№ 42
del 21 ottobre 2011
con Teleradio 23–29 ottobre
Bullismo
piccoli persecuTori
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Ticinosette n° 42 21 ottobre 2011
Impressum Tiratura controllata 70’634 copie
Chiusura redazionale Venerdì 14 ottobre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Direttore editoriale Peter Keller
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Agorà Adolescenza e internet. Storie di bulli Letture Aggressioni digitali
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Valentina GeriG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fabio Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Arti Paul Glass. Un americano in Ticino
di
Keri Gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Società La firma. Dal graffito alla griffe
di
Mariella dal Farra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fiabe La cavallina coraggiosa Vitae Paolo Attivissimo
di
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Fabio Martini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
roberto roVeda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Il cielo in una stanza
di
Claudio rossetti; Foto di MassiMo Pedrazzini . . . . . . .
Luoghi Pensiline. Teatri in movimento
di
MarCo Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Moda e storia. Attaccar bottone
di
Marisa Gorza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
La vittima indifesa Fotografia di Reza Khatir
Condividere
rende felici (in rete)
Se esiste un termine in grado di “eccitare” gli internauti questo è proprio la condivisione . E chi meglio dell’onnipresente Facebook può incarnare il concetto, tanto da averne fatto la sua vera forza . . . con alcune sfumature . Quello delle “reti per socializzare” è un universo molto giovane e come tale appare geniale e innovativo, un po’ incosciente e tendenzialmente naïf . Le costanti e immancabili innovazioni che periodicamente il padre di Facebook, Mark Zuckerberg, sbandiera durante affollate e scintillanti presentazioni – seconde solo a quelle dello scomparso Steve Jobs – paiono dettate sempre e solo dalla “condivisione” . Le ultime novità in ordine cronologico sono state rese pubbliche lo scorso 22 settembre e i cavalli di battaglia che permetteranno al più frequentato social network di imporsi ulteriormente si chiamano “Timeline”, “Spotify”, “Ticker” e altre mirate intuizioni che avvicineranno ulteriormente gli utenti gli uni agli altri . Secondo qualcuno, anche troppo . Un articolo di Farhad Manjoo* apparso nelle scorse settimane sul periodico online statunitense “Slate” (www.slate.com) evidenzia alcuni dei problemi connessi a queste nuove applicazioni . E le critiche maggiori sono legate proprio alla volontà di rendere le preferenze, i gusti e le scelte di ogni iscritto immediatamente visibili ai suoi “web-amici” . Per esempio, da oggi l’ipotetico utente Giacomo non solo può sapere che cosa piace a Luca, ma Luca in tempo reale può ascoltare proprio quella canzone che sta acoltando l’amico Giacomo, senza che lui se ne renda conto . “Zuckerberg la chiama «condivisione senza attrito» – scrive Manjoo – . Significa che non dobbiamo più preoccuparci di segnalare ai nostri amici quello che ci piace, perché il fatto stesso di trovare qualcosa basta a condividerla.
Quando ci iscriviamo all’applicazione di Spotify il consenso è dato per scontato: se ascoltiamo, condividiamo” . Il concetto della condivisione è però assai più complesso del “mettere qualcosa a disposizione di qualcuno” e la possibilità di accedere ai gusti degli altri porta a una sorta di condivisione a priori: come dire, piace al mio amico, piace anche a me . In effetti questa non sarebbe una grossa novità: anche prima dell’era digitale il passaparola è stato in grado di produrre fenomeni/successi di un prodotto (musicale, letterario, ecc .) sovente pronto a spegnersi nel breve volgere di pochi giorni . La differenza è che nel processo di condivisione proposto in particolare da Facebook, aderire a una preferenza è diventato sinonimo di “mi piace”, che a sua volta si traduce con: ciò che ho ascoltato, ho visto, ho letto è “bello, buono, molto interessante” . Spesso senza commento alcuno (oppure quando questo è presente si riduce a pochi banalizzanti considerazioni) . E tutto il resto . . .? Tutto quello che ho consultato e che non mi è piaciuto, con chi lo posso condividere? E come potranno mai saperlo i “miei amici” visto che non è segnalato? Tutti sappiamo quanto sia incredibile il web e quante porte è in grado di aprire: ma come per i motori di ricerca – dove digitare uno stesso termine porta due individui a risultati diversi, solamente in funzione delle loro precedenti ricerche/siti visitati –, anche Facebook pare condurre a una “selezione del mondo” del tutto arbitraria . La conferma che condividere, a volte, significa uniformare i nostri gusti . Buona lettura, la Redazione * Una traduzione dell’articolo è stata proposta dal settimanale “Internazionale” (n. 918 del 7 ottobre 2011) con il titolo “La fine del gusto”.
Adolescenza e internet. Storie di bulli
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Agorà
Un tempo c’erano gli appostamenti nei bagni della scuola, la scazzottata nel cortile. Oggi il bullismo dilaga anche sugli schermi dei cellulari, sulle pagine di Facebook. Luoghi virtuali, sì, ma con un potenziale di amplificazione enorme. Soprattutto se a farne le spese sono gli adolescenti di Valentina Gerig
I
ragazzi sono tornati sui banchi di scuola da poco più di un mese. È iniziato un nuovo anno scolastico di compiti, nuove amicizie, insegnanti amati e odiati, giornate scandite dagli orari delle lezioni. Ci sono allievi che non vedono l’ora di ritornare a scuola, altri, più pigri, che ne farebbero volentieri a meno, soprattutto dopo la lunga pausa estiva. È così da quando esiste la scuola. E così sarà sempre, probabilmente. Ma il malessere al solo pensiero di varcare il cortile dell’edificio scolastico non sempre è legato all’insofferenza per lo studio. Il motivo, soprattutto se poco palpabile e visibile ai genitori, potrebbe essere la paura. Paura di essere derisi, offesi, presi in giro o addirittura picchiati dal compagno/a di classe, o dal gruppetto di ragazzi che si incontra ogni giorno nei corridoi del proprio istituto. Il fenomeno è ben noto, si chiama bullismo. In questi ultimi anni è un termine apparso spesso sulle pagine dei giornali: le statistiche snocciolano dati, le istituzioni si impegnano a ideare nuove campagne di sensibilizzazione. In difesa delle vittime del bullismo scendono in campo anche le pop star: l’ultima in ordine di tempo l’istrionica Lady Gaga, amatissima dai più giovani, che ancora ricorda i trascorsi di un’adolescenza non proprio spensierata, nel mirino delle prepotenze di alcuni compagni di scuola. Un dato è certo: di bullismo si parla di più. Forse perché ci sono più episodi di violenza o forse perché – fortunatamente – è cresciuta la sensibilità nei confronti del problema.
Bullismo: un identikit Se ne parla di più perché si osserva più frequentemente, sostiene Luigi Bertossi, psicologo e psicoterapeuta che esercita la professione a Campione d’Italia. Dottor Bertossi, per quale motivo un/a ragazzino/a si comporta da bullo? “È una sorta di desiderio insano di prevalere sull’altro. Il nonnismo nelle caserme, il mobbing nell’ambito lavorativo, i comportamenti vessatori riservati generalmente a persone dell’altro sesso nello stalking, sono fenomeni che rientrano nella stessa categoria. In particolare nel bullismo c’è l’intenzionalità di fare del male a una persona che viene scelta proprio perché debole. C’è un’asimmetria fondamentale tra il bullo e la sua vittima quasi ad assicurare la prevaricazione. Il primo è forte, spavaldo, arrogante. Il secondo isolato, fragile, sensibile. Non è un confronto tra pari: il bullo sa di essere in una condizione di vantaggio, di maggiore forza. È un atto intriso di cattiveria perché lo scopo è infliggere sofferenza”.
nale o quindicinale – anche in forma privata e all’esterno dell’istituto. “È molto utile segnalare ai ragazzi che esiste questa possibilità. Spesso non osano andarci all’interno della scuola, magari fissano un appuntamento e vi si recano fuori dell’orario scolastico”, conferma Mauro Arrigoni. Più complesso sembra il discorso sulla scuola media. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Buletti, docente di francese e storia e Direttore della Scuola media di Breganzona. Secondo la sua esperienza di insegnante, è cambiato qualcosa negli ultimi anni? “Se ne parla di più o ci sono più episodi? Ho difficoltà a capirlo. Sicuramente è cambiata la modalità di socializzazione dei ragazzi. Penso ai social network, ai telefonini. Mezzi che favoriscono nuove forme di bullismo con una maggiore pressione psicologica. Quando scoppia una lite a scuola e cerchiamo di risalire alle cause, spesso i ragazzini ci parlano di Facebook, e di come hanno scoperto che qualcuno ha scritto commenti offensivi sul web”.
