Gabriele Scanziani; fotografia di Igor Ponti

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zione a livello nazionale. La Nigeria ha diversi milioni di abitanti e l’unico modo per distinguersi è fare qualcosa di diverso, di straordinario. Io sono sempre stato ambizioso e penso ancora oggi che la differenza tra ordinario e straordinario sta nell’impegno e nel cuore che ci si mette. Sempre grazie ad AIESEC nel 2002, a 22 anni, mi sono recato per la prima volta fuori dall’Africa per seguire una conferenza a Belgrado. C’erano oltre 500 giovani studenti come me, provenienti da diverse nazioni. Ebbi così modo di sperimentare la varietà nelle culture, un aspetto del mondo che continua ad affascinarmi Trent’anni di viaggi, incontri, esperienze. moltissimo. È stato come veDa Benin City a Ginevra e poi a Lugano. dere la luce in fondo al tunnel. Un giovane uomo incuriosito dal mondo, Non potevo più fermarmi, potevo solo continuare ad che abbraccia la vita con un sorriso andare avanti per vedere quel bagliore farsi sempre più lumichiamata AIESEC (Association noso. Il primo impatto con l’Europa è stato Internationale des Étudiants en quasi disorientante. A Belgrado, appena sceso Sciences Économiques et Comdall’aereo, ho incontrato gente completamerciales). Mi spiegarono di mente diversa da me e sorridevo osservando cosa si trattava e, inizialmente, i loro sguardi stupiti davanti a un’intera non capivo quale fosse lo scodelegazione di studenti africani. po di quell’associazione. Uno A 26 anni sono giunto in Svizzera, a Ginevra. di loro insistette dicendo che AIESEC era partner delle Nazioni Unite e io mi avrebbe anche comprato lavoravo a tempo parziale per entrambe le un telefono. Non essendoorganizzazioni. Dopo nove mesi, terminato mi mai successa una cosa del il mio stage alle Nazioni Unite, il mio capo genere, ero scettico, ma quel mi ha offerto un contratto da consulente, così ragazzo mi comprò davvero sono rimasto a Ginevra fino a ottobre 2007. un cellulare e io non dovetti Prima di arrivare in Ticino ho lavorato un per pagare nemmeno un centeun’agenzia pubblicitaria in Nigeria. In seguito simo. Durante i raduni e le ho deciso che non volevo più lavorare per conferenze c’era sempre un’atqualcuno, volevo sviluppare i miei progetti mosfera positiva e gli studenti e il modo migliore per farlo era seguire un erano contenti di partecipare, master. Il Ticino mi piace molto. Conosco Lupurtroppo però nel 2002 il gano da diverso tempo grazie a un amico che dipartimento di AIESEC della già viveva qui, lo stesso che mi ha consigliato mia scuola venne chiuso dalla di iscrivermi all’USI. Da un anno mi divido sede nazionale per mancanza fra l’università e il lavoro, a volte mi capita di di risultati. Mi sentii come se dormire cinque ore per notte ma so che non avessero portato via una parte durerà per sempre e sono consapevole che sto importante della mia vita. Doconquistando qualcosa di concreto per il mio vevo fare qualcosa, così decisi futuro. Lavorare e studiare non è facile, ma di diventare il responsabile di tutto diventa più semplice quando si ha uno AIESEC nella mia università e scopo. La passione è la componente che guida di far riaprire l’organizzazione la mia esistenza, è l’unico sentimento che nella mia scuola. Fu la prima mi permette di resistere alle varie pressioni e volta in cui dovetti prendere allo stress. La mia più grande soddisfazione è decisioni per altre persone, riuscire a trasferire questa passione agli altri, agire, parlare e muovermi nel vedere la luce nei loro occhi e il sorriso sui loro interesse. In seguito diloro volti mi spinge a continuare senza sosta. ventai prima vice presidente In fondo, qualsiasi forma di entusiasmo coe poi presidente dell’associamincia con un sorriso.

