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LE OMBRE DELL’AMBIZIONE

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Ticinosette n° 34 26 agosto 2011

Agorà Donne. Il fascino indiscreto dell’ambizione Levante Ramadam e Rivoluzione Letture Il mondo della terra

DI

DI

ROBERTO ROVEDA

Impressum

Metaphorae Dal polpo alla piovra

Tiratura controllata

Gastronomia Il peperone

72’011 copie

Chiusura redazionale Venerdì 19 agosto

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Vitae Germano Mattei

DI

Reportage Alta Leventina

MARCO ALLONI

DI

DI

Redattore responsabile

Letture ll valore dell’italiano

Coredattore

Astri / Giochi

Giancarlo Fornasier

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Tendenze Cosmesi. Il trucco c’è ma non si vede Profili Relazioni. Il fidanzato è giovane

Fabio Martini

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REDAZIONE

DI

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MARISA GORZA

PATRIZIA MEZZANZANICA

ROBERTO ROVEDA

4 10 11 12 13 14 39 46 48 50 51

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MARIO FRANSIOLI; FOTOGRAFIE DI REZA KHATIR

Direttore editoriale Peter Keller

MARIELLA DAL FARRA

FRANCESCA RIGOTTI

A CURA DELLA

KERI GONZATO

DI

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Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Il gioco dell’ambizione Illustrazione di Davide Frizzo

Quella terra è una promessa L’idea di dedicare un esteso reportage fotografico alla Valle Leventina vagava sperduta sulle scrivanie della nostra Redazione da almeno 18 mesi. Ne è testimone lo stesso Mario Fransioli – autore del testo e al quale rivolgiamo i nostri più sentiti ringraziamenti per la cordialità e la disponibilità – con il quale Ticinosette si era messo in contatto nel corso del 2009, a ridosso della riedizione riveduta e aggiornata del suo Il vicinato di Airolo. Gli ordini del 1788, saggio originariamente apparso nel 1994. Un parto lungo e laborioso, dicevamo, scandito da attese e ripensamenti, e questo sia per il succedersi di sempre nuove priorità sia per la mancanza di “quel qualcosa” che pareva proprio non arrivare. Ma vuoi, in particolare, perché capivamo che non sarebbe stato sufficiente collezionare una serie di fotografie – magari tecnicamente ineccepibili ma fredde, distaccate – per trasmettere al lettore ciò che volevamo comunicare. Il problema rimaneva fondamentalmente sempre lo stesso: come possiamo lasciare che siano gli stessi scatti fotografici a narrare, senza pietismi e lacrime per “i tempi che furono”, le vicissitudini che negli ultimi decenni hanno segnato in modo indelebile questi luoghi? Poi, improvvisamente, ecco sui nostri tavoli gli scatti del collega Reza Khatir; è lo stesso fotografo a spiegare in una nota presente nelle ultime pagine del reportage come e che cosa lo hanno portato a dipingere la sua Leventina. E, in particolare, con quali sentimenti ha realizzato gli scatti. Immagini che sono una vera rappresentazione introspettiva, e che la Redazione non poteva non fare propria. Chi vi scrive ha vissuto buona parte dell’infanzia in questa valle, tra Pollegio, Personico, Bodio e Giornico; qualche chilometro più in basso dunque rispetto ad Ambrì, Rodi, Piotta

e gli altri paesi presenti sulle nostre pagine. Erano gli anni Settanta; la “grande” Monteforno dava lavoro a migliaia di persone e i fianchi delle montagne fra Giornico e Bodio avevano il poco edificante colore del ferro ossidato. Gli operai sacrificavano la loro vita davanti agli altiforni e bruciavano le loro paghe nelle osterie, nel corso di interminabili partite a carte. I nuclei erano invasi dai bambini e tutta la valle un brulicare di immigrati, italiani, spagnoli, cileni, ecc. Più in alto, verso Faido, da alcuni anni avevano fatto la loro comparsa i primi cognomi provenienti dal “lontano Est”. La tolleranza era appena accennata, un certo razzismo verso “gli italiani” piuttosto manifesto. Ricordo che per noi ragazzi Bellinzona era né più né meno che una lontana metropoli, e il borgo di Biasca una città dove recarsi al cinema. Certo, a Biasca esisteva una sala teatrale e cinematografica, “Il Politeama”, grande quanto basta per impressionare chi aveva ancora negli occhi le immagini televisive in bianco e nero. Il piccolo schermo trasmetteva programmi per ragazzi solo a partire dal tardo pomeriggio, e le alternative erano assai scarse; la noia a volte era in grado di divorarsi intere giornate. Mia madre non perdeva occasione per spedirmi fuori casa, con un’unica raccomandazione: “Attenzione alle auto sulla cantonale!”. Sì, perché dell’autostrada A2 non vi era ancora traccia e ai lati del fiume Ticino si susseguivano boschi e pascoli, distese di erba appena falciata o tappeti di neve e ghiaccio dove poter giocare con raffazzonate mazze da hockey. Sognavamo “l’Ambrì” e i suoi campioni, prima che la Grande valle si trasformasse in un imbuto buono per le merci e le perenni colonne. Quelle dei turisti: oggi anche loro sono desolatamente “in transito”. Buona lettura, Giancarlo Fornasier


Il fascino indiscreto dell’ambizione

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Agorà

Sarà perché l’ambizione è stata per lungo tempo considerata prerogativa del genere maschile, ma le donne ambiziose tendono a esercitare un certo fascino sull’immaginario collettivo. In particolare quando si spingono oltre i confini del lecito, a testimonianza del fatto che il potere è appetibile agli uomini quanto alle donne, le quali sono perfettamente in grado di perseguirlo anche oltre la linea di confine tracciata dall’etica e dalla morale testo di Mariella Dal Farra illustrazione di Davide Frizzo

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a regista e attrice tedesca Leni Riefenstahl può essere considerata un esempio paradigmatico di ambizione al femminile. Capace di dare forma cinematografica alle visioni del Terzo Reiche e autrice di Il trionfo della volontà (1935) e Olympia (1938), la Riefenstahl aveva iniziato lavorando come attrice, ed era nota nell’ambiente per la disposizione ad accettare ruoli fisicamente rischiosi che impersonava senza controfigura. La Riefenstahl gira il suo primo film nel 1932. L’anno successivo conosce Adolf Hitler, un incontro che imprime una svolta decisiva alla sua carriera. In diverse occasioni, Leni Riefenstahl ha dichiarato di essere stata fortemente colpita dalla personalità di Hitler ma, guardando la scena da una certa distanza, la dinamica sembra piuttosto riconducibile a uno scambio di interessi: verosimilmente, il cancelliere riconobbe nel suo talento un efficace strumento di propaganda, mentre la regista ebbe a disposizione tutti i mezzi necessari a esprimere compiutamente la propria Weltanschauung. La qualità del suo lavoro – che, a prescindere dall’aura d’infamia che lo circonda, viene tutt’oggi considerato intenso e innovativo – le guadagnò importanti riconoscimenti, anche sul piano internazionale, e la rese molto potente in patria, procurandole nemici eccellenti tra cui Goebbels, ministro della

propaganda del Reich, che la osteggiò ripetutamente. Alla fine della guerra, Leni Riefenstahl1 fu accusata di collaborazionismo e subì quattro processi, ma venne sempre assolta, anche se formalmente riconosciuta come “fiancheggiatrice” del nazionalsocialismo. Continuò a girare documentari praticamente fino alla fine dei suoi giorni, occorsa nel 2003 all’età di centouno anni. Come ha scritto una giornalista in quell’occasione, “alla fine della sua lunga vita era ancora la controversa femme fatale del cinema tedesco... Nutriva interesse per la bellezza, l’avventura e il cinema, ma rimase famosa soprattutto come la donna che si ama odiare”.2 Soglie di tolleranza La passione con cui le donne ambiziose vengono odiate – tanto dagli uomini quanto dalle altre donne – è un altro punto interessante: sussiste uno speciale accanimento nei confronti di coloro che si mostrano forti (ma non protettive), audaci e aggressive; caratteristiche che, quando attribuite a un essere umano di sesso maschile, tendono ad assumere una connotazione immediatamente più positiva. Anche la trasgressione viene giudicata con maggiore indulgenza, quando viene messa in atto da un uomo; se è una donna a ricorrere a mezzi impropri, (...)


