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IL VALORE DELL'UOMO
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Ticinosette n° 33 19 agosto 2011
Agorà Occupazione. Per una nuova etica del lavoro
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Media Divulgazione scientifica. Il tempo a fumetti
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Impressum
Scienza Biodiversità. La carota (e il bastone)
SILVESTRO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tiratura controllata
Mundus Stuprare il formaggio?
Chiusura redazionale
Relazioni Il padre
Editore
Vitae Edouard Wahl
Direttore editoriale
Reportage Katja Snozzi. Con l’occhio del testimone
Redattore responsabile
Sguardi Festival di Locarno. Proiezioni interne
Coredattore
Tendenze Denti. Oltre il sorriso... c’è di più!
72’011 copie
Venerdì 12 agosto
Teleradio 7 SA, Muzzano Peter Keller
Fabio Martini
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
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In copertina
Sisifo e il peso dell’economia Illustrazione di Bruno Machado
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DI IVO
DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DUCCIO CANESTRINI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GAIA GRIMANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DI
DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Letture Che cosa ti manca?
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A CURA DELLA
REDAZIONE . . . . . . . . . . .
KERI GONZATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PATRIZIA MEZZANZANICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri / Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
“Oh oh, guns of Brixton...” (The Clash, 1979) La morte, le rivolte e la violenza gratuita di piazza – quella domestica, invece, in Europa la conosciamo da tempo – non sono esclusiva delle città arabe e nordafricane, e le devastazioni inglesi delle scorse settimane confermano che “il punto di rottura” è, ahimé, sempre più vicino. Se paradossalmente in Svizzera sono la stabilità economica e politica a creare grattacapi monetari dalle dinamiche incomprensibili ai più, le periferie urbane mostrano i lati più selvaggi della nostra civiltà. Addio integrazione, addio società multiculturali, addio solidarietà, addio impiego, futuro, speranza? E la “classe media”? Nulla di nuovo in fondo: i Clash, tra i padri del movimento punk inglese, sul finire degli anni Settanta scrissero “The guns of Brixton” (dall’album London calling). I temi? Disillusione, emarginazione, violenza, rivolte. Le stesse che hanno terrorizzato le periferie parigine nemmeno troppi mesi or sono... o le abbiamo già dimenticate? Quanto avvenuto in Inghilterra dovrebbe rappresentare un serio segnale d’allarme: perché Bin Laden sarà anche morto, ma intere generazioni di ventenni e trentenni senza lavoro e senza prospettive sono un male che con ogni probabilità la storia moderna non ha mai conosciuto prima. “Ma sì, è tutta colpa della solita...”. Crisi? Alla sola lettura dell’espressione “crisi economica” molti girano pagina, cambiano canale, passano direttamente alla prossima “news più letta del giorno” proposta dai portali della rete. “Basta
adesso! Tutti a dire e ridire le solite cose. In fondo da noi si sta bene...”: ritrovarsi confrontati con notizie, temi, approfondimenti all’apparenza vecchi di quasi tre anni non stimola certo la lettura. Il problema è che ciò che i media in questi giorni raccontano non sono “roba vecchia” ma ottima per grandi titoli: è il mondo che pare non aver appreso nulla negli ultimi 36 mesi, se consideriamo il 2008 come “l’inizio di tutto”. Nel frattempo, però, i tassi di disoccupazione raramente sono diminuiti (anzi), la percentuale di giovani alla ricerca di un impiego ha raggiunto cifre imbarazzanti, i risparmi delle famiglie si assottigliano, gli indebitati aumentano. Esiste forse un problema “di sistema”? Beh, il governo cinese – il maggiore creditore degli USA e nei fatti la prima potenza economica mondiale – qualche giorno fa il messaggio lo ha lanciato: “Ragazzi, così non si può andare avanti. Dovete darvi una bella calmata e abbassare un tantino il vostro stile di vita. Addio bei tempi andati: prendete il pallottoliere e fatevi due conti, altrimenti i vostri debiti non ve li copriamo più”. Mmmh, dunque: qualcuno (cioè dei “capital-comunisti”) ha il coraggio di dire al paese simbolo della democrazia e patria delle opportunità (e del liberismo) che cosa deve fare se non vuole fallire? Visti i tempi della politica e l’avidità di chi “a perdere” non ci sta proprio, temiamo che di rivolte ne sentiremo ancora parlare. Meglio non cambiare canale: potrebbero parlare anche di noi. Buona lettura, la Redazione
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Per una nuova etica del lavoro
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Agorà
Crisi, disoccupazione, aumento della povertà, accentuarsi delle disuguaglianze sociali. Di fronte a questi problemi si parla sempre più spesso di nuove regole per il mondo economico, di finanza virtuosa, di ritorno a un’economia basata sulla produzione e non solo su speculazioni, debiti e consumi. Che sia il momento di tornare a dare importanza al lavoro, restituendogli un ruolo e un valore fondante nella società? testo di Roberto Roveda; grafica di Bruno Machado
I
l rapporto dell’uomo con il lavoro conserva da sempre la sua carica di contraddittorietà. Lavorare è una condanna, una fatica e una costrizione, segnata dal sudore della fronte di biblica memoria; ma allo stesso tempo è innegabile che il lavoro, manuale o intellettuale che sia, rappresenta da almeno tre secoli a questa parte il mezzo privilegiato di crescita dell’individuo, il cardine della libertà individuale e dello sviluppo civile delle comunità.
Il lavoro e il ruolo sociale Il valore del lavoro, non solo come produttore di reddito, appare sempre più evidente oggi: la crisi economica in atto lo ha reso infatti sempre meno disponibile, e spesso meno qualificato e retribuito. Quello che nel presente sta diventando evidente, cioè quanto il lavoro abbia perso il suo ruolo nella società, è in realtà il frutto di un processo in atto da anni e legato ai progressi della tecnologia e alla globalizzazione. La prima ha privato d’importanza tutta una serie di lavori meccanici e artigianali, in seguito sostituiti dalla tecnologia stessa; la seconda, se da una parte ha allargato il mercato potenziale, dall’altra ha reso la competizione per il lavoro molto più agguerrita e ha permesso che paesi con manodopera a basso costo come la Cina, l’India, la Russia dettassero la legge della domanda e dell’offerta. Il problema però non ha solo risvolti economici: la perdita di valore economico del lavoro ha portato con sé la perdita del suo valore morale e sociale come collante per interessi diffusi e come garante della libertà. Alla fine ci troviamo così a vivere in una società occidentale sofferente, smarrita, malata, pessimista. Sono questi i temi centrali sostenuti da Marco Panara – direttore di “Affari&Finanza”, supplemento economico del quotidiano “la Repubblica” – nel suo ultimo, intrigante saggio La malattia dell’Occidente. Perché il lavoro non vale più (Laterza, 2010). Con lui proviamo a parlare di lavoro, di crisi economica, ma anche di qualche idea per il futuro.
il suo valore culturale, sociale, e il suo peso nella democrazia. Per cambiare le cose ci vuole, ripeto, una cultura della qualità e anche coesione nella società. Bisogna che si remi tutti nella stessa direzione”.
