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» illustrazione di Adriano Crivelli SPINAS CIVIL VOICES

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Ticinosette n° 25 24 giugno 2011

Impressum Tiratura controllata 72’011 copie

Chiusura redazionale Venerdì 17 giugno

Editore

Teleradio 7 SA, Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Agorà Videosorveglianza. Mendrisio: un film già visto Arti Musica. Il generatore esistenziale

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Visioni Le difficili parole del re Vitae Mauro Baranzini

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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MARCO ALLONI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Rifiuti. L’altro mondo

DI

FRANCESCA RIGOTTI; FOTOGRAFIE DI DIDIER RUEF . . . . . . . . .

Oggetti Automobili e conducenti. Guida sicura

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LUCA MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Gadget elettronici. La tecnologia va al mare

DI

MARISA GORZA . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Sfide Kubrick e gli alieni

Photo editor

Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier Reza Khatir

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STEFANO GUERRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

FABIO MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Letteratura. La Svizzera di Sciascia Levante Siria. Il paese invisibile

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GIANCARLO FORNASIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

(Video)camere a Mendrisio Fotografie di Reza Khatir

Il mistero del ricco e del povero Come sta l’economia? Il peggio sarà anche passato, ma le contraddizioni permettono spesso di farsi un’idea meno granitica della realtà. E allora, i poveri sono sempre più poveri, i ricchi stanno sempre meglio. Gli ultimi dati riferibili al 2010 (pubblicati dal “Wall Street Journal”) possono aiutarci a comprendere meglio il problema. Lo scorso anno le persone molto ricche sono aumentate del 12,2%: è come se sul nostro pianeta esistesse una metropoli di 12,5 milioni di persone – all’incirca lo 0,9% della popolazione mondiale – che detiene il 39% della ricchezza totale. Il paese che ospita il maggior numero di miliardari sono gli Stati Uniti (5,2 milioni), seguiti a debita distanza da Giappone e Cina. All’interno di questo 12,2% di “superricchi” vi è però una seconda e più esclusiva casta, un minuscolo 0,1% della popolazione che detiene il 22% della ricchezza totale. Da un lato chi la crisi economico-finanziaria non l’ha vista, dall’altro coloro a cui i trucchetti dell’allegra finanza hanno tolto lavoro e casa. Nelle stesse settimane il “New York Times” riassumeva la situazione occupazionale americana del mese appena trascorso (sempre maggio), uno specchio più che affidabile della crescita reale di un paese. Che ne dite, la maggiore economia del pianeta è finalmente uscita dall’impasse? Mica tanto: il tasso di disoccupazione è salito al 9,1% (era in precedenza al 9,0%) con una crescita in particolare di coloro che sono da oltre 22 settimane senza lo straccio di un lavoro (6,2 milioni su in totale di quasi

14 milioni di disoccupati americani). Per un paese che ha sempre basato la sua forza sulla flessibilità e il lavoro temporaneo (spesso sottopagato) 22 settimane in disoccupazione sono parecchie. Ma la maggiore preoccupazione degli analisti americani è un’altra: la debolezza con la quale l’economia riesce a creare nuovi impieghi. I numeri dell’occupazione sempre di maggio sono in questo senso esemplari: se gli impieghi creati negli USA sono stati apparentemente molti (54 mila), questo valore è però parecchio inferiore alle attese degli analisti, i quali puntavano a 165 mila nuovi impieghi. Una cifra a sua volta molto inferiore ai 300 mila (!) impieghi che sempre secondo gli analisti servirebbero a combattere il fenomeno. E dunque? Nulla di nuovo: chi non è ricco continua a pagare una crisi che è “terminata”, coloro che il denaro lo hanno sempre avuto non hanno mai smesso di guadagnare. Come sempre, sono i primi (i più deboli) a sbagliare. In economie dove il concetto di sicurezza pare svanito, la maggior parte di noi continua a investire sul lavoro e sull’abitazione: purtroppo, il primo di questi settori è segnato dall’insicurezza, il secondo da bolle già scoppiate o in fase di deflagrazione. Chi invece il problema della quarta settimana non lo conosce punta sempre e ancora sugli strumenti finanziari e sulla speculazione. Lì, si dice, la crisi è finita. E intanto i prezzi degli immobili lievitano, lievitano, lievitano... almeno in Svizzera. Buona lettura, la Redazione

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Mendrisio: un film già visto

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Agorà

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endrisio, 15 febbraio 2011. Seduto al tavolo della sala riunioni della Polizia comunale (Polcom), Silvio Pestelacci impugna una biro e su un foglio disegna dei cerchiolini. Poi traccia un cerchio più grande, che li contiene tutti: è il perimetro della zona entro la quale si trovano le 36 videocamere (i cerchiolini) dell’impianto di videosorveglianza del comune. “Non mi risulta che di tutte queste rapine [le sei registrate nel Mendrisiotto nel primo mese e mezzo dell’anno, ndr] ve ne sia stata una nel comprensorio allargato di Mendrisio coperto dalla videosorveglianza. Sarà un caso, non sarà un caso…? La prova del nove non l’avremo mai”, ragiona il municipale responsabile della pubblica sicurezza.1 Mendrisio, 18 febbraio 2011, ore 10 di un giorno feriale. Due rapinatori entrano in azione nel cuore del centro storico. Parcheggiano e si dirigono con passo spedito verso una vicina oreficeria. Aggrediscono e immobilizzano il proprietario, Pierre Waelchli. Poi però scatta l’allarme lanciato dalla commessa del negozio accanto. I due fuggono a mani vuote. Lungo il tragitto di andata e di ritorno, i malviventi non si avvedono – oppure se ne infischiano – di alcune telecamere di sorveglianza installate nel raggio di un centinaio di metri dall’oreficeria presa di mira. Da una di queste, la più vicina, gli inquirenti recupereranno un paio di fotogrammi: la vittima riconoscerà i suoi aggressori dai vestiti, però le immagini risulteranno troppo sfocate e non permetteranno di vedere chiaramente i volti dei due, a tutt’oggi uccel di bosco. “Visto che ci sono le telecamere, uno si aspetta che servano anche a qualcosa. Ma nel mio caso non è stato così”, dice Waelchli. Onnipotente? Oppure inutile? Benché apparentemente divergenti, entrambe le narrazioni (quella del municipale e quella dell’orefice rapinato) ci aiutano a capire come la videosorveglianza susciti spesso giudizi radicati più nelle credenze popolari che non in una pacata analisi dei fatti e nel buon senso. Mendrisio non fa eccezione: anche in questa tranquilla cittadina sottocenerina di 12 mila abitanti, gli occhi elettronici sono oggetto di aspettative elevate, alimentate tra l’altro dal marketing dei produttori di telecamere e software, oltre che dalla retorica securitaria (e in molti casi anti-straniera) di alcune cerchie politiche e gruppi interessati.

Il consenso Il sofisticato impianto di videosorveglianza firmato Siemens e di proprietà del comune è in funzione dal febbraio del 2009. Da allora “è difficile arrivare in centro senza finire sotto l’una o l’altra delle telecamere”, collegate a una centrale operativa gestita dalla Polcom.2 Il progetto si era delineato nel 2005, quando una serie di fenomeni inediti avevano creato un certo allarme: la prevista abolizione dei controlli alle frontiere (Schengen), la prospettiva dello smantellamento del posto di gendarmeria della Polizia cantonale, il forte aumento del traffico verso il centro commerciale Foxtown, oltre che alcuni gravi episodi di violenza nel centro storico e un aumento dei furti e degli atti di vandalismo3. Invocata da alcuni esponenti


Mendrisio è una tranquilla cittadina di 12 mila abitanti. Eppure anni fa si è dotata di un esteso e sofisticato impianto di videosorveglianza. Perché? A che cosa sono serviti finora i 36 occhi elettronici che sporgono dagli antichi edifici del centro storico, dai lampioni o dai muri degli autosili? E come vivono gli abitanti la presenza delle telecamere? Un’inchiesta di Ticinosette sul comune sottocenerino che, assieme a Locarno e Lugano, ha fatto da apripista per quel che riguarda la videosorveglianza pubblica in Ticino

della Lega dei Ticinesi, voluta anche dai partiti borghesi di maggioranza, la videosorveglianza ha sempre goduto di un ampio sostegno politico. Persino i rappresentanti di “Insieme a sinistra”, che a suo tempo avevano sollevato critiche e che alla fine in Consiglio comunale avevano votato contro, oggi sembrano essere a corto di argomenti di fronte all’apparente ineluttabilità, alla naturalezza con la quale l’impianto si è imposto nella realtà – dapprima politica, in seguito sociale e quotidiana – di Mendrisio. C’è da dire che il sistema è costato relativamente poco (550 mila franchi). Inoltre, il comune è stato il primo in Ticino a dotarsi di uno specifico regolamento. L’impianto risulta poi ineccepibile dal profilo della protezione della sfera privata4, oltre che funzionale da quello operativo. Le “diagnosi sulla sicurezza” realizzate dal municipio indicano che una comoda maggioranza degli abitanti dei quartieri della “nuova Mendrisio”5 ritiene utile o molto utile la videosorveglianza. E sono numerose le richieste di estensione della rete di telecamere ad aree non ancora coperte: oltre agli ex comuni/ neo-quartieri, la stazione ferroviaria e la zona delle scuole medie e del liceo. Chi ha la responsabilità politica dell’impianto oggi non ha dubbi: “L’esperienza è positiva. In particolare, assistiamo a un’inversione di tendenza per quel che riguarda i furti: dopo il picco del biennio 2006-2007, abbiamo avuto un -15% nel 2008, un -20% nel 2009 e un -10% nel 2010. Certo, non è possibile attribuire tutto alla videosorveglianza, ma sicuramente questa ha contribuito”, rileva Pestelacci. “Grossi reati, come il caso di violenza sessuale che nel 2005 fece scattare tutto l’iter [della videosorveglianza, ndr], non ne abbiamo più avuti”, osserva Brenno Grisetti, comandante della Polcom. Le immagini delle 36 telecamere sono state utilizzate in 22 occasioni nel periodo compreso tra febbraio 2009 e novembre 2010 6, e da allora una manciata di volte. Di questi 22 casi in cui le persone riprese “sono state viste [a posteriori, ndr] e acciuffate”, precisa Grisetti, 16 (il

