№2
del 13 gennaio 2012
con Teleradio 15–21 gennaio
Eurolandia
in fondo al mar…
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Per chi ama il gusto e la linea. Mangiare con appetito senza dover rinunciare a nulla, sentendosi bene con se stessi: con i prodotti Coop Weight Watchers è possibile! Questi prodotti equilibrati e leggeri vi aiutano a tenere la linea o a perdere i chili di troppo. Provare per credere! Un esempio? Le gustose chips Black Pepper. Maggiori informazioni sul sito www.coop.ch/weightwatchers
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Ticinosette n° 2 13 gennaio 2012
Agorà Economia. L’incubo del fallimento Arti Musica brasiliana. Un sambista
di
Tiratura controllata 70’634 copie
Incontri Il prete
di
Vitae Nicole Jaks
Editore
Reportage Milano. Prove di risalita
Teleradio 7 SA Muzzano
Direttore editoriale Peter Keller
MaRco alloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Letture Giovanni Paolo II. Nella luce e nell’ombra
Chiusura redazionale Giovedì 5 gennaio
di
gaia gRiMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Luoghi Spogliatoio. Stanze a nudo di
di
di
eugenio KlueseR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MaRco jeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
chiaRa Piccaluga. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fiabe Il marito tartaruga
di
di
RobeRto Roveda; foto di Reza KhatiR . . . . . . . . . . . . . .
fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Moda femminile. Ma le calze...
di
MaRisa goRza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Redattore responsabile Fabio Martini
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coredattore
Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giancarlo Fornasier
4 6 8 10 11 12 14 39 46 48 50 51
RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
tito Mangialajo RantzeR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Società Iran e Israele. La guerra che verrà?
Impressum
di
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Calma piatta Illustrazione di Antoine Déprez
Arrampicarsi è una necessità? La Prime Tower sarà un enorme palazzo di 126 metri di altezza composto da 36 piani . Un edificio imponente in fase di costruzione a Zurigo, la grande capitale finanziaria . Sarà il primo vero grattacielo della Confederazione, il “primo di una lunga serie” secondo un servizio andato in onda il 5 gennaio scorso alla RSI . Costruire verso l’alto dunque: un’idea che piace molto anche ai Verdi liberali, pronti a incentivare la costruzione di grattacieli in Svizzera quale soluzione sostenibile all’aumento della popolazione, in particolare negli agglomerati urbani vicini al collasso . Grattacieli . . .? Un’idea apparentemente priva di senso se pensiamo alla vocazione che dovrebbe contraddistinguere questa formazione politica . Ma una riflessione più attenta e meno “dissacrante” della notizia potrebbe aiutare anche noi . Sia chiaro, la costruzione diffusa è un problema sin troppo noto ai pianificatori e agli urbanisti, e dovrebbe esserlo anche a tutti gli architetti e (in particolar modo) alla classe politica . E questo perché il modo con il quale il territorio ticinese è cresciuto a partire dai primi anni Settanta ha lasciato un’eredità quantomeno “ingombrante” . Le conseguenze sono quelle che oggi tutti possiamo osservare: cementificazione diffusa, sviluppo incontrollato di aree industriali e abitative in una soluzione di continuità che unisce meravigliosamente grigi capannoni e colorate casette monofamiliari, discariche a cielo aperto, aree coltivabili e campi sportivi . In questo quadro generale si inseriscono poi le vie di comunicazione, dalla ferrovia alle piccole strade comunali, dalle grandi arterie cantonali spesso congestionate all’autostrada che sale e scende dal San Gottardo .