“La vittima può manifestare pianto, nausea, difficoltà di apprendimento e concentrazione, cefalee. A livello psicologico viene minata nel profondo la sua autostima”
Quali sono gli effetti fisici e psicologici sulla vittima di episodi di bullismo? “La vittima può manifestare pianto, nausea, difficoltà di apprendimento e concentrazione, cefalee. A livello psicologico viene minata nel profondo la sua autostima”.
E quali le fasce di età principalmente coinvolte? “Sono sostanzialmente due: quella preadolescenziale (che coincide con la scuola media) e quella relativa agli anni della scuola superiore. Le dinamiche e le manifestazioni sono diverse: nella prima gli episodi sono forse più pericolosi perché la tendenza a uniformarsi al «branco» è molto più forte rispetto all’età successiva. Al liceo il ragazzo inizia a sentire meno il bisogno di appartenere a un gruppo perché dispone di un maggiore senso critico e di autocritica”. Il punto di vista degli insegnanti Per comprendere e valutare l’entità del fenomento nelle scuole del cantone, abbiamo interpellato chi con i ragazzi è in contatto diretto e li vede ogni giorno entrare nelle aule con gli zaini in spalla. Mauro Arrigoni, direttore del Liceo di Mendrisio, ci dice: “Nel nostro istituto non abbiamo fenomeni classici di bullismo. Capita semmai qualche caso isolato di aggressività difficile da contenere”. Ammette però che a volte riceve segnalazioni su gruppi di studenti che “prendono di mira un compagno e lo tartassano”. Nei licei di Mendrisio, Lugano e Bellinzona è attivo da anni un servizio di aiuto ai ragazzi in difficoltà. Uno psicologo è a disposizione degli allievi – con una cadenza settima-
Cosa può o deve fare il docente? “È una buona domanda. Nel merito dei singoli episodi si cerca di sedare, discutere insieme. Diventa più complicato per noi insegnanti quando le ragioni sono da individuare fuori dalla scuola. Nell’immediato interveniamo come dei pompieri quando c’è un incendio da spegnere. Fortunatamente i casi di bullismo non sono numerosissimi. È un fenomeno che spesso ha bisogno anche di un lavoro più profondo da svolgere con le classi. Nel corso dell’anno scolastico 2009/10, per esempio, abbiamo promosso un corso per docenti da cui sono scaturiti anche momenti di incontro con gli allievi, con video, materiali, scritti degli stessi ragazzi e una piccola mostra”.
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Quali difficoltà può incontrare l’insegnante? “A volte è difficile intervenire. Le famiglie spesso fanno molta fatica ad accettare, comprensibilmente, che occorre fare anche un lavoro sul figlio, vittima di episodi di bullismo. Vorrebbero che la scuola identificasse il responsabile e lo punisse, facendolo smettere. Ma non è così facile: spesso il fenomeno non è così palpabile. Si cerca di aiutare quindi la famiglia e la vittima a essere più forti, a non prendersela, a non rispondere alle provocazioni”. Oltre al docente di Sostegno pedagogico, nelle scuole medie si è inserita anche una nuova figura, quella dell’educatore. Che ruolo ha? “Risponde al tentativo di intervenire laddove i docenti non possono arrivare o non ne hanno le competenze. È una persona formata che può capire maggiormente le situazioni di disagio. Ci sono cinque educatori nel cantone e ognuno opera nel comprensorio definito per il sostegno pedagogico”. (...)
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Secondo lei, quali sono le forme di prepotenza più difficili da indentificare? “Il bullismo si caratterizza per un continuo martellamento, ma le forme a volte sono sottili. I ragazzini più chiusi in se stessi non raccontano quello che subiscono. Il bullismo femminile, per esempio, può ferire maggiormente: l’esclusione dal gruppo, i commenti sull’aspetto e il modo di vestire, finalizzati a far sentire una ragazzina la «sfigata» di turno, che ha qualcosa che non va perché non è adeguata ai canoni estetici. Poi, sicuramente, ci sono ragazzini che stanno scoprendo la propria sessualità e che negli anni delle medie vivono un periodo difficile”.
tamento valido. Il modo in cui comunichiamo viene passato al setaccio dai nostri figli. Senza accorgercene, mandiamo messaggi, informazioni e i ragazzi assorbono come delle spugne. Infine, bisogna mostrare un’estrema attenzione: la paura di maggiori rappresaglie induce infatti il bambino a non svelare gli episodi di violenza o vessazione di cui è vittima. Occorre quindi ottenere che venga fatta luce sull’accaduto e non permettere a nessuno di dire che si tratta di una ragazzata. Io suggerirei ai genitori di entrare in contatto con i genitori del bullo con pacatezza e serenità, in modo da affrontare il problema senza scontri o «esibizioni muscolari»”.
Come venite a conoscenza degli episodi di bullismo? “Su segnalazione dei genitori perché vedono il figlio che piange o non vuole venire a scuola. Oppure attraverso la confidenza dell’allievo al docente. O ancora, il tema di italiano. Noi teniamo molto a sviluppare un clima sereno e di collaborazione per creare nei ragazzi uno spirito di appartenenza. La scuola ticinese fa un notevole sforzo in questo senso. E i risultati a mio parere sono buoni”.
Le cifre di un fenomeno sociale Nel 2010 il sondaggio “Benessere senza omofobia” condotto nel cantone dal progetto Aiuto Aids Ticino ha richiamato l’attenzione su una delle tante tipologie di bullismo, quello omofobico. In particolare il 57% degli interpellati – il campione in esame comprendeva 630 studenti di scuola media e scuola media-superiore – ha ammesso di sentire “spesso” parole offensive relative alla sessualità. Solo il 28% ha risposto “talvolta”. Quali soluzioni invece per combattere il bullismo sul web (cyberbullismo), che risulta essere un fenomeno in costante crescita? Una potrebbe essere la fine dell’anonimato. Lo ha dichiarato a luglio la stessa Randi Zuckerberg, direttrice marketing di Facebook, in occasione di un dibattito sul futuro dei social media: “Le persone si comportano molto meglio quando appare il loro vero nome”. Utili, in conclusione, anche i risultati dello studio svizzero “James 2010”, condotto su scala nazionale dall’Università di Scienze applicate di Zurigo sull’utilizzo di cellulari e internet da parte di ragazzi tra i 12 e i 19 anni. Il 98% dei giovani svizzeri possiede un telefonino. Tre quarti degli intervistati ha un computer. Il 95% ha un accesso internet a casa. Le ore di navigazione? In media 2 ore e 5 minuti al giorno. Computer e web vengono utilizzati a scopo di svago, soprattutto per ascoltare musica e guardare video. “Navigare senza uno scopo preciso” è un’attività molto più diffusa in Ticino rispetto a ciò che accade in altri cantoni. Non sorprende, quindi, quanto possa essere importante per un adolescente l’accettazione del gruppo e degli amici sul web. Un tempo c’era la piazza, l’oratorio, il muretto, il cortile sotto casa: tutte dimensioni all’interno delle quali si potevano esperire rapporti personali diretti e non mediati dalle tecnologie. Oggi dominano i social network. E così anche il fenomeno del bullismo ha assunto connotazioni diverse, non di rado più inquietanti e pervasive.
Bullismo: tipologie e soluzioni Il bullismo del nuovo millennio è quindi più sottile, meno facile da riconoscere? Chiediamo ancora al dottor Bertossi un commento sulle informazioni acquisite.
“Se voglio deridere un compagno, il potere di amplificazione di un social network come Facebook è spaventoso. In questo modo viene meno l’appartenenza, ovvero una delle esigenze fondamentali dell’adolescente”
Dalle nostre ricerche è emerso che spesso il bullismo è femminile. Ci sono differenze? “Sì. Cambia il codice, la modalità di espressione. Le prepotenze attuate dalle ragazzine vanno a investire ambiti squisitamente femminili come il modo di apparire, il peso, l’abbigliamento. È un tipo di bullismo più sottile, meno appariscente, ma non per questo meno dannoso”.
