Ticino7

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del 7 gennaio 2012

con Teleradio 8 – 14 gennaio

adolescenza

lavori in corso C  T › RT › T Z ›  .–


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Ticinosette n° 1 7 gennaio 2012

Agorà Adolescenti. Ad ali spiegate Arti Una fertile amicizia

di

Tiratura controllata 70’634 copie

Visioni Esercizio di stile

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duccio caNestriNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

roBerto roveda. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media Calcio spettacolo. Dramma in campo Vitae Richard Weber

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Reportage Il Basodino

Editore

Fiabe Tazio, Becco e il re dei ladri

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

di

Nicola deMarchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

deMis Quadri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiusura redazionale Venerdì 30 dicembre

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Nicoletta BarazzoNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

oreste BossiNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mundus L’essenza della vita

Impressum

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raffaella caroBBio; fotografie di giosaNNa crivelli . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Ticinesi a Vancouver

di di

faBio MartiNi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

deMis Quadri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

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Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

Giovani menti Elaborazione grafica di Davide Frizzo

Fiabe e amigdala Come molti di voi hanno notato, a partire dal numero 38 . del 2011 abbiamo introdotto una nuova rubrica fissa dedicata alle fiabe . Va detto, a onor del merito, che anche in passato – nella precedente veste editoriale di Ticinosette –, era presente un rubrica analoga . La ripresa di uno spazio dedicato alla famiglia e ai bambini, a cui in effetti scarsa attenzione negli ultimi quattro anni è stato data, ci è parsa una scelta necessaria se non addirittura indispensabile . Le fiabe pubblicate – a volte testi originali, in altri casi trascrizioni dalle tradizioni popolari italiana ed europea –, mirano a stimolare l’incontro e lo scambio all’interno della famiglia . Spesso infatti nonni, genitori e tate varie, troppo indaffarati nelle loro occupazioni quotidiane, non trovano spunti validi per intrattenere i più piccoli che di storie sono in realtà, come ben sappiamo, assolutamente affamati . Senza dimenticare che la fiaba è tutt’altro che un genere letterario secondario . Essa, in un certo qual modo, rappresenta una sorta di “piccola mitologia” a cui grandi psicologi e pensatori come Sigmund Freud, Carl Gustav Jung, Rudolf Steiner e Bruno Bettelheim hanno attribuito una valenza fondamentale nel processo di formazione e crescita dell’individuo . Il ricorrere di personaggi, ambienti ed eventi simili (si pensi al giovane che si mette alla ricerca di qualcosa, al vecchio o alla vecchia incontrati durante il cammino, al bosco come luogo misterioso e costellato di insidie, al lieto fine, per citare i più frequenti) sono veri e propri elementi archetipici, che suggeriscono come la fiaba condensi in sé la risoluzione catartica delle tensioni interiori che ogni bambino vive, offrendo soluzioni e

aperture al mondo e al confronto con gli altri . Quello della relazione fra l’individuo in crescita, in specifico l’adolescente, e gli adulti è peraltro l’argomento dell’interessante articolo di apertura di Nicoletta Barazzoni, a cui è dedicata anche l’immagine di copertina di questo numero . Un testo rivolto non solo a genitori, insegnanti e operatori, ma agli stessi giovani che vi troveranno spunti e stimoli per un confronto positivo con il mondo dei “grandi” . Una tematica di attualità, come dimostrano l’interesse e la notevole partecipazione dei genitori agli incontri che associazioni e enti organizzano sempre più spesso con esperti in materia . L’acuta conflittualità che questa fase produce nella vita delle famiglie rende infatti indispensabile l’individuazione di strumenti concreti e di una precisa consapevolezza di ciò che l’adolescenza rappresenta . Essa è infatti un momento di trasformazione profonda non solo psicologica ma anche organica e biochimica, aspetto quest’ultimo che non può essere ignorato . Del resto lo sviluppo delle neuroscienze sta incidendo profondamente sulla visione della psicologia ed è ormai un dato acquisito che modificazioni biologiche e biochimiche a carico del cervello, in particolare dell’amigdala, possono alterare le nostre pulsioni e la capacità di prendere decisioni . Nei prossimi anni si riuscirà a decifrare le caratteristiche sempre più sottili dei circuiti cerebrali collegati alle modalità di comportamento, scoperte che non solo influenzeranno gli sviluppi della psicologia e della filosofia ma anche le teorie giuridiche e la questione centrale del libero arbitrio . Cordialmente, Fabio Martini


Adolescenti. Ad ali spiegate

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Agorà

Le problematiche dell’adolescenza vengono spesso ricondotte alla famiglia e dunque all’ambiente all’interno del quale avviene la crescita. In realtà, il divenire adulti comporta complesse trasformazioni di cui è necessario tener conto nel rapporto con gli adolescenti testo di Nicoletta Barazzoni illustrazione di Davide Frizzo

Q

uando il giovane non rispetta le regole sociali, quando fa il bullo, quando sballa assumendo droghe, o delinque; quando studiare o lavorare è come reprimersi, le cause sono sempre multifattoriali. Il comportamento di un individuo, e nella fattispecie di un adolescente, è dunque una questione di cellule (come sosteneva Lucio Battisti) oppure è sostanzialmente la conseguenza dell’educazione familiare? È scientificamente dimostrato che l’adolescente è ancora biologicamente incompleto rispetto all’adulto. Alcuni scienziati, utilizzando la risonanza magnetica, hanno realizzato una mappatura del cervello dalla prima infanzia sino all’età adulta. Da questo studio emerge che il cervello continua a modificarsi fino ai 20 anni, quando il lobo frontale, responsabile del ragionamento e della risoluzione dei problemi, termina il suo sviluppo1. Uno studio recente, pubblicato a luglio del 2011 su Posit Science2, chiama in causa l’amigdala, che fa parte del sistema limbico del cervello, ed è ritenuta il centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni e coinvolta anche nei sistemi della memoria emozionale3. Un confronto da rinnovare Affrontare l’adolescente implica, da parte degli adulti, la capacità di non eccedere nei giudizi infondati cercando così di instaurare con loro un dialogo. Nel recente libro Adolescenti in cerca di autore di Linda Martinoli e Ilario Lodi, (Armando Dadò editore, 2011; con prefazione di Fabio Pusterla) gli autori propongono un modo costruttivo e originale per parlare con gli adolescenti e di adolescenti. Sei giovani si raccontano ad altri sei giovani adulti in uno scambio dal quale emergono le provocazioni e le ansie ma soprattutto il loro modo di confrontarsi con il mondo degli adulti, che ritengono noioso e privo di stimoli. Sono sei adolescenti che ce l’hanno fatta. Pur avendo vissuto l’adolescenza con ribellione, sono riusciti a spiccare il volo, ad ali spiegate.


Linda Martinoli, psicologa e psicoterapeuta, ci spiega la scelta della copertina del libro che mostra un giovane in procinto di saltare dalla cornice di un quadro…. “Abbiamo scelto questo dipinto ottocentesco di Pere Borrell del Caso perché ci sembra che ben rappresenti il momento di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta e come questa transizione sia carica di stupore, paura e curiosità”. Lei utilizza la parola “autore”. Chi è e quale funzione ha questo autore? “L’autore è colui che dà origine a qualcosa. Gli adolescenti che hanno partecipato al progetto hanno potuto trovare nei giovani adulti un possibile autore che desse parola al loro vissuto. Il nostro auspicio è che ogni adulto che ha a che fare con gli adolescenti riesca a diventare a sua volta un autore, proprio nel senso etimologico del termine, in altre parole che diventi promotore, che faccia crescere il loro pensiero, conferendogli spazio e valore”.

si fanno i conti con queste emozioni in modo importante. L’adolescente, nella sua quotidianità, cerca in tutti i modi di differenziarsi dal mondo degli adulti ed entra quindi in conflitto con la necessità di dipendenza intrinseca alla psicoterapia. Al di là dell’indubbia difficoltà ad affrontare la questione, si tratta di un’occasione d’oro per tentare di elaborare questi temi spinosi”. Chi è realmente l’adolescente di oggi? “Spesso quando incontriamo gli adolescenti di oggi ci sentiamo disorientati; non ritroviamo le nostre passioni né i modi di relazionare che ci appartenevano. Ciò che accomuna la nostra adolescenza con quella dei ragazzi di oggi è l’incertezza, il vissuto di inadeguatezza, di mortificazione e di angoscia. Gustavo Pietropolli Charmet5 ha definito l’adolescente di oggi «fragile e spavaldo». Ed è sulla fragilità, sulla sofferenza che l’adulto può entrare in contatto, non attraverso un linguaggio che l’adolescente non conosce o attraverso manifestazioni che non gli sono proprie”.