Kenoma Eugene Abgamu

Vitae

i chiamo Kenoma Eugene Abgamu e sono nato il 10 luglio del 1980 in una delle più antiche città della Nigeria: Benin City. La mia famiglia è molto numerosa e i miei genitori hanno sempre fatto il massimo per me e per i miei fratelli. Siamo nove figli e, se aggiungiamo mio padre e mia madre, il totale è di undici persone. Una vera e propria squadra di calcio. Da bambino desideravo entrare nell’esercito… ricordo che una volta vidi un soldato e mi piaceva il modo in cui era vestito, come si presentava, come si muoveva. I miei genitori chiaramente non erano molto propensi a farmi entrare nelle forze armate così optarono per una scuola paramilitare, in modo da farmi avere sia l’istruzione sia la disciplina che cercavo. Così, all’età di dieci anni, ho lasciato per la prima volta casa mia per andare a studiare, è stato il mio primo viaggio ed è stato anche il primo grande cambiamento della mia vita. Ero a dieci ore di distanza dalla casa dei miei genitori e avevo sei settimane di vacanza all’anno per stare con la mia famiglia. Non rimpiango niente di quel periodo, i miei hanno capito che era la cosa giusta per me e, anche se non erano fisicamente presenti, li ho sempre sentiti vicini. Quell’esperienza mi ha fatto capire che loro non sarebbero stati sempre lì per me e che quindi dovevo darmi da fare, rimboccarmi le maniche e diventare autonomo. A sedici anni, finito il liceo, sono tornato a casa e ho lavorato per tre anni e solo in seguito mi sono iscritto all’università. Sognavo di diventare medico, ingegnere o pilota ma alla fine ho scelto la facoltà di geografia non potendo permettermi altro. Gli inizi sono stati segnati da qualche incertezza… stavo ancora scoprendo chi ero e che tipo di persona volevo diventare. Un giorno, avevo 21 anni, incontrai un gruppo di studenti che faceva parte di un’organizzazione studentesca attiva in tutto il mondo

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La lunga e lucente via della seta testo di Marisa Gorza fotografie di Flavia Leuenberger

“Il tessuto da indossare per avvicinarsi a Dioâ€?. Ecco come un antico adagio cinese definiva la seta, materiale lucente e sensuale, da sempre sinonimo di magnificenza e nobiltĂ . Scoperta migliaia di anni fa in Cina, essa ha percorso un lungo viaggio verso Occidente fino alle nostre piĂš vicine contrade. Fra queste Como, divenuta in Italia la vera capitale della seta, la cui produzione vive oggi un momento non particolarmente felice


Le fotografie del presente reportage sono state scattate presso il Museo didattico della Seta di Como (www.museosetacomo.com)

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ra all’incirca il 2640 a.C. quando qualcuno nel Celeste Impero fece la sensazionale scoperta che la bava con cui un piccolo baco intesseva il suo bozzolo, poteva essere utilizzata come un filo forte e delicato nel contempo e dagli incantevoli riflessi perlati. Sino al VI secolo d.C. sembra che i Cinesi fossero gli unici a produrre la preziosa fibra di cui custodivano gelosamente i segreti. Pena la morte e crudeli torture (cinesi, s’intende) per i trasgressori. Nondimeno la ricca materia era già giunta in Europa. La sua storia millenaria si intreccia difatti con quella dei rapporti tra Oriente e Occidente e degli scambi commerciali, ideologici e filosofici che legarono tra loro cinesi, indiani, persiani, greci, egiziani e infine... romani. La sua destinazione finale, attraverso quella che verrà chiamata “La Via della Seta”, era Roma, insieme ad altre merci di pregio. Sarebbe riuscita l’intraprendente Cleopatra a sedurre Giulio Cesare e Antonio senza l’ausilio delle voluttuose vesti di seta? Eravamo già nel I secolo a.C., periodo in cui le matrone romane, descritte da Plinio il Giovane (era comasco... guarda caso), cominciarono ad apprezzare la rarissima fibra orientale che facevano tessere dalle ancelle per dar vita a diafane tuniche. Storia o leggenda? A metà del Cinquecento, durante il regno di Giustiniano, due monaci, più affaristi che buddisti (forse inviati dall’imperatore stesso), trafugarono dalla Cina, nascondendoli all’interno dei loro bastoni di bambù, sia le uova del baco, sia i semi del gelso le cui foglie servivano per nutrire le fameliche larve. Tuttavia, in Italia, si dovrà attendere sino all’XI secolo perché prenda il via l’intero ciclo produttivo della seta, cioè dalla coltura dei gelsi, all’allevamento e mutazione delle larve, alla raccolta dei bozzoli, al loro dipanamento, alla tessitura... Dapprima si diffuse nel Meridione e in Toscana, poi piano, piano risalì la Penisola, e interessando soprattutto l’Alta Lombardia. Il principale fautore della coltivazione del gelso sul territorio, fu il duca di Milano Ludovico Sforza detto il Moro. Epiteto che gli derivò, non tanto per la carnagione scura, bensì per l’appassionato interessamento alla diffusione della pianta il cui nome latino morus diventava moron nel vernacolo lombardo.