Dottor Panara, perché il lavoro è stato ed è ancora così importante? “Perché è il collante del nostro modello sociale, fatto di diritti, doveri, responsabilità, libertà, welfare. Tutta la nostra impalcatura sociale si regge sul valore del lavoro, comprese le istituzioni democratiche. La storia della democrazia, infatti, è la storia della liberazione del lavoro, non dal lavoro. Il lavoro è stato per millenni servile, riservato agli schiavi. Col tempo però anche chi lavorava ha cominciato a farlo in maniera libera, cioè con dei diritti. Questo ha consentito al lavoratore di conquistarsi un ruolo nella gestione della cosa comune, mi riferisco alla partecipazione politica, alla cittadinanza. Questa è la sostanza della democrazia e il lavoro libero è uno degli elementi fondanti della democrazia. Il lavoro, inoltre, incide anche sulla qualità della democrazia”. In che modo? “Vede, la democrazia è un meccanismo di governance e la qualità della democrazia è determinata dalla capacità di funzionamento di questo meccanismo di governance, cioè dalla capacità di prendere decisioni che riguardano tutti, nell’interesse di tutti. Questa qualità della democrazia dipende essenzialmente dall’equilibrio tra gli interessi forti, che sono presenti in qualunque collettività, e gli interessi diffusi. E gli interessi diffusi vengono rafforzati dal lavoro: se il lavoro – che è un elemento che riguarda la stragrande maggioranza dei cittadini – è forte economicamente, e quindi socialmente, ha la capacità e la forza di riequilibrare gli interessi forti. Quando il lavoro è debole, gli interessi forti tendono ad appropriarsi del legislatore e a ottenere decisioni più nell’interesse particolare che in quello generale”. Il lavoro e la sua remunerazione in Occidente sono in crisi a causa della globalizzazione e della tecnologia. Che cosa si può fare per restituirgli valore? “Bisogna invertire un processo che è iniziato a metà degli anni Ottanta, e che la crisi ha portato al suo culmine. Bisogna passare da un modello di sviluppo basato sui consumi, e che ha utilizzato il debito per alimentarsi, a un modello diverso, basato sull’economia della conoscenza, sulla qualità delle produzioni, sulla centralità del lavoro. Bisogna puntare sul valore delle produzioni che con questo lavoro vengono realizzate. Quindi, essenzialmente, lavorare molto di più sull’innovazione, sulle nuove energie, tutta quell’area della knowledge economy, come le scienze della vita, le biotecnologie, le nanotecnologie: perché un lavoro che ha più contenuto di sapere innalza il valore aggiunto del prodotto. Questo da un punto di vista economico. Allo stesso tempo è mia convinzione che se il valore economico del lavoro torna a crescere, se il lavoro torna a essere centrale nella vita delle persone, aumenta
Più facile a dirsi che a farsi... “Beh, una prima cosa, difficile politicamente ma possibile, è riequilibrare la distribuzione della ricchezza prodotta. Ormai è riemerso con chiarezza che una società in cui la ricchezza è meglio distribuita ha una crescita più sostenibile. C’è una ragione tecnica per questo: la ricchezza concentrata diventa finanza, mentre la ricchezza distribuita diventa economia. Chi ha uno stipendio medio lo spende in buona parte facendo muovere l’economia, non si mette a giocare in borsa né a incrementare il patrimonio. Una seconda cosa da fare è smettere di trasferire ricchezze ai paesi produttori di petrolio attraverso il risparmio energetico e un ricorso più ampio a fonti non fossili. La stessa cosa si può fare riprendendo a produrre beni manufatti anche nei paesi occidentali e non acquistandoli solamente dai Paesi emergenti. Potremmo in questo modo conservare all’interno dei nostri paesi grossi capitali con cui migliorare il tono generale dell’economia e da lì ripartire”. Quale ruolo può ricoprire la politica per attuare questa inversione di rotta? “Per lungo tempo il mondo della politica, le classi dirigenti, non hanno colto che il modello economico che abbiamo cavalcato negli ultimi 25 anni, basato sui consumi, era un modello che non poteva reggere all’infinito. Oggi la crisi ha reso evidente il problema. Rimangono però delle lentezze dovute ai poteri forti, che sono il problema dei problemi. Perché per definire una ricetta che ci faccia avviare una nuova fase positiva, la politica dovrebbe guardare con più forza all’interesse generale. In questo momento però la politica non è molto forte, anzi, è debole rispetto gli interessi particolari, e non ha idee forti per costruire un ciclo positivo. Insomma non aspettiamoci mutamenti semplici o immediati...”. Lei crede che dovrà passare un’altra generazione? “Spero di no, perché, come ho detto, oggi le classi dirigenti sono consapevoli che il modello economico attuale non ci porta da nessuna parte. Un ulteriore fatto positivo, altrettanto importante, è il ritorno della manifattura in Occidente. Dopo che per decenni si è predicato che ci si doveva concentrare su un modello economico basato sui servizi e trainato dai consumi, ci si è finalmente resi conto che i deficit dei grandi paesi consumatori e i surplus dei grandi paesi produttori, non erano colmabili con questo modello. Il terzo fattore positivo è che la globalizzazione ha cambiato faccia. In una prima fase capitale e imprese dei paesi industrializzati andavano a produrre beni nei paesi emergenti per ottenere beni da rivendere nei paesi industrializzati, ricchi. La competizione era solo tra ricchi. Adesso siamo entrati in una nuova fase dove anche i Paesi emergenti sono ormai diventati mercati di consumo. A questo punto siamo di fronte a una globalizzazione adulta in cui tutti i paesi sono mercati e tutti sono possibili produttori e il modello competitivo della prima globalizzazione, che si basava sulla compressione dei costi, non funziona più. Perché, per quanto possiamo comprimerli, non potremo mai portarli al livello di imprese che hanno tutta la struttura dei costi in Cina. Quindi la competizione si può sostenere solo attraverso l’aumento della qualità, cosa che alcuni paesi, come la Germania, hanno già recepito e piuttosto velocemente. Dunque invertire la rotta è possibile, ma bisogna agire e con rapidità. Viceversa si verrà tagliati fuori dal mercato drasticamente e senza possibilità di scampo”.
Agorà
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Il tempo a fumetti Nel romanzo “Tutti voi zombie”, lo scrittore Robert Heinlein narra di un personaggio che, viaggiando tra presente e passato, diventa madre e padre di sé stesso. È possibile? Come poter conoscere a sufficienza il tempo da riuscire a dare una risposta? Povate con i disegni... testo di Demis Quadri; illustrazione di Micha Dalcol
Media
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“Einstein in rock” (fotomontaggio tratto da www.icmm.csic.es)
“Confesso – anche se poi magari mi rovino la reputazione – che una parte della meccanica quantistica l’ho capita anche su un testo di fumetti”. Questa ammissione, rilasciata nel corso di un’intervista raccolta da Francesco Fasiolo per il quotidiano “la Repubblica” (15 gennaio 2008), è del logico, matematico e divulgatore scientifico Piergiorgio Odifreddi. Sembra dunque che il comune mortale non debba vergognarsi se, per poter muovere qualche passo nella foresta intricata della scienza, si rivolge ai fumetti. Questi ultimi hanno il vantaggio di presentare visivamente concetti che, se spiegati con il solo uso delle parole, rischiano di apparire verità lontane e difficilmente accessibili. E, quando si tratti di memorizzare le informazioni, permettono di sfruttare entrambi gli emisferi del cervello – sia il sinistro, consacrato tra le altre cose al linguaggio e all’espressione verbale, sia il destro, delegato alle forme e ai colori –, soddisfacendo uno tra i consigli di molti manuali di mnemotecnica. Per tali motivi sono sicuramente da apprezzare iniziative editoriali come quelle di Raffaello Cortina Editore che, nel proprio catalogo, propone titoli come La relatività a fumetti di Bruce Bassett e Ralph Edney, L’evoluzione a fumetti di Dylan Evans e Howard Selina, e La logica a fumetti di Dan Cryan, Sharron Shatil e Bill Mayblin. Una faccenda temporale “Cos’è il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so”. Sono passati diversi secoli da quando il filosofo e teologo Sant’Agostino, fra il 397 e il 401 della nostra era, scriveva queste parole nelle sue Confessioni (XI, 14). Ma i problemi relativi allo studio del tempo continuano a dare del filo da torcere alla maggior parte delle persone. E intanto anche i testi di divulgazione spesso non sono di grande aiuto. In parte, forse perché il cervello umano continua a essere più adatto a permettere di vivere di caccia e pesca nella giungla, che non a risolvere le domande della fisica o della matematica. E in parte perché è oggettivamente arduo spiegare in maniera semplice e chiara tematiche su cui autorevoli studiosi e scienziati si sono lambiccati per anni. Ma la scienza dal Medioevo ha comunque fatto grandi passi avanti, e con essa pure gli strumenti per renderla accessibile
al grande pubblico. Per rendercene conto possiamo ricorrere a un altro volume pubblicato da Raffaello Cortina, Il tempo a fumetti di Craig Callender, professore di Filosofia alla University of California di San Diego, e Ralph Edney, formatosi come matematico prima di passare alla professione di illustratore e vignettista. Il libro parte proprio dalla perplessità di sant’Agostino per invitare poi il lettore attraverso un affascinante itinerario che lo porterà, per mezzo della sua mistura di immagini e parole, a toccare tematiche come la misurazione del tempo, la Teoria della relatività di Albert Einstein, i viaggi nel passato e nel futuro, e i paradossi che queste “passeggiate” potrebbero implicare. Alcune tematiche esposte, come le speculazioni del fisico teorico statunitense Kip Thorne e del cosmologo russo Igor Novikov sull’esistenza di cunicoli nello spazio-tempo che potrebbero permettere appunto i viaggi nel tempo, sembreranno ad alcuni troppo vicine alla “masturbazione intellettuale” per meritare di essere sottoposte con fatica al proprio cervello. Ma il volume si sofferma anche su problemi molto più contigui alla vita quotidiana: per esempio, quello degli orologi biologici che ciascuno di noi più o meno consapevolmente porta nel proprio corpo, e a causa dei quali “i nostri stati d’animo, l’attenzione e l’appetito seguono andamenti regolari, che dipendo-
no dall’ora del giorno, dal ciclo lunare o dalla stagione”; oppure quello della percezione psicologica del tempo, che fa in modo che lo stesso numero di secondi possa apparire interminabile a una persona impaurita sulle montagne russe, e brevissimo a chi invece la sta tranquillamente aspettando sulla terra ferma. Alla fine della lettura, per ammissione degli stessi Callender e Edney, molte domande rimarranno ancora aperte, mentre il tempo resterà in gran parte un mistero. Ma il lettore avrà maggiore consapevolezza di quanto non conosce, soddisfacendo in qualche modo la famosa idea socratica della dotta ignoranza (“So di non sapere”); ma, soprattutto, la battuta di un personaggio disegnato da Edney con le fattezze di Edgar Allan Poe: “Il tempo è un grande maestro. Sfortunatamente, uccide tutti i suoi allievi”. per saperne di più: Ralph Edney e Craig Callender Il tempo a fumetti Raffaello Cortina Editore, 2010 Che cos’è il tempo? Perché sembra scorrere in una sola direzione? Sono possibili i viaggi nel tempo? Esiste il futuro? E che dire dell’idea, presente nella gravità quantistica, che il tempo non esista? Questi e altri temi presentati, e spiegati, a fumetti in modo chiaro, coinvolgente e ironico.
