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Ticinosette n° 16 22 aprile 2011

Agorà “Burn out”. Scoppiare di lavoro

DI

Società Otpor! I fabbricanti di rivoluzioni

DI

Gastronomia La patata. Il magico tubero

Impressum

Vitae Zeno Gabaglio

DI

GAIA GRIMANI

Reportage Una missione nel mondo Tiratura controllata 72.011 copie

Chiusura redazionale Venerdì 15 aprile

MARIELLA DAL FARRA

DI

ROBERTO ROVEDA

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DI

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GAIA GRIMANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

ROBERTO ROVEDA; FOTOGRAFIE DI REZA KHATIR

Tendenze Frigoriferi. Freddo sì... ma compatibile

DI

CARLO GALBIATI

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Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Teleradio 7 SA Muzzano

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Redattore responsabile Fabio Martini

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In copertina

Illustrazione di Antonio Bertossi

La sindrome della politica al guinzaglio Il morbo è noto e, come tutti si stanno rendendo conto, è di casa anche in Ticino. È il cosiddetto partito padronale che è andato via via affermandosi, per esempio, nella politica della vicina Penisola nel corso degli ultimi decenni. Nel caso italiano (fra i più emblematici), lo stimolo o, se vogliamo, la necessità di adeguarsi sgorgava spontanea in risposta alla nascita di Forza Italia – “Fozza Itaia” fu il primo misterioso slogan associato a enormi e interlocutori manifesti di graziosi bebè affissi nel territorio a mo’ di pastura elettorale –, creatura tutta berlusconiana costruita grazie a un impero mediatico-pubblicitario imponente. Ma ancor prima, a proporre il magico modello era stata proprio la Lega Nord di Umberto Bossi, “padre padrone” di un partito/movimento all’interno del quale la linea è stata (e in parte lo è ancora) dettata dal leader di Cassano Magnago. Non vogliamo andare ulteriormente indietro nel tempo perché si scoprirebbe che il paradigma del partito padronale ha avuto nel corso del Novecento illustri precedenti non proprio edificanti. Comunque sia, la formula oggi piace, e piace assai. Così tanto che anche nello schieramento della sinistra italiana si è prodotto con il partito l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro (ex magistrato e dunque uomo di Stato) un modello analogo. Insomma, il diktat pare essere “o sei con me o sei contro di me”, espressione più vicina al concetto di giustizia da avventuroso Far West americano (e da pistoleri senza scrupoli) che a un confronto sulle idee e i programmi. Ma questa è, in ultima istanza, la “formuletta magica”: pro o contro, dentro o fuori, vivo o morto. L’idea del partito come luogo di dibattito e di confronto pare veramente essersi sciolta al sole. E là dove qualcosa è rimasto – pensiamo al debole e triste teatrino rappresentato dal PD italiano, o ai PLR e PS cantonali, questi ultimi massacratisi a forza di incapacità di comunicare e di scontri/pugnalate “familiari” –, proprio la resistenza di valori legati al dibattito democratico interno viene vista dai “padronalizzati” come sintomo di debolezza e

confusione, di tendenza alla divisione interna e al correntismo. La Lega dei ticinesi, apparentemente solida e compatta, corre lungo questa china da vent’anni. Anche se, nonostante le intemperanze del suo carismatico e con-vincente leader, qualcuno avrà forse sorriso alla candida ammissione del consigliere di Stato Marco Borradori durante una trasmissione serale della RSI a commento dei dati elettorali: incalzato ad ammettere dal suo presidente a vita di aver firmato il noto Decalogo, Borradori rispondeva (evidentemente imbarazzato) di non aver sottoscritto “proprio nulla”. Ricordiamo che il Decalogo della Lega è ampiamente disponibile anche sul web per chi ancora non avesse preso atto degli intenti di via Monte Boglia. Suddiviso in 10 punti “programmatici” esso ricorda il famoso Contratto con gli italiani velocemente dimenticato benché risalga a pochi anni fa. Che dire, un buon segno di spirito d’intenti comuni e coordinati; il tutto condito dalla “patata bollente” rappresentata dal DFE, tanto ambito quanto insidioso. Perché i conti pubblici e la responsabilità sono una cosa, le “orecchie d’asino” in copertina e le ingiurie tutt’altro... Il fatto è che il mondo va complicandosi, il livello di entropia cresce di giorno in giorno, se non altro per la molteplicità, la sincronicità e la velocità con cui i fenomeni economici/sociali si susseguono. Di fronte a tutto ciò la tentazione dell’“uomo forte”, quello tosto e capace di mettere le cose a posto e velocemente – ma quando mai è avvenuto? I drammi invece... –, ecco che magicamente riemerge come soluzione inossidabile ai problemi di una società complessa. Resta il valore intramontabile e indispensabile della discussione politica sia all’interno sia fra i diversi partiti, fatta salva la capacità di tenere a mente i principi fondamentali delle costituzioni democratiche. Il “vuoto liberale” (Ticinosette n. 4/2011 del 28 gennaio) pare inesorabilmente avanzare; un’onda che con ogni probabilità nemmeno i muri alle frontiere riusciranno a fermare. Staremo a vedere. Cordialmente, la Redazione


Stress e occupazione. Scoppiare di lavoro

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Agorà

Il “burn out” è una sindrome caratterizzata dall’esaurimento di forze emotive e fisiche per difficoltà che si sono sviluppate nel corso dell’attività lavorativa. Colpisce soprattutto chi opera a contatto con le persone e provoca spese allo Stato per miliardi di franchi l’anno. Non è un problema facile da risolvere, ma esistono molte strade che si possono percorrere per neutralizzarlo

