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№ 46

del 18 novembre 2011

con Teleradio 20–26 novembre

Energia nucleare

LA RICERCA CONTINUA

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Ticinosette n° 46 del 18 novembre 2011

Agorà Le prospettive del nucleare

di

Arti Ezra Pound. La forza della musica Levante Una nazione in gioco Incontri Il medico

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oReste bossini . . . .

MaRco alloni . . . . . . . . . . . .

Gaia GRiMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Visioni Ménage à trois Vitae Ezz Abomadi

di

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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

deMis QuadRi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage I ragazzi sono...

di

Fiabe Il principe e l’anello

Fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Teste calde

di

di

4 8 10 12 13 14 39 46 48 50 51

RobeRto Roveda . . . . . . .

K. Gonzato e R. KhatiR . . . .

MaRisa GoRza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

PERFORMANCE AT YOUR FINGERTIPS

“Lunga e diritta correva la strada...” L’intervista a Hans Blix, nell’articolo di apertura di questo numero solleverà perplessità che in parte condividiamo. I dubbi non riguardano il tema della ricerca nel campo dell’energia nucleare – che deve proseguire, a prescindere dalle politiche energetiche degli stati e dalle reazioni emotive –, ma piuttosto le posizioni espresse da Blix già a capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica; e questo sia riguardo al rapporto costi-benefici sul piano della salute pubblica sia relativamente a quelli che dovrebbero essere gli stati virtuosi da lui citati (Russia, Cina, Giordania, ecc. di fatto delle “dittature”). Sostenere poi che le radiazioni sono un fenomeno naturale e dunque non devono essere sovrastimate, è un’affermazione discutibile. Inoltre, ammettendo di disporre delle migliori tecnologie, resta il fatto che le variabili di errore/di incidenti sono ancora elevate e i rischi che ne deriverebbero troppo alti per essere sostenuti. Certo, il 2034 appare oggi lontano ed è molto probabile che in questo lasso di tempo fisici e ingegneri individuino un approccio sicuro all’atomo e al suo utilizzo. Ma nel frattempo è assolutamente condivisibile la cautela espressa dalla classe politica e dalle popolazioni. Sempre in questo numero, pubblichiamo la seconda parte del progetto riservato all’universo dei giovani e ai loro sogni. Questa volta Keri Gonzato e Reza Khatir ci raccontano le speranze e i progetti di sette giovanotti ticinesi che riguardo al futuro sembrano avere le idee piuttosto chiare. Le loro parole, il coraggio e la curiosità che essi manifestano per la vita, la realtà e il lavoro sono certamente di grande auspicio e a tutti loro facciamo i migliori auguri. Cordialmente, la Redazione

Impressum

Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Direttore editoriale Peter Keller Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir

Tiratura controllata 70’634 copie

lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 Amministrazione via Industria bellinzona@publicitas.ch 6933 Muzzano Publicitas Chiasso tel. 091 960 33 83 Pubblicità tel. 091 695 11 00 fax 091 960 31 55 Publicitas Publimag AG fax 091 695 11 04 Mürtschenstrasse 39 Direzione, chiasso@publicitas.ch Postfach redazione, Publicitas Locarno 8010 Zürich composizione tel. 091 759 67 00 tel. +41 44 250 31 31 e stampa fax 091 759 67 06 fax +41 44 250 31 32 Centro Stampa Ticino SA service.zh@publimag.ch locarno@publicitas.ch via Industria www.publimag.ch 6933 Muzzano In copertina Annunci locali tel. 091 960 33 83 La strada è il mio futuro Publicitas Lugano fax 091 968 27 58 Illustrazione di tel. 091 910 35 65 ticino7@cdt.ch fax 091 910 35 49 Francesco Lorenzetti www.ticino7.ch Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA 6500 Bellinzona TBS,LaBuonaStampaSA 6963 Pregassona

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Chiusura redazionale Venerdì 11 novembre


Energia. Le prospettive del nucleare

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Agorà

Attualmente quasi il 40% dell’energia elettrica prodotta in Svizzera proviene dai cinque reattori nucleari presenti sul territorio elvetico. Dopo la tragedia di Fukushima il governo ha deciso di abbandonare entro il 2034 l’energia nucleare, sostituendola con altre fonti. Senza però escludere le attività di ricerca e sviluppo in questo settore strategico di Roberto Roveda

O

ggi circa il 15% dell’energia prodotta a livello mondiale proviene da centrali nucleari e sono innumerevoli gli usi benefici di questa fonte energetica, basti pensare alle sue applicazioni nel campo della diagnostica medica. Eppure, nonostante più di un secolo di studi e di utilizzo del nucleare, nell’immaginario collettivo esso rimane una sorta di tecnologia da “dottor Faust”, mefistofelica e traditrice: apparentemente in grado di dare un grande contributo all’umanità, ma poi fatalmente pericolosa e letale, di fatto incontrollabile. Una diffidenza che diventa rapidamente panico quando in caso di incidente grave, appare evidente la difficoltà degli stati di gestire fino in fondo le emergenze, evitando contaminazioni del territorio e delle persone. Del resto, quanto accaduto a Chernobyl, nel 1986, e recentemente in Giappone, non solo non può essere ignorato ma deve rappresentare, anche per chi appartiene al partito dei nuclearisti, un’occasione per riflettere in modo approfondito non tanto sul rapporto vantaggi/svantaggi dell’energia atomica – che trattandosi di salute pubblica è fuori discussione – ma sul significato che la ricerca in questo settore può avere per lo sviluppo dell’umanità nel suo complesso. L’effetto Fukushima La reazione più immediata dopo la catastrofe di Fukushima è stata naturalmente il rifiuto del nucleare, che si è riflesso rapidamente a livello politico: in Germania, il governo ha

deciso di chiudere le sue centrali, che producono circa il 27% dell’energia del paese, entro il 2022; in Italia un referendum tenuto lo scorso giugno ha ribadito il rifiuto per l’energia atomica, sancito nel 1987 all’indomani dell’incidente di Chernobyl. A fine settembre anche il nostro paese ha deciso di rinunciare a produrre energia elettrica dal nucleare entro il 2034: le centrali esistenti – quattro con cinque reattori – saranno disattivate alla fine del loro ciclo di vita e non saranno sostituite. Per garantire l’energia elettrica necessaria, si punterà, nel quadro della “Strategia Energetica 2050”1, su un maggior risparmio energetico e sull’utilizzo di altre fonti come l’energia idroelettrica, le energie rinnovabili, gli impianti di cogenerazione e le centrali a gas a ciclo combinato. La diversa copertura del fabbisogno energetico, secondo fonti governative, avrà un costo compreso tra lo 0,4% e lo 0,7% del Pil, ossia tra i 2,2 e i 3,8 miliardi di franchi. Insomma, una scelta epocale per la nostra Confederazione, che ha scatenato innumerevoli discussioni a livello politico tanto che alla fine la Camera dei Cantoni al testo della mozione per un abbandono del nucleare, approvata lo scorso giugno dalla Camera del popolo, ha aggiunto una clausola che sancisce che “non sarà emanato alcun divieto di tecnologie”. Quindi si potrà continuare a fare ricerca nel settore nucleare e le istituzioni della Confederazione vigileranno sui progressi conseguiti in questo campo. (...)


Immagine tratta da www.creativecriminals.com


Agorà

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A favore del nucleare: Hans Blix Un compromesso finale che non è piaciuto agli antinuclearisti, ma che consente di garantire alla Svizzera la possibilità di tornare sui propri passi, qualora lo scenario tecnologico cambiasse. Una porta lasciata volutamente aperta, che tiene conto dei molti e autorevoli esperti a livello mondiale convinti dell’impossibilità di fare a meno dell’energia atomica. Non sono pochi a pensare, infatti, che le decisioni del post-Fukushima siano di fatto irrazionali, frutto di paure contingenti. Tra questi una vera autorità a livello mondiale nel campo dell’energia nucleare, lo svedese Hans Blix che di questo tema ha parlato durante una conferenza tenutasi lo scorso 15 settembre al Centro Culturale di Milano e dal titolo “Nucleare: nuove prospettive e nuove responsabilità”2. Blix dal 1981 al 1997 ha ricoperto la carica di direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea); è inoltre stato uno dei primi esperti internazionali a ispezionare Chernobyl ed è noto al vasto pubblico per il suo ruolo di responsabile degli ispettori Onu inviati in Iraq prima della guerra del 2003 alla ricerca di armi di distruzione di massa3. Nelle parole dell’ex direttore dell’Iaea emerge una sorta di frustrazione per le recenti scelte antinucleariste di alcuni governi europei: “Fukushima rappresenta un nuovo shock per il mondo dopo Chernobyl, ma non è la fine del nucleare. Rallenta solo dei processi in atto, a mio parere. La rinuncia al nucleare non è una tendenza a livello mondiale, infatti, molti stati stanno andando nella direzione opposta, puntando decisamente su questa fonte energetica. Nazioni come Russia, Cina, paesi in piena industrializzazione come Giordania, Indonesia, Mongolia, ma anche all’avanguardia come il Regno Unito”. Paura irrazionale, informazione e ricerca Per Blix la paura del nucleare è frutto in buona parte dell’irrazionalità diffusa a cui si somma l’incapacità degli esperti del settore di informare e far conoscere a fondo questa tecnologia. Di far capire, per esempio, che l’energia nucleare “è qualcosa di duplice, come qualsiasi altra cosa sulla Terra. Fa del bene, ma può fare del male. Vale per la chimica, o anche per un semplice coltello: può essere usato per cucinare oppure per ferire”. Tutto viene poi enfatizzato dai media che mirano a conquistare lettori e spettatori e quindi raccontano al pubblico quello che vuole sentirsi dire. L’esperto svedese insiste molto sugli aspetti irrazionali della paura nucleare: “Le persone comuni concepiscono le radiazioni come qualcosa di soprannaturale mentre invece si tratta di un fenomeno che fa parte della natura. Però le radiazioni non possono essere avvertite coi cinque sensi e questo ci fa pensare che non sappiamo come proteggerci. Le cose non stanno così. Per proteggersi dalle radiazioni esistono tecnologie molto sofisticate che nella maggior parte dei casi fanno il loro dovere. Un discorso analogo si può fare per i timori legati ai depositi di scorie radioattive: si parla molto delle fuoriuscite di materiale radioattivo che potrebbero avvenire tra secoli o millenni. Però poi si sostituisce una centrale nucleare con una a combustione fossile, che rilascia nell’atmosfera metalli pesanti e anidride carbonica, sostanze che hanno un impatto oggi, immediato, e che rimangono per sempre in circolazione. Certo, le fuoriuscite radioattive sono pericolose, ma la CO2 lo è ancora di più”. Blix punta anche il dito sulle responsabilità di una classe politica che non sa far altro che

