№ 5.
&'+ 55 +6)+*/ 5700
%/- T'+'1$&*/ 5(–47 +6)+*/
I-%*&'-3* &/,'23*%*
CASA O TRAPPOLA?
C T › RT › T Z › .–
I
Omicidio nella sauna
l corpo sul pavimento della sauna era già freddo quando il Commissario Volpe arrivò sulla scena del crimine. Sulla schiena del morto si apriva una ferita causata da un oggetto appuntito. Volpe scrutò i tre altri ospiti della sauna. Uno di loro doveva essere l’assassino: il giovane studente con il notebook sotto il braccio, l’arzilla nonnina con il termos in mano e l’affascinante insegnante di yoga, che aveva con sé gli oli profumati. Il commissario ispezionò minuziosamente i tre sospettati, senza trovare alcuna arma. Improvvisamente il caso gli fu chiaro e affermò trionfante: «È ovvio, il colpevole è »
Il potere esclusivo dell’inserzione.
L’interattività è solo uno dei molti vantaggi delle inserzioni presentate da Manuel Rohrer e Patrick Ryffel dell’agenzia pubblicitaria Contexta. Un’iniziativa di Stampa svizzera in collaborazione con i giovani talenti creativi delle agenzie pubblicitarie svizzere.
Ticinosette n° 29 22 luglio 2011
Agorà Incidenti domestici. Casa dolce casa…
DI
4 6 8 9 10 11 12 14 39 46 48 50 50 51
VALENTINA GERIG. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Società La generazione perduta
DI
Impressum
Levante Pardon, parlo arabo!
MARCO ALLONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tiratura controllata
Letture Una sfida per la Chiesa
Chiusura redazionale
Kronos Finanza magica
Editore
Salute Estate a rischio otite
Direttore editoriale
Media Letteratura fantastica. Roba da bambini…?
Redattore responsabile
Vitae Sabrina Rovati
Coredattore
Reportage Toreri, fotografi e altri miti
72’011 copie
Venerdì 15 luglio
Teleradio 7 SA, Muzzano Peter Keller
Fabio Martini
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
Pubblicità
Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch
Annunci locali
Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch
In copertina
illustrazione di Antoine Déprez
DI
DI
DI IVO DI
DI
ALESSANDRO TABACCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SILVESTRO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ELISABETTA LOLLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DI
MARIELLA DAL FARRA . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIANCARLO FORNASIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sguardi Tennis. Il tocco e la forza Tendenze Boot Camp Trend Visioni La dignità della fede
DI DI
DI
FOTOGRAFIE DI
RENÉ BURRI E MARCO D’ANNA . . . . . . .
ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PATRIZIA MEZZANZANICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A ghem bisögn… Gentili lettori, riportiamo di seguito il testo di una lettera giunta alla Redazione in riferimento alla pubblicazione sul n° 27 di Ticinosette dell’articolo a firma Silvano De Pietro dedicato alla crisi della sinistra in Svizzera e, conseguentemente, in Ticino (La sinistra? In fondo a destra). L’autore si firma ma, come di consueto, per ragioni di privacy omettiamo il nome. Egregio signor redattore, avete un bel dire che non siete socialcomunisti!... ma non c’è numero che non salti fuori la nascosta passione… amen. Ma sono stufo di essere preso (automaticamente) per i fondelli, e con i miei soldi dell’abbonamento al CdT. Doppio amen. A ghem bisögn una guera! E con un triplo amen la saluto. (lettera firmata) Innanzitutto desidero ringraziare vivamente il lettore che, al di là del colorito sfogo e delle personali opinioni, ha avuto il merito di prendere foglio e penna e scriverci dichiarando nome e cognome. Una precisazione non da poco visto che altri (fortunatamente pochi) preferiscono criticare in forma anonima, che non è certo segno di grande ardimento. Riguardo all’essere
socialcomunisti, resta una personalissima idea dell’autore, dato che come giornalisti ci preme svolgere un lavoro di analisi e, se è il caso, di aperta critica nei confronti della politica, sia essa di destra o di sinistra, inclusi quei fenomeni sociali, culturali e istituzionali che meritano attenzione e approfondimento. Ciò che conta non sono le ideologie ma il rispetto dei valori democratici e lo sviluppo della società civile nel complesso delle sue articolazioni. L’autore ricade nel meccanismo già in passato segnalato nei nostri editoriali: la critica doverosa ai comportamenti e alle scelte della politica come della società nazionale o ticinese nulla ha a che fare con l’orientamento politico. In un’autentica società liberale (non liberista, perché i danni del liberismo, forse non se ne sarà accorto, li stanno pagando e continueranno a pagarli l’Europa, gli Stati Uniti e il mondo intero e i responsabili non sono certo le persone comuni come me o lei, signor lettore) il postulato “o sei con me o sei contro di me” non funziona mai, così come la radicalizzazione del dibattito politico. Riguardo alla guera, se lei ne avverte il bisogno, mi dispiace; da parte mia non l’auguro né a lei né a nessun altro. Ma sono certo che stesse scherzando… Cordialmente, Fabio Martini
Problemi informatici? I nostri esperti Amico vi consigliano in modo competente per telefono e vi forniscono assistenza tramite accesso remoto al vostro computer. Registratevi subito al numero gratuito 0800 803 175 oppure su swisscom.ch/problemiinformatici
Incidenti domestici. Casa dolce casa…
4
»
Agorà
Prese elettriche, scale, fornelli accesi, pavimenti scivolosi: anche la casa nasconde le sue insidie. Gli incidenti domestici sono molto elevati, sia a livello europeo che in Svizzera. Comportamenti errati, disattenzione, fretta: la prevenzione è la parola d’ordine. Soprattutto per le persone anziane
S
civolare dalle scale, maneggiare in modo distratto un utensile in cucina e tagliarsi, bruciarsi inavvertitamente mentre si toglie la torta dal forno. Sono solo alcune delle insidie che si nascondono in casa, il luogo che ognuno di noi considera come il più sicuro e protetto da pericoli. Eppure i numeri parlano chiaro. Gli infortuni domestici sono molto diffusi: in Svizzera ogni anno si verificano circa 600mila casi di incidenti in casa o nel tempo libero. Molto più degli incidenti stradali, e più degli infortuni in ambito sportivo. Di questi 600mila, circa 400mila avvengono presumibilmente tra le mura domestiche. Le persone più a rischio sono gli anziani, i bambini e le casalinghe perché sono le tre categorie che, per motivi diversi, trascorrono maggior tempo in casa. È normale abbassare il livello di guardia quando si è nel proprio domicilio, come è sacrosanto sentirsi protetti una volta chiusa la porta dietro di sé. Ma ci sono semplici accorgimenti che è utile tenere a mente per evitare di incorrere in incidenti pericolosi o brutti spaventi. Scivolare, inciampare, cadere… L’Upi, Ufficio per la prevenzione degli infortuni, si occupa di divulgare i risultati scientifici che derivano dall’attività di ricerca in questo ambito e di sensibilizzare la popolazione. Tra le tematiche trattate, anche gli incidenti domestici. “Noi suddividiamo gli infortuni in tre ambiti: la strada, lo sport, e, in un unico raggruppamento, la casa e il tempo libero. Quest’ultima tipologia conta circa 600mila casi all’anno in Svizzera. Sono risultati che otteniamo attraverso rilevazioni presso medici e ospedali” spiega Paola Lurati, portavoce Upi per il Ticino. È la caduta, con 300mila casi, ad aggiudicarsi la maglia nera degli incidenti a casa: scivolare, inciampare in piano, dalle scale o dall’alto, sono le casistiche più tipiche.