73%) riguardano danneggiamenti delle barriere di autosili (4), dei “funghi” che regolano l’accesso dei veicoli alla zona pedonale (9), di oggetti di “arredo pubblico” (1), delle stesse videocamere (1) e di una rotonda stradale (1). Numeri che non dicono nulla In realtà, da queste cifre non si può trarre alcuna conclusione circa l’impatto della videosorveglianza sulla delinquenza e la criminalità a Mendrisio. In assenza di dati sul funzionamento di ogni singola telecamera, ma soprattutto di un’analisi comparativa (e su un arco di tempo sufficientemente lungo) fra i reati commessi nelle zone sorvegliate e quelli avvenuti nelle zone che non lo sono, le affermazioni che attribuiscono alla videosorveglianza il merito di aver più o meno contribuito a prevenire furti (Pestelacci), “grossi reati” (Grisetti) o qualsiasi altro delitto, sono destinate a restare pure speculazioni. Un confronto del genere manca anche per i furti, ritenuti l’indicatore più rappresentativo della sicurezza nel comune. In ogni caso, basterebbe un’attenta lettura dei pochi dati disponibili per capire che il quadro della situazione è diverso da quello ufficiale. I furti, infatti, cominciano a diminuire già nel 2006, quasi tre anni prima che il sistema di videosorveglianza venisse collaudato. Inoltre, lo scorso anno il loro numero si è stabilizzato (+1) proprio nella “vecchia” Mendrisio scrutata dagli occhi elettronici, mentre risulta essere in calo in tutti gli ex comuni che ne sono privi.7 Bisogna capire di che cosa stiamo parlando. Per ragioni di risparmio, il sistema di videosorveglianza adottato a Mendrisio ha una funzione prevalentemente dissuasiva: non è stato concepito in modo da poter cogliere in flagrante il maggior numero di autori di reati. Il Municipio nel 2005 sottolineava che “alla posa di un numero rilevante di videocamere, si preferisce la ripresa di vaste superfici, normalmente da posizione piuttosto elevata. L’intento è quello di limitare il numero degli strumenti necessari e quindi quello di contenere i costi”. “Abbiamo un solo

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Il paradosso e le aspettative frustrate La situazione è al limite del paradosso: stiamo parlando di un impianto di videosorveglianza prevalentemente dissuasivo, ma dal potenziale deterrente limitato (poiché ridotto è il numero delle telecamere che si è deciso di installare), e che per di più viene usato e giudicato soprattutto per la sua capacità di fornire elementi utili alla cattura degli autori di reati, compito per il quale non è stato concepito e che semmai assolverà in via per così dire... collaterale. Normale, date queste premesse, che le aspettative nutrite dalle autorità vengano deluse. A farne l’esperienza è a volte la stessa Polcom. Un agente e il vice-comandante Tiziano Muscionico ci mostrano il filmato di un furto avvenuto in pieno centro nelle prime ore dello scorso 14 gennaio. Sullo schermo si vede un uomo che fa irruzione in un negozio. Ne esce poco dopo di corsa, fuggendo in direzione della telecamera che, probabilmente a sua insaputa, lo sta riprendendo. In realtà, quella telecamera è stata messa lì per tenere d’occhio l’accesso alla zona pedonale del centro, regolato con i dissuasori (“pilomat”) che si alzano e si abbassano su comando. Se è legittimo tentare di ricavarne qualcosa per un altro scopo (in questo caso, l’identificazione di un ladro), pretendere da essa chissà quale aiuto è fuori luogo. Anche perché il furto è avvenuto di notte: l’uomo fuggendo è sì passato proprio sotto l’occhio elettronico, ma le immagini della videosorveglianza – risultate troppo sfocate – non hanno permesso di riconoscerlo. Un altro esempio: la rapina all’oreficeria Waelchli del 18 febbraio citata in apertura. Fatta eccezione per una di esse, un po’ troppo lontana però per essere vista dai malviventi (e quindi eventualmente temuta), alle telecamere pubbliche presenti nelle vicinanze del negozio la Polcom non ha assegnato una funzione dissuasiva ad ampio raggio: due sorvegliano i “pilomat”, un’altra è puntata su un edificio per proteggerlo da sprayers e potenziali vandali. Sarebbe dunque sbagliato affermare che hanno fatto cilecca, come altrettanto fuori luogo sarebbe attribuire una patente d’inefficacia all’unica telecamera che ha ripreso i rapinatori: quella telecamera, infatti, non è stata collocata per cogliere sul fatto malviventi che transitano nel suo raggio d’azione, ma unicamente per immortalare chi abusa dei vicini dissuasori, tentando di accedere alla zona pedonale senza averne diritto. Altra telecamera, stessa frustrazione per Giorgio Lazzeri, proprietario di un noto bar del centro, il “Commercio”: “Una notte, mesi fa – racconta a Ticinosette – dei ragazzi ubriachi hanno gettato per terra sedie e tavoli, qui sotto il portico. Ho chiamato la polizia, chiedendo se non avevano immagini della videosorveglianza [si riferisce a una telecamera che, a una trentina di metri dal suo bar, tiene d’occhio i “pilomat”, ndr]. Mi hanno risposto che

sarebbe troppo complicato andarle a prendere, per cui ho messo a posto la cosa con l’assicurazione senza sporgere denuncia”. “Ma sono accese? Funzionano davvero?”, ci chiedono separatamente Waelchli e Lazzeri. Per loro le telecamere non hanno cambiato nulla. A fronte di un diffuso atteggiamento oscillante tra l’indifferenza e la diffidenza, c’è comunque chi, come l’architetto Désirée Rusconi, con un ufficio nella zona videosorvegliata, di telecamere ne vorrebbe di più, ritenendole “una buona cosa per la dissuasione”. Per Mauro Paolocci, titolare di una libreria lì vicino, Mendrisio invece “è sicura adesso come lo era prima [della videosorveglianza, ndr]: salvo i giorni della Sagra dell’Uva, qui non vedo una delinquenza tale da giustificare un impianto del genere, ma se rassicurano qualcuno, tanto meglio...”. I giornali con una redazione nel borgo (“L’Informatore” e il “Giornale del Popolo”) negli ultimi anni hanno scritto poco o nulla di videosorveglianza. Nella sede dell’ “Informatore” non ricordano né lettere dei lettori, né articoli d’approfondimento. “Niente. Anche perché qui la sera puoi andare in giro nudo che nessuno se ne accorge...”, fa notare Rolf Stephani, caporedattore al “GdP”. Parliamo d’altro “Effettivamente Mendrisio era ed è ancora una cittadina tranquilla, ma è una realtà in pieno movimento, con un aumento di traffico veicolare e di persone”, afferma Silvio Pestelacci. Allora, come scriveva il municipio anni fa, si tratterebbe – anche grazie alla videosorveglianza – di “preservare il livello di sicurezza attuale”. Una sicurezza che spesso viene ricondotta a un tranquillo passato che esiste più nella fantasia che nella realtà. “Sinceramente, Mendrisio mi sembra più sicura oggi, a parte la Sagra dell’Uva” dice a Ticinosette Antonia Bremer, nata e cresciuta a due passi da Piazza del Ponte, il cuore del borgo, e che ancor oggi abita e lavora nel centro storico. “Semmai la videosorveglianza ci voleva negli anni Settanta e Ottanta, quando c’erano le rapine e la gente che frequentava alcuni locali qui vicino ogni tanto si prendeva a botte. Ma allora non c’erano tutti questi palazzi rimessi a nuovo nel centro, e forse è per questo che sono state messe le telecamere”. “Il problema – osserva Giorgio Lazzeri – è che il centro storico è morto. Ma ha già fatto un giro qua intorno la sera? È deserto. Per carità: il Casinò e il Foxtown ci hanno abbassato le tasse. Ma da quando ci sono loro e dal centro se n’è andata la Manor, il fulcro della vita sociale si è spostato: basta guardare quante famiglie passano le loro domeniche al Foxtown! E intanto i piccoli commerci – ce n’era un’infinità qui attorno fino a qualche tempo fa – scompaiono”. Viene allora da chiedersi se non sia il caso di parlare del perché, del come e di chi costruisce il tanto sbandierato “sentimento d’insicurezza” della popolazione, piuttosto che disquisire su un pugno di telecamere chiamate a rispondervi.

