Ticino7, Ticinosette

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IL GIOCO DELLO SPETTACOLO

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Leggere il foglietto illustrativo.


Ticinosette n° 5 4 febbraio 2011

Agorà Bambini modelli: gioco o professione?

DI

VALENTINA GERIG

Levante Islam e democrazia: tra utopia e disincanto Ascolti Punto di non ritorno

Impressum

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DI

MARCO ALLONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

FABIO MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Identità. Il volto della maschera Vitae Edy Zarro

DI

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NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tiratura controllata

Reportage Il ricettario dell’identità

Chiusura redazionale

Tendenze Moda e arcano. L’alfabeto magico

Editore

Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

72’011 copie

Venerdì 28 gennaio Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile

Visioni Versioni su Barney

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DI

GIANCARLO FORNASIER; ILLUSTR. DI VALÉRIE LOSA. . . . . . DI

MARISA GORZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Sondaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Fotografia di Gaia Rota

Quel lento dissolversi Gentili lettori, pubblichiamo con piacere la testimonianza di una lettrice che ha vissuto quanto approfondito nell’articolo apparso su Ticinosette n. 3 del 21 gennaio scorso e dedicato al morbo di Alzheimer. Una malattia che debilita profondamente e “consuma” le persone, in particolare quelle in età avanzata, le più colpite. Era questo il messaggio che anche la nostra copertina – realizzata da Antoine Deprez – voleva veicolare: la progressiva sparizione di una persona a noi cara, il suo lento dissolversi in parti che non potranno mai più essere ricomposte. Buona lettura, la Redazione

Cortese Direttore, Le scrivo dopo avere visto l’articolo della vostra giornalista Gaia Grimani sul problema delle persone colpite dall’Alzheimer e sui risvolti che la malattia ha anche sulle famiglie di queste persone. Le devo dire che appena ricevuta la vostra rivista mi ha colpito in particolare la copertina (che per la verità è un bellissimo disegno), dove la riproduzione dell’anziano secondo me sembra più una caricatura, con il bastone e il corpo esile; ma questa è una considerazione personale e immagino che ad altri lettori invece sia piaciuta. Naturalmente ero più interessata all’articolo, perché anche la famiglia di mio marito ha vissuto le esperienze descritte dalla persona che avete intervistato e che ha spiegato veramente lo stravolgimento che tutti i familiari subiscono. Nel nostro caso era un fratello più anziano di mio marito a essere colpito dal morbo. Credo che qualsiasi lettore che abbia visto un amico o amica oppure uno stretto componente della

famiglia subire questo lento declino, non ha bisogno di sentirsi raccontare dalla sottoscritta quanto dura e molto complicata possa diventare la convivenza: soprattutto quando tutto peggiora di giorno in giorno. È veramente atroce non potere fare nulla e vivere quotidianamente con il terrore di non potere uscire di casa per mezza giornata tranquilli. Sai che c’è qualcuno che ha bisogno di te tutto il tempo, come fosse un bambino di pochi mesi. Nel caso di mio cognato (che è deceduto ormai da alcuni anni) credo che anche per lui tutto questo sia stato molto pesante da sopportare: era un persona molto attiva, leggeva e si informava su tutto e tutti, aiutava anche gli amici oltre che i parenti a sbrigare le pratiche burocratiche. Anche i miei due figli, ormai grandi, si ricordano dello zio che li aiutava in matematica e in storia. Ma oltre a essere un persona intelligente e brillante aveva anche una grande manualità e se c’era qualcosa da mettere a posto, si poteva sempre contare su di lui. Ma poi sono arrivati i primi vuoti di memoria, le dimenticanze: come quando abbiamo atteso, io e i miei figli, per ore che venisse a riprenderci alla stazione ferroviaria di Bellinzona... Ma lui non arrivò mai, perché aveva perduto la strada: lo ritrovammo la sera tardi, in seguito alla telefonata di una signora della Valle di Blenio che lo aveva trovato davanti a casa, fermo in auto perché non sapeva dove voleva andare. Quella sera abbiamo capito che non era più possibile fare affidamento su di lui: un vero terremoto per tutti. In pochi anni la sua presenza è stata sempre più debole, ogni tanto era con noi, ma sempre per momenti più brevi. I miei migliori saluti, (lettera firmata)


Bambini modelli: gioco o professione?

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Agorà

Casting, sfilate, cataloghi, spot pubblicitari. Che cosa accade quando davanti all’obiettivo del fotografo o della telecamera ci sono baby modelli dai tre ai dodici anni? Abbiamo indagato sul sistema moda che coinvolge l’infanzia. Si tratta di gioco o lavoro? Dell’aspirazione di genitori troppo ambiziosi o del sogno di bambini desiderosi di crescere troppo in fretta?

N

el 1951 una magnifica Anna Magnani nei panni di una semplice e povera signora romana, riversa sulla figlioletta le proprie aspirazioni e illusioni perdute. Solo alla fine, quando la platea ride nel vedere il provino della bimba, la mamma capisce che “non ne vale la pena”. È la trama di Bellissima (1951), capolavoro neorealista di Luchino Visconti. Oggi più che mai, il mondo dello spettacolo e dei media è considerato una fabbrica di sogni e di illusioni, a volte di una rapida e felice ascesa alla celebrità. Anche in tenera età. È sorta quindi la curiosità di tuffarci in questo ambito che coinvolge bambini, dai neonati ai preadolescenti, prima ancora di apprendere in chiusura di articolo della bufera che si è abbattuta sulla storica direttrice di Vogue Francia, Carine Roitfeld, responsabile della pubblicazione di un servizio fotografico con tre bambine-modelle troppo sexy, troppo adulte. Ingioiellate, imbronciate, ma con ai piedi un tacco di dodici centimetri...