Se è vero che la produzione e il consumo di energia sono le principale fonti di inquinamento – dal carbone bruciato per fornire elettricità al petrolio che muove buona parte dei mezzi di trasporto, pubblici e privati –, appare evidente come la concentrazione di persone e attività (servizi e commerci in testa) in uno o più spazi circoscritti non può che ottimizzare proprio il fenomeno dello spostamento di persone e merci . A parità di numero di occupanti per metro quadrato, stessi materiali, qualità costruttiva e identica fonte di riscaldamento, uno stabile con 8 appartamenti di medie dimensioni “consuma” molta meno energia di 8 case monofamiliari abitate da 4 persone ciascuna . Ma c’è dell’altro: le 8 piccole case occupano una superficie molto maggiore del palazzo . Ora, aumentate i numeri e nell’edificio metteteci pure dentro degli uffici, dei negozi, dei laboratori e degli spazi dedicati allo svago . Insomma, fate un bel grattacielo immerso nel verde (se possibile evitando le pecche presenti nel nostro Reportage fotografico) . E già . . . e la qualità di vita? sbufferà qualcuno . Nel febbraio 2008 un articolo a firma del geografo francese Augustin Berque apparso su Le Monde diplomatique (si veda “LaRegioneTicino” del 27 .2 .2008, p . 33), evidenziava l’insostenibilità ambientale delle case monofamiliari immerse nel verde . La conclusione di Berque era sin troppo chiara: casette = enorme spreco di spazi verdi + altissimi costi ambientali per il trasporto di merci e persone . Sì, perché se l’ambiente e la qualità di vita sono certamente dei diritti, questi dovrebbero esserlo per tutti . Un vantaggio ambientale ma globale . O meglio, democraticamente distribuito in altezza . Buona lettura, Giancarlo Fornasier
Economia. L’incubo del fallimento
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Agorà
La crisi economico-finanziaria è tutto fuorché finita e sembra diventare ogni giorno più destabilizzante, soprattutto per i paesi che fanno parte dell’Unione Europea. In questo quadro si stanno realizzando le previsioni negative di chi è sempre stato critico nei confronti delle politiche comunitarie, come l’economista Loretta Napoleoni. Ci dobbiamo preparare al definitivo “de profundis” dell’Europa e della sua moneta?
di Roberto Roveda
L’
Unione Europea pare sempre più in difficoltà, spesso divisa sulle misure da adottare e con alcuni paesi come la Grecia e l’Italia sempre sull’orlo della bancarotta. I mercati reagiscono in modo schizofrenico alle iniziative dei leader politici europei e alle azioni intraprese dagli organismi economici comunitari. Insomma, si naviga a vista con l’Unione di fatto commissariata dalla nazione più potente, la Germania, che ha assunto un ruolo che va oltre la leadership ma appare di vera e propria egemonia. Allo stesso tempo si sono fatte sempre più insistenti le voci che mettono sotto accusa la moneta comune come fattore che, invece di garantire prosperità, non aiuta i paesi in maggiore difficoltà nel cercare di uscire dalle sabbie mobili dei bilanci in rosso. Un pantano che pare sempre più insidioso e profondo. La miopia delle politiche europee Nel settembre 2010 avevamo incontrato l’economista Loretta Napoleoni1 che in quell’occasione si era mostrata pessimista sulla rapida uscita dalla crisi e scettica rispetto all’attuale modello di integrazione economica europea. La signora
Napoleoni ci aveva lasciato con queste parole: “La crisi economica non si sta risolvendo, assolutamente. Anzi, penso che siamo di fronte a una nuova fase di caduta. Esattamente come nella crisi del ’29, quando l’apice è stato toccato nel ’33, si tratta di un fenomeno di lunghissima durata. Con molte incognite su quelle che saranno le sue evoluzioni future. Non siamo di fronte a una recessione oppure a un rallentamento della produttività: questa è una crisi sistemica, nel senso che non funziona più questo tipo di Europa unita...”. A oltre un anno di distanza il suo pessimismo sul futuro dell’Unione Europea e il suo allarme per gli esiti della crisi finanziaria ed economica – e oggi anche monetaria – non si sono certo allentati. Dottoressa Napoleoni, il suo ultimo saggio (Il contagio, Rizzoli, 2011) ha un sottotitolo che incuriosisce e mettere un poco d’ansia: “Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre democrazie”. Non crede che esista il pericolo che questa crisi destabilizzi l’Europa e metta a rischio del tutto la democrazia? “In questo momento non c’è ancora una destabilizzazione politica in Europa, anche