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» di Stefano Guerra; illustrazione di Antonio Bertossi

agente nella centrale operativa, che inoltre deve occuparsi anche dello sportello. A Bergamo invece hanno 11 agenti che fanno solo questo”, osserva il comandante della Polcom. In condizioni del genere, le possibilità di pronto intervento a seguito di un allarme che scatta dalla centrale operativa sono assai limitate. Ma soprattutto, e benché le immagini siano effettivamente state utilizzate in alcune inchieste in collaborazione con la Polizia cantonale, “difficilmente si riesce a risalire a posteriori” a chi ha commesso un reato, ammette Grisetti. Uno dei motivi è che dalle immagini registrate in notturna si ricava poco o nulla: “Dove c’è illuminazione, sullo schermo si riesce a vedere, ma di solito non al punto da poter identificare l’autore. Ci vorrebbe un software particolare, ma bisognerebbe spendere un sacco di soldi”.

Note 1 A inizio maggio Silvio Pestelacci ha rassegnato le dimissioni dal Municipio. 2 Silvio Pestelacci, intervista realizzata il 15 febbraio 2011. 3 Relazione di Silvio Pestelacci al pomeriggio informativo “La videosorveglianza su suolo pubblico” (Locarno, 17 novembre 2010). 4 Le telecamere criptano i tratti somatici delle persone restituendole unicamente sottoforma di sagome. Soltanto in caso di bisogno il personale autorizzato può decifrare le immagini rendendo nitidi gli individui filmati. 5 Risultato dell’aggregazione di Mendrisio con gli ex comuni di Arzo, Capolago, Genestrerio, Rancate, Salorino e Tremona. 6 Relazione di Silvio Pestelacci (vedi nota 2). Le telecamere che sorvegliano edifici e strutture pubbliche sono nove; sette di queste hanno una funzione dissuasiva e riprendono spazi pubblici quali strade, piazze e parchi, soprattutto nel centro storico; dodici sorvegliano la situazione del traffico nei principali snodi stradali; otto si trovano negli autosili. 7 “Rapporto d’attività 2010 della Polizia comunale di Mendrisio”, febbraio 2011, p. 13.


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Il generatore esistenziale I Van Der Graaf Generator rappresentano probabilmente l’unico gruppo rock di estrazione progressive che è stato capace di metabolizzare l’esperienza del punk, attraversando epoche differenti ma mantenendo una salda presa sul proprio pubblico

Ai tempi l’unica rivista di musica sostanzialmente leggibile

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» di Fabio Martini

Arti

Hammill (non lontana, per molti versi, da quella di un altro era “Ciao 2001” che dedicava la copertina del n° 21 del 1973 grande vocalist britannico, Robert Plant), che si muove con al gruppo inglese guidato dal cantante e compositore Peter disinvoltura fra registri espressivi diversi e lontani, unitamente Hammill. Si trattava, ma gli ultracinquantenni sicuramente alle sue qualità di songwriter e leader carismatico del gruppo, lo ricordano, di un periodico settimanale che, pur con le contribuiscono a fare dei Van Der Graaf Generator una delle sue innegabili ingenuità, forniva al pubblico di lingua ita- band più singolari del panorama inglese. A tal punto che lo liana un quadro del rinnovamento musicale dell’epoca: dai stesso Robert Fripp dei King Crimson, uno dei chitarristi più gruppi progressive alla scena newyorkese di Andy Wharol, dal perfetti e originali della storia del rock, non rifiuterà l’invito a minimalismo di Terry Riley ai Rolling Stones, da Battisti al partecipare alle registrazioni di H to HE. I Van Der Graaf sepcosmic rock germanico. La musica pop e rock, almeno nelle sue pero dunque individuare una propria inconfondibile poetica, migliori espressioni, veniva liberandosi dalla ricerca del definita senza troppi giri di virtuosismo – ne è un esemparole “musica d’avanguarpio il loro tastierista Hugh dia”. Insomma, per giovani Banton, musicista discreto e giovanissimi il “Ciao 2001” e misurato, se messo a conera – unitamente alla trasmisfronto con i Keith Emerson sione radiofonica di Radio e i Rick Wakeman dell’epoca, Rai 2 “Per voi giovani”, conma capace di arrangiamenti dotta da Renzo Arbore, Carlo micidiali – e mirando a fare Massarini, Fiorella Gentile e del rock un’occasione per Riccardo Bertoncelli – lo struscavare nell’inconscio e nei mento principale per entrare meandri più profondi della nel vivo dell’atmosfera musimente e dell’anima. cale della prima metà degli anni Settanta, un periodo Crisi e rinascita dominato in particolare dal Entrati intorno alla metà progressive rock un genere che degli anni Settanta in una aveva nei gruppi degli Yes, fase di crisi creativa – che Van Der Graaf Generator: da sinistra Guy Evans, Hugh Banton e Peter Hammill (www.performing-musician.com) dei Gentle Giant, dei King non coinvolgerà Hammill Crimson, dei Genesis e, apavviato a una proficua carpunto, dei Van Der Graaf Generator i suoi esponenti di punta. riera solistica – i V.D.G.G. troveranno ulteriore linfa con una Ma questi ultimi, fin dai loro primi album – The Least We Can formazione rinnovata che vedrà la sostituzione di David Do Is Wave To Each Other (1970), H to HE (1970) e Pawn Hearts Jackson con il violinista Graham Smith. Ne scaturirà il doppio (1971), i più significativi –, mostrano una netta refrattarietà ad dal vivo Vital (1978), un concerto memorabile, registrato al accogliere i formalismi e gli eccessi estetizzanti di marca un Marquee Club di Londra nel gennaio del 1978. Il disco segna po’ fantasy dei colleghi, preferendo orientarsi piuttosto su una il definitivo abbandono della dimensione epico-sinfonica vena drammatica e psichedelica, non esente dalle influenze (peraltro mai centrale nei loro esordi) a favore di un suono della miglior fantascienza dell’epoca (sono passati pochi anni aspro e tagliente, segnato dal suono delle chitarre e del violino dall’uscita di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e elettrificato, da un cantato ancora più acceso e lancinante, il sono gli anni del grande successo commerciale di Philip K. tutto permeato dalle modalità musicali introdotte dal punk. Dick, Isaac Asimov, Clifford Simak e Ray Bradbury). Con Vital si interruppe la storia del gruppo a cui Hammill e compagni hanno però ridato vita in tempi recenti. Nonostante Un percorso originale chi scrive non possa tacere l’indubbia emozione provata nel A gnomi, folletti, fatine e battaglie medievali Hammill & riascoltare dal vivo brani come “Refugees” o “House with no C contrappongono infatti la solitudine cosmica dell’essere door”, resta la perplessità di fronte alla riproposta di reunion (“House with no door” e “Lost”), le ambivalenze interiori del genere: operazioni forse sincere ma certo inclini a trasfornell’uomo (“Killer”), la scienza come occasione di sviluppo ma mare il rock in una sorta di polverosa musica da repertorio, anche di rischio per l’umanità (“Pioneers over C”), l’integrali- conclusione a cui, a mio parere, questa musica non sembra smo religioso (“White Hammer”). La straordinaria vocalità di affatto destinata.


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La Svizzera di Sciascia

Lo scrittore siciliano e la sua trentennale frequentazione della Svizzera: una storia di ammirazione per un paese magari meno fantasioso e “pazzo” rispetto a quello natio, ma libero, laico e capace di superare la miseria per giungere al benessere. Una attaccamento segnato da un pizzico di sana invidia…

» di Roberto Roveda

Società

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La verità, era quello il fine ultimo di ogni ricerca per Leonardo Sciascia. Una verità da scovare e palesare anche se scomoda, soprattutto se scomoda, non ufficiale, spinosa come i frutti del fico d’India della natia Sicilia. Non a caso Sciascia, pur amando la sua terra di un amore sconfinato e struggente, è stato tra i primi a denunciarne le storture, le debolezze e le collusioni della sua gente, a parlare apertamente di mafia come di un problema sempre attuale, non relegato a un passato ormai chiuso con la modernità e l’industrializzazione. Diceva della sua isola è “un luogo bellissimo, in cui non si può respirare”1 e lo diceva con tristezza sconsolata, però non taceva. Anzi, utilizzava i mali della Sicilia e della sua gente per parlare del mondo, perché la Sicilia era per lui “metafora del mondo. Essendo stata per secoli crogiuolo dei mali del mondo, oggi è l’immagine di tutti i mali di cui può morire il mondo”.2 Era questa vena universale che consentiva allo scrittore di Racalmuto, la cittadina in provincia di Agrigento dove era nato nel 1921, di essere apprezzato anche al di fuori dei confini non solo isolani, ma anche italiani. Uno Sciascia dal profilo internazionale al centro della collana intitolata “Sciascia, scrittore europeo” dell’editore Olschki di Firenze e inaugurata dal volume Troppo poco pazzi. Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera, a cura di Renato Martinoni, ordinario di Letteratura italiana all’Università di San Gallo. La Confederazione vista dalla Sicilia La lettura del volume permette così di scoprire le frequentazioni elvetiche dello scrittore siciliano, assidue e lunghe più di un trentennio, dal 1957 al 1989, anno della morte. Frequentazioni in una terra che attirava Sciascia, perché sentiva la Confederazione come una sorta di ponte verso l’Europa, dove era più semplice per lui, siciliano doc, entrare in contatto con il mondo tedesco e francese, grazie anche al fatto che l’italiano è una lingua nazionale. E se grazie alla Svizzera lo scrittore si avvicinava alla cultura continentale europea, allo stesso tempo il mondo tedesco e quello francese scoprivano Sciascia. Non a caso le prime traduzioni in lingua tedesca dei suoi romanzi vennero approntate da editori della Svizzera interna, non della Germania. Aria di libertà! Al contempo Sciascia trovò in particolare nel Canton Ticino, nelle sue riviste e nei suoi quotidiani, in particolare nel “Corriere del Ticino”, un pulpito da cui rivolgersi ai suoi lettori con maggiore serenità e con minori vincoli rispetto a quello che gli era concesso nell’Italia dell’epoca. In Svizzera, Sciascia non fa mistero di respirare un’aria diversa da quella molto conformista e bigotta dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, ancora divisa tra clericalismo e comunismo. Un’aria di più antica tradizione democratica, liberale e laica. Sembra quasi riproporre, lo scrittore siciliano, il pensiero di Ugo Foscolo che, esule a Lugano, pensando alla sua patria dominata dallo straniero affermava degli svizzeri: “Uomini che parlando italiano sono tuttavia liberi”. Ma al di là di questo desiderio di boccate d’aria pura e degli interessi dell’intellettuale affamato di cultura europea, il rapporto di Sciascia con la Confederazione si connota di qualcosa di ancora più profondo: la scoperta di una sorta di consonanza