La dura legge del “casting” Una tappa fondamentale del successo o meno dei bimbi che lavorano per cataloghi, foto e sfilate passa attraverso le agenzie di moda. Le più importanti in Italia sono a Milano. Per capire i meccanismi di questo mondo dalle regole ferree, abbiamo incontrato Patricia Abdelnabe, director booking della divisione “4Kids” dell’agenzia 4Model, una delle più attive nel capoluogo lombardo. Ex modella, capelli biondi lunghissimi, Patricia ci dice subito che molti bambini che lavorano per la loro agenzia vengono dalla Svizzera italiana. Lei si occupa di procurare loro il lavoro. Che cosa significa? Il cliente – si tratta molto spesso di importanti stilisti delle griffe di moda – si rivolge all’agenzia indicando le caratteristiche del bambino

che serve per il servizio fotografico, la sfilata, il catalogo. Dal numero di scarpe, al taglio di capelli, al colore degli occhi. Il materiale a disposizione – composit (un cartoncino-biglietto da visita con alcuni scatti e i dati del bimbo) o il book – è fondamentale dai 3 anni in su: “Una volta i genitori andavano ai casting con la foto del figlio fatta in casa, veniva scritto dietro il nome e il cognome, la data di nascita e il nome dell’agenzia. Non è più così, le cose sono cambiate molto negli ultimi dieci anni. Oggi è come per le modelle e i modelli adulti”, ci spiega Patricia. Una grande fetta delle carriere di questi piccoli professionisti è rappresentata anche dalla tv – con sitcom e fiction – e dalla pubblicità. Se i bambini sono spinti dai genitori ma non vogliono fare questo lavoro – ci assicura inoltre Patricia – non vengono scelti. Anche perché, se il bambino fa i capricci, è lei che deve trovarne un altro in tempo record. “Oggi sono sempre di più gli stessi figli che, guardando molta televisione, chiedono alla mamma di lavorare in questo settore. Alcune bambine si mettono in posa con naturalezza, come fossero già delle modelle” spiega la signora Abdelnabe. Le chiediamo se non possa essere pericoloso entrare così presto nel mondo della moda? “Credo sia una responsabilità della famiglia, una questione delicata in cui io non posso entrare”, dice Patricia e aggiunge: “È importante l’educazione, ovvero se i genitori riescono a far capire al figlio che quest’attività è un gioco”. Un ultimo, ma non meno importante, aspetto: i guadagni e l’impegno che viene richiesto. Si tiene conto della scuola? “Il guadagno dipende dal cliente, dai diritti internazionali, dalle uscite. Un bimbo piccolo guadagna un po’ meno di uno di 6 o 12 anni. L’impegno solitamente consiste in una mezza giornata o in una giornata intera.


naturali, le bambine vengono truccate ma devono sembrare acqua e sapone. Mi ha colpito l’utilizzo totalizzante del tempo. Infine, la capacità di essere esposti al giudizio degli altri – mai semplice, figuriamoci a dieci anni – e quella di sostenere lo sguardo degli altri”.

“Divine”: il documentario I bambini dovrebbero vivere l’esperienza speciale sotto i riflettori con la leggerezza di un gioco, ma devono comportarsi come dei professionisti: seri, puntuali, affidabili. Non è una contraddizione? Chiara Brambilla, giovane regista milanese, ha seguito da vicino la vita di tre baby modelle di dieci anni – Emily, Rebecca e Lucrezia – per più di un anno. Il risultato è Divine, un documentario realizzato nel 2010, molto interessante, delicato e senza preconcetti, che racconta il “dietro le quinte” del lavoro delle tre piccole professioniste, ognuna con un universo familiare a sé. Ne emerge uno spaccato che non racconta solo il mondo della moda, ma rivela molto anche sulla società di oggi. Divine è stato proiettato all’ultima edizione del Milano Film Festival a settembre, occasione in cui abbiamo incontrato Chiara Brambilla. Che cosa ti ha colpita di più di questo mondo? “Sono rimasta sorpresa da tante cose. Io ero lontanissima dal sistema moda e non ne sapevo niente. Mi ha colpito molto il limite del metro e quaranta, ovvero l’altezza oltre la quale i bambini solitamente escono dal mondo del lavoro. Ho scoperto poi la realtà italiana, molto diversa dal cliché americano. Più ipocrita da un certo punto di vista: i capelli sono tinti ma devono sembrare

Nel documentario emerge la difficoltà per le bambine di conciliare il lavoro di modella e il rapporto con i compagni di scuola. Perché? “Le bambine soffrono del fatto che in classe vengono giudicate male. È un motivo di vanto ma hanno anche paura a dirlo perché vengono isolate. Questa è una prerogativa che ho ritrovato in tutte e tre le bambine del documentario”. Hai ritrovato il cliché del genitore che realizza le proprie ambizioni attraverso i figli? “Sicuramente quando i bimbi sono più piccoli accade molto di più. A dieci anni, ovvero l’età che ho documentato io, è più interessante, perché il confine è molto più labile: chi decide che cosa? Sicuramente senza l’approvazione dei genitori, le bambine non farebbero niente di tutto questo. Detto ciò, possono essere loro a tenerci molto e gestire in qualche modo l’immagine e la carriera”. È una soddisfazione più economica o più personale? “La cosa più gratificante è la visibilità, che nasce da motivazioni profonde e diverse a seconda della situazione familiare. È un aspetto che riguarda tutti noi: viviamo in un mondo in cui sembra che se non sei su Internet o sui giornali non esisti. Dopo aver trascorso molto tempo con le bambine

e i loro genitori, ho capito che la vera soddisfazione, la gratificazione più forte è il momento della sfilata, o la foto che appare sul manifesto pubblicitario. Il guadagno economico è un aspetto minore, paragonato all’impegno che richiede”.

Il ruolo dei genitori: il parere della psicoterapeuta Secondo la psicoterapeuta dell’infanzia Cinzia Pusterla-Longoni – da noi interpellata per darci un’opinione in merito a queste baby carriere – il pericolo che il bambino mescoli i propri sogni con quelli dei genitori esiste perché “un inizio di autonomia arriva solo nell’adolescenza, mentre nell’infanzia i figli sono esposti alle soddisfazioni e alle delusioni della mamma e del papà, senza avere i mezzi per potersi proteggere”. Il casting è un altro momento molto delicato. Che cosa può scattare nella mente di un bambino quando viene scartato? “La capacità di sopportare e superare la frustrazione è una cosa che si impara nel corso della vita. Il bambino costruisce a poco a poco una valutazione di se stesso e del percorso che sta compiendo. È molto importante il ruolo del genitore: se il rifiuto mette in crisi anche la mamma o il papà, allora il meccanismo diventa più pericoloso”, spiega la dott.ssa Pusterla-Longoni. Nel documentario di Chiara Brambilla, una delle bimbe, Rebecca, dice di non voler diventare famosa per non correre il rischio di deludere qualcuno. Emily desidera diventare modella per fare felice la mamma. Il ruolo dei genitori è cruciale. Più delle agenzie di moda, più dei fotografi. Insomma, il rischio che il bambino confonda i propri desideri con quelli dei genitori c’è, eccome.