I

l significato del termine burn out è chiaro: scoppiato, bruciato. Si usa per indicare persone che, per un motivo o per un altro, non riescono più a condurre una vita lavorativa serena e a fronteggiare lo stress. La parola è, però, ambigua e vi sono molte interpretazioni. Per saperne di più e rispondere alle domande che in casi del genere ci si pone, abbiamo intervistato due esperti: la dottoressa Liala Cattaneo coordinatrice del Laboratorio di psicopatologia del lavoro di Viganello e il dottor Luca Genoni, psichiatra, che si occupa del fenomeno burn out anche a livello preventivo. Dottoressa Cattaneo quando è stato usato per la prima volta il termine burn out e che cosa significa veramente? “È stato utilizzato la prima volta negli anni Trenta in ambito sportivo per indicare il fenomeno per il quale un atleta, dopo alcuni successi, si esaurisce e non è più in grado di soddisfare le proprie e le altrui aspirazioni. È poi stato ripreso in ambito socio-sanitario da Herbert Freudenberger (1927–1999, ndr.) nel 1974 per indicare una particolare condizione psicologica caratterizzata da sintomi quali depressione, stanchezza cronica, apatia, perdita della propria autostima, disperazione, esaurimento emotivo, atteggiamenti negativi nei confronti della vita e delle persone. Cary Cherniss, nel 1983, lo ha definito come un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato, si separa dal proprio lavoro per risposta allo stress e alla tensione accumulata e Christina Maslach, infine, nel 1992, ne tratta come di una sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e mancata realizzazione individuale”.

E lei, dottor Genoni, psichiatra di oggi, come lo definirebbe? “Per lavorare bene, un qualsiasi individuo deve soddisfare tre criteri: avere delle competenze, essere capace di relazionarsi con le persone e di disporre di forza e di energia per lavorare. Il burn out può innescarsi più o meno gravemente, quando uno o più di questi tre elementi vacilla ed è un problema legato al mondo del lavoro, in cui la persona si trova in uno stato di esaurimento emotivo e fisico che può anche causare disturbi e patologie di vario genere”. Dottor Genoni è vero che l’OMS non considera il burn out una malattia? “È vero. Se guardiamo alla classificazione internazionale delle malattie redatta dall’OMS, questo disturbo non è elencato quale patologia, ma come un insieme di fattori in grado di influenzare lo stato di salute. La persona che ha un problema sul lavoro non viene definito un malato, ma uno che vive in una condizione «che rende malati», a causa di un sistema che non va”. Quali sono i punti della struttura lavorativa che possono favorire lo sviluppo di un burn out? “Sono essenzialmente sei: un sovraccarico di ore di lavoro; la mancanza di riconoscimento, finanziario o di stima, da parte del datore di lavoro; il senso di non appartenenza, che si ha lavorando senza essere presi in considerazione come esseri umani, ma solo per ciò che si produce; la mancanza della possibilità di decisione; la carenza di equità e infine l’assenza di valori, per cui la propria occupazione non ha più niente di bello o attraente da offrire. È chiaro che una ditta che ha molti dipendenti con il burn out ha


Dottor Genoni, vuol dire quindi che esiste un tipo umano più portato di un altro verso il burn out? “Più facilmente scivola nel burn out la persona precisa, fortemente orientata al dovere, guidata da rigidi criteri assunti dall’esterno e fatti propri con una scarsa flessibilità. Sono in genere persone che non sono mai capaci di dire di no e, perciò, vengono caricate di più”. Dottoressa Cattaneo esistono anche categorie professionali che ne sono particolarmente colpite? E quali? “Il burn out è originariamente legato a chi opera nell’ambiente socio-sanitario – medici, infermieri, assistenti sociali, educatori – o in un ambito in cui si opera a contatto con le persone. Molti studiosi, per esempio, hanno analizzato a fondo il legame tra burn out e insegnanti, creando una vasta letteratura sul tema e legittimando l’utilizzo del termine anche nell’ambito scolastico. La tendenza attuale è quella di allargare il campo ad altre professioni: si sente molto parlare del burn out dei manager o dei giornalisti. Il termine viene anche applicato ad altri soggetti o situazioni, ma, per il momento, sarebbe più opportuno, circoscrivere il suo utilizzo all’esaurimento che un lavoratore può vivere sul posto di lavoro, considerato come fattore determinante il disagio”. Abbiamo dati statistici su questo disturbo o sullo stress? Quanti ne sarebbero affetti in Svizzera e quanto costa allo Stato in termini finanziari?

“Per quanto concerne il burn out, non abbiamo dati né sul Ticino, né sulla Svizzera. Per contro, gli ultimi studi del Seco (Segreteria di Stato dell’economia) sullo stress risalenti al 2002 ci dicono che esso costa al nostro Paese 4,2 miliardi di franchi, ma oggi le stime parlano di 9 miliardi. Se consideriamo che il burn out è l’esito patologico di una situazione stressogena, possiamo dire che buona parte di questi costi concernono anche il burn out, ma è solo un’ipotesi. Per quanto riguarda le cifre, sembra che in Svizzera il 47% degli uomini e il 41% delle donne viva una forte tensione sul lavoro, secondo i dati 2004 dell’Ufficio federale di statistica”. Dottoressa Cattaneo: che cosa può essere fatto nel campo della prevenzione e della cura? “Il burn out è un processo dinamico che si sviluppa progressivamente. È quindi possibile riconoscere i sintomi e intraprendere delle misure per prevenirlo, interromperlo o ridurne gli effetti lesivi. Si possono fare, da un lato, interventi a livello organizzativo nell’azienda e, dall’altro, è importante l’individuazione dei primi sintomi e la loro correzione, sia nel singolo individuo sia all’interno del gruppo di lavoro, promuovendo la crescita e la responsabilità individuale e collettiva dell’intera équipe; infine, per recuperare chi è già in burn out è opportuno pensare a una fase terapeutica con l’intervento di medici e psicologi specializzati”.