tra la natia Sicilia, la Svizzera in generale e il Ticino in particolare. Sciascia vedeva nel nostro cantone e nella Sicilia, per usare le sue parole, due “marche di confine”, due lembi di terra circondati, schiacciati tra mondi diversi. L’isola natia chiusa fra Mediterraneo arabo ed Europa latina, il Ticino incuneato fra il confine italiano e il mondo tedesco. Isole entrambe… la seconda sprovvista del mare. Proprio questa consonanza fra le due terre fa scaturire nello scrittore un’ammirazione che si estende poi, dopo tanti soggiorni elvetici, a tutta la Svizzera e a tutto il suo popolo: “Nella misura in cui considero noi siciliani pazzi, considero gli svizzeri troppo poco pazzi, perché hanno quello che noi non abbiamo e hanno fatto quello che noi non abbiamo fatto. In effetti la Svizzera è una terra più povera della Sicilia, però ha raggiunto un grado di benessere che la Sicilia non si sognerà. Sì, la Svizzera è troppo poco pazza, forse anche troppo, il troppo si può anche usare in senso negativo”3. Una Confederazione quindi “troppo poco pazza” per il siciliano Sciascia, ma da guardare però con quel pizzico di sana invidia nel momento in cui ritornava ai drammi della propria terra. consiglio alla lettura: Renato Martinoni (a cura) Troppo poco pazzi Olschki Editore, 2011 Le frequentazioni, gli scritti, le interviste (in Dvd allegato) di Leonardo Sciascia in Svizzera in un volume che ripercorre trent’anni di presenza dello scrittore siciliano nella Confederazione. Agli internauti ricordiamo anche il sito dell’associazione Amici di Leonardo Sciascia (www.amicisciascia.it), fondata a Milano nel 1993 e che si propone di stimolare la lettura e la ricerca in merito al pensiero e all’opera dello scrittore di Racalmuto.

Media Società

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note 1 Intervista a Leonardo Sciascia di Emilia Granzotto intitolata “Siamo tutti siciliani” e pubblicata sul settimanale “Panorama” l’8 novembre del 1973. 2 Idem. 3 Intervista radiofonica realizzata da Giulio Villa Santa nell’ambito della serie “Opinioni attorno a un tema” mandata in onda dall’allora RTSI il 10 gennaio 1974.

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Il paese invisibile Il meccanismo delle rivoluzioni arabe si ripresenta identico in tutti i paesi coinvolti. La popolazione, esasperata da decenni di dittatura – tavolta tramandata di padre in figlio, come nel caso della Siria – si riversa nelle strade per chiedere a gran voce il cambiamento: pacificamente e senza nessun leader designato a guidarla

La

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Tutto per tutto Vista la ferocia del regime, i manifestanti sono comunque persuasi a questo punto che qualunque forma di “dialogo nazionale” sia ormai fuori discussione: la sfiducia totale in qualsiasi sforzo diplomatico alligna trasversalmente in tutta la popolazione. D’altronde il presidente Al-Asad quale, pur simbolica, concessione ha fatto al popolo in rivolta? Nessuna, tranne due risibili atti che non spostano di un millimetro i problemi della gente: la soppressione della Legge d’emergenza in vigore ormai da 48 anni e la concessione della nazionalità siriana ai curdi presenti sul territorio. Sostanzialmente bazzeccole. Inoltre c’è chi, come il dirigente d’opposizione Walid Al-Bunni, ritiene che Al-Asad avrebbe ancora qualche chance di salvare la situazione. Per esempio “facendo quello che numerosi dirigenti dell’Europa dell’Est hanno fatRepressione e morte to alla fine dell’era sovietica: Restiamo alle cifre: da quanprocedere a una transizione do, a ridosso di quella tunisidemocratica candidandosi lui na ed egiziana, la rivoluzione stesso, eventualmente, a elezioManifestazione antigovernativa a Damasco (www.ilsecoloxix.it) siriana ha avuto inizio, si ni trasparenti e senza brogli”. contano oltre 800 morti, più di 8.000 arresti e migliaia di cit- Illusioni? Vista la mentalità dei satrapi arabi probabilmente tadini che hanno preso la via dell’esilio. Quanto alla risposta sì. Ma allo stesso tempo non possiamo ignorare il peso che del regime essa segue un risaputo canovaccio: dapprima la potrebbero avere nei prossimi tempi le pressioni delle porepressione brutale, poi la smentita di qualunque dato ufficia- tenze internazionali, Stati Uniti e Unione Europea in testa, le – vale a dire i pochi che giungono dalle organizzazioni in che di recente hanno congelato i beni del presidente Al-Asad difesa dei diritti umani – e infine l’accusa che le violenze sono e cominciato a fare pressioni sul suo maggiore alleato nella da attribuire a gruppi terroristici o a bande armate di criminali regione (l’Iran) per ricondurlo a buoni consigli. Altra misura comuni. Insomma, anche lo sfottente Bashar Al-Asad se ne lava intrapresa contro Al-Asad e 13 membri del suo gabinetto è disinvoltamente le mani. Mossa azzardata e controproducente, stata poi – questa volta da parte dei 27 della UE – quella di poiché alla sua arroganza il popolo risponde intensificando negare loro il visto d’ingresso in Europa e di decretare un le manifestazioni ed enfatizzando la natura irreversibile delle embargo sull’importazione di armi, nonché una sospensione recriminazioni. Ultimamente è sceso addirittura in piazza – a di qualsiasi aiuto allo sviluppo del Paese: di cui però finiransignificare sarcasticamente la propria intransigenza – a petto no probabilmente per ricadere vittime gli innocenti, cioè la nudo. Come a dire: “Sparate pure, non retrocederemo. E come cittadinanza comune. vedete, siamo ben meno che armati”. Misure sufficienti? Lo vedremo. Intanto è il segno, drammaMa i media occidentali riescono a riprendere scene come ticamente tardivo, che l’Occidente, oltre alla Libia, inizia ad queste? Di norma, purtroppo, no. E questo stupisce, visto accorgersi anche di questo “paese invisibile” il cui presente che le situazioni sono tra le più impressionanti: ad Homs, per paga oggi, va detto, più che la sola politica di Bashar Al-Asad esempio, le forze di sicurezza hanno sparato su un funerale quella del padre Hafez Al-Asad, secondo in crudeltà e cinismo provocando decine di morti. solo a Saddam.

» di Marco Alloni

Levante

risposta dei regimi alle rivoluzioni nordafricane e mediorientali è stata univoca: reagire alla piazza con la forza negando sistematicamente che si tratti di sollevazioni spontanee e non violente. Anzi, non di rado negano persino che abbiano avuto luogo. E solo quando la cosa è ormai palese ne attribuiscono la responsabilità a qualche “provocatore straniero”: a scelta Al-Qaeda, il Mossad o l’Occidente imperialista. A questo schema non fa eccezione la Siria, di cui riusciamo a sapere poco o nulla per il semplice fatto che restrizioni draconiane sono state imposte ai media stranieri, e questi possono coprire gli eventi, ormai da mesi, solo a prezzo di enormi difficoltà e sotto un livello di sorveglianza che ricorda gli anni d’oro di Hafez Al-Asad. Qualcosa tuttavia trapela. E quello che trapela è di una gravità devastante.