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La carota (e il bastone) “Ogni prodotto orto-frutticolo posto in vendita al minuto deve recare un cartellino con le seguenti informazioni: ragione sociale dell’operatore e del confezionatore, numero della banca dati dell’AGEA, varietà, Paese d’origine ed eventualmente zona di produzione, categoria («qualità»), calibro, lotto, prezzo, additivi, caratteristiche” (Regolamento CE n.1580/2007 e n.1221/2008) testo di Ivo Silvestro illustrazione di Mimmo Mendicino
Scienza
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g. %2172 ".." 529'6%+" p +1+>+"72o L’intervista inizia con la profonda de-
lusione per la scarsa, scarsissima, quasi inesistente eco che ha avuto la denuncia della nostra interlocutrice: “Praticamente solo lei – che, se mi permette, non è proprio una pietra miliare del giornalismo cantonale – mi ha contattato per questa intervista”. Signorilmente ignoriamo l’accenno sul prestigio del nostro nome e quello della testata che ci ospita, e chiediamo di esporci il suo caso.
Sessismo oppure mobbing? “È molto semplice. Sono stato discriminata sul luogo di lavoro. Nonostante il grande impegno profuso per gli obiettivi aziendali, nonostante gli ottimi risultati conseguiti… mi hanno letteralmente buttato nella spazzatura”. Ma quali sono i motivi della discriminazione? “Questioni esclusivamente estetiche. Non soddisfacevo le aspettative «di bellezza» della dirigenza. Una cosa assurda: si bada più alla forma che alla sostanza. Il trionfo dell’apparire sull’essere!”. Mmmh, lei mi sembra una persona combattiva... “Persona? Ma come si permette! Non vede che non sono un essere umano: sono una carota!”. Scusi, signora carota… dicevo, lei mi sembra una verdura combattiva...
“No, scusi lei: ma non si è documentato per questa intervista? Sono una radice, non una verdura. Del resto, sono color carota, non verde!”. Scusi ancora signora carota. Dicevo, lei mi sembra una radice combattiva; ma non ha protestato, chiesto maggiori informazioni e delucidazioni? “Sì, certo che l’ho fatto! Mi hanno risposto che sono obbligati a fare così, ad agire in questa maniera discriminante e umiliante”. Obbligati? “Sì, OBBLIGATI. Ci sono normative, a livello europeo, che impongono alcune «caratteristiche tecniche» a ortaggi e frutta. Per dire, le mie numerose amiche banane sono regolate da un regolamento (mi si perdoni la ripetizione) europeo – il numero 2257/94, per la precisione – che stabilisce parametri come «lo spessore, espresso in
r%2172 21.+1' &'. 2^/o millimetri, di una sezione trasversale del frutto praticata tra le facce laterali e nel mezzo del frutto stesso, perpendicolarmente all’asse longitudinale». Un delirio!”. I gusti sono gusti… Ma queste leggi adesso sono state ammorbidite, se non sbaglio... “Ah, ma qualcosa allora la sa anche lei! Sì, sono state alleggerite. Il «New York Times» ha
;2).+'7' 48'67" 23325781+7go pubblicato recentemente un articolo dall’eloquente titolo «L’UE cede e lascia che una banana sia una banana». Ma il problema, mi hanno spiegato, non riguarda solo le leggi…”. Certo, perché intervengono anche i gusti dei consumatori… “Esattamente. Noi ortaggi non perfetti – «non perfetti» semplicemente perché non ci uniformiamo ai criteri estetici di voi umani – saremmo improponibili per la vendita. Difficilmente verremmo acquistati e la nostra presenza squalificherebbe l’intera produzione. Io, come carota con due punte invece di una, devo finire nella spazzatura, non posso andare al mercato con le mie amiche e compagne di orto. E questo nonostante sia più saporita di molte mie colleghe”. Deve essere umiliante... “Umiliante è dire poco. Ma non è solo una questione personale. È anche un problema per voi stupidi umani”. D’accor-
do, comprendo il suo disappunto, ma non mi sembra il caso di insultarci gratuitamente… “Il mio non era un insulto, è una constatazione. Voi umani siete stupidi. Come altro chiamereste una specie che rinuncia così a una parte non trascurabile di produzione ortofrutticola solo perché non si adatta a «un ideale» puramente inventato di bellezza vegetale?”. Siamo delle teste… “vegetali” Signora carota, riconosco che la situazione non depone a nostro favore, ma... “Niente ma. Voi umani siete fieri del vostro cervello, che credete così grosso e sofisticato. Ma è un organo pericoloso, che crea illusioni alle quali voi vi attaccate con una tenacia impressionante. Vi create l’idea, l’archetipo di carota, e se quella che avete in mano è troppo dissimile dalla vostra fantasia, vi spaventate. Siete incapaci di gestire e di accettare la diversità, l’inaspettato. Noi vegetali non abbiamo il cervello, e stiamo per molti versi meglio di voi”. Sì, i suoi argomento sono convincenti, ma credo che lei parli così perché coinvolta in prima persona in questa disdicevole si-
tuazione… “La mia è un’analisi oggettiva. E sono pronta a dimostrare tutto quello che ho affermato!”. PS: L’intervista non è potuta proseguire dal momento che, dopo la verifica che ho voluto personalmente condurre sul sapore della nostra carota a due punte, l’interessata non era più disponibile...