Frattura del polso, del femore e del bacino le conseguenze più diffuse. Poi seguono le ferite da attrezzi, utensili, macchine e le ferite da schegge e da lamiere. Sono gli incidenti che avvengono soprattutto in cucina, nelle attività di bricolage o nei lavoretti domestici. Seguono, con meno frequenza, le ustioni, gli incidenti legati all’elettricità, gli avvelenamenti e, infine, gli annegamenti. Per questo ultimo caso, Paola Lurati ci anticipa che l’Upi farà una campagna di sensibilizzazione a partire da fine aprile “non tanto per la frequenza, ma per la sua gravità”. Anche uno specchio d’acqua poco profondo costituisce un pericolo mortale, soprattutto per un bambino con un’età compresa tra 1 e 4 anni. Quali sono infine i locali più a rischio? Al primo posto c’è la cucina: è il luogo dove si trascorre più tempo, dove si traffica tra fornelli, elettrodomestici e fonti di calore. Anche il bagno, statistiche alla mano, nasconde le sue insidie: pavimenti scivolosi, uso delle prese elettriche senza verificare che il pavimento non sia bagnato, presenza di detersivi e prodotti chimici. Off limits anche le scale, soprattutto se sono senza corrimano. Le regole d’oro per una casa sicura “La buona illuminazione dell’entrata, le scale antisdrucciolevoli, il corrimano. E poi è fondamentale il comportamento: l’80% degli incidenti dipende da questo fattore. Sì all’organizzazione, l’ordine, la pulizia. Evitare la fretta”. Queste in sintesi le regole d’oro che suggerisce Paola Lurati per evitare di incorrere in spiacevoli incidenti tra le mura domestiche. Per scongiurare le cadute, meglio non avventurarsi in piedi su sedie o scale pieghevoli per appendere le tende alle finestre. Da togliere fili elettrici, prolunghe, tappeti non fissati: sono di intralcio. Attenzione anche ai veleni e alle sostanze potenzialmente tossiche. Sono onnipre-
Gli anziani: l’importanza della prevenzione A cadere sono soprattutto le persone anziane: l’80% dei 300mila casi annuali in Svizzera. In ospedale, un letto su quattro nel reparto ortopedia è occupato da una persona con più di 65 anni che ha subìto la frattura del collo del femore conseguente per lo più a una caduta. Fra questi soggetti, uno su quattro non può più tornare al proprio domicilio dopo l’evento. Sono alcuni dei dati riportati sul sito
dell’Ufficio di Promozione e Valutazione Sanitaria. Il problema degli incidenti domestici tra le persone anziane merita un discorso a sé perché si può agire molto sulla prevenzione. Ne parliamo con Raquel Galli Zirpoli, coordinatrice dell’associazione Pipa (Prevenzione degli incidenti delle persone anziane): “Il nostro progetto è nato nel ’96 per far fronte ai costi legati alle cadute degli anziani. L’intento era quello di creare delle iniziative, di fare informazione per prevenire un problema che, già allora, costava svariate migliaia di franchi. Spesso si considera solo la caduta in sé, bisogna invece anche pensare alla riabilitazione e al fatto che un anziano, dopo una frattura, diventa più propenso a cadere perché interiorizza la paura e si sente più insicuro”. In questi quindici anni, spiega la signora Zirpoli, le cose sono cambiate molto: “Allora c’era solo un geriatra in Ticino. Adesso esiste un reparto con questa specialità in tutti gli ospedali del Cantone. Questo ha aiutato molto a capire la distinzione non tanto tra terza o quarta età, ma tra anziano completamente autosufficiente, mediamente autosufficiente e dipendente. Resta un problema però: raramente l’anziano va da solo dal geriatra, se accade è perché lo ha scoperto in ospedale. Si reca invece dal suo medico curante, e tende a considerarlo bravo se gli dà tanti farmaci”. È una variante importante perché il loro uso scorretto può rendere le persone anziane più esposte a disattenzione e cadute.
I rischi legati ai farmaci Sui rischi legati all’aspetto medico-farmacologico, l’associazione Pipa insiste molto con i suoi progetti: “L’anziano tende a non buttare via le medicine, molte volte ne assume troppe contemporaneamente. Purtroppo abbiamo ancora difficoltà a sensibilizzare la fascia dei medici generici su questo aspetto perché spesso pensano di conoscere i loro pazienti meglio di chiunque altro. Raramente consigliano loro di recarsi da un geriatra”. Proprio quest’ultima categoria consiglia di non assumere più di 4 farmaci contemporaneamente, facendo attenzione ai medicinali per il sistema cardiovascolare e all’uso di ansiolitici. “L’incidente è spesso provocata da tappeti non fissati, dalla scarsa illuminazione perché non si vuole spendere troppo, da movimenti bruschi – continua e conclude la coordinatrice dell’Associazione Pipa –. Ma oggi ci si rende sempre più conto dell’incidenza della solitudine, la sedentarietà, la paura forte dopo una prima caduta, l’alimentazione, le risorse finanziarie. Non è tanto un problema di età ma di come l’anziano sta”. Sul sito www.lnrg.ch/pipa o chiamando direttamente l’associazione, è possibile ricevere gratuitamente tre opuscoli. Uno con l’illustrazione di semplici esercizi da eseguire con una scheda di autovalutazione, uno sulle corrette abitudini alimentari e uno sulla prevenzione delle cadute. Affinché la casa sia davvero dolce e sicura, a qualsiasi età.
» di Valentina Gerig; illustrazione di Antoine Déprez
senti: nel mobiletto dove si tengono i detersivi e i prodotti per le pulizie, nell’armadietto dei medicinali, nel locale hobby. Ogni anno in Svizzera ci sono 4.500 vittime per avvelenamento. A farne le spese sono soprattutto i bambini. Le sostanze chimiche e i medicinali non devono mai essere travasati in altri contenitori che rischiano di non essere riconoscibili. Quando sono scaduti, vanno riportati nei punti vendita o in farmacia. Usare sempre i guanti quando si manipolano sostanze nocive per la salute. I bambini devono essere sempre fuori dalla portata di questi prodotti. E, infine, i loro giocattoli devono essere fabbricati con vernici sicure che corrispondono alla norma EN71. La maggioranza degli incidenti che colpiscono i bimbi piccoli avvengono in presenza dei genitori o di adulti e accadono proprio tra le mura domestiche o nelle zone limitrofe.
»
La generazione perduta Una riflessione dedicata ai trentacinquenni e alla forza dei ricordi. Decine di studi hanno appurato che si tratta di una generazione di malinconici, terrorizzata dal presente e influenzata dai ricordi della prima giovinezza e dei suoi idoli. Un non-detto comune a molti, un sentire indefinito che ci permea
È necessario partire da molto lontano, e tornare alla nostra
infanzia, a quegli anni Ottanta che qui saranno non il decennio dell’edonismo e degli yuppies, del soldo facile e dei paninari, ma il contenitore ideale delle nostre memorie e delle nostalgie di un’infanzia che non è più. Una sorta di età dell’oro appena sfiorata e perduta. Siamo stati bambini fortunati, appagati e viziati, figli della generazione più ricca, istruita e possidente che mai abbia abitato l’Europa dalla notte dei tempi. Siamo stati i figli degli anni “del riflusso”, noi nati nel 1976, 1977, o 1978 che sia, anni in cui l’impegno politico dei nostri padri stava scemando in una sorta di limbo autoreferenziale. Abbiamo vissuto in case comode, circondati da cose belle e affetti narcotizzanti, e, in barba alle velleità degli Indiani Metropolitani e dei declinanti sacerdoti del terrore armato, le nostre fortezze borghesi erano foderate dalla serena e luminosa monotonia dei Natali con l’albero, delle tombole con le lenticchie la notte di Capodanno, degli spot dell’Orsetto Coccolino e del cane buono della Chicco, delle scazzottate innocenti di Bud Spencer e Terence Hill, di Radio Gaga e The Final Countdown che echeggiavano per casa la domenica mattina sparati dalla radio del vicino, del Te Deum dell’Eurovisione che ci annunciava mondi lontani, dei compiti finiti in fretta sul tavolo del tinello per arrivare in tempo a guardare i cartoni alle quattro… ed eccoci al punto: i cartoni… proprio loro! Quanto ci mancano, quei cari cartoni!… Quasi fratelli per una generazione di figli unici. Perché se noi fummo sedotti e incantati dalla televisione, non ci sono dubbi in merito, dai nostri amati cartoni non fummo però mai corrotti. Perché del buono, e del bello, c’era in quei cartoni, e in abbondanza. Sì, permettetemi di difendere i paladini che ci hanno tenuto per mano nei nostri anni felici! Una danza di immagini In America chiamano soft power la capacità di influenzare la vita e la personalità attraverso un indolore ma profondo bombardamento culturale. Orbene, in fatto di soft power nessuna nazione può rivaleggiare col Giappone e i suoi manga e anime negli anni Ottanta. Noi fummo realmente forgiati
La casa islandese dello storico incontro fra Gorbaciov e Reagan nel 1986 (www.panoramio.com); a sinistra: il personaggio di Lady Oscar (www.paffio.it)
Gli altri eroi I nostri anni Ottanta da bambini videodipendenti sono stati questo, ma non solo. Da quella scatola onirica (che qualcuno poteva permettersi a colori, mentre spesso era ancora in bianco e nero), oltre all’eroismo e all’idealità dei cartoni, si affacciavano ai nostri occhi, come per magico incanto, il coraggio e la grandezza vera di persone in carne e ossa: Nelson Mandela, quel saggio di pelle nera, dalla faccia buona e severa, imprigionato ingiustamente; Michail Gorbaciov, buffo signore con una macchia sulla fronte che si batteva per riformare l’Impero Sovietico (che in noi si sovrapponeva immancabilmente all’Impero di Guerre Stellari) per renderlo più vicino a “noi”; e poi il ragazzo senza nome che fermò il carro armato a Tien An Men, o quel pazzo scapicollato che atterrò con un aereo sulla Piazza Rossa, o ancora le navi di Greenpeace che lottavano con le baleniere nell’oceano, e Messner che scalava gli Ottomila,
al di sopra delle nuvole… tanti frammenti di sceneggiatura di un’unica grande opera corale che andava formandosi nei recessi della nostra anima di bambini. Un’opera osservata da spettatori, mai vissuta da protagonisti, da noi che eravamo stati educati a “vedere” più che a “vivere”. I nostri anni Ottanta non parlavano il linguaggio della corruzione politica e della speculazione economica, erano piuttosto i nostri padri e fratelli maggiori a esaltarsi per Gordon Gekko; noi eravamo ancora troppo piccoli e troppo puri, persi a sognare duelli e battaglie, e non sapevamo ancora che sarebbero stati proprio i Gordon Gekko a rovinarci la vita. Un amaro risveglio Oggi, a distanza di due decenni dalla fine della nostra spensieratezza, cosa resta? Negli anni del precariato selvaggio, della crisi autoreplicantesi, delle agenzie di rating, dello spaesamento generale figlio di una globalizzazione malata, della decadenza politica in nome del populismo e della xenofobia, dello smantellamento progressivo dello stato sociale, del fallimento dell’idea di un’Europa Comune, dello svilimento del valore della cultura a favore dell’apparire, cosa resta? Resta la malinconia. E un senso di impotenza. Abituati a vivere oceani di emozioni attraverso il medium di uno schermo, ci siamo scoperti troppo sensibili per accettare quello che vediamo attorno a noi, e siamo stati, almeno fino a ora, incapaci di organizzare una risposta concreta in termini etici e politici. Parcellizzata in un pulviscolo emozionale slegato, la nostra generazione viene ogni giorno letteralmente spazzata via, nei suoi sogni e speranze, dalla rapacità di chi ci ha preceduto, eppure non abbiamo ancora avuto il coraggio di difendere ciò che, pezzo per pezzo, ci stanno portando via. Abbiamo sognato di essere eroi lanciati alla difesa del mondo, e ci siamo svegliati impiegati di call center. Abbiamo immaginato di cavalcare oltre i confini del tempo, per piombare poi in un grigio serialismo esistenziale senza speranze in un futuro migliore. Ci siamo svegliati. Soli. Invecchiati anzitempo. Veterani di una guerra interiore. Sapevamo solo di sognare, ma ora che abbiamo smesso di farlo, ci resta in mano un pugno di fantasmi. Gettati nel cuore di una battaglia in cui a salvarci questa volta non brillerà più la spada di Lady Oscar.