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Visioni

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Il discorso del re regia di Tom Hooper Regno Unito/Australia 2010

Un uomo di fronte ai suoi doveri di monarca e ai suoi limiti

» di Roberto Roveda

di essere umano sullo sfondo della storia europea nei fatidici anni Trenta del Novecento: questo è Il discorso del re, pellicola pluripremiata agli Oscar 2011 (miglior film, regia, sceneggiatura originale e attore protagonista). La vicenda prende le mosse alla morte di re Giorgio V d’Inghilterra. Il trono spetta allo spigliato figlio maggiore, Edoardo VIII, che però abdica travolto dallo scandalo che suscita la sua relazione con l’americana Wallis Simpson. Lo scettro deve dunque passare al figlio cadetto, il duca di York, chiamato da tutti Bertie (Colin Firth). Ma le cose non sono così semplici: siamo nel 1938 e il paese, sull’orlo della Seconda guerra mondiale, ha bisogno di un leader capace di infondere coraggio e forza d’animo, che sappia soprattutto comunicare. In un’epoca in cui la radio è entrata ormai in quasi ogni casa e in cui Hitler e Mussolini dominano la scena con la forza della loro demagogia, la parola e la voce sono, infatti, le nuove protagoniste della scena politica. Ma il neo sovrano è afflitto fin dalla più tenera età da un difetto che compromette le sue capacità di oratore: soffre di balbuzie. Come potrà rivolgersi al suo popolo sfruttando la nuova “arma”, la radio? Ci riuscirà grazie all’intuizione della moglie Elisabeth (Helena Bonham Carter) che metterà al fianco del marito il poco ortodosso, ma geniale logopedista autodidatta Lionel Logue (Geoffrey Rush). Inizia così per il futuro Giorgio VI un percorso che lo trasformerà da vanesio e fragile rampollo della nobiltà in una guida per la nazione. Un percorso in cui lo spettatore vede intrecciarsi a temi come l’amicizia tra due uomini diversi per cultura, nazione ed estrazione sociale, la capacità di essere leali anche contro la propria convenienza, l’incontro tra Nuovo e Vecchio mondo, il ruolo dei mezzi di comunicazione, l’identità della monarchia inglese, il peso dell’educazione… Il tutto diretto con maestria dal regista Tom Hooper, che interpreta la vicenda con sottile ironia, evitando cadute melodrammatiche o eccessi di sentimentalismo, e con grande attenzione ai dettagli e agli interni d’epoca. Sostenuto da un Colin Firth in stato di grazia – ma Rush non gli è certo da meno –, il regista rende evidenti le intime esitazioni del sovrano, combattuto fra l’orgoglio dinastico e la fondamentale conquista di una migliore padronanza di sé attraverso strumenti poco ortodossi e certo poco regali come parolacce liberatorie, ginnastica e musica. Film elegante, fin troppo patinato e impeccabile nella confezione, Il discorso del re coinvolge lo spettatore che sa già che la parabola di Bertie è destinata al lieto fine. Un film da Oscar, quindi, nel bene e nel male che la definizione può suggerire.

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» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Igor Ponti

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deve essere attivo nel gestire l’apparato economico, anche se l’economia di mercato non può certo eliminare le ingiustizie del nostro sistema. Ho conservato una vignetta satirica eloquente che ritrae i più alti dirigenti delle banche svizzere mentre uno di loro dopo il crack economico afferma: “Colleghi banchieri, il Consiglio federale ha fatto un golpe. Non siamo più noi a governare la Svizzera”. Il DNA trasmette anche passioni, eccome! Da mio padre, nato da madre urana a Lucerna, ho ereditato la passione per la musica popolare svizzero tedesca, dello Schwitzerdütsch, delle fattorie con Economista e accademico, segue le teorie tanti gerani rossi e con le loro keynesiane propugnando un’economia di enormi cataste di legna, ben mercato che trae forza dall’etica e fonda allineata, fuori dalla porta. L’ho accatastata anch’io, con le sue risorse sull’intervento dello Stato i miei figli, davanti alla nostra casa di Bellinzona, dove siamo (operaio e attivista sindacale tornati dopo lunghi anni all’estero. Le radici che è stato imprigionato a contadine sono quelle di mia madre, impronLucerna nel 1918 in occasiote e ricordi di vita che ho ricercato con grande ne dello sciopero generale). rispetto negli ultimi anni e che sono stati Il mio cuore di economista oggetto di una pubblicazione apparsa due batteva (e continua a batteanni fa. I ceppi familiari di mia madre, quelli re) a centro-sinistra. Non fu dei Nonella e dei Bassi, erano rispettivamente per caso che, dopo 15 anni attestati ad Arbedo nel Cinquecento, e a Isone trascorsi a Oxford, ci spostamall’inizio del Quattrocento. Poi, con quella mo a Cambridge, la cittadella dei Baranzini, le famiglie si sono ritrovate a di Keynes e dei suoi seguaSant’Antonino 150 anni orsono. Non posso ci. Conobbi in quel periodo fare a meno di specchiarmi nel mio passato. l’italo-svizzero Luigi Pasinetti, Occorre aver trascorso del tempo lontano dal che a Cambridge insegnò per nostro Paese per apprezzarne le qualità, dalla vent’anni. La sua fama lo anscuola pubblica che è una delle migliori al novera fra i cento economisti mondo, alla nostra sanità (ancorché costosa) più importanti del Novecenche è qualitativamente di altissimo livello. Lo to. La mia soddisfazione fu Stato sociale è tra i migliori al mondo, con una grande quando, nel 1996, lo pubblica amministrazione improntata all’effichiamammo a insegnare nella cienza e con dei servizi pubblici funzionanti. neonata Facoltà di economia Il Ticino è cresciuto in modo impressionante; di Lugano. i pronipoti degli emigrati, quando tornano Gli economisti hanno una in visita nel loro paese, si meravigliano nel responsabilità sociale che non vedere quanto esso si divenuto prospero. può essere disgiunta dall’etica Il Ticino e i ticinesi non sono la costruzione perché i valori etici sono antedi un retaggio storico e nemmeno un’incedenti a ogni ragionamento venzione sociale. Non dimentichiamo che i “mercantile” o “finanziario”. ticinesi si sono battuti con fierezza contro le Essere un economista keyforze prevaricatrici dei balivi, mantenendo nesiano significa mettere la inalterata la loro autonomia cantonale nel scienza economica al servizio rispetto del federalismo, anche al cospetto della società per le fasce meno dei loro amici confederati. Sapremo far fronte fortunate. Vuol dire interessaralle difficoltà perché abbiamo strutture e istisi della disoccupazione giovatuzioni di qualità, intenzionate ad affinare e nile, della mal distribuzione rafforzare le potenzialità. Ci aspettano ancora del reddito e della ricchezza, molti cambiamenti che tuttavia porteranno sostenere l’idea che lo Stato altrettante soddisfazioni a tanti livelli.

Mauro Baranzini

Vitae

ono nato nel 1944 a Bellinzona. Dopo aver studiato scienze economiche a Friburgo, Zurigo e Oxford, dal 1975 all‘84 sono stato docente e director of economic studies al Queen’s College dell’Università di Oxford. In seguito ho insegnato all’Università Cattolica (Milano) e a Verona. Dal 1997 insegno all’USI, dove ho ricoperto il ruolo di decano nella Facoltà di economia. Ho trascorso lunghi periodi negli Stati Uniti e soprattutto a Cambridge, in Inghilterra. I premi di riconoscimento, come quello dell’Accademia dei Lincei di Roma, non sono stati unicamente un segno di prestigio professionale ma anche un incentivo importante. Risiedo a Bellinzona, con mia moglie Evelina Buzzi, con la quale ho avuto quattro figli. Da mio padre ho ereditato il senso del dovere, della puntualità e del servizio alla comunità. Mia madre mi ha trasmesso grande spirito critico, il senso dell’etica e la passione per la scrittura. Questi valori mi hanno sempre accompagnato. Certo la vita non è tutta diplomi, lustrini, premi e approvazioni. Anche perché l’ambiente accademico non è sempre tutto rose e fiori. Quattro figli sono sovente fonte di preoccupazioni ma anche la moltiplicazione di gioie infinite. Con una famiglia numerosa devi in continuazione considerare le tante responsabilità. Per decenni siamo sempre stati con la valigia pronta in mano. Mi sono capitati momenti in cui mi sono sentito solo e scoraggiato. Ricordo gli scontri intellettuali che ebbi per anni con i miei direttori di tesi, e poi colleghi, a Oxford (uno di loro, James Mirrlees, ha ricevuto il Nobel nel 1996); non condividevo la loro visione dell’economia. Erano oxfordiani di ferro, fautori del libero mercato e del non intervento dello Stato nell’economia. La mia era una convinzione di fervente keynesiano: non potevo ignorare la matrice sindacalista di mio padre e di mio nonno

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Per parlare di rifiuti, possiamo prender spunto da Napoli, città peraltro stupenda e “nobilissima”, città “milionaria”, così bella da vedere e poi morirne, oggi purtroppo nota, in Italia e all’estero, a causa principalmente dei suoi rifiuti, della sua immondizia, della “monnezza”, come si dice in dialetto partenopeo. Al tema dei rifiuti, di qualsiasi genere o tipo essi siano, il fotografo Didier Ruef ha dedicato una ricerca ventennale che lo ha condotto nei luoghi più diversi e lontani del pianeta. Perché la “monnezza” è figlia legittima del nostro mondo

L’altro mondo testo di Francesca Rigotti fotografie di Didier Ruef


sopra: Bassora (Iraq). Heider Mohalhel, 23 anni, ferito durante l’attacco da parte di aerei della coalizione, riceve visita dalla sua famiglia (2003) in apertura: Alang (India). Gli addetti alla demolizione di una nave salgono a bordo arrampicandosi lungo la catena dell’ancora (1992)

Immondizia e cosmetici È curioso che a Napoli l’immondizia venga chiamata monnezza e l’immondezzaio monnezzaio, in quanto nella sonora forma dialettale scompare proprio quel prefisso in che nei vocaboli di origine latina vale come negativo, quale sinonimo di non. L’immondizia, che denota sporcizia, roba sudicia, spazzatura, rifiuti, è l’insieme di ciò che è im-mondo, in-mondo, non-mondo: sudicio, lercio, sozzo. Mondo, come aggettivo, è il suo contrario: ciò che è pulito e ordinato. Anche il sostantivo mondo, il mondo, vuol dire la stessa cosa anche se non ci pensiamo mai; significa infatti ciò che è bello, ordinato e strutturato. Proviamo allora a cercare un sinonimo di mondo: universo? Sì va bene ma non ci serve adesso. Cosmo? Ecco, questo è perfetto, perché cosmo indica in greco (kosmos) quello che mondo significa in latino (mundus): prima che volta celeste e globo terrestre, luogo pulito, ordinato, strutturato; nonché anche adornato, abbellito, da cui cosmetico, ciò che orna e rende più belli. Sta di fatto che, in molti luoghi del mondo, nelle discariche la gente ci vive, in sgangherate capanne fatte di resti, avanzi, detriti, in mezzo a puzze insopportabili che nessuna fotografia può rendere perché le immagini non parlano ai sensi bassi dell’odorato, del gusto e del tatto. Non parlano nemmeno al pur nobile senso dell’udito in quanto coinvolgono solo il più alto dei sensi, la vista, i cui organi, gli occhi, sono in posizione elevata sia nel corpo sia nel viso.