g. %2172 ".." 529'6%+" &'+ &+'%+ 0+.+21+ p +1+>+"726 %5'&+72 %21 6%2172 21.+1' &'. 2^/o n5" 2 0"+ 3+#o r2.2 68 ;;;o%5'&+7d12;o%*z0+..+21 R6'03+2 &+ %".%2.26 ;f] 2&l&&&oiY 2= 0'6+Y 7"662 "1182 '((o oS/ i 22o / -6%2172 21.+1' )+g +1%.8628Y %2672 %203.'66+92 ;f] SSHoi& i ;f] i2toi&o u".' 62.2 3'5 ;qRFgsd12; ;."66+%o j" %21%'66+21' &+ %5'&+7+ p 9+'7"7" 6' %21&8%' " 81 +1&'#+7"0'172 '%%'66+92 -"57o H j;rg8o 0%lid12; r%Y f25)'1o
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Stuprare il formaggio? Il contatto e l’incontro tra culture diverse partoriscono dei mostri? Solitamente no, a meno che non si faccia riferimento alle gaffe che si generano per un’approssimativa conoscenza di una lingua o di una cultura straniera testo di Duccio Canestrini
Entro in una farmacia di Marsiglia per comprare un filtro solare
Mundus
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esistono frasari che offrono modelli di conversazione basati su per le labbra. Chiedo alla farmacista: “Une protection pour le liè- tipiche situazioni quotidiane. O perlomeno così dovrebbero, vres, s’il vous plaît”. Dietro di me qualcuno scoppia a ridere. Che perché anche i frasari hanno una storia un po’ buffa e tutta cosa ho detto? La farmacista mette due dita ai lati delle tempie, loro, essendo famosi per tradurre affermazioni di dubbia utimimando lunghe orecchie: “Lièvre”, dice. Poi si tocca un labbro lità, del tipo: “la civetta di mio zio sta sul comò”. e scandisce: “Lèvre”. Avevo chiesto una protezione per le lepri. Una casa editrice specializzata in guide di viaggio, la torinese Il che mi starebbe stato anche bene essendo contrario alla EDT, ha fatto appello ai suoi lettori/viaggiatori perché mandicaccia, salvo che quelno la cronaca di situaziolo era il posto sbagliato. ni di vita vissuta, dove La linguistica, l’antropoerrori di traduzione sono logia, la geografia sono stati motivo di imbarazpiene di equivoci; molti zo. E così leggiamo. “A malintesi devono avere Londra due amici inglesi avuto luogo anche in mi invitano a cena. Arrivo passato. Domande malda loro in anticipo e li aiuposte o mal tradotte di to ad apparecchiare. «Do norma ricevono risposte you want me to rape the incongrue. Prendiamo cheese?» domando premuper esempio, la parola rosamente. Tutti ridono a “canguro” deriva da kancrepapelle. Perché? Dopo garù, la risposta che un un attimo di smarrimento aborigeno diede al primo capisco che cosa è successo: inglese che lo interrogò ho confuso francese e inglesullo strano animale che se. Nella mia testa il verbo saltellava. Nella lingua francese raper, «grattugia“Cultural difference”. Illustrazione di D. Shkolnick tratta da www.picasaweb.google.com degli aborigeni australiare», è diventato rape, che ni kangarù significa semin inglese significa «stuplicemente “non capisco”. Questo episodio dimostra come prare»”. E ancora: “Da poco tempo in Italia, Kate entra nel negozio stabilire un codice di comunicazione con un popolo di cui si di alimentari sotto casa e chiede una marmellata senza preservativi. ignora la lingua è pressoché impossibile. Gaffe, cantonate e L’anziana proprietaria è allibita: «Guardi che da noi quelle cose purtroppo anche pregiudizi sono sempre in agguato. I primi non si mettono nel cibo»”. In realtà ciò che Kate voleva era una coloni ed esploratori in Africa, Australia e Sudamerica erano marmellata senza conservanti (in inglese, preservatives). Come convinti che gli indigeni non utilizzassero termini astratti, o dicevo, anche la geografia porta traccia di traduzioni che poi fossero del tutto privi di cultura per il semplice fatto che non sono tradimenti. Prendiamo lo Yucatán, uno dei trentuno stati ne intendevano le espressioni. del Messico, di antica cultura Maya. Ebbene, secondo il frate Toribio di Benavente – detto Motolinia, autore di una Storia Lingue, frasari e trabocchetti degli Indios di Nuova Spagna, 1541 –, all’origine del toponimo Ogni lingua straniera è lo specchio di un mondo diverso dal starebbe un fraintendimento. Avendo chiesto gli spagnoli nostro, dove le parole hanno misteriose sfumature. I thailan- come si chiamasse quella costa, gli indios risposero “tectetán”, desi hanno quattro modi per dire “tu”, e in cinese la radice cioè “non ti capisco”, sicché gli spagnoli, sbagliando ancora, della parola “riso” compare in tutti i termini che indicano un conclusero che il nome di quella terra doveva essere Yucatán. pasto. Eppure, anche con le lingue che sono a noi più familiari E tale è rimasto. C’è però un’altra possibilità, dato che forse succede di incorrere in incidenti di comunicazione. E per il malinteso fu dovuto alla risposta “uyután”, che in lingua aiutare i viaggiatori a districarsi nei trabocchetti delle lingue yucateca significa “ma come parla?”
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Il padre Secondo molti dizionari etimologici il termine padre deriverebbe dalla radice sanscrita “pa” che contiene i concetti di proteggere e di nutrire. Aspetti, purtroppo, sempre più disattesi testo di Gaia Grimani; fotografia di Reza Khatir
Mi ricordo che da bambina avevo spesso paura e, quando desideravo consolazione, non volevo intorno la mia mamma – che sentivo debole come me – ma cercavo la mano calda e avvolgente di mio padre. Ancora adesso che lui non c’è più da tanti anni, sento il calore confortante di quella mano che non sono mai riuscita a ritrovare in nessun altro. La famiglia tradizionale è composta da una madre, un padre e i figli. Il padre ne è una figura così importante che dà alla famiglia il proprio cognome, anche se oggi questo contempla delle eccezioni secondo i casi e i paesi. Lontananza e avvicinamento La paternità è un concetto misterioso, soprattutto per il diretto interessato: infatti, è spesso difficile per l’uomo che diventa padre collegare quel suo lontano gesto di seminatore alla nuova vita che cresce nel ventre della donna. Per lei è invece immediato sentirsi madre: la sua creatura si muove dentro di sé e si alimenta con il suo sangue, partecipa ai battiti del suo cuore, alle sue emozioni, alle gioie e ai dolori. Quando il bambino nasce, il padre lo guarda e non lo sente suo nella stessa maniera viscerale in cui lo percepisce la madre; anzi, con il passare del tempo lo avvertirà come un concorrente che desidera accaparrarsi tutto l’amore materno e si sentirà solo e isolato dalla nuova coppia “madre e figlio”, così naturalmente complici e in sintonia. Poi un giorno, all’improvviso, in un momento di sofferenza o di paura, questo “nemico” che gli ha sottratto l’amore della moglie cercherà la sua mano per rassicurarsi e il padre si sentirà sciogliere il cuore ed entrerà pienamente nella sua funzione. Egli, infatti, rappresenta per i figli un modello da seguire, il legame con le generazioni precedenti, l’autorità autorevole, l’educatore che cerca di indurre al senso di responsabilità e permette, con la sicurezza che infonde, di costruire relazioni sociali adeguate e, in una parola, di crescere e maturare armoniosamente. Un punto di riferimento irrinunciabile. Eppure, lo sappiamo, non sempre è così. Spesso la relazione padre-figli è difficile, soprattutto nell’adolescenza, quando non si è più disposti a riconoscere l’autorità degli altri e si vorrebbe decidere autonomamente della propria
esistenza. Solo nell’età adulta, quando si è diventati padre o madre, si capiscono le motivazioni di alcune severità e proibizioni e si è disposti alla comprensione per chi ce le imponeva. La relazione non è facile anche quando il padre, assorbito eccessivamente dal proprio lavoro, demanda totalmente alla madre il compito educativo e non concede ai figli il tempo necessario per costruire un rapporto solido con lui. Queste figure di padre erano assai diffuse nella mia generazione e in parte lo sono ancora, anche se la vita moderna ha imposto nell’ultimo secolo grandi cambiamenti di abitudini a causa dell’espandersi del lavoro femminile fuori casa. Oggi infatti non è raro che un padre, alternandosi alla propria compagna, si prenda cura dei figli fin nei minimi dettagli: dai cambi di pannolino alla preparazione dei pasti, alla condivisione di molte attività. Una pesante assenza Ma per assurdo, nonostante ciò, la mancanza della figura paterna non è mai stata così rilevante come in quest’epoca, per il numero sempre crescente di separazioni e divorzi che affliggono la nostra società. In questi frangenti dolorosi, soprattutto per i figli, essi vengono molto spesso affidati alla madre e, se la separazione è consensuale e condotta in termini civili, si stabiliscono momenti in cui, comunque, il padre riesce a incontrarli e a ricreare con loro un legame stabile, pur non abitandoci più insieme. Ma se vi sono problemi e conflitti i rapporti vengono violentemente interrotti, sia sul piano fisico sia su quello interiore. Ma vi è di più: quando c’è disaccordo nella coppia – che ancora non si è divisa, ma vive lacerata da contrasti – la mamma, spesso addolorata e delusa, non sa risparmiare il suo rancore contro il coniuge e ne fa partecipi i figli, distruggendo nel loro cuore l’immagine paterna. Così facendo li rende di fatto orfani di un padre vivo che, con tutti i suoi difetti, è prezioso per la loro stabilità sentimentale ed emotiva. Senza un padre ci si sente indifesi: senza storia, senza solidità, come un albero dalle radici scoperte e spezzate. Tanto che persino un padre parzialmente assente o mediocre è meglio di un padre inesistente.