seguire gli istinti dell’opinione pubblica e blandirla con la promessa di utilizzare tecnologie alternative – solare, eolico – che saranno sempre comunque più care dell’atomo, senza assicurare la necessaria continuità di produzione. Per l’ex direttore dell’Iaea, infatti, il nucleare è comunque destinato a rimanere una risorsa energetica insostituibile per il futuro e per questo “è necessario creare una cultura del nucleare, investire nella ricerca perché la tecnologia nucleare è oggi molto complessa e solo con la ricerca si può pensare di migliorarla e renderla in futuro più gestibile. Abbandonare la ricerca sul nucleare, viceversa, significa esporsi a rischi maggiori: come detto sono molti i paesi che punteranno nei prossimi anni sull’energia atomica. La cosa migliore è che lo facciano servendosi di tecnologie costantemente aggiornate e all’avanguardia, quindi più sicure. Dobbiamo metterci in testa che il tema dell’energia, così come quello dell’acqua, è globale, interessa tutti e da tutti deve essere affrontato, soprattutto investendo nella ricerca”. Hans Blix ha delineato un futuro in cui tutti dovremmo fare i conti con l’energia nucleare, volenti o nolenti e ha evidenziato come, a suo parere, tirarsi fuori dalla mischia del tutto significa poi dipendere dalle scelte altrui, anche in materia di sicurezza. Nessuno di noi sa, infatti, con che criteri saranno costruite le centrali nucleari in Mongolia, Indonesia oppure Giordania ed è meglio pensare che queste nazioni possano attingere alle conoscenze acquisite nel corso di decenni nei paesi di antica tradizione nuclearista. Anche perché, ed è stato lo stesso Blix a farlo capire durante il suo intervento, in caso di incidente grave non è così semplice uscirne. L’esperto svedese ci ha ricordato, infatti, che un’area di 30 chilometri attorno a Chernobyl non può essere ancora usata ed è passato un quarto di secolo dal 1986. Inoltre lui stesso presiede il Chernobyl Shelter Fund, il Fondo internazionale per la costruzione dello scudo di Chernobyl, un immenso sarcofago che dovrebbe dire la parola fine alle fuoriuscite che ancora oggi avvengono dal reattore esploso nel 1986 4. Una posizione condivisibile? Il nucleare non è probabilmente una tecnologia da dottor Faust, infida e traditrice; però siamo ancora ben lontani da conoscerla fino in fondo e dominarla facilmente. Ben venga quindi la ricerca in questo settore e tutte le precauzioni possibili prima di dare ulteriore spazio a una tecnologia di produzione energetica non ancora sicura, affidabile e benefica.

note 1 Tutte le informazioni sulla “Strategia Energetica 2050” sono disponibili sul sito dell’Ufficio federale dell’energia (Ufe): www.bfe.admin.ch. 2 È possibile ascoltare l’intera conferenza all’indirizzo: http://www.cmc. milano.it/Archivio/2012/Approfondimenti/110915Blix.MP3 3 Nei giorni precedenti la guerra all’Iraq, Hans Blix era alla testa degli ispettori dell’Onu che dovevano riscontrare l’effettiva presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Non fu trovata alcuna prova della presenza di queste armi come racconta lo stesso Blix nel suo libro Disarmare l’Iraq. La verità su tutte le menzogne (Einaudi, 2004). 4 Il reattore di Chernobyl – esploso nel 1986 – è stato coperto con un sarcofago di cemento armato progettato per durare circa trent’anni. Nel 1997, al vertice del G7 a Denver, è stata fondata la Chernobyl Shelter Fund per raccogliere fondi che permettano di mettere in sicurezza il reattore. Nel 1998 il costo stimato per la sua progettazione e realizzazione raggiungeva i 780 milioni di dollari; ora ha superato la soglia del miliardo di dollari. Una vota realizzato, esso metterebbe in sicurezza il sito per circa 100 anni.


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La forza della musica La scrittura musicale è un aspetto ancora poco conosciuto della produzione del controverso poeta americano. Ezra Pound ha infatti nutrito per tutta la vita una passione viscerale per la musica, che aveva imparato ad amare fin da bambino grazie alle vivaci serate di “far musica insieme” organizzate dai genitori nella casa di famiglia in Pennsylvania di Oreste Bossini

Arti

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Particolare della fotografia di copertina del volume Olga Rudge and Ezra Pound di Anne Conover Carson (Yale University Press, 2001)

Il compositore Virgil Thompson scrisse un’approfondita recensione della prima opera di Ezra Pound, Le Testament, rappresentata a Parigi nel 1923: “La musica non è proprio la musica di un musicista, tuttavia potrebbe essere la miglior musica di un poeta dai tempi di Thomas Campion”. L’interesse di Pound (1885–1972) per la musica si è mescolato in maniera talvolta capricciosa all’attività letteraria e alle numerose altre forme di pensiero di cui si è occupata la sua mente proteiforme. Nei primi anni del suo soggiorno in Europa, Pound si dedicò in maniera sistematica alla critica musicale, scrivendo tra il 1917 e il 1920 con lo pseudonimo di William Atheling un gran numero di articoli sulla rivista londinese “New Age”. L’unico confronto possibile per intelligenza e livello di scrittura di questa parte poco conosciuta della produzione di Pound sono gli scritti musicali di G.B. Shaw, che lo ha preceduto come critico musicale di qualche decennio. La critica musicale tuttavia non era sufficiente a soddisfare nell’animo di Pound il bisogno di un rapporto tra poesia e musica.


La Francia, la scrittura e la musica Dopo il trasferimento a Parigi, nel 1921, il poeta decise di dedicarsi alla musica in maniera più attiva, imparando a suonare lui stesso diversi strumenti, in particolare il fagotto e ogni sorta di strumenti a percussione. In questo periodo cominciò a pensare anche di conferire alle sue ricerche poetiche una dimensione sonora creativa. La passione musicale – eccitata probabilmente dalla conoscenza della violinista americana Olga Rudge – per la quale Pound compose anche diversi brani per violino solo, si fuse in maniera totale con l’espressione poetica. Da questa sorta di matrimonio ermafrodita tra poeta e musicista nacquero nei due decenni successivi diversi lavori sia di genere speculativo, sia di carattere performativo. Tra i lavori teorici spiccano il Trattato sull’armonia e in seguito le dottrine su fenomeni definiti Absolute Rythm e Great Bass, i quali secondo il poeta governavano le forme fondamentali anche della poesia. Sul fronte pratico invece le idee di Pound s’incarnarono in due lavori pensati per essere rappresentati in pubblico, due opere di carattere del tutto eterodosso ispirate a grandi figure poetiche della letteratura romanza: Le Testament e Cavalcanti. La prima ruotava attorno alla figura dell’antesignano dei poeti maudit François Villon e fu terminata nei primi tempi del suo soggiorno a Parigi, all’inizio degli anni Venti. Pound era animato da una fervida immaginazione musicale, ma non conosceva ancora bene la tecnica di composizione. Per la stesura della partitura chiese aiuto in un primo momento alla pianista inglese, Agnes Bedford, che lo aiutò amorevolmente a fissare sulla carta i ritmi e le melodie. Il libretto mescolava il potente francese antico della poesia di Villon e il furore linguistico moderno della prosa di Pound. Gli stridenti contrasti del testo si rispecchiavano soprattutto nella scrittura ritmica d’avanguardia sperimentata dall’autore, che volle accentuare ancora di più la complessità del rapporto tra metro poetico e ritmo musicale nella versione dell’opera rimaneggiata nel 1923 in collaborazione con George Antheil. L’Italia e la riscoperta di Vivaldi L’arrivo del giovane pianista americano a Parigi aveva destato sensazione, anche grazie allo scandalo di serate in stile futurista come quella in occasione della prima rappresentazione del suo rumoroso Ballet mécanique. L’abilità tecnica di Antheil permise a Pound di suddividere il metro in forme musicali davvero estreme, con indicazioni ritmiche spinte fino ai limiti dell’immaginazione, con indicazioni di tempo fluttuanti dall’1/8 al 25/32, ben al di là delle possibilità di esecutori e cantanti. Le Testament venne ripreso ancora nel 1931 dalla radio inglese, grazie alla coraggiosa intraprendenza del direttore del Drama Departiment della Bbc, Archie Harding. L’opera venne arricchita di nuove scene e un po’ semplificata nella parte musicale, con l’aiuto della fedele amica Agnes Bedford, tornata a collaborare con Pound per la parte musicale. Il progetto di Cavalcanti invece prese corpo subito dopo, nella nuova residenza italiana di Pound a Rapallo. Il poeta aveva deciso di trasferirsi in Liguria nel 1928 e lì rimase, incantato dalla presenza misteriosa e potente del mare, fino alla fine della guerra. Mentre Le Testament ruotava attorno alla ricerca di una musicalità connaturata al ritmo poetico, Cavalcanti esplorava le possibilità belcantistiche della voce. La svolta era stata determinata da un insieme di ragioni, non ultima la scoperta della musica di Antonio Vivaldi. Negli anni Trenta la figura del musicista veneziano era ancora