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Agorà

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la soglia di tolleranza si abbassa repentinamente. Nel 2008 la giornalista Barbara Ehenreich, commentando la campagna elettorale della signora Clinton, scriveva: “Hillary ha condotto una campagna dai toni razzisti, ha mentito sulla sua esperienza in politica estera e spesso ha lasciato intendere che McCain [candidato del partito Repubblicano, nda] era meglio del suo rivale democratico. Più che «sfondare il soffitto di vetro», ha abbassato il livello di tutti i soffitti. Se avesse avuto Obama a portata di mano, probabilmente gli avrebbe tirato i vetri rotti in faccia”.3 E aggiungeva: “Hillary Clinton ha abbattuto il mito dell’innata superiorità morale della donna nel modo peggiore: dimostrandone l’inferiorità morale”.4 Ora, sulla caratura morale dell’attuale ministro degli esteri statunitense ciascuno formulerà la propria personale valutazione, ma è comunque curioso osservare come la condotta della signora Clinton non venga in questo contesto giudicata di per sé ma in qualità di rappresentante di una categoria (quella delle donne) che ne risulterebbe sminuita. In altri termini, mentre le idee propugnate da un candidato uomo sono normalmente condivise o criticate sulla base del proprio orientamento politico – nessuno si sognerebbe di connotare come “maschile” una determinata posizione sul Welfare; semmai si parlerebbe di “assistenzialismo” contro “privatizzazione selvaggia” – al contrario, il programma politico di una donna tende a essere considerato primariamente in rapporto al suo genere. Così, nell’articolo già citato, Hillary Clinton “è una che pur di arrivare allo studio ovale ha promesso di «cancellare» quelli di Teheran, ovviamente insieme ai costruttori di bombe e ai sostenitori di Hezbollah. Si è rifiutata perfino di dialogare con i presunti cattivi, anche se le donne dovrebbero essere le comunicative della specie”. Gli uomini, invece, possono essere comunicativi o mutacici, aggressivi o remissivi, leali o scorretti a seconda delle proprie caratteristiche individuali, peraltro suscettibili di trasformarsi nel tempo: l’appartenenza di genere è subordinata allo statuto di soggetto, garantendo una libertà di manovra che presso le donne non è altrettanto scontata. Quella subdola Rossa... Uscendo dal mondo della politica per entrare in quello, contiguo, dei media, le cose non appaiono molto diverse. Si prenda il caso di Rebekah Brooks, ex direttrice di “International News”, recentemente assurta agli onori delle cronache per il coinvolgimento nello scandalo intercettazioni che ha travolto il gruppo di Rupert Murdoch, con pesanti ripercussioni sulla polizia britannica e sullo stesso primo ministro inglese. La signora Brooks, prontamente ribattezzata dai media come “Rebekah la rossa” in ragione della fluente chioma ramata – molto simile, verrebbe da notare, a quella che nell’iconografia classica contraddistingue Lilith, il demone femminile – è entrata nella redazione di “News of the World” nel 1989 in qualità di segretaria; undici anni dopo, ne diventa responsabile: siamo nel 2000, Rebekah Brooks è il più giovane direttore editoriale di un giornale britannico a tiratura nazionale. Nei tre anni che la vedono a capo della testata, i toni scandalistici che già caratterizzano la rivista vengono ulteriormente esasperati; come in occasione della campagna di denuncia nei confronti di soggetti che hanno scontato pene carcerarie per reati di pedofilia, di cui vengono pubblicate foto e generalità al momento del rilascio. Una pratica che fa aumentare vertiginosamente i profitti delle vendite, causando al contempo diversi episodi

di linciaggio ai danni di persone ritenute, a torto o a ragione, colpevoli di tali crimini. Nel 2003, la signora Brooks diventa direttore di “The Sun”, il quotidiano inglese più venduto, che lascerà nel 2009 per assumere il ruolo di dirigente presso “News international”; rassegna le dimissioni nel luglio di quest’anno, dopo che la stessa testata è stata costretta a chiudere. Accusata di avere autorizzato alcuni reporter a intercettare illegalmente le conversazioni di personaggi pubblici, Rebekah Brooks è inoltre sospettata della corruzione di agenti di polizia che sarebbero stati pagati per fornire accesso a informazioni riservate5, pratica peraltro da lei stessa ammessa nel 2003, salvo precipitosa rettifica di chi la rappresentava in quel momento. L’ostilità nei confronti della ex direttrice è, comprensibilmente, aumentata a dismisura quando un giornale concorrente ha rivelato che fra i telefoni intercettati c’era anche quello di Milly Dowler, una ragazzina di tredici anni rapita e uccisa nel 2002: sembra che gli autori della violazione siano arrivati a cancellare alcuni messaggi dalla segreteria della ragazza morta allo scopo di intercettarne di nuovi, alimentando così nei genitori la speranza di ritrovarla viva. La spregiudicatezza mostrata – ma, nella parte penalmente rilevante, ancora da dimostrare – da Rebekah Brooks nel ricorrere a mezzi poco ortodossi per procurarsi le “notizie” sembra andare di pari passo con la sua spiccata attitudine nel coltivare amicizie influenti: è stata infatti accreditata come amica e confidente di Cherie Blair, moglie dell’allora primo ministro Tony Blair, al tempo in cui Murdoch supportava il partito laburista. Attualmente – o comunque, fino a qualche settimana fa – lei e il marito facevano parte di un’élite sociale molto esclusiva, che includeva il primo ministro Cameron e consorte. Secondo il “New York Times”, “la signora Brooks ha usato una combinazione vincente di fascino, sfrontatezza, audacia e tenacia per emergere nel mondo brutale e maschilista della stampa britannica”.6 C’è da credere che la sua rapida ascesa, sostenuta da un personaggio controverso come Rupert Murdoch – il quale, attraverso News Corporation, controlla il 40% della carta stampata britannica – non verrà facilmente perdonata. E se l’interrogativo di fondo rimane scottante – come faceva la direttrice di un giornale così importante a non sapere in che modo i suoi reporter si procuravano il materiale da pubblicare? –, un dubbio altrettanto legittimo aleggia sulla questione: l’opinione pubblica avrebbe reagito in maniera diversa, se il protagonista fosse stato un uomo? Ai tribunali, penali e mediatici, l’ardua sentenza. Note 1 La figura della regista è stata omaggiata da Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria (2009); nel film viene citato L’inferno bianco del Piz Palu (1929) pellicola diretta da Pabst in cui la Riefenstahl ha lavorato come attrice. 2 Sandra Smith, “What they said about... Leni Riefenstahl”, “The Guardian”, 11.9.2003. 3 Barbara Ehenreich, “The Nation”, 26.5.2008. 4 Ibidem. 5 Il “numero tre” di Scotland Yard, Sir Paul Stephnson, si è dimesso dopo che è stato reso noto che aveva accettato un soggiorno in una spa di lusso offerto da uno degli indagati, l’ex vice direttore del “News” Neil Wallis. 6 “Times Topics: Rebekah Brooks”, “The New York Times”, 19.7.2011. per saperne di più: Per approfondire il funzionamento del “sistema Murdoch”, si segnala il volume edito in lingua inglese The man who owns the news: inside the secret world of Rupert Murdoch di Michael Wolff (Broadway Books, 2010).