Perché i social network c’entrano con l’aumento dei fenomeni di bullismo? “C’entrano eccome. Il pericolo consiste nell’utilizzo di questi strumenti in maniera inadeguata, con finalità di vessazione e prevaricazione. Se voglio deridere un compagno, il potere di amplificazione di un social network come Facebook è spaventoso. In questo modo viene meno l’appartenenza, ovvero una delle esigenze fondamentali dell’adolescente”. Come si dovrebbero comportare i genitori se intuiscono che il figlio subisce episodi di bullismo? “Il genitore, a mio avviso, prima di tutto deve mostrare una grande attenzione affinché il figlio non abbia quelle caratteristiche che lo fanno identificare dal bullo come sua possibile vittima. Quindi educarlo al benessere, ovvero allo stare bene con se stesso. Un’altra raccomandazione: i genitori devono essere dei modelli di compor-
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Aggressioni digitali
» di Fabio Martini
Il saggio di Anna Civita, di recentissima pubblicazione, si da una sorta di gogna elettronica che non dà scampo e a cui rivolge a quel vasto ambito di persone che quotidianamente sembra impossibile sfuggire. Emerge in modo chiaro come il vivono e operano professionalmente a contatto con la realtà fattore “condivisione”, sbandierato come valore aggiunto dai giovanile: presidi, insegnanti, educatori, creatori dei vari social network – le piattaforpsicologi, assistenti sociali, ecc. L’autrice, me preferite per l’attuazione di questo tipo ricercatrice alla Facoltà di Scienze della fordi violenze –, rappresenti un’arma a doppio mazione dell’Università di Bari, presso cui taglio e uno dei tanti aspetti critici di queste insegna Sociologia, non è del resto nuova nuove modalità di comunicazione (si legga a a questi temi dato che da tempo e in una riguardo l’editoriale di questo numero). precedente pubblicazione ha affrontato il Con taglio rigoroso e scientifico, l’autrice tema del bullismo e della violenza fra ragazcompie un’analisi dei meccanismi comzi (Il bullismo come fenomeno sociale, Franco portamentali che all’interno dei differenti Angeli, 2006). contesti (famiglia, scuola, Internet, ecc.) Oggetto di questo saggio è però il cybervengono messi in atto dagli aggressori cobullying, considerato come una sorta di me dalle vittime, giungendo a suggerire le evoluzione in senso digitale del bullismo soluzioni che possono essere messe in atto tradizionale, di cui di fatto è un’estensione da genitori ed educatori per individuare e assai preoccupante proprio per il suo utifar fronte a episodi di questo tipo. lizzare la rete come cassa di risonanza. Tale A conclusione, il saggio affronta anche una Cyberbullying. Un nuovo tipo di devianza forma, per la sua pervasività e per il fatto serie di aspetti legati alla giurisprudenza e di Anna Civita di non circoscrivere l’aggressione alle mura in particolare alla nota sentenza emessa da Franco Angeli Editore, 2011 di una scuola o di un cortile ma di esporla un giudice del tribunale di Milano nei conall’attenzione di un numero potenzialmente illimitato di fronti di tre funzionari del colosso digitale Google, considerati persone, risulta particolarmente odiosa e pericolosa sotto il responsabili della pubblicazione in rete del video di un’aggresprofilo psicologico e sociale. Il soggetto preso di mira viene in- sione a un ragazzo disabile da parte di un gruppo di bulli nel fatti sostanzialmente esposto al pubblico ludibrio, soggiogato 2006, e per questo accusati del reato di diffamazione.
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Un americano in Ticino Compositore di fama internazionale, autore di importanti colonne sonore, Paul Glass nel corso della sua carriera ha esplorato ambiti musicali diversi, fino a scegliere la ricerca artistica (e interiore) come percorso elettivo testo e fotografia di Keri Gonzato
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Nel momento in cui mi sto avvicinandomi alla casa di Paul Glass, Carona è attraversata da una tempesta estiva: tolgo le scarpe e corro, mi arrampico per il sentiero verde che conduce all’abitazione dove giungo fradicia ma pronta a incontrare una coppia speciale. La scultrice Penelope Margaret MackworthPraed, nonché moglie di Paul, è immersa nei fumi fragranti della marmellata di pere. Poco più in là un atelier cela le sue intricate meraviglie di ferro, calcoli quantici e lucine cosmiche ma questa è ancora un’altra storia. Paul è nel suo studio dove, tra il pianoforte e la vista mozzafiato, fluttuano sogni realizzati e progetti da intessere. Mentre i vestiti che indosso si asciugano, Paul inizia a raccontarsi: “Sono nato a Los Angeles nel 1934 da madre di origine ucraina e padre francese, il grande attore del cinema muto Gaston Glass: abbiamo appena guardato un suo film del 1920, Humoresque. Vederlo in un film, girato 14 anni prima che nascessi, è stata una grande emozione e lui è bra-vi-ssimo!”. La scelta dello strumento Ma torniamo al suo studio, al perché di quel pianoforte e ai sogni realizzati. Paul Glass è un compositore e, anche lui, è parecchio bravo nel suo lavoro. Molto del suo percorso fra i righi si è definito nel 1957. Paul, allora ventiduenne, si trova a un bivio vibrante di opportunità. Potrebbe diventare una star di Hollywood, con un contratto milionario di sette anni come attore. Ma sempre da Hollywood arriva la proposta di comporre la musica per un film e, come se non bastasse, potrebbe andare in Italia a studiare come allievo di importanti compositori. Paul sceglie la musica, che significa partire per l’Italia, con pochi soldi e tanta passione. Prima di avviarsi però, riesce a recitare in alcuni film e a realizzare la colonna sonora: “Allora ci voleva una grandissima tecnica compositiva. Io, appena uscito dal conservatorio, conoscevo la tecnica ma mi mancava l’esperienza e, quando creai la musica per quel film, avevo una paura enorme. Oggi è diverso, la musica pop è fatta con due accordi e molti compositori non sanno nemmeno leggere la musica”. Nel 1975 il compositore americano Irwin Bazelon, intervistò alcuni importanti autori di musica per film, tra cui anche Paul. Tutti dovevano rispondere alle stesse domande: “Nel libro Knowing the Score c’era chi aveva musicato Cleopatra, chi Quarto Potere di Orson Welles, e c’ero anch’io. La cosa interessante? L’opinione di fondo risultò la stessa: sentivamo che, poco a poco, la grandiosa storia di Hollywood, fatta anche da grandi musicisti, sarebbe crollata. Oggi infatti è rimasto pochissimo di quella grandeur. Io già avevo capito che la mia strada era un’altra”. L’amore per il Vecchio Continente L’arrivo in Italia coincide con un colpo di fulmine, quello per l’Europa che “era di un fascino inimmaginabile per le generazioni di oggi”. Dal ’57 al ’60 vive a Roma, sono gli anni della “dolce vita” e Paul studia musica con Goffredo Petrassi, “uno dei più grandi nomi della cultura italiana”. Nel 1959 e nel ’61 nascono le sue due prime sinfonie. Dopo Roma vince una borsa per studiare a Princeton: “ma l’America ormai mi annoiava e cercai, in tutti i modi, di tornare in Europa”. A quel punto Paul riceve una borsa dal Ministero della cultura di Varsavia. Prima di
Paul Glass
tornare in Europa però va in California, dove compone la musica per due film, tra cui il favoloso Interregnum, con Lotte Lenya. È il 1960 e il film, il primo registrato in stereo, riceve la nomina agli Oscar e vince il Leone d’Oro a Venezia. “Nella vita bisogna seguire l’istinto per essere nel posto giusto al momento giusto”. In Polonia trova un paese chiuso nel comunismo ma culturalmente vivace: la sua vita prende una svolta interessante. A Varsavia, quando scoprono che conosce il jazz e sa orchestrare, gli chiedono di scrivere la musica per la Big Band della Radio polacca: “Era mica male, sul genere di Count Basie o Duke Ellington. Molti anni dopo, quando sono diventato amico di Quincy Jones, lui ha sentito la loro musica e mi ha detto «Mi prendi in giro, questi non sono polacchi, haha!», erano fantastici”. Un (provvisorio) ritorno in America… Attorno al 1963 Paul torna negli Stati Uniti e “becca” un film che gli apre tante strade, Lady in a Cage, con Olivia de Havilland (chi non la ricorda in Via col Vento?). A quel punto compone la musica per Bunny Lake è comparsa del visionario Otto Preminger, uno dei registi più importanti dell’epoca. Siamo nel ’63 e, a Los Angeles, conosce la sua prima moglie, Marina Fistoulari Mahler, “fa sorridere che fosse la nipote del grande compositore Gustav Mahler, una casualità incredibile”. Paul però non è davvero soddisfatto, la musica della sua anima vuole portarlo da un’altra parte, direzione Europa… “L’importanza della musica che faccio non è in tutti questi casini hollywoodiani, per me tutto sta nella ricerca. Creando musica trovo me stesso e, trovandomi, incontro la musica”. Seguendo l’istinto Paul si ritira a Cogolin dans le Vars, un paesino della Provenza dove, dal ’66 al ’69, si dedica solo alla sua musica e a capire chi è. Rimane in Francia fino a quando la mamma si ammala gravemente e lui torna negli Stati Uniti. Paul ha 35 anni, e fissa un obiettivo: andare in “pensione” a 40 anni. Torna a Hollywood e, per quattro anni, lavora giorno
e notte, in ogni genere di produzione televisiva e cinematografica. “Nel ’73 stufo di comporre quello che volevano gli altri, ho abbandonato il cinema come preoccupazione principale. Negli anni successivi mi sono occupato solo di cinque film tra cui Overlord, nel ’76, definito da molti un capolavoro. I film erano «solo» episodi laterali poiché al centro della mia vita stava la mia musica. Ero sempre più in chiaro su ciò che volevo...”. … e infine il Ticino (forse) Torna nelle braccia dell’amata Europa nel 1973 e la pittrice Sonja Markus gli lancia l’idea di venire in Ticino. L’arrivo nel nostro cantone coincide con l’inizio di una fase molto importante della sua ricerca musicale. In quegli anni Paul incontra Penelope Margaret, che sposa nel ’77 e con cui ancora oggi condivide la vita e l’oasi verde di Carona. Ma fermiamo l’intervista per un tuffo nell’immenso. Ascoltiamo la Corale II per Margaret, per quartetto d’archi e orchestra d’archi. Interpreti, la Symphonisches Orchester Zürich, diretta da Christof Escher, registrata alla Tonhalle di Zurigo, nel 2007. Espansione dello spirito verso spazi superiori, questo e molto altro in queste note così come, in sfumature diverse, nelle molte composizioni create da Paul Glass. La sua è un’ indagine sulla verità attraverso percorsi sonori, intuizioni mattiniere e sogni di mezzanotte. Dalla ricerca nasce la terza sinfonia, nel 1986, e poi la quarta, la quinta e la sesta, nel ’96, nel ’99 e nel 2003. Una nuova composizione di Paul si chiama Grandiflora e sboccerà con la sua prima assoluta, il primo dicembre di quest’anno, al Palazzo dei Congressi di Lugano con l’orchestra della Svizzera italiana diretta da Alexander Vedernikov. Si tratta di un viaggio rotondo attraverso le stagioni di un fiore, la Portulaca. Ogni aspetto della partitura, mi fa notare Paul mostrandomela, si riferisce alla vita di questo fiore. E l’intervista termina qui, silenzio in sala: “Dove le parole finiscono, inizia la musica” (Heinrich Heine).