» di Valentina Gerig

Dipende dal lavoro. I casting vengono fatti nel pomeriggio. Viene subito comunicato alla famiglia quanto guadagneranno e quale giorno saranno impegnati: se non possono, non vanno neppure al casting. È un lavoro”.

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Islam e democrazia Il politologo Giovanni Sartori – sul cui equilibrio non si possono certamente nutrire dubbi – ha scritto che l’islam e la democrazia sono entità incompatibili…

Probabilmente l’affermazione non è piaciuta ai difensori del

Levante

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dialogo a oltranza fra civiltà. Ma sul piano storico e filosofico è indubbio che islam e democrazia abbiano evidenti problemi di convivenza. Innanzitutto, da un punto di vista filosofico, come ci insegna Stuart Mill e come hanno ribadito di recente pensatori quali Giulio Giorello e Paolo Flores d’Arcais, la Verità unica non è compatibile con la democrazia, il cui principio fondatore è quello del pluralismo e quindi, in termini illuministici, della relatività. D’altro canto, il problema si è posto anche con il cristianesimo, che nella coincidenza fra potere temporale e potere secolare ha sempre – da Costantino in poi, e in particolare con la teorizzazione dello “Stato etico” – assunto la forma di teocrazia. Analogamente, l’anatema di Benedetto XVI contro il relativismo allude (o prelude) a un’idea di Stato quantomeno subordinato a una Verità intangibile: quella della Chiesa gerarchica cattolica. Idea che nel suo postulato filosofico coincide con quella fortemente diffusa nei paesi islamici di una subordinazione della giurisprudenza di Stato ai principi della Sharia: ovvero di una forte limitazione dell’arbitrio interpretativo nel senso e secondo i dettami della Legge coranica. Quanto al profilo storico è indubbio che l’eccezione di contesti di convivenza “democratica” come quelli dell’Andalusia o della Sicilia musulmane nel nostro Medioevo e Rinascimento (Boabdil di Granada venne espulso nel 1492) conferma in qualche modo la regola della difficile coabitazione politica e storica fra islam e democrazia. Anche volendo ammettere lo statuto di protetti dell’islam di cui i cristiani venivano beneficiati (eminentemente attraverso le facilitazioni fiscali di cui godevano i feudatari visigoti sotto questo o quel califfato) certo non è facile rintracciare – soprattutto in epoca moderna, a partire dalle indipendenze post-coloniali – Stati a ispirazione islamica che annoverino al proprio interno governi democratici nel senso illuministico del termine. Di più, l’attualità ci insegna che nel novero dei paesi islamici – a partire da quelli arabi per arrivare all’Indonesia – il concetto di “democrazia” si presenta pro forma per legittimare regimi de facto dittatoriali. E appunto a un più radicale appello alla Sharia coincide, dall’Iran al Pakistan, dalla Siria al Marocco, dalla Giordania alla Libia all’Egitto, l’assunzione di principi di governance privi di qualsiasi presupposto di democraticità,

ma semmai fondati su una stretta relazione fra ulamà e ruwasà (fra emiri della fede e emiri della politica). Ciò non toglie che nel dibattito intellettuale promosso dagli islamisti, almeno a partire dalla fondazione della Fratellanza Musulmana nel 1928, il problema della conciliazione fra islam e democrazia sia sempre stato fortemente avvertito. E lo stesso riformismo di matrice islamica – che trova la sua ispirazione negli scritti di Mohammad Al Afghani e affonda le proprie riflessioni più vivaci nell’opera di Mohammad Abdu – ha prodotto quantità sterminate di opzioni “democratiche” nell’interpretazione dell’islam politico. E non solo: con Sayyed Qotb, per esempio, maître-à-penser del radicalismo islamico da cui sarebbero sorte le frange estremiste del cosiddetto “terrorismo islamico” (le virgolette sono d’obbligo viste le ingerenze terroristiche occidentali in terre altrui), la Legge islamica sarebbe addirittura espressione ab ovo del socialismo. Quindi una sorta di deposito ante litteram delle istanze di giustizia sociale che avrebbero nutrito la riflessione dei moderni movimenti riformisti di sinistra in Europa nonché, naturalmente, le rivolte contro i governanti apostati (Sadat e altri) della Ummah. Si può quindi pensare che l’islam abbia alimentato – più formalmente che sostanzialmente, più teoricamente che nella prassi dell’azione politica – l’ipotesi di una conciliazione fra Verità divina e democrazia. Ma di fatto la realtà ci parla drammaticamente, in questo ultimo periodo di sollevazioni popolari in primis, di una condizione di stallo totale in qualunque governo a ispirazione islamica rispetto a una possibile assunzione di responsabilità democratica verso i propri cittadini. Tunisia, Yemen, Giordania, Iran e Sudan gridano una richiesta di giustizia sociale e di rappresentanza “dal basso” che non mira a preservare i governanti ispirati da Allah ma a sostanziare laicamente la loro democraticità. In altre parole, il dibattito teorico sulla possibile conciliazione fra islam e democrazia ha certamente una sua ragion d’essere. Ma forse, affinché trovi una qualche reificazione nei fatti, consiste nel trasferire dal piano collettivo a quello individuale le istanze della fede. Il resto – l’organizzazione politica di un Paese – è opportuno che sia lasciato a quella che Churchill definiva “la peggiore delle forme di governo tranne le altre”: la democrazia. Di cui il laicismo è stato – e fino a oggi rimane – il solo presupposto efficace.