Relazioni
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» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Reza Khatir
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Edouard Wahl
Vitae
nella capitale, il consigliere federale Wahlen non voleva vedermi, perché non intendeva avere nessun contatto col “Blick”. Era dura, ma nello stesso periodo – quando si assisteva all’ascesa di Clay Regazzoni – ho trovato un equilibrio nelle corse automobilistiche come pilota di Formula 3. In tanti anni mi hanno dato molte soddisfazioni, malgrado i rischi e la mancanza di fair play da parte di alcuni. Più tardi sono venuto in Ticino per aprire una redazione anche qui. A quel punto ero stufo della frenesia: ho trovato un rustico che ho riattato per poterci vivere. E ho aperto una scuola Personaggio dal forte impegno sociale di vela a Brissago. Ho comine politico, ha attraversato l’Atlantico in ciato a fare vela circa 35 anni barca a vela e i Balcani in scooter. Oggi fa. Anche sul mare. Con un equipaggio di sette persone ho si batte in favore delle minoranze attraversato l’Atlantico: siamo partiti dalle Canarie, poi siaEtiopia, poi in Yemen, quindi mo scesi a Capo Verde e da lì abbiamo navidi nuovo in Africa, nel Sudan, gato fino alle Barbados. Il Verbano per la vela prima di tornare in Svizzera. è interessante: ha un sistema di venti regolaIn Etiopia sono rimasto per un re rispetto a molti altri laghi in Svizzera, per anno, nel periodo di un annicui ci si può navigare dalla mattina alla sera. versario di potere del sovrano Sono ancora oggi maestro di vela a Brissago, Haile Selassie, per cui colpiva giornalista e anche impegnato in politica. Per il contrasto tra il fasto delle natura sono sempre stato di sinistra, come uniformi e le condizioni di mostra per esempio la mia collaborazione con vita di Addis Abeba. Era l’epola “Arbeiterzeitung”. Quando frequentavo la ca in cui si costruiva la diga di scuola commerciale di Neuchâtel era in corso Assuan, e in Etiopia avevano la Seconda guerra mondiale. Ho anche fatto la possibilità di deviare il Nilo servizio militare attivo mentre in Italia c’era Blu e ostacolare il progetto. In il Fascismo e in Germania il Nazionalsocialiproposito ho scritto un libro, smo. In quell’epoca ho visto le inclinazioni Der Nil hat Brot für alle (“Il Nilo della politica federale verso le dittature e ho ha pane per tutti”): in effetti iniziato i miei contati con la sinistra, formanil Nilo è un grande aiuto per do la mia posizione a favore delle minorannutrire la gente dell’Africa del ze etiche, religiose e linguistiche. E in questo Nord. Più tardi in Etiopia è senso la mia attività continua tuttora. arrivata la siccità, e la natuAttualmente sono membro della Commissiora è stata più forte del genio ne cantonale nomadi, che però è in crisi: ci umano. Ma io non ero più lì. sono politici che non la vogliono più, come Ci sono tornato più tardi per non vogliono più concedere aree di soggioril “Blick”: dovevo incontrare il no per i nomadi. Questi, senza la possibilità sovrano, ma era il periodo dei di soggiornare, non ottengono nemmeno la rivolgimenti politici e non ho patente per fare commercio. Sono una minopotuto vederlo. ranza sofferente, maltrattata, con oltre tutto L’inizio della collaborazione sulle spalle le esperienze delle persecuzioni e con il “Blick”, durante i suoi dell’Olocausto. In politica mi muovo anche primi dieci anni, è stato molattraverso le manifestazioni: per farsi sentire to difficile dal punto di vista ci vuole clamore, e se non hai la forza o le sociale: la borghesia non volepossibilità offerte da un partito, se ti muovi va questo giornale boulevard, e individualmente, puoi farlo così. Ma siccome nemmeno le autorità. Quannon parlo bene al pubblico, allora lo faccio do sono stato mandato a Berattraverso azioni silenziose, e per questo bisona per aprire una redazione gna cercare di essere più sorprendenti...
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S
ono nato nel 1923 a Basilea, dove ho vissuto fino all’età di 18 anni circa e dove ho fatto un apprendistato nella macelleria di mio papà. Poi sono tornato a scuola e ho ottenuto la maturità commerciale, prima di iniziare a studiare filologia e storia all’università. Ma non ho terminato gli studi perché sono entrato nel giornalismo, in principio con la “Arbeiterzeitung”, il giornale del partito socialdemocratico di Basilea. Nel 1952 sono partito per un viaggio in Lambretta da Basilea ad Ankara. Mi sono spostato lentamente, fermandomi un po’ dappertutto, prima nei Balcani e poi in Grecia. In Turchia sono rimasto per circa un anno. Per la mia formazione era importante essere indipendente: con me sulla Lambretta avevo una tenda e una Hermes Baby per scrivere. Dormivo all’aperto, o a volte in autunno e inverno nelle stalle dei contadini. Durante il viaggio ho vissuto i problemi politici legati a Trieste, che prima è stata austriaca, poi italiana, poi sotto la Tito jugoslava, prima di tornare ancora italiana. Quando è morto Stalin ero a Belgrado e ho sentito da straniero la tensione che si creava tra Jugoslavia e Unione Sovietica. In Grecia sono arrivato al momento della morte del dittatore militare di allora, Papagos, e ho fatto uno dei primi reportage sonori per Radio Zurigo, con la quale ho collaborato come freelance per tutto il viaggio. Avevo pure una colonna sul “Badener Tagblatt” intitolata “Il nostro reporter in viaggio”. In Turchia ho vissuto il conflitto per Cipro, che prima era una colonia britannica e che sia turchi che greci volevano per sé. Lì ho anche cominciato a capire come si vive nell’Islam, la gentilezza di quella gente e i problemi nati dopo la rivoluzione di Kemal Atatürk, che ha imposto in modo radicale il passaggio dalla tradizione musulmana a uno stato occidentale. Più tardi sono stato in
Con l’occhio del testimone
127 scatti, 127 visioni e interpretazioni, 127 racconti in una sola immagine. Prolungata sino al prossimo 28 agosto, Locarno ospita un’esposizione dedicata a Katja Snozzi, fotografa ticinese che nel corso degli ultimi decenni ha saputo raccontare attraverso il suo obiettivo i drammi e gli incubi, ma soprattutto i visi, i sorrisi e le speranze di un mondo alla ricerca di un futuro migliore
testo a cura della Redazione; fotografie di Katja Snozzi
sopra: Max Frisch, Berzona 1982; nella pagina precedente: Jameela, Libano 1979
I
giorni del Festival del Film di Locarno sono stati, come per tutte le edizioni, momenti preziosi per l’intero ambito culturale cantonale. Giornate da “tutto esaurito”, con un indotto economico – alberghi, ristoranti, campeggi, ecc. – ad oggi irrinunciabile per la nostra regione. È la dimostrazione (per chi ancora non ne fosse pienamente convinto) che la cultura – con o senza la “c” maiuscola, poco importa – è un grande affare. Ma, in particolare, è un investimento a lungo termine… e solitamente vincente se alle spalle vi sono progetti mirati, segnati dalla qualità e dalla ricerca. Ma i giorni locarnesi sono anche una spettacolare e invidiabile vetrina, vuoi per la quantità di persone presenti alla manifestazione, voi per la voglia di “scoprire e sapere” che ha portato cittadini di mezzo mondo nel nostro piccolo cantone (a questo proposito si veda anche la rubrica “Sguardi”, a pagina 46 di questo numero di Ticinosette).
L’impegno del reporter Tra gli eventi che hanno arricchito i giorni del Festival, la mostra della fotografa locarnese Katja Snozzi merita certamente di essere segnalata. E questo non solo perché gli scatti presenti a Palazzo Casorella sono la rappresentazione di una vita dedicata a raccontare le nostre società ma, in particolare, perché ci mostrano le mille facce di questi decenni, sempre più tormentati, sempre meno rispettosi della vita e della dignità dell’essere umano. “La mostra non intende presentarsi come sequenza di singoli reportage sui vari paesi, bensì come libera selezione e associazione di immagini, a volte assai lontane nel tempo e nello spazio, talora tematicamente anche molto diverse, così da dare uno spaccato differenziato ma vivo della pluralità di situazioni e sentimenti vissuti a contatto diretto con le realtà locali” è scritto nella presentazione dell’esposizione: “dal comico al tragico, dalla violenza delle armi alla solarità del sorriso dei bimbi, dalla povertà materiale alla straordinaria ricchezza dello spirito o all’intensità degli sguardi”.
Fidel Castro 1998
Washpur, Bangladesh 1988
Etiopia 1994
Mekelle, Etiopia 1995
Sarajevo, Bosnia 1993
L’intervista
Per meglio conoscere Katja Snozzi, cogliere le sfaccettature del suo “occhio femminile”, il suo personale approccio alla fotografia quale documento storico e strumento di testimonianza, le abbiamo rivolto alcune domande.
scoglio, se c’è, è il timore di infrangere l’intimità e la dignità di chi ti sta di fronte. Eppure a volte basta uno sguardo, occhi che, incrociandosi, ti assecondano o implorano di tacere. E allora tu scatti o, appunto, ti ritiri”.