L’idea di creare nella città lacustre un museo, dedicato al ciclo di lavorazione della seta, è nata nel cuore stesso dei grandi opifici, primo fra tutti la Tintoria Pessina

Como “città della seta” L’economia, tra il 1500 e il 1600, lungo le sponde del Lago di Como, oltre che sull’agricoltura, era basata sulla lavorazione della lana, manifattura poi scomparsa. La bachicoltura rappresentava un'inaspettata risorsa soprattutto per il contado dove, nel frattempo, si moltiplicavano le piccole imprese tessili. Però fu solo nel XVIII secolo che alcuni imprenditori diedero vita a una coordinata produzione industriale, sviluppatasi enormemente circa cent’anni dopo. Intorno alla metà dell’Ottocento il 93% della superficie coltivabile era coperta di gelsi e le strutture tessili nascevano ovunque ci fossero queste piante. La cura e la nutrizione dei bachi e la cova delle uova si svolgevano nei casolari, occupando ogni angolo delle modeste abitazioni: tavoli, panche, intorno ai letti... in un coinvolgimento totale della famiglia rurale. Mentre le fasi successive di filatura e tessitura avvenivano nell’urbe lariana, negli opifici sempre più grandi che vedranno presto affermarsi i telai meccanici. Ed è proprio negli anni tra fine e inizio secolo che si pongono le basi per costituire una vera e propria identità territoriale per cui Como verrà chiamata “città della seta”. Il Novecento, però, nel giro di alcuni decenni, vede la decadenza della produzione serica locale, fino alla scomparsa, intorno agli anni Cinquanta, di gelsi e bachi. Nel contempo la seta “torna alle origini”, cioè nei paesi dell’Estremo Oriente con la vecchia Cina in testa. Tuttavia la seconda parte del XX secolo porta i setifici comaschi a specializzarsi nella finitura del prodotto grezzo che arriva dall’Asia. La tintoria, i finissaggi particolari e soprattutto la stampa artistica-creativa sono il fiore all’occhiello della seteria comasca d’oggi! Evoluta dalle antiche planches di legno incise a mano, alla stampa a quadro, all'incisione fotomeccanica, all'elaborazione computerizzata più high tech. E alla produzione di tessuti serici d’élite, si affiancano la ricerca su base scientifica e le attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-culturale concernente. Grazie anche alla magnifica opera del Museo Didattico della Seta di Como, collegato alla Scuola Tessile di Setificio. Perché Como resti la “città della seta” per sempre.