» di Marco Alloni; fotografia di Reza Khatir, 1980

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Ascolti

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» di Fabio Martini

Q uesto leggendario e singolare doppio LP pubblicato esattamente quarant’anni fa ha rappresentato, analogamente a molta della produzione musicale del complesso tedesco di Colonia, un punto di non ritorno nella storia del rock. Siamo negli anni in cui in Italia, come nel resto del mondo, questo genere musicale veniva sempre più definito sulle pagine delle riviste specialistiche come “musica d’avanguardia”; anni di grande permeabilità fra rock, free jazz, tradizioni popolari, musica elettronica e sperimentale. Gruppi come Van Der Graaf Generator, Amon Düül, Popol Vuh, Velvet Underground, Faust – per citarne solo alcuni – decidono quindi che la forma canzone, così come la si era ereditata dagli anni Sessanta, pur in tutte le sue varianti e diramazioni, può divenire uno oggetto duttile da alterare e sconvolgere fino alle sue stesse radici. In quest’ambito la musica dei Can rappresentò non solo una delle esperienze estetiche più intriganti e genuine ma al contempo una sorgente di ispirazione per molti musicisti a venire. Influenzati dalle ricerche musicali e filosofiche di Karlheinz Stockhausen (1928–2007), mossi da un notevole eclettismo strumentale, affascinati dall’improvvisazione come forma di espressione mutevole e sovversiva, essi incontrarono sempre difficoltà a dare “voce” alla loro musica. Non intendiamo in termini di popolarità, ma nel senso che la figura del cantante, ingrediente indispensabile di ogni gruppo rock, venne interpretata da personaggi come Damo Suzuki e in seguito dal chitarrista Michael Karoli, che adottarono una sorta di recitato ipnotico, molto diverso per esempio dalle virtuosistiche performance vocali di Peter Hammill, Robert Plant o Tim Buckley. Sospinto dall’incessante pulsione ritmica del batterista Jaki Liebzeit, dal tocco premonitore del basso di Holger Czukay – i vari Mick Karn e Jaco Pastorius, oggi entrambi scomparsi, non avevano ancora fatto la loro entrata in scena –, dagli azzardi timbrici e melodici di Irmin Schmidt e Michael Karoli, il gruppo con freschezza e un’originalità assoluta si lancia in frementi cavalcate ipnotiche, a volte solo sussurrate, altre urlate, rivelando universi fino a quel momento del tutto sconosciuti. Sobillatori della loro stessa epoca – operarono in concomitanza temporale al fenomeno del rock sinfonico e baroccheggiante di Yes, Gentle Giant, Genesis e King Crimson, da cui si tennero ben alla larga – hanno rappresentato nella loro non lunga storia di gruppo forse il meglio del rock continentale europeo lasciando un’eredità a cui non pochi (dai Talking Heads ai primi Stereolab o ancora ai seminali Th’ Faith Healers) hanno attinto a piene mani.

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Il

Società

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tema della maschera è strettamente legato all’analisi dei comportamenti umani, dei suoi rituali, dell’istinto e del desiderio di dominare tale istinto. Presente in tutte le civiltà, come altre invenzioni dell’uomo, la maschera è un artefatto, un viso posticcio in forma umana o animale. Nei popoli primitivi essa era destinata a cerimonie propiziatorie o divinatorie, con cui il celebrante si fingeva demone della montagna, per spaventare donne e bambini. Potremmo affermare che la maschera dell’uomo metropolitano è metaforica perché è costruita per immagini? Sociologicamente definita attraverso gli innumerevoli ruoli che la persona assume, essa cela il vero volto di chi oggi si mimetizza dietro lo schermo del computer. “La maschera”, diceva Oscar Wilde, “ci dice di più di una faccia”. Date all’uomo una maschera e vi dirà la verità. Molte riflessioni sulla maschera partono da un punto

Le mille maschere di Pirandello Il pensiero di Luigi Pirandello1 può essere ricondotto ai giorni nostri, in quanto egli ha basato il suo assioma sul contrasto tra vita e forma, maschera e volto, apparire ed essere, contrasto che oggi viene accentuato dalla tecnologia, con la quale ci viene proposta una realtà sostitutiva. Dentro gli enormi

Comprare nuovo notebook. contenitori di chiacchiere, come i social network, tra pettegolezzi e false sembianze, ci mostriamo agli altri come

L’etimologia della parola maschera deriva dal latino medievale “masca”, che vuol dire “strega”. Le sue funzioni sono molteplici: nella commedia dell’arte e nelle pratiche religiose degli antichi, come anche nelle celebrazioni popolari del Carnevale... gli altri ci vogliono, giocando a carte false per paura di non essere accettati. Ed è proprio da questa paura, unita a quella di apparire diversi agli occhi degli altri, che si evince l’essenza dell’opera pirandelliana Uno, Nessuno,

Centomila, romanzo in cui vengono posti in evidenza gli stereotipi e gli schemi imposti dalla società. Pirandello sostiene che il contrasto tra apparenza e realtà, non esiste solo fuori di noi, ma anche e soprattutto nell’intimo della coscienza; tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra ciò che siamo e ciò che risultiamo agli occhi degli altri. Di conseguenza ciascun personaggio presenta centomila realtà interne, per cui la vera realtà è nessuna. Il pensiero di Pirandello si conferma dunque d’estrema attualità. L’uomo descritto dallo scrittore siciliano, come quello della contemporaneità, deve infatti adeguarsi alle costrizioni sociali, e per farlo si costruisce una maschera; con ciò si verifica la sua disintegrazione fisica e spirituale. L’unico modo per evitare l’isolamento è mantenere la maschera. Quando un personaggio, come nel romanzo di Pirandello, cerca di rompere

»

di vista squisitamente psicologico, anche se l’argomento è stato spesso trattato in letteratura e nell’arte, oltre che offrire stimoli alla discussione, persino partendo da considerazioni di carattere storico. La piacevole quanto

Il volto della maschera

Alla fine.

complessa elaborazione del tema in questione ha affascinato autori che gli hanno attribuito un potere invisibile, dai tratti erotici. Una maschera è, nelle più positive delle concezioni, la frequente abitudine di nascondere se stessi e il proprio pudore (che è l’opposto dell’oscenità), diventando lo strumento di un atto inibitorio.


Società

la forma, o quando ha capito il gioco, viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto fra gli altri. Perché si porrebbe come elemento di disturbo in seno a quel vivere apparentemente rispettabile.