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Ramadan e Rivoluzione La sacralità del digiuno islamico, che termina tra il 29 e il 30 agosto prossimi, è fondata sulla tradizione secondo cui Maometto in questo mese avrebbe ricevuto una rivelazione testo di Marco Alloni grafica di Reza Khatir

Il

Ramadan si è aperto quest’anno, in Egitto, quasi in contemporanea con un evento storico: il processo al deposto presidente Hosni Mubarak. La coincidenza interessa perché mette in gioco una serie di riflessioni sul rapporto fra passato e futuro, mostrandoci fino a che punto questa Rivoluzione è riuscita a portare alla sbarra, oltre ai rappresentanti del vecchio regime, la cattive abitudini del passato. Associare il Ramadan alle cattive abitudini del passato e al regime che ha guidato per trent’anni gli egiziani può sembrare forzato. Eppure un nesso logico esiste. E il mese sacro del digiuno non è affatto detto non debba rientrare, per certi suoi aspetti, tra i retaggi dell’antico regime.

Levante

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La perdita della sacralità Tanto per cominciare, il Ramadan di gran parte del mondo islamico (ma soprattutto quello egiziano) ha più le parvenze di una parata militare sontuosa e retorica che di una vera sosta sacrificale. La maggior parte delle persone si corica molto tardi la notte, quasi a ridosso dell’alba, e si sveglia nel tardo pomeriggio. Quindi molte delle ore di digiuno si trascorrono… nel sonno. Quanto al senso profondo del mese del digiuno, pare ormai che abbia subito le stesse trasformazioni del nostro Natale. Sceso il tramonto la gente si riversa per le strade a mangiare, a bere, a fare acquisti e a festeggiare. Lo scopo sacrificale sembra così aver lasciato il passo a quello ludico. Infine, dal tramonto all’alba si consuma – almeno in Egitto – tre volte più cibo che durante qualsiasi altro mese dell’anno. Domanda: non è questa una vecchia abitudine che sarebbe ora cadesse come è caduto il vecchio regime? Non è questa parodia del vero Ramadan un retaggio di una cultura delle apparenze che ricorda sinistramente la parvenza di democrazia che la dittatura di Mubarak non perdeva occasione di sbandierare ai quattro venti? Ci sono cose che richiedono molto tempo per cambiare, e certo non basterà una Rivoluzione a rinnovarle. Ma tra i bastioni della cultura che precede la “Primavera araba” va annoverata questa retorica del sacrificio che fa torto a un tempo al significato primigenio del Ramadan e del digiuno, all’epoca moderna che potrebbe tranquillamente farne a meno, e infine al senso

della festa che non si capisce perché debba prendere spunto da un contesto che di festoso non ha proprio nulla. Insomma, per cambiare un popolo deve cambiare la sua cultura. Non basta la caduta di un raìs. Ma per cambiare una cultura bisogna andare a molto fondo, alla ricerca delle radici. Nelle origini del Digiuno Quali sono – per restare al tema del Ramadan – le radici del digiuno, i veri motivi per cui veniva praticato e soprattutto i modi in cui veniva praticato? Non è necessario fare opera di storicizzazione per sapere che al tempo del profeta Maometto – 1.400 anni fa circa – la penisola arabica viveva secondo sistemi di produzione e spostamento che non avevano nulla da spartire con quelli contemporanei. Le distanze erano misurate a piedi o a dorso di cammello. Le strade erano pressoché inesistenti. Le condizioni climatiche subite in tutta la loro ferocia. Digiunare diventava allora un modo per allenare il fisico alle fatiche dell’esistenza quotidiana e ripristinare un rapporto di autentica adesione ai princìpi elementari della vita: lavoro, cibo, amore. Per questo il Corano sanciva un digiuno dall’alba al tramonto. Perché poco prima dell’alba – secondo i ritmi della vita quotidiana – ci si svegliava, si mangiava qualcosa, si pregava e si andava a lavorare. E dopo il tramonto si mangiava, si pregava e si andava a dormire. Oggi questa logica – assolutamente coerente con la vita di allora – si è ribaltata nel suo contrario in un Ramadan radicalmente insensato: si mangia prima dell’alba, si va a dormire e ci si sveglia il più tardi possibile. Poi si mangia, si prega dopo il tramonto e si va a fare festa fino a tardi. Il tutto limitando il lavoro il più possibile, soprattutto nei mesi caldi, come quelli di questa torrida estate. Cosa c’entra tutto ciò con la Rivoluzione? Che finché non si sarà messa in atto una vera rivoluzione culturale molte delle pessime abitudini del passato continueranno a permeare, soprattutto in ambito religioso, il presente e il futuro. E le promesse di modernità, democrazia, giustizia sociale, onestà, trasparenza portate dalla Rivoluzione rischieranno di restare lettera morta. Come il Ramadan autentico, che è diventato oggi la sua sceneggiata.


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Il mondo della terra

I Bruni – Callisto, Clerice, i loro figli, sette maschi e due femmi-

» di Roberto Roveda

e personale in cui si cimenta con vicende e personaggi della sua ne – sono i protagonisti di un mondo antico, rurale, dominato terra natia, la pianura modenese. Ne scaturisce un grande affreda una fatica immensa ma centrato su valori forti, come il co- sco storico, ma anche antropologico e culturale, venato di una raggio, la solidarietà, il lavoro. La loro cascina nostalgia evidente per un mondo contadino nella pianura emiliana, l’Otel Bruni del titolo, certo un po’ troppo vagheggiato e idealizzato, è infatti un luogo di ritrovo per i viandanti ma preso a simbolo di un’Italia povera ma che percorrono queste lande, torride d’estate onesta, semplice, indomita, ben lontana da e innevate d’inverno. Un luogo dove trovare tanti scenari esangui di oggi. Un affresco che calore umano e un tozzo di pane anche se i ha i suoi momenti migliori nella descrizione Bruni sono solo dei poveri mezzadri. piena di pathos che Manfredi fa del mondo Alle vicende minute di queste genti contadine rurale e dei suoi abitanti, fatti parlare nella Valerio Massimo Manfredi intreccia – con la loro lingua ricca di proverbi e modi di dire consueta capacità di unire la competenza e della povera gente di campagna, una lingua il rigore dello storico “serio” con la scrittura venata da arcaismi ed espressioni dialettali, ma vivace e coinvolgente del narratore puro – la evocativa e vitale in modo quasi struggente. Storia, quella con la “s” maiuscola: gli anni C’è chi ha parlato di reminiscenze di Novecento dalla Prima guerra mondiale, il Ventennio di Bernardo Bertolucci, film con il quale quefascista, il nuovo conflitto mondiale e gli anni sto libro condivide in parte ambientazione e Valerio Massimo M i Manfredi terribili, in particolare in Emilia, della lotta vicende storiche. Un accostamento “alto” che Otel Bruni tra nazi-fascisti e partigiani, per giungere al ci può stare, anche se l’ispirazione di fondo Mondadori, 2011 secondo dopoguerra. Mezzo secolo di storia di Manfredi è più umanista e intima, oltre italiana vissuto attraverso gli occhi di persone semplici, ma che meno ideologica rispetto a Bertolucci. Otel Bruni, infatti, è capaci di comprendere gli uomini e dotate di un innato senso tutto meno che un’opera “politica”: è una celebrazione degli della giustizia. Con Otel Bruni l’autore emiliano abbandona per umili e della loro capacità di affrontare il destino e le sventure, una volta le gesta degli eroi classici e le ambientazioni antiche resistendo ai cambiamenti epocali del primo Novecento e che che lo hanno reso celebre, per dedicarsi a una storia più intima segneranno la lenta agonia del mondo contadino.