La rhyparografia Non ci piace dunque l’immondizia o almeno non piace al linguaggio, che la definisce disordinata, brutta, priva di ornamenti. Se ne possono fare foto artistiche come queste, certo. O si può immaginare di dipingerla o addirittura di usarla come tema per mosaici da pavimenti. Come nel mosaico di Soso di Pergamo, del II o III secolo a.C., detto della “camera non spazzata” (asàrotos oíkos), nel quale resti di cibo – lische di pesce, ossa di pollo, valve di conchiglie, torsoli di frutta, gusci di noce e d’uovo – sono sparpagliati per terra come se i servi avessero trascurato di pulire il pavimento della sala dopo il banchetto. La pittura di sporcizia, rimasugli e avanzi ha anche un nome nella storia dell’arte; si chiama “rhyparografia”, dal greco rhyparós, sporco, sordido. Il fotografo Didier Ruef sta facendo della rhyparografia senza saperlo – o forse lo sa perfettamente – nel ritrarre la discarica a cielo aperto in cui si aggira il bambino con l’ombrello, o il deposito, anch’esso all’aria e al sole, di vecchi schermi e pezzi di computer, decaduti in pochi anni da capolavori della tecnologia al rango di rifiuti; o nel ritrarre quella curiosa teoria di sanitari che noi chiamiamo “alla turca” ma chissà in Turchia come li chiamano, che si snoda sul terreno come un tappeto da cerimonia. Dovrebbero raccogliere escrementi organici umani quelle ceramiche bianche col buco in mezzo e il ripiano per i piedi, invece sono poste lì per uno scopo che ci sfugge, probabilmente non artistico come nel caso dell’orinatoio di Marcel Duchamp, che solo una società del benessere poteva immaginare di esporre e venerare.


Al Sadr City, Baghdad (Iraq). Resti di proiettili stoccati vicino a una scuola elementare. Saranno poi venduti come materiale per il riciclaggio (2003)

Kuito, provincia di BiĂˆ (Angola). Fori di proiettile sulla parete di un edificio. I bambini giocano a calcio con un pallone fatto di tessuti legati assieme con una corda. Nel 1993-1994 e nel 1998-1999 la città è stata pesantemente colpita dalla guerra civile (2000)


sopra: Utah, contea di Tooele (USA). Un lavoratore di un impianto che produce armi chimiche per l’esercito verifica l'efficienza di una maschera a gas (1998) sotto: Chaquelane (Mozambico). Un lavoratore prepara latrine in un campo per sfollati gestito dalla Ong Médecins Sans Frontières (2000)

Escrementi del metallo I rifiuti nucleari invece non vengono definiti spazzatura o immondizia ma hanno un nome a sé: “scorie”. Si tratta di un genere assai speciale di monnezza, indistruttibile, immortale come gli dei, praticamente eterna, che sopravviverà alla vita degli animali e delle piante, dei fiumi, dei laghi e delle foreste. Le scorie sopravviveranno alla donna con gli stivali che cura il suo orto e a tutte le generazioni a seguire, lordando il loro mondo che mai più sarà ordinato, bello, pulito e adorno. Le scorie sono, lo rivela la radice greca della parola, lo sterco del ferro, l’escremento del metallo, la feccia dalla quale, a guisa di spuma, si purgano i metalli nel corso dei diversi processi di fusione. Mai nome ci parve più adeguato, ripensando agli incidenti di Chernobyl e di Fukushima e alle loro tragiche conseguenze sull’Europa orientale e sul Giappone, nonché alle decisioni cui il senno di poi sembra aver condotto i governanti di alcuni paesi e i cittadini di altri, rivelatisi molto più avveduti dei loro governi.

Ercole e i rifiuti del re La lotta quotidiana per mantenere il mondo pulito presenta ben poche rassomiglianze con le gesta eroiche; pare che la costanza nel mettere ordine e pulizia oggi nel mondo sporcato e messo in disordine ieri non sia coraggio ma solo inesorabile ripetizione. Eppure c’è almeno un eroe della mitologia, nientemeno che Ercole, che fu chiamato proprio a confrontarsi con la pulizia dalla monnezza, organica questa volta, ovvero il letame delle bestie che si era accumulato per anni nelle stalle del sovrano dell’Elide. Questa della pulizia delle stalle è veramente una delle dodici fatiche del semidio, ma noi la leggiamo nella versione di Friedrich Dürrenmatt (Herkules und der Stall des Augias, dramma radiofonico del 1954). In essa l’eroe tebano viene chiamato dal re Augia per spazzar via il letame dalle stalle ma dopo molte peripezie Ercole non si occuperà dei rifiuti dell’Elide perché alla fine il sovrano avrà compreso che non spetta all’eroe straniero ma al popolo dell’Elide (Napoli?) ripulire il proprio paese dall’immondizia e renderlo di nuovo mondo.


Manila (Filippine). Un ragazzo con un ombrello cammina in una discarica vicino a un gruppo di operai intenti a raccogliere rifiuti da rivendere come prodotti riciclati (1992)

Nanyang, frazione del comune di Guiyu (Cina). Un operaio intento a smontare vecchi computer, monitor e componenti elettronici (2004)


Didier Ruef Recycle Edizioni Casagrande, 2011 Il volume raccoglie fotografie realizzate fra il 1991 e il 2008 sui temi dei rifiuti e del riciclaggio. Ruef ha catturato una varietà di situazioni rivelando al contempo il volto dell'umanità che i rifiuti produce e ricicla o con cui è costretta a convivere

Didier Ruef Fotografo documentarista e fotoreporter, Didier Ruef ha pubblicato nelle principali testate internazionali: da “Time” a “The Observer Magazine”, dal “Daily Telegraph” a “Le Monde”, da “Der Spiegel” alla “Neue Zürcher Zeitung”. Ha collaborato con Médecins Sans Frontières, il Fondo Globale e la Fondazione Syngenta. Dal 1991 è stato coinvolto in un progetto mondiale sul tema degli sprechi e dei rifiuti da cui è derivato il libro Recycle, pubblicato lo scorso aprile


sopra: Bedzin, provincia della Slesia (Polonia). Un’anziana donna all’opera nel proprio orto situato a ridosso di una centrale elettrica a carbone (1991)


Guida sicura Oggetti p. 46 – 47 | di Luca Martini

Che importanza ha saper guidare? E che cosa significa oggi, alla luce di tutti i sistemi di controllo della stabilità e della frenata di cui dispongono le moderne automobili? Ecco come un corso di guida sicura può aiutare a rispondere a questi e a molti altri interrogativi…

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na decina di anni fa stavo percorrendo un tratto autostradale al volante della mia vecchia e amatissima Golf. Un’auto che è stata un’ottima compagna di strada per ben 245.000 Km, nonostante il motore a carburatori e l’assenza di qualunque sistema di controllo di stabilità e frenata. Era pomeriggio ed essendo in ritardo a un appuntamento viaggiavo a velocità un po’ sostenuta nonostante la fitta pioggia e l’asfalto bagnato. Improvvisamente, in un tratto in cui la strada non era rettilinea, uscendo da una curva a sinistra e inserendomi in quella successiva che piegava a destra, mi trovai di fronte a un incolonnamento: le macchine immobili davanti a me e solo poche decine di metri per fermarmi. La reazione fu di spingere sui freni: la macchina sbandò repentinamente verso l’esterno della curva. Cercai di recuperare lo sterzo quindi, allentando la frenata, ripresi la direzionalità dell’auto riportandomi verso il centro dell’autostrada. Frenai di nuovo ma la macchina schizzò a sinistra avvicinandosi pericolosamente al guard rail. Allentai allora i freni, riprendendo il controllo e spostandomi al centro della carreggiata. Quindi, con un’ultima frenata riuscii a fermarmi a pochi metri dall’auto che mi precedeva. Ricordo ancora lo sguardo del guidatore davanti a me riflesso nella specchietto: a mia volta mi allarmai, pensando in particolare a chi poteva sopraggiungere alle mie spalle. E infatti comparve una berlina tedesca nuova di zecca, certamente dotata dei sistemi di controllo di frenata e stabilità disponibili all’epoca. Purtroppo l’auto arrivava molto velocemente, forse troppo, e quindi immaginai il peggio. Osservavo impotente la scena, mentre la vettura priva di brusche reazioni – non come la mia VW – si inseriva nella curva non riuscendo a evitare l’impatto con il guard rail. La vidi sbattere e rimbalzare verso il centro dell’autostrada dove, per fortuna, non trovò ostacoli. In un batter d’occhio era al mio fianco, sulla destra, ferma, con le conseguenze dell’impatto ben visibili sulla fiancata.