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Dal graffito alla griffe Secondo lo psicologo Richard L. Zweigenhaft “la firma costituisce un movimento espressivo poco appariscente ma in grado di registrare, oltre al nome della persona, anche il suo status e la percezione che ha di sé” di Mariella Dal Farra
Società
10 w.en.wikipedia.org)
l’assicurazione sanitaria (ww
a sulla ricevuta del La firma di Barack Obam
C’è stato un tempo precedente all’avvento del codice a barre
e delle banche-dati informatizzate in cui, per prendere un libro in prestito in biblioteca, il lettore doveva firmare un cartoncino contenuto in una tasca fissata sull’ultima pagina del testo; il cartoncino veniva poi trattenuto dal bibliotecario, che lo infilava nell’apposito schedario insieme alla data prevista per la restituzione. In questo modo, quando si sceglieva un libro, era possibile vedere chi altri lo aveva già letto, e se fra le firme ve n’erano di appartenenti ad amici o compagni di scuola. Il processo di scelta si arricchiva così di una connotazione più personale, dove il passaggio di mano in mano si trasformava in un passaparola sancito da quel segno così definito e peculiare che è la firma autografa. Segni e messaggi personali Secondo Richard L. Zweigenhaft, “la firma costituisce un movimento espressivo, poco appariscente ma in grado di registrare, oltre al nome della persona, anche il suo status e la percezione che ha di sé”1. Nel corso degli anni Settanta una serie di studi evidenzia-
rono come la dimensione della firma fosse correlata a variabili quali lo status sociale (per esempio, quella dei docenti universitari era mediamente più grande di quella degli studenti) e l’autostima (la firma di soggetti ai quali veniva fatto credere di avere ottenuto un punteggio elevato in un test d’intelligenza occupava uno spazio maggiore dopo avere appreso il “risultato”). Parallelamente, è stata studiata la particolare configurazione che un individuo sceglie nello scrivere il proprio nome (per esempio, “Carlo Rossi” o “C. Rossi”) ed è stato ipotizzato che la tendenza ad abbreviare il nome di battesimo, o a posporlo al cognome, sia associata a un’attitudine più conservatrice, e addirittura a una scarsa disposizione a rivelare informazioni su se stessi2, mentre l’iniziale del secondo nome, interposta fra nome e cognome (“Carlo A. Rossi”) viene percepita come un avanzamento dello status sociale. Anche se suscettibile di modificarsi a seconda di come ci sentiamo e della fase evolutiva in cui ci troviamo, la firma autografa mantiene un carattere idiosincratico che la rende inconfondibile, fattore da cui peraltro deriva il valore legale
che le è riconosciuto: la firma è infatti considerata un’emanazione diretta della persona, che la usa per manifestare e convalidare la propria volontà. Si tratta quindi di un vero e proprio “marchio personale”, e come tale viene apposta su ciò che ci appartiene (per esempio, i libri) così come sul frutto del nostro lavoro. In questo senso la firma “segna il territorio”, delimita le zone d’influenza e distingue ciò che è mio da ciò che è tuo: una funzione, questa, letteralmente “esplosa” dai writer che, a partire dai vagoni della metropolitana newyorchese degli anni Settanta, hanno iniziato a firmare in maniera compulsiva e più o meno artistica gli spazi pubblici in cui si muovono, personalizzandoli e rendendoli quindi, in forma simbolica, “propri”. La vivace reazione delle municipalità di tutto il mondo ha reso subito chiaro che il messaggio era arrivato a destinazione... Lo “stile” digitale come perdita La valenza espressiva della firma, a prescindere dagli eccessi pittorici dei writer, è tale da renderla sinonimo di stile, come nell’ambito della moda dove l’abito “firmato” è per definizione quello elegante, di qualità, che “fa tendenza”. Indossare vestiti o accessori firmati è quindi un po’ come fregiarsi di una cifra stilistica “certificata”, abdicando in una qualche misura alla propria: in questo senso, la griffe è l’esatto contrario del graffito, in quanto subordina la “firma” personale a quello, dello stilista, laddove il graffito la magnifica, moltiplicandola all’infinito in una sorta di ipertrofia dell’ego. La firma intesa come segno vergato manu propria è stata oggetto privilegiato di studio da parte dei grafologi che, oltre alla dimensione, ne interpretano la posizione sul foglio, l’omo-
geneità rispetto al testo, la leggibilità e diversi altri aspetti fra cui la presenza (o assenza) del paraffo, “cioè un tratto che assume diversi significati a seconda della direzione, dell’ampiezza e del rapporto con la firma stessa”3. Così, “il paraffo più semplice è il puntino finale, detto ‘del procuratore’, che indica desiderio di voler mantenere una certa distanza. Un paraffo grande e avvolgente indica protezione dall’ambiente”, mentre “A volte è presente una sottolineatura che è vista come un binario che traccia il cammino da percorrere”.4 Indubbiamente suggestive, non so quanto tali considerazioni siano anche generalizzabili, ma è evidente che “qualcosa di più di un nome viene comunicato nella firma”5. In effetti, come ben sanno i collezionisti di autografi, la firma rappresenta un patrimonio analogico che va preservato: la nuova firma digitale, un codice alfanumerico privo di qualunque connotazione espressiva, non può competere con la ricchezza delle informazioni in essa contenute. note 1 Richard L. Zweigenhaft, “The empirical study of signature size”, Social Behavior and Personality, 5 (1): pp. 177-185, 1977. 2 Ibidem, pag. 183. 3 Stefania De Matola, www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/wp-content/ uploads/2009/07/la-firma.pdf, 24.7.2009 4 Ibidem, pag. 16. 5 Richard L. Zweigenhaft, op. cit., pag. 184. invito alla lettura Evi Crotti Dimmi come firmi. Il carattere e la personalità svelati dalla firma Oscar Mondadori, 2011 Testo assai interessante sulla firma come “impronta digitale grafologica”: personale, inconfondibile... e il più delle volte anche infalsificabile
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La cavallina coraggiosa trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini
Fiabe
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C’erano
una volta… il re e la regina del Portogallo che non riuscendo ad avere figli pregavano ogni giorno il Signore affinché li esaudisse. Finalmente la regina annunciò di aspettare un bambino. Il re, curioso di avere notizie sul futuro erede, si rivolse all’indovino di corte: “Vi prego, indovino, leggete le stelle… ditemi qualcosa. Sarà maschio o sarà femmina? Sarà di indole pacata o bizzosa?”. “Oh, sire, sarà maschio, un bel giovanotto robusto e di buon carattere. Ma badate, quando avrà vent’anni precisi si sposerà e quel giorno la sua sposa morirà. Se questo però per qualche ragione non dovesse avvenire lui si trasformerà in un terribile drago”. Udite queste parole la felicità dei due genitori
si trasformò in tristezza e preoccupazione. Sta di fatto che il loro figliolo crebbe sano e per il suo buon carattere era amatissimo da entrambi i genitori e da tutti i sudditi. Ma il re e la regina attendevano con angoscia il giorno in cui il principe si sarebbe sposato. Giunse infine il momento di scegliere la sposa e il re del Portogallo inviò presso il re d’Inghilterra il suo più avveduto ambasciatore per chiedere la mano della figlia. Costei era nota per la sua bellezza e le numerosissime virtù. La giovane principessa aveva come migliore amica una bella giumenta bianca e appena il padre le comunicò l’intenzione di darla in sposa al principe del Portogallo, lei chiese consiglio alla sua cavallina.
