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LA FINE NON È NOTA C T › RT › T Z › .–
» illustrazione di Adriano Crivelli SPINAS CIVIL VOICES
DOVE C’È ACQUA, I BAMBINI CRESCONO BENE. L’acqua può fare molto, perché dove c’è acqua, la terra è generosa, la fame sparisce e i bambini crescono bene. Il vostro contributo è come l’acqua che irriga i campi. Donate 10 franchi con un SMS: Acqua 10 al 488.
Ticinosette n° 26 1. luglio 2011
Impressum
Agorà Suicidio giovanile. I dolori del giovane adulto DI
Società Poestate. Di poesia in poesia
NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Letture Amor sacro e profano
DI
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72’011 copie
Vitae Nunzia Tirelli
DI
ORESTE BOSSINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Le bolle di Magadino
Editore
Oggetti Fumetti. Alan Ford e il Gruppo T.N.T.
Teleradio 7 SA Muzzano
Direttore editoriale Peter Keller
Redattore responsabile Fabio Martini
DI
MARIELLA DAL FARRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiusura redazionale Venerdì 24 giugno
DI
RAFFAELLA CAROBBIO; FOTO DI GIOSANNA CRIVELLI . . . . . .
Tendenze Lavatrici. Lavaggi fuori di testa Lessico Merito e meritocrazia
DI
4 8 10 11 12 14 39 46 48 50 52
CLAUDIA RAGGI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Arti Musica classica. A spasso con Bach
Media Comunicazione. A margine dell’elezione Tiratura controllata
DI
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CARLO GALBIATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FRANCESCA RIGOTTI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
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In copertina
Il buio oltre gli occhi Fotografia di Antonio Bertossi
C’è chi può (e gli altri?) “Gentili Signore, egregi Signori, dall’Editoriale del numero 24 /2011 di Ticinosette leggo nelle ultime righe del testo la seguente frase: “Da parte nostra desideriamo continuare a vivere su questo pianeta”. Ebbene, direi che sarebbe proprio il caso di farlo e, più in particolare, di tenere i piedi ben saldi per terra. Spunto per le mie presenti osservazioni derivano dalla lettura del citato editoriale – “L’esercizio del potere (terza puntata)” – nonché dell’editoriale del numero 22/2011 (“Tutti a St. Moritz”). Ritengo che, per la natura e per il carattere di Ticinosette, tali articoli siano fuori luogo, fastidiosi e tendenziosi. Si affrontano tematiche che palesemente sembrano volersi identificare con un’area ideologica ben precisa. Parlando ad esempio della riunione annuale del gruppo Bilderberg a St. Moritz, oltre al generale evidente contenuto di parte, si fa riferimento a persone “quasi sempre con la passione per il compasso e il grembiulino”. Premesso che non sono massone, mi chiedo perché la Redazione abbia usato un termine così criptato e non abbia, al punto in cui arriva, il coraggio di esporsi in modo più trasparente. Più trasparente e coraggioso sarebbe anche – in considerazione del tenore degli editoriali – che la persona (giornalista?) che li scrive non si nasconda dietro il termine “La Redazione” (coinvolgendo così altre persone e altri organi di stampa che probabilmente non necessariamente condividono la medesima opinione), ma si firmi con il proprio nome. Non meno criticabile è l’editoriale del numero 24/2011. Anche qui non si disdegnano bordate unilaterali e si esprimono convinzioni addirittura ingenue, quali ad esempio la frase “ci siamo espressi contro ogni forma di lobbismo in politica”. A questo proposito due considerazioni: spetta proprio a Ticinosette esprimersi su tali argomenti? Il “lobbismo” è nella natura stessa delle cose e della politica. Esso viene “gestito” da tutti i partiti (da destra, al centro, alla sinistra). L’importante è di sapere circoscrivere e tenere sotto controllo il fenomeno, evitando insane derive.
Anche ammettendo la buona fede del redattore e magari un fondo di plausibilità e di verità in quanto ha scritto, argomenti di questo genere necessitano di essere sviluppati non superficialmente, partendo da luoghi comuni, bensì in modo serio, approfondito e professionale. Questo lavoro lo sanno fare meglio gli organi di stampa di cui Ticinosette è espressione. Ticinosette per sua natura, carattere e diffusione farebbe meglio a concentrarsi su aspetti legati alla cultura, alla società e ai costumi (senza per questo scadere nel “gossip”). Grazie per l’attenzione. Con i migliori saluti”. (lettera firmata) Il dibattito su che cosa “deve essere” Ticinosette di tanto in tanto fa capolino. Alcune brevi considerazioni diventano così d’obbligo. 1. “La Redazione” non è un’entità misteriosa: i componenti sono indicati nell’Impressum. Se dunque gli editoriali sono firmati in modo generico, questo non vuol dire che Ticinosette sia un covo di codardi; significa piuttosto che quanto scritto è il pensiero di più persone, nello specifico Martini e Fornasier. Entrambi siamo giornalisti, regolarmente muniti di tessera “RP” come centinaia di altre persone in Ticino che esprimono liberamente le loro opinioni in decine di autorevoli testate; 2. Sino a prova contraria quanto proposto da Ticinosette è approfondimento – una lettura più attenta di rubriche quali Agorà, Lessico o Arti (e i loro autori) potrà forse convincere scettici e detrattori –, espressione diretta della volontà dei nostri editori. 3. Ticinosette non è “di destra” e nemmeno “di sinistra”: questa testata preferisce osservare e cercare di raccontare in piena autonomia, dando voce in primis alla società civile. Se “lobbisti e massoni” ne sono una rilevante componente (un fatto che il cortese lettore non fa che confermare) qualcuno ci spieghi...“ma che colpa abbiamo noi?”. Buona lettura, la Redazione
I dolori del giovane adulto
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Agorà
In un’epoca caratterizzata da grandi progressi in ambito medico, che hanno permesso un sensibile prolungamento della vita considerata oggi un diritto universale e inalienabile, si assiste a un irrazionale e all’apparenza contraddittorio incremento dei tassi riguardanti il suicidio. Un fenomeno ancor più incomprensibile quando a scegliere di togliersi la vita sono i giovani, persone che hanno ancora un’intera esistenza da vivere
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el 2000 in Svizzera si registravano 1.378 decessi causati da suicidio (979 uomini e 399 donne), un dato che collocava la Confederazione Elvetica, con un tasso di 19,1 suicidi ogni 100.000 persone, nettamente al di sopra della media mondiale1. Secondo i dati elaborati dall’Ufficio cantonale di statistica (USTAT), nel 2008 il tasso delle persone di età inferiore ai trent’anni che si è tolta la vita è pari a 57 ogni 100.000 abitanti in Svizzera (il dato si abbassa a 51 in Ticino). Proprio i giovani rappresentano un gruppo particolarmente a rischio: a livello mondiale il suicidio risulta tra le prime cinque cause di morte nella popolazione tra i 15 e i 19 anni e in alcune nazioni esso è il primo o il secondo responsabile dalla morte di ragazzi e ragazze appartenenti a questa fascia di età2. Si stima che nel mondo ogni anno almeno 100.000 adolescenti muoiano in seguito a un suicidio3. È inoltre importante ricordare che i dati riguardanti il suicidio adolescenziale sono con ogni probabilità inferiori alla situazione reale poiché molto spesso gli incidenti stradali, gli annegamenti, le cadute e le morti per overdose sono classificati come decessi non intenzionali e accidentali, quando invece nascondono una morte voluta e cercata4.