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Dal polpo alla piovra Nell’estate dello scorso anno, nella città tedesca di Oberhausen un polpo d’acquario chiamato Paul era impegnato nella missione impossibile di pronosticare i risultati dei Mondiali di calcio… testo di Francesca Rigotti ilustrazione di Mimmo Mendicino

Germania, estate 2010. Alla vigilia delle partite di calcio del

Metaphorae

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Mondiale sudafricano vengono inserite nella vasca due teche di plastica trasparenti dotate di coperchio e contenenti ognuna un’ostrica. Su una teca c’è l’etichetta coi colori della bandiera tedesca, nero, rosso, oro; sull’altra, quella della squadra avversaria. Paul allunga i tentacoli, si avvicina a una teca, la apre, si pappa il mollusco, la squadra indicata vince. Paul indovina otto risultati su otto (una probabilità su 256). Il polpo è uno dei più antichi abitanti del mare, un invertebrato che vive in acque poco profonde ed è dotato, grazie alle sue straordinarie capacità di apprendimento per imitazione, di una sorta di intelligenza-specchio. È dunque un animale intelligente, il più intelligente tra gli invertebrati: ma basta l’intelligenza, in qualunque modo la si valuti, a indovinare il futuro? Il polpo: romanzo e metafora Intorno a questo tema lavora da qualche tempo lo scrittore e giornalista italiano Luciano Minerva, che ha elaborato una soluzione romanzata del problema, alquanto suggestiva, esponendola in un libro di prossima pubblicazione dal titolo provvisorio Parola di Paul. Vita, storie e pensieri di un polpo preveggente, sul quale esiste anche un sito visitatissimo, tradotto in cinque lingue (www.elbadipaul.it). Qui invece noi seguiremo la metafora del polpo – o il polpo come metafora – partendo dal suo nome, per alcune lingue polipo (e derivati), per altre, e per la denominazione scientifica, octopus. Entrambi i termini si riferiscono al numero di tentacoli o piedi: “molti piedi” (poly-pous), “otto piedi” (octo-pous): vago il primo, preciso il secondo giacché le appendici che sembrano uscire dal capo di questa bestia marina e che spiegano pure l’appelativo di cefalopode, sono poi sempre otto, numero dotato di una ricca dimensione simbolica e metaforica. L’otto infatti (otto come il numero di partite indovinate da Paul) fa parte della serie dei numeri dotati di forte significato, in questo caso prevalentemente negativo. Otto è il numero delle zampe del ragno e dei tentacoli dell’octopus, ma anche quello dei vizi nella dottrina gnostica e nel pensiero delle antiche sette orientali da cui deriva all’occidente europeo quel particolare elenco di mali, divenuti poi sette, che mettono in pericolo la vita dell’uomo e la salvezza della sua anima.

Le raffigurazioni del polpo Sappiamo che le testimonianze figurative arcaiche del polpo insistettero sulla dimensione a ruota dell’animale, data dal movimento delle zampe, proponendolo proprio nel motivo simbolico della spirale; anzi, di otto spirali al centro delle quali si profilava una testa umanoide dallo sguardo penetrante. In tale dimensione primitiva i tentacoli non davano l’idea di soffocamento quanto di articolazione del pensiero, di legami tra le cose, di relazioni e connessioni di fenomeni. Poi venne il cristianesimo e con esso un’inversione di simboli che trasformarono il polipo pensoso dall’intelligenza duttile in animale mostruoso e diabolico, bestia marina minacciosa, metafora del male, tentazione del peccato, emblema di vizio, adulazione e lussuria. Fino alla trasformazione del polpo in piovra, evento che ha un autore noto, Victor Hugo, e una data di nascita precisa, la pubblicazione nel 1866 de I lavoratori del mare. Qui lo scrittore, alla ricerca di un nemico temibile da contrapporre al protagonista, trovò nelle leggende della Manica un calamaro gigante che i pescatori nel loro dialetto chiamavano pieuvre. Ecco inventato un nuovo mostro e una nuova parola, tradotta in italiano con piovra, metafora per eccellenza del male e in seguito di ogni individuo o organizzazione criminale che sfrutti qualcuno esaurendone il profitto, fluida forza incontenibile che tutto avvolgendo risucchia ogni anfratto con le sue ventose. La “buonificazione” del mondo E poi, a conclusione per il momento della faccenda, la nostra epoca bizzarra che tutto “buonifica”, che cancella dalle fiabe streghe, orchi e mostri trasformandoli in innocui animaletti dei cartoni animati o della pubblicità. Come Mickey Mouse, Topolino, ha buonificato ratti e topi – si veda anche “Uomini e topi”, Ticinosette n. 20/2010 e “Ratti e formaggi”, Ticinosette n. 31/2011 –, così il calamaro Paul Oktopus, protagonista di un classico tedesco per l’infanzia insieme ai simpatici polipetti da musical della Sirenetta di Disney o proprio al polpo indovino Paul, hanno cambiato simbolicamente e metaforicamente di segno l’animale e la sua metafora.


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publireportage

Il peperone

Parente stretto del temibile peperoncino, è una verdura di facile cottura e si presta a numerosi abbinamenti. Senza considerare le sue preziose proprietà terapeutiche

testo a cura della Redazione

Fra le verdure di stagione che in queste ultime settimane d’estate fanno bella mostra di sé sui banchi di mercatini e supermercati, il peperone si contraddistingue per i suoi colori brillanti e pieni. Disponibile preferibilmente dall’inizio di giugno a ottobre e appartenente alla famiglia delle Solanacee (patate, melanzane, pomodoro, ecc.), l’etimologia italiana di peperone sarebbe un incrocio del termine pevròn (diffuso nell’Italia settentrionale) con il toscano pepe. Il latino corrispondente è piper, con il senso di “piccante”, connesso con il greco pèperi, cioè “pepe”. Le varietà grossum e longum danno i peperoni dolci e carnosi che si usano come ortaggi e sono dei tipici colori giallo, rosso e verde. Le varietà acuminatum e abbreviatum forniscono i peperoni dai quali si ricavano per esempio il pepe di Cayenna, oltre a prodotti come il tabasco, il chili o la paprika. Le proprietà e l’acquisto Ricco di vitamine B1, B2, C e P, Ilaria Rattazzi nel suo Tutti gli usi delle verdure. Alimentazione, salute, bellezza (Sperling & Kupfer) segnala il peperone come prezioso aiuto per chi soffre di reumatismi, di gengive sanguinanti, di ipertensione e

per i problemi circolatori in generale. Ma anche chi soffre di diarrea può trovare sollievo nell’assimilazione del peperone, che è un toccasana pure nei casi di laringite e tossi spasmodiche (anche se in particolare per questi due ultimi il peperoncino è da preferire). È invece contro indicato per chi soffre di disturbi gastrointestinali. Il peperone per svilupparsi correttamente ha esigenze simili a quelle della melanzana, quindi cresce bene con temperature costanti e non inferiori ai 15 °C. Nel momento dell’acquisto deve presentarsi naturalmente sodo e lucido, e fra i preferiti da preparare crudi vi è certamente quello giallo, il più dolce. Una volta a casa il peperone si conserva in un luogo asciutto e fresco per circa due settimane. È possibile anche congelarlo, senza necessariamente essere stato in precedenza scottato; in questo modo si conserva per circa dieci mesi. Alcuni consigli Se consumato crudo, al naturale o nelle insalate, se ne consiglia l’asportazione dei semi. Oppure è possibile lasciarlo intero, cuocerlo e solo in seguito asportare sia i semi sia la pellicina. La cottura può avvenire in forno (preferibilmente con il peperone ancora intero) a una temperatura di 180 °C per circa 40 minuti. Il peperone può essere lessato oppure, meglio ancora, una volta pulito e tagliato a filetti messo in padella a fuoco medio con dell’olio per 10/15 minuti. Ottimi in risotti, insalate crude o cotte, oppure ancora ripieni con carni, formaggi o grigliati, è certamente la peperonata il piatto dove i peperoni trovano il loro impiego più comune, ricco e saporito... con i classici problemi legati alla fase digestiva. Tra i trucchi per evitare questo disturbo, Ilaria Rattazzi consiglia di unire agli altri ingredienti (cipolle e aglio, pomodori freschi, patate e melanzane) anche una mela sbucciata e tagliata in 4 parti, che sarà da togliere solo a metà cottura circa. Buon appetito!