“Mia cara amica”, le disse la cavalla, “non rallegratevi troppo. C’è un terribile incantesimo su questo matrimonio”, e le spiegò quale sarebbe stato il suo destino: sarebbe morta oppure avrebbe avuto come marito un terribile drago. La principessa, spaventata, non sapeva cosa fare. “Statemi a sentire”, proseguì la cavallina. “Direte a vostro padre che al matrimonio non andrete in carrozza ma a cavallo. Quel giorno salirete sulla mia groppa e sarò io stessa a condurvi. Badate però, quando inizierò a scalciare dovrete tenervi forte alle briglie perché ci sarà da correre”. E così, il giorno del matrimonio, il corteo nuziale attraversò la città: il giovane principe stava nella sua carrozza tutto vestito a lustro con la spada al fianco mentre la giovane principessa, vestita da sposa, sulla sua cavallina bianca. Appena l’orologio della torre iniziò a scandire il mezzogiorno, ora in cui era nato il principe, la cavallina iniziò a scalpitare e fuggì via portando con sé la principessa. Ed ecco allora un gran tuono e la carrozza del principe andare in mille pezzi e un enorme drago fiammeggiante uscirne fuori. Il popolo spaventato iniziò a correre da tutte le parti e anche il re e la regina dovettero cercare rifugio per non essere bruciati dalle lunghe fiamme che gli uscivano dalla bocca.
Dopo
molto galoppare, la principessa e la sua cavallina giunsero di fronte al palazzo del giovane re di Navarra alle cui porte bussarono per chiedere ospitalità e cibo. Appena questi vide la principessa subito se ne innamorò. Una volta sistemata la principessa nella migliore delle stanze e accolta la cavallina nelle stalle, corse da sua madre. “Madre, madre” disse trafelato “è giunta da noi una gran dama, giovane e bella e voglio che diventi mia sposa”. “Ma come, non sappiamo neanche chi sia e già volete maritarla?”. La chiamarono allora per interrogarla e la principessa raccontò per filo e per segno tutta la sua triste storia. Commossa e incredula per aver ospitato la principessa d’Inghilterra, la
madre del re diede al figlio il permesso di sposarla e così, dopo qualche mese di insistenze, anche la principessa accettò e si fece un gran matrimonio. Proprio il giorno in cui la sposa annunciava di attendere un figlio il giovane sovrano fu richiamato dall’imperatore per andare alla guerra contro i francesi. Con le lacrime agli occhi i due sposi si lasciarono ma la principessa volle che a portarlo in guerra fosse la sua migliore amica, la cavallina bianca. E così fu…
Passarono i mesi. La principessa ebbe due gemelli, un maschio e una femmina, belli come il sole e la luna e per avvisare il marito preparò una lettera e la affidò a un messaggero che balzato su un cavallo partì come un fulmine verso la Francia. Anche il re di Navarra, che intanto aveva finito di far la guerra, diede a un altro messaggero una lettera per la moglie in cui annunciava il suo ritorno a casa. Giunti a metà strada i due messaggeri incontrarono però un gran drago che bruciò entrambi con le lettere che portavano con sé. Assai preoccupati per non aver ricevuto alcuna risposta, dopo qualche tempo sia la principessa sia il re, si misero in viaggio, l’uno incontro all’altro. Passate valli e montagne la principessa con la sua carrozza si trovò di fronte al drago che riconobbe subito: era il figlio del re del Portogallo che tanto tempo prima aveva rischiato di sposare. Anche il drago la riconobbe e, rabbioso, iniziò a sputare fuoco e fiamme. Ma proprio in quel momento giunse il re di Navarra che, scorto il drago, sguainò la spada e sostenuto al galoppo dall’intrepida cavallina lo affrontò in un terribile combattimento. Alla fine il drago, ferito e sanguinante, cadde a terra stecchito. Purtroppo anche la cavallina, colpita dall’ultimo colpo di coda del mostro, stramazzò a terra e alla fine, abbracciata dai due sposi che tanto le dovevano, spirò. Il ritorno del re e della regina fu accolto con feste e canti e da quel giorno lo stemma della Navarra viene colorato di rosso a ricordo di una coraggiosa cavallina bianca che, con il suo sangue e il suo coraggio, difese il regno e i suoi sovrani.
Fiabe
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» testimonianza raccolta da Roberto Roveda; fotografia di Reza Khatir
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Paolo Attivissimo
Vitae
bene. Fino a che un giorno mi propose di scrivere come autore un libro. Così la casa editrice pagava solo me e non i diritti all’estero. Non è stato difficile convincermi ed è nato Winword per tutti (1994), che è andato molto bene: io scrivevo, mia moglie impaginava e così sono arrivato più o meno a una dozzina di libri d’informatica, di divulgazione informatica, telefonia, sicurezza informatica per utenti comuni e via dicendo. In questi libri ho riversato il mio desiderio di rendere più comprensibili le cose che di primo acchito non sono comprensibili. Se c’e un testo di informatica Traduttore, interprete, divulgatore di mi viene naturale riconfezioinformatica, scrittore, giornalista, caccia- narlo in modo da renderlo tore di bufale... Raramente un nome ha accessibile per l’utente comune. Così ho fatto, scrivendo descritto meglio una persona articoli per la “Gazzetta dello Sport”. Era stato appena crena elevatissima per chiunque ato il sito internet del giornale e si voleva fosse professionista e dovesse spiegare all’utente l’Abc di ciò che stava o volesse fatturare il 100% usando. Sempre dalla mia curiosità personale di quello che guadagnava. e dal desiderio di capire è nato il Servizio E quindi io e mia moglie ci Antibufala: nel libro Internet per tutti (1994), siamo guardati negli occhi, avevo scritto una paginetta in cui raccontale nostre speranze di mettere vo alcune delle bufale che già giravano su su casa e famiglia erano nulle internet all’epoca. Ho cominciato a ricevere e allora abbiamo deciso di mail di lettori che mi facevano segnalazioni rischiare e di trasferire il noo chiedevano lumi. Era un approccio intestro lavoro in Lussemburgo. ressante, per cui, pensando di risolvere il All’epoca, erano i primi anni problema una volta per tutte, ho aperto un Novanta, avere il modem era piccolo spazio web, nel quale ho pubblicato ancora un lusso, ma grazie un elenco delle storie che giravano e che a queste nuove tecnologie avevo già indagato. Non l’avessi mai fatto, siamo riusciti a mantenere i invece di diminuire il lavoro, mi sono troclienti italiani. Insomma la vato sommerso di richieste. mia passione per l’informatiQuindi, da una cosa ne è nata sistematica risultava utile per cambiare camente un’altra: l’inglese ha portato alla vita. In Lussemburgo siamo traduzione, la mia curiosità all’informatica e rimasti sette anni riuscendo queste cose assieme mi hanno portato a scria garantirci una buona stabivere libri. I libri hanno portato alla “Gazzetta lità economica, poi per altri dello Sport”, la “Gazzetta” al giornalismo, sette anni siamo stati a York, per cui adesso mi ritrovo ad essere giornalista dove sono nato. Infine cinque qui in Svizzera e a condurre una trasmissioanni fa abbiamo avuto l’ocne radiofonica, “Il disinformatico”, che va casione di venire a vivere nel avanti da quattro anni. Tante cose, anche canton Ticino, che era una troppe forse per la mia salute, nel senso che delle nostre mete favorite fin le indagini antibufala molto spesso mi apdall’inizio. passionano e mi costringono a notti insonni Nel frattempo, però, come perché adesso non ho più i genitori che si mi è sempre capitato nella lamentano se rompo le cose e non smonto vita, da cosa nasceva cosa. più gli oggetti, però la passione, la curiosità Un editore italiano mi aveva è ancora fortissima. L’unico mio rammarico commissionato alcune traè che non ci sono abbastanza ore nella giorduzioni di libri di informanata per poter fare tutto ciò che vorrei. La tica che erano andati molto giornata dovrebbe essere di 48 ore…
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S