» di Gaia Grimani

più problemi in questi sei punti; quella che ne ha meno, ha una struttura più adeguata per evitarli. A questo si aggiungono, poi, le caratteristiche personali degli individui più o meno sensibili alle varie difficoltà”.

Che cosa ne pensa dottor Genoni? “Sono d’accordo con l’analisi della dottoressa Cattaneo, aggiungerei che bisognerebbe far capire alle persone che nella vita, come nel lavoro, le nostre mete devono essere significative e raggiungibili, mentre spesso si mira a traguardi significativi ma irraggiungibili, correndo il rischio di scoppiare”.

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Sono

Società

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trascorsi undici anni dalla fine delle guerre jugoslave, una serie di conflitti che, nell’arco di un decennio (1991–2000), hanno diviso la “Repubblica Socialista Federale” in sei (sette?) Stati indipendenti. La “riorganizzazione” del territorio comportò la perdita di circa 250.000 vite umane, anche attraverso l’attuazione di sistematiche operazioni di pulizia etnica. Fra le molte e terribili immagini associate a quegli eventi, una spicca in particolare nella mia memoria: quella di ragazzi e ragazze serbe che, durante i bombardamenti della NATO, passeggiano per Belgrado con indosso magliette raffiguranti un bersaglio sovrastato dalla parola target. Ricordo che all’epoca rimasi molto colpita dall’audace senso dell’umorismo dimostrato da quelle persone in circostanze così drammatiche. Ma fu solo qualche mese dopo, guardando in televisione l’MTV European Music Awards – durante il quale due giovani attivisti serbi furono premiati con un

q'".+>>"5' 62)12o re manifesti o a fare volantinaggio, furono arrestati e picchiati. Nel settembre del 2000, Otpor! lanciò la campa-

Formatosi nell’ottobre del 1998 all’Università di Belgrado, “Otpor!” è stato un movimento civile studentesco. Il coinvolgimento dei suoi ex membri è stato successivamente accreditato in alcune delle rivoluzioni che hanno avuto luogo nell’Europa dell’est. E, più recentemente, nei Paesi arabi gna pre-elettorale nota come Gotov je (“È finito”) che contribuì a polarizzare il voto dell’elettorato serbo portando all’inattesa vittoria dei partiti di opposizione. La caduta di Slobodan Milošević coincise

Belgrado, 1999: una manifestazione di protesta

con il momento di massima popolarità del movimento: nei mesi che seguirono, i membri di Otpor! iniziarono ad essere considerati degli eroi nazionali tanto nella ex Jugoslavia quanto agli occhi dei leader occidentali. Otpor! proseguì la propria azione lanciando campagne volte a sensibilizzare la popolazione contro il rischio di corruzione del nuovo governo, ma gradualmente il movimento si sfilacciò, mentre alcuni dei suoi membri capitalizzarono l’esperienza in favore delle proprie personali carriere politiche e diplomatiche. Contemporaneamente, informazioni relative all’origine dei finanziamenti di cui il movimento si era avvalso nel biennio 1998–2000 cominciarono a filtrare in maniera sempre più massiccia. Si scoprì che, nel giugno del 2000, un gruppo di attivisti aveva partecipato a un seminario di formazione tenuto a Budapest dal colonnello americano in pensione Robert Helvey, collega di Gene Sharp, autore di libri sulle tecniche di azione non violente e principale ispiratore dei metodi di Otpor!

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riconoscimento all’impegno civile – che appresi dell’esistenza di Otpor! Fu allora che cominciai a capire come la distintività che caratterizzava quel ricordo non fosse del tutto casuale.

OTPOR! I fabbricanti di rivoluzioni

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Contro la violenza, contro le dittature… Formatosi originariamente nell’ottobre del 1998 all’università di Belgrado in risposta ad alcune leggi repressive emanate dal governo in materia d’istruzione, Otpor! – che in italiano significa “resistenza!” – è stato un movimento civile studentesco che utilizzava metodi non-violenti per avversare la dittatura di Milošević. In particolare, i suoi membri si avvalevano di tecniche di comunicazione piuttosto sofisticate, cui è stato riconosciuto un ruolo chiave nel rovesciamento del governo che avrà luogo nell’ottobre del 2000. Il logo del movimento, costituito da un pugno chiuso rivolto verso l’alto, venne replicato migliaia di volte sui muri delle città e molti attivisti, sorpresi ad affigge-


identificarsi (la “rivoluzione delle rose” in Georgia nel 2003, la “rivoluzione arancione” in Ucraina nel 2004 e 2005, quella “dei tulipani” in Kyrgyzstan nel 2005, la “rivoluzione verde” in Iran nel 2009, la “rivoluzione del gelsomino” in Tunisia nel gennaio di quest’anno). Come dice Ivan Marovic, ex Otpor!: “Noi abbiamo adottato la Coca-Cola come nostro modello”4. E c’è poco da scandalizzarsi: se vi disturba l’idea che le manovre compiute sulla scacchiera internazionale siano attualmente condotte a colpi di focus group e ricerche di mercato, pensate a cosa succedeva durante la guerra fredda, quando l’unica strategia consisteva nel finanziamento di golpe militari… Consiglio alla lettura Gene Sharp Politica dell’azione nonviolenta (3 voll.) EGA - Ed. Gruppo Abele (1985–2001) Per un approfondimento sulle strategie di “azione nonviolenta”, si suggerisce la lettura di G. Sharp, fondatore dell’Albert Einstein Institute per “lo studio e l’utilizzo della nonviolenza nei conflitti di tutto il mondo”. Il suo pensiero e i suoi testi sono considerati fonte di ispirazione per i movimenti studenteschi e popolari che hanno condotto in particolare le “rivoluzioni colorate” nell’Europa dell’est. (fotografia di Igor Jeremic tratta da www.flickr.com)