Società
7
» di Alessandro Tabacchi
dai cartoni giapponesi. Chi di noi trentacinquenni non ha nel cuore un eroe o un’eroina di quegli anni? Chi di noi non ha sofferto per il sangue dell’Uomo Tigre sul ring, chi di noi non ha pianto la morte di Lady Oscar, chi di noi maschietti non ha mai sognato di cavalcare assieme alla Stella della Senna e quale bambina mia coetanea non ha desiderato sposare Terence? Quei sentimenti ci invadevano l’anima, ci toglievano il respiro, ma non lo dicevamo a nessuno, neanche agli amici e tantomeno ai genitori, perché ci vergognavamo di essere stati rapiti da quei fantasmi così reali e terribilmente vicini. Quelle immagini ci hanno educato, ci hanno plasmato, a volte ci hanno violentato. E sono entrate in noi, con tutto il loro bagaglio di dolore, rabbia, gioia, bellezza e forza. Conosco un archeologo affermato che mi ha confessato di aver scoperto l’antichità classica grazie alla simpatia pasticciona di Pollon (ma ve li ricordate i piedoni di Poseidone!?). E, lo ammetto, forse l’impulso decisivo alla mia laurea in storia lo devo più a Simone Loréne e alla sua maschera, che a Theodor Mommsen e Benedetto Croce. Questione di punti di vista, mi si dirà: certo, ma gli imput che si ricevono a dieci anni durano una vita. E, in cuor mio, sono grato di averli ricevuti! C’era del bello in tutta quella danza di immagini. E ora ce ne ricordiamo con amarezza.
»
Pardon, parlo arabo! “Non capisci, parlo arabo?”. Tra le tante espressioni idiomatiche questa merita pienamente il suo significato letterale. Dopo quattordici anni in Egitto posso anzi affermare che il principale fattore di incomprensione fra Occidente e mondo arabo risiede proprio nella lingua
Provate
8
se non ai livelli sintattici e lessicali più alti, agli “arabi nazionali”, cioè ai dialetti dei singoli paesi. Per cui l’arabo del marocchino finisce per essere incomprensibile a un egiziano, quello siriano per avere poche attinenze con quello yemenita e quello giordano per trovare scarse affinità con quello tunisino. Col risultato che a parte l’arabo coranico – classicheggiante e accessibile nella sua complessità solo ai più dotti – chi volesse imparare le lingue nazionali dovrebbe impararle tutte, pena il rischio di essere compreso solo in un paese. Certo, la televisione egiziana – che con Nasser e il panarabismo ha diffuso il suo linguaggio in tutti i paesi arabi – ha svolto in qualche misura ciò che rispetto ai dialetti regionali la televisione italiana ha svolto (dagli anni Cinquanta in poi) in Italia: ha uniformato il pubblico in una lingua comune. Ma a parte questo La redazione di Al-Jazeera (immagine tratta da www.worldwidehippies.com) Una lingua complessa fenomeno, ancora oggi, se Sarebbe facile immaginare di poter superare l’impasse sempli- si vuole parlare con la gente di un determinato paese arabo, la cemente facendo imparare a più persone la lingua. Ma l’arabo conoscenza del dialetto locale rimane imprescindibile. – lungi dall’essere soltanto una lingua difficile – è uno fra i pochissimi idiomi che, stando agli stessi arabofoni, non si impara Le infinite varianti mai. Basti pensare che autori di prestigio come Naguib Mahfuz Detto questo i problemi non sono ancora finiti. Perché al o Taha Hussein, prima di licenziare i loro romanzi, solevano sot- livello stesso della difficoltà oggettiva della lingua – scritta e toporli a una revisione (muraga’a) da parte di cosiddetti “esperti parlata – l’arabo raggiunge livelli che a detta degli esperti sono di arabo”. O che ancora oggi, qualunque testo passi al vaglio di superiori persino a quelli del cinese. Impossibile darne qui un un editore serio, prima di venir pubblicato viene corretto da un quadro complessivo: si ricordino solo alcune questioni. linguista. O che gli stessi esperti di arabo confessano che “l’arabo Tanto per cominciare, la scrittura, che paradossalmente non è può essere conosciuto soltanto al 95%”, e un inafferrabile 5% l’ostacolo maggiore, pur essendo una scrittura semitica e scritta rimarrà estraneo per sempre persino al più ferrato conoscitore. da destra a sinistra (con le ovvie complicazioni). Poi l’alfabeto, Si può ovviare a uno stato di cose del genere? Probabilmente che comprende almeno una decina di lettere e suoni a noi scono. Poiché, a differenza dell’ebraico, che con Ben Yahoud ha nosciuti, poi la grammatica, del tutto diversa da quelle latine, conosciuto una radicale semplificazione in quello che si suole poi i plurali, che al contrario del comodo s inglese possono chiamare ebraico moderno – secondo le cui regole e all’interno essere declinati in almeno cinque modi diversi, poi in duale, del cui vocabolario scrivono autori come Amos Oz, Abraham poi il femminile, poi… e si potrebbe andare avanti. Yehoshua e David Grossman – non è mai stato sottoposto a una Ma chiudiamo con una piccola chicca: in Egitto non si prorevisione modernizzatrice. Ma non solo: un altro problema è nunciano le q. Quindi chi sentisse al Cairo pronunciare “dia” anche il cosiddetto “Modern Standard Arabic” – con cui viene re- sappia che in realtà si sta dicendo daqiqa, “minuti”. Arabo? Sì, datta la stampa nell’intero mondo arabo – che non corrisponde, in tutti i sensi del termine.
» di Marco Alloni
Levante
a immaginare un telegiornale arabo trasmesso in italiano. Immediatamente capiremmo che cosa succede in questo mondo per molti considerato oscuro. Oppure provate a immaginare che – come di norma non accade – i corrispondenti delle nostre televisioni rivolgessero domande in arabo ai loro interlocutori. Avremmo subito a disposizione un campionario di opinioni in grado di dischiuderci un intero universo. Infine provate a immaginare se la quantità di letteratura araba tradotta in italiano fosse equiparabile a quella francofona, anglofona o tedesca. Conosceremmo del mondo arabo quello che nemmeno sospettiamo. Purtroppo la realtà e la storia ci hanno però costretti dietro questa “cortina di ferro” della lingua inaccessibile. E del mondo arabo ci giungono, di norma, a causa della lingua, solo frammenti.
»
Una sfida per la Chiesa
Non è facile scorgere nel sacerdote l’uomo al di là dell’abito
» di Roberto Roveda
Il libro non esita a mettere il dito sulla piaga: la negazione talare, come se la tonaca ponesse definitivamente in secondo dell’umanità del prete. Negazione che poi si traduce in tormenpiano l’essere umano. Cosa ancora più importante: quasi ti e rimorsi, in vocazioni sofferte dove la disposizione verso sempre sono le stesse istituzioni ecclesiastiche a farci dimen- gli altri è fatta di formalità e di distanza. Spesso di durezza di ticare che dentro la tonaca abita un uomo. cuore. Non a caso, Marco Garzonio si doDa queste considerazioni muove Il cuore dei manda, provocatoriamente, se all’istituzione preti, una sorta di viaggio senza preconcetti e Chiesa prema davvero di poter contare su timori reverenziali nell’universo dell’educapreti maturi, sotto il profilo sentimentale e zione sentimentale e affettiva dei sacerdoti. affettivo. Una domanda carica di significati, A guidarci, due esperti della psiche umana, perché un prete abbandonato alle sue paure lo scrittore e psicoanalista Marco Garzonio – è più debole e solo, è più controllabile dalle curatore del libro – e lo psicoterapeuta Fulvio gerarchie. Viceversa un individuo maturo è Scaparro, e tre sacerdoti, Gino Rigoldi, Gioportato a vivere di domande e di sperimenvanni Barbareschi ed Ermes Ronchi. tazioni. È meno disponibile a chinare il capo Il risultato è un libro che non tace su grandi di fronte a certe posizioni prive di senso nodi della Chiesa moderna come il celibato ecdell’umano e di carità che spesso sentiamo clesiastico e l’omosessualità, non infrequente, da tanti porporati. anche se sempre negata. Temi scottanti, certo, Il recupero dei sentimenti, del gusto delle che però si sceglie di lasciare sullo sfondo come relazioni, dell’amore che sta alla base del parti di un discorso più ampio, quello dell’incristianesimo, questa è la grande sfida della Marco Garzonio (a cura di) capacità di tanti ecclesiastici di confrontarsi Chiesa del futuro, anche nell’educazione dei Il cuore dei preti Edizioni San Paolo, 2010 con le emozioni, con il loro essere uomini sacerdoti. Perché, come scrive don Rigoldi, prima che sacerdoti. Preti, quindi, non edu“l’aridità, la perdita del «sogno» da parte di cati a gestire i sentimenti, a relazionarsi con gli altri, timorosi tanti preti e religiosi sono legate non tanto alla mancanza di dei legami. Preti che hanno paura delle donne, perché in esse fede quanto allo scarso esercizio dell’amore quotidiano. L’afsono abituati a riconoscere la tentazione, il peccato. Uomini che fermazione: «Mi basta l’amore di Dio» è falsa come gli Omega vivono in solitudine, rischiando così di inaridirsi. d’oro che ti vendono a Napoli per 30 euro”.