“Ciò che accomuna la nostra adolescenza con quella dei ragazzi di oggi è l’incertezza, il vissuto di inadeguatezza, di mortificazione e di angoscia. Gustavo Pietropolli Charmet ha definito l’adolescente di oggi «fragile e spavaldo»”

Perché lei adopera la metafora di chi precipita nel vuoto riferendosi al cartone animato del coyote Willy? “Nel cartone animato, Willy il coyote riesce a camminare nel vuoto fin quando non se ne accorge. Una volta che se ne rende conto, precipita in modo irrimediabile. Il collegamento tra questo personaggio e la condizione di molti individui di oggi (adulti compresi) è di Giorgio Agamben4. Si tratta di persone che sembrano mancare di atteggiamento critico verso la vita, quasi fossero incapaci di fare esperienza di quanto accade. È come se si mantenessero in una «terra di nessuno» sganciata da ciò che la precede o la segue nel suo significato. Risalire la china, per riprendere la sua domanda, presuppone fare l’esperienza, storicizzare, «sentire», percepire emozioni anche durante il percorso e non accorgersi di ciò che accade solo quando si precipita. Se un adolescente sta precipitando ha dapprima bisogno di un intervento di urgenza: se qualcuno cade in un burrone necessita di un ramo a cui aggrapparsi, non di domande sul significato della caduta. Lo psicologo interviene più spesso in seconda battuta, cercando appunto di ritrovare, di nominare le emozioni che prima non erano state riconosciute”. Accanto al coyote c’è anche Road Runner costantemente in fuga dal coyote. Quali sono le sfide dell’adolescente? “La cosiddetta «problematica giovanile» non è una caratteristica di questo tempo. Un aspetto che però contraddistingue l’adolescenza di oggi è la fragilità narcisistica, sicuramente superiore a quella del passato. La rincorsa al consumo, all’immagine, può determinare un’assenza di progettualità, può rendere estemporanea e inconsistente l’esperienza quotidiana. In un certo senso la sfida consiste nel ricollocarsi nel tempo”. Il compito dello specialista è anche quello di rendere autonomo il suo paziente. Nel caso dell’adolescente la questione della in-dipendenza è un passaggio complesso… “La sperimentazione della dipendenza come preludio all’indipendenza concerne tutti noi fin dalla nascita. Durante la psicoterapia

Per essere persone mature bisogna prima aver sperimentato l’immaturità? “Certamente. Non solo si tratta di un passaggio naturale, ma nei testi presentati in questa pubblicazione emerge in modo chiaro che la rivendicazione del «diritto all’immaturità» rappresenta un desiderio quasi unanime. E per immaturità si intende curiosità, desiderio insaturo, possibilità di cambiamento”.

Agorà

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Cosa non bisogna fare con un adolescente? “Philippe Jeammet, psichiatra e psicoanalista che si occupa di problematiche adolescenziali riassume magistralmente l’importanza del porsi in quanto adulti nei confronti dei giovani:«Un eccesso di costrizioni può avere i medesimi effetti e far provare a colui che le subisce la sensazione di non aver niente di suo. Ma è specifico dell’assenza di regole imposte dai genitori il fatto di far credere a un bambino o a un adolescente che nulla abbia valore proprio (il che non è certo motivante) o, peggio, che tutto incontri gradimento dell’adulto, gli vada bene e, in qualche modo, gli appartenga anche»”.6 L’adolescente non riconosce più l’autorità diventando lui stesso un tiranno? “Parlerei piuttosto di deresponsabilizzazione più che di autorità o di tirannia. Per tornare al nostro tema, l’autore è chiamato ad accompagnare, non a risolvere ma a indicare una via ponendosi come riferimento responsabilizzante. È questa la prospettiva che ci affranca e ci emancipa dall’eterno dilemma: autorità o permissivismo”. Ilario Lodi è laureato in filosofia. Ha una vasta esperienza diretta a contatto con bambini e giovani. È direttore di Pro Juventute per la Svizzera italiana che gestisce, tra le altre cose, il Progetto Mentoring destinato agli adolescenti e ai giovani adulti. Quale concetto bisognerebbe riconsiderare? “Oggi, a mio parere, dobbiamo ripensare totalmente al concetto (...)



di «prendersi cura di…». Se le generazioni giovani di un tempo anche non lontano potevano contare su un «pubblico adulto» che si «prendeva cura di loro», oggi questo non succede più, o accade solo, o quasi, all’interno di contesti istituzionali, quali la scuola o il lavoro (e, ovviamente, anche all’interno della famiglia, nel migliore dei casi). La mia impressione è che oggi il mondo degli adulti, in generale, non si appassioni più ai giovani”. In che modo il concetto “prendersi cura di” deve essere rimesso in discussione di fronte a queste differenze? “Imparando a condividere il linguaggio che i giovani usano per veicolare le proprie emozioni e il proprio modo di vivere. Se partiamo dall’assunto che «si parla come si è» (e questo la filosofia ce lo ha insegnato in modo che oserei dire definitivo), oggi ascoltare i giovani significa con-dividere il loro modo di essere (nei fatti, e non solo a parole). Il libro propone storie di vita normali e riuscite”. Sono queste le storie significative di cui bisogna tener conto? “Certo. Ma non solo. Ci sono centinaia di adolescenti che, giorno dopo giorno, realizzano al meglio il compito che la vita ha loro riservato: quello di crescere. Con tutte le opportunità e le difficoltà che ciò comporta”.

fare (detto altrimenti: i giovani sono uno degli specchi più chiari nei quali riflettersi, e quindi conoscersi, come adulti). Dal punto di vista economico i giovani rappresentano un valore facilmente calcolabile; in questo senso sono uno degli investimenti più sicuri e redditizi che il mercato possa offrire. Dal punto di vista della società, i giovani sono coloro che «si prenderanno cura di noi» nel corso degli anni a venire; ciò significa che gli adulti di oggi hanno tutto l’interesse ad «avere a disposizione» (se mi consente l’espressione) dei giovani dotati di un profilo di personalità solido ed equilibrato”.

“Dal punto di vista della società, i giovani sono coloro che «si prenderanno cura di noi» nel corso degli anni a venire; ciò significa che gli adulti di oggi hanno tutto l’interesse ad «avere a disposizione» (se mi consente l’espressione) dei giovani dotati di un profilo di personalità solido ed equilibrato”

Che idea si è fatto dell’adolescente di oggi? “Sotto certi aspetti, l’adolescenza è così dalla notte dei tempi, quindi non è cambiata in molti dei suoi aspetti. D’altra parte oggi ci confrontiamo con un periodo storico di eccezionale rilevanza. Credo che i paradigmi all’interno dei quali il mondo degli adulti entrava in relazione con il mondo dell’adolescenza siano profondamente mutati. Il mio interesse sta nel cercare di comprendere quelle che sono le logiche che governano il sistema di vita dei bambini e dei giovani. E costruire con loro su di esso il contesto di vita in cui desidero vivere”.

Ci dica almeno tre motivi validi per cui bisogna credere nelle nuove generazioni. “Dal punto di vista educativo i giovani sono in generale quanto di più autentico si possa incontrare; ciò implica il non poter bluf-

Quali sono i punti forti del progetto Mentoring di cui siete promotori e responsabili? “I punti forti sono molti. Per collegarmi a quanto detto sopra direi che nel Progetto Mentoring un adulto si prende cura di un giovane, in un rapporto «uno a uno». L’adulto offre quindi al giovane, tra le altre cose, quanto di più semplice possa esserci: attenzione, cura, e un «buon esempio» di vita sulla base del quale il giovane può ritornare a provare piacere nel vivere la sua – comunque importante – quotidianità”.

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Ritiene che le istituzioni siano abbastanza attive o potrebbero fare di più? “Ritengo che nei settori extrascolastici il lavoro da fare sia enorme. Lo Stato si adopera già molto a questo scopo. Non altrettanto avviene a livello comunale (con alcune lodevolissime eccezioni). Molto significative risultano essere le opportunità di sviluppo delle politiche dell’infanzia e della gioventù all’interno del settore privato (finanza, industria, servizi). Questo settore, sul quale sto lavorando a fondo con la mia équipe, ci sta offrendo degli spunti di notevolissimo interesse”.

Si sente di muovere delle accuse verso qualche cosa o qualcuno? “Vorrei che le politiche giovanili entrassero nelle agende degli amministratori comunali con pari dignità di altri temi, quali per esempio, la pianificazione territoriale, l’edilizia o le politiche degli anziani”.

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Lo studio, durato dieci anni, sullo sviluppo di un cervello normale effettuato dai ricercatori del National Institute of Mental Health e dell’Università della California di Los Angeles, dimostra che alcuni centri cerebrali di ordine superiore, come la corteccia prefrontale, non si sviluppano completamente se non nell’età adulta. In seguito ai risultati ottenuti, si conclude che gli adolescenti possono ragionare quasi come gli adulti in condizioni di calma. Ma in condizioni di stress tutto cambia. I lobi frontali aiutano a innalzare delle barriere contro il desiderio di brividi e presa di rischi ma sono anche tra le ultime aree del cervello a svilupparsi completamente. http://www.edinformatics.com/news/teenage_brains.htm http://brainconnection.positscience.com/topics/?main=news-in-rev/teenfrontal In passato gli scienziati pensavano che la materia grigia si producesse e si sviluppasse solo durante i primi 18 mesi di vita. Gli studi hanno dimostrato che accadono cambiamenti anche durante l’adolescenza. Le immagini registrate sulla corteccia cerebrale suggeriscono che l’adolescenza offre una specie di second chance per raffinare il controllo comportamentale e il processo decisionale. Questi studi offrono la speranza, agli adolescenti con problemi comportamentali ed emotivi, di rimediare. Il fatto che i centri responsabili del processo decisionale continuino a svilupparsi bene fino ai vent’anni significa che gli adolescenti problematici avranno il tempo fisiologico per imparare a controllare il loro comportamento impulsivo. Il cervello di un adolescente è un “lavoro in corso” e i genitori e gli insegnanti possono aiutare questo progresso attraverso una comunicazione aperta e l’indicazione di limiti chiari. Giorgio Agamben, Infanzia e storia. Definizione dell’esperienza e origine della storia. Einaudi, Torino, 2001. Gustavo Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo. Laterza, 2008. Philippe Jeammet, Adulti senza riserva. Quel che aiuta un adolescente. R. Cortina, 2009, p. 118.