Il patrimonio di esperienza diventa Museo Non convenzionali opere d’arte, ma segnali tangibili di una continuità tra passato e presente, di un patrimonio di creatività e lavoro. La seta a Como è un interessante capitolo della storia italiana: più di un secolo che coinvolge la geografia economica, l’arte, l’architettura, l’industria, l’artigianato e, dulcis in fundo, la moda con tessuti, cravatte, foulards... L’idea di creare nella città lacustre un museo, dedicato al ciclo di lavorazione della seta, è nata nel cuore stesso dei grandi opifici, primo fra tutti la Tintoria Pessina. Proprio nel momento di decidere l’infausta


demolizione di impianti produttivi obsoleti e inoperosi da anni, un gruppo di lungimiranti industriali stabilì di conservarli per perpetuare la memoria di una gloriosa filiera. Così nel 1990 lo spazio museale fu inaugurato negli edifici dell’Istituto Tecnico di Setificio “Paolo Carcano”, con una superficie di 900 mq e un itinerario pieno di atmosfera, via via completato. Già l’atrio, ricreato come l’ingresso di un opificio, presenta i pregevoli orologi timbra cartellino che scandivano gli orari di fabbrica e la precisione delle mansioni. E dopo alcune indicazioni sull’allevamento del prezioso baco, il povero Bombyx mori, sacrificato all’interno del suo bozzolo (stufato a 70° C) così da poter dipanare intatto l’aureo refe, si prosegue con la ricca documentazione strumentale. Macchinari tutti in grado di funzionare, cioè un complesso di elementi “vivi”, non polverose memorie! Ubicati nelle varie sale suddivise per fase di lavorazione, ecco un orditoio a sezione e un torcitoio con ben 288 fusi, poi dai vetusti telai a mano si passa al sofisticato sistema jacquard e al telaio meccanico Omita in cui tutto è automatizzato. Profumo di alchimia nel laboratorio chimico, ricostruito con mobili e strumenti d’epoca, tante boccette con le sostanze pigmentanti, la “barca” per tingere i tessuti... Certo la parte tecnologica ha la meglio sul coté romantico-nostalgico, ma possiamo sempre lasciarci suggestionare dai manifesti pubblicitari in stile Liberty degli importatori di bachi, come pure dall’esposizione di quadri serici... Mentre una bella carta geografica ci fa ripercorrere con la fantasia la mitica e avventurosa Via della Seta.

Lo spazio museale, all’interno dell’Istituto Tecnico di Setificio “Paolo Carcano”, ha una superficie di 900 m2 e offre itinerari ricchi di atmosfera


Lo spazio filmico di Marco Bellocchio Opinioni p. 40–41 | testo di Nicoletta Barazzoni

Il regista italiano, nel corso della sua lunga carriera cine-

matografica, si è soffermato spesso sulle tematiche sociali e politiche della nostra epoca. Per alcuni è divenuto un’icona della sinistra italiana, per altri, con i suoi film, egli incarna l’opposizione al pensiero dominante. Bellocchio ha saputo far combaciare ambienti reali con ambienti inventati, tratteggiando, in alcune sue opere, una visione grottesca e sarcastica della società. Andando in profondità con la sua cinematografia, si è infatti spesso spostato nell’immaginario, fotografando porzioni di realtà che ha trasferito nelle sue scenografie. In 45 anni di produzioni, ha girato pellicole di grande importanza; con il suo recente capolavoro Vincere, melodramma futurista, ha creato uno spazio scenografico grandioso, ricostruendo e documentando gli eventi dell’Italia fascista. Gli ambienti e i loro particolari, uniti alla sua esperienza, gli hanno sempre suggerito le trame dei suoi film. Lo abbiamo incontrato e intervistato per sapere se il cinema di oggi è ancora strappo convenzionale, denuncia e spinta al cambiamento.

Signor Bellocchio, pensa di rappresentare, con un film, la “democrazia autoritaria” dell’Italia di oggi? “I discorsi sono tanti. Ci sono almeno due tipi di problemi che mi toccano da vicino. Uno, che è il principale, vorrebbe raccontare l’Italia di oggi. Inevitabilmente riguarderebbe la politica attuale e chi ha in mano il potere in questo momento. Un tale scenario rende difficile produrre un film che assuma questa rilevanza, perché parlare del potere significa fare un film che ha dei costi ben precisi. Il potere lo puoi anche descrivere nella cella di un carcere, però il bisogno del potere è in conformità a quello dei potenti, e quindi, per trattarne, bisogna descrivere anche i luoghi in cui loro dominano. Questa è una difficoltà che ho incontrato oggettivamente volendo fare un film su questa realtà. Il secondo aspetto, più sottile, è che volendo raccontare l’Italia di oggi, dal mio punto di vista, sarebbe sbagliato prendere di petto personaggi che invece vanno bene per la televisione. Fare un film su Berlusconi non mi interessa. Può darsi che in un racconto fantastico ci possa essere un personaggio che gli assomigli ma sarebbero tutti personaggi di fantasia. Ci sono registi, penso a Moretti, che hanno affrontato direttamente Berlusconi. A me non interessa”.