Corsi di guida

Touring Club Svizzero (TCS) www.tcs.ch/main/it/home/kurse.html Scuola anti-sbandamento (Osogna) www.osogna.safedriving.ch Centro Guida Sicura di Andrea De Adamich (Varano, Italia) www.guidasicura.it Guidare e Pilotare di Siegfried Stohr (Misano, Italia) www.guidarepilotare.com

Dalla strada alla pista

La conclusioni? Primo: non esistono sistemi elettronici di controllo di stabilità e frenata che tengano quando si entra toppo forte in una curva. Anche questi dispositivi hanno dei limiti e la massa di un’automobile lanciata in una curva risponde comunque a leggi fisiche. Secondo: saper compiere manovre che istintivamente non si farebbero mai, come per esempio controsterzare o allentare la frenata mentre ci si sta avvicinando a un ostacolo, può avere ancora molta importanza. Il miglior sistema di sicurezza di cui è dotata un’automobile è e resta chi la guida. Purché “il pilota” sappia condurre il mezzo più che guidare come se fosse sul sedile di una chiatta. Certo, ciascuno di noi ha già fatto esperienza di quali miracoli possa fare un sistema ABS: frenate improbabili e sterzate all’ultimo secondo ci hanno salvato qualche volta la carrozzeria e forse altre volte anche la pelle, ma il miglior sistema di sicurezza di un’auto resta il guidatore. È indispensabile però possedere un livello di educazione che la sola formazione obbligatoria quale conducente forse non riesce a dare. Per questo esistono i corsi di guida sicura e di recente ne ho frequentato uno di due giorni, su di un circuito automobilistico della vicina Italia. È stata un’esperienza utile e molto bella. Il corso era impostato su due tipi di sessioni: la guida negativa, ovvero in condizioni avverse o di emergenza, e la guida positiva, ovvero l’affinamento della tecnica di guida in velocità su circuito. Si è trattato di imparare a comprendere e anticipare i comportamenti della vettura, di capire e correggere i propri errori, di imparare a crearsi e mantenersi margini di sicurezza superiori. Ma prima di mettersi in pista, gli istruttori hanno tenuto una lezione teorica di circa un’ora in cui sono stati trasmessi alcuni concetti importanti, per esempio

l’effetto dei trasferimenti di carico, ma anche i fondamentali di una corretta postura alla guida e il modo giusto di impugnare il volante. Quest’ultimo aspetto è estremamente importante: non c’è niente di peggio, infatti, che tentare di evitare un improvviso ostacolo o eseguire un controsterzo, partendo da una posizione delle mani sul volante che non sia il classico “9 e 15”.

Scoprire i propri limiti

Le sessioni di guida sono state numerose e supportate da apparecchiature di telemetria e altre attrezzature come il miniskid, la skidcar o la slide machine. Quest’ultima è una piastra idropneumatica di scuotimento che provoca una sbandata improvvisa della vettura che vi sta transitando sopra, simulando un urto laterale di direzione casuale su superficie a bassa aderenza. A queste sessioni di guida in condizioni limite, si sono aggiunte numerose sessioni di guida veloce in pista, anche con vetture da corsa, per fornire le basi di una guida veloce in sicurezza: lo studio delle traiettorie migliori, l’avvicinamento alla curva avendo in mente un modello ideale per percorrerla, traguardando dal finestrino il punto di corda. Ma anche il mantenere una direzione di avvicinamento alla curva il più possibile rettilinea, il lasciar scivolare la macchina senza toccare freni e acceleratore fino al punto di corda e quindi individuare una traiettoria di uscita atta a consentire un’accelerazione graduale nel più breve tempo possibile. In conclusione, è stata un’esperienza utile e convincente perché guidare un’automobile è una faccenda seria, che non può essere affrontata con superficialità e negligenza. E imparare a guidare bene, oltre che rendere noi stessi e gli altri più sicuri, può anche regalare momenti assai piacevoli.


La tecnologia va al mare Malgrado ci sia ancora qualcuno che reputa la tecnologia un tantino invadente e nel contempo,impervia, bit e strategie digitali sono inscindibili dal tram tram quotidiano. L’high tech è ovunque ed ora approda perfino sulle spiagge. Deciso a scombussolare la sacra osmosi con la natura o a renderci le vacanze balneari più piacevoli? Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza

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Gli intenti, almeno quelli dichiarati da coloro che hanno fiutato il business, sono di semplificarci la vita e magari agevolare le performance sportive. Sta di fatto che qualche settimana fa è apparso un articolo sull’autorevole quotidiano “Die Welt” in cui le coste italiane vengono ancora una volta elogiate come i litorali vacanzieri sempre al passo con i tempi. Provvisti perciò di diavolerie elettroniche quali il lettino che vaporizza acqua gelida sul bagnante in fase di arrosto o che si orienta seguendo i raggi del sole dall’angolazione giusta, così da non perderne neanche mezzo, o quello che rende possibile l’abbronzatura fronte/ retro (proprio come una fotocopiatrice) per “dorare” anche il lato non esposto. Orientabili con un congegno fotovoltaico sono pure gli ombrelloni, per non parlare della messa a punto di un sistema per non perdere i bambini o, per meglio dire, di ritrovarli agevolmente qualora accadesse. Addio quindi agli annunci in varie lingue di smarrimento e recupero dei discoli... Vedremo. Ma al di là delle avanzate attrezzature logistiche, come si accontentano coloro che proprio non sanno rinunciare al web e a Internet? A Rimini come negli stabilimenti di Imperia si può usare il servizio di webcam e connessioni WiFi sulla spiaggia. E se i più giovani utilizzano la tecnologia da tempo libero per raccontarsi in dettaglio i momenti clou della vacanza al mare, con il crescere dell’età aumenta pure la voglia di staccare dai soliti impegni e congegni. Al limite si usano per ovviare agli eventuali momenti di noia: basta mettersi la cuffia del nostro mp3 per rivivere gli emozionanti acuti della Carmen di Bizet o le vibrazioni dell’ultimo concerto degli U2. La fresca novità in arrivo dagli Stati Uniti, molto utile per mantenere il lettore mp3 sempre in carica anche mentre si prende il sole, è il Solar Bikini creato dal designer Andrew Schneider. Sarebbe dotato di pannelli fotovoltaici in grado di produrre 5 volt di energia elettrica. Nello slip è incorporato una presa Usb alla quale connettere cellula-


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ri e dispositivi portatili. E mentre un occhio sarà rivolto timoroso alle nuvole, l’altro sarà meglio chiuderlo sul look del costume da bagno, non esattamente donante. Tuttavia per gli inguaribili techno adicted ci sono dei Pc portatili, pensati proprio per gli usi in condizioni climatiche estreme, dalla pioggia battente al solleone. Né temono sabbia e acqua salata. Succede con il notebook da “battaglia” per eccellenza, ovvero il toughbook Cf-19mk5 di Panasonic con schermo transflectivo e chassie in lega di magnesio. Espressamente progettato per lavorare all’aperto anche sotto la luce diretta, ha ora raddoppiato le prestazioni grazie a una nuova Cpu che integra la scheda grafica Intel®HD3000 consentendo al dispositivo di supportare le applicazioni più svariate. La fotocamera è sicuramente uno degli apparecchi più usati sulle spiagge. Però il rischio di danneggiarla con spruzzi e bagni imprevisti è davvero alto se non di adotta un tipo waterproof. Molto indicata la Sanyo Xacti CA9 che può resistere fino a 1,5 m. sott’acqua e ha un sensore da 9 megapixel. Passiamo ora a qualcosa di spassoso, techno sì, ma relax, quali sono le idee Hi Fun, un nuovo brand dedicato a chi ama la musica e gli oggetti divertenti. Cominciamo con il telomare hi-Sun, pieghevole a zaino, perfetto per sdraiarsi al sole e ascoltare la playlist preferita di qualsiasi lettore

mp3 che usi il jack universale 3,5 mm. Grazie ai potenti speaker integrati nel guanciale. hi-Sleep è invece un comodo cuscino rotondo e coloratissimo con altoparlante incorporato. Un accessorio trendy, pratico da usare in casa e in vacanza per il pisolino pomeridiano. Si può connettere ai soliti lettori o al Cd player. Anche il coccoloso orsetto hi-George Denim, tutto vestito di jeans, si diverte ad amplificare la musica. Questa volta con i diffusori acustici inseriti nelle zampe cicciotte. Ideato sia per i bambini sia per gli adulti, è totalmente sicuro e rispondente alle norme europee sui giocattoli. Ed ecco hi-Ring, la cornetta da “passeggio” che, collegata al telefonino, sostituisce i classici e scontati auricolari. Un aggeggio di gusto tra il vintage e l’avveniristico che può essere collegato a qualsiasi iPhone, Tablet e Pc. E certamente non passa inosservato. Ma vogliamo trascorrere le vacanze balneari senza cimentarci in qualche attività che scateni brividi e adrenalina? La Roxy, azienda di abbigliamento grintoso e sportivo, ha realizzato in poliuretano e vetro resina una tavola da surf, categoria longboard, dalla studiata forma ellittica che permette di cavalcare le piccole onde. Inoltre la maison francese sarà lo sponsor del “Roxy Pro”, campionato mondiale di surf femminile che si terrà a Biarritz in luglio e riunirà le migliori sirene del noseriding. Uno sport in bilico (è il caso di dirlo) tra natura e ricerca high tech.