Agorà

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Una fertile amicizia La collaborazione e lo scambio intellettuale fra Giuseppe Verdi e il letterato Andrea Maffei ha consolidato il legame fondamentale fra la cultura italiana e la tradizione del romanticismo europeo di Oreste Bossini

Arti

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A differenza del coetaneo e rivale Richard Wagner, Giuseppe Verdi è stato un riformatore, più che un rivoluzionario. Ha trasformato il melodramma italiano in maniera radicale, ma rimanendo sempre all’interno di un sistema teatrale consolidato da decenni e decenni di tradizioni e pratiche artigianali. Verdi ha scritto i suoi melodrammi più o meno nelle stesse condizioni produttive dei suoi predecessori Rossini, Bellini e Donizetti, sempre costretti a contrattare in maniera rude con impresari, cantanti e librettisti le condizioni per riuscire a ottenere un allestimento dello spettacolo conforme alle proprie idee. Verdi, per esempio, non ha mai pensato di stendere un libretto di proprio pugno, come hanno fatto Wagner o Hector Berlioz, nonostante avesse in mente in maniera molto precisa in che modo doveva risultare sul palcoscenico la famosa “parola scenica”, anche riguardo a particolari tecnici come il metro o la lunghezza dei versi. I suoi librettisti, a parte la tardiva collaborazione con un artista del livello di Arrigo Boito, erano in primo luogo uomini di teatro, come Francesco Maria Piave, Temistocle Solera, Salvatore Cammarano e Antonio Ghislanzoni, figure che oggi faremmo molta fatica a definire poeti. Tuttavia sarebbe impossibile comprendere la trasformazione impressionante dello stile di Verdi nella fase iniziale della sua produzione, il periodo che va da Nabucodonosor (1842) a La Traviata (1853), senza tener conto del rapporto costante, generoso e profondo con uno dei principali letterati del suo tempo, Andrea Maffei. Sono stati spesi fiumi di parole per analizzare la relazione con Boito, ma ben pochi studi si sono soffermati a indagare il contributo essenziale alla formazione del teatro di Verdi di uno dei pochi intellettuali di livello europeo del primo Ottocento italiano. Una visione mitteleuropea Maffei era nato in Trentino, a Molina di

Ledro, nel 1798, in una famiglia della nobiltà locale che poteva vantare numerosi rapporti con personaggi di rilievo della politica e della cultura sia sul versante italiano, sia su quello austro-tedesco. In una terra di confine come il Trentino l’uso della lingua italiana accanto a quella tedesca è ancora oggi centrale, e proprio il bilinguismo divenne per Maffei una sorta di aspirazione ideale a un ricongiungimento delle due radici culturali della sua terra. Dopo un primo periodo di studi a Bologna, sotto la guida di un grande commentatore di Dante come Paolo Costa, Maffei si trasferì a soli quindici anni a Monaco di Baviera, presso lo zio abate Giuseppe Maffei, professore all’università locale e precettore in casa della famiglia regnante Wittelsbach. Gli anni di Monaco, in quell’epoca una delle capitali della cultura europea e una città animata da una vivacissima attività artistica, offrirono a Maffei una conoscenza di prima mano della grande Romantik tedesca, culla di tutta la moderna letteratura europea. Quando arrivò a Milano, nel 1818, egli portava con sé un bagaglio culturale di notevole spessore e soprattutto molto moderno, che gli permise di mettersi in luce velocemente nell’ambiente letterario cittadino. Uno dei primi ad accorgersi del talento del giovane intellettuale trentino fu proprio uno dei maggiori poeti italiani del tempo, Vincenzo Monti, che lo prese con sé come segretario e gli affidò le proprie carte. Seguendo il consiglio della scrittrice francese Madame de Staël, che in un articolo intitolato Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni aveva esortato i colleghi italiani a conoscere le nuove tendenze della letteratura europea, Maffei divenne ben presto il principale interprete del Romanticismo in Italia, portando nella cultura del nostro paese la voce di autori come Goethe, Milton, Klopstock, Byron e soprattutto di Schiller. In particolare, Maffei dedicò gran parte


Francesco Hayez, L’ultimo abboccamento di Jacopo Foscani con la propria famiglia (1840), Galleria di Piazza Scala, Milano

della sua vita professionale alla prima edizione integrale italiana del teatro del poeta tedesco. L’influenza di Maffei sulla cultura italiana del primo Ottocento non si limitava però alla sfera della letteratura, ma si estendeva anche alla musica e alle arti figurative, di cui è fu un appassionato conoscitore e collezionista.

e nei circoli intellettuali milanesi, soliti a radunarsi nel salotto della contessa Clara Carrara Spinelli, moglie del Maffei dal 1832 al 1846. Ma l’incontro con Maffei fu decisivo soprattutto sul piano artistico, perché permise a Verdi di conoscere i nuovi fenomeni in atto nella letteratura europea.

Una falsa immagine Verdi ha cercato di lasciare di sé l’immagine di un uomo di scarsa cultura, di un musicista contadino autore di capolavori grazie al cuore e all’istinto, più che alla scienza. Le cose non stanno proprio così. Il giovane Verdi a vent’anni cercava caparbiamente di mettersi in luce nella vita musicale di una città ricca e complicata come Milano, riuscendo a dirigere nel 1834 al Teatro dei Filodrammatici l’oratorio di Haydn La creazione. In una città dominata dal melodramma e dal belcanto, un evento culturale così d’avanguardia ebbe una vasta risonanza nell’élite culturale milanese, tra cui spiccava la figura autorevole di Maffei. Il primo incontro tra l’illustre letterato e l’ancora sconosciuto musicista di provincia avvenuto prossimo ai Filodrammatici diede inizio a un lungo rapporto di stima e amicizia, che si concluse solo con la scomparsa di Maffei nel 1885. Grazie a quest’ultimo, il giovane Verdi venne accolto nella buona società

Arte e musica Gli interventi sul libretto di Macbeth (Firenze, 1847) e il libretto dell’opera I masnadieri (Londra, 1847, da Schiller), rappresentano i frutti più noti della loro collaborazione. L’influenza del colto e raffinato amico ha agito in realtà in maniera molto più capillare e sottile sul gusto del giovane Verdi. Un quadro di Francesco Hayez, Francesco Foscari destituito (1842-1844), aiuta a rivelare il carattere creativo del loro rapporto. Hayez, pittore veneziano trapiantato a Milano, tornò ben sei volte nel corso della sua carriera, tra il 1827 e il 1859, sul soggetto della tragedia di Byron The Two Foscari. Il dipinto di Hayez, così come la precedente tela L’ultimo abboccamento di Giacomo Foscari figlio del Doge Francesco colla propria famiglia (1840), era ben presente nella mente di Verdi durante il lavoro per I due Foscari, opera scritta per Roma nel 1845. Le didascalie dell’Atto III (Avvi una gran tavola coperta di damasco con

sopra una lumiera d’argento; una scrivania e varie carte; di fianco un gran seggiolone. Il Doge, appena entrato, si abbandona sul seggiolone) sembrano ricalcate sulla scena corale raffigurata da Hayez, che introduce una netta contrapposizione, del tutto assente in Byron, tra il gruppo dei familiari di Foscari e quello degli avversari politici capitanato dallo spietato Lorenzo. La composizione del quadro ha certamente ispirato Verdi per il potente finale dell’opera, come dimostrano i vari cambiamenti del testo richiesti al librettista Piave. Il contatto tra Hayez e Verdi era appunto Maffei, al quale il pittore si rivolgeva spesso come consulente per i dettagli storici e letterari dei suoi lavori. Maffei introdusse Verdi non solo nello studio di Hayez, ma anche in quelli dei principali artisti italiani, come lo scultore toscano Giovanni Dupré, che ha lasciato un divertente racconto del loro primo incontro a Firenze. Il giovane Verdi, a contatto con un intellettuale di respiro europeo come Maffei, prese coscienza delle nuove esigenze della cultura italiana, come Giuseppe Mazzini aveva indicato precocemente nel suo Filosofia della musica, un testo quasi profetico del 1835: “Oggi a risorger davvero in letteratura come in musica, è necessario procedano unite, in chi vorrà porsi a capo, la potenza di Byron e la fede attiva di Schiller”.

Arti

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L’essenza della vita Che un cellulare potesse trasformarsi in strumento di divinazione, forse non ce lo saremmo mai aspettati. Ma in fondo, sempre di numeri si tratta… testo di Duccio Canestrini illustrazione di Micha Dalcol

Chiunque abbia osservato da vicino un cavolfiore ha intuito

che il suo sviluppo risponde a un preciso schema matematico. C’è simmetria, c’è ordine, c’è una formula. Ora c’è anche un’applicazione per iPhone e iPad con cui possiamo divinare le nostre sorti personali interrogando un telefono cellulare. È un gioco, certamente, tra magia e tecnologia. Ma non dite che non c’entra un cavolo, perché ha radici nobili e antiche, quelle della divinazione. Si chiama Yonamba ed è stato presentato quest’autunno, alla fiera del fumetto di Lucca “Comics and Games”.