se il rischio per la stabilità è alto in quei paesi oppressi da grossi deficit interni, soprattutto se si andasse incontro a dei default (in italiano “insolvenza”, ndr.) incontrollati. Abbiamo visto quanto la situazione sia tesa in Grecia, con scontri continui e manifestazioni. E anche in Italia agitazioni e scioperi sono stati preannunciati. Una destabilizzazione ci potrebbe dunque essere, ma solo se la situazione economica degenerasse. E io temo possa degenerare...”. Come giustifica questo pessimismo? “Vede, le soluzioni per uscire da questa crisi le dovrebbero trovare i politici. E la politica potrebbe risolvere il problema economico se solo si mutassero i metodi di gestione della cosa pubblica. E non si tratta di cambiare i governi ma la concezione della politica, che deve tornare a essere la gestione della cosa pubblica nell’interesse della molteplicità e non delle piccole élite che comandano. Le pare che si stia andando in questa direzione? Per quanto riguarda la contingenza economica, la mia idea è che dovrebbe essere l’UE ad approvare e guidare l’uscita temporanea dei PIIGS2 dall’euro e la svalutazione delle monete nazionali per riequilibrare le economie. Ancora meglio sarebbe creare un euro a due velocità e stabilire parametri più realistici (e controlli più efficienti) per il reingresso nel futuro dei paesi prima estromessi. Le autorità europee stanno invece accanitamente difendendo l’euro così com’è”. Il peso dell’euro Secondo lei, quali sono le ragioni di questa difesa a spada tratta della moneta unica? “Semplice, la si ritiene lo scudo che mette al riparo l’Unione Europea dalla disintegrazione, l’unica garanzia di pace e di stabilità. Anche perché in campo politico l’integrazione ha segnato il passo; in questo modo si difende la moneta a tutti i costi così come è, incuranti del fatto che questa politica impoverisce i paesi mediterranei dell’Unione, portandoli verso il default incontrollato. Vede, meno di un secolo fa gli americani hanno dimostrato la stessa cocciutaggine quando all’indomani del 1929 si sono ostinati a difendere la parità aurea del dollaro, una politica che ha gettato nella miseria milioni di cittadini. Anche la conclusione di questa storia è nota: crollo delle banche, disoccupazione dilagante e avvento della Grande Depressione”. Ma l’euro è stato introdotto per rendere l’Europa più forte e unita proprio da un punto di vista strettamente economico. Che cosa non sta funzionando? “Bisogna capire che fin dall’inizio la Germania – il paese nettamente più forte dell’area euro – non ha dato alla Banca Centrale Europea (BCE) il potere di stampare carta moneta a suo piacimento, e le è vietato agire come creditore finale. Nel momento del bisogno la BCE non rappresenta per i paesi membri l’ultima spiaggia, ma un semplice organismo di supervisione. Inoltre, l’euro è oggi una moneta sempre più forte, anche se negli ultimi tempi ha perso alcuni punti: nel 2002 un euro valeva 0,89 dollari americani, oggi ne vale più di 1,3. Un aumento consistente che non aiuta economie poco competitive. Come quella italiana, per fare un esempio a voi vicino”. Quali rischi corrono dunque gli italiani? “Potremmo dire che l’Italia è «messa proprio male»: ha un debito pubblico ingestibile e ha un’economia che non cresce. Peggio di così! Quando esisteva ancora la vecchia lira, le autorità italiane ricorrevano alla svalutazione; ma oggi non possono farlo, perché le politiche economiche sono decise a Bruxelles. E non poter svalutare significa non consentire all’Italia di recuperare competitività sul mercato internazionale…”.