Signora Snozzi, come è arrivata alla fotografia e quale tipo di percorso l’ha portata a scegliere proprio il fotoreportage? “Puntualizziamo. Non è che io abbia scelto di fare professionalmente del fotoreportage, quasi fosse un’attività a me connaturale. Non era nemmeno un traguardo che mi ero prefissa. È stata, per così dire, una scelta obbligata. Se per un certo tempo operi come fotografa alle dipendenze di un gruppo editoriale, sei anche tu una salariata e sei tenuta – se ti preme preservare il posto di lavoro – a “obbedire” agli incarichi che ti propinano dall’alto, ben inteso se compatibili anche con le tue scelte di vita. Il “capo” ti ordina di andare, e tu vai, anche perché sai che l’ordine – dato proprio a te e a nessun altro – rispecchia la stima e la fiducia che altri ripongono in te e perché le sfide che così ti si parano innanzi sono del tutto avvincenti. Alla fotografia, per altro, sono arrivata come tanti altri colleghi. Da adolescente, posta di fronte alle possibili opzioni di vita, non sapevo bene se intraprendere subito un’attività lavorativa o proseguire gli studi. Uno stage estivo presso un negozietto di fotografia e le prime esperienze fotografiche nella cerchia familiare mi tolsero ogni dubbio. Combinare le due cose: il fascino dell’immagine, nonché la scoperta e l’approfondimento della tecnica per riprodurla”.
Il reporter si trova, per la natura stessa della sua professione, a testimoniare situazione difficili e non di rado estremamente dolorose. Che tipo di rapporto si stabilisce con i soggetti? In altre parole, qual è stato il suo limite etico personale? “Come detto, il fattore determinante è il rispetto dell’altro. Nel mio archivio fotografico non credo si possa trovare una sola foto “rubata”. Spesso mi è capitato di riporre la macchina fotografica e rinunciare a scattare una foto per tendere una mano e, nel limite del possibile, soccorrere chi mi stava davanti. Penso di poter affermare che l’effetto scandalizzante, lo scalpore, l’artificio non sono termini che appartengono al mio vocabolario professionale”.
Quali problemi si è trovata ad affrontare nel proporsi in ambienti culturali così diversi dal nostro? “L’incontro con il prossimo, soprattutto se sei chiamata a documentarlo, è sempre un evento straordinario, poco importa se l’interlocutore faccia o meno parte del tuo ambiente culturale. A prescindere dalla conoscenza delle realtà spesso nuove cui ti trovi confrontata, quel che importa è il rispetto dell’altro, del suo credo e dei suoi modi di vita. Puoi trovarti in situazioni gioiose, di crisi, di distruzione o di guerra, lo
Oggi, con la diffusione delle tecnologie quali i telefonini, le testimonianze spesso arrivano da persone comuni e non da professionisti. Ha ancora un senso, una funzione, il fotoreporter e come vede personalmente questa figura nel presente rispetto a quanto accadeva 30 o 40 anni fa? “Le nuove tecnologie hanno certamente influito anche sulla fotocronaca professionale, che è divenuta in un certo senso una professione a rischio; Questo non tanto per la diffusione dei cellulari ma per l’avvento della fotografia digitale, con tutti i pregi e i difetti ch’essa comporta. Per evidenti ragioni, non da ultimo la concorrenza della televisione, il fotoreporter “moderno” è tenuto ad assicurare una trasmissione immediata delle immagini scattate. Ha e merita comunque priorità rispetto al dilettante nel senso che il suo intento (e compito) rimane il saper cogliere e fissare quello che gli altri non possono o non sanno vedere. È senz’altro una questione di tecnica del mestiere, ma, a mio avviso, anche una predisposizione al coinvolgimento personale, nonché al saper comunicare con semplicità e rigore”.
la mostra: MondoMomenti Il mondo in 127 scatti L’esposizione è visitabile sino a domenica 28 agosto dal martedì alla domenica orari: 10–12/14–17 Palazzo Casorella via B. Rusca 5, 6600 Locarno tel: 0041 (0)91 756 31 70 servizi.culturali@locarno.ch nota tecnica alla mostra: le foto sono state stampate in tecnica fine-art printing su “Hahnemühle Bamboo”, questo regala una sensazione “tattilo-visiva”. La carta è un prodotto eco, con 90% di fibre di bambù e 10% di cotone
Katja Snozzi Nata a Locarno nel 1947, trascorre la sua infanzia e adolescenza tra il Kenia e la Svizzera italiana e tedesca. Frequenta a Zurigo il Centro studi di industrie artistiche (Sezione fotografia) e dal 1974 intraprende l’attività di fotografa. Tra i suoi numerosi lavori, pubblicati su giornali e riviste nazionali e internazionali, figurano resoconti fotografici sulla guerra civile in Libano, sui campi palestinesi a Beirut, sull’invasione americana a Grenada/Caraibi, sui terremoti nell’Irpinia e in Honduras, sulla carestia in Somalia, sul genocidio e sulla tragedia dei profughi in Ruanda, e poi ancora testimonianze raccolte in Bangladesh, Bosnia, Sri Lanka. Nel 1986 apre una propria agenzia fotografica a Berna e dal 1996 si occupa anche del settore multimediale. Oggi vive a Verscio. Per informazioni: www.katjasnozzi.ch
Alejandrina, Bolivia 1998
Festival di Locarno. Proiezioni interne testo di Keri Gonzato; fotografie di Roberto Buzzini
Sguardi
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English? Français? Deutsch or Indi? La programmazione multiculturale del Festival del film di Locarno intesse una trama complessa e variegata con la folla multilingue dei suoi frequentatori. Lo dico con cognizione di causa, dall’alto – mi scuserete – della mia posizione di “dispensatrice di accrediti per i giornalisti” presso la Sopracenenrina, cuore nevralgico del Festival. In questi giorni di intenso cinema, vedo sfilare al mio bancone orde barbariche di giornalisti che sbucano da ogni angolo del mondo. E dopo anni in cui la comunicazione si limita a cataloghi e liste di proiezioni per la stampa, questa volta voglio capire che cosa li spinge a venire fin qui. Anche perché sono loro a narrare trionfi e scivoloni della kermesse. Siano questi a mandorla, rotondi, verdi o marroni, sono quegli occhi mediatici a filtrare e interpretare questi dieci giorni. Avanti il prossimo… Tra un accredito e un catalogo conosco una dinamica donna indiana. Meenkashi Shedde collabora con questo Festival – oltre che con la Berlinale – come critica di cinema. Le sue aspettative per questa 64a edizione erano alte, “soprattutto visto che la sezione «Open Doors» ha messo il focus sul cinema indiano” ci spiega. D’altronde Meenkashi ha molta fiducia in Olivier Père, in carica dall’anno scorso come direttore artistico del Festival, che è secondo lei “too good!”. Per Meenkashi, che viene da lontano, la manifestazione locarnese è diversa dalle altre: solo qui i film fioriscono “tra le montagne e il lago”. Michael McCarthy, londinese dalla parlantina sciolta, scrive per il notissimo “Time Out”. Si trova a Locarno per ragioni professionali… ma non solo. È d’accordo con la collega indiana: “È un luogo unico dove fare incontri interessanti”. Per Arno Löffler, che collabora con il “Volksblatt” (Lichtenstein), “è meno grigio e letterario della Berlinale ed è molto più customerfriendly”. Il Festival del Film di Locarno oggi? Migliore e meglio organizzato, sostiene ancora McCarthy. Fra “stelle” e nuove aperture Il giovane Stephen J.B. Kelly, fotografo freelance e per “Colors magazine” (la rivista di Fabrica) è venuto alla ricerca di ispirazione, attirato in particolare dalla selezione indiana e da quella
cinese. Che ne pensa del direttore Père? “Stiloso! Fantastici i completi bianchi e gli occhiali da vista con la montatura spessa” risponde senza esitazione. Per quanto riguarda i gusti filmici di del direttore invece... Guillaume Elias Crausaz, un’assistente di produzione per la RSR, apprezza audacia e l’ambizione del direttore del Festival. Ambizione: si riferirà forse alle star che hanno brillato quest’anno sul tappeto di ciottoli della Piazza: da Harrison Ford a Daniel Craig, da Gérard Depardieu a Freida Pinto. L’audacia invece potrebbe descrive bene la scelta di accostare veri e propri blockbuster americani – come quelli sfilati sulla Piazza Grande; tra gli altri, la scontatissima commedia romantica Friends with benefits – a film d’autore, film con zombi e alieni (che continuano un filone lanciato da Père l’anno scorso) a corti sperimentali e documentari impegnati. Scelte che spesso fanno discutere, ma come ha detto Marco Solari alla serata di apertura, un Festival vivo deve creare fermento. Next one, please!: è il turno di una sorridente donna dalla chioma candida. Scrive per una rivista finlandese e per lei Père è “ok”; non si sbilancia oltre, mentre il Festival l’ha conquistata perché è “meno commerciale e più artistico e oggi va sempre forte; mentre altri, come quello di Edimburgo, fanno più fatica”. L’amico Guillaume, intervenuto in precedenza, è d’accordo: il Festival oggi è “aperto e promettente”. L’uomo, al centro dello schermo I giornalisti, e in particolare i critici cinematografici, sono conosciuti per la tendenza a preferire l’inchiostro acido a quello dolce, il tratto di penna calcato a quello leggero ma il “piccolo” Festival locarnese sembra parlare al loro lato più affettuoso, stimolando indulgenza. “Screen International”, una rivista di cinema londinese, ha dedicato uno speciale al Festival. L’editoriale esordisce così: “È solo il secondo anno di Olivier Père come direttore artistico... e il programma appare già più robusto di quanto si è visto negli scorsi anni”. Una programmazione intensa, con 30 prime mondiali, 20 lungo metraggi in competizione, 14 cineasti del presente e 16 film proiettati sulla Piazza Grande. Il racconto mediatico di quest’edizione del Festival del film di Locarno dovrebbe avere gli angoli della bocca rivolti all’insù, disegnando a soddisfatto sorriso. Speriamo che tutta questa leggerezza non porti a un’assenza di profondità, a una mollezza degli intenti. Speriamo insomma che questo Festival continui a essere una piccola gemma in cui il cinema “di nicchia” trovi il suo posto e la sua luce. Speriamo che, come ha detto la splendida Synnove Macody Lund di Headhunters – che prima di diventare attrice era una critica cinematografica –, “i film del futuro non siano forzati a diventare così incredibilmente blockbuster-fantastici al punto da dimenticare come creare coinvolgenti rappresentazioni cinematiche della nostra realtà umana”. Una speranza, questa, che a casa nostra si rinnova ogni anno con il Festival del film e per la quale le penne critiche dei giornalisti e degli addetti ai lavori hanno sempre e ancora un ruolo fondamentale.