Nuovo inizio. Fra i coriandoli del Carnevale Le regole, le tradizioni e i festeggiamenti del Carnevale dovrebbero preannunciare il passaggio alla stagione rigogliosa. Spesso però il clima diventa l’occasione propizia per sfoggiare, con l’alibi della maschera, la bruttura immonda dell’uomo globalizzato. Il concetto di esistenza

elaborato da Pirandello, fa riemergere il dilemma: o la realtà ti disperde e disintegra, o ti vincola e ti incatena fino a soffocarti. Nel clima carnascialesco a volte scoppiano moti di violenza, amplificati dall’assunzione di alcol e droga. La promiscuità del Carnevale sovverte l’ordine morale e naturale, confondendo la realtà con la finzione, il vero dal falso. Regno incontrastato dell’esaltazione, del godimento e della devastazione, il Carnevale moderno ha perso la sua funzione originale. Temporalmente situato, non a caso, all’inizio della primavera e immediatamente prima del tempo cristiano della Quaresima, un tempo rappresentava l’antitesi fra il buono e il cattivo, il bello e il brutto, il pulito e lo sporco, il vecchio e il nuovo. Nel Carnevale dell’uomo occidentale purtroppo oggi predomina lo sconcio, nemico imbattibile del rispetto, della bellezza e della convivenza civile.

» di Nicoletta Barazzoni; ill. tratta da www.deviantart.com

9 Note 1 Alcuni riferimenti all’opera di Luigi Pirandello sono tratti da: Ferdinando Vidia, Invito alla lettura di Luigi Pirandello (Mursia, 1975); Angelo Capello, Come leggere Uno, Nessuno, Centomila (Mursia, 1995); www.pirandelloweb.com.

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» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Igor Ponti

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stazioni. Sono andato a votare per mostrare che approvavo quanto era stato fatto. Non è però che pensassi che si sarebbe risolto il problema: se anche la votazione fosse passata, dopo aver abolito l’esercito sarebbe stata utilizzata la polizia per fare le stesse cose. In effetti, l’idea di abolire lo stato, che ha il monopolio della violenza, ha molto più significato. Visto che viviamo in una società statale, lo stato controlla praticamente tutto. Lo fa interpretando regole che non sempre sono così chiare e che vengono fissate una volta per tutte, o per lo meno fino a quando non si arriva a cambiarle sempre sotto la tu“Non si direbbe, dopotutto sei gentile”, tela dello stato. Queste regole si sente rispondere quando si dichiara non sempre funzionano per un convivere normale e civile. anarchico: per molti sinonimo di incivil- Penso ci sia una maniera di tà e incapacità d’interagire... intendere lo stato e di esserne gestiti che crea problemi sul dal punto di vista economico piano delle effettive relazioni tra le persone. che avevo trovato. Così ho Come anarchici siamo contro questa situaapprofondito sempre di più zione e cerchiamo di rivendicarlo con azioni la questione. Qualche anno quando è possibile, con la pubblicazione di dopo c’è stato un passaparola giornali e di libri, con la voglia di marcare una a Lugano per incontrarsi e differenza e di far conoscere modi diversi di organizzare un gruppo anarinterpretare la realtà. In Ticino lo facciamo, chico. In quell’occasione ho per esempio, con il lavoro del Circolo Carlo conosciuto alcuni di quelli Vanza e delle Edizioni La Baronata, che pubche costituiscono ancora il blicano libri collaborando con la Tipografia nucleo degli anarchici in Ticidi Carrara. Questa, la cui attività è rivolta no, anche se per fortuna non principalmente al movimento anarchico, mancano rappresentanti delle è un buon esempio di come gli anarchici generazioni più giovani. non facciano solo cose campate in aria, ma Quello dell’autonomia dell’insiano anche capaci di lavorare insieme e di dividuo è uno degli aspetti portare avanti progetti che durano nel temprincipali dell’anarchismo. Il po. Il Circolo invece è costituito da un paio fatto di essere anarchico m’indi locali a Locarno, nei quali è stata raccolta teressa anche perché non ho nel corso di 15-20 anni una biblioteca di oltre mai avuto velleità elettorali: 4.000 volumi e una ricca documentazione sul non sono mai stato intenziomovimento anarchico-libertario (nel quale nato a entrare in un partito metto anche antimilitarismo, femminismo, in quanto non ci credo. Sono pedagogia libertaria, libero pensiero, moviandato a votare due volte. La menti contro il nucleare ecc.). Sono uno dei prima perché avevo compiuto membri fondatori e faccio parte del comitato i 20 anni e mio papà ci tedi gestione del Circolo, dove a scadenza più neva che andassimo assieme o meno mensile organizziamo conferenze e a Chiasso al seggio elettopresentazioni di libri. È un’azione scendere rale. La seconda nel 1989, in piazza e partecipare alle manifestazioni, in occasione della votazione ma lo è anche il far conoscere idee diverse, sull’abolizione dell’esercito. lo scrivere articoli, il parlare con la gente. In Come anarchici avevamo tal modo possiamo mostrare di esistere, di fatto parte del Gruppo per essere persone che fanno una vita relativauna Svizzera senza esercito, mente normale e non esseri venuti da chissà collaborando alle azioni, alla dove: semplicemente non condividiamo stesura di giornali, alla ricerca tutto quello che viene detto dai giornali, dalla di articoli e alle varie manifetelevisione e dagli organi dello stato.

Edy Zarro

Vitae

ono un “pianificatore territoriale”. Ho fatto gli studi tecnici d’ingegneria e ogni tanto capita che, andando a manifestazioni o convegni, la gente rimanga un po’ stupita dal fatto che mi interessi di cultura, politica ecc. Immaginano che un ingegnere debba essere un tipo molto asettico... Ma all’interno del movimento anarchico in effetti ha poca importanza quello che fai: a volte capita di non sapere quale sia la professione di persone che conosci da anni. Mi sono detto “anarchico” a 17 anni, in un periodo che per caso corrispondeva al maggio 1968, dunque oltre 40 anni fa. Ero invece ateo già dai 14-15 anni, ma in fin dei conti per me si trattava un po’ della stessa cosa. In fondo ateismo e anarchismo sono quasi sinonimi, nel senso che in entrambi i casi non si condivide il principio di autorità. Attorno al 1967 avevo visto alla televisione un breve servizio che raccontava di una manifestazione antinucleare in Svezia: vi si parlava di persone che venivano definite “anarchiche”. Mi aveva colpito questo gruppo di capelloni che avanzava verso uno schieramento di polizia: ero affascinato dal fatto che si muovessero con dignità e decisione, ma restando tranquilli e senza essere violenti. Quella è stata la prima volta che ho sentito la parola “anarchici”. Allora ho cominciato a interessarmi alla questione. Più tardi ho letto in un numero della rivista Volontà un articolo dove si criticavano duramente la figura di Mao e gli anni del Grande Timoniere, mettendo in guardia i giovani dal culto della personalità. Mi aveva colpito quella reprimenda, ma alla fine ho capito che era giusta. Al termine del tirocinio di disegnatore, invece, ho preparato gli esami leggendo Pecos Bill, un fumetto famoso in quegli anni, e la storia delle idee e dei movimenti anarchici di George Woodcock, l’unico libro alla mia portata