Mundus

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Le verità nascoste La vita è numero. I numeri sono alla base della natura. La matematica, nelle sue forme più alte, si avvicina alla filosofia. Tutte le culture hanno cercato verità nascoste nei numeri, nelle funzioni, nelle proporzioni. Come se i numeri non fossero solo entità neutre che l’uomo ha inventato per descrivere quantità, ma espressioni delle qualità degli esseri. L’aveva ben compreso Carl Gustav Jung che dei numeri colse la numinosità e il mistero. Ma anche i numeri hanno una, anzi molte storie. Quelli che oggi utilizziamo sono comunemente detti arabi, perché furono gli arabi a importarli per primi dall’India, dove il sistema a dieci cifre era utilizzato già migliaia di anni fa. Nel Medioevo i commercianti europei che facevano affari in Medioriente con i colleghi di lingua araba appresero da loro la codifica dei sistemi di calcolo. Quell’invenzione ha avuto una fortuna planetaria: lo smartphone è frutto del progresso tecnologico innescato dalla combinazione delle dieci cifre inventate dagli indù. Esistono diversi sistemi numerologici, nati in seno a diverse civiltà. Quello più diffuso ha origine dalla filosofia matematica del pensatore greco Pitagora, vissuto nel VI secolo prima di Cristo, mescolata con altre cabale. Nell’universo di Harry Potter, la disciplina che viene insegnata nella scuola di Hogwarts dal professor Vector è detta arithmancy. La “aritmanzia” è

precisamente la pratica divinatoria basata sull’interpretazione dei numeri. Le sue “diagnosi” partono dall’associazione tra le lettere dell’alfabeto latino e i numeri, un po’ come facevano i greci e i popoli semiti. Tra i greci la numerologia magica si chiamava isopsefia; nella cabala ebraica, gematria. Secondo i cabalisti Dio ha creato l’universo usando come materiali da costruzione proprio lettere e numeri. Dalle piramidi alle app I primi a pensare che la struttura dell’universo potesse essere spiegata da numeri furono probabilmente gli assiro-babilonesi. Nel Nuovo Mondo, in epoca precolombiana, soltanto i Maya svilupparono osservazioni astronomiche tanto accurate, e per diversi aspetti più evolute. Naturalmente anche gli antichi Maya credevano al significato mistico dei numeri, associati a giorni specifici del loro famoso calendario. Chi si è occupato di fanta-archeologia, come per esempio lo scrittore Peter Kolosimo, ha ipotizzato che le dimensioni delle piramidi egizie e messicane non fossero il frutto di calcoli arbitrari, ma venissero prescritte da numerologi che le progettavano come realizzazioni di dottrine esoteriche. Come funziona, dunque, Yonamba? Si scarica da iTunes sull’iPhone o iPad, e si digitano il proprio nome, cognome e data di nascita. Ne escono profili personali – attenti alle specificità di genere, femminile e maschile – collegati ad archetipi splendidamente illustrati. Le immagini sono di Gianluca Gugliotta, un maestro del fantasy coautore del bestseller in versione fumettistica di Le Cronache del Mondo Emerso. La particolarità di Yonamba, tra l’altro, è l’etica animalista dei suoi responsi: rispetto per ogni forma di vita e nessuno sfruttamento. Qualcuno sostiene che ciò che hanno in comune la scienza e il misticismo dei numeri è la fede nell’ordine dell’universo. Fede è una parola grossa. Più modestamente, potremmo chiamarla speranza.


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Esercizio di stile

Visioni

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» di Roberto Roveda

Midnight in Paris rappresenta una lieta sorpresa. Perché è una mo a quanto Io e Annie oppure Zelig siano pellicole spiazzanti commedia leggera e divertente e un film che riesce a far ridere e abbiano destrutturato il cinema americano dal punto di vista spesso e di gusto. Ma soprattutto è una pellicola attraversata del racconto filmico. Colpisce di meno se paragonato con la da una vena positiva che allontana – finalmente! – il regista produzione più recente di un regista che pare oggi aver bisogno americano da quei cinismi e cupezze che avevano caratterizza- di un ritorno all’ovile, quasi si trovasse più a suo agio in atmoto le sue pellicole più recenti, da Matchpoint (2005) al recente sfere da commedia hollywoodiana anni Quaranta-Cinquanta Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni. Ritrovare che in quelle del nuovo cinema statunitense Allen non più preda di pessimismi cosmici degli anni Settanta. e animato da una sana voglia di fare cinema Detto questo e pur senza presentare elementi (anche per divertire) è già un discreto auspidi particolare novità e senza rappresentare cio per il 2012. un picco nella parabola artistica di Allen La buona vena di Allen ci racconta di Gil, (come azzardato da alcuni critici che probasceneggiatore con aspirazioni da scrittore, bilmente non hanno mai visto Manhattan), in vacanza a Parigi con la promessa sposa Midnight in Paris è comunque un film ottiInez e gli invadenti genitori di lei. Gil è già mo, superiore – e di molto – alla maggior stato nella Ville Lumiêre e ne subisce il faparte delle commedie che si girano oggi, scino in maniera profonda. Un fascino che soprattutto in America. Una pellicola raccondiventerà ancora più pervasivo quando una tata con stile e gusto da un regista che magari sera, a mezzanotte, si troverà catapultato, ha qualche caduta di tono talvolta, però ama per magia o sogno, nella Parigi degli anni profondamente il cinema. E soprattutto lo sa Venti con tutto il suo fervore culturale e “fare” come pochi oggi e in Midnight in Paris artistico. Avrà incontri con Hemingway, lo dimostra restituendoci alcuni elementi del Midnight in Paris Scott Fitzgerald, Picasso e tutto il milieu suo repertorio migliore. di Woody Allen intellettuale del tempo cercando di fare in A partire dai dialoghi, scoppiettanti, briosi, Usa - Francia, 2011 modo che il “miracolo” si ripeta ogni notte, ma anche ricercati e venati di letterarietà così da sfuggire alla realtà e continuare a vivere in un luogo che quando fa parlare artisti e intellettuali nelle scene ambientate gli pare incantato. Scoprirà che ogni epoca è magica quando è nella Parigi degli anni Venti, ricostruita tra l’altro con ricercato passata e che a ognuno di noi è dato di vivere, senza amarezza gusto evocativo e con una cura che sa di atto d’amore per una e con serenità, il tempo che ci tocca di vivere. Anche perché la città molto amata dal regista. Poi spicca il ritmo narrativo, pratirealtà, come avviene nel finale del film, è sempre in grado di camente senza cedimenti e senza forzature: finalmente un film sorprenderci. che non appare né frettoloso, né tirato troppo per le lunghe. Certo un messaggio non originalissimo quello di Allen, così Ma, forse, la cosa che colpisce di più è la straordinaria direzione come non nuovo per il regista è il tema dei personaggi che si degli attori, che paiono muoversi come in un perfetto gioco a muovono tra un mondo reale e un immaginario desiderato incastri, con naturalezza e senza alcuna sbavatura. Il capolavoro per poi scoprire che la realtà vince sempre e che il sogno può del regista sta probabilmente nell’essere riuscito a rendere creessere solo fugace. Il cineasta newyorkese lo aveva affrontato, dibile Owen Wilson (che interpreta Gil), attore dall’espressione ma con maggiore pessimismo e struggimento, in La rosa pur- un po’ bovina che si era sempre mosso finora tra film comicopurea del Cairo (1985). Forse la cosa più sorprendente in questo demenziali e commediole all’acqua di rose. Allen gli affida un ultimo Allen è quanto il film si “presenti” in maniera molto ruolo che il regista avrebbe probabilmente riservato a se stesso tradizionale, quasi classica nella resa formale e nell’utilizzo della negli anni Settanta, trasformandolo in una sorta di alter ego. macchina da presa. Il che può colpire se confrontiamo Midnight Un’occasione così non ricapiterà tanto facilmente al simpatico in Paris con l’originalità delle opere migliori di Allen e pensia- e pacioso Owen Wilson...

Fissurazioni cutanee?