Oltre il sorriso… c’è di più! Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica
il
sorriso perfetto esiste. Basta osservare i denti allineati e immacolati di quasi tutti i personaggi famosi, siano essi politici, attori o semplici comparse del mondo dello spettacolo. Tutto merito di madre natura? No. Oggi esistono strumenti e tecnologie in grado di restituire il sorriso – e l’espressione è decisamente appropriata – a chiunque. Dove non arrivano dentifrici, spazzolini e dentisti tradizionali, c’è la clinica del sorriso. “Che i denti siano più bianchi a vent’anni piuttosto che a quaranta è normale” spiega la dott.ssa Rosa Maria Gobbi, specialista in odontostomatologia, professore a.c. di Estetica facciale all’Università di Torino, oltre che direttore sanitario del centro bfs (bellezza, filosofia, scienza) di Milano. “Col tempo lo smalto si assottiglia, la dentina – responsabile della colorazione – si inspessisce e i pigmenti degli alimenti che mastichiamo vengono lentamente assorbiti. Pulizia e sbiancamenti professionali schiariscono, ma hanno un tempo limitato e non affrontano altre problematiche come i denti affollati e mal disposti, o le gengive sofferenti e arrossate. In questo si occupano, invece, l’odontoiatria estetica e la cosmetologia dentale. La prima risana denti malati portandoli a un buon livello estetico; la seconda si occupa solo di quelli sani. Utilizzando specifiche faccette in porcellana o in composito è possibile ricoprire il dente cambiandone colore, inclinazione e forma. Con una seduta di poche ore si può intervenire anche su un’importante disarmonia”. Ma se ritrovare proporzione e bellezza del sorriso è auspicabile a chiunque, c’è il rischio di ritrovarsi a sessant’anni con un sorriso di venti. L’effetto sarà allora stridente, perché anche la cornice sarà invecchiata. “Un problema che compete ai dermatologi e medici estetici, che si dedicano al ringiovanimento delle labbra e di tutta la zona periorale con botulino, filler, peeling, bio-rivitalizzazione, luce pulsata e radiofrequenze”.
“Un sorriso non dura che un istante, ma nel ricordo può essere eterno” scriveva Schiller alla fine dell’Ottocento. Ma se allora un bel sorriso era privilegio riservato alla giovinezza e alla grazia, oggi è alla portata di tutti. O quasi.
S OLTRE I “DENTI” Come riportano i dizionario dei simboli, secondo le antiche popolazioni del Mali i denti si dividono i tre gruppi che hanno diverse funzioni simboliche: gli incisivi, i canini e i molari. Gli incisivi rappresentano la fama, e aprendosi per primi al dischiudersi delle labbra, sono segno di gioia e freschezza. I canini sono espressione del lavoro ma anche dell’aggressività, i molari, invece, simboleggiano protezione e perseveranza. Perdere i denti significa quindi essere privati della gioventù, della forza e della difesa. Mentre una mascella ben fornita testimonia salute e sicurezza e di sé. S PIÙ BIANCO, PIÙ SORRISO Bianchezza e luminosità dei denti sono le caratteristiche più richieste. E se si calcola che gli uomini sorridono in media 45 volte al giorno e le donne arrivano a 59, allora si comprende come, in questi ultimi anni, la ricerca si sia concentrata sull’effetto whitening di molti prodotti specifici. Oggi esistono dentifrici e colluttori in grado di agire su macchie e colorazione con reale efficacia. S IL TARTARO: UN NEMICO STORICO
Già nell’undicesimo secolo Abulcasis, un medico arabo, consigliava come rimuovere il tartaro con l’uso di raschietti. E il dentista di Giorgio III, in un trattato del 1769, descrive un caso d’incrostazione che misurava circa “mezzo pollice”. La lotta al tartaro continua anche oggi attraverso la regolare pulizia professionale e l’uso quotidiano di spazzolini e prodotti specifici, in grado di svolgere una forte azione antibatterica.
S I RISCHI DI UNA SANA ALIMENTAZIONE L’erosione è un processo irreversibile, perché una volta consumato lo smalto dei denti questo non si riproduce più. E per strano che sembri, i soggetti più esposti a questo pericolo sono coloro che hanno uno stile di vita sano. Agrumi, frutta, insalate con aceto, bevande energetiche, succhi, tè hanno un ph acido che può indebolire lo smalto, così come gli agenti chimici presenti nelle piscine o una dieta scarsa di calcio. Assumere le bevande acide a lunghi sorsi durante i pasti o per mezzo di una cannuccia, oppure aumentare la salivazione masticando chewingum senza zucchero, può aiutare. Così come spazzolare i denti con setole morbide e usare un dentifricio specifico. S EFFETTI COLLATERALI Circa un quarto della popolazione soffre di alitosi. Un tabù che è in grado di condizionare la vita personale e sociale di chi ne soffre. Il rimedio è una corretta igiene orale, unita all’uso costante di dentifricio, colluttorio e spazzolino specifici. Per meglio sensibilizzare sull’argomento una nota marca ha promosso un concorso intitolato, non a caso, “La cena dei tuoi sogni”. Per info: www.halitosis.it S IGIENE NATURALE Dentifrici salini, gel vegetali, balsami gengivali per adulti e bambini, paste con estratti vegetali. Sempre più persone scelgono prodotti naturali e, anche in questo campo, la ricerca ha fatto passi da gigante. I prodotti bionaturali per l’igiene orale sono privi di tensioattivi, non schiumogeni e formulati con sostanze pure e genuine. Puliscono efficacemente senza aggredire lo smalto dei denti, difendono dalla carie, dall’aggressione del tartaro e attenuano irritazioni della mucosa orale e delle gengive. Con un occhio particolare alla formulazione dei prodotti per bambini.
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Che cosa ti manca?