ono sempre stato molto curioso e fin da bambino smontavo qualunque cosa mi capitasse a tiro per capire come funzionava. Volevo capirne i meccanismi, una curiosità che conservo ancora oggi. Poi ho avuto la fortuna di avere l’inglese come lingua madre. L’italiano l’ho imparato dopo, quando mio padre è voluto tornare in Italia da York dove sono nato nel 1963. Questo mi ha spianato la strada per quella che ancora oggi è la mia professione principale, la traduzione, di manuali tecnici e di brevetti, professione in cui ho affiancato mio padre finito il liceo. Intanto però la mia curiosità cresceva, assieme alla passione per la tecnologia. Mi interessavo di tutto, dalla fotografia all’astronomia, ma soprattutto alla nascente informatica, perché erano ancora i tempi in cui i computer li avevano solo le aziende, però per vie traverse riuscivo ad avere qualche informazione sull’argomento. Sono stato uno dei primi malati di personal computer in Italia. Appena sono sbarcati i Commodore 64, gli Spectrum Sinclair mi sono precipitato di corsa a comprarne uno, ho passato notti insonni a capire come funzionava e nel giro di un paio d’anni ho imparato abbastanza da fare l’aiuto sistemista in una azienda che aveva i grossi Ibm… semplicemente a furia di studiare manuali, e questo grazie al fatto che conoscevo l’inglese perché traduzioni non ne esistevano. Di nuovo la mia curiosità si è trasformata in lavoro, anche se ben presto ho smesso di fare l’aiuto sistemista perché grazie al mio inglese guadagnavo di più. Facevo sia il traduttore, sia l’interprete nel ramo tecnico. Seguivo i clienti, spiegavo loro come funzionavano i macchinari, ecc. Nei primi anni Novanta ero ormai un libero professionista e la stessa cosa faceva mia moglie Elena. Però la difficoltà in quegli anni era la tassazione italia-
Yazd, Iranshahr
Il cielo in una stanza testo di Claudio Rossetti; fotografie di Massimo Pedrazzini
L’occasione è rappresentata da un viaggio in Iran, un paese sotto il cui “velo” – pesante e imposto con violenza dal potere alle sue genti – si cela una storia millenaria, una cultura ricca di valenze e, soprattutto, un profondo desiderio di cambiamento. Le immagini spettacolari delle cupole delle moschee, che con i loro disegni sembrano spingere l’immaginazione verso dimensioni superiori e metafisiche, rappresentano lo spunto per una riflessione disincantata ma piena di stupore su una nazione e un popolo per troppo tempo ostaggi di una teocrazia esosa e incapace di riconoscere le indispensabili istanze di libertà dei propri cittadini
Castello R창yen, M창h창n, Kerman
Moschea Jameh, Esfahan (sopra); Lard e Keyvan Yazd (a destra)
V
isitare l’Iran è un’esperienza unica e straordinaria. Ci si trova immersi all’interno di un universo culturale che da più di 2.500 anni influenza il mondo: culla di una civiltà che vanta innumerevoli siti archeologici, ma al contempo il paese più “giovane” al mondo, nonché pedina determinante sullo scacchiere politico internazionale. Un paese carico di contraddizioni: la dominazione religiosa, le falle nel sistema economico sono accompagnate da un mondo parallelo e nascosto. Sotto il “velo” iraniano si sta sviluppando una società giovane, colta e con una grande fame di cambiamento. “Anche noi abbiamo diritto alla felicità e al bello. Siamo stanchi di tutte queste limitazioni e dell’oscurantismo, pertanto vogliamo vivere e divertirci come tutti i giovani nel mondo”. È uno dei commenti critici posti su Facebook da un giovane iraniano a seguito dell’intervento intimidatorio della polizia contro un gruppo di ragazzi che aveva organizzato una festa di giochi ad acqua in uno dei parchi della capitale. “Noi esprimiamo la nostra gioia di vivere giocando, mentre voi ci avete violentato sessualmente nelle carceri, noi abbiamo battuto i piedi per terra con le nostre scarpe per divertimento, mentre voi avete usato i vostri scarponi per calpestarci, noi sulla testa mettia-
mo il gel per i capelli, mentre voi sul nostro capo vibrate colpi di manganello, noi ci opponiamo ai vostri carri armati comprati con i nostri soldi, mentre voi vi opponete alle nostre penne comprate con le nostre risorse, voi siete i ministri e noi il popolo, voi siete i puri e noi gli infedeli!”, prosegue il messaggio. L’intervento della polizia contro i giovani che organizzano feste tramite Facebook nei parchi di Teheran ha suscitato le reazioni degli attivisti, dell’opposizione, ma soprattutto della nuova generazione iraniana che, sebbene non si configuri come movimento politico, chiede una maggiore libertà politica e dei costumi, oltre a rivendicare il diritto alla felicità. Fame di libertà Sono ormai anni che una buona fetta della popolazione iraniana si sta distanziando dai valori tradizionali imposti dalla rivoluzione del 1979 sulla cui base è stata istituita la Repubblica islamica. Le ragazze criticano le leggi islamiche limitanti nei loro confronti e chiedono più diritti e la parità assoluta tra uomo e donna. Un simbolo di queste rivendicazioni è riscontrabile nel graduale abbandono del velo obbligatorio da parte di una buona parte delle ragazze iraniane. Sono numerose, per esempio, le ragazze che indossano, in modo sempre meno (...)
Hasht Behesht, Esfahan (sopra); la Grande Moschea dell’Imam a Esfahan (in basso)
Massimo Pedrazzini Classe 1965, nel 1986 ha aperto il proprio studio a Locarno, poi trasferito a Losone. Ha collaborato e collabora con diverse testate ticinesi, fra cui il “Giornale del Popolo” (fino al 2002) e “Cooperazione”. L’attività di fotoreporter lo ha portato a svolgere importanti incarichi: dal Festival del Film di Locarno al New Orleans Jazz di Ascona, dal Carnevale Rabadan di Bellinzona alla collaborazione con la Rega. Dal 2002 si dedica anche alla fotografia pubblicitaria e industriale. Per ulteriori informazioni: www.fotopedrazzini.ch.
Mausoleo di Hafez, Shiraz
ortodosso, l’hijab, esprimendo così il loro dissenso al codice d’abbigliamento imposto da più di trentadue anni dal clero islamico. Così anche i ragazzi, con diversi strumenti quali la musica, il teatro e lo stesso abbigliamento, esprimono il proprio desiderio di libertà. Donne, protagoniste in Iran? La situazione è stata descritta nella letteratura, ma anche da artisti come Shirin Neshat o nel cinema da autori di grande risonanza come Kiarostami e Panahi. Le donne sono protagoniste, in Iran. E non solo nella famiglia. Anche nella società, nella politica (hanno il diritto di voto e di essere elette dal 1963), e nell’economia (nel settore pubblico e privato, nelle Ong). La mistica della luce È quindi ovvio che l’arte rifletta questa realtà che non ha pari con i paesi arabi che con l’Iran confinano. A Esfahan, città che conserva gelosamente lo splendore d’un tempo, alle donne è pure dedicata la Moschea delle Donne, affacciata sulla grande piazza dell’Imam e risalente al regno dello shah Abbas e molto visitata per la sua cupola dorata. Il turista attento scopre la raffigurazione di un pavone al quale i raggi del sole, che a mezzogiorno penetrano nell’edificio, regalano una dorata coda luminosa. Detto questo, le iraniane non godono di una vera parità e lottano per ottenerla. Per spiegare il presente è necessario conoscere la storia: per comprendere una realtà complessa, dove il Novecento inizia con qualche anno di anticipo, bisogna ritornare al 1890. In quest’anno i religiosi strinsero un’alleanza con i mercanti per protestare – con un vero e proprio boicottaggio – contro la decisione dello scià di
dare a uno straniero la concessione del tabacco. Un’alleanza, quella tra religiosi e mercanti, destinata a riannodarsi lungo tutto il secolo e a culminare, nel 1979, nella rivoluzione che trasformerà l’Iran in teocrazia. Sotto le bellissime cupole dell’Iran antico si è svolta una storia millenaria, dalla dinastia di Muzaffaride all’Irangate. Tanti gli occhi rivolti verso l’alto, verso i colori dei mosaici, delle piastrelle colorate, la luce del cielo azzurro, occhi pieni di dolore e speranza. Iraniani che pure hanno sempre amato la poesia. In questo campo culturale la figura di Hafez, il più grande e popolare poeta d’amore della cultura persiana, incarna il confronto tra l’ortodossia delle scuole coraniche, l’intensità mistica dei dervisci e la libertà laica nell’Iran contemporaneo. Ecco un poema dedicato alle donne, ma non solo. Ero perso con lo sguardo verso il mare Ero perso con lo sguardo nell’orizzonte, tutto e tutto appariva come uguale; poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo, ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione di essere imprigionata fra le spine non l’ho colta ma l’ho protetta con le mie mani, non l’ho colta ma con lei ho condiviso e il profumo e le spine tutte quante. Ah, stenderei il mio cuore come un tappeto sotto i tuoi passi, ma temo per i tuoi piedi le spine di cui lo trafiggi. (Hafez / Shams-ad-din Mohammad)
Pensiline. Teatri in movimento testo di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger
Sempre più individui vi si incrociano, stando almeno ai dati
Luoghi