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» testimonianza raccolta da Keri Gonzato; fotografia di Igor Ponti

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Germano Mattei

Vitae

strare la sua stima. Un’altra volta, tornando da Airolo, ho trovato nel mio sacco una busta anonima con dentro una bella somma. La gente risponde con piccoli gesti e ti sostiene. A livello personale Montagna Viva è un successo incredibile: io non credevo in un risultato così anche se alla fine è mancato pochissimo per entrare in Gran Consiglio. L’importante ora è portare avanti il discorso iniziato... e vedremo che cosa succederà. Credo che oggi ci sia un grosso problema di approccio alla montagna sia politico sia economico e sociale. C’è una visione urbana rispetto alle zone periferiche e ai loro Amante della montagna e attivo sostenito- problemi. È quasi un sistema re dell’importanza della sua salvaguardia, coloniale, “ma si, vi aiutiamo si oppone alle aggregazioni quali sinonimo a costruire le infrastrutture necessarie” ci viene detto, ma di disgregazione e perdita d’identità non è quella la via. Si deve creare uno strumento intergna organistica valmaggese... medio che aiuti i comuni e i patriziati con Nella mia valle mi hanno piccoli programmi. La gente si sente esclusa sempre detto che sono più dai progetti che calano dall’alto. La situasocialista che conservatore, zione è problematica, i giovani vanno via, come vuole la tradizione di le famiglie non si rinnovano, non si creano famiglia. Anche questo mi posti di lavoro e le infrastrutture chiudono. ha spinto a creare Montagna L’approccio deve essere rivisto a monte e Viva, un movimento apartiquesta è la parte più difficile e più necessaria. tico che guarda all’amore e al Quando, come l’altro giorno, mi dicono che rispetto per la montagna e per a Cimalmotto sono rimaste solo due persochi ci abita. ne, mi si stringe il cuore. Nel paese di mia Il disgregamento delle faziomamma, una frazione di Peccia, sono rimaste ni politiche è un fatto della tre o quattro persone... quando ero piccolo storia attuale, una fase nece n’erano trentacinque. Nel 2004 in Val cessaria perché oggi i partiti Lavizzara otto comuni si sono fusi in uno e al non sanno più esprimere la centro della valle hanno costruito una scuola volontà delle persone. Ciò e chiuso tutte le altre. Ma la razionalità tante nonostante non può essere il volte non è figlia del giusto: le aggregazioni futuro, se vogliamo garantire attuali sono fallimentari, indeboliscono i allo Stato una sua continuità nuclei e il senso di appartenenza. Un paese e consistenza. La gente mi perde vitalità quando chiude una scuola! ferma per strada dicendomi: Per questo abbiamo creato la piattaforma “Lü l’ho votà perché l’era l’ünic Montagna, per aprire un dialogo e trovare che al diseva i rop cuma ié, delle soluzioni. Adesso organizziamo degli ul girava mia in gir”. Questo incontri, delle gite e teniamo il dibattito mi mette anche un po’ in vivo. Grazie all’iniziativa persone molto difficoltà, perché in fondo diverse tra loro si sono incontrate e hanno sono un signor nessuno. Nella creato un’amicizia. È un cammino davvero raccolta delle firme, andando bello anche a livello umano. a parlare con ogni persona, ho Il mio sogno è che la montagna possa riviincontrato molto entusiasmo vere come l’ho vissuta io da bambino: con le e riconoscenza. La prima sescuole ancora aperte, il vociare dei bambini rata che abbiamo fatto con la nelle stradine, un’economia rigogliosa, con popolazione, a Camedo, è aruna realtà locale molto radicata, ma anche rivato un signore con due vascon l’apertura a tutte quelle famiglie che vensoi di bigné: era il pasticcere gono in visita o vi si trasferiscono. Io sogno di Intragna che voleva dimoche i nostri paesi possano rinascere.

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A

16 anni con alcuni amici ho fondato il Gruppo giovani della Valle di Peccia, che esiste tuttora, con cui abbiamo fatto tante cose: teatro, escursioni, solidarietà, ecc. Più tardi ho studiato architettura e ho aperto uno studio vicino a casa, per poter stare il più possibile con la famiglia e nella mia valle. Nel frattempo di progetti ne ho gestiti tanti, ho quasi sessant’anni e se conto le cose che ho fatto dovrei essere un matusalemme. Ho la fortuna di avere un sacco di energia e quando scarseggia vado in montagna a buttar sassi. Quattro ore di sonno mi bastano. Dai cinque anni ho passato l’estate all’alpeggio e ho imparato a dormire ovunque come un masso. I miei avevano un’azienda agricola, che oggi è felicemente in mano a mio fratello. Già da ragazzo leggevo molto e ho sempre avuto la voglia di fare qualcosa per gli altri. Dai genitori ho ereditato il grande impegno per la famiglia e per la società: è un fuoco sacro che è passato dal nonno a mio padre fino a me. Mio padre è stato anche sindaco di Peccia, tra il ’40 e il ’50, e spesso doveva pagare la maestra di tasca sua perché non c’erano più soldi nella cassa del comune. Una tradizione che continua con mia figlia che è nel corpo diplomatico. Quasi tutte le mie attività sono legate alla montagna e alla mia gente. Per vent’anni ho anche partecipato a operazioni di soccorso in alta montagna e mi restano ricordi forti. Viaggio molto ma, ovunque vada, dopo un po’ mi assale l’ansia e mi manca la montagna. Quando entro a Ponte Brolla l’aria cambia, la gente ha quel carattere rude e genuino che amo. Quest’anno è stato molto intenso, sono diventato nonno due volte, c’è stata la campagna elettorale, poche settimane or sono ero in Sicilia con la gita dell’Alpa, che organizzo ogni anno, e ora sono in ballo con la Rasse-


Alta Leventina

Cartoline dal presente

In questi ultimi mesi i dibattiti e le prese di posizione legati ai modelli di sviluppo, presenti e futuri, del nostro territorio hanno mostrato un’insospettabile vitalità , in particolare per le aree urbane del Sottoceneri. Ma se queste ultime si contraddistinguono per livelli di sviluppo, di cementificazione e di sfruttamento del territorio apparentemente incontrollabili, le valli superiori mostrano da decenni preoccupanti segnali di abbandono e un futuro quantomeno incerto. Una situazione inspiegabile, alla luce sia dell’importanza storica, culturale e strategica di queste regioni, sia in particolare della loro bellezza paesaggistica

testo di Mario Fransioli; fotografie di Reza Khatir


sopra: una vecchia bottega da parrucchiere a Piotta in apertura: il contemporaneo, il viadotto autostradale nella zona della Biaschina

S

ono stato cortesemente invitato a commentare le fotografie qui pubblicate, pensando di limitarmi a semplici didascalie più o meno sintetiche. Ma se queste immagini non sono propriamente entusiasmanti, per contro sono abbastanza significative. I primi pensieri che mi vengono alla mente corrono ai momenti difficili vissuti a diverse riprese nell’Ottocento. Il momento più terribile fu indubbiamente quello dell’invasione degli eserciti stranieri durante la Repubblica Elvetica: ben 28 uomini fucilati in quel di Airolo nella primavera del 1799, anno che vide tra l’altro requisizioni e angherie di ogni genere.