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Il ricettario dell’identità Una tavola imbandita, una famiglia riunita, la domenica come opportunità di incontro con sé e con gli altri. Il pranzo e la cena sono le celebrazioni di un rito collettivo che va purtroppo sempre più perdendosi. Ma il cibo e la convivialità rappresentano una straordinaria occasione di scambio e di arricchimento: un modo per aprirsi a nuovi sapori e a nuove sensazioni in grado di nutrire il nostro corpo e di saziare il nostro desiderio di conoscere. E far risorgere in noi identità culturali e territoriali profondamente radicate testo a cura di Giancarlo Fornasier; illustrazioni di Valérie Losa




“Non sono in pochi a sostenere che si può parlare di alimentazione di un popolo solo conoscendone, sia pur in modo non troppo approfondito la storia, le vicissitudini economiche, i suoi aspetti sociali”. “I banchetti della cucina papale sono da tenersi sotto osservazione perché sono fra i più fastosi, così come quelli dei popolani romani sono fra i più miserevoli. Ma anche nei più tragici periodi capita sempre di trovare in vari documenti la documentazione di una civiltà e di una cultura che si manifestano a tavola”. Le parole appena lette provengono dai primi capitoli del volume Il Rinascimento a tavola di Guglielmo Solci e Davide Comoli (SalvioniEdizioni, 2000), testo che ricostruisce fra vicende storiche e ricette l’arte della cucina nell’Italia rinascimentale; un’epoca che ha segnato la fine del Medioevo e la nascita dell’Età moderna in tutta Europa. La maggiore interprete di questo grande mutamento sociale è stata certamente l’arte, tanto che fra i primi a utilizzare il termine “rinascita” vi è proprio lo storico e architetto Giorgio Vasari (Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani...; 1550–1568) per indicare quegli artisti che da Giotto a Masaccio, Donatello, Brunelleschi e Michelangelo si erano allontanati dalle forme greco-bizantine per tornare a quelle classiche romano-latine. Com’è noto, in questo nuovo contesto di entusiasmo creativo l’uomo e le sue potenzialità assunsero una posizione centrale: “autodeterminarsi”, “coltivare le proprie doti”, ovvero “homo faber ipsius fortunae” – l’uomo è artefice della propria sorte, come già affermavano i latini – sono i paradigmi filosofici espressi da Pico della Mirandola nel suo Oratio de hominis dignitate (1486), opera fondamentale del pensiero umanistico quattrocentesco. La tavola della “rinascita” Se fosse provato che le rivoluzioni sociali non nascono dalla miseria e dal bisogno ma da una ricca tavola imbandita e dalla buona compagnia, potremmo affermare che il Rinascimento vide i suoi primi gemiti in alcuni trattati di cucina che nel corso del XIV secolo si stavano diffondendo nella vicina Penisola: “Il punto di partenza di questa evoluzione è da ricercare nella estensione quasi contemporanea di tre raccolte di ricette: una veneziana, una toscana e una napoletana” scrive ancora Guglielmo Solci, facendo qui riferimento all’arte, sì... ma a quella della tavola. Libro per cuoco, Liber de coquina e Libro della cucina, volumi redatti per lo più da autori anonimi, possono essere considerati a giusta ragione i padri dei moderni ricettari. Già in quegli scritti verdure, pesce, carne, minestre, tortelli, mostarde, frittelle, spezie, vini e altre posizioni alcoliche erano gli assoluti protagonisti delle tavole dei potenti e degli intellettuali: cibi e bevande capaci di “saziare” corpi e menti tanto bisognose di nuove energie propulsive. Negli anni a seguire la cultura rinascimentale si diffonderà velocemente da Firenze a tutto il Continente: a esportare la cucina italiana nel mondo intero contribuiranno invece in modo decisivo le decine di milioni di emigranti che nei secoli lasceranno la Penisola alla ricerca di una rinascita.

il libro Le illustrazioni sono tratte dal volume: Sapore italiano. Piccole storie di pranzi domenicali di Valérie Losa ZOOlibri, 2010 (www.zoolibri.com) Il libro racconta una domenica fra un gruppo di italiani emigrati all’estero. Le illustrazioni sono accompagnate da brevi testi che raccontano in prima persona storie di viaggi e ricordi legati alla propria terra, memorie e tradizioni della cucina regionale italiana l’autrice Valérie Losa, classe 1980, è nata a Locarno. Ha iniziato i suoi studi artistici a Bruxelles, proseguiti in seguito a Lucerna. Oggi vive e lavora a Neuchâtel. Nel 2008 Valérie aveva già collaborato con Ticinosette illustrando una serie di scritti inediti di Piero Scanziani dedicati agli animali



Tend Te nden nd enze en ze p. 40 40–4 –41 | di Ma Mari risa ri sa Gor orza za Le rune: e: sco colp lpit lp itee ne it nell lla ll a pi piet etra et ra o int ntag agli ag liate ne nell le legn gno gn o ve veni niva ni vano va no usa sate per i responsi e i riti pro ropi pizi pi ziat zi ator at orii ch or chee sc scan andi an diva di vano va no la vita ta nom omad adee e av ad avve vent ve ntur nt uros ur osa dei guerrieri. Eroi la cui virtù era a sp spes esso es so int ntri risa ri sa del ella la sen ensibilità tà dei bar ardi di e all lla a ch chia iaro roveggenza dei sapienti druidi. Ogni run una a er era a as asso soci so ciat ci ata at a a un una a divini nità ni tà nor ordi dica di ca,, a un ani ca nima male, a un albero, a una gemm mma. mm a. Spi piri rito ri to e mat ater eria er ia che oggi di dive vent ve ntan nt ano an o mo morb rbid rb idii ca id capi pi da indossare…