sconosciuta al grande pubblico, che non aveva ancora ascoltato i cicli di Concerti oggi popolarissimi come le Quattro Stagioni. La riscoperta di Vivaldi nel Novecento è dovuta al generoso lascito di manoscritti depositato al Conservatorio di Torino, grazie alla generosità di alcune famiglie ebraiche della città così mal ripagate dalle leggi razziali dello stato fascista. Olga Rudge ebbe la fortuna di consultare tra i primi quel tesoro ancora semisepolto, intuendo l’enorme patrimonio musicale racchiuso in quei manoscritti. All’origine della Vivaldi Renaissance, culminata nella famosa Settimana musicale chigiana organizzata a Siena da Alfredo Casella nel 1939, bisogna riconoscere anche l’opera pionieristica di promozione svolta da Pound e da Olga Rudge negli anni Trenta. La musica di Vivaldi aveva rivelato al poeta la potenza espressiva del colore della scrittura violinistica, ispirata dal virtuosismo della voce umana. La nuova opera Cavalcanti, imperniata sulla figura del caposcuola toscano della poesia del Duecento, esprimeva una visione poetica ormai completamente inserita nell’orizzonte musicale, in accordo alle teorie di Pound elaborate in forma definitiva in un libro intitolato Guide to Kulchur (1938). I reading di Pound degli ultimi Cantos, ascoltabili anche via internet (www.ubu. com), esprimono in maniera molto precisa le idee sostenute nei lavori teorici scritti prima della guerra. I cinque gradi e la poetica di Dante In un saggio del 1934, Dateline, Pound indicava una scala di valore della critica poetica articolata in cinque gradi. Le forme più intense e alte di questa scala riguardano la musica: “la critica attraverso la musica, che significa mettere in musica le parole di un poeta” e infine, superiore a tutte, “la critica con nuove composizioni”. La musica dunque rappresentava per Pound la forma più alta di comprensione della poesia, che raggiungeva la sua piena espressione soltanto immergendosi in maniera completa nella creazione musicale. Da eminente studioso di filologia romanza, Pound amava la poesia italiana del Due-Trecento e in particolare quella di Dante. Nel “Canto II” del Purgatorio si trova un episodio toccante, che rivela come l’idea di una stretta relazione tra musica e poesia agisse anche in Dante. Una figura si stacca dal gruppo dei penitenti in cammino verso la Montagna del Purgatorio. Dante cerca invano di abbracciare per tre volte l’ombra, che lo aveva salutato con tanta dolcezza. È il musico Casella, un amico di gioventù del poeta. Dante, memore della soave bellezza del suo “amoroso canto”, domanda all’amico se gli fosse permesso di cantare, per calmare il suo animo scosso da tante emozioni. Qui conviene citare le due splendide terzine di Dante: “Amor che ne la mente mi ragiona Cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona” “Lo mio maestro e io e quella gente Ch’eran con lui parevan sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente” L’episodio di Casella esprime qualcosa di molto simile all’idea di musica di Pound. Il dolce canto dell’artista riesce a fermare il flusso perpetuo della realtà, come se “a nessun toccasse altro la mente”. Solo la musica, unica tra le arti a trovare posto nel canone speculativo del sapere medioevale, ha il potere immenso e misterioso di fermare il mondo.

Arti

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Una nazione in gioco L’Egitto è pronto per la democrazia? Le prossime elezioni del 28 novembre dovrebbero fornire una prima indicazione, ma il problema egiziano è assai più che elettorale: in gioco sono soprattutto la mentalità e la cultura testo di Marco Alloni illustrazione di Micha Dalcol

Levante

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Il maggior problema con cui attualmente si confronta l’Egitto è la sopravvivenza di automatismi culturali che, malgrado la rivoluzione del 25 gennaio, tendono a spostare il baricentro dal futuro al passato. Allo slancio verso il cambiamento si contrappongono comportamenti, sociali e politici, di chiara marca “mubarakiana”, tipici del dissolto regime dittatoriale. Il primo segnale di questo revanchismo è da ravvisare nell’ambiguità con cui il Consiglio Supremo delle Forze Armate, cioè la giunta militare, affronta gli snodi critici con cui deve fare i conti: primo fra tutti il conflitto interconfessionale fra copti e musulmani. Gli scontri recenti di Maspero – che hanno visto per la prima volta l’esercito schierato apertamente contro i manifestanti copti – hanno mostrato che la giunta militare non è più “una sola cosa con la popolazione”, come veniva scandito nel corso della rivoluzione, ma una possibile nemica. E questo produce, nella maggior parte degli egiziani, un sentimento che definire sospettoso è poco. Vecchie abitudini culturali In effetti gli egiziani non credono più che l’esercito sia in grado di transitare il paese verso la democrazia: temono che miri a consolidare il proprio potere e, come accadde nel 1952 con Nasser, a promettere una ritirata che poi non sarà mai completa. Si accorgono che il governo di transizione, senza venire contrastato o sollecitato diversamente dalla giunta, non sarà in grado di fare opera di “ripulisti” delle cariche dell’antico regime, i cui funzionari continuano a occupare posti di rilievo, soprattutto nei governatorati e nelle campagne. Inoltre, la popolazione teme che la giunta militare favorisca ogni legge elettorale in grado di spianare la strada ai Fratelli Musulmani, consolidando così un’organizzazione che, dalla caduta di Mubarak in avanti, non ha fatto che porsi come unica alternativa credibile al trascorso regime. Sintomi della mentalità di sempre sono poi da ravvisare nella persistente azione della baltaghia, la manovalanza del terrore che, sguinzagliata dagli ex responsabili di regime, continua a più riprese a seminare disordine nel paese, con atti di provocazione sia nei confronti

delle potenze straniere (si veda l’assalto all’ambasciata israeliana) sia nei confronti dell’ordine interno (si vedano le sue infiltrazioni nel corso delle manifestazioni pacifiche di copti e altri gruppi). È inoltre sintomatico che il processo Mubarak, oltre a procedere con esasperante lentezza, abbia visto decine di avvocati, schierati formalmente a difesa delle vittime del regime (i cosiddetti “martiri della Rivoluzione”), ma in realtà intezionati a pretendere dai loro assistiti una parte consistente dei risarcimenti promessi dal governo, al punto da venire schedati in una vera e propria “lista nera”, come se ne potevano produrre nel corso delle sistematiche azioni di corrutela del passato regime. È l’ora della scelta Quanto è dunque possibile credere in un passaggio a un sistema democratico in queste condizioni? Quanto è possibile ridare vigore all’ottimismo della popolazione e sottrarlo ai sussulti controrivoluzionari e revanchisti? La domanda è cruciale, soprattutto se consideriamo che gli stessi media e giornali paiono oggi ritornare sui loro passi ricacciando nelle retrovie la cultura della libertà. Un episodio su tutti: il noto giornalista Yusri Huda ha deciso di abbandonare la sua trasmissione dopo aver ricevuto pressioni da parte della giunta militare. Un segno dei tempi che ripropone pari pari le dinamiche del passato regime, durante il quale ogni scomoda presa di posizione nei media veniva ostacolata o repressa. Siamo alle stesse logiche e aberrazioni, dunque: una televisione privata deve rinunciare alla sua voce più democratica perché apertamente schierata contro le irregolarità della giunta. Forse l’unico segnale che può lasciare ben sperare è quello che ci giunge dall’ordine dei medici, che per la prima volta dopo decenni hanno dato finalmente spazio alle forze liberali. Non è una possibile anticipazione del risultato delle prossime elezioni, ma certamente il segno che una buona parte del paese sta realmente sterzando verso la democrazia. Staremo a vedere. I segnali non sono incoraggianti, ma la popolazione crede ancora di non essersi sollevata invano.