I giovani e la morte Talvolta il suicidio o il tentato suicidio sono riconducibili a malattie psichiche come depressioni, psicosi o gravi dipendenze, tuttavia tali gesti di per sé non costituiscono una malattia, né sono necessariamente espressione di una patologia. Sebbene l’uomo sia per sua natura portato ad amare la vita, esperienze infelici possono causare pensieri negativi che arrivano a offuscare la gioia di vivere. Un’importante influenza nell’ambito del suicidio dei giovani è dettata dall’educazione ricevuta. Questa deve quindi sempre e innanzitutto tentare di favorire un atteggiamento di apertura e di amore nei confronti dell’esistenza. Tale atteggiamento, pur insito nella natura umana, è estremamente fragile e molto spesso nei bambini subisce da parte dell’ambiente familiare o nella vita sociale precoci ferite, che si rivelano poi difficili da rimarginare5. Inoltre, con
la pubertà e l’inizio dell’adolescenza ragazzi e ragazze giungono al pieno compimento dello sviluppo cognitivo, fatto che li induce a porsi quesiti e a elaborare pensieri più profondi, anche nei confronti della morte. Lentamente, tutti gli adolescenti si rendono conto dell’ineluttabilità della morte e che prima o poi anch’essi dovranno confrontarsi con tale realtà. La morte è un avvenimento generalmente passivo, che si subisce senza avere la possibilità di prendere decisioni in proposito: l’adolescente non tollera la passività, non gli aggrada il fatto di dipendere da decisioni altrui, da genitori, insegnanti, dalla natura o da Dio; trova intollerabile il non poter prendere in mano il proprio destino, nemmeno per quanto riguarda la fine dell’esistenza. Egli inizia quindi a fantasticare sulla propria morte in modo attivo, capisce che può prendere decisioni anche nei confronti della propria vita biologica e immagina i diversi modi in cui potrebbe privarsene. Diventa consapevole del fatto che tramite la morte potrebbe non solo avere potere su se stesso, ma anche sugli altri a causa delle reazioni che susciterebbe6. L’adolescente giunge quindi a elaborare delle idee suicidarie. L’idea suicidaria è una componente presente nel processo evolutivo di tutti gli esseri umani, così come lo sono le domande “chi sono?”, “dove sto andando?”, “perché vivo?”, “perché morirò?” e altre riflessioni sulla propria esistenza7. Inoltre, l’adolescente attraversa una fase di lutto, causata dal necessario distacco dalla propria infanzia8. Durante questa difficile fase è frequente che l’adolescente costruisca un’immagine svalutante di sé ed è dunque importante che incontri un ambiente relazionale ed educativo favorevole, in grado di aiutarlo a formare un’immagine positiva della sua nuova identità, attribuendole valore e riconoscendone l’unicità, affinché comprenda che la
personalità che va acquisendo non è meno preziosa di quella che deve abbandonare. Nell’elaborazione del lutto l’adolescente necessita quindi di un accompagnamento educativo e relazionale da parte delle figure per lui importanti. È, infatti, possibile che quando l’adolescente ritiene di non poter chiedere l’appoggio di coloro che gli sono più vicini, tenti di trovare da solo un rimedio ai problemi che lo opprimono e spesso scelga vie rischiose, cercando sollievo negli stupefacenti, negli atti delinquenziali, nelle fughe o, talvolta, nel suicidio9. P. Jeammet ritiene, infatti, che tali comportamenti siano tutte espressioni di disagio, in qualche modo intercambiabili, e che spesso si assista a un’esternazione combinata di più manifestazioni: non di rado un tentativo di suicidio può essere preceduto da fughe, crolli del rendimento scolastico, disturbi alimentari o dipendenza da sostanze10. Sebbene l’adolescente che attenta alla propria vita comprenda, da un punto di vista cognitivo, il concetto di morte e le conseguenze di un atto del genere, egli spera che il suo gesto possa magicamente risolvere i suoi problemi, portando i familiari e le persone vicine a comprendere la sua sofferenza così da riservargli maggiori attenzioni11. In casi simili l’atto suicida è un gesto dettato dal bisogno di sollievo e di fuga da una situazione giudicata intollerabile e che non presenta, a giudizio di chi vi è coinvolto, altre alternative. Le motivazioni profonde Non bisogna dare adito al diffuso pregiudizio secondo il quale una persona che si suicida o che tenta di farlo soffra sempre e inequivocabilmente di un disturbo mentale12. Non tutti gli adolescenti che presentano un comportamento suicidario hanno
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Agorà
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sperimentato tali problematiche13. Oltre a questi fattori psichici, l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica alcuni fattori ambientali, legati al vissuto sperimentato in seno alla famiglia. Alcuni di questi fattori di rischio sono caratterizzati da situazioni estreme e molto gravi: episodi di violenza e di abusi in ambito familiare, dipendenza da alcol e da sostanze stupefacenti da parte dei genitori, psicopatologie e disturbi psichiatrici nelle figure parentali e la presenza di precedenti casi di suicidio o di tentativo di suicidio nella storia familiare14. Sono però anche indicate altre caratteristiche familiari meno eclatanti, ma più diffuse: frequenti litigi tra genitori, il divorzio o la separazione di questi, il decesso di un genitore, ripetuti trasferimenti e cambiamenti dell’area di residenza, aspettative troppo elevate o eccessivamente basse da parte dei genitori nei confronti dei figli, stili educativi troppo rigidi o, all’opposto, permissivi, scarsa attenzione ai vissuti emozionali dell’adolescente, mancanza di comunicazione15. Tali caratteristiche sono spesso riscontrabili nelle famiglie degli adolescenti che hanno manifestato un comportamento suicidario, anche se ciò non significa che la presenza di uno dei suddetti fattori nella vita di un adolescente spingerà necessariamente costui al gesto estremo. Tuttavia le ricerche dimostrano che l’accumularsi di più fattori accresce significativamente il rischio di sviluppare tendenze suicide16. Uno dei luoghi comuni più diffusi è la convinzione che un suicidio possa essere causato da motivazioni banali o piccoli eventi. Non è raro apprendere dai media che un adolescente si è suicidato impulsivamente in seguito a una bocciatura, come in un impeto di improvvisa follia. Ciò che invece non si viene a conoscere, che non traspare dalla notizia, è lo stato di sofferenza e di disagio che spesso affligge da anni chi compie tale gesto17. Un brutto voto a scuola non può essere la motivazione profonda di un gesto suicida, ma può esserlo la scarsa consapevolezza del proprio valore e il timore di perdere l’affetto dei genitori per essersi dimostrato poco capace18. Nonostante l’impulsività che può caratterizzare talvolta un gesto suicida, tale gravissimo atto non può mai essere definito come un banale “colpo di testa”: esso è sempre il risultato di elementi che hanno radici profonde nella storia dell’adolescente e di coloro che lo circondano19. La prevenzione All’interno della famiglia si celano importanti risorse: attraverso l’educazione si possono favorire le abilità sociali dell’adolescente, quindi la sua capacità di intrecciare rapporti positivi con i coetanei, la sua apertura nei confronti delle esperienze altrui e la disposizione favorevole verso le nuove conoscenze, caratteristiche che secondo l’OMS rappresentano importanti fattori protettivi contro i comportamenti suicidari negli adolescenti20. È altrettanto essenziale che l’adolescente non tema di chiedere aiuto in caso di difficoltà, di cercare consiglio quando si trova di fronte a una scelta importante, che abbia dei buoni rapporti con gli adulti che lo circondano nella vita quotidiana, quindi non esclusivamente i genitori e i componenti della famiglia,
ma anche gli insegnanti21. La famiglia, parallelamente agli altri adulti che ricoprono un ruolo educativo nei confronti dell’adolescente, può dunque intervenire attivamente nella prevenzione del suicidio adolescenziale. Essa può agire soprattutto nell’ambito della prevenzione primaria, il cui scopo è quello di assicurare all’adolescente uno stato di benessere, affinché il suicidio non venga mai considerato un’opzione possibile22. Si tratta di una prevenzione che concerne anche altre forme di disagio giovanile, quali l’abuso di sostanze stupefacenti, la devianza, l’isolamento socio-culturale, i disturbi psichici e la solitudine23. La prevenzione secondaria, invece, interviene quando sono già presenti segnali di disagio nella quotidianità dell’adolescente ed è possibile ipotizzare che egli intenda attentare alla sua vita24. Tale tipo di prevenzione implica dunque innanzitutto il riconoscimento dei vari tipi di segnali che possono trasparire. Spesso si tratta di segnali comportamentali, quali scoppi improvvisi di pianto che apparentemente non hanno una motivazione, mancanza di vitalità, cambiamenti dei ritmi di sonno e veglia, cambiamenti dell’appetito, atteggiamenti che esprimono noia e svogliatezza, difficoltà di concentrazione, sbalzi improvvisi dell’umore, nonché forte irritabilità unita a fasi di silenzio. Essi si esprimono anche attraverso cambiamenti delle attività sociali e degli interessi dell’adolescente: egli tende a isolarsi e trascurare le amicizie, ignora gli impegni sportivi, perde interesse per i progetti futuri, non cura più il proprio aspetto, abusa eventualmente di alcol o droghe e adotta comportamenti a rischio, per esempio guidare a velocità molto sostenute. A tutto ciò si uniscono spesso un calo del rendimento scolastico, una scarsa autostima e profondi cambiamenti nelle abitudini sessuali25. Sono spesso presenti segnali verbali, tramite i quali gli adolescenti esprimono in modo più o meno esplicito il proprio desiderio di morire, la stanchezza di vivere e le proprie intenzioni suicidarie26. Non è raro infatti che gli adolescenti che tentano un suicidio abbiano precedentemente espresso le loro intenzioni27. È spesso convinzione comune che ogni intervento volto a dissuadere dalle intenzioni suicidarie risulti inefficace se un individuo è davvero intenzionato a porre fine alla propria esistenza28. Intervenire invece è possibile; innanzitutto attraverso la prevenzione primaria e, nel caso in cui il disagio sia già manifesto, tramite la prevenzione di secondo grado, la quale prevede che all’adolescente sia fornito l’aiuto necessario affinché egli possa trovare soluzioni diverse, non distruttive, che gli permettano di condurre un’esistenza serena29. Il territorio ticinese offre diverse strutture alle quali chiedere aiuto: si ricorda qui il Telefono amico 143 (vedi Ticinosette n. 29/2010, ndr.) e le strutture cantonali quali il Servizio medico psicologico regionale per minorenni e il Servizio psico-sociale. I (nuovi) media e il fenomeno del suicidio giovanile L’influenza negativa che l’argomento del suicidio può esercitare, soprattutto nei confronti dei più giovani maggiormente
impressionabili, è conosciuta da tempo. In ambito psicologico è nota come “effetto Werther”, dal romanzo I dolori del giovane Werther di Wolfgang Goethe, nel quale si volle riconoscere la causa di molti suicidi di giovani uomini, che intendevano imitare il tragico gesto del protagonista30. Tale effetto può essere chiaramente amplificato dai mezzi di comunicazione di massa, sia in relazione all’ampiezza della diffusione, sia alle modalità con cui la notizia di un gesto suicidario viene comunicata. Giornali, emittenti televisive, radio e in generale tutti i media ad ampia diffusione, sono sovente consapevoli di tale effetto e attenti a non creare un malsano sensazionalismo attorno alla triste notizia. Ma che effetto possono avere i nuovi media? Difficile oggi trovare dati che colleghino tale ambito al fenomeno del suicidio dei giovani. Certo è che sono proprio loro a fruire maggiormente del web, uno spazio di forte aggregazione, ma che allo stesso tempo spesso sfugge ai controlli e facilmente aggira le regole, anche quelle sociali. Sono recenti le notizie di giovani che si sono suicidati in diretta, “chattando” o addirittura trasmettendo via webcam il loro gesto, tra i commenti di chi li implorava di non farlo e chi, al contrario, li incitava a portare a termine il gesto. Al momento quindi si possono solo aprire spazi di riflessione per uno sguardo approfondito sull’influenza che i nuovi media possono avere sul triste fenomeno del suicidio adolescenziale, sull’impatto negativo, ma anche sulle possibili risorse attuabili sempre nella rete.