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annuali delle società di trasporto nostrane. Fatto positivo, che indica principalmente due cose: sempre più persone non possono permettersi l’auto (o altri mezzi) e se ce l’hanno vi rinunciano perché non trovano parcheggio. Poi, semmai, dicono gli studi, c’è la motivazione ecologica, quella pratica, ecc. ecc. Comunque pensiline, griffate, “bottiane”, anonime, dismesse, inesistenti. Di bus urbani, suburbani, interurbani, mini o scolastici, pubblici o privati ma comunque di servizio pubblico. Spazi sociali come pochi altri, crocevia di esistenze e di storie umane in movimento. Sotto la pensilina Chi aspetta il bus è, oltre che un po’ filosofo, parte di un luogo, aperto e non, scoperto e non. A volte fin troppo aperto, come in centro a Lugano, diventato, secondo alcuni esponenti comunali dell’Udc, scena di spaccio e di consumo di droghe. Persino luogo di aggressioni, tentati omicidi e insulti, come riportano le cronache locali. Ma a volte fin troppo scoperto, specie se piove e “non c’è nemmeno una mezza tettoia, peggio che nel terzo mondo!” sbotta una blogger nel portale di un quotidiano online ticinese. Ne conosco uno: ad Arbedo-Castione, in direzione nord, non c’è nemmeno una panchina per sedersi, e spesso vi sono utenti seduti a terra, anche sotto il sole cocente. Autopostale, a quanto pare, non c’entra nulla, ma sarebbe il comune che sonnecchia e risparmia. Nessuno gli ha mai detto nulla? Lo dico ora. Ma c’è di peggio: alla fermata del bus, purtroppo, si può anche morire: la tragedia del gennaio 2010 a Malvaglia insegna, si spera. Anziani nel caos Luogo di commerci, di vizi, di chiacchiere, di noia, di giovani senza biglietto, di impiegati e di operai che scendono e salgono, che partono e arrivano. Ma soprattutto di anziani. È il loro bus, quello di una vita, del “Robi” di turno che guida, che conoscono per nome e di cui sanno tutto. E quando viene a
mancare una corsa, scatta la rivolta, la rivolta dei nonnini. Ne sa qualcosa un’azienda toscana che nel febbraio scorso aveva tagliato le corse domenicali: semplicemente “pazzesco” per il presidente della Consulta anziani. Non guidando più l’auto, come ci vanno al cimitero? O all’ospedale a trovare i parenti? O a fare due spese? Qui da noi, tutto okay. Come in un comune del Luganese, dove gli anziani con due franchi vanno in bus a fare la spesa nelle zone commerciali. E dove i giovani tornano dai sabati sera in sicurezza col “night-express”. E anziani che finiscono nel caos anche quando si creano nuove linee, nuove fermate, nuovi piani orari. “Gli autobus li usano soprattutto gli anziani e che senso ha scrivere così in piccolo?”, aveva detto in settembre a un quotidiano trevigiano una vecchietta. Già, che senso ha? Che senso ha metterci di tasca propria ben 10 euro per ingrandire la mappa? Ci sono mai state in Ticino rivolte geriatriche alle fermate dei bus? Non è noto, di sicuro agitazioni adolescenziali a bordo. Uno spunto per l’Associazione ticinese terza età... In tutta tranquillità... I bus dovrebbero contenere il più persone possibile, a uso e consumo di tutti. I tedeschi se li sono inventati per primi, ma i romani erano già degli ecologisti: infatti, il termine autobus deriva da auto (contrazione di “autovettura”) e da omnibus (“per tutti”). Sempre puntuali, altre volte meno, mai gratuiti. Realtà, quest’ultima, che invece funziona altrove, come a Colomiers in Francia, a Perth in Australia, a Niles nell’Illinois, ecc., ma non nella ricca e intasata Svizzera dove preferiamo... pagare! Da non credere. Nel 2008, i ginevrini hanno respinto un’iniziativa in tal senso, anche se almeno in 45mila ci avevano creduto… In ogni caso, se si ha la fortuna che la pensilina sia coperta e comoda, che vi sia un bus, e che i distributori dei biglietti diano il resto, cosa per nulla scontata, la fermata è palcoscenico e spettacolo comportamentale. Si guarda l’orario, magari più volte, non si parla, si attende, si legge qualcosa, si ascolta musica, si riguarda l’orario, e così via. Altrimenti? Taxi (ma si paga caro), autostop (a vostro rischio) o gambe (le vostre). Ci sono centri ancora troppo mal serviti. Ci stiamo lavorando, si dirà, ma siamo nel 2011 e il trasporto pubblico dovrebbe essere all’avanguardia ormai... A Bellinzona, l’ente turistico cittadino afferma ancora, nel suo sito internet, che “è il mezzo migliore per muoversi in tutta tranquillità” nella regione. Mancanza di cognizione. A volte si fa quasi prima in bicicletta. Voglio dire, se i bus della capitale fanno incavolare anche un pastore evangelico mesolcinese (www.albertopool.ch/redattore/ trasporti.html) credo che forse c’è davvero qualcosa che non va. Soprattutto negli orari in settimana: poca frequenza, ma molti bus. Mah! Come nella parte alta del Viale della stazione, in quel mostruoso imbottigliamento di bisonti gialli e blu e bianchi. Spesso troppo grandi per le nostre vie, spesso troppo vuoti per la nostra salute.
Attaccar bottone Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza
Alla
Il primo riconoscimento letterario riguardante il bottone appare nel XII secolo nella Chanson de Roland che cita testualmente “conseils d’orgueil ne vaut nie un boton...”, tanto per indicare una piccola cosa senza valore. Ma è proprio a partire da quel periodo che il bottone diventa parte integrante dell’eleganza di un abito
diffusione del bottone contribuirono pure i crociati importando nelle loro terre il gusto decorativo dei turchi, le cui lunghe vesti pullulavano di questi oggettini pratici e ornamentali. Essendo la storia del bottone quella dell’umanità vestita, si può affermare, con qualche logica, che fin dalla preistoria, i nostri avi dovevano pur aver escogitato qualcosa per allacciare i rudimentali indumenti fatti di velli! E quel qualcosa era probabilmente simile a un alamaro ricavato da un osso. Progenitore di quelli applicati diversi secoli più tardi sull’omonimo cappotto reso celebre dal generale Montgomery. Già nel 55 a.C., i germani avevano addirittura inventato un marchingegno simile ai moderni e raffinatissimi gemelli: due piastrine unite da un segmento di metallo o d’osso, chiamato botan. Da qui l’etimo della parola, senza dubbio. A far scuola provvede alla metà del secolo XIII la Francia: i boutonniers, riuniti in corporazioni artigiane, vengono iscritti nei registri dei mestieri al pari degli orafi, dei fabbricanti di dadi e di scarpe. La sagoma dei bottoni doveva essere perfettamente rotonda e regole precise governavano anche l’uso dei materiali. Ai paternotries era riservato il corno e l’avorio, mentre gli orfèvres lavoravano l’oro, l’argento e il vetro. Ciò, più o meno, accadeva anche in Italia, specialmente a Venezia. Così già nel Medioevo, quelle cosette di scarsa importanza diventano oggetto d’alto artigianato e addirittura di leggi suntuarie. I bottoni di Elisabetta Il Rinascimento conferma anche ai bottoni la raffinatezza e l’eleganza delle sue corti e della produzione artistica. Tant’è che le “allacciature” si allontanano vistosamente dalla pura funzionalità in un crescendo lussuoso di smalti, ceselli e di pietre preziose incastonate. Neppure la regina Elisabetta I d’Inghilterra disdegnava i bottoni-gioiello, le dame di corte raccoglievano sul dorso i ricchi abiti con un grosso esemplare d’oro o d’avorio. Però la sovrana pretese che le uniformi
militari fossero ornate con quelli in vile metallo (ferro, ottone, rame), soprattutto intorno ai paramani della giubba per ovviare così alla rozza abitudine della soldataglia di pulirsi il naso con la manica. Durante tutto il Settecento, furoreggia un’eleganza maschile fatta di trine e jabots e il bottone gioca un ruolo di ineffabile raffinatezza. Sono però gli ultimi magnifici esempi di un’arte che il secolo successivo cederà il passo alla produzione su scala industriale dovuta alla grande, omonima rivoluzione. Ma la vera rivoluzione dell’abbigliamento maschile avviene nella seconda metà dell’Ottocento: la giacca senza falde, così come è arrivata ai nostri giorni, prevedeva l’uso di semplici bottoni circolari a quattro buchi in legno o in corno, rimasti pressoché invariati. Termina così l’era del bottone sfarzoso e ostentato, quasi esclusivamente al maschile, mentre inizia il fascino discreto dell’eleganza borghese sia per lui e, finalmente, per lei. Ricoperti di passamanerie o del tessuto dello stesso abito, i bottoni bombati trionfano in fitte teorie sui primi tailleur (versione femminile dell’abito a giacca maschile), indossati con emancipato entusiasmo da signore e signorine.