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Il medico Presenza spesso indispensabile nella vita di tutti noi, il medico ricopre un ruolo sociale cruciale. Ma è anche oggetto di luoghi comuni e timori non sempre giustificati testo di Gaia Grimani illustrazione di Micha Dalcol

Incontri

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Qualche anno fa, durante uno sciopero dei medici negli Stati Uniti, fu diffusa una statistica sconcertante: il tasso di mortalità fra la popolazione si era abbassato in modo evidente per tutta la durata della loro astensione dal lavoro. Viene in mente a questo proposito l’abitudine, che pare di origine cinese, di pagare il medico quando si sta bene e non pagarlo, invece, se si sta male. Che cosa accadrebbe se venisse introdotta anche da noi questa usanza? Scherzi a parte, il medico è una presenza centrale della nostra vita: in Svizzera nel 2010 se ne contavano più di 30.000 della medicina cosiddetta tradizionale e 17.200 della medicina complementare, il maggior numero per persona nel mondo. Nonostante ciò, ogni anno vengono formati 600 nuovi medici svizzeri, a cui si aggiungono circa 400 medici stranieri, prevalentemente europei, assunti per coprire un’evidente carenza formativa. Abbracciare questa professione comporta grandi sacrifici, lunghi anni di studio e di specializzazione e una vocazione ad alleviare il dolore altrui e a vincere le malattie. Tra tutte le professioni umane non ce n’è un’altra che implichi la stessa vicinanza con chi ne usufruisce, vicinanza che si protrae, differenziandosi, lungo tutto l’arco della nostra esistenza: eravamo ancora nel ventre materno, quando il medico, dopo aver visitato la nostra mamma, le disse: “Va tutto bene: sarà un bambino sano e robusto!”. Furono sue le mani che ci strapparono dal tepore e ci portarono nel freddo abbagliante della vita, ci palparono, ci visitarono per la prima volta e stabilirono la misura della nostra fame e del nostro sonno. Durante l’infanzia, era una figura che incuteva timore: un uomo o una donna che spingevano cucchiai in gola, ordinavano medicine amare, ci facevano vaccinazioni o punture. Da lui/lei raramente veniva un conforto, ma ci piaceva la caramella finale e il sorriso franco con cui ci congedava ponendo fine alle nostre sofferenze. Le età dell’uomo Da ragazzi, divenne ancor più fastidioso: ci costringeva a letto, quando eravamo in vacanza, ci dichiarava guariti, quando ci aspettava il compito in classe, prescriveva diete, quando avevamo fame e riposo, quando avevamo voglia di andare a giocare con gli amici. Crescendo, il rapporto con il medico

diviene più sporadico: il giovane uomo o la giovane donna non amano sottoporsi a lunghi e fastidiosi check up, la buona salute di cui godono, grazie all’età, li fa sentire onnipotenti e forti. Da anziani, invece, si ritorna a frequentare il medico, gli acciacchi si fanno sentire maggiormente e spesso si passa al geriatra, lo specialista dei nostri tempi longevi. La vita, insomma, è tutta costellata dalla presenza di vari tipi di medico, anche se nel tempo sono cambiate le modalità di approccio al paziente e le malattie. Quando ero bambina e si stava poco bene, infatti, egli veniva a visitare a casa; adesso, febbricitanti o no, bisogna recarsi nel suo studio: escluse pochissime eccezioni, è raro incontrare un medico che faccia le visite a domicilio. Eppure quant’era bello! TriIlava il campanello, qualcuno correva ad aprire e, già al suo apparire nella camera, al suono della sua voce, il dolore, il male sembravano ridursi, prova d’involontaria stregoneria. Il medico di famiglia ha un potere di guarigione e di consolazione che talvolta ignora, ma è fondamentale ed è determinato dalla sua sola presenza. Desiderio di eternità Talvolta, per un malanno un po’ più serio, egli ci consiglia di andare da uno specialista, specie umana un po’ ostica da comprendere. Per lui nessuno è un uomo intero: è il cuore, o il fegato, o la mano o la spalla o il piede. Gli specialisti riducono la nostra umanità a formule chimiche, a esami microscopici, statistiche, tracciati elettrici, macchie radiologiche. Ci vedono a pezzi, quelli di cui sono competenti, col rischio, per fortuna raro, che sfugga loro un particolare importante non pertinente alla loro specialità. La scelta del medico è fondamentale, perché egli è l’unica figura che ci può condurre felicemente dalla prova della malattia al recupero della salute, restituendoci il gusto della vita. Negli ultimi anni si sono diffusi particolari tipi di malattie e disturbi, generando nuove figure professionali: la lotta all’obesità dilagante ha introdotto gli esperti in dietologia e la voglia di vivere a lungo la medicina anti-aging, commovente tentativo dell’uomo di sconfiggere il tempo che passa e annullare la propria decadenza. In fondo aspiriamo tutti all’eternità e il medico, con le ultime scoperte, ci regala l’illusione che essa sia un po’ più vicina.


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Ménage à trois

Zurigo,

Visioni

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» di Roberto Roveda

inizi del Novecento, Carl Gustav Jung (Michael più aderente ai fatti e meno soggetto a enfasi di tipo letterario. Fassbender) è un promettente psichiatra, allievo di Sigmund Sabine Spielrein era nata nel 1885 a Rostov sul Don da una Freud (Viggo Mortensen). È sposato con una donna bene- famiglia di origini ebraiche, il padre era commerciante mentre stante e aspetta un figlio. Nell’ospedale Burghölzli dove la- la madre, casalinga, aveva ricevuto un’istruzione di livello vora, incontra una giovane paziente, Sabine Spielrein (Keira universitario. Primogenita di quattro fratelli, verso il terzo e il Knightley), in preda a crisi di isteria. Jung quarto anno di vita, cominciò a trattenere le decide di provare a curarla con il metodo feci a tal punto che, servendosi del calcagno freudiano: diviene così sempre più intimo per occludere l’ano, impediva la defecazione di questa affascinante diciottenne vittima anche per due settimane. Successivamente durante l’infanzia di violenze familiari, vionei confronti del padre sviluppò un’intensa lenze che hanno condizionato la sua visione attrazione sessuale che si manifestava alla della sessualità. Freud, che vede in Jung il vista delle mani del genitore. suo erede, gli manda inoltre come paziente La situazione andò però via via peggiorando lo psichiatra Otto Gross (Vincent Cassel), con il trascorrere del tempo e verso i diciotto tossicodipendente e dichiaratamente amoanni Sabine non riuscì più a sostenere lo rale. Saranno i suoi provocatori argomenti sguardo con nessuno. Ottenuta la maturità i contro la monogamia a far crollare Jung e genitori decisero di condurla a Zurigo perché a convincerlo a iniziare una relazione con potesse intraprendere gli studi di medicina e Sabine contravvenendo alle regole della al contempo essere curata. terapia analitica. Una relazione che avrà Entra così in contatto con i due grandi conseguenze fondamentali su Jung, su Sapsicoanalisti, una relazione che ha avuto A Dangerous Method regia di David Cronenberg bine e sullo stesso Freud. un importante significato nella storia del Francia, Gran Bretagna, David Cronenberg affronta uno dei temi movimento psicoanalitico anche perché in Canada, Germania, cruciali della storia della psicanalisi delle essa si intrecciano una guarigione personale, Svizzera, 2011 origini, il rapporto tra Freud e Jung e il loro un’avventura spirituale, un amore impossilegame con Sabine Spierlein, non tanto puntando sulla rico- bile oltre che la nascita di alcune importanti idee (la Spielrein struzione dei caratteri, sull’attenzione filologica ai personaggi fu in seguito l’analista dello psicologo e pedagogista svizzero e alle loro idee. Ciò che interessa al regista non è tanto rac- Jean Piaget e grazie alle sue riflessioni teoriche Freud formulerà contare Jung o Freud, ma piuttosto soffermarsi su un aspetto il concetto di istinto di morte). Una materia affascinante che dell’esistenza per raccontarci cosa accade all’essere umano però Cronenberg sembra non riuscire a padroneggiare pienaquando abdica al pieno dominio di sé, quando rompe la bar- mente, lasciandosi trascinare in un eccesso di inquadrature riera tra il desiderio e il dolore e decide di non porre freno ai non convenzionali di scene e situazioni al limite del patinato, propri istinti, masochistici o sadici che siano. nella loro fredda precisione. Un distacco che fa sì che le scene La vicenda, peraltro assai intricata, era già stata portata sugli di violenza associate al sesso presenti nella pellicola rimandino schermi una decina di anni fa da Roberto Faenza (Prendimi un senso di pruriginoso e insistito compiacimento e servano l’anima) e dalla regista svedese Elisabeth Marton (Mi chiamavo poco più che a mostrare le grazie della protagonista. Sabine Spielrein), entrambi usciti nel 2002. Nonostante alla Un’occasione in parte mancata, quindi, un film irrisolto, sceneggiatura del film di Faenza avesse collaborato il noto soprattutto se pensiamo alle potenzialità mostrate in passato psicoanalista junghiano Aldo Carotenuto – a cui si deve fra dal regista. Irrisolto come il protagonista della pellicola, uno l’altro la pubblicazione del diario della Spielrein nonché il Jung incapace di conquistare la piena fiducia del suo maestro carteggio di quest’ultima con Jung e Freud (Diario di una segreta e pronto a negare la relazione con Sabine per evitare scandali simmetria, Astrolabio, 1980) – il documentario svedese appare e perdere il benessere garantito dal suo matrimonio.