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Il cerotto spray contro le screpolature delle mani e dei piedi Leggere il foglietto illustrativo. Mepha Pharma SA

Quelli con l’arcobaleno


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Dramma in campo Con questo articolo diamo il via a una serie di cronache filo-drammatiche dal mondo dei “b-shows” e di altri spettacoli da divano, a partire da una lettura obliqua e inusuale di un evento calcistico di Nicola deMarchi

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Macbeth in versione rock’n roll. Platonov in modalità reality. Varietà fuori corso trasposti su palcoscenici in salsa contemporanea. Una decina d’anni fa tali meticciaggi di forme e maniere presi in prestito dalla televisione o da altri media avrebbero fatto storcere il naso a più di un abbonato alle stagioni di teatro. Oggi le categorie teatrali e degli spettacoli detti “di massa” non sembrano mai essere state così porose. Complice un numero crescente di opere e creatori che riprendono, all’interno di un discorso scenico, le declinazioni tipiche del linguaggio mediatico elevandolo talora a folklore, tal’altra a mitologia della nostra epoca. Come la formula di “calcio spettacolo” attesta, in questo commercio di forme, strategie sceniche e slittamenti di significati, il calcio, già preso a pretesto di certe pratiche teatrali e drammatiche, sembra ricambiare il favore. Qual’è pertanto il segreto di questo show che macina record di audience da far impallidire Shakespeare? Non è un mistero che l’avvento dei media e in seguito di tutti i format annessi e connessi, abbia avuto voce in capitolo nella trasformazione di questo svago. Tanto che oggi una semplice partita a pallone può facilmente assumere le proporzioni di un evento mentre la ciclicità dei campionati sembra esercitare sul pubblico un irresistibile fascino da saga. Al centro, il cronista e la sua prosa. “È lui che dà all’avvenimento, inafferrabile perché diluito senza sosta in una durata la dimensione epica che permette di precipitarlo, solidificarlo”, suggerisce Barthes nelle sue Mitologie. Una lettura aperta Ma l’avvento dei media, per quanto determinante, non è forse il solo segreto dello spettacolo calcistico. Nella loro forma originale pochi altri spettacoli possono infatti vantare, al di fuori delle loro regole, quella gaia imprevedibilità che aleggia come un epilogo nomade all’interno di un canovaccio di novanta minuti. Una “forma aperta” che abbandona lo spettatore alla stessa incertezza che grava in certi quinti atti di drammi o commedie. E non è un caso forse che un uomo di teatro come Carmelo Bene dicesse di preferire un cronista sportivo al critico parvenu, per riferire delle sue pièce. Come per una partita di calcio, anche per il teatro si può infatti dire che ogni sera è una prima. E unica. Al di là dell’“irruzione del reale”, per dirla in termini da critica teatrale, il carattere storico e folkloristico del calcio esercita puntualmente sui creatori anche un fascino capace di trasformarsi in “materia scenica”. Come nel caso delle performance del losannese Massimo Furlan (“Furlan/Numéro23” e “Numéro 10”) che, nella sua rivisitazione di avvenimenti

Wayne Mark Rooney (Immagine tratta da www.my.news.yahoo.com)

mediatici centrali nella formazione della sua generazione, fa rivivere intimamente alcune partite della Coppa del Mondo dell’82. Forse l’ha fatto così. O forse perché, come sostiene anche l’etnologo Christian Bromberger, al calcio riesce di mescolare i generi “in equilibrio tra rito e show, tra il tragico e il comico, tra la festa e la guerra, tra la buona serata mondana e il sacrificio militante”. Comunque già un paio di buone ragioni per vedere come si può commentare una partita dal punto di vista di un critico teatrale. Gli attori in scena Pur non essendo una finale di Coppa del Mondo, Basilea – Manchester United del 7 dicembre scorso, offriva svariate ragioni di interesse. Non tutte sportive. Se nel 2003 al Basilea riuscì infatti già una volta di qualificarsi per gli ottavi di


Champions League, è dal lontano ’78 che una squadra svizzera non si qualificava eliminando una grande d’Europa. È quindi un’impresa da Davide contro Golia quella alla quale è chiamato l’FCB, condannato, per rimanere in corsa, a vincere ed eliminare il titolato “Man U”, al quale un pari basterebbe. Eppure, anche se al fischio di inizio le quote dell’FCB non sono altissime, il St. Jakob – Park è pieno zeppo e l‘audience televisiva non dev’essere da meno. E non ci vorrà molto al pubblico di casa per incominciare a sognare. Dopo qualche brivido, il Basilea alza il baricentro e in un tergicristallo di centri davanti alla porta inglese, il “Wunderkind” renano Shaqiri imbecca

all’8° Streller che con un colpo stile cicogna, insacca. Sono tutti un po’ increduli quando lo sperticato attaccante corre alla bandierina del corner per una scivolata d’esultanza. E al pubblico del St. Jakob allora il grato compito di infiammarsi interagendo con lo speaker dello stadio che fornisce l’assist del nome del cannoniere ai tifosi che proclamano in un boato il cognome. Stratagemma enfatico, questo dei nomi, identificato sempre da Barthes come “la figura principale di un vero e proprio linguaggio poetico che permette di leggere un mondo dove la descrizione è inutile”. Ferito, il Man U ci prova all’11° con Giggs. Poi è la volta di Nani, con il dribbling: questa specie di esercizio retorico, monologo di finte, controfinte, attese e scatti. E al 29°, “agile come un aforisma” (per dirla alla Ceroni), il portoghese s’infila in area, mette un pallone in mezzo dove però lo mancano

un po’ tutti. Rooney compreso. La moviola, uno dei privilegi dello spettatore televisivo, rivela allora tutta la comicità dei gesti mancati. Il Basilea soffre, però quando riparte, il St. Jakob si scuote come un solo uomo. Niente di sorprendente. Se una partita fa “provare in una scorciatoia di 90 minuti, tutta la gamma delle emozioni che si possono provare nel tempo lungo e disteso di una vita”, si chiede infatti l’etnologo Bromberger “cosa di più insipido di un incontro in cui non si passa dal «loro» al «noi», dove non ci si sente sé stessi attori?”. E la partecipazione all’avvenimento (ambizione comune alle rappresentazioni del Living Theater degli anni Sessanta) è caratteristica quasi genetica dello spettacolo calcistico (basti pensare all’espressione da ultima cena di “dodicesimo uomo” per designare il supporto del pubblico amico). A sorti alterne, al giocoliere di casa Shaqiri, riesce allora un po’ tutto. E insieme a lui, a tutto il Basilea. In faccia il blasonato Man U, sembra vittima di un narcisistico mal di casa. Ad aggravare il quadro ci pensano poi i canti dello “Joggeli” (il familiare nomignolo dato allo stadio basilese), che si alternano a silenzi dove non c’è voce in capitolo per i sofferenti tifosi inglesi. Da Shakespeare a Hitchcock Agli ingredienti “patologici” di questo “teatro vivente” che è lo stadio, si aggiungono l’entusiasmo e la tensione, l’euforia e l’isteria che le telecamere pescano sugli spalti e che dalle gradinate arriva ai salotti (non inquadrati, ho visto padri di famiglia sgolarsi come ultras davanti a un televisore). Perché si è in qualche modo attori del dramma calcio. Un “teatro energetico” che prende il pubblico con i muscoli, con i nervi, verrebbe da dire rispolverando en passant la via che il filosofo del postmodernismo Lyotard indicava al teatro per mettere in valore “le forze, le intensità, le pulsioni della presenza scenica”. Cosi al 59° quando Steinhoffer rischia di fare un autogoal da antologia, si sente distintamente urlare di paura. E più tardi ancora, perché il Man U ci prova: a un tocco, a folate, ondate e bordate. Ma come in certe repliche da boulevard, qualcosa manca. Anche “Wazza” Rooney, che malgrado il lusinghiero epiteto (frutto della contrazione del nome Wayne con il nomignolo del genio maledetto Paul “Gazza” Gascoigne) non perviene. Cosi all’83°, è Shaqiri a rubare palla a Rooney, mettere in mezzo un centro che Frei deve solo spingere in rete. A corto di epiteti, il cronista DRS Daniel Kern si abbandona a un Das Tor, tre volte declamato. Iterazione shakespeariana che pare preambolo a un finale hitchcockiano. Puntualmente arriva infatti la rete inglese ad agitare gli spettri della finale ’99, quando il Man U di Beckham ribaltò in un paio di giri di lancette, l’1 a 0 col quale il Bayern conduceva da 80 minuti. E allora al pubblico di casa va bene anche la melina. Se il calcio ha infatti un legame endemico con le scene non è forse anche per le posture, i gesti e il cosiddetto body language dei giocatori, dalla protesta all’esultanza, fino ai modi più sottili di perdere tempo? Al fischio dell’arbitro sguardi da tragedia greca e facce pazze di gioia si avvicendano allo schermo, mentre negli studi TV la parola Wunder è quella che ricorre di più. Un prodigio infatti, come si deve a ogni impresa da teatro epico.