» di Claudia Raggi; illustrazione di Antonio Bertossi
note 1 Ufficio federale della sanità pubblica, Suicidio e prevenzione del suicidio in Svizzera. Rapporto in esecuzione del postulato Widmer, Ufficio federale della sanità pubblica, Berna 2005, pp. 8–9. 2 World Health Organization, Department of Mental Health, Preventig suicide. A resource for teachers and other school staff, p. 6. 3 World Health Organization, Department of Mental Health, SUPRE: Information leaflet, p. 2. 4 World Health Organization, Department of Mental Health, Preventig suicide. A resource for teachers and other school staff, p. 6. 5 J. Maritain, L’educazione al bivio, pp. 60–61. 6 G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, Raffaello Cortina, 2000, p. 114. 7 A.A. V.V., Adolescenti e suicidio, Dipartimento dell’istruzione e della cultura, Bellinzona, 1998, p. 14. 8 F. Dolto, I problemi degli adolescenti, Tea Pratica, 1998, pp. 13–16. 9 G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, pp. 118–120. 10 P. Jeammet, Un approccio psicodinamico, in E. Pelanda (a cura di), Il tentativo di suicidio in adolescenza. Significato, intervento, prevenzione, Franco Angeli, 2003, p. 34; e G. Pietropolli Charmet, Crisis Center. Il tentato suicidio in adolescenza, Franco Angeli, 2004, p. 98. 11 X. Pommereau, Il mondo intrapsichico e l’atto suicidarlo in adolescenza, in E. Pelanda (a cura di), Il tentativo di suicidio in adolescenza. Significato, intervento, prevenzione, Franco Angeli, 2003, p. 24. 12 P. Crepet, Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio, p. 103. 13 World Health Organization, Department of Mental Health, Preventig suicide. A resource for teachers and other school staff, p. 8. 14 Ibi, p. 8. 15 Ibi, pp. 8–9. 16 Ibi, p. 9. 17 P. Crepet, Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio, p. 103. 18 Ibidem. 19 Ibidem. 20 World Health Organization, Department of Mental Health, Preventig suicide. A resource for teachers and other school staff, World Health Organization, Ginevra 2002, p. 7. 21 Ibidem. 22 P. Crepet, Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio, Feltrinelli, 2001, p. 126. 23 F. Moretto, L’adolescente e il suicidio. L’intervento dell’educatore, p. 57. 24 P. Crepet, Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio, Feltrinelli, 2001, p. 133. 25 Ibi, pp. 133–134. 26 Ibi, p. 134. 27 A.A.V.V., Adolescenti e suicidio, p. 7. 28 Ibi, p. 104. 29 A.A.V.V., Adolescenti e suicidio, p. 7. 30 Ibi, p. 86.
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A spasso con Bach
Le “Suites per violoncello” di Bach sono state ignorate per secoli, fino all’incontro, casuale ma non troppo, con il tredicenne Pablo Casals che le scoprì in un negozietto di libri usati in Carrer Ample a Barcellona. Un evento fatale che non solo ha segnato la storia del violoncello ma anche la vita di migliaia di interpreti in ogni angolo del mondo. A questo monumento della musica Eric Siblin ha recentemente dedicato un interessante saggio
“Nel
Arti
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pomeriggio portarono a passeggio don Chisciotte, non con l’armatura, ma in abito da passeggio, vestito d’una palandrana di panno marrone che con quel tempo avrebbe fatto sudare anche il gelo” (da Don Chisciotte della Mancia, parte seconda, cap. LXII). Pare che la casa di don Antonio Moreno, dove don Chisciotte era ospite a Barcellona, fosse situata in Carrer Ample, una strada vicino al porto, piena di botteghe artigiane come il laboratorio dello stampatore ammirato dal Cavaliere dalla Triste Figura. Don Chisciotte, uscendo dalla casa di don Antonio, deve aver visto una città non troppo diversa da quella conosciuta da Pablo Casals, al suo arrivo a Barcellona nel 1888. Proprio in Carrer Ample, un pomeriggio del 1890, rovistando con il padre Carlos tra gli spartiti ammuffiti di un negozietto di libri usati, Casals scovò una copertina color tabacco con una scritta nera: “Sei Sonate o Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach”. Da quell’incontro fortuito scaturì la scintilla che ha riportato in vita uno dei capolavori del Barocco musicale, rimasto sepolto per quasi due secoli nelle biblioteche degli eruditi. Casals allora era un ragazzo di appena tredici anni e solo dopo un lungo periodo di studio e di esercizio trovò il coraggio di suonare in pubblico un frammento della misteriosa Cathédrale engloutie di Bach. La scrittura per violoncello solo infatti era talmente estranea allo stile dell’Ottocento che nessuno prima aveva pensato di considerare quella musica una forma d’espressione artistica, anziché un arido e antiquato esercizio di tecnica. Sotto l’archetto di Casals invece le linee barocche delle Suites si accendevano di luce e calore, rivelando una visione modernissima e sperimentale della personalità dello strumento. Da allora, nessun violoncellista al mondo ha potuto evitare il confronto con la scrittura di Bach, non importa a quale scuola o tendenza fosse legato. La splendida ossessione Esistono decine e decine di registrazioni dell’integrale delle Suites per violoncello e ogni anno il catalogo si arricchisce di nuove interpretazioni. Le innumerevoli trascrizioni per ogni genere di strumento, compresi l’euphonium e l’ukulele, testimoniano oltre ogni dubbio fino a che punto sia ammaliante il canto di queste sei misteriose sirene barocche. In molti hanno provato a raccontare il mito delle Suites, ma il libro di Eric Siblin, uscito di recente in edizione italiana (Le Suites per violoncello, Il Saggiatore, 2011), esplora l’arcipelago variopinto e misterioso di questi lavori con una tenacia e una passione divulgativa
davvero fuori dal comune. Il punto di partenza del libro è strettamente personale. Siblin si occupava di musica pop per un quotidiano canadese, The Gazette, ma le sue recensioni, come quella del concerto del gruppo irlandese U2 a Montréal citata nel libro, lasciavano trapelare il disagio per l’opprimente strapotere della tecnica nei fenomeni musicali di oggi. Nel 2000, del tutto per caso, ascoltò invece a Toronto “il canto delle Sirene” di Bach, nell’esecuzione di un violoncellista di Boston di nome Laurence Lesser. L’affascinante bellezza della musica, il fatto di essere tornate alla luce in maniera rocambolesca agli inizi del Novecento, l’assenza addirittura di un manoscritto autografo del lavoro rendevano le Suites un soggetto ideale per un’inchiesta giornalistica, che via via ha fagocitato tutti gli altri interessi professionali e intellettuali di Siblin. Come all’interno di un palazzo incantato, ogni stanza esplorata dalla curiosità dell’autore si apriva su altre stanze, contenenti a loro volta segreti da svelare e storie da raccontare. Ma quando erano state scritte le Suites? Per quale musicista e per quali strumenti? Com’è diventato, Pablo Casals, il violoncellista più influente della prima metà del Novecento? Quando ha deciso di suonare in pubblico le Suites e su quale testo ha lavorato? Le domande si sono accumulate nel corso dell’indagine e le risposte talvolta suscitavano una nuova ondata di enigmi da risolvere, che spesso non trovano soluzione. Siblin, forse assillato dall’idea di essere rimasto così colpito da una musica tanto lontana nel tempo, non si è limitato a cercare le notizie che gli servivano nelle fonti tradizionali e nella letteratura specialistica. Ha voluto penetrare nei meandri dell’interpretazione della musica di Bach, per capire quali sono i processi mentali che inducono un artista a scegliere una strada anziché un’altra una volta giunto di fronte a un bivio, a diverse alternative egualmente plausibili. Così ha cominciato non solo a leggere libri, ma anche ad ascoltare quanta più musica possibile di Bach e dei musicisti della sua cerchia, a cominciare dai figli. Ha imparato addirittura a mettere le mani sul violoncello, per capire nel proprio corpo cosa significa avere sotto le dita delle corde che vibrano e una tavola armonica che risuona. Ha visitato i luoghi di cui parla, a cominciare dalla piccola e polverosa cittadina di El Vendrell dove Casals nacque nel 1876. Ha intervistato grandi interpreti come il violoncellista Misha Maisky, che gli hanno raccontato forse cose più interessanti su loro stessi che su Bach, ma che gli hanno fatto capire come la lettura di un capolavoro sia sempre il frutto di una storia personale e di un’esperienza di vita.
Arti
9 Il violoncellista Enrico Dindo (immagine tratta da www.cidim.it)
che si sentono intimorite a contatto con forme d’espressione musicale ritenute d’élite, o perlomeno riservate a un gruppo ristretto di conoscitori; grazie infatti allo stile asciutto e diretto di Siblin, il linguaggio di Bach diventa semplice e accessibile a tutti, malgrado l’enorme ricchezza delle idee musicali e l’audacia delle innovazioni tecniche. A questo punto non resta che consigliare la lettura del libro, ma soprattutto l’ascolto della musica di Bach. Enrico Dindo, violoncellista italiano esploso a livello internazionale nel 1997 vincendo a Parigi il Concorso Rostropovich, ha appena registrato l’integrale delle Suites per la casa discografica Decca. In maniera analoga a Siblin, Dindo ha riflettuto sul percorso fatto in un secolo dalla musica di Bach, cercando di conferire un significato coerente e attuale a un testo incerto e lacunoso. L’interpretazione di Dindo non propugna certezze, ma offre delle risposte possibili alle molteplici domande suscitate dai manoscritti che ci sono pervenuti. In punta di piedi, con lo sguardo aperto e senza arroganza culturale, Dindo dialoga con un autore purtroppo ormai muto per sempre, ma eloquente e ricco di spirito grazie alla sua musica. La loro conversazione è intelligente e discreta, adatta a un ambiente raccolto e non troppo ampio, dove il suono non si spegne immediatamente ma rimane vibrante nell’aria. Magari accompagnata da un bicchiere di vino profumato e un buon libro, come quello di Siblin.