Raffreddore?

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senza conservanti

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Libera il naso in pochi minuti – per ore Leggere il foglietto illustrativo. Mepha Pharma SA Quelli con l’arcobaleno


» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Reza Khatir

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Ezz Abomadi

Vitae

piazza Tahrir a manifestare per portare all’Egitto la libertà, un’educazione migliore nelle scuole, delle valide assicurazioni sanitarie, il pane senza umiliazioni: un futuro migliore, insomma. Abbiamo visto che il problema nel mondo arabo non era solo economico. In un paese vicino all’Egitto, la Libia, da quel punto di vista si stava bene, ma anche lì il popolo voleva la sua libertà: per questo ha combattuto contro Gheddafi pagando un prezzo di sangue molto alto. Gli egiziani non sono un popolo che può essere passato in eredità da una persona all’altra: chi governa l’Egitto prima di tutto deve Nato in Egitto, da dieci anni in Svizzera, rispettare la sua gente. Adesha vissuto con partecipazione la recente so avremo le elezioni per un rivoluzione egiziana, nella speranza che nuovo parlamento, poi verranno una nuova costituzione essa porti libertà e democrazia al paese e un nuovo presidente. Penso che l’Egitto sia sulla buona aveva dato le dimissioni, ho strada. Non c’è libertà senza sacrifici, ma pianto per la felicità: gli egitanti popoli hanno dovuto sacrificare molto ziani avevano realizzato un più di noi. Finora quella egiziana è stata una sogno, mostrando al mondo rivoluzione bianca, perché l’esercito, quando con una rivoluzione bianca ha dovuto scegliere tra lo stare accanto al quello di cui sono capaci. potere e al presidente o accanto al popolo, ha Ho seguito molto da vicino scelto il popolo. In piazza Tahrir sono succesle manifestazioni di piazza se cose molto belle in questo senso. Mentre Tahrir e i grandi cambiamenti c’erano i carri armati, un uomo poteva dire che ci sono stati quest’anno: a un altro: “Avvicinati, non avere paura! Quello scrivo e telefono regolarmente sul carro armato è mio figlio Mohammed!”. In ai miei amici e ai miei fratelli. Siria, in Yemen o in Libia non è avvenuta la Il cambiamento è il nucleo stessa cosa. della vita. Dio stesso, quando Dove andrà l’Egitto adesso? Io penso che ha creato il mondo, ha creato sia sulla strada giusta per uscire dalla crisi e le quattro stagioni, il giorno e raggiungere la democrazia. Non bisogna aver la notte, il bianco e il nero. Il paura che l’Egitto diventi un nuovo Iran. popolo egiziano, come quello E questo non perché l’Europa, l’America o arabo, ha sete di cambiamenqualche paese vicino non lo vogliono, ma to; ma per trent’anni, con perché sono gli egiziani stessi a non volerlo. Mubarak come presidente, Molti egiziani vedono in quello turco un ne è stato privato. È vissuto buon esempio: la Turchia è uno stato islasenza poter guardare ai propri mico, dove però la religione è una cosa e la interessi e senza democrazia. politica un’altra. Non dobbiamo mischiarle. Prima che Mubarak lasciasse Chi vuole pregare deve essere rispettato e il governo, c’era chi diceva: può farlo in moschea, in chiesa o a casa “Farà prima il presidente a camsua, ma questo non c’entra con la politica. biare il popolo, che il popolo a Gli egiziani adesso guardano al loro stato cambiare il presidente...”. Ma come a uno stato civile, non religioso. E non gli egiziani avevano bisogno cambieranno delle catene con altre catene, della democrazia, un modello o la monarchia di Mubarak con un’altra di governo del popolo invenmonarchia. Dopo ogni rivoluzione si cerca tato dai greci che però non di capire se un paese si muoverà verso destra esiste nella tradizione araba. o sinistra, verso il socialismo o il liberismo... Sono orgoglioso di essere Io sono curioso e ottimista: sicuramente ci egiziano e mi è dispiaciuto saranno tanti colori, tanti partiti, tante cose non poter essere presente in che finora non esistevano.

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S

ono arrivato in Ticino due anni e mezzo dopo il matrimonio con mia moglie, Isabella, che è italo-svizzera. In Egitto, facevo un mestiere che mi piace moltissimo: l’egittologo. Accompagnavo i turisti in tutto il paese, da Luxor ad Assuan, dal Cairo ad Alessandria, spiegando i monumenti e la storia, dai faraoni all’islam e al cristianesimo. Mi sono laureato in lettere classiche all’Università del Cairo e inoltre ho un diploma superiore in archeologia, egittologia e storia. Ma per diverse ragioni la vita matrimoniale a distanza non poteva durare, per cui abbiamo deciso che mi sarei trasferito in Svizzera. Allora ho messo tutte le lauree da parte e sono ripartito da zero. Ho cominciato a lavorare come venditore in un grande magazzino di Locarno, prima di diventare assistente, poi capo reparto, e infine support manager, braccio destro del direttore. È un lavoro duro, che però mi sta dando tante soddisfazioni: si tratta di una sfida del tutto diversa e sono contento di poter imparare cose sempre nuove. Sono passato dalla cultura al commercio, alle statistiche e ai numeri, ma non si tratta di un campo che ignoravo completamente. Vengo da una famiglia di commercianti: mio padre si occupa di vendita all’ingrosso di alimentari e rifornisce alberghi, supermercati e commercianti al dettaglio. Vivo in Ticino dal 2001, ma ho mantenuto legami molto stretti con l’Egitto, dove torno almeno quattro volte l’anno. In Svizzera mi trovo molto bene, ma quando sono qui mi manca l’Egitto, mentre quando sono laggiù mi manca la Svizzera, che del resto è la patria che ho scelto... Quando lavoravo come egittologo, non avrei mai pensato che il popolo egiziano sarebbe riuscito a trovare la libertà, tanto lo vedevo sottomesso e disperato. E quando ho visto in televisione che Mubarak


testi di Keri Gonzato; fotografie di Reza Khatir

Matteo è fiducia “Voglio credere nell’amore, nella donna e nell’uomo, in un altro mondo possibile”

La vela, il mare, la montagna, leggere, sognare, viaggiare, creare, l’amore: Matteo Minetti in otto parole. Partiamo dalle prime due, che appartengono alla sua vita da sempre: “Dal 2006 ho praticato la vela a livello semi-professionistico creando un progetto che aveva come meta le Olimpiadi di Londra del 2012. Nel 2009 mi sono impegnato quasi al 100% per questa attività. Dal 2010 ho cambiato gli obiettivi e ridotto considerevolmente il tempo dedicato alla competizione”. A lato della sua attività agonistica Matteo ha sempre condiviso la sua passione insegnandola, prima al Circolo Velico di Minusio e poi al Circolo di Lugano, come allenatore della squadra agonistica giovanile. Nella sua vita Matteo ha creato un ponte tra i mari e i monti, e questo ci porta alla terza parola. Al servizio militare ha preferito quello

civile mettendo le sue energie a disposizione dell’Istituto Federale della ricerca sulla neve, la foresta e il paesaggio di Bellinzona. Un percorso, fatto di rocce e voglia di imparare, che ha definito il suo futuro scolastico… Nel 2009 infatti, Matteo ha concluso il bachelor in Geoscienze e ambiente all’Università di Losanna. Questo settembre ha iniziato la Supsi con l’idea di “diventare un buon maestro”. Più in là vorrebbe : “Creare una piccola scuola di vela, per trasmettere la mia passione al maggior numero possibile di persone, far nascere un luogo dove si possa vivere insieme in un modo diverso da quello che la società attuale ci propone, ma che sia comunque connesso ad essa per condividere con tutti attività e momenti di convivialità. Un angolo che permetta di sviluppare la cultura rimanendo legati al territorio, alla natura e all’artigianato, con il sogno di riuscire con la mia compagna e i miei amici a costruire, nel nostro piccolo, un altro mondo possibile dove far crescere i nostri figli”. E con questo fiume caldo di frasi intrecciate a sogni, Matteo ha intessuto il senso delle ultime parole che delineano la sua anima.