ICARE SCAR MENTE IT U A GRAT INCERE: EV – IFANT PILOT O GIOCO V O IL NU PER NE.* TPHO SMAR
*Basta fotografare l’annuncio con l‘applicazione kooaba Paperboy per iPhone e Android.
»
Finanza magica Economia, ciliegie, gonne, macchie solari, finanza, speculazione, maghi e magia, previsioni e azzardo. Un cocktail davvero esplosivo: la bevanda preferita dai creativi del mercato globale. Tanto a pagare sono sempre i soliti…
Una premessa d’obbligo: le mie conoscenze economiche si fermano, grosso modo, al fatto che è meglio spendere meno di quanto si guadagna. È l’unica mia granitica certezza in campo finanziario: di tutto il resto ho qualche vaga e nebulosa conoscenza, dovuta ad alcuni amici che, in lunghe e (per loro) stoiche discussioni, hanno cercato si spiegarmi un po’ di rudimenti in questa, almeno per me, misteriosa disciplina.
10
Entrata in materia Di scienza e di metodo scientifico ne so un po’ di più. E sono rimasto quindi sorpreso quando un conoscente mi ha segnalato, più per celia che per iniziare un discorso serio, uno studio sul legame tra la crescita economica e le macchie solari. In economia esiste, e da quasi un secolo, il cosiddetto Hemline index: il livello delle gonne sarebbe un indice affidabile del valore del mercato azionario; più alte sono le quotazioni, più corta è la gonna. Quindi, mi ha chiesto questa persona, perché stupirsi di un legame tra macchie solari ed economia mondiale? Perché, ho risposto frastornato, un conto è la La magia, i dadi e la finanza La sfera magica e l’economia. Nell’immagine: Hand with Reflecting Sphere di M.C. Escher (1935) lunghezza delle gonne, stabilita da stilisti Il pensiero magico è costellato di nessi e acquirenti, in base a umori e desideri simbolici, come il giocatore che per che è lecito immaginare influenzati, tra le molte cose, anche ottenere un punteggio alto con i dadi li lancia con vigore, dalla situazione economica (almeno così la spiega l’antropologo mentre se è alla ricerca di un punteggio basso li muove più Desmond Morris); situazione ben diversa quella del nostro astro, dolcemente. E quello dei dadi non è un esempio qualsiasi: il che sta lì, a qualche milione di chilometri dalla terra, molto pensiero magico si sviluppa in maniera particolarmente poluminoso ma giustamente all’oscuro delle faccende umane. tente proprio dove i fenomeni sono in buona parte governati Nessun legame, insomma, tra le macchie solari e il mercato dal caso. Come il gioco dei dadi. E i mercati finanziari? Le azionario, ma semplice coincidenza. Del resto, ci sono solo due quotazioni, l’andamento di un determinato settore economipossibilità: o le azioni salgono, oppure scendono; lo stesso vale co, i cambi monetari eccetera sono tutti fenomeni determiper l’attività solare: o aumenta, o diminuisce. Basta fare un po’ nati da una moltitudine di variabili impossibili da prevedere di quello che gli studiosi chiamano cherry picking, letteralmente e gestire. E allora, per non sentire il peso del caso, ci si affida “prendere le ciliegie”, ossia la scelta dei dati che convalidano la a nessi simbolici, ad apparenti connessioni, a quella che, teoria scartando quelli che la confutano o non la confermano. dall’esterno, non si può che definire superstizione. A questo punto è facile trovare una correlazione tra economia e Certo, può essere inquietante pensare che la propria pensione attività solare, ma si tratta di una correlazione priva di significato, – il cui ammontare, lo ricordiamo, dipende anche dall’anfrutto di una statistica opportunamente viziata. damento dei mercati… – sia legata a “esperti” di finanza che “ragionano” come un bambino di otto anni. Ma magari L’ortodossia non è “economica” questi sono comportamenti in realtà non così diffusi. E poi A quanto pare, sono molti gli operatori finanziari che si tutto questo funziona, come dimostra il “buon” andamento affidano a schemi di pensiero non proprio ortodossi. I rac- dell’economia mondiale negli ultimi anni.
» di Ivo Silvestro
Kronos
conti, in proposito, sono diversi. Dal trader che utilizza solo la propria tastiera per commerciare in azioni, portandosela dietro ogni volta che deve cambiare ufficio, a quello che non vende o acquista mai azioni che hanno un valore intorno a 13, numero notoriamente non proprio beneaugurante. Si racconta anche che alcuni operatori del mondo della finanza, quando il mercato è fermo, sacrificano qualche loro buon titolo vendendolo sottocosto: una sorta di “sacrificio al dio della finanza” per placarne l’ira. Altre storie riguardano indumenti intimi indossati ininterrottamente, senza cambi o lavaggi, per l’intera durata di un ciclo economico… ma ci auguriamo sinceramente che si tratti di una leggenda metropolitana priva di fondamento. Gli studiosi lo chiamano “pensiero magico”: la ricerca spasmodica di connessioni e legami tra eventi, con buona pace dei concetti di causa ed effetto e di verifica sperimentale, le solide basi su cui si è costruita la nostra società scientifica.
Estate a rischio otite Nuotare in mare o in piscina, oltre a essere un divertimento per grandi e piccini, aiuta a mantenere il corpo fresco e in buone condizioni fisiche. Ma possono sorgere dei piccoli inconvenienti, in particolare a carico delle orecchie
Vento, sabbia, bagni in mare o in piscina, sudorazione, finestrini dell’auto lasciati aperti, condizionatori: sono questi i numerosi fattori che durante il periodo estivo tendono a favorire l’aumento delle otiti, nelle loro diverse forme. Ne sanno qualcosa gli otorinolaringoiatri e gli ambulatori di prima assistenza, costretti a far fronte in questo periodo a un aumento vertiginoso delle richieste di intervento medico. I sintomi, di solito, seguono una precisa progressione: si comincia con sensazioni di prurito e di ottundimento della percezione uditiva, spesso accompagnate da un senso di umidità del condotto. Man mano che la situazione peggiora subentrano dolori più o meno intensi che si acuiscono al contatto o tirando il padiglione auricolare, talvolta con la presenza di secrezioni Immagine tratta da www.flickr.com purulente, non di rado associate a episodi febbrili. I responsabili sono per lo più batteri streptococchi, stafilococchi e o anche infezioni di natura fungina (aspergillus e candida in particolare). Nel primo caso si tratta di batteri spesso presenti sulla nostra cute; nel secondo caso, la causa può essere ricondotta più facilmente al contatto con l’acqua, marina o di piscina, non pulita o addirittura inquinata. Batteri e piccoli traumi Il fattore “acqua” entra quindi in gioco in modo diverso, a seconda dei casi. La cute, anche all’interno del condotto uditivo, rappresenta di per sé una barriera insormontabile per i microrganismi. Accade però che a causa della salinità dell’acqua (mare), della sua acidità (piscine), dell’uso dei cosiddetti cotton fioc o addirittura delle stesse dita per liberare dall’acqua o dai tappi di cerume le orecchie, si producano delle micro ferite e dei piccoli traumi nel condotto uditivo dove i sopracitati batteri trovano lo
PARAPIC è un rapido ausilio contro le punture d’insetti p.e. zanzare, vespe, api
spazio ideale per proliferare. Va tenuto presente che, una volta che l’infezione è iniziata, il reiterato uso dei cotton fioc (comunque sconsigliati) è assolutamente da evitare: si rischia infatti di spingere verso l’interno (in altre parole, verso il timpano) lo stato infiammatorio peggiorando ulteriormente la situazione. Va da se che, una volta riscontrati questi sintomi, la soluzione migliore è quella di rivolgersi a un otorino per una visita e un controllo otoscopico. Questo tipo di accertamento è infatti indispensabile per comprendere se si tratta di un’otite batterica esterna, di un’otite fungina o di un’otite media acuta (quest’ultima per altro assai più frequente nel periodo invernale). Solitamente sono patologie che si risolvono facilmente con l’assunzione di una terapia antibiotica e, nella fase acuta, di farmaci antinfiammatori o antidolorifici. L’uso indiscriminato di gocce prima di una diagnosi precisa va evitato proprio per non complicare il quadro.