… con qualche “discutibile” aiuto Un ufficiale dell’IRI1, organizzazione fondata dal governo degli Stati Uniti la cui mission è favorire “programmi di democratizzazione” sul piano interna-

]'.+%'o zionale, ha rivelato di essersi incontrato con i membri di Otpor! “da sette a dieci volte” in Montenegro e in Ungheria. La NED (National Endowment for Democracy), un’organizzazione americana (formalmente) non governativa ha dichiarato che, nel periodo settembre 1998–ottobre 2000, Otpor! ricevette la maggior parte dei tre milioni di dollari spesi in Serbia dalla ONG. Non è invece chiaro quanto dei 25 milioni destinati da USAID2 alla causa anti-Milošević siano

transitati nel movimento, ma uno degli amministratori asserisce che “diverse centinaia di migliaia di dollari sono andati direttamente a Otpor! per l’acquisto di materiale dimostrativo e di supporto, come t-shirts e adesivi”. Queste evidenze hanno indotto molti a ipotizzare aree di sovrapposizione fra il movimento e i servizi segreti americani, ipotesi corroborata dalla successiva esportazione del “modello Otpor!” su diversi fronti nell’Europa dell’est e, più recentemente, in Egitto3. Considerando l’insieme dei dati, è presumibile che alcuni dei membri di Otpor! abbiano assunto il ruolo di spin doctors “non ufficiali”, ed è interessante notare come molti dei conflitti civili che hanno avuto luogo negli ultimi anni siano caratterizzati da elementi ricorrenti, quali: il coinvolgimento in primo piano dei membri più giovani della società; una presa di posizione dichiaratamente non ideologica; una strategia di marketing politico che prevede la presenza di un logo e di un colore o fiore per

Note 1 International Republican Institute. 2 United States Agency for International Development. 3 Azzurra Meringolo, “Per rovesciare Hosni studiavamo Belgrado”, “Il Riformista”, 23/2/2011. 4 Ian Traynor, “Young democracy guerrillas join forces”, “The Guardian”, 6/6/2005.

» di Mariella Dal Farra

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dell’onda: dall’alta cucina al fast-food, essa rappresenta un alimento diffuso e assai apprezzato. Eppure questa posizione di assoluta importanza sulle tavole di tutto il mondo, il nostro tubero se l’è conquistata con un bel po’ di fatica. Come sappiamo un po’ tutti per averlo appreso a scuola, la patata giunge dalle Americhe, più precisamente dall’area andina, dove gli indios la coltivavano e consu-

molto sospetto. Per prima cosa era cibo da indios, che per gli europei di allora non erano neppure dotati di anima, non come il cristianissimo Pizarro e i suoi degni compari di ventura. Figurarsi se c’era da fidarsi di quello che mangiavano. Inoltre della patata nella Bibbia non vi era traccia e quindi meglio morire di fame e aspettare la manna dal cielo. All’inizio, molti la mangiavano cruda, con esiti ovvia-

Un alimento semplice, a lungo snobbato in Europa e lasciato ai poverissimi oppure agli animali. Poi la scoperta che il tubero più famoso nel mondo, la patata, poteva risolvere il problema della fame e delle carestie mente catastrofici: nel 1565 il re di Spagna Filippo II inviò delle patate in omaggio al papa che, scambiandole per tartufi, se le mangiò crude, a morsi. Il disgusto fu unanime

alla corte pontificia e si rischiò la crisi diplomatica. Così per lungo tempo le patate servirono al massimo per l’alimentazione animale oppure venivano consumate da chi voleva fare penitenza, come i carmelitani scalzi oppure i certosini. O venivano servite per i più poveri e i derelitti negli ospizi e negli ospedali. Altra usanza pericolosa legata all’ignoranza di fronte a questa novità d’Oltreoceano era quella di consumarne le foglie, molto velenose. Così si diffuse la diceria che la patata fosse un poco stregata e dalle virtù malefiche. Meglio evitarla e tenerla tutt’al più come pianta ornamentale. Quando però c’è di mezzo la fame le cose cambiano e si è costretti a fare di necessità virtù. Così, quando il destino del nostro povero tubero sembrava essere quello di ingrassare i maiali, scoppiò la Guerra dei Trent’anni (1618–1648) durante la quale l’Europa si trasformò in un immenso cimitero tra stragi ed epidemie. La patata, resistente e facile da coltivare a tutte le latitudini, divenne l’ancora di salvezza per molti popoli stremati dalla fame, soprattutto in Olanda, Prussia, Inghilterra e Irlanda. La carestie si fecero così meno frequenti e devastanti grazie a questo prezioso alimen-

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mavano da millenni. Fu uno dei più spietati conquistadores, Francisco Pizarro, tra un massacro e l’altro, a condurla nel nostro continente nel 1535 dove venne considerata con