Giulio è movimento “Mi considero una persona creativa, un buon lavoratore e un ricercatore instancabile di qualcosa in più…” “Credo che il mio interesse per il design cominci un paio di generazioni fa, da un bisnonno che mi ha lasciato in eredità la passione per l’invenzione” afferma Giulio Parini, creatore di oggetti itinerante. Nel 2008 si è laureato in design alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (Naba) ottenendo un 110 cum laude. Attualmente Giulio sta seguendo un master in product design all’Ecole Cantonale d’Art di Losanna. I periodi in cui ha imparato di più sono però quelli tra un semestre e l’altro… Nel 2009 ha trascorso due mesi e mezzo in un paesino, nell’entroterra dello stato di San Paolo, in Brasile, dove ha lavorato con un sellaio locale: “In quel periodo siamo stati contattati da una compagnia di design, la quale ha voluto che facessimo una collezione di oggetti per ufficio in cuoio vegetale

(o caoutchouc)”. Quest’anno, in un piccolo villaggio vicino a Ubud sull’isola di Bali, ha collaborato per un mese con un artigiano che lavora il bambù. “Di punto in bianco ci si trova a lavorare ogni giorno assieme, a mangiare vicini e a trovare soluzioni comuni. Il fatto di non conoscersi prima e di venire da background totalmente differenti rappresenta la parte più interessante del progetto…”. Quando Giulio ripensa a queste esperienze, raramente rivede l’oggetto o il mobile che è stato disegnato e costruito assieme, piuttosto pensa a quanto si è divertito e ha imparato dagli altri: “In quel momento capisco che il punto non è il lavoro, ma la vita!”. Cosa vuol dire diventare adulti oggi? “Tante cose. Una a cui do molta importanza è il fatto di rafforzare i propri principi ed essere pronto a difenderli, questo mi sembra un atteggiamento da adulto”. Giulio ha un’anima gitana e quindi alla domanda che cosa lo fa sentire vivo... la risposta scatta automatica: “Il viaggio, spostarmi da un posto all’altro e mettermi in gioco”.


Stefano è ricerca “Nel mio percorso scolastico grazie al cielo non mi sono state negate le ambizioni, la creatività e la gioia di scoprire me stesso e il mondo che mi circonda”

Stefano a soli 23 anni ha già in tasca un bel bagaglio di vita e di prese di coscienza. Dopo un’infanzia e un’adolescenza in cui si è potuto esprimere liberamente, ha girato il mondo per studio e ricerca personale. Gli piace esplorare e ha avuto “la benedizione di avere genitori che, pur non spiegandosi perché, si sono sentiti di aiutarmi e lasciarmi fare. La scuola steineriana, che ho frequentato, poi è un buon metodo per incanalare anche le genialità non convenzionali”. La sua peculiare attitudine l’ha spinto a perlustrare la medicina alternativa, e a passare dalla facoltà di medicina a erboristeria, per poi studiare nutrizione e filosofia medica igienista ad Amsterdam. In seguito, ha

studiato naturopatia a Milano e attualmente, in Ticino, sta facendo approfondimenti in iridologia e vorrebbe diventare un terapista complementare. “Inoltre faccio tantissime cose: sono istruttore subacqueo, vado in barca a vela, suono uno strano strumento, l’hang, che mi hanno dato due pazzi bernesi dicendomi, questo è uno specchio...”. In seguito, a un viaggio in Marocco, Stefano si è anche avvicinato alla permacultura, “una filosofia di sviluppo agricolo dove è possibile creare ecosistemi autosufficienti per il nutrimento umano e degli altri animali”. Grazie a queste nuove conoscenze Stefano sta avviando un ecovillaggio in Valle d’Intelvi che ospiterà persone, corsi di alimentazione e pratiche sostenibili di autoproduzione: “Dalla pasta madre per rendere il pane più digeribile al biodisel fatto in casa, perché siamo schiavi del petrolio se scegliamo di esserlo, l’alternativa al terrore che viene mostrato esiste”. Con questo progetto Stefano sta realizzando la visione di “un ambiente con ritmi più pacifici per l’uomo. Un’oasi che si predisponga all’apprendimento”.


Dimitri è gentilezza “Voglio credere che seguendo il mio cuore e le mie passioni riuscirò a vivere nel miglior modo possibile e ad apprezzare ogni attimo” Ciò che fa paura a Dimitri Martino Giugni è “il fatto che oggi moltissimi ragazzi vengono cresciuti con la massima libertà di poter fare quello che vogliono e che spesso e volentieri prendono il sentiero sbagliato”. Lui, sicuramente, non è uno di questi, a una disimpegnata passeggiata in pianura ha preferito una scalata importante. Quest’anno, infatti, ha iniziato medicina a Neuchâtel: “La motivazione è tanta e l’interesse per la materia ancora maggiore. Devo tenere duro così da raggiungere quella vetta, la vetta

che veramente desidero scoprire”. Un obiettivo che si è definito ancora più chiaramente dopo l’esperienza in un ospedale del Bénin, in Africa, vissuta l’estate scorsa: “Un periodo indimenticabile che mi ha segnato nel profondo. L’idea è quella di tornare e di poter aiutare con la mia professione cercando di donare a qualcuno una speranza in più”. La montagna della vita Dimitri la esplora in molti modi e, tra quelli che ama di più, c’è lo snowboard… “L’aria fresca della montagna, la neve, il divertimento e l’istante in cui ti ritrovi in caduta libera, che sia un tuffo o un salto sulla neve sono le cose che mi fanno sentire più vivo”. Diventare adulti oggi? “Vuol dire prendere in mano la propria vita con decisione ma senza perdere di vista quel lato infantile che in ognuno di noi, credo, ci sia e che ci rende allegri e capaci di apprezzare anche le più sottili piccolezze dell'esistenza”.


Roberto è riflessione “Credo che l’essere umano, raggiunta l’età adulta, debba essere in grado di responsabilizzarsi di più e acquisire ulteriore consapevolezza riguardo a se stesso e alle proprie azioni, soprattutto in relazione all’effetto che queste possono avere sugli altri” “All’inizio degli anni Novanta, passavo molto tempo ad ascoltare rock alla radio e fu naturale chiedere una chitarra ai miei genitori. Mi immaginavo di diventare un musicista rock, però ricevetti una chitarra classica... Quando finalmente mi diedero i soldi per comprare la prima chitarra elettrica smisi di giocare a basket e rinunciai praticamente a qualsiasi altra attività. In adolescenza rammento di aver passato intere giornate a suonare...”: Roberto Pianca, chitarrista jazz. A quel punto non c’è più stato verso di mollare la musica e la chitarra, e così, all’età di 20 anni, Roberto migra

verso il Conservatorio di Amsterdam. Svizzera, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Grecia, Stati Uniti e Canada sono i luoghi dove ha portato la sua musica finora. Joey Baron, Russ Lossing, Rafael Schilt, Sienna Dahlen e Savina Yannatou, invece, sono i nomi di alcuni dei musicisti con cui ha avuto il piacere di suonare. Oltre a portare avanti progetti internazionali, Roberto ha un suo trio e, contemporaneamente, lavora con un sassofonista e un batterista al progetto Third Reel. Ciò nonostante, “essere un giovane musicista oggi può essere molto desolante, parlando in modo particolare del jazz, esiste un curioso paradosso, mentre da un lato ci sono sempre più scuole universitarie di musica che pretendono di insegnare il jazz, dall’altro c’è relativamente poco supporto finanziario e aiuto pubblico per questo genere di musica. In questo modo, si crea una sorta di nuova rete di precari”. Ma Roberto non molla anche perché “studiare e suonare sfruttando al massimo il potenziale personale” gli permette di dare un senso alla sua vita. “Come musicista, penso che l’ideale sia continuare a evolversi ed erudirsi ininterrottamente, ma questo vale per ogni percorso che si decide di intraprendere durante la propria vita…”.


Davide è dedizione “A esser sincero, non conosco l’arrivo, non ho un traguardo finale. Mi godo l’esperienza della strada che percorro, raggiungendo obiettivi che mi spingono a proseguire…”

Davide Russo ama il verde della natura, da sempre… Il suo amore ha trovato una forma il giorno in cui, ritrovandosi a lavorare con la terra un po’ per caso si accorge di sentirsi molto a suo agio e di ricordare con molta facilità dettagli come i nomi delle piante. Dal 2009 Davide ha inaugurato la sua attività come Giardiniere Biologico, che porta avanti insieme a un altro giovane, il suo amico giardiniere Alessandro Solcà. Lo stesso anno ha intrapreso gli studi in fitoalimurgia che gli hanno permesso di approfondire la sua conoscenza del mondo delle piante. Assieme ad Alessandro, in seguito, ha creato la Biological Ambiente Sagl, azienda che opera attorno a tutto ciò che concerne la creazione e la cura di spazi verdi naturali.

Ma non solo, tramite l’attività, da qualche tempo propone anche programmi di educazione ambientale nelle scuole, corsi d’introduzione all’ecologia e al giardinaggio, ecc. Davide non vuole tenere la sua passione verde solo per sé… La sua voglia di condividerla è tale che nel 2010 ha anche collaborato con Rete Tre diffondendo cultura “organica” nel quadro di una trasmissione condotta da Manuela Bieri. Per Davide “oggi essere giovani significa guardare oltre. Tutto si crea molto velocemente e le persone hanno poca pazienza, quindi anche la fine delle cose è più celere. Per fare strada un giovane oggi deve avere molte prospettive, tanta passione e non perdere mai il passo”. Tra i vari progetti di Davide ci sono la creazione di un’eco-rivista e lo sviluppo di altre collaborazioni multimediali, come quella già vissuta con Rete Tre. Davide ha deciso di porre tutta la sua energia nel creare il proprio sentiero nella giungla delle possibilità odierne: “Credo che questo cammino mi porterà a essere libero, autosufficiente e gioioso”.