Media

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» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Reza Khatir

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Richard Weber

Vitae

si è offerta un’altra soluzione: nel corso di danza, i giovani ballerini avevano creato una bellissima pantomima su un canovaccio di Jean-Gaspard Deburau. Osservando il loro lavoro ho deciso: il mio futuro sarebbe stato il mimo. Ci siamo conosciuti e dopo due anni, con altri amici musicisti, cantanti, attori e scrittori, abbiamo fondato, nel centro di Praga, il Teatro alla Balaustra. Nel 1962, a Berlino Ovest si è tenuto il primo Festival Mondiale di Pantomima. L’enorme interesse delle agenzie teatrali per il nostro lavoro ci ha cambiato la vita: sono seguiti lunghi viaggi in Europa, Nel corso della sua carriera di mimo non America del Sud e del Nord, si è di certo annoiato: si è esibito sui pal- Asia e Africa. A Berlino, un chi e nei festival teatrali di quasi tutto il altro incontro importante per il mio futuro è stato con un mondo senza però trascurare l’impegno giovanotto dai capelli lunghi: nella formazione dei giovani artisti Dimitri, il clown di Ascona. Mi ha affascinato la poetica, truccatore ad alto livello. Con apparentemente semplice, con cui portava lo sviluppo dell’uso del latex, il pubblico del festival a piegarsi dalle risate che permetteva di cambiare la durante le sue scene clownesche. Siamo forma e l’espressività del viso diventati amici. Più tardi, Dimitri è stato dell’attore, ho cominciato a ospite al Teatro della Balaustra, e anche la occuparmi professionalmente nostra compagnia si esibiva regolarmente in della modellazione di mascheSvizzera. Durante una pausa caffè abbiamo re. Grazie al signor Gustavo, discusso di un’idea che avevamo in comune: che raccontava storie legate a sarebbe stato bello fondare una scuola di nomi famosi come Visconti, teatro di movimento. “Ma dove, e con chi?”, De Sica, De Santis, Zavattini e riflettevo tra un sorso e l’altro di caffè. “È da Rossellini, mi sono avvicinato molto tempo che sto pensando alla stessa cosa. alla cultura italiana... compreOra sai dove e con chi!” ha risposto Dimitri so il Chianti Ruffino, che lui ridendo. Nell’autunno del 1975, Gunda Diamava molto. mitri ha aperto le porte del cortile del Teatro Le centinaia di ore dietro alla Dimitri a Verscio ai primi allievi. Oggi, guarcamera, mentre naturalmente dando il passato, non posso quasi credere controllavo se il trucco e le che siano trascorsi 35 anni dalle mie prime parrucche erano in ordine, mi lezioni nella vecchia palestra. Ma quando hanno permesso di osservare mi faccio la barba, lo specchio esclude ogni il lavoro di registi e attori. illusione. Oltre che dell’insegnamento delle Una scuola fantastica: capivo mie materie, sono contento di essere riuscito come era possibile raccontare a sviluppare nuovi metodi pedagogici adatuna storia creando situazioni tati secondo le necessità e il carattere della e atmosfere differenti, mentre nostra scuola, in cui predominano la recita il mio sogno di recitare e disenza parole e il movimento. Anche la mia ventare attore non si placava. attività come regista e il lavoro su strutture A 23 anni ho superato con drammaturgiche mi hanno restituito grande successo gli esami dell’Acgioia. Mi dà molto piacere e soddisfaziocademia Teatrale di Praga. ne – che penso siano condivisi anche da Purtroppo, dopo pochi mesi Gunda e Dimitri – aver contribuito a creare di studio, ho scoperto che le una scuola di alto livello professionale con mie corde vocali non funziouna buona reputazione in tutta Europa. navano bene, il che non mi Per questo voglio dire ai giovani colleghi: permetteva di recitare ad alta buon lavoro per il futuro e tanta felicità per voce sul palco. Ma per caso mi i prossimi 35 anni!

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G

ià prima della Seconda guerra mondiale sono stato affascinato dai film con Charlie Chaplin e Buster Keaton, e dai cartoni animati di Walt Disney che vedevo al cinema con mia nonna. Coglievo con entusiasmo ogni occasione per seguire le storie sullo schermo, nell’oscurità della sala cinematografica: da qui è nato il mio desiderio di diventare attore. La situazione sociale dopo la guerra era tutt’altro che facile. Vivevo con mia madre, gravemente malata dopo due anni di prigionia nazista. Ho dovuto interrompere gli studi e la possibilità di entrare nell’accademia teatrale pareva un miraggio. I soldi erano una necessità, ma ho avuto fortuna: ho potuto iniziare a frequentare una scuola specializzata per truccatori e parrucchieri e allo stesso tempo lavoravo per due giorni alla settimana nel salone di un parrucchiere. Dopo tre anni di formazione ho avuto un’occasione inaspettata: gli studi cinematografici di Praga cercavano nuovi giovani per il reparto trucco. Mi sono presentato e mi hanno preso. Il primo giorno, visitando gli studi e seguendo il lavoro in corso, ho sentito per la prima volta le parole magiche: “Silenzio! Camera! Azione!” Parole che mi hanno accompagnato per i successivi otto anni. Nei giorni seguenti mi hanno presentato all’uomo che tutti, con grande rispetto, chiamavano “signor Gustavo”. Dopo un breve colloquio, egli ha concluso sorridendo: “Si lavora ventiquattro ore al giorno, signor Weber, e le malattie sono vietate. D’accordo?”. Ero stato accettato come suo assistente. Stranamente durante la nostra collaborazione non mi sono mai ammalato. Non potevo trovare maestro migliore. Il signor Gustavo era stato capo truccatore a Cinecittà per dodici anni. Durante la nostra partecipazione a sedici lungometraggi, inclusi parecchi film storici, ho acquisito il mestiere di


“Al di la del nord, del ghiaccio, dell’oggi, al di là della morte” Friedrich Nietzsche, Frammenti poetici

Cent’anni fa, nel 1911, il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel scriveva riguardo alle cime innevate delle Alpi: “qui la vita è come intessuta e presa in qualcosa che è più silenzioso e più immoto, più puro e più alto di quel che potrebbe essere essa stessa”. Vita avvolta in coltri candide – di nevi, nuvole e nebbie – che sembra sospesa oltre lo spazio definito e orientato, in un alto assoluto, oltre il tempo, immobile

testo di Raffaella Carobbio; fotografie di Giosanna Crivelli







N

eve e roccia, acqua e terra – plasmate e trasformate nel corso delle ere − in costante tensione, in equilibrio. Ghiacciai. Vittime del cambiamento climatico e del riscaldamento planetario, i ghiacciai sono pazienti tenuti sotto attenta osservazione, e segnali di un futuro preoccupante. Ma sono anche testimoni della metamorfosi di un territorio di cui racchiudono le tracce primordiali. Raggiungere e percorrere un ghiacciaio comporta un duplice movimento: a ritroso nel tempo (attraverso le stratificazioni geologiche) e ascensionale nello spazio – da un basso caratterizzato da una forte presenza antropica a un alto che, progressivamente, diventa più selvaggio, essenziale, inospitale. Un movimento attraverso luoghi che si trasforma nell’inoltrarsi nella memoria della Terra. Il sentiero glaciologico del Basodino La nostra riflessione si snoda lungo il sentiero, inaugurato la scorsa estate, che dalla Val Bavona (da Robiei) porta al Basodino, il maggiore dei novanta ghiacciai che si trovano in Ticino. Il Basodino ha attirato molto presto l’attenzione sia del turismo (negli anni Venti del secolo scorso gli furono dedicate numerose cartoline) sia degli studiosi di scienze naturali: i primi rilievi delle variazioni del fronte del ghiacciaio, operati dalla Società Svizzera di Scienze Naturali, datano al 1892. Immagine familiare a chi frequenta la montagna, quasi un cliché delle Alpi ticinesi, il Basodino è relativamente (!) il più accessibile fra i nostri ghiacciai. L’omonimo sentiero glaciologico coniuga escursionismo e interesse scientifico, invitando, in questo modo, chi lo percorre a pensare non soltanto al futuro precario di questo fragile ecosistema ma anche alle tracce di antichissimi stadi geologici che, poco per volta e inesorabilmente, il ghiacciaio ci svela. Pietre e ghiaccio si susseguono lungo la salita lasciando le une spazio all’altro: rocce levigate e arrotondate dalla sua azione; rocce scavate e modellate dall’acqua, dai rigagnoli e dai fiumi che scendono dal ghiacciaio fino ai laghi artificiali, ai bacini di contenimento delle centrali idroelettriche che da più di cinquant’anni segnano profondamente buona parte del paesaggio della Val Bavona. Riali che disegnano intricati ricami sui fianchi

della montagna: all’improvviso scompaiono come inghiottiti dalla montagna stessa, per poi riapparire trasportando a valle quell’acqua dal colore particolare, ricca di ossigeno. Grazie ad essa, risorsa vivificante, in questo regno all’apparenza tanto ostile, appaiono qua e là alcune audaci forme di vegetazione, sono le specie pioniere come il silene exscapa o il salix reticulata o come certe alghe che riescono a svilupparsi anche sulla superficie innevata. L’arretramento del ghiaccio ha lasciato spazio, a quote sempre più elevate, a nuove colonizzazioni vegetali modificandone l’aspetto che assume altri colori e tonalità. Tempo e materia Dalle prime misurazioni, di metà Ottocento, alle attuali il fronte del Basodino è indietreggiato di quasi un chilometro e mezzo: ghiaccio che, ritirandosi, ha liberato e libera dalla sua morsa la roccia sottostante. Una morte che, nel corso di un secolo e mezzo, è andata sempre più accelerando: la vita del ghiacciaio scivola via con l’acqua verso le terre più in basso e in questo processo scopre un paesaggio rimasto a lungo invisibile, il volto nudo della montagna, i corrugamenti lasciati dal movimento delle masse glaciali, i solchi gli inghiottitoi e le doline frutto della lenta e ostinata escavazione dell’acqua, i detriti e i massi erratici trasportati dal ghiacciaio, le morene e le frane. Un volto sul quale affiora qualcosa di originario e primordiale: in questa massa rocciosa, nel suo metamorfismo, nella molteplicità delle sue conformazioni si legge un tempo remoto; materiaminerale che, ora non più nascosta, si trasforma in espressione e palesamento del tempo, della sua azione plastica. Un tempo scandito dal succedersi dei periodi di glaciazione e di scioglimento – dall’avvicendarsi delle stagioni – dal movimento e dal lavoro della massa di ghiaccio. E, infine, ancora le parole di Georg Simmel: “L’inquietudine lacerante delle forme e la pesante materialità della mole creano, con la loro tensione e il loro equilibrio, un’impressione che è satura al tempo stesso di agitazione e di pace”. Il senso, la scoperta, di questo nostro percorso verso il ghiacciaio si riflette in queste parole del filosofo tedesco, in quest’altalenante equilibrio tra la forma (plasmata e quindi anche tempo) e la materia (mole, massa assoluta, indefinita). Il ghiacciaio è entrambe: forma-tempo e materia e forse questo è il suo fascino, la sua fragile complessità.