Salute
11
Qualche consiglio Naturalmente – e questo nel caso dei bambini rappresenta sempre un problema (ma lo è soprattutto per i genitori, costretti a escogitare soluzioni alternative ai bagnetti quotidiani) –, è indispensabile, almeno fino alla remissione del focolaio, sospendere le immersioni in mare o in piscina, evitando al contempo l’esposizione a fonti d’aria fredda (condizionatori) o particolarmente intensa (finestrini). Vi sono poi persone che sembrano essere particolarmente soggette a questo tipo di problemi. Una soluzione preventiva può essere quella di effettuare una pulizia dell’orecchio prima della partenza e una volta giunti sugli anelati lidi, utilizzare dei tappi (ne esistono in commercio di specifici) ed eventualmente una cuffia prima di tuffarsi in acqua.
®
• Lenisce il dolore e il prurito
» di Elisabetta Lolli
»
In vendita in farmacia e drogheria.
Leggere il foglietto illustrativo. Distributore: Biomed AG 8600 Dübendorf
»
Roba da bambini…?
La letteratura fantastica per ragazzi negli ultimi anni si è imposta come genere letterario in grado di scalare le classifiche di vendita. Alcune riflessioni sull’ultima incarnazione del classico romanzo di formazione
“L’impulso
che mi ha spinto a interessarmi alla narrativa fantastica cominciò a manifestarsi molto presto, poiché, per quanto vada indietro con la memoria, ricordo di esser sempre stato affascinato da racconti e idee singolari, da ambienti e oggetti antichi. E sempre mi è parso che niente rivestisse ai miei occhi fascino maggiore di una qualche curiosa interruzione nelle prosaiche leggi naturali, o di certe mostruose intrusioni nel nostro mondo familiare da parte di cose sconosciute provenienti dagli sconfinati abissi che ci circondano” (H.P. Lovecraft, L’orrore soprannaturale in letteratura, Edizioni Theoria, 1989). Così H.P. Lovecraft, l’inventore dell’“orrore cosmico”, descriveva il suo precoce interesse per il soprannaturale in letteratura. Si tratta dell’idiosincrasia di un bambino che diventerà uno dei più importanti scrittori di genere di tutti i tempi, o di una legge generale valida ancora oggi?
Media
12
Che cosa leggiamo? Consultando le classifiche dei libri per ragazzi più venduti nelle scorse settimane, i titoli più gettonati risultano essere: 1. Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo – La maledizione del Titano di Rick Riordan; 2. Geronimo Stilton – Viaggio nel tempo IV; 3. Messaggio dall’Oltretomba di Watson Jude. Si tratta di romanzi d’avventura a sfondo fantastico o fantascientifico, il primo dei quali (terzo episodio di una serie) rivisita in chiave moderna i “luoghi” classici della mitologia greca. Considerato quindi un genere appropriato all’infanzia, la letteratura fantastica sembra però presiedere anche al segmento d’età successivo, in cui regna incontrastata la saga di Harry Potter, accanto a un’importante produzione fantasy di cui Eragon, il ragazzo con il drago, è forse l’esempio più noto. Avanzando ulteriormente lungo il gradiente d’età, la tendenza permane, acquisendo inoltre il registro dell’horror, anche se adattato al target: il significativo riscontro di serie come “Piccoli Brividi” – oltre 300 milioni di copie vendute in tutto il mondo! – e l’affermarsi di scrittrici come Kelly Link (Magia per principianti; Piccoli mostri da incubo) ne fornisce la misura. Da genere a romanzo di formazione Che il segmento sia in costante crescita costituisce ormai un dato macroscopico: nel 2010, a fronte di un calo complessivo del mercato librario nella vicina Italia (meno 4,3% rispetto al 2008), l’editoria per ragazzi ha segnato un più 4%, e se le stime sui lettori “aumentano in misura di 800.000 (+1,1%), c’è da presumere che siano preadolescenti: dichiara infatti di leggere almeno un libro non scolastico il 51,6% dei bambini tra i 6-10 anni, il 64,7% di quelli 11-14 anni, il 57% dei 15-19enni” (www. loredanalipperini.blog). Comprensibile quindi l’investimento degli editori su questa fascia di età, che si esprime sia con l’aumentare delle pubblicazioni dedicate sia attraverso la segmentazione, sempre più mirata, dei prodotti destinati ai
bambini, ai preadolescenti e agli adolescenti. Resta da spiegare la predilezione per il fantastico che, sebbene con le distinzioni di cui sopra, risulta trasversale, al punto da sembrare a tratti la declinazione contemporanea del romanzo di formazione. Il romanzo fantastico è generalmente considerata una lettura d’evasione proprio perché si pone dichiaratamente “al di fuori” della realtà. Un’accezione che comprende un universo piuttosto composito, che spazia dal genere gotico alla fantascienza, dal fantasy all’horror, fino ad arrivare ai più recenti cyberpunk, new weird e slipstream. Così, se la finzione letteraria si basa nel suo complesso su un principio di verosimiglianza fra l’esperienza sensibile del lettore e la narrazione offerta dallo scrittore, nel genere fantastico quest’equazione viene incrinata dall’introduzione di elementi irreali che possono assumere la forma di un personaggio (il vampiro, la maga, il drago), di una situazione (la guerra fra mondi, la maledizione), o anche, in particolare nell’ambito fantascientifico, di un dispositivo capace di modificare le coordinate spazio-temporali in cui ci muoviamo abitualmente (la macchina del tempo, le astronavi). In tutti i casi, l’interruzione degli schemi consueti proietta il lettore in realtà alternative che hanno il pregio di porlo, per il tempo di lettura, al di fuori della dimensione quotidiana. La morte sdoganata Ma questa non è un’evasione fine a se stessa: attraverso l’attivazione di processi di pensiero primario – che opera prevalentemente attraverso il linguaggio simbolico – il romanzo fantastico offre l’opportunità di un’elaborazione traslata dei problemi incontrati nella realtà contingente. Non a caso, questo genere predilige soggetti potenzialmente perturbanti, spesso associati alla tematica della morte. Come afferma Silvana De Mari, autrice di romanzi fantasy per ragazzi, “il fantasy è l’unico genere che possa affrontare la morte ed essere allo stesso tempo adatto anche a un bambino”. E ancora più chiaramente, facendo riferimento a un episodio di vita personale: “Harry Potter parla della morte, e io avevo bisogno di qualcosa che avesse un aggancio con la realtà. Non me ne importa un fico, mentre mio marito è ricoverato in cardiologia, o mentre ho paura che il mondo come io lo conosco finisca, di una fiaba peraltro deliziosa come Winnie the Pooh. Ho bisogno di qualcosa che contenga la mia paura” (Silvana De Mari, La paura e la menzogna dai fratelli Grimm ad Harry Potter. Storia della letteratura fantastica degli ultimi sette secoli, Docet-Idee e materiali per la didattica, Fiera del Libro per Ragazzi, Bologna, 28/03/2006, pag. 9). Rappresentare, attraverso la lettura e la scrittura, l’oggetto della propria paura consente già una forma di controllo su di essa. Nei romanzi fantastici per ragazzi questa funzione è spesso facilitata dall’utilizzo del registro umoristico che ne sdrammatizza l’impatto lasciando però intatte, almeno negli esempi meglio riusciti, le proprietà catalizzatrici.
Âť di Mariella Dal Farra; fotografia di Reza Khatir
Media
13
» testimonianza raccolta da Giancarlo Fornasier; fotografia di Reza Khatir
14
siano poi così diversi: entrambi creano un’illusione, gettano una malia su chi guarda. La vita, si sa, è il nostro palcoscenico privato, gli abiti che indossiamo sono i costumi di scena con i quali dichiariamo agli altri chi siamo; certi abiti urlano, altri sussurrano, altri ancora dicono io sono. Amo la moda perché mi piace essere donna, crearla è dare forma alla mia idea di femminilità. Tutto parte dal corpo femminile: seno, vita, fianchi sono l’universo attorno al quale mi muovo e nel quale mi oriento quando penso a un abito. I colori e i tessuti vengono dopo ad assecondare forma e linee. Conosco i corpi delle Stilista e creatrice di moda milanese, da donne, so che non sono corpi tempo in Ticino, realizza i suoi capi pen- ideali ma reali, hanno forme, sando alla donna “reale”, alla bellezza rotondità e anche bellissime imperfezioni. L’aver lavorato delle sue imperfezioni… ma con un in- a stretto contatto con i corpi confondibile tocco di teatro femminili in questi anni in cui mi sono occupata anche della una nuova strada. La mia vivendita diretta dei miei modelli è stato molto ta è costellata di nuovi inizi, importante nel mio percorso creativo, nel mio mutamenti, svolte non previmodo di concepire un abito e realizzarlo. ste e ho imparato a lasciarmi Il teatro ha sicuramente lasciato delle tracce trasportare dal flusso della vita nelle mie creazioni, alcuni dei miei abiti senza opporre troppa resistenhanno accenti teatrali, ma l’obiettivo è za al cambiamento. Resistere quello di renderli sempre e comunque porcosta troppa energia, meglio tabili. Un abito che non si può indossare, usarla per costruire qualcosa che resta un puro esercizio di stile, va bene di nuovo. Forse inciampare come costume di scena ma non raggiunge lo nella moda era scritto nel mio scopo per il quale viene creato e cioè essere destino, visto che sono creusato, portato, per far sentire una donna al sciuta in mezzo ai colori e alle meglio di sé e fiera della propria unicità, che stoffe grazie al lavoro di mio è la sola cosa importante. Non so perché le padre, commerciante all’indonne rincorrano invece sempre più spesso grosso di abbigliamento mauno stesso desiderio, uno stesso stereotipo e schile e tessuti. Mia madre mi si uniformino con silicone e chirurgia a un ha trasmesso invece l’amore modello assurdo di femminilità. Le immagiper la bellezza in tutte le sue ni di cui siamo attorniate ci hanno insegnato espressioni, che è una qualità a diventare corpi insicuri, sempre alla ricerca dell’anima, e da entrambi ho delle imperfezioni, sempre tese nello sforzo imparato l’insopprimibile nedi cancellare o migliorare ciò che “non va”, cessità di seguire la mia strada anche quando non c’è proprio niente che e assumermi la responsabilità non va. Nel mio lavoro entro in contatto della vita che mi sono scelta. ogni giorno con gli spietati giudizi che le Sarà anche per questo che nel donne rivolgono a se stesse; sono davvero lavoro non seguo le mode del poche quelle che si amano e si accettano, momento. Coco Chanel diceil che non è così incomprensibile visto che va “la moda sono io”, e credo viviamo in un sistema che ci fa sentire come che chiunque voglia esprimermerce con una data di scadenza, un sistema si creativamente debba cercare che ci vuole sempre giovani e belle e ci fa di assomigliare solo a se stesso, perdere la nostra vera forza. non certo per una questione di Che dire? Auguro davvero a me stessa e a tutte arroganza ma di necessità. le donne la libertà da un modello femminile Pensando al mio cammino che ci limita e ci offende, anche se per accetcredo che teatro e moda non tarlo ci basta uno sguardo.