Francesco è indipendenza “L’esperienza della vita che mi ha insegnato di più è la solitudine”

Francesco Lorenzetti è un giovane illustratore e conceptual designer. Il suo interesse oggi sono i videogame e l’intrattenimento, due settori che guarda da una prospettiva nuova. È affascinato dai videogame nei quali scorge un potenziale inesplorato che deve ancora evolvere... Francesco è cresciuto in una fattoria biologica a Maggia in una famiglia eccentrica, il padre è grafico mentre la madre è una levatrice. “La passione per il disegno si è manifestata in tenera età… mia mamma dice che ho cominciato a disegnare prima ancora che riuscissi a sbiascicare qualche parola”. Finite le medie ha frequentato lo Csia a Lugano e, in seguito, la Scuola del Fumetto a Milano per diventare illustratore. Negli ultimi anni ha vissuto tra il Ticino e gli Stati Uniti dove, alla Gnomon School of Visual Effects di Los Angeles, si sta

specializzando in sofisticate forme di grafica con il computer. Ultimamente si è emozionato scoprendo che “all’entrata della scuola di effetti speciali più rinomata di Hollywood hanno appeso una sua illustrazione in formato gigante”. Guardando le sue creazioni ci si trova proiettati in mondi paralleli abitati da creature incredibili, al centro di città futuristiche e foreste inquietanti: “Essere un creativo oggi significa tenere gli occhi ben aperti, trovare nuovi stimoli, nuove idee da tutto ciò che ci circonda, essere flessibili”. Quello che Francesco teme a livello personale è l’ignoranza, il confrontarsi con l’indifferenza, mentre a livello globale lo preoccupa il consumismo, “un gigantesco mostro da combattere”. D’accordo, ma in che modo? “Pensando con la propria testa, dando i propri valori alle cose e assumendosi le proprie responsabilità”.


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Il principe e l’anello trascrizione di Fabio Martini illustrazioni di Céline Meisser

C’era

Fiabe

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una volta… un principe di nome Romer. Un giorno, durante una battuta di caccia, s’imbatté in una bellissima cerva che su una delle corna aveva un anello d’oro. Incuriosito, prese a inseguirla sul suo cavallo e nel farlo si separò dai compagni. Finì così per perdersi finché, dopo tanto vagare, giunse in riva al mare. Sulla spiaggia vide una donna che osservava l’interno di un barile. Avvicinatosi Romer scorse l’anello della cerva sul fondo, ma più cercava di afferrarlo più l’anello si allontanava. La donna, compreso il suo desiderio, gli disse: “Bel cavaliere, provate a entrare nel barile e troverete l’anello”. Il principe seguì il consiglio, ma appena fu all’interno la donna ve lo chiuse dentro. Poco dopo sopraggiunse la marea e il barile iniziò a galleggiare trascinato dalle onde fino a che fu sospinto verso terra. Una volta uscito, il principe si ritrovò in un luogo sconosciuto e cominciò a esplorarlo senza mai incontrare anima viva. A un certo punto senti la terra tremare come sotto i colpi di un grosso maglio. Per la paura si nascose dietro un albero. Si avvicinò un gigante che si sedette davanti all’albero e cominciò a parlargli: “Straniero è inutile che vi nascondiate perché nulla sfugge ai miei occhi”. Ma Romer non si fidava e restava nascosto. “Venite fuori, non vi farò alcun male e poi avrete fame”, disse il gigante. “Seguitemi e vi porterò nella mia casa”. Il principe decise di fidarsi e lo seguì fino a una grande caverna dove il gigante viveva insieme alla moglie. I due ciclopi furono mol-

to gentili, gli diedero da mangiare e saputo che Romer era figlio di re esaudirono ogni sua richiesta a patto che egli non entrasse mai nella loro cucina. Questo divieto accrebbe però la curiosità di Romer che desiderava sapere cosa fosse nascosto in cucina ma non osava entrarvi sia per la promessa fatta ai giganti sia perché un grosso cane di nome Svati-Svati stava di guardia di fronte all’ingresso.

Ma i giganti erano vecchi e un giorno, sapen-

do che era giunta la loro ora, chiesero a Romer di esprimere un desiderio. Il giovane domandò allora di poter entrare in cucina. Nella stanza non c’era nulla di particolare ma Svati-Svati, che era un cane parlante, dichiarò la sua fedeltà a Romer e così decisero di mettersi in cammino. Dopo tanto vagare per il mondo


giunsero nel regno degli Oraniani il cui re li accolse con gentilezza. Ma il consigliere di corte, il cui nome era Otmar, uomo assai geloso, decise di sfidare Romer: chi dei due avesse tagliato più alberi della foresta nell’arco di una giornata avrebbe vinto. Con l’aiuto di Svati-Svati il principe riuscì a vincere la sfida. Allora il re, spinto da Otmar, chiese a Romer di domare due feroci orsi che da tempo terrorizzavano le sue genti. Insieme al suo fido cane, Romer in un battibaleno uccise i due orsi e portò le loro pelli al re. Otmar, al colmo della gelosia, consigliò allora al re di sottoporre il giovane principe a una nuova prova: doveva andare nella casa di una famiglia di giganti che vivevano in cima a una montagna e impossessarsi di tre cose preziose, una veste d’oro, una scacchiera d’oro e infine un lingotto d’oro. Se ce l’avesse fatta avrebbe potuto sposare la principessa degli Oraniani, la bella Euteria. Svati-Svati parlò al principe: “Prima di partire dobbiamo procurarci un sacco di sale”. Con il sale sulle spalle scalarono la montagna fino all’ingresso della caverna dei giganti. Entrati all’interno videro i ciclopi che dormivano e una grossa pentola di minestra che cuoceva sul fuoco. Allora il cane disse al principe di versare tutto il sale nella pentola, quindi si nascosero dietro una roccia. I giganti si svegliarono e affamati si gettarono sul cibo che era però talmente salato che alla gigantessa madre venne una tale sete, ma una tale sete che chiese alla figlia di andare al fiume a prendere dell’acqua. Questa afferrato il secchio, corse alla fonte seguita di nascosto dal cane e dal principe. Mentre era china, intenta a raccogliere acqua, Romer la spinse nel fiume e la corrente se la portò via.

Non vedendola tornare, la gigantessa chiese al figlio di andare al fiume a prender l’acqua ma anche lui fece la stessa fine. Toccò quindi al marito che di malavoglia giunse al fiume e ignaro dell’inganno si avvicinò alla riva. Romer e Svati-Svati lo spinsero nel fiume che se lo portò via. Riempirono allora il secchio d’acqua e si presentarono alla caverna. La gigantessa, sospettosa, chiese che fine avessero fatto i suoi familiari. “Sono al fiume” disse Romer, “gli è venuta una tale sete che hanno chiesto a noi di portarvi l’acqua”. “Allora che aspettate?” chiese la gigantessa assetata. “Ve la daremmo volentieri ma voi dovete darci in cambio la veste, la scacchiera e il lingotto, altrimenti vi terrete la sete”. La gigantessa, compreso l’inganno, si gettò sui due che pronti la fecero cadere nel camino. Malridotta e sbruciacchiata la strega consegnò loro quanto chiedevano e corse al fiume in cerca dei figli, del marito… e di un po’ di refrigerio. Sulla via del ritorno, Romer e SvatiSvati videro una cerva in mezzo al sentiero. Il principe si inchinò e la cerva fece cadere dalle sue corna l’anello che egli raccolse. Il giorno seguente, nel corso delle nozze, Romer donò l’anello alla sua sposa in segno di fedeltà e di eterno amore.

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Ma cosa ti sei Messa in testa? Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza

L’uso di acconciature particolari non è affatto moderno, anzi risale a tempi molto, molto remoti, addirittura preistorici, quando le conchiglie erano utilizzate come monili portati tra le chiome

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a sempre i capelli esprimono un intenso potere di seduzione, soprattutto per le donne, ma non solo. Incarnano altresì valenze di forza e vitalità, come raccontano i miti di Sansone e Berenice. Nell’antico Egitto, l’acconciatura costituiva un emblema di status e non mancavano parrucche ed extension issate sul capo di donne d’alto censo, come pure di principi, sovrani e sacerdoti. Riccioli a profusione adornavano invece la fronte degli uomini della Grecia classica e fuoriuscivano dai morbidi chignon delle donne che facevano il verso alla bella Venere. Né erano meno intraprendenti le matrone romane, sempre in vena di lanciare vere e proprie mode con crocchie di trecce raccolte in complicati grovigli. Si raccontava poi che l’imperatore Caracalla si facesse acconciare la capigliatura nello stile di Alessandro Magno, rendendo così palese la sua ambizione di conquistare il mondo. Perfino un grande condottiero quale Giulio Cesare aveva i suoi bravi complessi riguardo le chiome, giacché non riusciva ad accettare la sua totale pressoché calvizia. Che i capelli simboleggiassero potere e supremazia

lo dimostra anche una pratica in uso in epoca merovingia: le teste dei re detronizzati venivano implacabilmente rasate (usanza punitiva conservata, a quanto pare, durante l’ultima guerra mondiale…). La morale cristiana del primo Medioevo impose costumi rigorosi: capelli corti, tagliati in tondo per gli uomini, mentre le donne dovevano mestamente nasconderli con bende. Solo in epoca feudale le dame dell’aristocrazia cominciarono a portarli sciolti fermati in cima al capo da diademi, ghirlande, reticelle o nastri.

L’esplosione della fantasia Con il Seicento il gusto scenografico del barocco si manifestò con grande sfarzo nelle vesti e nelle acconciature. Una tendenza che raggiunse l’apice nel Settecento quando cascate di boccoli venivano innalzate in cupole architettoniche rette da anime e arricchite da oggetti svariati. Così complesse da ricorrere all’ausilio di pompose parrucche, esteso anche agli uomini. Un elemento che segnò l’eleganza maschile fino


alla Rivoluzione francese. L’epoca romantica caratterizzò le testoline femminili con leggiadre pettinature: bande di riccioli rialzate sulla nuca, oppure ai lati, magari in stretta connessione con cappellino, veletta o pettinini. Tra Ottocento e Novecento si diffusero anche le polveri coloranti naturali, come l’henné in varie sfumature, dal tannino al rabarbaro. Furono però gli anni Venti del secolo scorso a segnare la più grande rivoluzione nella storia dell’acconciatura femminile, a partire dal taglio corto e squadrato alla garçonne, chiamato bob cut, immortalato da Louise Brooks. Più tardi l’invenzione della permanente, prima a caldo e poi a freddo, riporterà in voga ricci e capricci, mentre le stelle del cinema diventeranno modelli a cui ispirarsi. Tinte, tagli, pettinature alla Grace Kelly, alla Liz Taylor, alla Audrey Hepburn… saranno le più richieste dalle signore e la selvaggia coda di cavallo alla Brigitte Bardot sventolerà come una bandiera sulla testa delle teenager di tutto il mondo. Negli anni Sessanta la voglia di trasgressione e di eccessi si manifesta con cotonature esagerate, parrucche e toupet, abbandonati con il ‘68 a favore di capelli lunghi e incolti, divisi dalla riga centrale e senza fronzoli, a parte le fasce colorate attraverso la fronte. Nasce la moda unisex: i capelli degli uomini si allungano come quelli femminili e sarà chiamato capellone ogni giovane che vorrà sentirsi libero dal condizionamento delle tradizioni. Intanto le rock star cominciano a dettar legge in fatto di fogge, prima il ciuffone di Elvis Presley, poi il caschetto dei Beatles e via via noti gruppi rockabilly, hippy, punk, skinhead influenzano le scelte giovanili per tutti gli anni Ottanta. La moda degli ultimi decenni, in bilico tra nostalgiche rivalutazioni e ricerca del nuovo, darà vita a possibilità mai immaginate. I capelli si coloreranno di ogni tinta con forme e tagli di ogni tipo.

Conciate per le feste

“Erano i capei d’oro a l’aura sparsi…” declama il sommo Petrarca. Ed è come se quei capelli avessero un alone incantato attraverso il quale appare Laura, più luminosa che mai. Però sembra che le tinte studiate per ravvivare questa stagione invernale promettano altrettanta magia grazie a cromie ispirate alla forza della natura e alla sua energia vitale. Parola di L’Oreal e della collezione colore Beauté Originelle. Le tendenze si richiamano alle sfumature del cuoio pregiato, dalla corteccia del castagno al beige dorato fino al rosso fulvo. Sei differenti tipi di donna riassumono i nuovi concetti di bellezza dei capelli:

1. La Custode della Luce: i riflessi del granata e del rosso porpora illuminano la base castana, marrone intenso. Il taglio a caschetto, ovvero il bob di buona memoria, concorre all’effetto luminoso.

2. L’Imperatrice del Tempo: il dorato di base biondo medio viene movimentato da ciocche ramate e beige. Hair style lungo, liscio e vaporoso con tanta naturalezza. 3. La Donna Leggenda: un rosso iridescente esalta l’acconciatura

raccolta in morbidi ricci. Uno stile sofisticato e naturale nel contempo. Ideale per le serate delle Feste imminenti. E proprio per conciarci per le feste i famosi hair-stylist della Compagnia della Bellezza hanno studiato altre tre pettinature da far faville.

4. La brunetta tutto pepe: e dai tratti decisi suggerisce un corto taglio scolpito sulla nuca e ai lati. Mentre una folta frangia incastona e valorizza zigomi e occhi, sottolineati da un trucco sapiente. 5. Una soave bellezza bionda: è dedicato uno chignon alto sul capo, composto da una morbida treccia e con tante ciocche che ricadono spontanee e disinvolte intorno al viso.

6. Echi del passato: è un’acconciatura raccolta e cotonata, genere

anni Sessanta, rifinita da una coda di cavallo a boccoli. Magari ottenuta con una furba extension: corsi e ricorsi di vezzi e civetterie.


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Astri toro

gemelli

cancro

Tra il 25 e il 26 novembre momento ideale per un break in compagnia del partner. Romanticismo per i nati nella terza decade favorito dai transiti con Nettuno. Collaborazioni sulla base di affinità spirituali.

Turbamenti tra il 23 e il 24 novembre. Siate meno gelosi e possessivi con il partner. Gran parte degli astri sono dalla vostra parte e lo saranno ancora per diversi mesi. Sfoderate le vostre armi di seduzione.

Per diversi mesi dovrete imparare a convivere con il transito di Marte. Deciderete se porre le vostre energie al servizio della famiglia di origine o muovervi contro di essa. Siete davvero indipendenti?

Tra il 23 e 24 novembre, la Luna è dalla vostra parte. È il momento giusto per affrontare antiche paure. Imparate a rimodulare i rapporti con il partner partendo da una posizione assolutamente complementare.

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Fine mese caratterizzata dal trigono in Sagittario. Grazie a Venere e Mercurio vedrete scattare il vostro potere seduttivo alle stelle. Energia intellettuale al servizio dell’eros. Bene tra il 25 e il 26 novembre.

Grazie agli aspetti e all’incredibile trigono nei segni di terra le vostre capacità analitiche si amplificano e danno il massimo dei frutti. Con Giove e Marte positivi prospettive professionali in crescita.

Incontri tra il 20 e il 26 sollecitati dai transiti di Venere e Mercurio. Realizzazione di importanti progetti al femminile. Vita sentimentale in fermento e romanticismo alle stelle. Liberatevi dei rami secchi!

Tra il 23 e il 24 novembre la Luna sarà di transito nel vostro segno. Questo aspetto avrà l’effetto di amplificare ogni vostra emozione. Attenti a non assumere nella giornata del 23 atteggiamenti infantili.

sagittario

capricorno

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Momento ideale per partire in compagnia del partner verso il luogo dei vostri sogni. Il 23 novembre grandi cambiamenti per i nati nella prima semidecade. Siate veloci nel cogliere l’attimo. Riducete gli zuccheri.

Tra il 23 e il 24 novembre potrete realizzare un progetto a cui tenevate da tempo grazie alla collaborazione dei vostri amici. Molto fortunati e determinati in nati in dicembre grazie a Marte e Plutone.

Malumori tra il 23 e il 24 causati dalla Luna. State lontani dalle persone che non sopportate perché la vostra pazienza è al limite. Momento decisamente più roseo per i nati nella terza decade. Amori in arrivo.

Bene tra il 23 e il 24. Relazioni superficiali stimolate dai transiti di Mercurio e Venere. Attenti a non avere ripercussioni professionali in ordine a una vostra affermazione. Cautela per i nati in febbraio.

» a cura di Elisabetta

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Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 48

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 24 novembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 22 nov. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Predominanti • 10. Celestiale • 11. Cattivo • 12. Un impianto di risalita • 14. Priva di fede • 16. Cuor di panna • 17. La bevanda che si filtra • 18. Le stelle di San Lorenzo • 21. Lo sono i casi... di una nota serie televisiva • 23. Articolo tedesco • 24. Sputa per difendersi • 26. L’alieno di Spielberg • 27. Maestria • 28. Argovia sulle targhe • 29. Sfortuna • 31. Satolli • 33. Ostacoli, imprevisti • 35. Austria e Norvegia • 37. Due al cubo • 38. In mezzo al rogo • 40. Il marito della “reine” • 42. Opera di Verdi • 43. Si tende per tirare • 45. Istituto Tecnico • 46. Dittongo in beato • 47. Arrabbiata • 49. Ossigeno e Iodio • 51. Empiono boccali • 53. La nota più lunga • 55. Pari in fiasco • 56. Collaudato. Verticali 1. La saga con Johnny Depp • 2. Ripetute • 3. Paladino • 4. Mezzo vaso • 5. Pari in mastro • 6. Cereo, bluastro • 7. Torna sempre indietro • 8. Il numero della paura • 9. Incapaci • 13. Ingiunzione • 15. Pari in sacchi • 19. Immaginarie, intangibili • 20. Altro nome dei Dardanelli • 22. Radio Svizzera • 25. Comodità (pl.) • 27. Ontano • 30. Avverbio di luogo • 32. Le iniziali di Pappalardo • 34. Vasi panciuti • 36. Chuck, attore • 39. Un colore • 41. Il mitico aviatore • 44. Pari in contare • 48. Attraversa Berna • 50. Nome di donna • 52. Pronome personale • 54. La fine della “Turandot”.

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La soluzione corretta del concorso apparso il 4 novembre è:

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Premio in palio: abbonamento “metà-prezzo” con carta VISA offerto da FFS Un buono per l’acquisto di 1 abbonamento “metà-prezzo” con carta VISA del valore di 135.– CHF. Ulteriori informazioni su: www.ffs.ch/ meta-prezzo.

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