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giorno. Nel corso della notte venivano lasciati incostuditi e i parigini si “fiondavano” alla scoperta del prezioso raccolto dei campi reali. Se era cosa che coltivavano per il re deve essere per forza una prelibatezza, pensavano tutti. In effetti, il successo fu enorme tanto che in Francia, nel 1793, si ebbe il primo ricettario completo dedicato alla patata e in Italia a pubblicizzare le qualità del nostro tubero ci pensò addirittura Alessandro Volta nelle pause che gli venivano offerte tra l’invenzione della pila elettrica e i suoi studi sull’elettricità. Ormai la strada era segnata: oggi la patata è la quarta cultura al mondo per importanza, dopo il grano, il riso e il mais, ed è considerata dagli esperti l’alimento che più può contribuire a risolvere i problemi di denutrizione nel Terzo mondo. Niente male per un cibo snobbato per secoli!

» di Roberto Roveda

Una cartolina celebrativa del 1956 dedicata Antoine-Augustin Parmentier

to, tanto che quando, tra il 1845 e il 1849, le coltivazioni furono attaccate da una grave malattia e i raccolti andarono persi l’Irlanda conobbe la fame più nera, con centinaia di migliaia di morti. Nell’Europa mediterranea, più raffinata dal punto di vista culinario, il “tubero americano” trionfò più tardi anche se Maria Antonietta di Francia portava i fiori della pianta di patata sul corpetto per propagandare questo alimento così facile da coltivare. Non che quella sovrana fosse poi il veicolo pubblicitario ideale, se si pensa alla fine a cui il suo popolo la destinò. Si ricorse allora, presso la corte francese, a uno stratagemma suggerito dall’agronomo Antoine-Augustin Parmentier. Il nostro ottenne dal re il permesso di coltivare dei campi di proprietà del sovrano a patate e di farli sorvegliare da uomini in armi durante il

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» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Igor Ponti

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sua vita e non ci sarebbe stata quella ricchezza di pensiero e di evoluzione musicale che invece abbiamo avuto. Per questo io preferisco cercare una mia via, magari contaminando tecniche e sentimenti che vengono dalla classica, ma non limitandomi a essa. In tale contesto s’inserisce anche l’esperienza della musica per film. Quando andai a studiare filosofia a Firenze, vidi un giorno in facoltà un manifesto di un concorso ad Aosta per il commento musicale dal vivo di film muti. L’idea mi piacque, partecipai e vinsi il concorso. Questo mi fece capire che mi si poteva aprire una seconda vita musiMusicista, critico musicale, insegnan- cale, intessuta di progetti vari, te, giornalista, filosofo. Vive in valle che non riguardavano solo il film muto, ma anche colonne di Muggio dove suona in concorrenza e sonore per film “normali”, disturbo reciproco con uccellini, volpi, musiche per letture poetiche, cervi. Un artista per il quale far musica per trasmissioni radiofoniche o per spettacoli teatrali. Prosignifica mettersi in gioco totalmente prio da queste esperienze è e ha svariate possibilità d’uso: nata la volontà di dedicarmi regolarmente come accompagnamento, coanche alla musica applicata, un’attività semme strumento melodico, ecc. pre dinamica e spesso gratificante. Per me, che non suono solo La mia giornata è in genere faticosa, con musica classica, è lo strumenvari saliscendi d’intensità: periodi di lavoro to ideale, anche se all’epoca dalle sette a mezzanotte e giorni con tempi ancora non lo avevo capito. di fisiologico recupero. L’esercizio strumenIl mio avvicinamento a diversi tale quotidiano e intensivo del periodo degli tipi di musica è avvenuto in studi ha oggi lasciato spazio a un lavoro più più fasi: prima al liceo ho inimirato secondo i progetti e le scadenze. E ziato a suonare con un gruppo ho la sensazione, forse illusoria, che tutto di amici, poi ho fatto un corso quello che faccio nel presente sia in qualche di musica contemporanea e modo preparatorio per quello che dovrò fare c’era anche una parte dedicata in futuro. Il comune in cui vivo, Castel San all’improvvisazione, pratica Pietro, mi ha messo a disposizione il vecchio molto importante per acquilocale scolastico di Campora, a picco sulla sire coscienza di cosa signifivalle. E suonandoci a ogni ora, mi trovo a chi generare da sé un intero essere in disturbo perenne e reciproco con pezzo musicale. Questo corso uccellini, volpi e cervi. ha influito sulle mie scelte La mia vita è felice, piena di stimoli: musica successive. Infatti, a un certo suonata, musica parlata, musica pensata, punto, ho deciso di abbandomusica sognata. Ogni tanto mi piacerebbe nare l’interpretazione classica essere in una situazione di maggiore tranpura, sia perché è specialistica quillità, per analizzare ciò che capita, far in modo troppo esclusivo, decantare le esperienze. Purtroppo, e per sia perché trovo poco sensamille ragioni, a volte devo sacrificare le cose to continuare a suonare solo a cui tengo di più. Aspiro perciò segretamenmusica scritta 100 o più anni te a trovare un equilibrio che mi consenta fa. La musica di qualità non di dedicarmi solo ad esse, anche se fa parte è solo quella del passato: se del gioco che da giovani ci si debba dar da si fosse pensato sempre così fare in molte direzioni. Vorrei, in definitiva, Mozart, per fare un esempio essere un musicista per cui il far musica fra molti, anziché comporequivalga al totale mettersi in gioco della re cose sue avrebbe suonato persona, non a una mera risposta a bisogni pezzi barocchi per tutta la sociali o culturali altrui.