Marco Bellocchio (1939) è una delle figure di spicco del cinema italiano. Da I pugni in tasca (1965) a Vincere (2009), egli ha tracciato un ritratto disincantato delle ipocrisie della società borghese (fotografia tratta da www.reggiespizzichino.com)

Jean-Luc Godard sosteneva che quando si fissa la macchina da presa è più una questione politica che estetica. Il regista Marco Bellocchio deve conciliare le esigenze dell’immagine con quelle dei produttori perché fare cinema oggi può anche essere un’arte rischiosa

I produttori hanno paura di finanziare un’opera cinematografica con questi presupposti? “Questo è un dato oggettivo. Se voglio raccontare una storia di ricatti all’ombra del potere politico non trovo da parte dei produttori grande interesse ma piuttosto resistenze, perché questo è il momento della commedia rosa e della commedia leggera. Il produttore ti dice subito che la gente vuole divertirsi con i risultati economici che ne conseguono. Mi sarebbe piaciuto, per esempio, includere in un mio film, un episodio sulla tragedia di Luana Englaro ma anche in questo caso vi è stata molta ostilità e altrettanta reticenza”. Dunque la libertà espressiva del cinema è in pericolo? “Forse questo momento potrebbe essere avvertito come il crepuscolo di qualche cosa di nuovo che deve ancora nascere, nel senso che essendoci un governo traballante, non si sa bene che fine farà e quali orizzonti andranno a delinearsi. Tutta l’industria della comunicazione è, più o meno, controllata dal potere politico. Nessuno in questo momento è realmente interessato a parlare dell’Italia e del potere che la governa”.

Una volta il fascismo lo si riconosceva dal colore e dalla divisa… “Il fatto è che il cinema di denuncia e politico allora aveva dei riscontri e un suo pubblico rumoroso. Adesso questo pubblico, parlo dei giovani, si è rimpicciolito e indebolito. Ai tempi di Èric Rohmer c’era un folto pubblico che seguiva i suoi film, contribuendo così al rovesciamento delle condizioni e delle regole convenzionali. Questo pubblico non si rinnova ma si riduce, con i giovani che non assicurano il ricambio generazionale e che dovrebbero affrontare e guardare il mondo con senso critico”. La denuncia sociale in Italia è controllata dalla televisione. Ci troviamo di fronte a una sola idea di società… “Un tempo si pensava che da un tipo di società se ne potesse creare un’altra, attraverso un passato remoto, le rivoluzioni o le riforme. Al di là di questo modello di società – che sembra in questo momento immodificabile e in cui si ha la netta sensazione che tutti i temi si assomiglino –, ci sono miliardi di varianti, con l’animo umano, le passioni e gli affetti. Penso che ci sia ancora la possibilità di raccontare qualche cosa di slegato dall’aspetto ideologico, relativo ai famosi messaggi come quello politico, cristiano o evangelico. Sono del resto assolutamente convinto che partire dal messaggio sia sempre una brutta partenza. Infatti cerco sempre di creare e individuare un soggetto, ispirandomi a un’immagine, aggregando attorno ad essa una storia e dei personaggi, sforzandomi di tenere lontano il concetto ideologico. Credo sia molto importante difendere la libertà, seguendo la propria ispirazione, non fermandosi davanti a nulla”. Le opinioni, dicevamo, non passano più attraverso i luoghi democratici deputati al confronto? “Certo perché gli spazi della denuncia sono fortemente diminuiti e ridotti perché sono controllati dalla televisione. Il discorso sulla giustizia sociale va bene ma sono altre le tragedie che mi interessano. Mi interessa l’interiorità dell’uomo, il suo vissuto. Bisogna sempre partire dai soggetti. Affrontare il tema della giustizia sociale è giusto e fondamentale, però andava bene se pensiamo al film di Luchino Visconti La terra trema. Oggi dovrebbe essere formulato in modo diverso. Dal mio punto di vista, il discorso va spostato sulla dimensione psichica perché mi interessa la violenza quando si manifesta nell’animo umano. Certo, sto parlando della violenza degli uomini, costretti a subirla per mezzo delle istituzioni. Mi affascinano i personaggi e i loro percorsi, che vengono prima di qualsiasi istituzione”. Secondo lei, la libertà nel cinema può ancora essere rottura delle convenzioni? “La rottura delle forme, paradossalmente, avviene più oggi di quanto non accadesse in passato, nel senso che la tecnologia, essendosi così democratizzata e diffusa, offre una miriade di possibilità prima inesistenti. Ciò non toglie che tutte queste risorse e opportunità vengano utilizzate per imitare i modelli del passato. In fondo, la pubblicità e le grandi fiction televisive sono sempre delle drammaturgie che si rifanno al modello della tragedia greca. Il nuovo è sempre qualche cosa che deve nascere contemporaneamente a ciò che vuoi raccontare, e per tanto le due cose non possono essere separate. Un autore, parlo di me stesso, quando pensa a un film resta molto condizionato dai modelli preesistenti perché una produzione cinematografica ha un suo costo, e dunque la libertà è una lotta incessante. Il mio lavoro di regista mi porta a un continuo confronto con tante persone che capiscono, in prevalenza, dei discorsi di tipo razionale, produttivo. In questo senso si arretra e si rimane sui modelli classici, con il rischio pericoloso di non evolvere”.