Informazioni: per chi volesse maggiori notizie riguardo al sentiero glaciologico il Dipartimento del territorio, Divisione dell’ambiente, Sezione forestale ha pubblicato – quest’anno – un’utile guida intitolata Sentiero glaciologico del Basodino. Inoltre è possibile trovare informazioni anche sul sito: http://www4.ti.ch/dt/ da/sf/temi/ghiacciai/ ghiacciai/sentiero-glaciologico-del-basodino/ Bibliografia G. Simmel, “Le Alpi”, in Saggi di cultura filosofica, Guanda, Parma 1993.

Giosanna Crivelli Nata nel 1949, vive a Montagnola. Lavora da molti anni come fotografa indipendente in campo editoriale e pubblicitario, oltre a tenere corsi di fotografia. Tra i temi a lei cari: il paesaggio archetipico, le trasformazioni degli ambienti naturali, i percorsi biografici e autobiografici. Ha pubblicato per gli editori Werd Verlag, SalvioniEdizioni, Desertina, Fondazione Hermann Hesse. Per informazioni: www.fotolife.ch


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Fiabe

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Tazio, Becco e il re dei ladri

Tanto, tanto tempo fa, in un paese lontano, chiamato Roccacalcina, viveva un famosissimo ladro di nome Tazio. Le guardie del re gli davano la caccia da anni ma nessuno era mai riuscito ad acciuffarlo. In quel regno c’era anche un altro ladro famoso che si chiamava Becco e un giorno a Tazio venne voglia di conoscerlo per far comunella insieme. Seduto in un osteria, intento a pensare al modo in cui poteva incontrare Becco, si accorse con sorpresa che qualcuno gli aveva rubato l’orologio d’oro. “Diamine”, disse fra sé “solo un ladro abilissimo può rubarmi la cipolla (così si chiamavano allora gli orologi, ndr) senza che me ne accorga!”. Davanti a lui, tutto occupato a mangiare una zuppa di fagioli e cotiche, c’era un giovanotto dalla faccia furba. Con mano lesta Tazio gli sfilò la borsa di dosso. Quando il giovanotto andò a pagare e si accorse di non avere più la borsa capì e disse: “Te devi essere Tazio?” “Certo, e te sei Becco!” “E ci mancherebbe”, rispose Becco, restituendo l’orologio e riprendendosi la borsa. Insomma, rubandosi le cose a vicenda i due si erano riconosciuti e avevano fatto amicizia. Decisero subito che due ladri come loro dovevano mettersi in affari e davanti a due bicchieri di vino cominciarono a ragionare su cosa potevano rubare. Pensa che ti penso, gli venne in mente la cosa più preziosa che ci fosse in quella

di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini

contrada: il tesoro del re. Questo re, che si chiamava Gianni, era talmente tirchio, ma talmente tirchio che a guardia del suo tesoro ci aveva messo venti soldati armati fino ai denti. Ma Tazio e Becco scavarono una galleria sottoterra e da lì rubarono tutto il tesoro. Re Gianni quando gli fu portata la notizia sbiancò come un cencio lavato tre volte e si mise a urlare per tutta la reggia che le grida le sentirono fino in Portogallo. “Portatemi quel ladruncolo che teniamo in prigione… come si chiama… accidenti! Rubagabbana. Subito, subito davanti a me!”. Le guardie condussero Rubagabbana al cospetto del re. “Se trovi chi mi ha rubato il tesoro ti lascio libero e ti faccio barone, altrimenti ti ributto in mezzo ai topi”. “Ah, sire. Non è difficile: ci sono solo due ladri capaci di rubare il tesoro a un re e sono Tazio e Becco. E certo in quest’affare hanno lavorato in combutta. Lo so io come prenderli. Fate mettere la vostra corona in una teca di vetro in mezzo alla piazza principale e vedrete che non resisteranno alla tentazione”. Re Gianni era assai perplesso a lasciare la sua preziosa corona alla mercé di quei due farabutti ma non sapendo come altro fare accettò il consiglio di Rubagabbana. Era però talmente tirchio e preoccupato che decise di passare la notte nascosto nel buio insieme alle sue guardie in attesa dei


due ladri. Ma Tazio e Becco erano troppo furbi e capirono subito che quella della corona era una trappola. A Becco venne allora un’idea. “Senti un po’ Tazio”, disse con un lampo negli occhi “questo re è troppo scemo e tirchio per capirci qualcosa. Sarà sicuramente nascosto da qualche parte a tener d’occhio la sua corona. Sai noi che facciamo: mentre lui è lì al freddo noi entriamo in camera sua dalla finestra e gli rubiamo tutto”. “Geniale Becco!”, disse Tazio e in men che non si dica avevano concluso l’opera. Quando il re la mattina dopo, tutto assonnato e con la corona di nuovo in testa, entrò nella sua stanza per poco non gli venne un colpo: persino le lenzuola gli avevano preso. Rosso di rabbia, la schiuma alla bocca, fece chiamare Rubagabbana. “Bel consiglio mi avete dato! Mentre ero lì che sorvegliavo la corona, quei due manigoldi mi hanno derubato. Che figura ci faccio con i miei sudditi. Sono tutti a ridere di me…”. “Beh”, rispose il ladruncolo “l’errore è stato vostro, mica mio. Se anziché fare il cane da guardia alla corona aveste lasciato fare ai soldati il loro mestiere e foste andato tranquillamente a dormire nessuno sarebbe entrato nella vostra camera, mio sire”. “Io sono il re e faccio quello che mi pare e ora trovate il modo di acciuffarli”, urlò indispettito re Gianni. “Un modo ci sarebbe ma non so se vi garberà…” “Su via, dite, dite…”, incalzò il re. “Farete finta di partire improvvisamente insieme alla regina per un affare urgente e invece vi farete tutti e due chiudere in una delle prigioni. Nessuno dovrà saperlo a parte me e le vostre guardie. Ma io farò in modo che Tazio e Becco lo vengano a sapere, così… quasi per caso, e stavolta ci cascheranno. Quando saranno entrati nel palazzo per rubare io ordinerò alle guardie di arrestarli e vi manderò subito a liberare”. A re Gianni questo piano non piaceva un gran-

ché, anzi proprio per nulla, ma dato che era grullo quanto avaro, decise di accettare: si fece chiudere in prigione lasciando le sue ricchezze a far da esca nel palazzo. Quella sera Rubagabbana, con un gran cappuccio in testa, andò all’osteria dove sapeva che Tazio e Becco andavano a giocare a ramino. Arrivato all’osteria ordinò che fossero preparate sei damigiane di vino da portare al palazzo. Quando l’oste gli chiese la ragione di quella richiesta lui gli spiegò che il re aveva temporaneamente lasciato il regno per un affare segretissimo oltre mare e tutte le guardie del palazzo per la gioia volevano far bisboccia. L’oste, appena Rubagabbana se ne fu andato, raccontò tutto a Tazio e Becco che presi i sacchi per metterci la roba corsero furtivi e veloci come due faine verso il palazzo. Appena entrati, le guardie gli piombarono addosso e subito li condussero davanti a Rubagabbana che li aspettava seduto sul trono con la corona in testa. “Cari Tazio e Becco, voglio proprio ringraziarvi. Per merito vostro oggi sono diventato re e voi vi faccio baroni a patto che non veniate più a rubare nulla e che si faccia a mezzo col tesoro. Altrimenti vi butto in mezzo ai topi in compagnia di quel grullo di Gianni”. I due ladri accettarono l’offerta ma da quel momento Roccacalcina divenne il regno preferito da ladri, furfanti e imbroglioni che finirono per derubarsi l’un l’altro. E così tutti vissero poveri, infelici e soprattutto, con le tasche vuote…

Fiabe

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Ticinesi a Tendenze p. 48 – 49 | di Demis Quadri