Sabrina Rovati
Vitae
nata e l’amo come forse solo un milanese può amarla. È una città di cemento e carne nelle cui vie ho camminato per ore, respirandola. Ora cammino sulle rive del lago e ogni volta è una piccola magia che si rinnova. II passaggio dalla camaleontica e caotica Milano al placido e tranquillo Ticino non è stato facile per me. Me ne stavo qui, in questo grembo di valli, e piano piano mi accorgevo che il mio assetto da guerriero, tanto utile nelle vie della mia città, non mi serviva più. Il mio ritmo interno sintonizzato sul battito tempestoso di Milano ci ha messo tempo a capire che qui poteva calmarsi. Non avevo pianificato né previsto di trasferirmi in Ticino, all’inizio è stata una scelta fatta “per amore” e questa scelta ha segnato anche una svolta nella mia vita lavorativa. Ho studiato scenografia all’Accademia di Brera e a quel tempo lavoravo in teatro come scenografa e costumista. Dopo mille treni e mille settimane trascorse tra Milano e Verscio e il disagio mio di trovarmi continuamente sballottata tra due mondi così diversi, ho preso la decisione di trasferirmi in Ticino. Per un pò di tempo mi sono sentita sospesa in una sorta di bolla, era come se avessi perso la chiave per entrare in me stessa, per trovare le radici, le risorse, le risposte. Cercando di scuotermi dallo stato di torpore in cui ero caduta, all’inizio mi sono dedicata a ciò che sapevo fare e cioè all’allestimento di spazi ed esposizioni, poi mi sono chiesta cosa avrei potuto realizzare qui in Ticino partendo solo da me stessa e da quello che possedevo, ovvero la mia creatività, senza dover dipendere da un datore di lavoro, in modo da potere essere assolutamente indipendente nelle mie scelte. Così ho deciso di creare e produrre abbigliamento. Mi sono quindi diplomata in Fashion Design, prima alla Marangoni e poi alla Domus Academy, e ho cominciato
»
Milano è la mia città, ci sono
Toreri, fotografi e altri miti fotografie di René Burri e Marco D’Anna
© René Burri
Due fotografi svizzeri, il celebre René Burri e Marco D’Anna, a distanza di cinquantaquattro anni si sono trovati a percorrere la stessa pista e a rileggere, forse solo come pretesto, il tema della corrida. Un’occasione per incrociare gli sguardi, per scoprire quanto siano prossimi e quanto la moderna tauromachia rappresenti un’immutabile paradigma dei temi del coraggio, della virtù e dell’onore
© René Burri
© René Burri
© René Burri
“…il torero per me, era anche un po’ come il clown, un po’ come noi fotografi, non delle persone eccezionali, ma quelle che non rientrano negli schemi della società. Siamo un po’ delle persone che camminano su un filo, a volte con e a volte senza rete di protezione, impariamo fino a che punto possiamo spingere la situazione…” René Burri, tratto dall’intervista “Corrida, uno sguardo di René Burri”, aprile 2011
René Burri Nasce nel 1933 a Zurigo. All’età di 13 anni, fotografa la visita di Winston Churchill in Svizzera. Tre anni più tardi, si iscrive alla Scuola di Arti Applicate di Zurigo (Kunstgewerbeschule) che frequenta fino al 1953. Entra in contatto con l’agenzia Magnum, di cui diviene membro nel 1959 e di cui diverrà, in seguito, presidente nel 1982. Dalla crisi di Suez nel 1956 al massacro di Piazza Tien An Men nel 1989, René Burri ha fotografato il mondo per “Life”, “Look”, “Paris Match”, “Epoca”, “The New York Times”, “Stern”: uno straordinario percorso professionale e umano che ha segnato la storia del fotogiornalismo della seconda metà del Novecento. Attivo come corrispondente in Cecoslovacchia, Turchia, Egitto, Siria, Iraq, Giordania e Libano, ha vissuto in America Latina e in Giappone. Una parte importante del suo lavoro l’ha dedicata al ritratto di artisti: le sue fotografie di Pablo Picasso, Oscar Niemeyer, Alberto Giacometti, Maria Callas, Jean Tinguely, Oskar Kokoschka, Renoir e Louis Barragan sono dei classici del genere. Nel 1963 ha realizzato un importante reportage a Cuba durante il quale incontra Fidel Castro e Che Guevara. Nel 1965, viaggia in Cina per cinque mesi. Nel 1967, ha seguito la Guerra dei Sei Giorni e suoi lavori sono stati esposti presso l’Art Institute di Chicago. Nel 1972 è in Vietnam e in Cambogia durante il conflitto che devasterà il Sud est asiatico. Oltre ai reportage fotografici produce e lavora a documentari. Nel 1984, il Kunsthaus di Zurigo gli ha dedicato una grande retrospettiva intitolata “Un mondo – 30 anni di fotografia”. Da allora, non si contano le mostre e le retrospettive a lui dedicate: Zurigo, Berna, Basilea e Losanna, così come Parigi, New York, San Paolo, Rio de Janeiro, Brasilia, Lima, Barcellona, Lisbona, Milano, Praga, L’Avana e Mosca. Nel 2011, René Burri ha ricevuto il premio dello Swiss Press Photo Award alla carriera. Marco D’Anna Nato a Zurigo nel 1964, Marco D’Anna ha ottenuto il Diploma Federale di fotografo nel 1984 intraprendendo la carriera di fotoreporter. In seguito, si è formato frequentando importanti professionisti tra i quali Gabriele Basilico, René Groebli, René Burri e Mario De Biasi. Nel 1986 ha aperto l’Atelier di Lugano. Nel suo percorso di ricerca artistica e di crescita professionale, s’intrecciano numerose esperienze di taglio differente, dal reportage alla riproduzione d’oggetti d’arte, dalla foto di architettura all’immagine pubblicitaria e di moda. Dal 1985 a oggi ha esposto regolarmente in musei e gallerie in Europa e in Asia, lavori che fanno parte di collezioni private e pubbliche, tra le altre, la collezione americana della Polaroid. Dal 1988 a oggi le sue fotografie sono state riprodotte su numerosi libri e riviste, quali “National Geographic” e su pubblicazioni delle edizioni Franco Maria Ricci. Le sue campagne pubblicitarie sono apparse sulle maggiori testate internazionali: “Vanity Fair”, “Rolling Stone”, “Flair”, “Sport Week”, “Grazia”, “Corriere della Sera” e “La Repubblica”. La Televisione svizzera gli ha dedicato sette ritratti. Dal 2004 al 2010 ha viaggiato intorno al mondo in compagnia dello scrittore Marco Steiner, ripercorrendo i luoghi che hanno ispirato il grande artista Hugo Pratt nelle saghe degli Scorpioni del Deserto e di Corto Maltese. Insieme a Steiner ha realizzato le prefazioni ai quattordici volumi delle avventure di Corto Maltese. Nel 2011 verrà presentato alla 64° edizione del Festival del Film di Locarno il suo primo lavoro multimediale insieme al fotografo svizzero René Burri, dell’agenzia Magnum. (www.marcodanna.ch)
esposizione fotografica: Galleria Arte moderna Ammann piazza Grande 12 - Locarno Inaugurazione venerdì 5 agosto ore 18.00 fotografie di René Burri e Marco D’Anna proiezione al 64° Festival del Film di Locarno “Projet Corrida” Corrida / uno sguardo di René Burri Corrida / 5.30 di Marco D’Anna Prime proiezioni ufficiali: 8 agosto ore 16.00 presso La Sala; seconde proiezioni in “Corti d'autore” sabato 13 agosto presso L'altra Sala;
© Marco D’Anna
© Marco D’Anna
© Marco D’Anna
© Marco D’Anna
Il tocco e la forza testo di Roberto Roveda; elaborazioni grafiche di Antonio Bertossi
Circa trent’anni fa, agli inizi degli anni Ottanta, il tennis ha co-
Sguardi
46