Zeno Gabaglio

Vitae

ono nato a Mendrisio il 30 aprile 1979, con due mesi di anticipo rispetto al previsto. E, malgrado questo, non sono stato gratificato dalla corporatura snella normalmente riconosciuta ai settimini. Mi ricordo due paesaggi legati ai nonni, quelli paterni nella campagna di Ligornetto e quelli materni nei boschi della Valle di Muggio, dove ancora vivo. Durante la mia infanzia, i miei genitori sono stati molto importanti nel sostenere le mie “non scelte”: nel senso che, avendo intrapreso ingenuamente – cioè senza una scelta davvero cosciente – lo studio musicale, mi hanno meticolosamente accompagnato nel percorso di gioie e dolori che questo comportava. Ho frequentato contemporaneamente Liceo e Conservatorio e posso dire d’essermi avvicinato alla musica per una fame istintiva di condivisione e di fare simbolico. Mi spiego. La mia scelta è avvenuta a otto anni, in un’età in cui indifferentemente si fa musica o si gioca a pallone… E anche lo strumento che ho studiato mi è capitato fra le mani per caso, a causa del direttore di una scuola d’archi per ragazzi: desideravo imparare il violino e quando mi presentai mi disse che avevo dita troppo grosse, e mi consigliò il violoncello. In realtà le mie dita erano come quelle di tutti i ragazzi di otto anni, ma per la composizione delle orchestrine a lui serviva qualcuno che suonasse il violoncello. Cosa che feci, ma, disgraziatamente per lui, in un’altra scuola. Rispetto alle tante attività che può fare un ragazzo, studiare musica è qualcosa di talmente sradicato dalla realtà da rappresentare una completa astrazione, uno staccarsi da tutto ciò che ti capita nel resto della giornata. In definitiva il violoncello è stata una scelta felice, poiché è uno strumento versatile, può fare i bassi, gli accordi, i pizzicati, si suona generalmente insieme ad altri

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Le Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbohl

Una missione nel mondo

Suor Pierangela Onida

Volti solari, serenità e una letizia profondamente francescana. Si presentano così le ecclesiastiche della Congregazione delle Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbohl, che svolgono attività di formazione e insegnamento a Locarno. Alla vigilia della Santa Pasqua dedichiamo loro queste pagine

testo di Roberto Roveda; fotografie di Reza Khatir


Suor Sandra Brodmann, direttrice della scuola e docente


Suor Gerda Germann, superiora della comunitĂ e docente


Suor Nicole Lussi


Suor Luziana Stark


Suor Marialuisa Macoratti


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er essere realmente discepoli di Cristo, sono le parole di Gesù riportate nel quinto capitolo del Vangelo di Matteo, bisogna essere “sale della terra” e “luce del mondo”. Il cristiano deve, quindi, vivere e operare nel mondo perché di esso fa parte, non ne è elemento separato. È questo il fulcro della fede in Cristo, Dio che si è fatto uomo, si è incarnato per condividere il destino umano e chiamare tutti noi a partecipare alla vita divina. La centralità di questo messaggio era ben chiara a Teodosio Florentini (1808–1865), padre cappuccino che a metà dell’Ottocento fondò l’Istituto delle Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbohl. Padre Teodosio avvertiva dentro di sé le istanze più autentiche del francescanesimo originario, quelle che avevano portato Francesco d’Assisi a considerarsi in fratellanza con tutte le creature, anche le più umili, e con tutti gli elementi del creato. Vedeva con i suoi occhi le miserie e le disuguaglianze sociali imposte dalla rivoluzione industriale, prime fra tutte la mancanza di istruzione ed educazione per i più piccoli. Nacque così in lui l’idea di una congregazione di suore insegnanti, le quali dopo molto girovagare, anche per l’ostilità delle autorità di alcune città della Confederazione, si stabilirono a Ingenbohl, sul Lago dei Quattro Cantoni. Quando nel 1865 padre Teodosio morì, il suo testimone venne raccolto dalla superiora della Congregazione, Maria Teresa Scherer (1825–1888) che condivideva lo slancio umanitario del fondatore, ma univa a esso una straordinaria capacità organizzativa, tanto che in breve tempo le suore di Carità si diffusero in Europa, per poi raggiungere l’India, l’Uganda, gli Stati Uniti, il Brasile. Religiose con una missione ben precisa: operare nel mondo e non vivere separate da esso. L'attenzione ai bisogni dei luoghi e dei tempi in cui si vive erano del resto aspetti già chiari a Padre Teodosio: “i bisogni del tempo sono volontà di Dio”. Questo spirito anima l’operato delle Suore di Carità della Santa Croce che svolgono la loro missione a Locarno, a Villa Erica. In origine (1933) la villa era