Un turista che voglia trascorrere le vacanze a Vancouver non deve temere di annoiarsi. Se è appassionato di botanica, può passeggiare piacevolmente nel Queen Elizabeth Park. Se desidera scoprire i popoli nativi nordamericani, di certo il Museum of Anthropology fa per lui. Se vuole godersi in vesti adamitiche una magnifica spiaggia, non ha che da scegliere Wreck Beach. Dopo una visita alla Vancouver Art Gallery, per bersi un bicchiere in un locale giovanile potrà optare per il Shenanigans di Robson Street, mentre la sua passione per l’escursionismo sarà senz’altro soddisfatta da una gita sulla Grouse Mountain. E se giungendo dalla Svizzera italiana provasse un pizzico di nostalgia, potrà consolarsi al suono del nome di Locarno Beach. Alcuni ticinesi però hanno deciso di andare oltre il soggiorno vacanziero, facendo della città canadese la propria residenza. Per esempio Manuel Guggisberg, architetto, che ci racconta: “Sono arrivato a Vancouver con l’aiuto di Lingue e stage. Dopo sei mesi di scuola, mi hanno trovato un posto di lavoro per altri sei mesi. Alla fine del programma ho deciso di rimanere. Ho trovato impiego in uno studio d’architettura e adesso sono in Canada da cinque o sei anni”. Di amore a prima vista invece si può parlare per Alice Comi, che al momento di questa intervista era studentessa in Lettere alla University of British Columbia (UBC): “Sono giunta in questa città per la prima volta a 14 anni. Stavo andando a Seattle e mi sono fermata qualche giorno. Quando sono uscita dall’aeroporto mi sono sentita a casa. Poi sono tornata diverse volte, finché alla fine ho deciso di trasferirmi qui”. Nonostante professionalmente il Canada lo releghi a junior architect, perché il suo diploma svizzero non vi è accettato, Manuel sottolinea l’elevata qualità della vita che contrassegna la città: “È considerata da alcuni anni come una tra le città più vivibili al mondo. E vanta le temperature più miti del Canada, anche se piove da novembre ad aprile. È abbastanza cara, ma i prezzi in centro sono ancora abbordabili”. Anche a livello accademico la situazione è decisamente positiva. Alice spiega che il campus


Vancouver Vancouver è una città che armonizza molto bene la natura dei suoi parchi, l’imponenza dei suoi grattacieli e le acque salmastre delle sue baie. E qui che hanno deciso di approdare due giovani provenienti dalla Svizzera italiana

della UBC, pur essendo forse un po’ dispersivo, è molto verde e diversificato: “L’università è tra le migliori al mondo, con un incredibile programma di ricerca, che nel campo della fisica è seconda solo al CERN di Ginevra. È sicuramente un’ottima università, soprattutto per i corsi post laurea”. A Manuel di Vancouver piace molto l’aspetto multietnico: “C’è un’enorme comunità cinese, molti coreani e giapponesi, e immigrati europei e sudamericani. Per questo il razzismo si sente poco e come stranieri si è accolti molto bene”. A questo proposito, però, Alice nota che non bisogna prendere Vancouver per un paradiso in terra: “La città ha fama di essere molto internazionale, ma la situazione è anche parecchio ghettizzata e suddivisa. Ci sono una Chinatown molto grande, un quartiere indiano, ecc. Ma tutto questo comunque non è avvertito come brutto o negativo. Una cosa che mi fa sempre sorridere di Vancouver è che il 51 o il 52% della popolazione fa parte di una minoranza, per cui sembra che la maggioranza stessa faccia parte di una minoranza...” . Ciò che appare chiaro è che la multiculturalità reale fa meno paura di quella percepita attraverso il filtro dell’immaginazione e del pregiudizio. D’altra parte, come si può evincere dalla lettura della Xenophobe’s Guide to the Canadians di Vaughn Roste e Peter W. Wilson (Oval Books), che racconta il Canada e i suoi abitanti in una vincente combinazione di umorismo e competenza, la multiculturalità di questo paese nasce dalla decisione di trasformare una realtà demografica in virtù nazionale. Di fronte alla mancanza di caratteristiche comuni che potessero unirli rafforzando il loro senso di appartenenza, i canadesi hanno scelto proprio le differenze culturali come un aspetto della loro terra che non solo è accettato, ma addirittura incoraggiato attivamente ed esibito. È anche per questo motivo che, rispetto ad altri paesi industrializzati, il Canada ha potuto evitare aperte manifestazioni di razzismo o l’insorgere di certe evidenti disparità economiche e sociali. E così, accanto ai più noti gruppi di canadesi britannici, francesi e delle Prime Nazioni (le popolazioni originarie del territorio), vi si può agevolmente trovare una folla di canadesi italiani, greci, cinesi, indiani, tedeschi, ucraini, portoghesi...


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Astri toro

gemelli

cancro

Problemi familiari causati dal transito lunare. Evitate vecchie recriminazioni. Momento ideale per liberare la propria casa dall’inutile. Apritevi al nuovo. Tensioni sul lavoro determinate da poca comunicazione.

Decisiva la giornata dell’8 gennaio segnata dall’arrivo di Mercurio. Notizie in arrivo. Figli inaspettati portati dal transito di Marte nella vostra quinta casa solare. Occasione professionale senza precedenti.

Se riuscirete a tenere i piedi a terra potrete realizzare qualcosa di grande. Amori e fuga dalla realtà per i nati negli ultimi giorni. Eros e romanticismo in fusione celeste. Attenti a non idealizzare il partner.

È venuto il momento di mettere tutto in chiaro. Stabilite con il partner un legame alla pari. Se sarete franchi ne guadagnerete. Suggestioni per i nati nella terza decade, soprattutto per quanto riguarda l’Eros.

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vergine

bilancia

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Vita affettiva confusa. Poca resistenza verso le tentazioni. Idealizzazioni fuori della realtà. Spiccata vena creativa per gli artisti. Nuovi schemi professionali per i nati nella prima decade. Cambio di mansioni.

Con Marte nel segno non è ammesso temporeggiare. Andate decisi verso i vostri obiettivi senza farvi frenare da inutili dubbi. Siate ottimisti che Giove è dalla vostra parte. Opportunità provenienti dall’estero.

Grazie a Venere vedrete sotto un’altra luce ogni realtà quotidiana. Tutto vi sembrerà più piacevole. Con Nettuno in Acquario vi sentirete carichi di romanticismo. Attrazione per le persone anticonformiste.

A partire dal giorno 9 sarete favoriti dal transito di Mercurio. Grazie a questo passaggio potrete sviluppare nuovi contatti e uscire dal vostro ambiente abituale. Vita sociale in crescita. Illusioni amorose.

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A partire dall’8 gennaio potrete realizzare un progetto a cui vi sentivate fortemente legati. Amori romantici favoriti dal sestile del vostro Sole natale con Nettuno e Venere. Calo fisico provocato da Marte.

L’8 gennaio è segnato dall’arrivo di Mercurio. Si apre per i nati nella prima decade il mondo dei grandi affari e delle grandi opportunità. Con Marte e Giove vi sentite più forti e quindi non vi resta che osare.

Romanticismo o illusione? Sta a voi dirlo. Tutto dipenderà dal vostro grado evolutivo. Momento eccezionale per i creativi. Tra l’8 e il 13 gennaio Venere e Nettuno congiunti per i nati nella terza decade.

Fino al 13 gennaio Venere transita nella vostra dodicesima casa. Il transito se da un lato favorisce atteggiamenti di dedizione verso il partner dall’altro potrebbe provocare l’inizio di una storia clandestina.

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Soluzione del n. 51

La parola chiave del Concorso apparso il 23 dicembre 2011 è:

MENTIRE Tra coloro che hanno comunicato la soluzione corretta è stata/o sorteggiata/o: Salmina Claudio via San Gottardo 64 6648 Minusio

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Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

La soluzione verrà pubblicata sul numero 3

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 12 gennaio 2012 e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 10 gennaio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Si allena a passo spedito • 9. Danno un punto a scopa • 10. Uruguay e Germania • 11. Lo zio della capanna • 12. Stato dell’Africa sudoccidentale • 14. Pedina coronata • 15. Un premio per il vincitore • 16. Un graduato (abbr.) • 17. Belve striate • 18. Tappe aeree • 20. Questa cosa • 21. Consonanti in liuto • 22. Fuggita di galera • 25. I confini di Osogna • 26. Mezza tara • 27. Copricapo papale • 30. Gli assalti dei pirati • 33. Avverbio di luogo • 34. Incursione aerea • 35. Pena nel cuore • 36. Articolo maschile • 37. Intralci, ostacoli • 39. Un Profeta • 40. Insetto laborioso • 41. Sottili, esili • 43. Malattie ereditarie • 45. Oriente • 46. Fan parte del vasellame • 48. La Silvia vestale • 50. La nota Pavone • 51. Ama Tristano • 52. Cono centrale. Verticali 1. Catena che si estende tra Germania e Repubblica Ceca • 2. Solcare il terreno • 3. Il recupero dello svantaggio • 4. Cappelli a cilindro • 5. Proprio antipatici • 6. L’alieno di Spielberg • 7. Un giovane bovino • 8. Piacevolezze • 13. I filamenti dei funghi • 16. I confini di Tegna • 19. Si oppose a Lotario • 20. Alligatori • 23. Misto • 24. Infecondi • 28. Agglomerati • 29. Argovia sulle targhe • 31. Il Mastro di Pinocchio • 32. Delfini di fiiume • 38. Ruoli • 39. Non oltre • 42. Lisa nel cuore • 44. Attraversa Berna • 46. Un amico di Tex • 47. Il nome di Fleming • 49. Ente Turistico.

Questa settimana in palio per voi 100.- franchi in contanti!

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SPINAS CIVIL VOICES

DOVE C’È ACQUA, I BAMBINI CRESCONO BENE. Nei paesi del Sud del mondo, un bambino su quattro è denutrito. L’acqua può fare molto, perché dove c’è acqua, la terra è generosa, la fame sparisce e i bambini crescono bene. Il vostro contributo è come l’acqua che irriga i campi.

Donate 10 franchi con un SMS: Acqua 10 al 488.


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