» illustrazione di Adriano Crivelli
» di Demis Quadri
Aggirandosi tra gli scaffali di una libreria dedicati alla Nyncke, a creare un volumetto dal titolo inusuale: “Mi letteratura per ragazzi è molto facile scovare volumi che scusi, per trovare Dio?”, domandò il piccolo maialino. Si tratta intendono iniziare i giovanissimi alla religione o quanto- di un breve testo pubblicato in Italia da Asterios, una casa meno trasmettere storie tramandate da una editrice triestina che, impegnata inizialconfessione religiosa. Alle nostre latitudimente nella saggistica (in particolare nei ni, naturalmente, si tratta soprattutto di campi della sociologia, della politica e della volumi legati alla tradizione cristiana: da globalizzazione), ora ha ampliato il proprio Il mio primo messalino a Le parabole di Gesù catalogo con opere di narrativa e poesia a fumetti, da Il cristianesimo? Un’avventura per adulti e per ragazzi. I protagonisti del a Una cesta per il piccolo Mosè. Altri volumi racconto sono un maialino e un riccio che affrontano la religione da un punto di vista se la passano molto bene. Un giorno però, più ecumenico, ma comunque sempre con nell’uscire di casa alla ricerca di un paio un’ottica di devota adesione alla necessità di mele, i due notano che qualcuno ha di un credo trascendente. Tra questi si appeso un manifesto con la scritta “A chi possono citare Il Re, il Saggio e il Buffone non conosce Dio manca qualcosa!”. Non del teologo e pastore protestante Shafique sapendo chi sia questo misterioso persoKeshavjee (Einaudi, 1998), dove si racconta naggio e un po’ intimoriti dal messaggio, i una sorta di torneo che vede protagoniste due animaletti intraprendono un viaggio le più famose tradizioni teologiche, opche li porterà a sperimentare i paradossi e Michael Schmidt-Salomon Schmidt-Salom e Helge Nyncke pure Il viaggio di Teo della diplomatica e gli odi reciproci dei tre più noti monoteismi “Mi scusi, per trovare Dio?”, scrittrice Catherine Clément (Longanesi, (ebraismo, cristianesimo e islamismo). Alla domandò il piccolo maialino 1998), un romanzo che narra gli itinerari fine della loro avventura, il maialino e il Asterios Editore, 2008 di un ragazzino affetto da una misteriosa riccio giungeranno alla conclusione che malattia attraverso il mondo delle religioni. Completamente nella frase del manifesto c’è forse “una parola di troppo”. Ma, diversa è invece l’idea che ha mosso due tedeschi, lo scrittore soprattutto, avranno mostrato ai piccoli lettori un modo di e filosofo Michael Schmidt-Salomon e l’illustratore Helge pensare alternativo a quello proposto dalle religioni.
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Astri gemelli
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Il momento si presenta favorevole per chi avesse desiderio di concepire un figlio o di andare a convivere con il partner. Attenzione alla tavola: l’estate non frena la vostra golosità. Notizie da un amico.
Durante questa fase mostrate un intuito spiccato per quanto riguarda eventuali vantaggi nei rapporti personali. La vostra immaginazione tende a essere particolarmente attiva. Misurate la vostra suscettibilità.
Potrete essere i protagonisti di imprese finora mai immaginate. Cercate comunque di osservare la dovuta prudenza, soprattutto se siete della seconda decade, e quindi risentite dell’azione di Saturno. Bene l’amore.
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Se volete osare potete farlo in questo periodo. Si avvicina una fase di confusione, quindi approfittatene. Vita sociale in fermento e amori karmici in vista. Momento favorevole per chi svolge un’attività creativa.
Momento d’oro per gli affetti dei nati nella prima decade. Grazie a Giove, Venere e Plutone presto avrete la possibilità di incontrare la persona che fa per voi. Metamorfosi per i nati nella terza decade.
Particolarmente imprudenti i nati nella terza decade nella gestioni dei rapporti professionali. State attenti agli scandali e a non assumere atteggiamenti dittatoriali. In amore, siate meno titubanti.
Problemi di comunicazione per la seconda decade. Cercate di essere più riservati riguardo ai vostri reali obiettivi, non vi riuscirà difficile. Pungiglione a freno con amici e parenti. Multe e pagamenti.
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Grazie a Mercurio presto avrete notizia di inaspettate opportunità professionali. Evitate gli scatti d’ira in famiglia e cercate di appianare i dissidi. Atteggiamenti di disistima per i nati nella terza decade.
Possibili contrasti con il partner per i nati nella seconda decade. Sempre avvantaggiati i nati nella prima decade in ordine alla miglior situazione astrale. Liti col partner a causa della vostra insoddisfazione.
Buona la vostra ricettività erotica. Problemi di dialogo e di comunicazione per i nati nella seconda decade. Non fatevi fuorviare dall’orgoglio: evitate i contrasti eccessivi e apritevi di più al dialogo.
Seduttori i nati nella seconda decade. Grazie a Marte in quinta casa ogni vostra inibizione tende a esser superata. Buone possibilità sul piano professionale se saprete muovervi con attenzione. Curate il corpo.
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Orizzontali 1. Indossa una tuta spaziale • 10. Il libro sacro di Maometto • 11. Suppurazione • 12. Solco lunare • 14. Consonanti in ruota • 15. Vergogna • 16. Altopiano calcareo • 17. Garitta centrale • 18. Svezia e Arkansas • 19. Le iniziali di Montanelli • 20. L’autore de’ “Il mastino di Baskerville” (Y=I) • 22. Cantori epici • 24. Preposizione semplice • 25. Leale, sincero • 27. Il maestro della relatività • 30. Vocali in pistacchi • 31. Ama Radames • 33. Vigile, guardia • 36. Vettura inglese • 37. Città svizzera - 39. Le indossano i meccanici • 40. Una nota e un articolo • 41. Dittongo in beato • 42. Stella alpina • 43. Avverbio di luogo • 44. Nitrocellulosa • 45. I confini di Osogna • 47. Utilizzo • 49. Medico svizzero, premio Nobel • 51. La nota Zanicchi • 52. Il reato di Ario.
lo • 8. Rigonfio, sodo • 9. Non sopportano il vino • 13. Europa e Asia • 18. Udita • 21. Città della California • 23. Relativo a una razza • 26. Escursionisti Esteri • 28. Nulla • 29. La nota Callas • 32. Preposizione semplice • 34. Architetto catalano • 35. Una delle Kessler • 38. Non ecclesiastiche • 41. Ingordi, tirchi • 46. Son simili ai DIN • 47. Dittongo in guasto • 48. Ovest-Est • 50. Breve esempio.
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Verticali 1. Titolo di una nota raccolta di versi di Montale • 2. Lo sono spesso i gatti • 3. Pezzi... di strada • 4. Parte di pagamento • 5. Uno detto a Londra • 6. Regola • 7. Uruguay e Portogal-
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 35
ariete La quadratura tra Saturno e Marte tocca soprattutto i nati nella seconda decade. Vi si presenteranno interessanti opportunità che, se rapidi, potrete cogliere al volo. Possibili le discussioni in famiglia
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A settembre prendono avvio corsi per pazienti e incontri per pazienti e familiari… “Si unisca al gruppo… insieme è più leggero!” Sopraceneri Arte-terapia Dal 19 settembre, una volta alla settimana, Bellinzona Feldenkrais Dal 21 ottobre, una volta alla settimana, Locarno Acquagym Dal 19 settembre, una volta alla settimana, Gerra Piano Movimento e sport - ginnastica all’aperto Dal 13 settembre, una volta alla settimana, Tenero Gruppi parola per ammalati e familiari Dal 21 settembre, ogni 15 giorni, Locarno Dal 22 settembre, ogni 15 giorni, Bellinzona “Salute sessuale… parliamone” Giovedì 13 ottobre, ore 17:00, Bellinzona Mercoledì 7 dicembre, ore 17:00, Locarno
Sottoceneri Arte-terapia Dal 21 settembre, una volta alla settimana, Lugano Feldenkrais Dal 20 settembre, una volta alla settimana, Lugano Acquagym Dal 16 settembre, una volta alla settimana, Savosa Gruppi parola per ammalati e familiari Dal 22 settembre, ogni 15 giorni, Lugano Spazio accoglienza Dal 29 settembre, ogni 15 giorni, Lugano “Salute sessuale… parliamone” Un giovedì, data da stabilire, ore 17:00, Lugano Ci si può annunciare, ai nostri corsi e alle nostre attività, in ogni momento; i gruppi sono aperti e si partecipa a seconda del proprio stato di salute senza obbligo di frequenza.
Airolo “Race against cancer” - Sabato 27 agosto 2011 Una gara di biciclette
dalle ore 7:00 fino alle 19:00, Airolo - San Gottardo - Airolo
Una camminata popolare
dalle ore 10:30 alle 19:00, Airolo - Motto Bartola (90 min.) e Airolo - San Gottardo (4 ore) (ritorno con bus navetta)
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI
- 091 820 64 20
C info@legacancro-ti.ch
U www.legacancro-ti.ch