La via delle merci e le crisi Una prima crisi vera e propria verificatasi dopo secoli di relativa stabilità nell’ambito dei trasporti è quella dei someggiatori che con le loro bestie da soma o da tiro, cavalli, muli, buoi, si trovarono improvvisamente disoccupati al termine dei lavori per la costruzione della prima strada cantonale arrivata al Passo del San Gottardo nel 1830, poiché non furono in grado di riciclarsi prontamente come carrettieri. Proprio nel momento in cui cominciarono a circolare i primi carri e le prime diligenze, essi dovettero subire la concorrenza straniera costituita dai proprietari di carri da trasporto provenienti fin da Bergamo e da Brescia, già ben organizzati e in grado di effettuare trasporti fino in cima alla Leventina.

(...)


Tipico edificio in legno e pietra a Faido


La strada cantonale che attraversa il paese di Piotta


Architettura alpina a Faido

Lo storico Albergo della Posta a Piotta


Mario Fransioli Classe 1932, docente, storico e ricercatore originario di Dalpe, vive ad Airolo e si dedica da molti decenni alle vicende della sua valle. Tra le pubblicazioni e i contributi più recenti segnaliamo: Il San Gottardo e i suoi ospizi (Guide di monumenti svizzeri, 3a ed., 1994) e Vivere ad Airolo nel Settecento (Patriziato di Airolo, 2009).

Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951, è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, tra le altre cose, docente presso la SUPSI. Per informazioni: www.khatir.com.

Nota del fotografo Nel lontano 1975, giungendo dall’Inghilterra e scendendo il Passo del San Gottardo, conobbi il Ticino attraverso la Valle Leventina. Fu amore a prima vista, e quella prima immagine si è impressa in modo indelebile nella mia memoria. Sono tornato spesso in questi luoghi che considero in qualche modo magici alla ricerca di tranquillità e solitudine, e con il trascorrere degli anni ho visto la Leventina perdere vitalità, spopolandosi lentamente. Le fotografie presenti in queste pagine vogliono essere una mia dichiarazione di profondo affetto verso queste meravigliose terre; un sentimento che potevo esprimere solo attraverso delle immagini, in questo caso utilizzando una pellicola Polaroid tipo “665” negativo/positivo scaduta nel 2006 e fuori commercio da alcuni anni. Questo è il motivo del particolare effetto riprodotto nelle fotografie di questo reportage.

Piccole storie di emigrazione Era il tempo in cui la mia bisnonna paterna, Angiola Gendotti, bambina di 6 anni accompagnava sua madre Maddalena in una delle prime corse della diligenza verso Milano dove avrebbe dovuto prestare servizio come fantesca presso la ricca famiglia milanese dei Pallavicini, mentre il marito già attivo a Milano era riuscito ad aprire un piccolo negozio di non so quale genere. Rientrarono a Dalpe al momento dell’espulsione dei ticinesi dalla Lombardia, ciò che provocò un’altra crisi dovuta al cambio di destinazione dei nostri emigranti, diretti ormai verso la Francia, l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Nel frattempo, il trisnonno Davide F., leventinese autentico, di professione muratore, lavorava ad Asti nel Piemonte. Ho scoperto che al suo definitivo rientro a casa egli costruì un rustico abitativo munito di un cantinino per il latte diverso dai numerosi altri esistenti sul maggengo in Val Piumogna, tanto da somigliare vagamente nel suo interno alle tipiche costruzioni pugliesi di Alberobello. Per Airolo ci fu un periodo di crisi nera, dovuto in parte – non sembra vero – anche alla carestia provocata dal mancato raccolto delle patate durato addirittura un decennio. Il Patriziato, forte dei proventi dei boschi, finanziò il viaggio verso l’America a ben 25 giovani estratti a sorte tra i numerosissimi disoccupati airolesi. “Essi hanno ottenuto mille franchi ognuno in prestito per i quali hanno dato una benevisa garanzia garantendo uno per tutti e tutti per uno fintanto che il Patriziato avesse incassato il capitale di venticinquemila franchi al 5%”. La partenza collettiva avvenne il 17 gennaio 1852. Molti arrivi, troppe partenze Alla strada cantonale subentrò la ferrovia che, tra l’altro incrementò una forte immigrazione di mano d’opera impegnata nei lavori di costruzione ferroviari, nelle cave e nelle strutture del turismo che, almeno inizialmente, occuparono in misura minima gli operai della Valle. In quasi tutti i villaggi dei terrazzi leventinesi si notano oggi ancora alcune case tutte in pietra, che risaltano nettamente tra quelle tradizionali di legno, la cui costruzione cessò praticamente nel Settecento. Quelle nuove totalmente in pietra risalgono infatti alla prima metà dell’Ottocento, ai cui lavori contribuirono certamente i muratori non indigeni impiegati nella costruzione delle strade. Ho scoperto che buona parte di esse costituiscono il parziale frutto dei risparmi dei negozianti di bestiame accanto a quelli derivanti dall’emigrazione stagionale o di quella temporanea. Con l’avvento della ferrovia finì anche l’epopea plurisecolare dei mercanti di bestiame bovino acquistato nei cantoni della Svizzera Centrale e Orientale e condotto per faticose tappe giornaliere alla frequentatissima fiera autunnale di Lugano e fino in Lombardia. Tantissimi giovani originari della Valle hanno dovuto abbandonare il luogo natio per andare lontano e i nuovi arrivati non hanno colmato i vuoti lasciati nei villaggi dei terrazzi di cui si intravedono oggi ancora gli effetti.


Negozio dismesso a Faido

La vecchia casa estiva dell'Istituto Von Mentlen a Rodi


Il trucco c#è ma non si vede Tendenze p. 46 – 47 | testo di Marisa Gorza; grafica di Roberto Dresti

L’

espressione “trucco”, almeno come lo si intende in tempi moderni, pare debba la sua etimologia al termine francese “truc”. Ovvero artifizio, sotterfugio, tranello... con un conseguimento di effetti illusori. La parola, nel suo doppiosenso, si è poi consolidata nell’idioma italico – del resto non è la lingua appartenente a un popolo che dei trucchetti ha fatto uno stile di vita?! –, mentre per definire il belletto o simili, i discendenti dei galli usano le mot “maquillage”, dal potere evocativo di raffinatezza e seduzione. Lo scopo del trucco è comunque quello di scatenare in ogni donna il desiderio di sembrare il più possibile vicina a ciò che vorrebbe o si prefigge di essere. Detto questo, fin tanto che si è in vacanza per apparire non è che ci sia un gran bisogno di ricorrere a “trucchi” e artifizi. Un tocco di lucidalabbra e un tratto di matita bastano per far risaltare la pelle dorata dalla tintarella. Ma cosa succede al rientro in città, alla ripresa della solita routine, al ritorno in ufficio e ai vari impegni? Purtroppo sono sufficienti pochi giorni per notare una perdita progressiva della luminosità del viso e dell’éclat da abbronzatura, magari pazientemente ottenuta. Vogliamo sfruttare ancora un po’ quel magico allure tutta salute regalato dal sole? Certo, perciò abbiamo pensato di rivolgerci a Morena Musi, l’attenta e sensibile make up artist di Olfattorio – una vecchia conoscenza di Ticinosette – dall’entusiasmo sempre nuovo nell’elargire i suoi preziosi consigli beauté. Questa volta mirati a ravvivare il volto in modo più naturale possibile. Senza dimenticare che Morena, oltre alla notevole esperienza come visagiste e image consultant, tiene anche corsi personalizzati per insegnare a truccarsi e a valorizzarsi in total look.