Erotismo, arte e nuovi materiali Oggi non si potrebbe immaginare di vestirsi e spogliarsi senza l’ausilio dei bottoni. Sì spogliarsi, perché uno degli usi più intriganti del pratico aggeggio è quello erotico. Presenti in lunghe file, nell’era romantica, hanno racchiuso e celato le grazie delle nostre nonne, così come le caviglie sono state sognate in quanto nascoste da stivaletti abbottonatissimi. Eccoci nel Novecento e con l’avvento della spensierata Belle Epoque i couturiers acquistano sempre maggior fama e autorità. Paul Poiret, per esempio, ispirandosi ai Balletti Russi di Diaghilev, introduce le allacciature asimmetriche alla cosacca. Coco Chanel, affermatasi per la sobria eleganza, sceglie l’Art Déco per bottoni di smalto dalla forma geometrica regolare: esagoni, rombi, ellissi, avvicendandoli a quelli rotondi in madreperla. Elsa Schiaparelli si ispira invece al Surrealismo con esemplari stravaganti in legno laccato, o ceramica, a forma di chicchi di caffè, drupe di cinnamomo, agrumi, melanzane. Energetici o aromatici secondo occorrenza. Non manca l’influenza Art Nouveau, né suggestioni orientali con fiori stilizzati alternati a uccelli del paradiso su fondo di ebano nero di dischi di 7 cm di diametro. Tuttavia il nuovo secolo vede lo sviluppo delle materie plastiche che, a partire tra le due guerre, segna il declino definitivo dei costosi materiali precedenti. Il mondo della celluloide esplode in una varietà di colori mai vista, coinvolgendo ogni tipo di oggetto: dalle palle da biliardo alle pellicole cinematografiche... ai bottoni. La materia che successivamente ottenne più gradimento fu la galalite. Derivata dalla caseina del latte, veniva lavorata e trasformata in una sostanza simile all’agata. Il suo declino fu segnato negli anni Cinquanta dallo sviluppo delle resine, tra le quali il plexiglass, ma i materiali arrivati imbattuti fino ai nostri giorni sono gli acetati e il poliestere. Estremamente concorrenziali per le qualità cromatiche e i bassi costi. Però, tra gli anni Sessanta e Settanta, i nuovi profeti dell’eleganza, cioè gli stilisti del nascente prêt-à-porter, sentono la necessità di personalizzare i capi stilizzando il proprio monogramma su esemplari di metallo o anche di plastica. A proposito di bottoni metallici, ecco che i maschietti si prendono un’ulteriore rivincita con il blazer da ammiraglio, scintillante di prototipi dorati, che trionfa durante gli anni Ottanta e oltre. Si schiude la porta del Duemila, la signora chic riscopre il gusto del bottone e il dischetto, con tutte le sue metamorfosi, ridiventa amato e ricercato. Non solo quando se ne perde uno. Ritorno alla natura Ma quali sono le tendenze attuali riguardo questo piccolo, ma significativo dettaglio di stile? Sulla scia delle pulsioni ecologiche e del rispetto per l’ambiente i bottoni del Gruppo Uniesse scelgono materie prime naturali, quali l’iridescente madreperla, l’esotico cocco, le sfumature inimitabili (e imitate) del corno e del legno. Le collezioni, destinate alle future stagioni, partono da risorse rinnovabili e biodegradabili. Anche nel bottonificio Gritti Group si privilegia la materia prima completamente bio: la madreperla, il corozo (un materiale contenuto nei semi della palma tropicale) e non ultima la galalite per esemplari con un sapore d’antan. Interessante e up to date il fatto che bottoni e fibbie in tali materiali, vengano decorati con il laser, poi verniciati con colori vividi e successivamente ancora laserati per ottenere effetti animalier… molto naturali.
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Astri toro
gemelli
cancro
Dal 24 ottobre acquisterete vigore grazie all’arrivo di Marte nella terza decade del Leone. Da un lato vi aiuterà nell’adottare decisioni di una certa importanza, dall’altro aumenterà i vostri appetiti erotici.
Opportunità professionali grazie agli effetti del trigono tra Giove e Plutone. Incontri sentimentali e fantasie erotiche tra il 23 e il 24 ottobre. Facilmente irascibili i nati nella terza decade tra il 27 e il 28.
Dal 24 ottobre potrete contare sull’appoggio incondizionato di Marte e Saturno favorevoli. Grazie ai due pianeti avrete piena lucidità in qualunque situazione. Decisive le giornate comprese tra il 25 e il 26.
Settore finanziario particolarmente acceso in ordine al passaggio di Marte. Spese impreviste riguardanti l’automobile o vertenze legali. Comunque positivi i rapporti interpersonali e le relazioni sentimentali.
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Il vostro “ego” tenderà a prendere il sopravvento. Spirito fortemente competitivo. State attenti a non farvi un film nella gestione delle relazioni personali. Con Nettuno in opposizione è facile prendere abbagli.
Stanchezza tra il 23 e il 24 in ordine al passaggio lunare nel vostro segno. Favoriti gli incontri romantici a dispetto degli impegni professionali. Ritorni di fiamma. Iniziative coperte da una certa segretezza.
Il mese di ottobre si conclude con una fase particolarmente delicata. Ricordate che se volete fare spazio al nuovo dovete liberarvi del vecchio che non vi appartiene. Stati emotivi amplificati tra il 25 e il 26
Tra il 23 e il 29 sarete influenzati dai transiti di Mercurio e Venere. Problemi con il partner in ordine a situazioni immaginarie. State attenti a non farvi trascinare dall’emotività e da Nettuno. Creatività.
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Grazie a Saturno potrete verificare se i vostri sforzi sono effettivamente all’altezza degli obiettivi che vi siete posti negli ultimi anni. Decisivi gli incontri e le nuove conoscenze nei giorni tra il 25 e il 26.
Grazie al transito di Mercurio nuovi progetti per il futuro e traguardi da raggiungere. Momento utile per confrontarsi con gli amici ed eventualmente individuare obiettivi comuni. Aiuti da parte del partner.
Turbolenze affettive a causa degli aspetti tra Mercurio, Venere e Marte. Momenti di gelosia, o passiva o attiva. Attenti agli sms e alle email in libera uscita. Erotismo comunque in forte crescita. Frenesia.
Dubbi e sospetti in ordine alla giornata del 24 ottobre. Siete sotto gli influssi dell’opposizione Luna-Nettuno ed emotivamente più sensibili del solito... ma le impressioni che ricevete non sono molto precise.
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Orizzontali 1. Fangoso • 10. Vive in solitudine • 11. Alberi d’alto fusto • 12. Nome di donna • 14. Uno dei 5 Grandi Laghi americani • 15. Sono fuori di testa • 16. Un gergo del tennista • 17. Il Sodio del chimico • 18. Uno detto a Zurigo • 19. Strano, inconsueto • 21. Consonanti in dieta • 22. Firma progetti • 23. Città termale belga • 25. Fu generale e presidente americano • 28. Extraterrestri • 29. Tipico impermeabile austriaco • 31. Il nome della Sampò • 33. La fondò E. Mattei • 34. In mezzo al nido • 36. Un distillato • 37. Capita di farlo nell’acqua • 39. Italia e Romania • 41. I confini di Grono • 42. Fiume dell’America meridionale • 44. Nota musicale • 46. Un Profeta • 47. Le iniziali di Merola • 49. Scoscendimento • 51. Il dittongo in giada • 52. Parte di chilo • 53. Il fiume dei Cosacchi.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 44
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 27 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 25 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Il dramma con i personaggi Malaspini, Neri, Fazio e Lapo • 2. Concernenti • 3. Consorte • 4. Aspro • 5. Cuori senza pari • 6. Croce Rossa • 7. Belva striata • 8. La cura l’otorino - 9. La moglie di Socrate • 13. Fiume francese • 15. Rustiche stalle alpine • 17. Gianna, cantante • 20. Lo producono le api • 23. Un tipo di jazz • 24. Misterioso • 26. Gode a far del male • 27. Uno a Londra • 30. Organizzazione Internazionale • 32. Ossa facciali • 35. È vicino a Sonvico • 38. Porto algerino • 40. Il colorito… dell’ottimista • 43. Profonda • 45. Era in voga la Pop • 48. In nessun tempo • 50. Antico Testamento.
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La soluzione corretta del concorso apparso il 7 ottobre è: CORRENTE
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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Alida Bognuda 6592 S. Antonino Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: abbonamento “metà-prezzo” con carta VISA offerto da FFS Un buono per l’acquisto di 1 abbonamento “metà-prezzo” con carta VISA del valore di 135.– CHF. Ulteriori informazioni su: www.ffs.ch/ meta-prezzo.
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