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Venere in opposizione, Marte in trigono. Momenti di turbamento all’interno dei rapporti di coppia. Puntate di più sull’erotismo. Nuove situazioni professionali… favorite le attività più legate alle nuove tecnologie.

Incremento dei rapporti sociali. Data la presenza di aspetti disarmonici, la configurazione astrale induce al sorgere di conflitti tra l’Io e la volontà di comunicare. Insomma, dite una cosa, ma ne pensate un’altra.

Grazie all’irrepetibile trigono con Giove e Urano si apre una porta su di una serie di occasioni inaspettate. Non perdete tempo. Seduzione e momenti d’amore. Non sgarrate troppo la dieta.

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Inizio del 2011 baciato da Mercurio. Opportunità professionali e relazioni d’affari anche se in questa fase dell’anno il lavoro non vi interessa granché. Incontri e momenti di seduzione con persone interessanti.

L’anno inizia con le stelle giuste. Grazie a Marte e Venere favorevoli nella prima settimana del 2011 potrete vivere momenti di passione in compagnia del partner. In trambusto la vita professionale.

Fortemente sollecitati dai transiti di Saturno e Marte sarete determinati e spietati con i nemici. State però attenti a non esagerare con i vostri parenti. Un inizio agguerrito e caparbio per i nati nella seconda decade.

Il 2011 inizia positivamente per le questioni di cuore. Grazie ai transiti planetari potrete vivere momenti di accesa sensualità con il vostro partner. Opportunità professionali in vista. Bene tra il 4 e il 5.

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Transito di Mercurio nel vostro segno. Forte incremento delle relazioni sociali. Nascita di nuovi interessi. Desiderio di indipendenza e di autonomia. Eventi inattesi rivoluzionano il tran tram delle quotidianità.

Congiunzione del Nodo Lunare con Plutone. Di solito questo transito, agendo in un contesto armonico, spinge il soggetto verso scelte di vita di tipo evolutivo. Incontro con il destino per i nati nella prima decade.

Prima settimana del 2011 segnata dai transiti di Mercurio e Venere. Il primo frizzante, la seconda un po’ turbolenta. Per cui incontri con persone straniere, piccole gelosie e momenti di trasgressione.