nosciuto una vera e propria rivoluzione che ha cambiato il modo di interpretare questo sport. Le racchette di legno sono, infatti, andate in pensione sostituite da attrezzi costruiti in materiali superleggeri e superesistenti. Finiva così l’epoca della pallina colpita con stile, tocco ed eleganza e prendeva il sopravvento il jet tennis, tutto muscoli, velocità e corsa. La cosa migliore per comprendere immediatamente di cosa stiamo parlando è andare su You Tube, inserire “McEnroe” e guardare qualche filmato rigorosamente con l’audio d’epoca. Quindi ripetere l’operazione, questa volta inserendo nella ricerca “Nadal”. Bastano, infatti, poche immagini per farci capire quanto il tennis sia cambiato in questi ultimi trent’anni. Può bastare addirittura il sonoro: il suono del tennis classico è un secco “stock”, caratteristico della pallina colpita con le vecchie racchette in legno, quello contemporaneo produce un suono più metallico, una sorta di “clang” che preannuncia la trasformazione della palla in proiettile. In questi due suoni onomatopeici sta la rivoluzione del tennis, una rivoluzione legata in gran parte all’uso di nuovi materiali per costruire le racchette. Per un secolo, infatti, l’attrezzo non era cambiato granché. Era di legno, di dimensioni fisse perché se si provava ad aumentare la superficie dell’ovale, aumentava anche il peso e la racchetta perdeva in maneggevolezza. Tecnica e nuovi materiali Poi, agli inizi degli anni Ottanta sono arrivate le racchette in graffite, fibra di vetro per giungere ai materiali di ultima generazione messi a punto addirittura dalla ricerca aerospaziale. Risultato: racchette più resistenti, più elastiche, in grado di rilasciare maggiore potenza e di assorbirne altrettanta, peso minore - circa 300 grammi contro i 500 dei migliori telai in legno - e, soprattutto, un ovale più grande. Usare le racchette in legno divenne improvvisamente come sfidare una mitragliatrice con un bastone e il tennis cambiò faccia. Il gioco
classico era basato sul senso della posizione, sul tocco, prediligeva alla forza del colpo l’eleganza del gesto che era anche eleganza sul campo, costantemente richiamata dal bianco delle righe, delle palline e delle divise dei tennisti. Il tennista classico usava la racchetta come un fioretto, infliggendo colpi quasi senza sforzo. Alla fine, di fronte a un giocatore superiore, quasi senza accorgertene buttavi sangue da mille ferite… un millimetrico passante, una stop volley che moriva letteralmente al di là del net, una palla corta partita ingannevolmente al posto di quella che sembrava una saetta e si adagiava a terra come una foglia in autunno. Insomma i giocatori – quelli bravi – dovevano avere la mano un poco fatata, perché le racchette di legno, con il loro ovale ridotto, erano brutte bestie da domare e non centrare la palla non era un fatto così inusuale, non solo tra i giocatori della domenica. La palla andava sempre accompagnata, quasi per mano, dall’altra parte della rete. Oggi, viceversa, viene schiaffeggiata, con la massima forza possibile, perché l’attrezzo consente tutto e sopporta qualsiasi sollecitazione. Così il tennis contemporaneo appare come una sorta di bombardamento da una parte all’altra del campo, con i contendenti a fare da tergicristalli impazziti fino a che uno dei due non sbaglia oppure non arriva una cannonata così veloce da essere imprendibile anche per Usain Bolt. Un gioco uniformato A farne le spese il tocco, la fantasia perché, diciamocelo, se l’attrezzo permette così tanto in termini di potenza e perdona molto anche se non si arriva perfettamente con la palla, è più facile sviluppare i muscoli che il talento. Muscoli per picchiare, quelli delle braccia, per correre, quelli delle gambe. Atleti e atlete più robusti, muscolosi, alti, servizi sopra i duecento chilometri orari. Tennisti che giocano tutti uguali, con qualche meritevole eccezione, come Federer oppure la Schiavone tra le donne; partite che assomigliano a videogame disputate da fabbri che corrono come sprinter. Un gioco che da prettamente verticale qual era – fatto di attacco e difesa, di discese a rete e passanti oppure volée – si è trasformato in un gioco orizzontale, dove ci si muove freneticamente da sinistra a destra e viceversa, avanzando solo a colpo sicuro, per conquistare il punto. Un gioco ripetitivo, nonostante gli entusiasmi per certi recuperi da scattisti puri e prestazioni atletiche ai limiti della fantascienza. Un gioco semplificato rispetto a quello che si praticava fino a trent’anni fa, anche se nessun campione di oggi lo ammetterà mai. Un gioco molto simile ai materiali artificiali con cui attualmente sono costruite le racchette così come il tennis classico assomigliava tanto al legno con cui erano costruite una volta. Si tratterà di nostalgia però McEnroe, Laver e Panatta giocavano meglio a tennis di Nadal e Djokovic, anche se ci avrebbero sempre perso a braccio di ferro.
Per approfondire: Gianni Clerici, Cinquecento anni di tennis, Mondadori Electa, 2007 La storia del tennis raccontata da un grande esperto, “firma” per eccellenza del tennis in Italia, già membro della nazionale italiana di Coppa Davis.
Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica
Fra le nuove tendenze del turismo mondiale 2011 (dati Euromonitor International del World Travel Market) c’è una voce molto particolare che interessa soprattutto Stati Uniti e Canada, ma che è destinata a diventare un must anche in Europa. Inghilterra e Spagna già si sono attrezzate e molti altri paesi, fra cui Svizzera e Italia, stanno iniziando a farlo. Il nome, in gergo è deprivation holidays. In altre parole, invece di coccole, massaggi o raffinate degustazioni, il desiderio è quello di fitness estremo e diete severe
Sulle colline sopra Malibù, a tre miglia dall’Oceano pacifico, il ranch si estende per acri di natura incontaminata ed è fra le mete preferite di celebrità hollywoodiane e vip in generale. Una settimana di soggiorno costa circa 5.600 dollari e consiste in 9/10 ore al giorno di esercizi fra cui escursioni, stretching, pesi, allenamento cardiaco, addominali, yoga e una dieta di cibo strettamente biologico. Un vero e proprio campo di addestramento concentrato sulla forma fisica e il dimagrimento, ma anche sulla terapia del massaggio, sul sonno come essenza del riposo e su un allenamento lungo ma “tollerabile”. Questo, almeno, quello che è dato leggere sul sito internet che promette di pulire e disintossicare il corpo, di aumentare il metabolismo e di perdere grasso in modo salutare, oltre che di godere di un accresciuto senso di chiarezza mentale e serenità. (www. theranchmalibu.com)
Bikini boot-camp Ibiza Importato dal Messico dove esiste da anni, è frequentato da donne (ma anche uomini) di ogni età, che desiderano una vacanza salutare, su una spiaggia bellissima, lontano dai ritmi ossessivi della vita quotidiana. Una vacanza dove rilassarsi e concentrarsi su se stessi, ma soprattutto sentirsi a proprio agio in un bikini. Ogni giorno inizia con un esercizio di stretching sulla spiaggia, seguito da un’ora di camminata intensa e da varie attività per tonificare e scolpire il corpo, allenamento cardio-vascolare, yoga o danza. Salsa ritmi africani e danza del ventre sono i più richiesti. A colazione e cena una dieta povera di grassi. (www.amansala.com)
arà colpa della crisi economica che ha sollevato, da un lato, il problema etico della vacanza di tipo edonistico considerata non più in sintonia con il momento storico, o forse la necessità di contenere l’alto costo delle spese sanitarie e il generale aumento dell’obesità. Sta di fatto che “privarsi” aiuta a sentirsi politically correct e, soprattutto, a mantenersi più sani e magri. E siccome il trend riguarda soprattutto le classi più abbienti, nascono un po’ ovunque spa esclusive e costose dove ci
si sfianca di esercizi dalla mattina a sera, si contano le calorie (poche!) e l’unica regola che valga è quella delle tre D: determinazione, disciplina e dedizione. Questo in sintesi il pensiero del “Boot Camp Beat it System” ispirato all’addestramento dei marines americani. C’è chi storce il naso, chi la vede come una finta rinuncia e chi, invece, farebbe debiti pur di trascorrere una settimana da “sogno” a stancarsi, sudare e patire la fame. La fat-fobia impera a ogni livello sociale e come ogni trend che si rispetti ha risposte
per tutte le tasche e le esigenze. Oltre ai centri di soggiorno esclusivi, i boot camp vengono organizzati un po’ ovunque ci sia un parco e persone disposte a fare esercizio fisico tosto con regolarità. Si salta, si marcia, si striscia, si fanno addominali, percorsi a ostacoli, affondi, piegamenti, mentre il coach incita a non mollare. A desiderare di sentirsi come dei veri marine non sono solo gli uomini ma anche le donne che accorrono ai boot camp sempre più numerose. Insomma, un vero e proprio gioco di squadra.