utilizzata come luogo di riposo per le suore e come pensionato femminile. Poi iniziò la trasformazione in scuola destinata alla formazione delle ragazze, sempre con un occhio rivolto ai bisogni reali delle persone, in modo da offrire una preparazione culturale e professionale al passo con i tempi. Così, se all’epoca della fondazione della scuola (1943), l’accento veniva posto sull’economia domestica, oggi, dopo tre anni di studi, le studentesse possono ottenere un diploma commerciale riconosciuto dalla Confederazione, un diploma in lingua tedesca, uno in lingua inglese, il Certificato svizzero d’informatica e, dopo un quarto anno, la Maturità professionale commerciale. Una scuola moderna, quindi, dove le uniche cose a non cambiare mai sono state la qualità dell’insegnamento e l’attenzione ai principi cristiani. Una storia che dura da quasi settant’anni e che nel 2013 muterà ancora, sempre in relazione all’evoluzione dei tempi e a una delle norme che le Suore di Carità hanno nella loro regola di vita: avere il coraggio di riconoscere i limiti delle proprie possibilità e prendere delle decisioni adeguate. Negli ultimi anni, infatti, le ecclesiastiche di Villa Erica si sono dovute confrontare con le nuove normative federali sulla formazione professionale. Soprattutto, hanno dovuto fare i conti con la mancanza di suore giovani in grado di raccogliere la nuova sfida e assicurare continuità e qualità alla scuola. Hanno così deciso di non offrire più, a partire da quest’anno scolastico, un nuovo corso di lingue e commercio, ma di concentrare tutte le energie sui Corsi preprofessionali linguistici della durata di un anno, che solo Villa Erica offre in tutto il Canton Ticino. Una scelta di umiltà e lungimiranza: chi vive nel mondo e per esso, come fanno loro, sa che nulla sulla Terra è eterno e che ogni mutamento rappresenta la volontà del Signore. E agisce di conseguenza. Un sincero ringraziamento alle Suore di Carità della Santa Croce che vivono e lavorano a Villa Erica per la loro disponibilità e per aver reso possibile questo reportage fotografico.


Freddo sì… ma compatibile OGGI I FRIGORIFERI SONO OGGETTI ASSAI DIVERSI DAI MODELLI DEGLI ANNI CINQUANTA DI COLORE BIANCO, DALLA FORMA BOMBATA E CON IL CARATTERISTICO MANIGLIONE CROMATO AL CENTRO. LE INNOVAZIONI NON SONO NATURALMENTE SOLO ESTETICHE MA RIGUARDANO IN PRIMO LUOGO L’IMPATTO ENERGETICO E LE FUNZIONALITÀ, SEMPRE PIÙ ARTICOLATE Tendenze p. 42 | di Carlo Galbiati

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cquistare un frigorifero può apparire un’impresa, se non altro per la notevole varietà di modelli presenti sul mercato. Dimensioni a parte – questo è un discorso che naturalmente risponde alle esigenze abitative di ciascuno di noi – gli elementi da tenere a mente sono molti. Ma procediamo per ordine. Il primo parametro da prendere in considerazione è la classe energetica di appartenenza: si va dalla classe A++, la più efficiente e dai minori consumi, alla classe G che ha il consumo maggiore. Le classi energetiche A++ e A+ sono comparse solo negli ultimi anni e non sono presenti sui modelli di frigoriferi side by side (quelli con la doppia apertura, per intenderci) anche se la classe A, che ha un consumo superiore alle classi A++ e A+, rappresenta il requisito minimo nell’acquisto di un frigorifero. A livello di consumi si va dai 188 kWh in un anno di un frigorifero A++ ai 344 kWh di consumo annuo di un frigorifero classe A. Secondo parametro da considerare è il numero di “stelle del freddo” del congelatore del nostro frigorifero: quattro stelle equivale al mantenimento di una temperatura inferiore ai –18 °C (in genere tra –18 °C e i –25 °C). Il tempo di conservazione dei surgelati dipende dal tipo di alimento e dal numero di “stelle del freddo”; solo i frigoriferi con congelatore a quattro stelle permettono di congelare cibi freschi (la surgelazione è un procedimento industriale mentre la congelazione è un procedimento dei frigoriferi domestici). Se nei frigoriferi di una volta c’era un sistema di raffreddamento statico oggi con il sistema No Frost possiamo controllare il livello di umidità e l’omogeneità della temperatura, prevenendo la formazione di brina e di conseguenza evitando di sbrinare il frigo e il congelatore. Non va dimenticata la presenza di un sistema antibatterico presente su alcuni frigoriferi moderni che permette di rallentare ulteriormente il processo di degradazione dei cibi dovuto all’attacco dei batteri, prolungando, in alcuni casi, il tempo di conservazione dei cibi. Molto utile anche il raffreddamento rapido che consente di far funzionare il frigo alla massima

potenza per qualche ora in modo da raffreddare velocemente una grossa quantità di cibo appena acquistata senza che sia sottoposta a dannosi shock termici dovuti all’innalzamento improvviso della temperatura. C’è poi la funzione “vacanza” che consente di mantenere la temperatura minima necessaria a conservare i cibi evitandoci di svuotare il frigo e di spegnerlo quando partiamo per le vacanze. Veniamo ora alla forma del nostro “monolite”. In base alle diverse esigenze è possibile scegliere un frigo tradizionale monoporta oppure a doppia porta o, in alternativa, il cosiddetto combinato. Nei doppia porta il congelatore sta in alto con la parte frigo che è preponderante rispetto al freezer (congelatore). Chi invece acquista un frigorifero combinato ha la necessità di avere un congelatore di grosse dimensioni in basso (fino al 45% del volume totale) e di un frigo non troppo grande in alto. Da tempo sono disponibili anche i cosiddetti “frigoriferi all’americana” side by side con un congelatore e un frigorifero singoli posizionati verticalmente, fianco a fianco: sono i più capienti ma anche i più ingombranti con un volume complessivo che può arrivare a 700 litri contro i 400 litri di un modello combinato. Chi ha poi la necessità di conservare grandi quantità di cibi surgelati può prendere in considerazione l’acquisto di un congelatore vero e proprio. In questo caso dovete fare attenzione alla classe climatica ovvero la temperatura esterna cui è chiamato a operare con la massima efficienza il congelatore; in base alla temperatura del luogo in cui dovrà essere installato, deciderete la classe climatica. Sono dei particolari frigoriferi anche le cantinette per il vino. Queste ultime lavorano a temperature superiori rispetto a quelle dei frigoriferi tradizionali e mantengono un preciso controllo della temperatura e dell’umidità proprio per fornire ai vini le condizioni ottimali. I modelli più sofisticati offrono zone a temperatura differenziata, dalla più fredda alla più calda. Per gli appassionati di Bacco che non possono permettersi una cantina come quelle di una volta è una soluzione da non scartare.