“Lunga vita, fertilità, ricchezza e tutta l’energia per raggiungerla...”. Questo prediva la runa “Feoh”, prima lettera dell’antico alfabeto dei popoli nordici, il mitico “Futhark”. Un alfabeto, certo, ma non solo: ogni carattere conteneva in sé un arcano potere divinatorio, frammento di un magico mondo. Basti pensare che la stessa parola runa deriva dall’espressione celtica-irlandese run che significa appunto “occulto”, “misterioso” in relazione con il verbo tedesco raunen cioè “sussurrare” (forse un segreto?). Segni, indumenti, versi… È curioso come alcuni elementi pittografici di questo esoterico linguaggio, sia sopravvissuto attraverso i secoli, sferruzzato e scolpito con il filo di lana, nei caldi indumenti che le donne irlandesi da sempre intessono per i loro uomini e per la loro famiglia. Come non scorgere nell’ “Albero della vita” uno dei punti più noti, la runa “Feoh” già citata; oppure nel “Diamante” l’ancestrale forza maschile di quella chiamata “Ing”, o nello “Zig-Zag” il sentiero illuminato rappresentato dalla “Ken”? Una delle interpretazioni più gentili riguarda la runa “Gyfu” la cui accezione di unione, o nodo d’amore, è tradotto con il tipico punto croce, comunemente usato pure come traccia di un bacio, o di tanti baci. Un’interpretazione romantica? Perché no. L’Irlanda è un paese dall’elevato romanticismo, i cui incantevoli colori, i paesaggi e l’animo intrepido dei suoi abitanti hanno ispirato una ricca mitologia, oltre a una musica struggente; senza dimenticare i dolci versi di Yeats e le pagine intense di James Joyce… E fin dai tempi più remoti

le fanciulle hanno appreso l’arte di dipanare, filare e creare capi per proteggere dalle brezze marine che soffiano sull’isola e le vicine isolette di Aran. Le tracce dei Celti L’Irlanda è una terra di pascoli e di pescatori, terra ancestrale e dall’atmosfera genuina. Terra dove nascono meravigliosi maglioni intessuti a telaio o sferruzzati a mano, ricchi di punti intricati, di disegni stilizzati, di intramontabili motivi propiziatori legati a una tradizione a cui di tanto in tanto la moda torna a ispirarsi. Così, per riscaldare la vita e questo inverno sempre più freddo, ecco l’eterno cardigan color naturale. Attualissima la versione sleeveless (senza maniche) da indossare anche sopra il cappotto. Un lungo maglione nei colori dell’erica e del muschio, sarà una scelta opportuna per animare i leggings o gli inseparabili jeans. Corti e soffici golfetti corredati di sciarpone completeranno shorts e microgonne birichine. Sulla scia del ritorno in auge della maglieria, gli stilisti hanno interpretato il mood irlandese e britannico con devota fedeltà. Krizia, per esempio, lancia una sfida ai classici rombi argyle e agli intrecci in rilievo per pullover e abitini tricottati in cashmere, destinati a signore particolarmente freddolose. Spine, losanghe, pippiolini e goffrature in talismaniche versioni sono reinventati sui giacconi di Iceberg insieme a un ondeggiare di frange selvagge, sempre in maglia. Missoni (nell’immagine) interpreta, per lei e per lui, il patchwork di stilemi zigzaganti e, manco a dirlo, li prevede in scoppiettanti, vividi colori… ma volutamente diligenti nella riproduzione dei disegni “fatati”.

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Intensificazione dell’emotività. Venere marcatamente positiva con crescita dei desideri erotici. L’amore finalmente non è più un’astrazione ideale ma è un espressione mentale, fisica ed emotiva.

Grazie all’ingresso di Mercurio nell’amico segno dell’Acquario il momento si presenta particolarmente favorevole per aprire una collaborazione professionale con un amico. Siate in linea con i vostri ideali.

Con Venere e Giove in quadratura aumenta la voglia di godersi la vita alla barba delle convenzioni. Fate quello che vi piace ma non trascurate troppo i vostri doveri. Attenti agli stravizi alimentari.

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Il passaggio di Marte nell’antagonista segno dell’Acquario nella seconda settimana di febbraio vi pone di fronte a scelte importanti. Rispettate il desiderio di indipendenza del partner. Avanzamenti professionali.

Urano vi spinge a rinnovare la quotidianità. Venere di transito in Capricorno favorisce la vita sentimentale dei nati in agosto. Flirts e possibile inizio di storie importanti. Carisma in aumento.

Evitate di manipolare i sentimenti altrui, lavorando sul senso di responsabilità o di colpa. Stress tra il 7 e l’8 febbraio. Esperienze emotive e amorose di una certa rilevanza per i nati nella prima decade.

Gelosie improvvise tra il 10 e l’11 febbraio. Marte continuerà a pungolare il desiderio di indipendenza dei nati nella seconda decade. La vita professionale dei nati in ottobre tende a riorganizzarsi.

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Grazie a Mercurio e Marte potrete cimentarvi in qualunque tipo di attività. Il momento è ottimo per far lavorare il cervello. Siete pieni di energia e così potete gettarvi a capofitto nella vita sociale.

Un amore proveniente da lontano. Tra il 7 e il 12 febbraio Venere si unirà all’ultimo transito con il Nodo Lunare Nord. Colpo di fulmine, incontro con il destino per i nati nella primissima decade.

Tra il 6 e il 12 febbraio il transito di Venere vi spingerà a operare altruisticamente nei confronti delle persone che più amate. State comunque attenti a controllare di più le vostre forze. Bene il 7 e il 9 di febbraio.

Dal 6 febbraio Venere in fase positiva. Momento eccellente per le attività di gruppo in tutti i settori, specialmente per i nati nella prima decade. Se dovete chiedere un favore a qualcuno, fatelo adesso.