Incarnato

Quando l’abbronzatura c’è e non c’è la si può risvegliare con una Base de Eclat (T. LeClerc) di un caldo colore Abricot. Si mescola nel palmo della mano insieme alla crema da giorno abituale, o così com’è, per creare dei punti luce mirati, oppure la si applica su viso, collo e décolleté in modo uniforme. Qualora l’epidermide fosse piuttosto provata e bisognosa di idratazione, si può optare per una delle tre dorate tonalità della portentosa Crème Tintée Hydratante, particolarmente confortevole e con filtro solare di protezione 20. Il terzo caso riguarda le pelli miste/grasse tendenti al lucido, cosa che sfugge al controllo una volta approdate in città. Se si desidera un bel colorito naturale è perfetta una terra abbronzante come la Poudre Eclat Soleil, da stendere con l’apposito, morbido pennellone. Se c’è invece l’esigenza di un aspetto ordinato e satinato ecco la Poudre Soleil Mat a base di polvere di riso e ossido di zinco che ha la caratteristica di non occludere i pori della pelle.

Zigomi$Co

Per conservare la bonne mine e l’effetto salubre di una bella cera, non c’è niente di meglio di una sfumatura rosa ottimismo sugli zigomi. Si ottiene utilizzando i blush Fard Rose Sablée, Fard Peche Veloutée e la Poudre Théophile Coral, un cosmetico all over e quindi applicabile pure come ombretto o su qualunque punto dell’epidermide si desideri far risaltare e rendere partecipe a la vie en rose.

Occhi

Dopo un tocco di fard sulle palpebre, mascara a go-go sulle ciglia per intensificare lo sguardo con note di dolce colore mirato. Mascara Volume Bleu (per l’occhio castano-nocciola), Vert Paradis (un discreto verde inglese per le pupille grigie-azzurre), Violine (ideale per gli sguardi verdi). Un prodotto che si avvale di cera d’api e di candelilla e debitamente testato.

Labbra

Per dare alle labbra morbidezza e risalto è indispensabile il rossetto in tre graduati texture color fuxia. Si comincia con il Rouge à Lèvres Transparent, si prosegue con Rose Laque, studiati per le dinamiche ore del giorno e si termina con il Rose Metal, iridato di viola e molto intenso, adatto al trucco per gli impegni serali. “Soprattutto, per rendere più attraente la bocca – suggerisce Morena – bisogna sorridere con generosità...”. Tra l’altro, anche il trucco per il prossimo autunno, prevede un sorriso gourmand, dai colori di deliziosi frutti proibiti.



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Il fidanzato è giovane Le donne cougar, letteralmente “donne puma”, sono esperte seduttrici, amano la compagnia di uomini più giovani e non lo nascondono. Anzi, si stanno organizzando anche sul web… testo di Patrizia Mezzanzanica illustrazione di Mimmo Mendicino

Profili

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Confesso di non aver mai sentito parlare di donne cougar

prima di scrivere questo articolo, ma di certo ne conosco più d’una. È l’idea di vederle attempate predatrici a caccia di carne fresca che non mi torna. Il termine “mature” – che è la versione soft di tardone –, come vengono spesso descritte, è un po’ fuorviante. Come fuorviante è il loro desiderio di ragazzi giovanissimi. Primo perché curiosando fra i vari siti dedicati ho visto anche donne di 36 anni e uomini di 28, e secondo perché, come sempre, in Internet si trova di tutto: chi è disinvolto, chi lo è in modo esagerato e chi lo è meno. Si chiacchiera, si chatta, ci si incontra, si fa sesso, ci si saluta e si passa

al prossimo. Oppure ci si frequenta e magari ci si innamora. A chi fosse alle prime armi e si chiedesse quale sia la differenza di età socialmente accettabile per una cougar, la risposta è semplice: basta applicare la regola della metà degli anni più sette. E dunque per una cinquantenne un uomo di 32. Alla ricerca di… Tanto per cambiare il cougar trend viene dagli Stati Uniti, ma il suo effetto si fa sentire anche in Europa. Secondo la testata inglese “The Sun”, la percentuale di 40-50-60enni che cercano nel loro compagno ideale un uomo di almeno


5 anni più giovane è passata, in un lustro, dall’8 al 35%, e le vendite di lingerie nella fascia di donne “diversamente giovani” (diciamo così) aumentano in modo impressionante. Al di là del folclore, ne scriviamo con piacere perché l’argomento offre un’opportunità di riflessione più seria sulle relazioni fra maschi e femmine “nei secoli dei secoli”. E l’impressione è che davvero (forse!) stia per cadere un tabù: il più antico, il più subdolo, il più radicato. Che va ben al di là della questione dell’età – anche se qui è fondamentale –, ma riguarda l’universo femminile intero e il desiderio di liberazione che continua a esistere in tutte le donne del mondo. D’altronde se gli ex mariti o gli amici, o i cugini, di avere una fidanzata che ha vent’anni meno di loro si fanno un vanto, perché le donne dovrebbero nascondersi? O trovarlo imbarazzante? O sentirsi inadeguate? Sono tremila anni che il sesso femminile si sente “inadeguato”: è tempo che le cose cambino. E se in questa società dichiaratamente superficiale è indispensabile la spettacolarizzazione a ogni costo, per una volta non giudicheremo. Mostrando, invece della “forma”, la ben più interessante “sostanza”. Qualche nome Sono molte le donne che hanno o hanno avuto relazioni con uomini più giovani. Dive internazionali come Demi Moore, Susan Sarandon, Sharon Stone, Madonna, Halle Berry, Sandra Bullock, Jennifer Aniston, Gwyneth Paltrow, Cher, Eva Longoria, Kaylie Minogue sono fra le più citate. Ma forse in pochi sanno che il secondo marito della scrittrice Agatha Christie aveva vent’anni meno di lei. Oppure che l’amante dell’autrice francese Sidonie-Gabrielle Colette (in

arte Colette), era più giovane di 30. Elsa Morante ebbe una relazione con un giovane pittore americano; Lalla Romano si spense amorevolmente assistita dal compagno che ancora oggi cura il museo a lei dedicato. E l’attrice Paola Borboni soffrì immensamente per la perdita del marito, che all’epoca aveva la metà dei suoi anni. A chi avesse voglia di incontrare qualche indimenticabile personaggio della letteratura consigliamo Der Vorleser di Bernhard Schlink (da cui è stato tratto il film The reader con Kate Winslet), Canale Mussolini di Antonio Pennacchi e ancora, il recente Esche vive di Fabio Genovesi. Imperdibile è il film, del 2003, Tutto può succedere con Diane Keaton, Jack Nicholson e Keanu Reeves. Ninfomane? No, “libera” Attenzione a non confondere la donna cougar con la ninfomania. Si legge nel portale Wikipedia: “Il termine ninfomania – dal greco antico nymphè, ninfa sposa e mania (...) – fu coniato nel 1771 dal medico francese J. D. T. de Bienville, che lo utilizzò per la prima volta nel suo studio La ninfomania, ovvero trattato sul furore uterino. Fu considerata dapprima una perversione e, in tempi successivi, una patologia sessuale femminile caratterizzata da una compulsiva ricerca di partner e accompagnata da anorgasmia o frigidità. Nel 1992 l’Organizzazione mondiale della sanità non la riconobbe più una patologia e nel 1995, l’American Psychiatric Association, cancellò tale voce dall’edizione del Manuale dignostico dei disturbi mentali, riconducendo il concetto, insieme all’equivalente maschile noto come satiriasi, entro la più vasta categoria dell’ipersessualità. I termini ninfomania e ninfomane entrarono presto nel linguaggio comune in un’accezione generica e spregiativa, per definire donne sessualmente libere e intraprendenti”.