» di Oreste Bossini
Una ricerca decennale In quasi dieci anni di lavoro Siblin ha accumulato una massa di materiale enorme, che però non ha soffocato sotto il peso dell’erudizione la scintilla originaria della sua passione per le Suites. Il libro ha il grande merito di mescolare con sapienza e leggerezza una massa di ingredienti molto eterogenei, lasciando libero il lettore di seguire il percorso più adatto alle proprie esigenze. La struttura del libro infatti ricalca la forma delle Suites, per la sua suddivisione in tanti capitoli quanti sono i movimenti dell’intera raccolta. Ma lo schema di Siblin segue anche il carattere dei preludi e delle danze che compongono le Suites, permettendo di saltare da un piano all’altro con facilità e chiarezza. In questo modo si configurano tre filoni principali, che s’intrecciano in un racconto allo stesso tempo istruttivo e vivace. In primo luogo, il libro racconta la storia e gli enigmi del testo di Bach, cercando di fornire tutti gli elementi messi in luce dagli studiosi per collocare in maniera precisa il lavoro nel contesto reale del suo tempo. Parallelamente Siblin ricostruisce la figura di Casals e segue le tracce della riscoperta della raccolta di Bach, che ha trovato a sorpresa una nuova vita nel Novecento. Infine si sforza di riflettere in maniera distaccata sul proprio rapporto con le Suites e in generale con la musica del passato, che noi ci ostiniamo a definire “classica”. Questa è la parte che risulta forse più interessante per molte persone
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Di poesia in poesia Gli organizzatori del Festival Poestate, la cui quindicesima edizione si è da poco conclusa, possono ritenersi soddisfatti per aver, ancora una volta, saputo diffondere il piacere della lettura e dell’estasi poetica
Poestate si è impegnata sin dai suoi esordi (1996) a diffondere
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del mondo della cultura e della musica, con esibizioni poetico/ musicali sul genere proposto da Eric Vanaro, Valeria Ferrario e Beppe Sanzani. Oppure con gli intermezzi musicali eseguiti da Piotr Nikiforoff e Denis Monighetti. E ancora con il musicista Marco Zappa e Renata Stavrakakis, e con Rossana Taddei e Gustavo Etchenique. Di seguito la performance poetico/musicale di Flavio Stroppini, Zeno Gabaglio e Christian Gilardi, l’intervallo sonoro di Luca Congedo e Luca Barbieri, e la proposta di Gionata e Mauro Capra.
Fra Mogol e Ovadia Il paroliere Giulio Mogol ha affettuosamente intrattenuto il pubblico, raccontando alcuni aneddoti riguardanti la sua vita, che hanno segnato la canzone italiana, soprattutto nel sodalizio con Lucio Battisti. L’arte per Mogol è respiro ed ebbrezza. Convinto che senza intermediari la cultura respira ancora, per Mogol la poesia non è un fatto acrobatico ma la riproduzione della vita, così come Voci da tutti i tempi l’abbiamo vissuta, e dunque non Il premio Poestate è stato dedicaè solo estetica del linguaggio. to al grande vate russo Evgenij L’artista Moni Ovadia ha portato Evthushenko. Si è spaziato anche la sua vasta conoscenza della in altre epoche, trasvolando di tradizione poetica mediorientale. verso in verso grazie ad autori Citando il suo poeta preferito, Alda Merini (1931–2009) misconosciuti, come il poeta ErYannis Ritsos, Moni Ovadia ha nesto Regazzoni, e altri più noti, introdotto alcune letture da uno come David Riondino che ha tratteggiato la sua opera leggendo straordinario poema arabo, con la più grande mistica nata nel Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poi è stata la volta di Alda cuore dell’Islam, e il suo continuo inno alla pace e all’anima. In Merini, ricordata da Paolo Taggi, il quale ha ripercorso le lezioni un’alternanza di toccanti esibizioni, gli artisti si sono scambiati di vita di questa artista dell’incanto e del sublime, che regalava esperienze e visioni, in una lode alla poesia e ai poeti, denodi getto, a chi le stava intorno, pensieri scaturiti dall’impeto tando così il carattere universale del talento artistico dell’essere della sua follia. Paolo Taggi si è soffermato sull’abilità di Alda umano. Si è data poi voce alla poesia dialettale, stimolando la Merini nel tessere versi. Vittima del suo stesso mistero, ella ci ricerca anche per quanto riguarda la cultura popolare. ha trasmesso parole con una lucidità sconvolgente, tormentata Le tante emozioni hanno nutrito le anime dei partecipanti, com’era dai fantasmi della sua mente. L’essere poeta non era per perché la poesia ha una funzione salvifica, soprattutto in questo Alda un’elevazione ma piuttosto una condanna. La lettura di momento storico in cui la cultura della spettacolarità pare prealcune sue poesie è stata affidata alla bravura e all’interpretazio- valere. Non è facile rendere omaggio alla poesia, al suo destino, ne appassionata e coinvolgente della giovane attrice Margherita ai suoi percorsi, sempre un po’ appartati e che obbligano a una Coldesina, impegnata anche in altre performance e in alcune ricerca e a una continua scoperta da parte dei lettori. Poestate lo letture goethiane. Hanno partecipato a Poestate personaggi noti ha fatto con delicatezza, regalandoci nuove speranze.
» di Nicoletta Barazzoni
Società
la conoscenza della poesia, attraverso l’incontro con sguardi e mondi diversi. Per aver saputo valorizzare l’evento dell’ascolto e della parola, l’ideatrice e artefice Armida Demarta ha dato linfa alla manifestazione, assicurandosi un posto di rilievo nel panorama culturale del cantone. Non è stato facile, allora, convincere gli scettici del valore della poesia. La perseveranza con cui è stata profusa l’arte poetica ha permesso di raggiungere, ma soprattutto di consolidare, nel giubileo della quindicesima edizione, questa forma di comunicazione artistica. Lo scambio, tra poeti e musicisti, ticinesi e non (che hanno rappresentato la poesia nelle sue innumerevoli e, a tratti, anche sconosciute sfaccettature) è stato intenso. Ne hanno beneficiato in molti: gli amanti della poesia e gli appassionati di un genere che si è innalzato con grazia e potenza dal chiostro del Palazzo Civico a Lugano
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Amor sacro e profano
Letture
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» di Roberto Roveda
“Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come ma che comunque è vita da esperire apertamente al di fuori l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parla- del guscio delle certezze e delle sicurezze sociali e familiari. vano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e A partire da queste premesse Baricco costruisce un racconto disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un simbolico – tutto sommato originale – pur nella sua estrema fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono semplicità. La resa narrativa risulta particolarmente coinvoldubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: so- gente e la densità del linguaggio irretisce il lettore benché egli no proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ecceda nei virtuosismi di penna e se ne compiaccia assai, come e ossa come vedete che io ho»”. (Vangelo di Luca, 24, 35–39) del resto è da par suo. Attraverso la figura di Andre – a suo modo L’idea per il titolo Baricco l’ha estratta dal noto una sorta di “dea dell’amore” perché caricata passo del Vangelo di Luca, un episodio meravidi una poderosa valenza erotica e libertaria –, gliosamente rappresentato dal Caravaggio, che lo scrittore introduce termini sessuali espliciti è un po’ la storia di un’illuminazione, di una che suonano sempre un po’ forzati e in dissoscoperta. Cleopa e il suo amico riconoscono nel nante contrasto con il suo abituale “ambiente” viandante il Cristo risorto. È un po’ quello che di scrittura. Così come alcune metafore paiono accade a Bobby, Luca, Il Santo e al narratore – di introdotte più per adulare con il proprio suocui non conosceremo il nome – la cui vita acno l’autore che in realtà per aiutare il lettore celera improvvisamente grazie all’incontro con a comprendere quanto egli sta scrivendo. Si una coetanea, la bella Andre, che inconsapevoltratta però, tutto sommato, di peccati veniali mente ma ineluttabile come il destino li introin un romanzo di cui si apprezza la scelta di duce in mondi diversi dal loro, mondi attraenti indagare e raccontare un certo mondo giovae pericolosi, affascinanti come la tentazione e il nile cattolico, oscillante tra la consapevolezza piacere. Da questo spunto prende avvio l’ultiun po’ superba di sé, in quel sentirsi diversi mo romanzo di Alessandro Baricco, una storia, e superiori agli “altri” – che sono considerati Alessandro Al and Baricco Baricc ambientata in un passato non lontano, che ha comunque peggiori –, e un’autoreferenzialità Emmaus come protagonista la gioventù cattolica e prasospinta all’eccesso. Si tratta di un universo Rizzoli, 2010 ticante, divisa tra scuola, parrocchia, famiglia decisamente poco frequentato dalla letterae volontariato in ospedale, ragazzi immersi in tura di lingua italiana che Baricco ha avuto realtà sociali e familiari blindate e “sicure”, ma di una sicurezza il merito di affrontare con coinvolgimento e partecipazione che sa tanto di formalità, di immobilità, e in fondo, di noia. emotiva fino a spingersi ad affidare il racconto a uno dei Attraverso Andre cantano, invece, le sirene della borghesia quattro ragazzi, una scelta che stimola il lettore a un livello di ricca, svuotata di ideali e sostanzialmente amorale, dimentica empatia molto alto. Un io narrante che spesso spiega, deduce, di ogni pudore e disinibita. Un mondo fatto di sensazioni che riflette, aiuta a penetrare nell’habitat dei protagonisti e nella affiorano sotto la cenere del formalismo cattolico dei quattro riflessione dell’autore sulle azioni umane, sul destino, sulla e che lentamente si trasformeranno in fiamma. Ma Andre è cecità dell’uomo nel comprendere se stesso, gli altri, gli eventi, molto più di una pallida eco di un mondo vanesio e superficia- lo stesso Dio. Alla fine del romanzo, che parte piuttosto bene le. È l’espressione della passione, dei sensi che si risvegliano, ma tende progressivamente a scivolare in una cornice kitsch e della corporeità e del gusto per ogni cosa ed esperienza della un po’ da sceneggiato televisivo, siamo tutti un po’ il Santo, vita. È la donna che metaforicamente, ma anche concreta- Bobby, Luca e il narratore, abbiamo tutti diciassette o diciotto mente, apre e dà la vita. Ella, sintetizzando in sé la rottura anni e aspettiamo trepidanti l’arrivo della nostra Andre, l’unica degli schemi che imbrigliano i quattro giovani, si presenta capace di condurci attraverso i sentieri della vita. Romanzo di fatto come un’iniziatrice capace di introdurli alla concre- breve, scritto con il solito mestiere, si legge d’un fiato e non tezza di un’esistenza che si rivelerà anche crudele e tragica, mancherà di suscitare sorpresa e opinioni contrastanti.