Un fitness boot camp è un’ attività che si svolge all’aperto e che consiste in una miscela di allenamenti tipici dell’addestramento militare, svolti con regolare sequenza sotto la guida di un istruttore. Tutti gli esercizi sono tesi a migliorare la forza muscolare, la resistenza e ad aumentare il senso di sfida con se stessi. Caldo o freddo, pioggia o neve, le “reclute” sono tenute a presentarsi e lavorare con impegno e determinazione. La figura del coach è fondamentale: è colui che incoraggia, che stabilisce il ritmo e garantisce i risultati, ognuno con il suo stile e la sua personalità. Le sessioni durano circa 50-60 minuti per 2/3 o 5 volte la settimana. Per informazioni www.zimfit.ch (per chi desidera affrontare un’esperienza direttamente in Svizzera)
»
La dignità della fede
»
Astri
Un piccola comunità di monaci cistercensi – otto in tutto –
» di Roberto Roveda
lieri, le espressioni dei volti, più che le parole. E lo fa ponendo vive in un monastero presso un minuscolo e isolato villaggio la cinepresa ad altezza d’uomo, “immersa” completamente sui monti dell’Algeria. I rapporti con gli abitanti del luogo, nelle situazioni narrate, con un’attenzione particolare alla tutti musulmani, sono di grande rispetto quotidianità dei monaci, ai ritmi della loro e armonia, fino a che la violenza della vita monastica e ai rapporti intensi con gli guerra civile che insanguina da anni il abitanti del villaggio. Il regista tratteggia paese non giunge anche in questo luogo. figure di uomini in carne e ossa, né santi, La guerriglia fondamentalista islamica, né eroi, uomini con ideali forti che scelgoinfatti, si fa sempre più minacciosa verso no – in maniera comunque lacerante – di il piccolo gruppo di religiosi, che devono non rinunciare alla loro dignità. scegliere se abbandonare tutto e fuggire Per questo in Uomini di Dio più che l’eleoppure rimanere a rischio della vita. Dopo mento religioso, che comunque è presente dubbi, discussioni, momenti di profondo – sono uomini di religione i monaci, ma sconforto, rabbia sceglieranno di restare. a loro modo anche i fondamentalisti Ispirandosi a un fatto realmente accaduto islamici – spicca un umanesimo viscerale, nel 1996 – sette monaci cistercensi truciun senso del sacro e del gesto che diventa dati in Algeria – il regista francese Xavier rito, intesi questi ultimi come elementi Beauvois realizza un film che evita i cefondanti dell’uomo, del suo vivere in dimenti alla facile agiografia e rinuncia a comunità e in relazione con gli altri. Un ogni tentazione semplicistica e manichea film che guarda a modelli alti – tra tutti nel trattare una vicenda dolorosissima. Bresson, Rossellini, ma anche John Ford Uomini di Dio Di Uomini di Dio, infatti, non è pellicola nella capacità di tratteggiare la vita di codi Xavier Beauvois di scene madri, non vive di enfasi e di munità –, un piccolo grande film servito Francia, 2010 contrasti, ma sembra prediligere un tono da musiche stupende e da una magistrale medio, quasi documentaristico, stilisticamente realista per fotografia. Un film sincero, che non vuole accontentare tutti, descrivere al meglio situazioni e personaggi. Beauvois lascia né parteggiare a priori per alcuno. Data la materia trattata non così che a parlare allo spettatore siano gli sguardi, i gesti giorna- è davvero un risultato da poco.
toro
gemelli
cancro
Momento magico tra il 26 e il 27 luglio. Con il Sole in Leone si apre una fase ricca di energia vitale. Movimentati e iper-attivi sarete sostenuti nella gestione dei rapporti sociali da un ottimo Marte.
Il mese di luglio si chiude in bellezza grazie agli ottimi transiti di Giove. Promozioni, nuove risorse finanziarie, avanzamenti. Novità dal 29 luglio favorite dall’ingresso di Mercurio nel segno della Vergine.
Grazie alla Luna di passaggio tra il 26 e il 27 luglio, e al transito di Marte, potrete affrontare ogni tipo di impresa. Dovrete restare centrati su stessi, canalizzando le vostre energie verso obiettivi precisi.
Si conferma la lunga fase di novità per l’effetto di importanti aspetti astrali. Sfruttate i transiti di Venere e di Giove. Positive, con la Luna dalla vostra parte, le giornate comprese tra il 24 e il 25.
leone
vergine
bilancia
scorpione
Nuova energia vitale grazie all’arrivo del Sole nel vostro segno. Ottime le giornate tra il 26 e il 27 luglio: potrete affrontare impavidi qualunque tipo di impresa. Nuovi incontri per i nati nella terza decade.
Favorevoli il 26 e il 27. Vantaggi economici e nuove ricchezze per i nati nella prima decade. Incontri sentimentali con persone più giovani a partire dal 29, favoriti dall’ingresso di Mercurio.
Grazie all’arrivo del Sole nell’amico segno del Leone vi state per ricaricare di nuova energia. Vivacità intellettuale, incontri e corrispondenza con persone straniere. Siete sempre troppo autoindulgenti.
Luglio si conclude positivamente grazie ai buoni influssi di Venere. Siate meno permalosi nelle giornate comprese tra il 24 e il 25. Meno possesso, più complicità e più comunione. Buone “nuove” dal 30 luglio.
sagittario
capricorno
acquario
pesci
Incontri karmici favoriti dal passaggio del Nodo Lunare acceso dal transito di Marte angolare. Volubili e discontinui i rapporti con il partner. Attenti tra il 26 e il 27 a non farvi travolgere dall’emotività.
Momento decisivo per l’effetto di una congiunta azione astrale: Giove, Urano e Plutone. Svolte improvvise di vita. Metamorfosi. Passioni. Rotture nelle situazioni di incompatibilità. Novità dal 29 luglio.
Grazie a Marte e alla Luna tra il 26 e il 27 vi sentirete in grado di affrontare qualunque avversario. Particolarmente seduttivi: favoriti i rapporti con Ariete e Gemelli. Il 24 luglio forti sbalzi umorali.
Vita sentimentale grandiosa e passionale: del resto siete sotto gli influssi di Marte e Venere. Lasciate fuori dalla coppia competizioni e polemiche. Attenti a quello che dite tra il 28 e il 30 luglio.
» a cura di Elisabetta
ariete
» illustrazione di Adriano Crivelli 2
3
4
5
10
7
8
9
11
12
13
14
15
16
17
18
19
21
20
22
23
24
25
27 30
6
26 28
31
32
34
29 33
35
36
37
38
40
39
42
43
41 44
45
La soluzione verrà pubblicata sul numero 31
1
Orizzontali 1. Lo è il poliziotto sotto finte spoglie • 10. Notte francese • 11. Il nome di Polanski • 12. I confini di Comano • 13. Scovare • 14. Sono dieci in un chilo • 16. Appunto • 17. Lo affila Figaro • 19. Nel centro del Congo • 21. Fu re della Lidia • 22. Maestria • 23. Dittongo in paese • 24. Il nome della poetessa Negri • 26. Circolano in Giappone • 27. Il nome di Cavalcanti • 29. Avverbio di luogo • 30. Il mitico aviatore • 32. La usa il fornaio • 34. Strattoni • 35. Lo stato con Katmandu •36. Il nome di King Cole • 37. Costose • 38. Un condimento • 40. Arte latina • 42. Mezzo voto • 43. Altare pagano • 44. Una sigla del radiologo • 46. Il nome di Fossati • 48. I contenitori di Pandora • 49. Despoti • 51. Società Nuoto • 52. Il fiume di Berna • 53. Guasto navale.
popolare • 9. Uno a Londra • 15. Tra Mao e Tung • 18. Un disinfettante • 20. Lo è l’idea brillante • 25. Anno Domini • 27. Coccolano i micini • 28. Capolavoro • 31. Città polacca • 33. Spalancata • 35. Il Sodio del chimico • 37. Cinge il capo regale • 39. Rifugio per animali • 41. Pietre • 45. Grande stato asiatico • 47. Barra centrale • 48. Strada cittadina • 50. Consonanti in nuovo.
» 1
C
10
O
12
N
15
F
19
U
21
S
25
A
47
48
49 52
50 53
51
Verticali 1. Noto romanzo di Rose Tremain • 2. Muoversi nell’acqua • 3. Francia e Italia • 4. Ordine di rettili marini del Mesozoico • 5. Seggio regale • 6. Produce more • 7. Dilettanti, appassionati • 8. Vivace ballo
O R
3
L I
E
16
R
N
A
T
I
E
29
F
E
37
L
C
44
E
30
I
D
31
C
O 20
R
22
R
T
N C
B
17
I
E
I
M
G
A
A
N
E
R
N
E N
24
D E
E
C
A
L
P
O
36
33
A
O
P
I
P
E
R
S
E
T
E
O
D
E
L
I
N
N
D
A
T
T
E
51
R
I
46 50
18
R
N
40
I
O
A
O
I
I
45 49
14
9
R
38
R
L E
C
27
O
S
8
11
23
A
E
E
L
O
I
C
T
E
V
32 35
7
L
T
43
O
N
I
O
6
26
O
E
I
I
I
I
L
O
R
T
39
N
T
I
42
5
O
D
D
G
N
S
48 52
O
28
I 41
4
13
I
E
34
46
Soluzione n. 27 2
53
E
47
O I L
Centinaia di persone sopravvivono con 1 dollaro al giorno frugando nei rifiuti Discarica di Phnom Penh alla ricerca di materiale rivendibile
amore occhi l’anima
Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via Ungè 19, 6808 Torricella Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 604 54 66 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch