№ 52
del 30 dicembre 2011
Bundesverfassung der Schweizerischen Eidgenossenschaft
con Teleradio 1.–7 gennaio 2012
Constitution fédérale de la Confédération suisse
Costituzione federale della Confederazione Svizzera
Constituziun federala da la Confederaziun svizra
Präambel Préambule Preambolo
Im Namen Gottes des Allmächtigen! Preambel
Au nom de Dieu Tout-Puissant! In nome di Dio Onnipotente,
Das Schweizervolk und die Kantone, in der VerantEn num da Dieu il Tutpussant!
Le peuple et les Cantons suisses, Conscients de leur responsabilité envers la Création, Résolus à renouveler leur alliance pour renforcer la liberIl Popolo svizzero e i Cantoni, Consci della loro responsabilità di fronte al creato, Risoluti a rinnovare l’alleanza confederale e a consolidarne la coesione interna, al fine di rafforzare la libertà e la democrazia, l’indipendenza e la pace, in
wortung gegenüber der Schöpfung, im Bestreben,
Il pievel svizzer ed ils chantuns, en lur responsabladad envers la creaziun, cun l’intenziun da renovar la lia, per mantegnair la libertad e la democrazia, l’independenza e la pasch en solidaritad ed avertadad vers il mund, cun la voluntad da viver lur varietad en l’unitad en toleranza e respect vicendaivel, conscients da las prestaziuns communablas e da la responsabladad envers las genera-
té, la démocratie, l’indépendance et la paix dans un esprit de solidarité et d’ouverture au monde, Déterminés à vivre ensemble leurs diversités
uno spirito di solidarietà e di apertura al mondo, Determinati a vivere la loro molteplicità nell’unità, nella considerazione e nel rispetto reciproci, Coscienti delle acquisizioni comuni nonché delle loro responsabilità verso le generazioni
den Bund zu erneuern, um Freiheit und Demokratie, ziuns futuras, savend che liber è be quel che dovra sia libertad e che la fermezza dal pievel sa mesira vi dal bainstar dals flaivels, sa dattan la sequenta constituziun.
dans le respect de l’autre et l’équité, Conscients des acquis communs et de leur devoir d’assumer leurs responsabilités envers les générations future, Consci che libero è soltanto chi usa della sua libertà e che la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri, si sono dati la presente Costituzione.
Unabhängigkeit und Frieden in Solidarität und Offen-
futures, Sachant que seul est libre qui use de sa liberté et que la force de la communauté se mesure au bien-être du plus faible de ses membres,
heit gegenüber der Welt zu stärken, im Willen, in geArrêtent la Constitution que voici.
genseitiger Rücksichtnahme und Achtung ihre Vielfalt in der Einheit zu leben, im Bewusstsein der gemeinsamen Errungenschaften und der Verantwortung gegenüber den künftigen Generationen, gewiss, dass frei nur ist, wer seine Freiheit gebraucht, und dass die Stärke des Volkes sich misst am Wohl der Schwachen, geben sich folgende Verfassung. C T › RT › T Z › .–
Centinaia di famiglie vivono in questa bidonville che, nella stagione umida, diventa Villaggio di Koh Kong una fogna a cielo aperto, covo di infezioni e malattie
Amare qualcuno miracolo
invisibile
altri
Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via Ungè 19, 6808 Torricella Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 604 54 66 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch
Ticinosette n° 52 30 dicembre 2011
Agorà Plurilinguismo in Svizzera. Quale italiano? Arti Danza. Nicole Seiler: lo sguardo segreto Media Fumetti. Andy Capp: l’ozio rende liberi
Impressum Tiratura controllata 70’634 copie
Chiusura redazionale Venerdì 23 dicembre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Società Letteratura. I libri panettone Letture Il gesto del silenzio
di
di
di
tiziana Conte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di
eugenio KlueseR. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
alba Minadeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MaRCo JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fabiana testoRi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Cantina Canetti Fiabe Il cappello magico
di
di
KeRi gonzato; FotogRaFie di Reza KhatiR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Riqualificazione edilizia. Metamorfosi urbane
di
KeRi gonzato . . . . . . . . . . . . . . .
Direttore editoriale
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Redattore responsabile
Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Peter Keller
Fabio Martini
4 6 8 10 11 12 14 39 46 48 50 51
RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FRanCesCa Rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Kronos Surreale. Inevitabili incubi Vitae Ottavio Lurati
di
di
di
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
Pubblicità
Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch
Annunci locali
Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch
In copertina
Le lingue della Confederazione Elaborazione grafica di Antonio Bertossi
“Jeder für sich und Gott gegen alle” Esistono due modi assai diversi (e piuttosto scontati) di leggere un anno che si chiude: il primo prevede un riassunto degli eventi, il secondo si orienta invece sui mesi che ci stanno di fronte, e comprende i buoni propositi, le speranze e quel minimo di emozione che le incognite del futuro spesso regalano . Be’, nulla di troppo originale sin qui: è l’eterno “dilemma” che contrappone la riflessione sugli errori (eventuali) del passato a una visione protesa a progettare gli anni a venire . In verità la chiusura di un bilancio – come tutti i buoni contabili, fiduciari e amministratori sanno bene – regala spesso qualche sorpresa . Piccoli errori commessi nel corso dell’ultimo anno diventano improvvisamente macroscopici: spese, ricavi, accantonamenti, attivi e passivi, entrare e uscite inaspettatamente si animano e a volte rifiutano di assumersi qualche responsabilità dell’improvvisa “perdita di performance” dell’azienda . E quando l’azienda si chiama Stato la riflessione e l’analisi degli errori assume inevitabilmente connotazioni politiche: chi avrà mai “sbagliato”, che cosa era meglio fare, chi aveva ragione e chi torto, quanto ha inciso l’eredità dei precedenti governi, perché i responsabili non pagano, ecc . Ma soprattutto, chi rimetterà sulla retta via i costi della macchina paese? In effetti, la riflessione che porta chiunque di noi a concentrarsi per qualche istante su quando di buono abbiamo fatto nel corso dell’ultimo anno dovrebbe comprendere – almeno in piccola parte – un’analisi di quali conseguenze le nostre azioni stanno lasciando e lasceranno nei decenni a venire sulle spalle in particolare dei nostri figli . Come sappiamo, a errori commessi in un recente passato non sempre corrispondono conseguenze a breve termine; le sorprese negative, subdolamente, marciano a passi leggeri e felpati . E la politica degli errori, piccoli ma reiterati, è
un regola aurea delle grandi catastrofi sociali . Nel momento in cui state leggendo questo scritto, buona parte dei mezzi di comunicazione del pianeta avranno lanciato la gara al “riassunto dell’anno” e qualcuno l’avrà forse anche già conclusa: le migliori e peggiori notizie ed eventi, i più importanti e quelli più divertenti, le grandi tragedie e le grandi conquiste . Tutto dentro, nei migliori casi seguendo una cronologia che a volte aiuta, a volte confonde . Certo non sarà facile non parlare dello sconquasso economico-finanziario che da tre anni non ci lascia e che qualche analista non esclude possa regalarci ulteriori pessime notizie . Lo scriveva Alfonso Tuor (contributo riapparso sul “CdT” lo scorso 22 dicembre) a proposito della strada dell’austerità – le solite “lacrime e sangue” sì, ma versati sempre dai soliti noti e raramente dai grandi capitali – sulla quale si sono messi gli stati più indebitati . Ma con una non poco rilevante constatazione: “In un contesto di forte rallentamento della crescita (...) l’austerità è destinata a peggiorare la situazione congiunturale, riducendo le entrate fiscali e facendo aumentare le spese sociali, con il risultato di non raggiungere gli obiettivi prefissati di risanamento dei conti pubblici”. Una situazione che già si è presentata negli anni della Grande Depressione . . . ma forse quello è un passato “poco rappresentativo” . Tuor (secondo alcuni un cronico pessimista) non lasciava scampo all’attuale crisi: “non la si può risolvere”, non certo cercando di far quadrare il bilancio dell’UE contrapponendo virtuosi e meno virtuosi sulla bilancia dell’euro . Pare dunque di capire che quasi certamente le parole d’ordine di questo 2012 saranno “ognuno per sé” . Nulla di nuovo insomma, anche se al momento in pochi sembrano volersi esprimere su un eventuale e deciso intervento divino . Buona lettura e Felice Anno, Giancarlo Fornasier e Fabio Martini
Lingue nazionali. Quale italiano?
4
»
Agorà
La Svizzera vanta una secolare tradizione plurilinguistica, oltre che multiculturale e multireligiosa, che trova la sua espressione nel motto nazionale “Uno per tutti, tutti per uno”. Una diversità difesa anche dalla Costituzione federale che pone i gruppi linguistici sullo stesso piano tutelandone l’identità. Oggi però tutto tende all’omologazione e quindi nella realtà dei fatti appartenere a una minoranza, come quella di lingua italiana, non è sempre facile di Roberto Roveda
G
li svizzeri di lingua italiana rappresentano circa il 6,5% del totale della popolazione elvetica e come minoranza si trovano spesso in una posizione subordinata, nelle decisioni più importanti, rispetto ai due gruppi etnici maggiori, quello di lingua francese e, soprattutto, quello di lingua tedesca. Sappiamo inoltre che la conoscenza della lingua tedesca – meglio ancora dello swissdeutsch – è una sorta di passe-partout se si vuole lavorare ad alti livelli oppure studiare nelle università della Svizzera interna. La lingua italiana rischia quindi di relegare le persone alla sola realtà dei cantoni Ticino e del Grigioni italiano, realtà comunque periferiche rispetto ai centri nevralgici della Confederazione. Secondo alcuni, la scelta potrebbe essere quella dell’omologazione, parlare la lingua delle maggioranze o l’inglese (la lingua “globale”), considerando l’italiano solo un retaggio della tradizione. Viceversa, esiste una terza via, quella di continuare a considerare la lingua italiana una risorsa per le persone che la parlano e un elemento che fa parte dell’essenza stessa dell’essere svizzeri e che si basa sulla convivenza tra diversità. Un argomento complesso di cui abbiamo parlato con Vincenzo Todisco, scrittore di lingua italiana che vive nella parte tedesca dei Grigioni, nonché autore del recente romanzo Rocco e Marittimo (vedi Ticinosette n. 48/2011).
Signor Todisco, che cosa significa per uno scrittore svizzero di lingua italiana vivere in un cantone in cui l’italiano non è la lingua predominante? “Da un punto di vista linguistico e culturale è un po’ come trovarsi in esilio. Abito infatti a Rhäzüns, lontano sia dal Grigioni italiano sia dal Ticino sia dall’Italia. Scrivere in italiano nel canton Grigioni vuol dire quindi situarsi al margine, confrontarsi continuamente con una condizione di isolamento e di minoranza. Grazie alla situazione della mia famiglia, all’interno della quale parliamo le tre lingue cantonali, e al mio lavoro – insegno presso la trilingue Alta scuola pedagogica dei Grigioni – mi trovo giornalmente a utilizzare le lingue e trovo sempre il modo di coltivare la mia italianità. Le condizioni però sono indubbiamente difficili...”.
Quale ruolo svolge o dovrebbe svolgere il canton Ticino? “Il Ticino non è l’unico cantone italofono della Svizzera. I grigionesi di lingua italiana spesso si lamentano, e hanno ragione, per il fatto di essere dimenticati, di essere esclusi dal concetto di Svizzera italiana, troppo spesso equiparata al solo Ticino. Il Ticino non è la Svizzera italiana, è una parte di essa, alla quale appartengono anche il Grigioni italiano e la diaspora italofona sparsa in tutto il paese. In tutto questo il canton Ticino gioca un ruolo importantissimo e non sempre c’è consapevolezza di questo. Il Ticino è per il Grigioni italiano qualcosa come l’alleato più importante per la tutela dell’italiano a livello nazionale. E il Ticino dovrebbe sempre tenerne conto. Importantissimo per esempio è stato l’impegno del Ticino, insieme al Grigioni italiano, a favore del mantenimento dell’italiano nei programmi di insegnamento a livello liceale nei cantoni San Gallo e Obvaldo. Questa solidarietà è importante anche per lo scrittore grigionitaliano, per il quale il Ticino è al contempo destinatario e interlocutore e anche un ponte verso l’Italia. Questo fa sentire uno scrittore meno solo e isolato”.
Quali difficoltà incontra, ma anche quali vantaggi ha? “Pur avendo statuto di lingua ufficiale, nel canton Grigioni l’italiano assume una posizione minoritaria e marginale, tanto che certe forze economiche e in parte anche politiche auspicherebbero, se non proprio la cancellazione della lingua di Dante dai programmi delle scuole elementari del territorio tedescofono, per lo meno l’inversione dell’ordine delle lingue straniere insegnate. Vale a dire prima l’inglese e solo dopo l’italiano. Questo significherebbe naturalmente un ulteriore indebolimento dell’italiano. La scuola è solo uno dei tanti campi di battaglia nei quali si trova coinvolta la lingua italiana. Il clima non è quindi sempre così disteso come potrebbe sembrare. La conseguenza che ne deriva per uno scrittore, e per qualsiasi persona attiva nel mondo della cultura, è quella di dover lavorare molto per far sentire la propria voce, di trovare continuamente una legittimazione, degli interlocutori, ma soprattutto la necessità di uscire dall’isolamento. Quello che a prima vista può sembrare un ostacolo, alla fine però si rivela un’opportunità, perché c’è questa spinta verso l’esterno, questo voler superare le barriere, la curiosità per tutto quello che esiste al di là dei propri confini. La curiosità e la volontà all’apertura diventano quindi doti essenziali. Guai a ripiegare e chiudersi su se stessi! Le minoranze hanno bisogno del confronto, a volte anche doloroso, con l’esterno, non devono aver paura di misurarsi con altri modelli culturali, magari più prestigiosi, perché solo così possono evolversi”.
Perché, a suo parere, la conservazione delle minoranze è così importante per tutta la Confederazione svizzera? “C’è uno scenario che si propone come facile soluzione a molti problemi legati all’eterogeneità linguistica e culturale della Svizzera: e se le diverse regioni linguistiche parlassero tra loro solo una lingua, magari l’inglese che potrebbe diventare una comoda lingua franca? Sarebbe tutto molto più facile, costerebbe di meno, certo, ma significherebbe anche un immenso impoverimento culturale e se non proprio lo smantellamento, sicuramente un colpo durissimo alla coesione nazionale. La convivenza pacifica di lingue diverse rende il nostro paese culturalmente più ricco e ne fa un modello di riferimento per l’intera Europa. Un paese che trascura, ignora o addirittura discrimina le proprie minoranze sarebbe un paese mutilato. Sono convinto che il grado di civiltà di una società si misura anche attraverso il modo in cui questa tratta le proprie minoranze. Così come ci si impegna per la bio ed ecodiversità, allo stesso modo si dovrebbero fare ulteriori sforzi per il mantenimento e la promozione della diversità culturale e linguistica. Una società che tutela con consapevolezza le diverse realtà linguistiche e culturali esistenti al suo interno è una società più democratica, vivace, tollerante e pacifica”.
Quanto conta per uno scrittore svizzero di lingua italiana il legame con l’Italia? “L’Italia rappresenta necessariamente un punto di riferimento linguistico e culturale. Noi scrittori e operatori culturali di confine dobbiamo però guardare all’Italia senza complesso di inferiorità, senza continuare a dire, in modo anche un po’ patetico, che l’italiano non lo sappiamo o lo sappiamo meno bene. Mi domando infatti cosa voglia dire sapere l’italiano e perché un siciliano o un valdostano dovrebbero parlare un italiano migliore rispetto al nostro? Da un punto di vista sociolinguistico sono due italiani semplicemente diversi, senza nessuna distinzione qualitativa. L’atteggiamento che mi piace assumere è quindi questo: l’Italia costituisce un modello di riferimento, al quale anch’io, con la mia esperienza di scrittore, posso trasmettere qualcosa. E infine noi svizzeri di lingua italiana abbiamo un asso nella manica: risultiamo sempre un po’ «esotici» e questo può suscitare curiosità e interesse”.
Oggi il “modello elvetico” basato sul plurilinguismo, sulla multiculturalità e sulla tolleranza vale ancora oppure i segni del tempo sono differenti? “A voler essere polemici si potrebbe dire che se la Svizzera è un paese ufficialmente quadrilingue, i suoi abitanti però non lo sono. Se quello elvetico vale ancora come modello? Assolutamente, mai come adesso. In un momento di crisi a vari livelli, la Svizzera rappresenta un esempio di coesione nella diversità. A pensarci bene, la Svizzera offre una risposta alla minaccia di omologazione derivante dalla globalizzazione. Un paese che riesce a far convivere al suo interno lingue e culture diverse è un paese che mantiene alta la dignità dei singoli e permette loro di coltivare la propria identità. Tutto bene dunque? Non proprio. C’è ancora molto da fare, a livello politico, istituzionale e culturale. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Il plurilinguismo e il multiculturalismo vanno tutelati con cura, giorno per giorno, perché purtroppo non sono mai valori acquisiti una volta per tutte”.
Agorà
5
»
Lo sguardo segreto Nata a Zurigo, insolitamente alta per essere una danzatrice, Nicole Seiler ha un sorriso disarmante. Simpatica e schiva, metodica e infaticabile lavoratrice, è ormai da molti anni una delle artiste più significative e originali nell’ambito della danza contemporanea elvetica di Tiziana Conte
Arti
6
Lo sguardo di Nicole Seiler sul mondo è acuto e ironico, interessato a indagare con sagacia una problematica centrale della società contemporanea: la forza e la fascinazione dell’immagine, dimensione totalizzante del nostro vivere anche quando questa è assente. Come molte bambine inizia ad avvicinarsi alla danza attraverso il balletto classico per poi approdare quasi casualmente, dopo avere anche transitato in Ticino a Verscio da Dimitri, alla scuola Rudra diretta da Béjart a Losanna. Per alcuni anni collabora con diverse compagnie della scena della danza e del teatro nazionale, tra queste solo per citarne alcune, il Teatro Melandro diretto da Omar Porras, con Guilherme Botelho coreografo della compagnia Alias e Philippe Saire. Nel 2002 Nicole Seiler decide di fondare la sua compagnia, e nel 2004 si impone all’attenzione internazionale con lo spettacolo Madame K, un intelligente e ironico lavoro nato dall’interazione del video con la danza, in cui protagonista in scena è il corpo femminile. Un corpo scisso tra l’essere e l’apparire, il reale e il virtuale e in cui sembra prendere forma
una rappresentazione di un femminile a metà strada tra Lara Croft e Paris Hilton. Questi temi verranno poi anche declinati al maschile nella pièce Lui, come pure nelle video istallazioni Dolls e Pixel Babes. Durante la sua esplorazione viene anche sedotta da un immaginario che attinge al genere fantastico. In Ningyo, un solo del 2008, in scena il corpo della danzatrice si presenta per metà umano e per metà animale. È una creatura ambigua e fantastica, forse una sirena, che a seconda delle leggende e delle mitologie può essere associata alla seduzione o alla morte. Come nei precedenti lavori, grazie all’uso dei multimedia, le immagini proiettate e quelle reali si sovrappongono e, ancora una volta, lo sguardo si posa sul corpo femminile come portatore di messaggi complessi e ambivalenti. Vedere con le orecchie Nel corso del tempo la sua ricerca si è fatta più astratta, concettuale e performativa. Nasce così l’originalissimo progetto Living room Dancers, un lavoro che si svolge in diversi appartamenti della città ospitante. Lo spettatore munito di
Fotogrammi tratti dagli spettacoli Playback del 2010 (sopra) e Amauros del 2011 (a sinistra)
cuffie, un mp3 e una cartina, spia coppie che ballano, generi diversi dal tango al tip-tap, nell’intimità delle quattro mura. Anche in questa produzione al centro della sua indagine vi è lo “sguardo”, questa volta l’esperimento artistico diventa interattivo facendo vivere a chi danza e chi guarda un’esperienza in bilico tra vayourismo ed esibizionismo. Nelle ultime due creazioni Nicole Seiler inizia una ricerca sui complessi rapporti esistenti tra immagine e suono. Nel 2010, partendo dalle tecniche utilizzate per la fruizione del cinema per i non udenti, crea Playback che, come già evoca il titolo, si ispira all’omonima tecnica usata spesso negli spettacoli musicali. È una pièce silenziosa, dove gli interpreti come gli spettatori sono stimolati a vivere un’esperienza inusuale. Chi è in scena ascolta la musica in cuffia, ma lo spettatore non può sentire – vede i titoli dei brani in video –; deve quindi intuire e dare un proprio significato a ciò che succede sul palco. È uno spettacolo che con ironia invita a giocare con le nostre associazioni mentali e i nostri riferimenti culturali. Speculare e complementare a questo lavoro è la sua ultima produzione: Amauros. Qui viene rovesciata la problematica: se prima bisognava “ascoltare con gli occhi” ora si è invitati a “vedere con le orecchie”. Assente dunque non più la musica, ma l’immagine. Come per il precedente lavoro, l’operazione estetica e concettuale è quella di destabilizzare e stimolare una nuova visione, un nuovo ascolto, pungolando l’immaginario dello spettatore. Lei è sia danzatrice sia videoartista. Come si avvicina a questi due media durante la creazione? Come riassumerebbe la sua ricerca artistica? “Nel mio lavoro artistico il video e la danza hanno sempre grande importanza. Li utilizzo in modo sinergico: da questo incontro si originano poi degli spettacoli di danza multimediali oppure dei video e delle installazioni coreografiche. In questi ultimi anni ho iniziato un ciclo di creazioni che hanno per tema le relazioni esistenti tra suono e immagine. Ogni lavoro apre delle nuove finestre
su un determinato aspetto di questa complesso rapporto creando una sorta di continuità tematica, diretta o indiretta. La danza e il video sono per me due pensieri e medium indissociabili che si interrogano, che dialogano. Questo «matrimonio» mi permette di creare delle nuove immagini di corpi in movimento. Nei miei primi lavori ho realizzato io stessa sia la parte video che quella coreografica e questo ne ha facilitato la simbiosi. Oggi riesco con più facilità a delegare, aprendomi a rapporti di collaborazione con degli specialisti del settore, dando così a me e alle mie creazioni la possibilità di beneficiare delle competenze tecniche più avanzate che mi sono suggerite da altri videoartisti e/o tecnici video”. Nel corso degli anni i suoi spettacoli si sono via via allontanati dalla narrazione per spingersi sempre più verso l’astrazione. In questa sua evoluzione artistica intravede comunque una costante stilistica che la caratterizza? “Credo che il potenziale narrativo dell’astrazione sia enorme. Non ho quindi abbandonato questa dimensione, ma cerco oggi altri mezzi per raggiungerla e comunicarla. Lavoro sempre con la forza dell’immagine anche quando questa è assente; sono affascinata dalla virtuosità del danzatore anche quando vi è assenza di movimento”. Quali indicazioni suggerirebbe a un potenziale spettatore affinché possa capire meglio il suo lavoro? “Credo che non ci sia sempre necessità di capire tutto; non vi è mai una sola possibile lettura di uno spettacolo…”. Spesso le sue produzioni nascono da un lavoro collettivo con gli interpreti, ci può descrivere come lavorate in fase di creazione? “È come il gioco del ping-pong. Non solo collaboro strettamente con gli interpreti, ma con tutta l’équipe tecnica: tecnici luci, scenografi, videoartisti, costumisti, compositori, drammaturghi, ecc. Arrivo alle prove con alcune idee di partenza, loro me le rimbalzano, poi di nuovo io le ripasso a loro”.
Arti
7
»
L’ozio rende liberi Hartlepool è una piccola cittadina dell’Inghilterra nord-orientale. Vi abita uno strano personaggio con il berretto di lana scozzese perennemente calato sugli occhi e un immancabile bicchiere di birra nella mano destra. Il suo nome è Capp, Andy Capp...
di Eugenio Klueser
Media
8
Immutabile, inattaccabile, inossidabile… solo con questi aggettivi è possibile definire un tipastro come Andy Capp, il personaggio a fumetti che per decenni ha campeggiato nella pagina centrale della Settimana Enigmistica nella rubrica intitolata “Le vicende di Carlo e Alice”. Da più di mezzo secolo, esattamente dal 1957, fa sempre più o meno le stesse cose – una partita a football, il cascamorto con una ragazza che potrebbe essere sua figlia, si ubriaca al pub o sfugge ai creditori, soprattutto rende la vita impossibile a quella santa donna di sua moglie Flo –, eppure bastano pochi tratti di matita e china, un’espressione, una battuta folgorante e il buon umore è assicurato. Il nostro ometto con il cappello sugli occhi è, infatti, la quintessenza dell’umorismo britannico, quello che non fa scompisciare dalle risate, ma che sa rendere la vita più leggera. Una coppia “comune” Per tanti lettori del londinese “Daily Mirror” (la “casa” originaria di Andy e Flo) e per quelli di altre 1.700 testate sparse per il mondo è stato così per mezzo secolo, fino al 1998, quando venne a mancare il creatore e disegnatore unico delle strip del personaggio, Reg Smythe. Difficile raccogliere l’eredita di un vignettista che si era coccolato la sua creatura lungo migliaia di strisce senza mai cedere il testimone; difficile ricreare quel giusto mix di humor e comicità che Smythe aveva ricavato avendo avuto per molti anni dei modelli in carne e ossa a cui ispirarsi per i suoi personaggi, avendo visto con i propri occhi molte delle situazioni riportate nei suoi fumetti. Andy e Flo furono modellati a immagine a somiglianza dei genitori del vignettista, che si chiamavano appunto Andy e Florrie e abitavano a Hartlepool, Inghilterra ai confini con la Scozia. Intorno a loro si muoveva quell’universo di sfaccendati, accaniti frequentatori di pub e biliardi, di donne insoddisfatte e un poco civette e pettegole che ritroviamo in Andy Capp. Una umanità non particolarmente virtuosa né produttiva che però alla fine, qualsiasi cosa succeda nella striscia, non smette di suscitare simpatia per la sfrontatezza con cui questi personaggi – con Andy a far da condottiero – riescono a ribaltare tutte le certezze esistenti sul buon vivere in società.
Se i miti odierni sono l’iperattivismo, il successo nel lavoro come espressione del successo nella vita, la forma fisica, la vita sana e all’aria aperta, l’essere sempre al passo con i tempi e le mode, il politically correct, ebbene il signor Capp stravolge in un battibaleno tutti questi capisaldi. Le sue regole imprescindibili sono, infatti, poltrire sul divano fino all’apertura del pub, riscuotere il sussidio di disoccupazione, bere fino a doversi trascinare carponi a casa, girare con indosso la solita giacchetta nera fuori moda da decenni, non alzare mai un dito per aiutare la moglie nelle faccende di casa. Un rivoluzionario dormiente Di moto Andy ne fa solo quando deve scappare all’esattore delle tasse oppure fare una sgambata per sentirsi giovane in un campo di calcio. Non che sia un rozzo maschilista o un conservatore, non ci tiene per nulla a fare il capo famiglia o a essere lui quello che porta i soldi a casa. È ben contento che a questo pensi Flo e che dal suo borsellino arrivino i soldi per birra e sigarette. Viva l’emancipazione femminile, almeno in questo caso! E poi ammettiamolo, un poco di invidia per Andy c’è: per tutto quel tempo libero che si trova a dover riempire e per il suo non sembrare mai minimamente annoiato o bisognoso di fare qualcosa di nuovo per sentirsi meglio. Niente stress, niente ansie, il nostro ometto è un uomo libero, uno su cui la moderna società dei consumi, del produrre e del lavorare a cottimo non è riuscita a mettere le mani. Il personaggio di Smythe non crede nell’etica del lavoro, non crede nel progresso della società né che sia necessario impegnarsi per migliorarla. Insomma un elemento potenzialmente destabilizzatore, il signor Capp, perché capace in poche battute di buttare all’aria tutti i principi del buon cittadino senza che la cosa lo tocchi minimamente: sfaccendato, disoccupato, vanesio e parassita, non prova alcuna vergogna di essere quello che è, anche perché dal suo punto di vista si può vivere solo così. Insomma un rivoluzionario che, per fortuna dell’establishment, è troppo pigro per alzarsi dal divano e fare la rivoluzione. Anche perché sta per cominciare la partita in tv. invito alla lettura Reg Smythe Il mondo di Andy Capp Panini Comics, 2004 Una selezione delle migliori strip del personaggio creato da Reg Smythe, con tutto il suo universo di personaggi del proletariato urbano inglese, e tutto l’humor pungente e acuto di un maestro del fumetto anglosassone. I disegni in queste pagine sono tratti da www.potatopiebadbusiness.com.
Media
9
»
I libri panettone Non esistono soltanto i cine-panettone, ma anche i libri-regalo giunti a Natale e abbandonati subito dopo essere stati scartati. Libri destinati, prima o poi, a riempire gli scaffali di biblioteche e associazioni culturali testo di Alba Minadeo illustrazione di Bruno Machado
Società
10
Ecco che cosa scriveva tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento nel suo racconto “Frode sulla mercanzia” Pitigrilli, pseudonimo di Dino Segre, scrittore e aforista italiano: “Un libro può andare incontro ad avventure diverse: che il compratore lo abbandoni alla seconda pagina, che chi lo ha ricevuto in dono lo riporti al libraio pregandolo di ridargliene un altro in cambio, di essere abbandonato in un ripostiglio come si lascia nel piatto una costoletta tagliata in due, con le posate in croce, perché immangiabile, e che segni la rottura definitiva dei rapporti tra colui che dovrebbe leggere e colui che non avrebbe mai dovuto scrivere. Ci sono dei letterati, e costituiscono la maggioranza, dei quali non leggeremo più una riga, perché ne abbiamo già letto una pagina”. Molti libri di questo tipo sono spesso donati a biblioteche, circoli culturali, dopo-lavoro o alle librerie delle scuole e degli ospedali. Se chiedete a chi si occupa con passione di catalogarli di quali libri sono fatti i lasciti, scoprirete che sono più o meno sempre gli stessi, tanto che è possibile stilare una classifica dei dieci libri in lingua italiana “più ceduti”. Tra i “libri polpettone” – ancorché fondamentali e regolarmente inseriti negli elenchi dei libri da leggere – al primo posto c’è Leonardo Sciascia con Il giorno della civetta; al secondo Carlo Levi con Cristo si è fermato a Eboli. Segue Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde di Robert Louis Stevenson e quindi Luis Sepúlveda con Incontro d’amore in un paese in guerra. C’è poi Ignazio Silone e il suo Fontamara ex aequo con La Certosa di Parma di Stendhal. La casa degli spiriti di Isabel Allende è al sesto posto con Cuore di Edmondo De Amicis. Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez è al settimo in compagnia de Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Lewis Roy. Chiudono, buoni ultimi, l’Ulisse di James Joyce e due classici di Umberto Eco, Il pendolo di Foucault e Il nome della rosa. Libri interrotti e ceduti Questi tre libri, non a caso, figurano anche ai primi posti della classifica dei “libri interrotti” pubblicata lo scorso settembre da “Saturno”, l’inserto culturale de “Il fatto quotidiano”: libri abbandonati alle prime pagine – buona regola sarebbe arriva-
re almeno a pagina trenta –, che non sono piaciuti ai lettori perché, a onta del valore intrinseco, non erano nelle loro corde. Non sono altresì ceduti i libri che hanno bisogno di una rilettura per essere assimilati, che il lettore si ripromette di rileggere integralmente un giorno o l’altro come, per esempio, Il giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse. Tra i “libri panettone” troviamo invece, a pari “demerito”, City di Alessandro Baricco e Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro; Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés, E venne chiamata due cuori di Marlo Morgan, L’uomo che sussurrava ai cavalli di Nicholas Evans, La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci e ancora Messaggio per un’aquila che si crede un pollo di Anthony De Mello, Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, senza considerare i vari Clavell, Faletti, Follett, Grisham, King, le Carré, Sheldon, Smith, Sparks, West... perché non c’è abbastanza spazio in questo articolo, oltre che sugli scaffali. Il piacere del possesso Nel suo libro 84, Charing Cross Road da cui è stato tratto un bellissimo film, Helene Hanff scriveva: “Ogni primavera faccio le pulizie generali alla mia libreria ed elimino i libri che non rileggerò mai più, come elimino i vecchi vestiti che so che non indosserò mai più. E tutti si scandalizzano molto per questo. I miei amici sono strani con i libri. Leggono tutti i best seller, li divorano il più velocemente possibile, penso che saltino un sacco di pagine. E non rileggono mai nulla una seconda volta, di modo che un anno dopo non ne ricordano una sola parola. Eppure, se mi vedono (…) dar via un libro si scandalizzano profondamente. Secondo loro compri un libro, lo leggi, lo metti nella libreria, non lo riapri più per il resto dei tuoi giorni, ma non lo dài via! Soprattutto se ha la copertina rigida!”. Secondo il Feng-shui – antica arte cinese di geomanzia della casa –, bisogna liberare lo spazio per far fluire l’energia. E allora, in occasione di queste feste o di futuri compleanni, l’idea potrebbe essere quella di regalare un libro usato, come scelta etica e consapevole, rispettosa dell’ambiente, che promuove uno stile di consumo critico e sostenibile, rivalorizza i libri e magari salva qualche albero: un dono con, in più, il fascino della storia e del tempo.
»
Il gesto del silenzio
Sulla copertina di questo libro Umberto Galimberti appare
» di Francesca Rigotti
se non quella di procedere, quasi in una lettura filosofica dei in una posa perlomeno bizzarra per un uomo adulto: il ma- versi del grande poeta spagnolo Antonio Machado: Caminanturo filosofo sceglie infatti di farsi riprendere col pollice in te no hay camino, / se hace camino al andar (“Viandante, non bocca. Un richiamo alla sua abitudine di fuc’è via, /la via si fa con l’andare”). Si avanza mare? Una allusione ironica alla regressione? facendo strada, non seguendo una via già Benché nel libro non vi siano spiegazioni di segnata, mentre una dimensione nuova e sorta, l’interpretazione mi appare banale. inesplorata si apre al viandante: la filosofia Preferisco pensare che Galimberti ripeta la non è una sapienza, ci dice Galimberti, la posa del dio greco del silenzio, Arpocrate, filosofia non sa, la filosofia cerca. erede a sua volta della equivalente divinità Galimberti come Socrate dunque, alla ricerca egiziana, il dio bambino Horus, che col dito del vero, del bello e del giusto che magari appoggiato alle labbra invitava al silenzio e sono incrostati di false opinioni, fedi e al rispetto del segreto, ssssss... A tacere e a pregiudizi, e che bisogna ripulire per porseguirlo, a questo esorta il viandante della tare al loro splendore, allo “stare in piedi” filosofia Umberto Galimberti sempre in camdell’episteme (che proprio questo significa, mino alla ricerca del suo racconto di verità, stare in piedi). finemente intervistato in queste pagine dallo Oggi questo senso della ricerca si ritrova scrittore e collaboratore del priodico Microprevalentemente nei laboratori scientifici, Mega e di Ticinosette, Marco Alloni. dove un gruppo di persone cerca, fa ricerca Il viandante della filosofia di Umberto Galimberti Il viandante, spiega Galimberti nel volumetanche se la verità che si cerca sarà, sostiene con Marco Alloni to, non è il viaggiatore che parte per raggiunGalimberti, sempre provvisoria finché non Aliberti editore, 2011 gere una determinata meta: il viandante è arriveranno nuovi, ulteriori argomenti a colui che “deve risolvere i problemi di situazione in situazione”; demolirla. Galimberti come Socrate – maieuta, ostetrico colui per il quale il momento dell’intervallo è fondamentale dell’anima e insieme bimbo appena nato, emblema di libertà perché è lì che si prendono le decisioni per continuare il cam- e di novità – col suo dito in bocca invita i lettori al silenzio mino quando non si ha né una mappa né altra destinazione e alla riflessione.
Il nostro pacchetto esclusivo: Google Phone esclusivo. In esclusiva con Sunrise.
1.– CHF
Samsung Galaxy Nexus • • •
ampio display HD Super Amoled da 4.65" fotocamera da 5 megapixel ultimo sistema operativo Android 4.0
* Chiamate illimitate verso tutte le reti mobili svizzere. In caso di nuova stipula con Sunrise sunflat 3 (CHF 95.–/mese) per 24 mesi. Anziché CHF 648.– senza abbonamento. Esclusa carta SIM a CHF 40.–. Con riserva di modifiche e solo fino ad esaurimento scorte. Tutte le informazioni e le tariffe su sunrise.ch
Surreale. Inevitabili incubi testo di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger
Kronos
12
Luccicanti e possenti colonne vertebrali si stagliano oltre il nostro piccolo corpo, oltre il grande organo sensibile, che è la pelle, ma connesse con nervi sollecitati, stimolando muscoli ormai atrofizzati. Non sono le nostre, né le loro, ma di esseri spaventosi a metà tra l’umano – imperfetto nella sua perfezione –, il rettile – freddo e implacabile –, e la macchina. Un incubo, forse anche il tuo, o qualcosa di simile, diventa immagine distorta, paesaggio intoccabile, fugace doloroso ricordo. Finché qualcuno, oltre il reale di “gigeriana” memoria, nella sua onirica ma lucida follia, non riesce a farlo combaciare con la propria spaventosa visione. Umano, rettile, macchina. Sangue caldo, sangue freddo, sangue unto: chi vivrà più a lungo? La carne intelligente ma autolesionista, la carne delle pulsioni ma stupida, la carne d’acciaio ma bisognosa di alimentazione? Viscere parlanti Tu umano che leggi, osservi e selezioni e ricordi un po’, dentro la tua ridicola corazza tenti di prolungare una miserabile esistenza, magari già fallita a metà, perché fatta solo di parole incompiute e di materia inorganica, di quella materia che ti vanti di creare e di trasformare all’infinito. È questo che sai fare? Fare e rifare le stesse cose, gli stessi errori? Allora l’incubo, il buio, il dolore, la solitudine, le tenebre, saranno solo tue. E non ti accorgi ancora che, inquinante, la materia che imperterrito alimenti ti soffoca e ti uccide lentamente. Ci soffoca e ci uccide, ogni giorno, ogni notte, a ogni risveglio. Maledetta la tua esistenza, se genera solo scomparsa. Hai paura di quei giganti che credevi sepolti, ma che riaffiorano nei luoghi che pensavi tuoi, sicuri e familiari? Fai bene. E ti senti inglobato perché infima presenza nel tutto che non comprendi. Allora sii umile, pensa al verme che ti divora e diventa tenia a tua volta, impara a brulicare laddove non c’è luce, né calore, ma solo umidità e sporcizia nutriente. Un parassita non deve farsi scrupoli: mangia, divora, consuma! Fino a scoppiare, fino alle viscere che contieni, per lasciare solo uno scheletro scheggiato, antico pasto di altri viscidi vermi.
La bestia che dorme Dalle sue fauci incancrenite escono solo grida e lamenti. Ha fame, la bestia, ha sempre fame. Non sarà mai sazia finché l’umano la dominerà con furbizia e malvagità. Ma furbo non è chi annienta per suo godimento, semmai stolto. Non te ne accorgi? Fai già parte di lei, sei lei. Malvagio è il sentimento che nascondi perché non conosci, pericolosa è la pulsione che ti scorre nelle vene, la rabbia che covi tra un sonno e l’altro. Finché l’incubo si materializza. Solo allora il rettile, che attendeva, attacca e digerisce quelle tenere carni, sciogliendole nel suo stomaco acidulo ed espellendole nel mondo. Diventi concime. Il putridume in cui vive è la pulizia asettica che assilla l’umano e le sue difese farmacologiche. Eppure di biologie simili si parla, dipendenti entrambe dal calore e dal liquido. Ma caldo è anche il ventre del mostro, liquida è la bava schiumosa che cola tra le sue zanne. Sensuale uguale è la donna sospesa da cavi idraulici, con la testa di serpente, le vene come tubi, le mani a tenaglia, il sesso a ingranaggio. Il suo amplesso con il rettile biomeccanico tratteggia l’indescrivibile. Già ti manca quel corpo che sta scomparendo nel muro nero della città, che ormai è solo una grande fabbrica inquinata. Allora, guarda a terra per capire da dove viene tutto ciò, da quale mondo infernale è sgusciato, da quale incubo è stato espulso, perché abbastanza terrificante non era. Automi biologici Il cranio dei morti si è fuso con arti e busti metallici, carapaci finemente intagliati e sagomati, di materia a noi ignota. Hanno dato forma a esseri immondi che solo uno spaventoso futuro può riservare. E così li sogni, ahinoi, li immagini avanzare con sorprendente leggerezza, velocissimi sopra un pavimento che ricorda antichi messaggi a te incomprensibili. Ma poi succede, ancora, l’orrore s’avvera. Mentre te ne stai lì, abbracciato da una specie di conchiglia, in realtà la sua cassa toracica pietrificata, senti grida che sono urla insopportabili, trapassano il cervello, trapanano il sensibile, provenienti da chissà quale profondità, forse solo dalla tua, inconscia. Un portellone automatico, chissà dove, si è chiuso improvvisamente, un corto circuito, bloccando la lunga coda dell’essere, che si spezza, si agita lucertola, spargendo liquido corrosivo. Brucia, consuma tessuti, nove piani sotto i tuoi piedi, nove volte sopra il sopportabile. Si fermerà mai? Ma il rettile umanoide è macchina intelligente, spietata, e forse non morirà per così poco. Il parassita si riproduce in fretta: gli basta uno solo dei miliardi di viventi. E a noi, biologiche esistenze, non resta che arrenderci al delirio di un visionario, perché sarà solo l’inizio della fine di un sogno, in un luogo nemmeno troppo surreale, fatto di infinita e inevitabile oscurità.
nelle immagini: interni del “Giger-Bar” in Kalchbühlstrasse a Coira, uno dei locali progettati dall’artista Hans Ruedi Giger
» testimonianza raccolta da Fabiana Testori; fotografia di Igor Ponti
14
Ottavio Lurati
Vitae
che avevano il compito di controllare le strade e i ponti. Nessuno si era mai occupato di approfondire questo genere di cose e ed è così che è nato il mio ultimo libro Nomi di luoghi e di famiglie e i loro perché?... Lombardia-Svizzera italiana-Piemonte (Fondazione Ticino Nostro, 2011). La sua caratteristica principale è la “non accademicità”. Si tratta di un’opera che parla di luoghi con un approccio semplice e scorrevole. Mi è costata ben cinque anni di lavoro, ma sono molto soddisfatto del risultato. Quando ho presentato il libro, con mio grande piacere, sono intervenuti anche Flavio Cotti, il professor Martinoni, Non si è mai stancato di comprendere la che insegna letteratura italiasocietà attraverso le parole. Una ricerca na all’Università di San Gallo e di verità e concretezza che ama definire poi Stefano Vassere, responsabile del Repertorio toponomasti“poesia della quotidianità” co ticinese. Inoltre, un grande aiuto per la pubblicazione mi nianze. In questo modo, dal è stato dato dalla Fondazione Ticino Nostro. suo lavoro traspare sempre Ovviamente, tengo a precisare che questa mia una componente condivisa e, ultima fatica non ha la pretesa di rispondere in un certo senso, sociale. La a tutte le domande sui nomi di luoghi e di lessicologia non va interprefamiglie. Dopo tanti anni io sono in grado tata come semplice materia di spiegare al massimo il trenta per cento nozionistica, ma come tentatidei toponimi della Lombardia e la pochezza vo di arrivare all’uomo. La lindelle competenze che si possono acquisire gua si studia per andare oltre, in questo tipo di studio emerge ancor più per cercare di capire l’essere chiaramente quando ci si reca sul posto e si umano e la sua evoluzione, discorre con le persone: a tante domande non per cavarne quindi importanti so dare risposte certe. indicazioni culturali. Proprio Nella mia vita di ricercatore ho sempre pregrazie al suo ruolo di invadiletto gli studi che travalicavano i confini sore, la lingua consente l’acsvizzeri e soprattutto ticinesi (l’eccessivo locesso a moltissime discipline calismo non aiuta lo studio del linguista) e i e alle loro espressioni, penso settori poco studiati come appunto i nomi all’architettura, alla chimica, di luoghi, ma anche i gerghi e le locuzioni. alla legge… Da questo mio I gerghi giovanili, per esempio, meglio parlare interesse sono nati diversi lial plurale, perché sono tanti e vari, hanno un bri. In seguito, sono passato rigoglio attualmente importante nel mondo ai cognomi, che, in realtà, italiano. Io lo spiego con la morte lenta ma sono i nomi dei luoghi. Per progressiva del dialetto, elemento che serviva decenni non solo in Svizzera, a fare la battuta, a dare colore. Il dialetto perde ma anche in Italia, in Francia presenza e per evitare di rimanere legati a e in Germania i nomi erano una lingua un po’ troppo ingessata i giovani quelli delle famiglie. Ecco, io elaborano un loro codice, informale. Questi vado alla ricerca del perché gerghi nascono come gioco all’Università di uno si chiama in un modo Padova nella prima metà del Cinquecento, oppure in un altro. Esistopoi si dilatano e si allargano anche ad altre no cognomi molto comuni zone. Ne troviamo tracce anche da noi, nel come il classico Bernasconi rügin, che è il dialetto identitario dei calderai, che sono coloro che abitadei magnani della Val Colla. Insomma, lo no vicino a una “bernasca”. studio della lingua non si esaurisce mai. Fra i La “berna” era l’insediamenmiei desideri però, c’è quello di consegnarlo to longobardo composto da un giorno in mani sicure, se possibile in Svizquaranta, cinquanta soldati zera, che sappiano valorizzarlo e accrescerlo.
»
H
o avuto un’infanzia bellissima. All’epoca il ritmo delle giornate non era affannoso come quello di oggi e si respirava ancora l’aria di paese con il panettiere che arrivava a Chiasso da Pedrinate per portare le pagnotte. Nella cittadina di frontiera ho frequentato le scuole, prima le elementari, quindi le maggiori, poi ho dato l’esame per passare alla quarta ginnasio. Dopo il liceo sono andato a Basilea per frequentare l’università: inizialmente la mia intenzione era quella di iscrivermi a filosofia, ma poi ho preferito la linguistica. Uno dei miei professori di filosofia era il famosissimo Karl Theodor Jaspers, rappresentante dell’esistenzialismo cattolico: un uomo brillante, ma allo stesso tempo spregevole, non con gli allievi, ma con i colleghi e i suoi collaboratori. Jasper, oltre a filosofia insegnava anche letteratura e linguistica italiana, francese e spagnola ed è proprio durante i suoi corsi che ho scoperto la mia “vocazione”. Ancora oggi, dopo tanti anni, non mi sono pentito della scelta fatta all’epoca e con il passare del tempo ne ho fatto un hobby per la vita. Dopo Basilea ho proseguito gli studi a Montpellier, Parigi, Salamanca e Firenze dove mi sono concentrato unicamente sulla linguistica. All’insegnamento – sono stato per trent’anni professore ordinario di Linguistica italiana all’Università di Basilea – ho sempre associato la mia attività di ricerca. Quest’ultima è stata notevolmente arricchita dal mio peregrinare per l’Europa dove sono stato invitato in diversi atenei, come quello di Saarbrücken in Germania o alla Normale di Pisa per tenere corsi di lessicologia. Uno dei lati più interessanti del lavoro del linguista è il contatto con le persone. Infatti, egli non si occupa semplicemente di un problema di un verso, rimanendo seduto alla scrivania, ma va a parlare con la gente, chiacchiera, raccoglie testimo-
“L’operaio qua può trovarsi a bere il bianco con il direttore di banca, l’impresario con l’artigiano, e penso che questo sia il posto giusto in cui possono nascere quelle conversazioni che portano con sé una visione migliore per il Ticino. La vita è proprio qui, in questi punti d’incontro, e se dimentichiamo anche queste cose, beh… allora siamo persi” (un cliente del Ristorante Cantina Canetti di Locarno) testo di Keri Gonzato fotografie di Reza Khatir
Cantina Canetti
I
n una società che muta velocemente i punti di riferimento tendono a scomparire. Uno dei rari superstiti è il tenace Ristorante Cantina Canetti che, a Locarno, è da sempre un luogo d’incontro unico. Nato nel 1962, si affaccia sulla piazza Grande su cui si apre in un gesto di accogliente certezza. Nel panorama collettivo attuale, in cui bar e ristoranti cambiano regolarmente faccia nel tentativo di assecondare improbabili leggi di mercato, gli esercizi pubblici come la Cantina Canetti rappresentano una specie rara. Questi spazi sono emblematici di una lunga tradizione culturale, quella della locanda dove ogni individuo è benvenuto per gustare un bicchiere di vino, un pasto caldo e una chiacchierata, luoghi che dovrebbero essere preservati e valorizzati. Il Canetti è rimasto tale perché se ne infischia dei diktat imperanti. È una bestia rara che, motivata da un’atavica forza anarchica, alle tentazioni del “nuovo” predilige prendersi cura della sua vecchia pelliccia impregnata di vita.
Una sorte incerta Dietro all’anima di un locale c’è sicuramente l’oste, colui che lo ama e che se ne prende cura. In cinquant’anni il Canetti di proprietari ne ha avuti solo tre, e da ormai un decennio il padrone di casa è Walter Hänggi , “quando l’ho ritirato ho voluto tenere il nome originale. Piccole modifiche sono state fatte ma l’ambiente va rispettato. Quando entri respiri la vita e la vita non va tolta”. Lo si trova spesso e volentieri ai fornelli dove, con prodotti rigorosamente locali, prepara piatti nostrani per l’avvocato e per il punkettaro “che qui invece di litigare trovano un punto d’incontro e, magari, si offrono anche un bicchiere. Questo non è un bar né per giovani né per vecchi, deve sentirsi a suo agio il vecchietto che, da tutta la vita, viene a bersi il suo barbera così come il giovane che si beve la sua birra belga”. Spesso tra le pareti della Cantina Canetti si incontra anche la musica, portata dalle band che regolarmente vi suonano, “negli ultimi anni sono passati da noi giovani musicisti di tutto il mondo, Australia, Canada, Stati Uniti…”. Durante queste serate i clienti abituali si combinano ai visitatori che vengono attirati dal concerto, “un miscuglio che crea un ambiente molto caldo” dice Walter. È Walter a dirmi che la sua Cantina all’alba dei 50 anni, sotto la pressione di questi strani tempi, rischia di dover chiudere i battenti, “l’intero (...)
edificio è stato venduto due anni fa, il mio contratto scade il prossimo giugno, e le sorti del locale sono molto incerte… La mia paura è che un giorno, non molto lontano, decidano di buttare giù tutto”. Una circostanza che in molti sperano non si avveri, poiché, dicono, significherebbe un ulteriore impoverimento dell’anima ticinese… Perché il Canetti è uno di quei posti che, fregandosene del tempo che passa e se ne va, sono stati capaci di fissare le loro qualità essenziali. Delle qualità che invitano il cliente a fermarsi e a condividerle in compagnia degli altri. Tempi lunghi Se la Cantina Canetti cambia chi la visita è perché lo riporta alla sua natura umana, a una dimensione dell’esistere più lenta e calorosa. Le sedie in legno e i tavolini, i quadri alle pareti e i cimeli sugli scaffali, le file di bottiglie esibite, il bancone sorretto da botti di vino… ogni elemento presente all'interno racconta delle storie, vicende nate da chi fra quelle mura c’è passato. Ecco perché il ristorante è sempre uguale e allo stesso tempo sempre diverso a seconda delle storie che, tra le sedie in legno e i bicchieri, prendono vita. Oggi più che mai abbiamo bisogno di questo tipo di luoghi: attraversiamo la vita frettolosamente dimenticando che, talvolta, fermare il tempo è vitale. E per far ciò è necessario avere dei punti di riferimento, dei luoghi dove poter tornare e, lì, incontrare se stessi. Ed è proprio in quello spazio, saldo e per certi versi immutabile, che tutto si dilata e riaffiorano i significati più profondi.
Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. Per informazioni: www.khatir.com.
»
Il cappello magico trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Antoine Déprez
Fiabe
46
Sul lago Ceresio, tanti tanti secoli fa, viveva un pescatore di nome Ian che possedeva una barca con cui si guadagnava il pane per sé e la sua famiglia. Un giorno d’inverno il vento era talmente forte che le barche dei pescatori furono costrette a restare a riva e Ian decise allora di andare nel bosco a cercare un po’ di legna per riparare la sua imbarcazione. Dopo un po’ che camminava tra gli alberi il vento calò di colpo e scese una nebbia così fitta che
non si riusciva a vedere a un palmo di naso. Ian decise quindi di tornare a casa ma presto si accorse di essersi perduto. Cammina, cammina a un certo punto la nebbia si diradò e Ian si trovò in un luogo sconosciuto ai piedi di una montagna che non ricordava di aver mai visto. In lontananza si scorgeva una luce verso la quale iniziò a dirigersi. La luce proveniva da una misera casupola di sassi alla cui porta Ian bussò per chiedere ospitalità e notizie sul
luogo in cui si trovava. Venne ad aprire la porta una vecchina che lo fece entrare anche se un po’ di malavoglia. All’interno, vicino al camino acceso stavano sedute altre due vecchiette. Ian si sedette su una sedia vicino a loro e si coprì con una coperta per scaldarsi un po’. Cercò di addormentarsi ma l’atmosfera all’interno della casupola era strana e Ian si limitò a chiudere gli occhi. Dopo qualche minuto una delle vecchiette, pensando che il loro ospite dormisse, tirò fuori da un cesto un berretto verde, se lo mise in
testa ed esclamò. “Bissone” e come d’incanto sparì. Ian, pur curioso per quanto stava succedendo, continuò a far finta di dormire. Dopo poco anche le altre due vecchiette si misero in testa i cappelli verdi e pronunciata la parola “Bissone” scomparvero. Ian decise allora di guardare nel cesto dove trovò un cappello verde, se lo mise in testa e, come aveva visto fare poco prima, pronunciò la parola “Bissone”. Subito si trovò a volare nel cielo veloce e sicuro come un falco. Vide il lago sotto di lui e lontane le montagne innevate. Atterrò in una cantina che si trovava proprio accanto alla chiesa di Bissone e al cui interno le tre vecchiette si stavano ubriacando allegramente. Le bottiglie vuote erano sparse dovunque per terra e il chiasso che facevano con le loro risate lo si poteva udire anche a Morcote. Ma appena le vecchiette si accorsero di Ian smisero di bere e, dopo essersi messe i berretti e aver gridato insieme: “Bürla portami indie-
tro!” svanirono di colpo. Ian allora decise di assaggiare un po’ di quell’ottimo vino e bevi qui, bevi là dopo un po’ si ubriacò e cadde a terra addormentato. Ora, dovete sapere, che quella era la cantina del prevosto di Bissone e da un po’ di tempo veniva regolarmente saccheggiata dalle tre vecchie che in realtà erano tre streghe. Quando la mattina seguente il cantiniere del prete scese a controllare e vide Ian addormentato sul pavimento in mezzo alle bottiglie vuote, pensò d’aver trovato il ladro: chiamò subito le guardie che legato il pover’uomo lo condussero in prigione. Il processo fu assai breve perché le prove contro il povero Ian erano schiaccianti e nulla poté l’avvocato della difesa, chiamato apposta da Lugano per difendere il disgraziato. La condanna fu severissima: la morte sul rogo. L’esecuzione doveva avvenire nella piazza del paese dove fu eretta una pira di legna ben stagionata intorno a un palo a cui Ian fu legato. Stavano per accendere il fuoco quando a Ian, che già tremava tutto di paura, venne una brillante idea. “Signori, siate clementi. Fatemi morire con il mio cappello verde in testa. Concedete a un condannato quest’ultimo desiderio”. La folla allora cominciò a gridare: “Cappello, cappello. Portategli il cappello!”. Appena gli fu rimesso in testa Ian, con tutta la voce che aveva in corpo gridò: “Bürla portami indietro!”. In un battibaleno Ian e la catasta di legna scomparvero dalla piazza lasciando tutti a bocca aperta. Dopo un po’ si ritrovò legato al palo e circondato da tutta quella buona legna vicino alla casupola dal cui camino non usciva più fumo. Poco dopo vide avvicinarsi un vecchio. “Buon uomo”, chiese Ian “aiutate a slegarmi da queste corde”. L’uomo, impietosito, lo liberò e gli chiese chi mai l’avesse legato in quel modo e dove avesse trovato tutta quella legna. “Oh, è una lunga storia”, disse Ian. “Comunque è legno ottimo e mi serve per riparare la mia barca. Pensate un po’, me l’ha regalato quella buon anima del prevosto di Bissone, chi l’avrebbe mai detto…”. Ian ritornò al lago e da quel giorno non ebbe più bisogno ne voglia di andar per boschi a cercar legna per la sua barca.
Fiabe
47
Metamorfosi urbane
Gli alchimisti trasformavano i metalli vili in oro. Gli zurighesi, con in tasca la pietra filosofale della creatività imprenditoriale, hanno preferito trasformare la birra in acqua termale Tendenze p. 48 – 49 | di Keri Gonzato
Questa è la storia dell’antico birrificio Hürlimann, recentemente convertito in officina del rilassamento. La Hürlimann, produttrice di una birra svizzera storica che risale al 1836, oltre a essersi trasferita da questa fabbrica ad altri stabilimenti, nel 1996 si è unita alla Feldschlösschen, dando vita alla Feldschlösschen-Hürlimann Holding AG. Mentre queste fusioni erano in atto, dall’austera struttura di pietre e mattoni del birrificio, i nuovi proprietari, riuscivano a estrarre una grazia quasi mistica. Entrando oggi in questo luogo si è accolti da un abbraccio caldo e sontuoso. Le strutture del Thermalbad & Spa Zürich (nell’immagine) sono state sviluppate con un’incredibile attenzione al dettaglio. Ogni aspetto, dalle temperature ai materiali, è pensato per far stare bene. L’idea di fondo è quella di proporre un percorso moderno attraverso l’antica tradizione latina dei bagni termali che, da oltre 2000 anni, promuove lo slogan mens sana in corpore sano. Entrando si viene accolti da una hall luminosa dove foto e vecchie immagini pubblicitarie, appese alle pareti, raccontano la vita passata dell’edificio. Ma entriamo nel caldo della struttura… Una metamorfosi Come prima cosa, si attraversa un corridoio scuro che, invitando all’introspezione, giunge a un lungo spazio. Qui candele bianche illuminano un bacino d’acqua e una grande lampada lanuginosa avvolge il visitatore in un’aura confortante. All’entrata degli spogliatoi, una fontana con fiori freschi e candele vi saluta. Successivamente, dotati di un microchip, si entra nel vestiario. L’atmosfera degli interni è contrassegnata da un lussuoso minimalismo ritmato da legno e luci soffuse. Mentre lo sguardo si perde nella contemplazione del soffitto in pietra grezza, che ricorda le origini dell’edificio, ci si abbandona a un relax sempre più profondo. Dai getti massaggianti c’è chi si trascina pigramente verso una vasca bassa dove, con la testa sott’acqua, si può ascoltare musica riposante. E poi ci sono
i bagni di vapore aromatico, le terapie supplementari e il percorso rituale romanico-irlandese che, in sette tappe, induce a uno stato di grande calma. Insomma, se da questo luogo prima uscivano operai con le braccia stanche e doloranti ora ne escono coppiette, amici e visitatori solitari con la muscolatura profondamente rilassata. Infatti, dopo un paio d’ore di immersione, ci si sente così rammolliti che quasi si dimentica di visitare la ciliegina sulla torta: in cima al palazzo, il tetto si fa concavo per accogliere l’acqua fumante di una piscina panoramica. Lassù l’occhio si perde nella contemplazione di una Zurigo che cambia e si trasforma: le aree industriali, proprio come è accaduto a questa fabbrica e a quelle circostanti si svuotano degli operai e prendono nuove vesti rendendo palesi i cambiamenti rapidi della società nella quale viviamo. Il Thermalbad & Spa Zürich, infatti, si trova nella Hürlimann-Areal, una ex zona industriale diventata un’area dedicata a uffici, benessere e commercio. Contraddizioni brucianti Mentre noi eravamo immersi nel nostro quotidiano, nel 2000 il gruppo Carlsberg – quarto a livello mondiale nel settore della birra e basato a Copenhagen – acquisiva il marchio Feldschlösschen. Oggi, tra i primi obiettivi di questi produttori di birra c’è la riduzione del personale: il risultato è che le antiche fabbriche come la Hürlimann, mentre gli operai vengono mandati a casa a incrementare le schiere dei disoccupati, si trasformano in altro e la produzione vira verso nuovi stabilimenti più moderni, efficienti e svuotati di umanità. Lo scorso giugno, il gruppo Carlsbeg ha trasferito la produzione dalla fabbrica storica di Rheinfelden, in Svizzera, alla società affiliata Brasseries Kronenbourg, in Francia. Le conseguenze dirette per la Svizzera sono che la produzione nazionale annua di Feldschlösschen si è ridotta del 20%. Dall’alchimia alla sociologia, passando per l’architettura, ecco la storia di una trasformazione.
»
Astri toro
gemelli
cancro
L’inizio anno è segnato dal transito di Venere. Si accentua la voglia di conoscere persone fuori dal comune. Rinnovamento per chi vive relazioni di coppia. Elettrizzanti novità per i nati nella prima decade.
Se saprete essere spensierati potete iniziare l’anno divertendovi alla grande. Puntate sull’erotismo e sulle capacità seduttive. Nuove situazioni professionali per le prime decadi. Prosperità e guadagni.
I nati tra la seconda e la terza decade sono colpiti dall’azione di Marte. Calmate le vostre ansie facendo quello che più vi piace. Amori romantici, passionali e inaspettati per i nati nella terza decade.
Importanti decisioni sul piano professionale. Non ponete limiti alle vostre ambizioni se sono sincere. Attività intellettuale stimolata da Mercurio. Tagliate ogni cordone ombelicale col passato e siate felici.
leone
vergine
bilancia
scorpione
Inizio ricco di tentazioni. Tra amor sacro e amor profano ogni vostra esperienza diventa una avventura. Se saprete guardare in alto potrete fare cose straordinarie. Confusione per i nati nella terza decade.
Grazie a una ottima gestione delle proprie risorse finanziarie riuscirete a raggiungere buoni obiettivi. Molto dinamici i nati nella terza decade. Opportunità professionali per i nati nella prima decade.
Siete fortemente sollecitati dai transiti di Saturno e Plutone. Determinati e spietati con i nemici. State però attenti a non esagerare con i vostri parenti. Inizio caparbio per i nati nella seconda decade.
Sbalzi umorali e amori immaginari determinati dalla quadratura del Sole natale con Venere e Nettuno. Scarsa resistenza verso le tentazioni e sviluppo di fantasie erotiche. Periodo di grande attività professionale.
sagittario
capricorno
acquario
pesci
Fuochi di artificio grazie agli ottimi transiti planetari. Nuove opportunità professionali e incontri. Possibile invece un calo fisico per i nati nella terza decade provocato dal transito di Marte in Vergine.
Se volete raggiungere il successo dovete agire in fretta. Non siate indecisi. Una volta tanto fidatevi del vostro intuito. Attenti a non perdere il treno che passa. Il 4 gennaio possibili vincite al gioco.
Prima settimana del 2012 segnata dai transiti di Nettuno e Venere. Capodanno frizzante grazie ai favori lunari. Una nuova realtà prende forma per i nati nella terza decade. Incontri con persone straniere.
Il 2012 inizia benone. Nervosetti i nati nella terza decade pungolati da Marte. Possibili discordie con il partner e calo del desiderio. Tenete fuori dal rapporto di coppia gli atteggiamenti vittimistici.
» a cura di Elisabetta
ariete
»
Gioca e vinci con Ticinosette
1
2
3
4
5
6
7
8
10
8
11 12
13
14
15
17 20
21
24
25
27
5
22
23
30
31
32
34
35
37
36
38
39
3
40
42
6
41
43
Orizzontali 1. Spassarsela • 11. La frequenta il goliardo • 12. Malate • 13. Briscola • 14. Sinuosità fluviali • 16. Preposizione semplice • 17. Mira al centro • 18. Caratterizzano le vetture in circolazione • 19. Il nome di Banfi • 21. Dittongo in beato • 22. Nuovo Testamento • 24. Altari pagani • 26. L’ultima dell’alfabeto • 27. Crimini, omicidi • 30. Italia e Romania • 31. Londra... a Londra • 33. Dea della caccia • 35. Gas luminoso • 37. La fine di Aramis • 38. Ha per capitale Lhasa • 39. La simboleggia Diana • 42. Stolti • 43. Pari in Daniela • 45. Fiume russo • 46. C’è chi non l’ha! • 48. Bella località grigionese • 51. Il nomignolo di Eisenhower • 52. Dubitativa • 53. Smottare. Verticali 1. L’anno che verrà • 2. Ingoiare • 3. Precede... Gambarogno • 4. Quello lieto ha il fiocco rosa o blu • 5. Pedina coronata • 6. Tirare le conclusioni • 7. Sobillazioni, provocazioni • 8. Cattivo • 9. Allievi • 10. Incontri di vocali • 15. Germania e Austria • 20. Il nome della Martinetti • 23. Un ragno velenoso • 25. Un vulcano • 28. Capitello con le volute • 29. Consonanti in tedio • 32. Stato USA • 34. Il nome della Duncan • 36. Dittongo in poeta • 38. È simile al frac • 40. Alimento • 41. Istituto Tecnico • 44. Procedura • 47. Uno a Zurigo • 48. Le iniziali della Magnani • 49. Svezia e Francia • 50. In mezzo al mare.
26 29
28
4
16
2
18
19
33
9
La soluzione verrà pubblicata sul numero 2
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro mercoledì 4 gennaio 2012 e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 gen. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
»
44
1
45 48
1
46 50
49
47 51
7
9
A L
11
L
15
E
18
F
Soluzioni n. 50 2
S A
23
N
53
27
T
31
I
36
D
38
E
40
La parola chiave è:
1
2
L
3
4
5
6
7
8
I
47
L
51
O
4
R A
U
I
G
R
E
O
S 21
T
24
O
R I
19
S E
12
A R I
D
A S
33
T
I
A
T
I
T
I
N
A
N
N
E
A
I
A
T 48
52
T
P
7
U
V
T
A
T
I
R
A
U
29
I
E 39
N
A
T
R
E
S
R
A
L
R
I
O
R
L A R
37
T
I
I
E
T
O
N
N
E
E
N 50
T C
La soluzione del Concorso apparso il 16 dicembre è:
E G
U
N
I
V
A
49
C
E
35
45
O
E
14
30
N
34
T
R
8
R
20 22 26
I O
T
O
A
41
I
A
A
17
I 42
I
6
13
I
28 32
N I
25
E
5
10
N
D
44
O
16
R
N 43
T R
O
52
3
A
RISALIRE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Giovanna Todaro 6527 Lodrino
46
D
T
E
I
A
Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: buono RailAway FFS per un’offerta a scelta RailAway FFS offre buoni del valore totale di 150.– CHF per 1 persona per offerte RailAway FFS a scelta da scontare presso una stazione FFS in Svizzera.
Divertirsi nella stagione invernale con RailAway FFS È un grande piacere approfittare delle offerte invernali di RailAway FFS: è un modo per scoprire nuove mete e per sperimentare itinerari di pregio. Fino al 31 marzo 2012, infatti, si possono visitare le più belle destinazioni della Svizzera a prezzi speciali. Cultura, natura, divertimento, shopping e sport: ognuno può scegliere la meta preferita. Maggiori informazioni presso le Stazioni FFS, Rail Service 0900 300 300 (CHF 1.19/min. da rete fissa svizzera) oppure consultando il sito ffs.ch/railaway.
Giochi
51
«Risolverò il problema della penuria d’acqua nel mio villaggio.»
Con coraggio e il vostro aiuto.
CP 30-303-5 www.swissaid.ch