Il 2011 inizia baciato dal passaggio di Venere. Giocatevela tutta perché Giove e Urano sono al fotofinish. State attenti a non perdere l’incontro con il destino. Opportunità professionali e personali irrepetibili.

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Orizzontali 1. Una pratica vettura cittadina • 10. Osservare, rilevare • 11. Congiunzione inglese • 12. Beneficiano del lascito • 13. Lo cela il baro • 14. Società Nuoto • 15. La sigla della nostra emittente televisiva • 17. Fiume francese • 18. Lo è l’argomento... vietato • 20. Il compositore dei Vespri siciliani • 21. Perdita del tono muscolare • 23. Dittongo in reità • 24. I confini del Ticino • 25. I solidi geometrici dei gelatai • 27. Avanti Cristo • 29. Subì la stessa fine di Pompei • 32. Sfortuna • 33. Città dello Yemen • 35. Il maestro della relatività • 37. Ha la cruna • 39. Assume operai e impiegati • 40. Bardana • 41. Agnese a Madrid • 42. Raganella arborea • 43. Cava centrale • 44. In altro modo • 49. Diede l’ordine di incendiare Roma • 50. Assicurazione Invalidità • 51. Son simili ai DIN • 52. Asino selvatico.

Tranello • 9. Belli... olimpici • 16. Nome di donna • 19. I confini di Bodio • 22. La figlia del Corsaro Nero • 26. Inoperose • 28. Collegati a internet • 30. Morì per il morso di una vipera • 31. Teatro greco-romano • 34. L’Irlanda con Dublino •36. Società Anonima • 38. Penisola del Regno Unito • 43. Chiude la preghiera • 45. Nel centro di Carona • 46. La sorella di Semele • 47. L’Arnoldi scultore • 48. Grosso camion.

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Verticali 1. Noto successo canoro di Bennato-Nannini • 2. Il regista di Nuovo Cinema Paradiso • 3. Andate in poesia • 4. Gli esecutori dei furtarelli • 5. Fiore lilla • 6. La bevanda che si filtra • 7. Un verbo del barbiere • 8.

» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 2

ariete Inizio anno segnato dal transito di Mercurio. Il passaggio vi spinge a pensare ai vostri traguardi e a ciò che vi aspettate dalla vita. Contatti con persone straniere per i nati nella terza decade.

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Questionario Ticinosette

Cari lettori, allo scopo di valutare il gradimento del nostro settimanale e di migliorare il servizio offerto, vi chiediamo gentilmente di compilare il questionario rispondendo in forma anonima alle seguenti domande. Nello spazio in calce pote-

te fornire inoltre un commento più esteso o eventuali suggerimenti. Per chi ha accesso a Internet è possibile compilare il questionario sul sito www.ticino7.ch. Grazie per la collaborazione, la Redazione

» In che località abitate? _________________________________________________________________________________ » Che tipo di professione svolgete? _______________________________________________________________________ » Da quante persone è composto il vostro nucleo familiare? ______________________________________________ fascia di età appartenete? » A quale ❏ meno di 25 anni ❏ da 26 a 45 anni ❏ da 46 a 65 anni ❏ più di 65 anni quale frequenza consultate Ticinosette? » Conquasi giornalmente ❏ da tre a cinque volte alla settimana ❏ meno di due volte alla settimana ❏ luogo consultate Ticinosette? » In che ❏ a casa ❏ al lavoro ❏ in un ritrovo pubblico (biblioteca, bar ecc.) ❏ sul Web ❏ altro » Siete più interessati: ❏ ai programmi radiotelevisivi ❏ alle rubriche ❏ a entrambi » Quali rubriche apprezzate maggiormente? ______________________________________________________________ » Quali invece vi interessano meno o per niente? _________________________________________________________ » Quali argomenti o rubriche, attualmente non presenti, vorreste vedere trattati in Ticinosette? _____________________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ Inviare in busta chiusa a: Ticinosette c/o, Centro Stampa Ticino SA, Via industria, CH - 6933 Muzzano Oppure via fax al seguente numero: 091 960 32 51.


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