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A margine dell’elezione Le recenti votazioni per la scelta del nuovo sindaco della più grande e importante città del Nord Italia non hanno solo contrapposto due candidati ma, in particolare, due modi e livelli di comunicazione. Un caso esemplare e sul quale riflettere
È sempre facile, a posteriori, individuare le ragioni che hanno portato a un certo risultato: se si tratta di un esito elettorale, le spiegazioni post-hoc diventano una sorta di sport nazionale; e se tale esito è particolarmente eclatante, come per esempio nel caso della recente elezione del sindaco di Milano, allora diventa davvero difficile resistere alla tentazione. Senza nessuna pretesa di essere esaustivi, ci soffermiamo sul tipo di comunicazione che ha contraddistinto i due candidati (il neo eletto Giuliano Pisapia e la uscente Letizia Moratti) evidenziando in particolare tre elementi. Media
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1. L’effetto “verità” La prima cosa che ha colpito molti milanesi quando, a partire da circa due mesi prima delle elezioni, la città ha cominciato a essere tappezzata dalle affissioni elettorali, è stata l’evidente “plasticità” dei poster del sindaco uscente. Letizia Moratti si proponeva in varie forme – versione “ghisa” (“per una Milano sempre più sicura”), fra gli anziani (“per una Milano sempre più solidale”), con la divisa dell’A.M.S.A., il servizio raccolta rifiuti della città (“per una Milano sempre più pulita”), in tenuta “manager” (“per una Milano sempre più vivibile”) – tutte con un evidente livello di “ritocco” fotografico. Per contro, la proporzionalmente più rara effige di Pisapia mostrava un uomo normale, semplice, serioso, talvolta sorridente, che guardava verso l’obiettivo in maniera diretta. La scelta apparentemente ingenua di questo secondo tipo di comunicazione visiva ha a mio parere innescato un effetto “verità” che ha reso Pisapia non solo più “reale” – e quindi emotivamente più vicino all’elettorato; il paradigma della persona “che potresti incontrare al supermercato” –, ma anche, per contiguità associativa, più “onesto” e quindi più “affidabile”. Se l’investitura popolare diretta dei sindaci, varata in Italia dalla legge n°81 del 1993, ha determinato una crescente “personalizzazione” della comunicazione politica1, è possibile ipotizzare che l’ “imperfetta” immagine di Pisapia sia risultata più convincente della levigata ma un po’ algida “perfezione” scelta per la signora Moratti. 2. Analisi della domanda (e dell’offerta) Prendendo invece in considerazione la componente “verbale”, ovvero i claim che accompagnavano le foto dei candidati, è facile notare come entrambi abbiano voluto sottolineare i vantaggi – reciproci e speculari – impliciti delle rispettive posizioni: lo staff dell’ormai ex sindaco Letizia Moratti ha optato
per una campagna istituzionale, trasmettendo un messaggio di assoluta continuità rispetto al mandato precedente, come esemplificato dal già citato “per una Milano sempre più vivibile/ sicura/ attiva/attenta/solidale/pulita”, ecc.; al contrario, Pisapia ha puntato sulla discontinuità – “La forza gentile per cambiare Milano”; “Il vento cambia davvero” – associando la “novità” della sua candidatura alla promessa di qualcosa di “nuovo”. Considerato il sentimento di diffusa insoddisfazione per lo stato delle cose in generale, e di quelle cittadine in particolare, è facile pensare che la prospettiva di un “cambiamento” sia stata giudicata più attraente di un messaggio che suona un po’ come “continueremo a fare le stesse identiche cose, e in misura ancora maggiore”.
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3. La posizione dell’interlocutore La differenza più eclatante fra gli stili comunicativi dei due candidati si è però palesata nella fase finale della campagna, quando, durante un contraddittorio, l’esacerbarsi dei toni ha indotto la candidata di centro-destra ad accusare l’avversario di complicità nel furto di un’automobile, avvenuto negli anni Settanta e finalizzato a un sequestro di natura politica. La palese falsità dell’accusa ha innescato fra i sostenitori di Pisapia una risposta improntata all’ironia, che nei giorni successivi si è trasformata in un vero e proprio “tormentone” via web (principalmente, Facebook e Twitter). Parliamo degli ormai classici (e irresistibili) “Pisapia facts”: una serie di asserzioni che accusavano il candidato di sinistra di comportamenti riprovevoli e via via più inverosimili. Qualche esempio: “Quando Pisapia sale sui mezzi pubblici, parla sempre al conducente”; “Pisapia, quando riconsegna i dvd, ci mette dentro il bigliettino con su scritto il finale del film”; “Pisapia non ha dato l’allarme iceberg sul Titanic perché gli serviva il ghiaccio per il mojito”; “Poco prima che chiudesse l’arca Pisapia regalò una scatola a Noé: quella con le due zanzare”.
» di Mareilla Dal Farra
La variabile “ironica” A prescindere dal divertimento insito in tali messaggi, la comunicazione basata sull’ironia ha il pregio di porre l’interlocutore su un piano di parità rispetto a chi comunica, perché implica che il ricevente sia abbastanza acuto da coglierne gli aspetti paradossali e riderne. In altre parole, l’ironia fa sentire l’interlocutore “intelligente”, soprattutto se questi ha la possibilità di rilanciare, diventando a sua volta comunicatore. Al contrario, l’atteggiamento velatamente “maternalistico” della candidata di centro-destra, basato sulla rassicurazione e, quindi, sulla de-responsabilizzazione, definisce un rapporto asimmetrico, dove (implicito) noi “stiamo lavorando” (per voi). In questo senso, il risultato delle ultime amministrative milanesi dimostra come, in maniera trasversale, le persone apprezzino di essere trattate come individui adulti, senzienti e, magari, dotati anche di senso dell’umorismo. per saperne di più: Una rassegna dei facts più divertenti su Giuliano Pisapia è pubblicata sul sito www.pisapiafact.it mentre i relativi “manifesti” sono rintracciabili su: http:// alter.spinoza.it/colorz/2011/05/24/moratt0i-vs-pisapia-i-manifesti-pdl.
note 1 Valerio Bonaretti, I sindaci demoeletti: democrazia locale e nuove strategie comunicative, tesi di laurea, 2005; reperibile all’indirizzo www.tesionline.it/ default/tesi.asp?idt=12909.
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» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Igor Ponti
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voluto ritornare alle origini della danza e dell’espressionismo, e di conseguenza a Rudolf von Laban, il nonno della danza di oggi. La mia idea era di ritornare proprio ai primordi, alla semplicità del gesto e del movimento. Con gli studi coreologici ci si occupa del movimento come esperienza, quindi da un punto di vista pratico, ma anche a livello teorico. Laban voleva portare danza e movimento allo stesso livello di musica e pittura, perché di queste ultime sono sempre stati considerate le sorelle minori: c’erano scenografie e decori molto belli, e solo in seguito il movimento; c’erano belle Sostenitrice di Rudolf von Laban, è con- musiche, e solo in seguito il vinta che l’essere umano abbia molto movimento. Laban ha dedicada dire e da dare. E intanto propone un to la propria vita cercando di dare un valore all’espressione nuovo strumento per comunicare: il voca- dell’essere umano. E io dopo bolario della danza e del movimento tanto studiare, dopo tanto lavorare nel teatro, nella danun processo di ricordi, almeno za e nell’ambito terapeutico, insomma con nel momento dell’incontro, un bagaglio di trent’anni di esperienze, ho nella relazione con il gruppo e deciso di ripartire da zero. con la persona che ti sostiene. Quello che adesso faccio più volentieri è traQuesto avviene per mezzo del smettere un materiale. Insegnare, preparare movimento perché il primo coloro che vogliono fare delle audizioni, e io che ci costruiamo è quelcreare coreografie. Soprattutto mi dedico a lo corporeo. All’inizio non con_creta, un progetto basato sull’espressione c’è un pensiero: c’è un’espedell’individuo in ambito artistico. Ho fondarienza che è fisica. Su questo to con_creta nel 2006 insieme a Diego Willy lavoro ho realizzato un dvd Corna, il mio compagno di avventura, che con i pazienti e il personale ha studiato da “Quelli di Grock”. Abbiamo del Centro diurno di Balerna. deciso che volevamo creare qualcosa che Quando faccio le cose non mi non fosse una compagnia o un’associaziopiace fermarmi a metà, per cui ne, ma un insieme artistico dinamico. Ciò devono avere una risonanza. significa che chi lavora con noi collabora a In seguito sono andata a Miun progetto. L’idea è di attingere alla realtà lano, in una struttura chiusa, dell’individuo, che però è parte del gruppo. con pazienti affetti da AlzheiNon vogliamo far nascere degli attori che mer, ma anche psichiatrici, siano come stampini. Ognuno deve poter prima di decidere di tornare utilizzare veramente le proprie peculiarità nell’ambito più artistico. Ma espressive. Nel 2010, per esempio, il progetto alla fine i piani terapeutico e formativo teatro ha messo in piedi “Tutti artistico hanno sempre a che dormono”, ispirato all’Antologia di Spoon fare con l’essere umano e le River di Edgar Lee Masters. È Diego che si desue modalità espressive. Per dica soprattutto alla formazione dell’attore, questo mi piace di più il teatro mentre io mi occupo delle coreografie e del vicino all’autenticità e meno movimento. Lavoriamo con tutte le generaquello legato alla finzione. zioni, principalmente la sera. L’impegno che In generale, lavoro e studio il richiediamo è grande, in quanto siamo severi movimento dell’essere umacon i nostri allievi: non vogliamo dare facili no nella sua parte espressiillusioni. Per vivere di questa professione, va e corporale. Da luglio di devi veramente andare avanti diritto. Come quest’anno ho iniziato una facciamo anche Diego e io, bisogna studiare formazione di specializzazioe allenarsi molto, non fermarsi mai. Con noi ne in studi coreologici. Ho non si chiacchiera: si lavora.