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Astri gemelli

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Tra il 25 e il 26 aprile inquietudini riguardo agli affari e alla vita professionale. È giunto il momento di dar prova delle vostre capacità. Grazie alla Luna riuscirete a risolvere un problema in modo originale.

Attrazione verso persone anticonformiste. Viaggi inaspettati. Collaborazione con il partner in un progetto creativo. Iperattività in affari e in vertenze legali per i nati in giugno grazie a Marte e Giove.

Grande attività mentale durante tutta l’ultima settimana di aprile contrassegnata dai transiti di Giove, Marte e Mercurio. Evitate i litigi ma difendete i vostri diritti. Incontri empatici e interessanti.

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Grazie ai trigoni con Venere e Urano inizia un periodo contrassegnato da originalità e anticonformismo. Grande attività per i nati nella seconda decade stimolati da Marte. Ambizione e successi sul lavoro.

Tra il 27 e il 29 il transito lunare indurrà sbalzi umorali all’interno della coppia o con i propri colleghi di lavoro. Siate meno puntigliosi e critici nei confronti degli altri: non tutti sono dei perfezionisti.

Vita sentimentale segnata da imprevisti. Cercate di rinnovare il vostro rapporto spezzando la routine. Momenti di tensione e competività per i nati nella seconda e terza decade. Restate sempre voi stessi.

Luna particolarmente magica nei giorni tra il 27 e il 29. Accentuarsi dei vostri appetiti sessuali. Non provate a dissimulare i vostri sentimenti, ce l’avete scritto sul volto quello che provate per l’altro.

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A fine aprile possibili colpi di fulmine e rinnovamento amoroso per i nati nella prima decade. Grazie al trigono con Urano e Venere possono accadere eventi inaspettati anche nella vostra vita professionale.

Evitate di agire precipitosamente, senza farvi condurre dalla vostra proverbiale prudenza. I nati nella seconda e terza decade, tenderanno a inalberarsi facilmente di fronte a questioni di orgoglio. Attenzione alla linea.

Vita sociale in crescita per i nati nella seconda e terza decade grazie ai transiti di Marte e Giove. Novità sentimentali e incontri empatici per i nati nella prima decade favoriti dai transiti di Venere e Urano.

I nati nella seconda e terza decade evitino di identificarsi con il proprio conto in banca. Periodo invece di tendenza diametralmente opposta per i nati in febbraio, sempre più spirituali e creativi.

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Orizzontali 1. Circospetti, cauti • 10. L’antagonista del Milan • 11. Stato africano • 12. Due al cubo • 14. Arti pennuti • 15. Fiumiciattolo • 16. Squillo • 18. Cantava “Arrivederci Roma” • 19. Fiume engadinese • 21. Il dio dei venti • 22. Abitavano l’Olimpo • 23. Mezza casa • 24. La Kant di Diabolik • 25. È fatta a pioli • 28. Una via celeste • 30. Arte latina • 32. Le prediligeva Schubert • 33. Calca • 34. Dittongo in Paolo • 35. Cuor di cane • 36. Preposizione semplice • 37. Gli stanzini degli attori • 40. Il figlio di Anchise • 42. Strada cittadina • 43. Mirella nel cuore • 44. Il suolo natio • 46. Il fiore dell’oblio • 48. Un raggio del chirurgo • 49. Ione di carica negativa • 50. Pari in pianti.

Mosca soporifera • 17. Sfortuna nera • 20. Una bianca e gelida coltre • 23. Un amico di Willer • 26. La festa in maschera • 27. Abbandonarsi • 29. Thailandia e Germania • 31. Infermieri • 35. Assicurazione Militare • 37. Antiche popolazioni dell’Europa centrale - 38. Alcoolisti Anonimi • 39. La nota Pavone • 41. Gas luminoso • 45. Circolano in Giappone • 47. Due nullità.

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Verticali 1. Passano tra il 29 e il 31 gennaio • 2. Oleosi • 3. Circondate • 4. Paga il fio • 5. Consonanti in diario • 6. Norvegia e Cuba • 7. Un colore • 8. Atrio d’albergo • 9. Stupidaggine • 13. Il cattivo fiabesco • 16.

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» a cura di Elisabetta

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Ottimo periodo per tutte le attività fisiche. Grazie alla congiunzione di Marte con Giove non esitate a gettarvi nell’arena. State attenti a non andare incontro a rischi inutili. Esuberanza. Novità affettive.

La soluzione verrà pubblicata sul numero 18

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SPINAS CIVIL VOICES

DOVE C’È ACQUA, I BAMBINI CRESCONO BENE. Nei paesi del Sud del mondo, un bambino su quattro è denutrito. L’acqua può fare molto, perché dove c’è acqua, la terra è generosa, la fame sparisce e i bambini crescono bene. Il vostro contributo è come l’acqua che irriga i campi.

Donate 10 franchi con un SMS: Acqua 10 al 488.


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