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Il valore dell’italiano

Parlare dello stato di salute della lingua italiana in Svizzera non

» illustrazione di Adriano Crivelli

» di Roberto Roveda

conseguente indebolimento degli insegnamenti universitari è argomento tecnico, riservato agli specialisti. È, viceversa, tema in italiano. Un regresso, per Martinoni, che va al di là della che tocca tutti i cittadini, da quelli che l’italiano lo parlano a chi questione linguistica, perché perdere una lingua significa prima lo snobba. Perché la Confederazione si fonda di tutto la scomparsa di “un modo di ragionare, sulla varietà: delle confessioni religiose, delle di sentire, di vedere, di pensare, di comportarsi”. culture, delle tradizioni... delle lingue. Non vi Con il rischio di essere tutti sempre più simili, può essere una Svizzera senza il multiculturama tutti culturalmente impoveriti. lismo e il plurilinguismo, pena il mutamento Ma Martinoni non è però pronto a cantare radicale dalle prospettive quantomeno oscure l’epitaffio dell’italiano e prova a lanciare alper un’entità statale unica nel suo genere e a cune proposte per invertire la rotta; prima tra cui tutta l’Europa guarda come un possibile tutte l’idea che le autorità politiche cantonali modello di “unità nella diversità”. Questo – ma anche i suoi cittadini – si impegnino è il tema forte che percorre interamente La maggiormente per la loro lingua, magari lingua italiana in Svizzera, saggio di Renato aprendosi ulteriormente oltre Gottardo, imMartinoni, professore di Letteratura italiana parando a comunicare meglio con chi parla all’Università di San Gallo. Un libro sorprenle altre lingue nazionali (e lo Schwyzerdütsch o dentemente coinvolgente grazie alla grande Schwyzertütsch) e partecipando maggiormente capacità dell’autore di comunicare e che alla vita amministrativa e politica. Oppure raccoglie una serie di articoli scritti tra il 1992 provare a trattare argomenti italiani in tedeRenato Marti Martinonii La lingua italiana in Svizzera e il 2011. Decenni trascorsi a parlare dell’itasco e francese, così da suscitare l’interesse di SalvioniEdizioni, 2011 liano e a difenderlo nel suo progressivo (ma chi vive di pregiudizi alimentati anche dalla inesorabile) regredire a lingua parlata quasi esclusivamente “confusione” proveniente dalla vicina Italia. E un primo passo in Ticino e nelle valli italofone del Grigioni. Una situazione in questa direzione potrebbe essere la traduzione proprio di generale segnata dal diffondersi dell’inglese quale seconda questo saggio di Martinoni nella altre lingue nazionali: un buon lingua scolastica, dalla contemporanea espulsione della lingua modo per far comprendere, con semplicità ed equilibrio, perché italiana dai licei dei cantoni germanofoni e francofoni, e dal l’italiano è tanto importante. Per tutti gli svizzeri.


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Astri gemelli

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Tra il 29 e il 30 agosto la Luna affiancherà Venere nella vostra quinta casa solare. Con Marte in Cancro vi sentirete più determinati nell’affrontare le difficoltà. Possibili difficoltà con i figli adolescenti.

Cambiamenti e promozioni professionali purché sappiate gestire bene le relazioni. Evitate inutili polemiche e imparate ad accettare i vostri limiti. Cresce la stima e il rispetto nei confronti del partner.

28 agosto all’insegna della temerarietà. La cosa non rientra del tutto nel vostro profilo e quindi conservate alta la guardia. Le incomprensioni nella coppia possono essere risolte a patto di retrocedere di qualche passo.

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Il 28 agosto la Luna entrerà in opposizione con Nettuno. Resta la confusione anche se i nati nella seconda decade saranno comunque decisi e determinati grazie al razionale Saturno. Pazientate con i parenti.

Particolari le giornate tra il 29 e il 30 agosto. Con il ritorno di Nettuno si accentua un’improvvisa evoluzione spirituale. Rompete la vostra rigidità e lasciatevi andare alle emozioni: l’estate è ricca di sorprese.

Cercate di utilizzare la mediazione come strumento di risoluzione delle controversie. Mercurio è dalla vostra parte. Stanchezza intorno al 31 agosto. Fluide le relazioni con i figli anche se in età adolescenziale.

Intorno al 29/30 agosto la Luna realizzerà un passaggio nella vostra undicesima casa solare. Il transito da un lato comporterà un aumento della vostra popolarità, dall’altra numerosi incontri con il gentil sesso.

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Il 31 agosto, Giove, vostro astro protettore, inizierà a percorrere in retrogradazione il segno del Toro. Questo passaggio comporterà un successo lavorativo per i nati nella prima decade. Non siate pigri.

Con Marte e Saturno in quadratura le situazioni e così anche i rapporti familiari tendono a estremizzarsi verso posizioni contrapposte. Cercate di essere meno polemici e… rompiscatole. Nuove amicizie.

Tra il 29 e il 30 avrete la possibilità di poter sfruttare al massimo il vostro potere di suggestione. Le vostre abilità psichiche potranno rivelarsi assai utili anche nel piano pratico. Occasioni di incontro e flirt estivi.

Tra il 29 e il 30 agosto occorrerà cautela nei rapporti matrimoniali. Vi sveglierete con la Luna storta, e chi ne farà le spese sarà il vostro partner. Cercate sfogo nello sport e nel dialogo con gli amici.

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Orizzontali 1. Si lanciano a Carnevale • 10. Arrosto di maiale • 11. Lo zio d’America • 12. Elegante via luganese • 13. Le iniziali di Toscanini • 14. Un mobile del salotto • 16. Si rendono al merito • 17. Il nome di Sorrenti • 18. Tagliare di netto • 20. La nota Zanicchi • 22. Beni preziosi • 23. Consonanti in cuneo • 24. Un forellino epidermico • 25. Associazione Nazionale • 26. La fine della Turandot • 27. Cattive • 28. Emozionati, turbati • 30. Novantanove romani • 31. Si contrappone a iper • 32. Il Ticino sulle targhe • 33. L’indirizzo dello speditore • 37. Nessuno scommette su di lui • 39. Mezzo veto • 41. La sigla della tv italiana • 42. Il fiume dei Cosacchi • 43. Epoche • 45. Livellate al suolo • 47. Fulve • 49. Lo usa il gommista • 51. Vendite all’incanto • 52. Quello di porco serve allo scassinatore.

13. Trova una lampada magica • 15. Anestesia • 19. Irascibilità • 21. Ecco... a Losanna • 28. Auspicare, desiderare • 29. Appendere i panni ad asciugare • 31. Procedura burocratica • 34. Thailandia e Portogallo • 35. La bevanda che si filtra • 36. Difficilmente molla • 38. I confini del Ticino • 40. Il noto Ramazzotti • 44. Oriente • 46. Sport invernale • 48. Dubitativa • 50. In mezzo al nido.

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Verticali 1. Il titolo di una raccolta di versi di Prévert • 2. Adesso • 3. Rifocillare • 4. Innalzare, erigere • 5. Ancestrale • 6. Il Sodio del chimico • 7. Avverso, contrario • 8. Una nota e un articolo • 9. Enormi, colossali •

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» a cura di Elisabetta

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Abituatevi a prendere scelte importanti che tengano conto delle nuove circostanze. Evitate però di farvi condizionare da un malinteso senso del dovere e così dal vostro orgoglio. Attenzione alle imprudenze.

La soluzione verrà pubblicata sul numero 36

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L’energia della natura sempre a portata di mano.


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