Nunzia Tirelli
Vitae
ono partita dalla ginnastica quando avevo sei anni. Mi piacevano sia la ginnastica espressiva sia la forza dell’atletica. Più tardi ho frequentato la Magistrale perché volevo insegnare. Ma non essendo un’amante delle istituzioni, alla fine, non ho mai insegnato. Mi sono trasferita a Milano per studiare: ho iniziato con la danza, poi sono passata al teatro e ho lavorato per tre anni con la compagnia “Quelli di Grock”. Dopo due anni a Londra, sono rientrata in Ticino e ho fondato il Progetto Danza, prima di avvicinarmi al lavoro di Cristina Castrillo, che mi ha spalancato un mondo. Nella danza studiavo un codice, uno stile. Amavo profondamente essere un’interprete. Ma con Cristina ho scoperto il mondo della creazione, la possibilità di essere attrice e creatrice. Dopo aver lavorato per dodici anni al Teatro delle Radici, visto che ho sempre bisogno di andare avanti e di fare altre cose, me ne sono staccata e ho voluto entrare nel mondo terapeutico. Perché i personaggi teatrali che a volte emergono dai processi creativi sono molto strani. E allora ci si chiede: da dove arriva questa figura? Perché i miei personaggi sono spesso zoppi? La terapia, legata anche all’analisi o alla psicoanalisi, ti sostiene nella ricerca di risposte a domande del genere. Questo mi ha portato a lavorare per cinque anni con persone affette da Alzheimer. Giungendo dal mondo teatrale, nel quale il fondamento è la memoria, ho voluto andare dove la memoria e l’individuo si sbriciolano, in un luogo dell’oblio. Entravo in questa stanza e aspettavo, guardavo le persone, stavo con loro. L’Alzheimer è la disintegrazione dell’individuo: i ricordi, gli affetti si frantumano, e con loro anche la persona. La danzaterapia non è una medicina che cura e l’Alzheimer è una malattia degenerativa. Ma attraverso un semplice gesto, un movimento delle mani, un tocco, è come se si innescasse
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S
Il fiume scorre, come scorrono il tempo, i ricordi e i racconti. Il fiume narra la sua storia e le vicende delle terre che attraversa, delle generazioni di popolazioni che incontra. Il fiume è oggetto e complice di questa narrazione
LE BOLLE DI MAGADINO
Un fiume, il suo delta e la memoria di un territorio testo di Raffaella Carobbio fotografie di Giosanna Crivelli
Giosanna Crivelli Nata nel 1949, vive a Montagnola. Lavora da molti anni come fotografa indipendente in campo editoriale e pubblicitario, oltre a tenere corsi di fotografia. Tra i temi a lei cari: il paesaggio archetipico, le trasformazioni degli ambienti naturali, i percorsi biografici e autobiografici. Ha pubblicato per gli editori Werd Verlag, SalvioniEdizioni, Desertina, Fondazione Hermann Hesse. Per informazioni: www.fotolife.ch
Percorre un’ampia parte del nostro cantone, il fiume Ticino, accoglie le acque delle valli alpine e le porta con sé fino al Verbano e oltre: fino al Po, fino al mare. E scandisce il passare del tempo, il suo fluire. E racconta, racconta il rapporto che nel corso dei millenni ha intessuto con il territorio, la storia della coesistenza (spesso conflittuale) con l’uomo; narra l’inestricabile intreccio che lega alla sua presenza le vicende di coloro che hanno abitato e abitano (e abiteranno) nelle sue vicinanze. Terreni paludosi e insalubri sottratti ai suoi capricci e bonificati: terre da coltivare e speranze di sviluppo economico e sociale, ma anche terre oggetto di speculazione. E, un po’ come l’uomo, il fiume ha memoria: ricorda il luogo in cui, spontaneamente, le sue acque incontravano il lago e con altrettanta naturalezza persevera nel tentativo di tornare alla sua foce. Come nell’interazione con l’uomo, la vita del fiume incontra e si scontra con quella del lago: dalle tensioni e nell’equilibrio – mai statico – delle rispettive forze prendono vita, si formano e si trasformano le Bolle di Magadino. Le acque del Ticino gettandosi nel Lago Maggiore portano con sé questo: la sua foce non è solo un sedimentarsi di materiali differenti che il fiume, lungo il suo cammino, raccoglie e trasporta. Nel delta del Ticino si può leggere il suo remoto passato – la primordiale, originaria libertà –, il suo assoggettamento ai bisogni umani e il suo sfruttamento. E si legge, infine, anche l’emergere della volontà di ri-comprendere il ruolo del fiume e delle sue dinamiche in una nuova dimensione, responsabile, nella quale le compresenze umane e naturali possano vicendevolmente “avere luogo”.
L’uomo e il fiume L’arginatura del Ticino ha snaturato il delta fluviale subordinandolo a dinamiche a esso esterne. Via via è andato formandosi un paesaggio non più naturale ma alterato dalle necessità e dall’attività dell’uomo: la gestione delle acque del Verbano (1943) che ha provocato un innalzamento del livello del lago e, di conseguenza, l’arretramento della fascia di canneto. A ciò si somma lo sfruttamento idroelettrico e l’attività estrattiva (il dragaggio sistematico del delta risale all’inizio degli anni Cinquanta) che ne hanno alterato, diminuendole, le possibilità di sviluppo. L’uomo si è affrancato dagli umori del fiume nella stessa misura in cui il fiume ha perso la sua libertà: natura incanalata accanto alla quale però, ancora oggi permane – residuale – una natura selvaggia, ultima preziosa e fragile traccia di un antico equilibrio. Da questa traccia è iniziato il cammino verso la rinaturazione della foce del Ticino (il progetto Delta vivo*) ossia la restituzione della foce alle leggi della natura, alle sue tensioni. Restituire la foce alla natura significa mettere la natura nella condizione di ri-appropriarsi degli spazi che le erano stati sottratti (o di colonizzarne degli altri, magari non originari, in una nuova e continua trasformazione) e di re-instaurare le proprie dinamiche. L’intervento dell’uomo è diventato indispensabile per tamponare il disturbo arrecato a questo ecosistema: uno dei più rari e preziosi paesaggi golenali svizzeri. La rinaturazione del delta del fiume Ticino è, dunque, la condizione imprescindibile affinché le Bolle di Magadino continuino a formarsi e rigenerarsi, anche domani.
*La Fondazione Bolle di Magadino e il Cantone Ticino hanno ricevuto recentemente il Premio “Corsi d’Acqua 2011” sia per la rinaturazione della foce del Ticino sia per l’opera di promozione della rinaturazione dei corsi d’acqua. Ringraziamo Nicola Patocchi, responsabile scientifico della Fondazione Bolle di Magadino, per la sua cortesia e disponibilità.