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Kubrick e gli alieni Un uomo disse all’universo: “Signore, io esisto!”. “Sì, tuttavia” rispose l’universo, “il fatto non suscita in me alcun senso d’obbligo”. (Stephen Crane, da “War is Kind and Other Lines”, 1899)

Il Ticino osservatorio privilegiato alieno...? Qualcuno se lo sarà

Sfide

» di Giancarlo Fornasier

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Amici intelligenti (tenetevi a distanza) “In ultimo, vorrei fare un’osservazione profonda, ma ahimé non tanto originale, con la quale continuo a tediare i miei amici: la miglior prova dell’esistenza di forme di vita intelligente nello spazio cosmico è il fatto che non siano mai venuti da noi”. Con queste parole Arthur C. Clarke conclude la sua prefazione a Are we alone? The Stanley Kubrick extraterrestrial-intelligence interviews (2005), un volume curato da Anthony Frewin. Pubblicato in italiano da ISBN (Stanley Kubrick. Interviste extraterrestri, 2006), il libro raccoglie una ventina di interviste fatte nel corso del 1966 da Roger Caras, l’assistente del regista. Da alcuni anni Kubrick e Clarke stavano infatti lavorando alla sceneggiatura di 2001: Odissea nello spazio (1968), film e romanzo a loro volta basati sul racconto Sentinella (1948) dello stesso Clarke. Nelle intenzioni di Kubrick le riflessioni dei suoi interlocutori (da Isaac Asimov al filosofo Norman Lamm) dovevano fare da appendice introduttiva credibile alla pellicola. Ma per diverse ragioni nella fase di produzione l’idea delle testimonianze cadde, come racconta Frewin nell’introduzio“Punti luminosi” di speranza ne. Kubrick credeva nell’esistenza di vita Chi non è mai stato testimone di avextraterrena e anche per questa ragione vistamenti riconducibili al fenomeno volle creare 2001: egli “era convinto che, UFO è solitamente scettico di fronte ai date le dimensioni e l’età dell’universo, fosse L’ultimo di una lunga serie: l’extraterrestre fuggiasco-creazionista del film Paul di G. Mottola (2011) racconti altrui. E anche alla luce degli inevitabile che la vita avesse avuto origine ultimi casi ticinesi, la domanda è una e anche altrove e che si fosse evoluta fin allo sempre la stessa: ma che cosa sono venuti a fare, da noi...? Ovvia- stadio dell’intelligenza” scrive ancora Anthony Frewin. Ci credeva mente si parte dal presupposto che quelli osservati siano senza così tanto che nel maggio del 1964, durante un soggiorno a ombra di dubbio alcuno degli “extraterrestri”. Scrive ancora il New York, lui stesso pensò di aver avvistato “qualcosa di inCUSI: “Escludiamo si tratti di palloncini cinesi o mongolfiere. Gli spiegabile”. Servendosi però della sua curiosità, e dopo alcune oggetti avevano un moto «intelligente», i loro spostamenti non sono minuziose ricerche, l’arcano mistero sparì: il puntino luminoso riferibili a raffiche di vento. Inoltre, il gran numero di oggetti pre- e immobile che aveva osservato era il satellite Echo, visibile in senti praticamente allo stesso momento, ci fa pensare a una forma quelle ore proprio sopra la città americana. di «presenza mirata» di oggetti, che ci lasciano perplessi con la loro Negli anni a seguire Stanley Kubrick divenne sempre più scettico inspiegabile natura”. Sì, perché prendere “lucciole per lanterne” rispetto agli UFO e sempre più convinto che molti fenomeni è certamente un’esperienza frustrante... figuriamoci se alle lan- fossero spiegabili attraverso “coinvolgimenti governativi”. L’onta terne sostituiamo piccoli e stereotipati omini grigi (vedi Paul). del cieco complottismo, insomma, aveva colpito anche lui....

forse chiesto dopo la recente e ricca serie di avvistamenti di oggetti non identificati segnalati sopra i cieli cantonali. I media non potevano che rilanciare prontamente la notizia e il sito Internet del Centro ufologico della Svizzera italiana (CUSI; http://web.ticino.com/cusi) nei giorni a seguire ha così riassunto gli avvistamenti, in particolare quelli avvenuti nel Luganese: “Sono stati coinvolti 8 testimoni, che nella notte del 5 giugno hanno potuto osservare (...) un’insolita presenza di numerosi oggetti volanti non identificati, divisa per zone. (...) 10 oggetti non identificati si presentano a un’altezza difficilmente precisabile ma valutata dal testimone a ca. 800 m, e formano uno «sciame» di oggetti puntiformi (...) Altri 7 misteriosi oggetti sono stati avvistati nelle vicinanze del Monte San Salvatore, più in basso rispetto alla vetta del monte, e sembravano formare una «costellazione». Anch’essi luminosi, puntiformi e di color bianco, sono stati osservati per ca. 10 minuti dai testimoni increduli. In seguito i misteriosi oggetti sono spariti «spegnendosi»”.

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Astri gemelli

cancro

Il mese di giugno si conclude con i transiti di Mercurio e di Marte. Momento ideale per concludere una trattativa di affari. Viaggi di piacere e spese per l’automobile. Acquisto di prodotti di bellezza.

Aprite le porte al nuovo e alla vostra creatività per ottenere quello che vi interessa. A fine mese continua la “inaspettata rivoluzione” dei nati nella prima decade. Particolari le giornate del 29 e del 30.

Grazie al Sole, a Giove e a Mercurio giugno si conclude con un miglioramento per quanto riguarda le situazioni connesse al mondo degli affari e alla vita intellettuale. Non eludete le questioni familiari.

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Nuova energia per i nati nella prima decade grazie all’arrivo di Marte nell’amico segno dei Gemelli. Incremento delle attività intellettuali. Incontri sentimentali e colpi di fulmine con persone più giovani.

Tra il 26 e il 28 giugno godrete dei benefici di una magnifica Luna. Aumento delle capacità persuasive. Eros in crescita per i nati nella prima decade grazie ai trigoni di Giove e Plutone. Relazioni di affari.

Momento critico per i nati nella prima decade. Desiderio di indipendenza accompagnato da volontà rivoluzionarie. Se aspirate al cambiamento dovete scrollarvi di dosso tutto quello che non vi appartiene.

Grazie a Mercurio e a Plutone gli ultimi giorni di giugno potranno rivelarsi utili nella gestione delle prorompenti esasperazioni generate dal vostro ego. Turbamenti tra il 26 e il 27 provocati dalla Luna.

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Affari di cuore in prima linea. Grazie a Venere i nati nella seconda decade potranno passare dei momenti piacevoli in compagnia del partner. Sovraeccitabili invece a partire dal 26 giugno i nati nella prima decade.

Se dovete iniziare una dieta disintossicante il giorno è il 27 giugno. Riuscirete a liberarvi da ogni vecchia scoria, emotiva, interiore o professionale. Affrontate il cambiamento partendo da voi stessi.

A fine mese i nati nella seconda decade saranno sollecitati dai transiti di Marte e Venere. Meglio dedicarsi a simpatiche relazioni che darsi da fare per terminare qualcosa di impegnativo. Effervescenti il 29 e il 30 giugno.

Dal 27 giugno il cammino di Marte, Mercurio e Venere interesserà i nati nella prima e seconda decade. I nati nella terza decade da tempo sotto l’effetto di Saturno devono imparare ad abbandonarsi senza riserve.

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19. Fuorviare, depistare • 21. Tiro centrale • 23. Lussemburgo e Malta • 24. Ingranare la marcia • 27. La coppa calcistica vinta dal Brasile • 29. Bruciarsi • 31. Le iniziali di Polo • 34. C’è chi l’ha moscia • 38. Trasparente come il vetro (f) • 40. Imparziali, giuste • 41. Il ristorante... aziendale • 43. Antica città mesopotamica • 46. Vocali in cattedra • 48. L’Iridio del chimico • 49. Associazione Sportiva. Soluzione n. 23 2

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Verticali 1. Il re del cardinale Richelieu • 2. Un arnese del contadino • 3. Città vallesana • 4. Le segnano le lancette • 5. Corda • 6. Esploratore norvegese • 7. Che ci appartiene • 8. Preposizione semplice • 9. Dittongo in pietra • 13. Combatte nell’arena • 16. Imprecise, non corrette •

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Orizzontali 1. Imbroglioni, mascalzoni • 10. Il cantone di Tell • 11. Stordisce... i timpani • 12. Il lato maggiore di un triangolo rettangolo • 14. Il noto Bramieri • 15. Vento senza confini • 17. Novantanove romani • 18. Radio Svizzera • 20. Squillo telefonico • 22. Un elettrodomestico • 25. Stato USA • 26. Articolo romanesco • 28. Nociva • 30. Case, abitazioni • 32. Commissario Tecnico • 33. Possono essere ardue! • 35. La fine della Turandot • 36. Mezza cena • 37. Sminuzzate • 39. Estate a Losanna • 41. Fu ucciso nel bagno • 42. Denuncia, esposto • 44. Teche • 45. È funesta quella di Achille • 47. Né tue, né sue • 49. Curve fluviali • 50. In mezzo ai rovi • 51. Casalinga.

» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 27

ariete A fine mese, tra il 28 e il 30, capacità comunicative amplificate da un’ottima Luna in Gemelli. Svolte professionali in vista per i nati nella prima decade. Amore a gonfie vele per i nati nella terza decade.

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