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Orizzontali 1. Togliersi la sete • 9. Il primo dispari • 10. Cantone svizzero • 11. I confini di Sonvico • 12. Paola, nota attrice • 15. Il primo alimento • 16. Ripida • 18. Atomo • 19. Prep. semplice • 20. Splendidi uccelli acquatici • 21. Il James, 007 • 22. Città francese • 24. Mezza tara • 25. Motivetto • 27. Campicello coltivato • 29. Il noto Marvin • 30. Verbo ausiliare (tr) • 32. La nota Taylor • 33. Ginevra sulle targhe • 34. Barra centrale • 36. La scienza fondata da Aristotele • 39. Il Ford dei fumetti • 41. Lo sono certi eventi • 42. Il Nichel del chimico • 43. Abitavano l’Olimpo • 44. Il fiume dei Cosacchi • 45. L’ultima dell’alfabeto • 46. Profonda • 47. Le iniz. di Toscanini • 48. Humus • 51. Guasto navale • 52. Sud-Est.

iniz. di Savoia • 8. La figlia del Corsaro Nero • 13. Debolezza muscolare • 14. L’arma con le frecce • 17. Stupidotto • 21. Dissetarsi • 23. Firmano brevi narrazioni • 26. Pagano il fio • 28. Dramma • 30. Ha la cruna • 31. Rimorchiare • 35. Laghetto alpino ticinese • 37. Maroso • 38. Dittongo in Coira • 40. Gaia, allegra • 49. Art. romanesco • 50. Il dio egizio del sole.

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Verticali 1. Fu conclusa nel 1879 tra Germania, Austria e Ungheria • 2. Delfino di fiume • 3. Acume, perspicacia • 4. Il nome di Montale • 5. Torto senza pari • 6. Spinta iniziale • 7. Le

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» a cura di Elisabetta

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Tra il 6 e il 12 febbraio potrete portare a termine qualunque tipo di “business”. Il momento è favorevole per impostare piani per il futuro, nonché per qualunque tipo di sforzo intellettuale o mentale.

La soluzione verrà pubblicata sul numero 7

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Versioni su Barney

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» di Roberto Roveda

Mentre scorrono i titoli di coda e si accendono le luci in sala con continui salti temporali, spesso dagli esiti esilaranti. Ne è facile riconoscere chi ha letto il romanzo di Mordecai Richler emerge il ritratto ironico, amaro e a tratti spietato di un uomo da chi viceversa ha visto solo il film che ne è stato tratto. I dissipatore e cinico, ma anche a suo modo romantico, un ritratto primi, infatti, mostrano nei loro commenti che coinvolge anche il suo mondo, a partire una certa delusione; i secondi hanno invece dalla comunità ebraica in cui è cresciuto. assistito a una pellicola che scorre con brio e Questi elementi, presenti a piene mani nel sicurezza per più di due ore e appaiono più romanzo, hanno minor rilevanza nel film e che soddisfatti. Questo per dire che La versione vengono banalizzati in nome della leggerezza di Barney, intendiamo il film, funziona certadell’intrattenimento. Colpa certamente del mente come intrattenimento, un po’ meno regista – non a caso forte di una lunga especome adattamento del romanzo. rienza televisiva –, che dirige con sicurezza, Giusto per chi è all’oscuro di tutto, la vicenda ma evita di graffiare, sostituendo all’amadel romanzo e del film ha per protagonista rezza e al disincanto il sentimentalismo da Barney Panofsky, produttore televisivo di happy ending a tutti i costi. Così la pellicola si successo, ebreo, che superati i sessant’anni appoggia soprattutto sul talento dell’attore decide di raccontare la sua autobiografia, protagonista, Paul Giamatti, istrione al punto soprattutto per dare la sua versione dei fatti giusto, cui si affianca nel ruolo del padre di sulla morte dell’amico Bernard “Boogie” Barney, Dustin Hoffman. Viene però da dire Moscovitch, e liberarsi così dall’accusa di che così un film lo sanno fare (quasi) tutti. La versione sio di Bar Barney di Richard J. Lewis omicidio mossagli dallo scrittore Terry McSorge infine spontanea la domanda: che cosa Canada - Italia, 2010 Iver, compagno del protagonista durante un sarebbe stato dell’ironia spietata dell’opera di soggiorno giovanile a Parigi (città che nel film diventa Roma, Richler in mani più sapienti e coraggiose, più “ciniche”. Ci viene per motivi di coproduzione). in mente un Billy Wilder di mezzo secolo fa, un Woody Allen Il racconto autobiografico, però, complici i vuoti di memoria di vecchia maniera, o i fratelli Coen di oggi... tutti registi che, con Barney – insidiato dall’Alzheimer – scorre tutt’altro che in manie- ogni probabilità, avrebbero saputo restituire alla versione cinera lineare. Passato e presente si intrecciano fino a confondersi, matografica una dimensione più autentica e dissacratoria.

Questionario Ticinosette

Cari lettori, allo scopo di valutare il gradimento del nostro settimanale e di migliorare il servizio offerto, vi chiediamo gentilmente di compilare il questionario rispondendo in forma anonima alle seguenti domande. Nello spazio in calce pote-

te fornire inoltre un commento più esteso o eventuali suggerimenti. Per chi ha accesso a Internet è possibile compilare il questionario sul sito www.ticino7.ch. Grazie per la collaborazione, la Redazione

» In che località abitate? _________________________________________________________________________________ » Che tipo di professione svolgete? _______________________________________________________________________ » Da quante persone è composto il vostro nucleo familiare? ______________________________________________ fascia di età appartenete? » A quale ❏ meno di 25 anni ❏ da 26 a 45 anni ❏ da 46 a 65 anni ❏ più di 65 anni quale frequenza consultate Ticinosette? » Conquasi giornalmente ❏ da tre a cinque volte alla settimana ❏ meno di due volte alla settimana ❏ luogo consultate Ticinosette? » In che ❏ a casa ❏ al lavoro ❏ in un ritrovo pubblico (biblioteca, bar ecc.) ❏ sul Web ❏ altro » Siete più interessati: ❏ ai programmi radiotelevisivi ❏ alle rubriche ❏ a entrambi » Quali rubriche apprezzate maggiormente? ______________________________________________________________ » Quali invece vi interessano meno o per niente? _________________________________________________________ » Quali argomenti o rubriche, attualmente non presenti, vorreste vedere trattati in Ticinosette? _____________________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ Inviare in busta chiusa a: Ticinosette c/o Centro Stampa Ticino SA, Via Industria, CH - 6933 Muzzano. Oppure via fax al seguente numero: +41 (0) 91 960 32 51.


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