Alan Ford, il Gruppo T.N.T. e quelli come noi
invito alla lettura: Luca Raffaelli Tratti & ritratti. I grandi personaggi del fumetto da Alan Ford a Zagor Minimum Fax, 2009 per saperne di più: www.maxbunker.it
Oggetti p. 46 – 47 | di Roberto Roveda
Sono la più improbabile e sgangherata squadra di agenti segreti che la storia ricordi, ma questo non ha impedito ad Alan Ford e al Gruppo T.N.T di essere presenti nelle edicole da più di quarant’anni, con le loro avventure grottesche al limite del surreale. Merito della comicità dei personaggi e della fantasia del creatore, Max Bunker, ma anche della capacità che questo fumetto ha sempre avuto di raccontare la realtà di tutti i giorni
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li antichi, è opinione comune, la sapevano lunga e quindi dei loro modi di dire bisogna assolutamente aver fiducia. Per esempio, i romani sostenevano a proposito delle commedie o della satira che “castigat ridendo mores”: cioè “fanno ridere”, però fustigano comportamenti e vizi della realtà, spesso meglio di molte omelie e saggi seriosi. Alan Ford e la sua saga – una delle più longeve del ricco panorama fumettistico di lingua italiana – questo fanno. Quarant’anni di successi si spiegano solo con la capacità dei lettori di riconoscersi in qualche modo nei personaggi, per quanto sgangherati ai limiti del ridicolo siano e per quanto surreali e impossibili risultano le situazioni che vivono. È questo fondo di realismo che accompagna la tragicommedia di Alan e dei T.N.T a conquistare, è questa la genialata messa in atto da Max Bunker alias Luciano Secchi, milanese, classe 1939, creatore del fumetto assieme a un altro genio – questa volta della matita e della china – Roberto Raviola (1939–1996) in arte Magnus, cioè il Grande. Il segno dei tempi È annusando l’aria e i fremiti che scuotono il mondo alla fine degli anni Sessanta che Bunker crea il suo nuovo personaggio. Siamo nel 1969, tutto pare in fermento: da pochi mesi il maggio francese ha dato il via al grande tornado del Sessantotto. Questo clima di rovesciamento e di sovvertimento fa da brodo primordiale ad Alan e ai suoi compagni. Personaggi che si muovono in un universo che non è esattamente quello che ci si aspetterebbe per degli eroi del fumetto. La New York che li ospita più che a Manhattan assomiglia a una delle improvvisate periferie che in quegli anni di boom economico stanno sorgendo ai margini delle città europee e non solo. E anche gli eroi della saga, certo se la cavano, ma dirli tutti belli, affascinanti, coraggiosi e di specchiata virtù non è proprio possibile. Lo stesso Alan Ford è atletico, biondo, ha tutte le caratteristiche fisiche giuste, se nonché è terribilmente imbranato e di una ingenuità tale da dilagare in una certa dabbenaggine. Bunker si diverte un poco quindi a prenderci in giro e decisa-
mente in contropiede a partire dal fatto che il fumetto si chiama Alan Ford eppure Alan non è certo il protagonista assoluto. Per non parlare degli intrighi, delle spie e degli agenti segreti, un mondo che si scioglie tutto in uno sberleffo. Eppure ci aiuta a pensare, ci fa muovere all’interno di scenari a volte portati all’estremo, ma fondamentalmente riconoscibili. Quella che affrontano i personaggi creati da Bunker è vita reale molto più di quanto accade per eroi tutti d’un pezzo com’è il classico Tex; c’è molta più verità in Alan Ford che in tutti i supereroi made in USA messi assieme. Perché tutti noi siamo immersi in un mondo dove difetti, vizi, codardie e mediocrità sono all’ordine del giorno, ci muoviamo in strade con le buche e tra case che hanno crepe nei muri. E tanti uomini carichi di anni assomigliano più al Numero 1 – il capo del Gruppo T.N.T, libidinoso e avido nonostante i capelli e la lunga barba bianca – che allo stereotipo del vegliardo carico di esperienza e di saggezza. Mostri di vita E questo realismo celato, sotto traccia, quasi “tra le righe”, espresso con una buona dose di pudore, lo si ritrova anche nel modo in cui vengono resi graficamente i personaggi. Magnus, creando quelle che appaiano come delle caricature, è straordinario nell’immaginare fisionomie e nell’enfatizzare i difetti fisici – spesso espressione di difetti morali –, ma ogni personaggio non perde la sua umanità di fondo, la sua veridicità di base. Mai viene messo gratuitamente alla berlina. Si tratta di “mostri”, certo, con deformazioni portate spesso all’eccesso, esseri imperfetti, ma come imperfetta è la realtà. Questo panorama, che hai i suoi accenti di tragicità e di squallore, viene quindi raccontato da Bunker e disegnato da Magnus – e poi dai disegnatori che lo sostituiranno a partire dal 1975 – senza distacco, disprezzo o compiacimento ma con la partecipazione che hanno i creatori quando vedono i loro alter ego soccombere, incapaci di sfuggire a un destino ineluttabile. E se non si può vincere, allora tanto vale farci sopra una risata e provare a “tirare a campare”… senza dover troppo stringere la cinghia, senza crearsi eccessive illusioni e rivendicare pretese impossibili. Ma soprattutto senza cedere mai al cinismo e all’indifferenza.
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e lavatrici del passato erano decisamente rudimentali: tre o quattro programmi di lavaggio più la centrifuga, s’inseriva il bucato poi si premeva il tasto di avvio. Il risultato era un lavaggio rude che garantiva sì il pulito ma che a lungo andare poteva rovinava gli indumenti. Non di rado infatti la padrona di casa decideva di lavare a mano i capi più delicati. Oggi la lavatrice è in grado di trattare senza problemi la seta, la lana (alcuni programmi di lavaggio hanno la certificazione Woolmark) ma anche piumoni, coperte, tende e perfino le scarpe. Le lavatrici odierne sono dotate infatti di sensori di carico e torbidità dell’acqua che permettono di determinare il peso degli indumenti e il loro grado di sporcizia così da variare automaticamente la
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temperatura dell’acqua, la velocità di rotazione del cestello, il tempo di lavaggio e perfino il dosaggio del detersivo. Il risultato è un risparmio di detersivo, acqua ed energia. Non stupisce che ormai tutte le lavatrici con carico di bucato superiore ai 3 chili siano certificate classe energetica A (alcune addirittura A-30%). Da non trascurare il risparmio reso possibile dalla programmazione del lavaggio con partenza automatica nelle fasce orarie in cui il costo dell’energia elettrica è minore. Alcuni modelli hanno un dispositivo elettrolitico in grado di produrre ioni di argento: in fase di risciacquo questi penetrano in profondità nelle trame dei tessuti eliminando la flora batterica responsabile dei cattivi odori. Sono poi da poco arrivate sul mercato lavatrici che utilizzano il vapore per trattare gli indumenti prima del lavaggio: penetrando nelle fibre il vapore agisce come un tensioattivo, aumenta lo
Affermare che le lavatrici sono un semplice strumento per lavare il bucato è oggi decisamente riduttivo. Senza ignorare l’apporto dato sul piano dell’emancipazione della donna, che a questo oggetto è stato più volte e da più parti riconosciuto, è indubbio che l’evoluzione tecnologica, pur incidendo poco sull’aspetto esterno di questo indispensabile elettrodomestico, ne ha completamente rivoluzionato il funzionamento
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scioglimento dei grassi, cattura lo sporco e lo trascina con sé. Il vapore possiede infatti una “carica decontaminante” che permette di combattere la presenza di batteri, muffe e altri agenti allergeni. Se in famiglia ci sono bambini piccoli o persone che soffrono di allergie, il lavaggio a vapore è particolarmente indicato. Inoltre il trattamento a vapore eseguito dopo il lavaggio ad acqua favorisce una stiratura più facile e veloce dei capi, eliminando anche le pieghe più difficili.
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Puliti e asciutti
I modelli di lavatrice a vapore hanno una capacità di carico di almeno 8 chili e ovviamente presentano un costo maggiore, in compenso anche le lavatrici a vapore hanno la certificazione classe energetica A-30%. Tre dei nove modelli di lavatrici presenti nel catalogo 2011 del produttore coreano LG sono a vapore. Il modello LG F1480TDSP ha, per esempio, una capacità di carico di 8 chili ed è dotato di tecnologia Direct Drive ovvero il motore è direttamente collegato al cestello; niente cinghia di trasmissione e puleggia, il risultato è una lavatrice più silenziosa senza vibrazioni con la possibilità di controllare la velocità di rotazione del cestello in base ai tessuti inseriti . In inverno far asciugare i panni appena lavati in ambienti saturi di umidità come quelli di un appartamento, o peggio ancora di un bagno, può risultare difficile. Se si hanno problemi di spazio si può decidere l’acquisto di una Lavasciuga ovvero di una macchina “2 in 1” che integra le funzioni di lavatrice e di asciugatrice. Consuma meno elettricità di due apparecchi separati; per contro la capacità di carico della funzione di asciugatura è minore di quella di lavaggio: una lavasciuga con 5 chili di carico può asciugare solo 3,5 chili di biancheria. Bisogna quindi caricare meno la macchina o estrarre parte del bucato lavato. Tutti i produttori di lavatrici hanno in catalogo almeno uno o due modelli di lavasciuga.
Fate attenzione ai due valori distinti di classe energetica, uno per il lavaggio e l’altro per l’asciugatura, di questi apparecchi. Cercate sempre di acquistare modelli certificati classe A sia per il lavaggio sia per l’asciugatura.
Quando il sole latita Molto diffuse nei Paesi nordeuropei sono le asciugatrici. Esistono due tipi di asciugatrici: a condensazione o a pompa di calore con una capacità di carico che varia dai 4 ai 10 chili. Nei modelli a condensazione, i più diffusi, il vapore viene trasformato in acqua priva di calcare e successivamente raccolta in un’apposita vaschetta o convogliata in uno scarico. Questo tipo di asciugatrici richiede una manutenzione costante, in quanto la vaschetta va periodicamente svuotata. I modelli a pompa di calore – un modello di riferimento può essere rappresentato dalla Adora TL WP della V-ZUG –, invece, espellono il vapore direttamente nella stanza o attraverso un tubo che deve essere collegato a un foro di scarico esterno. Per questi motivi è una soluzione poco adatta a un’abitazione, ed è consigliabile in presenza di uno spazio lavanderia. Un’asciugatrice può essere regolata su più livelli da leggermente umido a perfettamente secco. Sono disponibili programmi per asciugare capi delicati come lana (con certificazione Woolmark per alcuni modelli) o seta oppure per dare una semplice rinfrescata ai panni che hanno preso un cattivo odore. Con l’asciugatrice il bucato appena lavato risulta molto più facile da stirare grazie all’azione contemporanea di aria calda e di uno speciale movimento del cestello che rilassa fibre e tessuti dei capi, prevenendo la formazione di pieghe. Un modello a pompa di calore, certificato classe A con la possibilità di asciugare anche cuscini e capi sportivi è la Miele T 89-67 WP CH EcoCare. Una curiosità. A Las Vegas al Consumer Electronic Show tenutosi lo scorso gennaio, LG ha presentato un prototipo di lavatrice con funzione Smart Green. Collegata alla rete internet domestica assieme agli altri elettrodomestici presenti in casa, è in grado di decidere autonomamente quando lanciare il lavaggio; non solo tiene conto delle fasce orarie in cui l’erogazione di energia costa meno ma anche delle potenze assorbite in quel momento dagli altri elettrodomestici accesi. Inoltre il controllo delle funzioni della lavatrice può avvenire tramite Smartphone o Tablet.
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Merito e meritocrazia Il merito conta eccome: un mondo in cui non ci fosse lode per l’azione socialmente approvata e biasimo per quella disapprovata sarebbe un mondo di pazzi. Un incubo dei peggiori
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Giustizia o efficienza? Il merito è sicuramente un criterio efficiente, e quindi da adottare, per conseguire una società in grado di funzionare bene e di offrire buoni rendimenti economici. Forse però non è un criterio completamente giusto rispetto a coloro che sono sottoposti al suo vaglio, per i motivi che cercherò ora di spiegare. Prendiamo la formula del merito: “quoziente di intelligenza + sforzo”, elaborata nel 1958 dallo scienziato sociale inglese Michael Young, inventore della parola meritocrazia e primo critico della società meritocratica. Partiamo dal primo fattore, semplice da capire e facile da demolire: che merito c’è nell’essere nato intelligente? Nell’essere venuta al mondo con talento artistico, o matematico, o letterario? O nell’aver avuto dei genitori e dei maestri che hanno sviluppato la tua intelligenza e creatività? Che merito c’è nell’essere cresciuto in un paese ricco che istruisce tutti gratuitamente? Il secondo fattore, quello dello sforzo, sembra maggiormente legato alla libera scelta responsabile individuale. Eppure non potrebbe essere, ci chiediamo, che l’ambizione e la capacità di sforzarsi e di compiere scelte opportune siano anch’esse doti naturali o che si apprendono socialmente in certi contesti educativoambientali e in altri no? L’argomento or ora addotto si rifà ai due punti della famosa critica alla meritocrazia del filosofo politico americano John Rawls (1921–2002), che recitano: “1. Nessuno merita il posto che ha nella distribuzione delle doti naturali [...]. 2. L’affermazione che un uomo merita il carattere superiore che lo mette in grado di fare uno sforzo per sviluppare le sue capacità è altrettanto problematica; il suo carattere infatti dipende in buona parte da una famiglia e da circostanze sociali a lui favorevoli, cose per cui non può pretendere alcun merito”.
Conta più lo sforzo o il risultato? Si potrebbe ribattere a Rawls, come è stato fatto, che se le doti naturali non sono meritate, la capacità di fare uno sforzo invece lo è. Ma anche supponendo che sia così, che cosa conta nella valutazione del merito, il risultato ottenuto o lo sforzo compiuto per conseguirlo e magari non raggiungerlo? Pensando in termini di giustizia – non di efficienza, non di mercato, non di realpolitik – è giusto premiare il talento, lo sforzo o il risultato? Valutare lo sforzo tuttavia è assai difficile, tanto quanto valutare la motivazione, fattore tendenzialmente ignorato nei test e nelle selezioni ai posti di eccellenza ma decisamente importante. E se nonostante lo sforzo il risultato si rivela deludente? Se i meno dotati si sforzano tanto e conseguono poco? Le leggi del mercato si disinteressano sovranamente degli sforzi meritori e guardano solamente ai risultati, così come non si interessano alle storie che producono merito o giustizia, ma soltanto alle vendite del prodotto finito. Alle leggi del mercato non importa se il risultato deriva da scelte attive o da dotazione passiva: vogliono persone che rispondano ai requisiti richiesti dal momento o imposti da mode e bisogni veri o falsi, e sono disposte a pagarle profumatamente senza alcun riguardo nei confronti di attività o passività del merito.
» di Francesca Rigotti; illustrazione di Mimmo Mendicino
Il mito del merito Il merito: preposto a decidere dell’attribuzione di posizioni di prestigio e ben pagate, e prima ancora dell’accesso a luoghi di istruzione privilegiati che conducono a carriere di responsabilità, generosamente retribuite e socialmente riconosciute. Qualche osservazione intorno al criterio del merito insomma ci sarebbe; quel merito sul quale si è venuto a creare un mito secondo cui il merito stesso sarebbe un criterio limpido ed equo per l’attribuzione e la distribuzione dei beni succitati, invocato da tutte le parti politiche a sostituire i criteri basati su eredità, corruzione, nepotismo.
Intelligenti e stupidi Attenzione poi a un altro aspetto, poco considerato dai fautori acritici del merito: uno degli svantaggi della società meritocratica – lo intuì già lo stesso Young – è la divisione della società in intelligenti e stupidi, in istituzioni di serie A, popolate da persone per lo più arroganti, competitive, aggressive, convinte di essere superiori e spesso prive di valori morali, e istituzioni di serie B che raccolgono persone in gran parte demoralizzate, avvilite e umiliate nella loro autostima. Nella società meritocratica inoltre competitività e aggressione trionferebbero a tutto svantaggio di doti come gentilezza e coraggio, immaginazione e sensibilità, simpatia, mitezza e generosità. Giovani meritori andrebbero a spadroneggiare su persone più mature ma non privilegiate, e tornerebbero a esserci anche i servi, stupidi ovviamente, affinché gli intelligenti possano risparmiare il loro tempo.
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Astri gemelli
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Settimana di bollenti spiriti caratterizzata dal transito di Marte. Grazie a questo passaggio vi sentirete molto attivi. Affermate la vostra personalità. Momenti romantici per i nati nella prima decade.
Mercurio, il vostro astro guida, è entrato nel segno amico del Leone: potrete beneficiare di un forte incremento negli affari, ancor meglio se legati all’informatica, al commercio o alla comunicazione.
Grazie a Giove e a Venere favorevoli la prima settimana di luglio si presenta particolarmente propizia per la nascita di un nuovo amore. Favorite le svolte radicali. Rottura definitiva con il passato.
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Elettrizzati dai transiti di Urano, Mercurio e Marte, grazie a un crescente potere creativo, di limiti non ne volete più sentir parlare. Maggior controllo nell’alimentazione. Confrontatevi con il partner.
Periodo assai vivace e frenetico. Le relazioni con gli altri si svolgono in maniera facile e proficua. La vostra personalità tende a essere apprezzata dall’ambiente che vi circonda. Iperattività intellettuale.
Grazie a Venere, si apre un periodo particolarmente favorevole per andare in vacanza, conoscere nuove persone e confrontarsi con nuove culture. Nascita di un’attrazione nei confronti di una persona straniera.
Venere armoniosa, Giove in opposizione. Attenti a non peccare di faciloneria negli affari professionali come nelle vicende di cuore. Imparate a calibrare i vostri giudizi e a confrontarvi con gli altri.
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Scelte professionali e ritrovata vivacità intellettuale. Grazie agli aspetti positivi con Mercurio e Urano vi sentite vivi e creativi. Tutto quanto vi circonda tende ad assumere il sapore della novità.
State attenti a quello che dite. Correte il rischio di instaurare un percorso irto di polemiche con il partner. Concentratevi sul settore finanziario. Momento importante per i nati nella prima decade.
Incontri sentimentali e nuove situazione amorose: Venere di transito vi rende più autoindulgenti nei confronti dei vostri doveri di coppia. Comportamenti eccentrici per i favoriti dalla quadratura con Giove.
Marte è in quadratura: evitate di entrate in contrasto con i membri della vostra famiglia. Rispettate l’autonomia degli altri, ma fatevi anche rispettare. Affinità con il partner. Possibilità di carriera.
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Orizzontali 1. Stimati, riveriti • 10. Traiettoria • 11. Il club dell’alpinista • 12. Manto equino • 13. Ogni vettura ha la propria • 15. La somma degli anni • 16. Echeggiano di latrati • 17. Torna sempre a primavera • 19. Dittongo in giada • 20. Marsupiale australiano • 22. Starnazza • 24. Lucidi per pavimenti • 26. Regione toscana • 27. Epoche • 28. Che ci appartiene • 30. Mezza cena • 31. Art. maschile • 32. Né tuoi, né suoi • 33. Comprende il battaglio • 35. Millecento romani • 36. Pari in chela • 37. L’Ughi violinista • 38. Lo dice chi non sa! • 39. Vocali in picchi • 40. Imbianchino • 42. Uruguay e Austria • 43. Antiche cambiali • 44. Negazione bifronte • 46. Fiore violetto • 48. Nome russo d’uomo • 49. È scritto o orale.
• 7. Aspri e pungenti • 8. Ferita da coltello • 9. Un Profeta • 14. Dilatazione arteriosa anomala • 16. Città dell’Ohio • 18. Preposizione semplice • 21. Crimini • 23. Lo sono grano e segale • 25. Stoiche • 29. Indugi • 31. Uccello con il ciuffo • 34. Osservare, rilevare • 38. Sporta, sacca • 41. Terna al poker • 42. Il primo dispari • 45. Pari in Congo • 47. Dubitativa.
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Verticali 1. Canta “Chiamami ancora” • 2. Arrabbiato • 3. Impallidire • 4. Devoto • 5. Ente Turistico • 6. Anna, cantante
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» a cura di Elisabetta
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Mercurio e Marte favoriranno soprattutto i nati nella prima decade. Momento proficuo per portare a termine un affare o una transazione. Particolarmente complesse le giornate comprese tra il 3 e il 5 luglio.
La soluzione verrà pubblicata sul numero 28
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