I problemi dell’Italia e il ruolo della Germania Dottoressa Napoleoni, dobbiamo attenderci in questo nuovo anno un default italiano? “Io credo sia quasi inevitabile. Spero di sbagliarmi... ma come farà l’Italia a ripagare il debito, cioè circa 440 miliardi, nel 2012? Continuerà a emettere buoni del Tesoro? Supponiamo lo faccia: purtroppo più buoni del tesoro emette, più sale il debito. Il nuovo governo punta ora a diminuire la spesa pubblica, ma ciò non fa diminuire il debito che dovrebbe, invece, essere ripagato attraverso la crescita. Questa crescita però non c’è. Quindi il default credo ci sarà. Dipende solo da come sarà gestito... E se verrà controllato, pilotato, la situazione non degenererà. Viceversa, l’Italia finirà come l’Argentina di alcuni anni fa e sarà un disastro”. E se tutto ciò si dovesse avverare, crede che la situazione italiana contagerà tutta l’area euro? “Be’, sicuramente l’Italia ha il potere di rompere l’euro così come lo conosciamo, una cosa che la Grecia non ha potuto fare perché non ne ha il potere. Sì, credo che l’Italia potrebbe essere l’elemento in grado di rompe tutto il meccanismo”. E in questa prospettiva, quale ruolo sta giocando la Germania? Secondo lei i tedeschi stanno già pensando a una Europa senza la moneta unica? “La Germania sta già lavorando a qualcosa di diverso almeno da sei mesi, anche se ancora le carte non sono state scoperte. I tedeschi torneranno al marco? Daranno vita un euro a due velocità? Per il momento si sono «parati» le spalle: la Merkel e Sarkozy – i rappresentanti dei due maggiori paesi dell’area euro – hanno fatto incontri fra loro senza invitare i partner europei; poi hanno incontrato Geithner, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, sempre in solitaria. Insomma, i tedeschi – con i francesi a fare a appoggio – fanno quello che vogliono, e imporranno sicuramente nuove regole all’Unione Europea. Sarà un «prendere o lasciare» e chi non sarà d’accordo verrà messo alla porta”. Dal suo punto di vista, la crisi dell’eurozona che effetti può avere per la Confederazione svizzera? “Allora, da un lato la situazione è positiva per il vostro sistema bancario, perché c’è stata una fuoriuscita di capitali da quei paesi dell’Unione Europea dove il rischio di default è maggiore. Buona parte di quei soldi è certamente finita nei forzieri svizzeri, perché il franco offre sempre sicurezza nei momenti difficili. Bisogna però tenere presente che la recente perdita di competitività dell’euro nei confronti della vostra moneta sta incidendo sulle esportazioni svizzere; non per nulla la Banca Nazionale è intervenuta decidendo ufficialmente di definire un tasso di cambio minimo tra euro e franco svizzero, oggi ancora a quota 1,20. Una scelta però che costa moltissimo perché per difendere quel tasso di cambio si vendono franchi svizzeri sul mercato, senza sosta… È una scelta fatta chiaramente per favorire le esportazioni e il turismo. Inutile girarci intorno: per la Svizzera un euro forte e un franco debole sarebbe la soluzione perfetta, perché voi siete un paese di esportazione. Certo, il settore bancario è sicuramente molto importante, ma non è l’unica industria che permette al vostro sistema paese di funzionare”.
note 1 Ticinosette n.39/2010. Tutte le informazioni su Loretta Napoleoni sono disponibili al sito www.lorettanapoleoni.net. 2 PIIGS o PIGs (in inglese “maiali”) è un acronimo dispregiativo utilizzato in economia per riferirsi a quei paesi dell’Unione Europea la cui economia naviga in cattive acque, soprattutto a causa del debito pubblico. Stati PIIGS sono oggi considerati l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda.
Agorà
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Un sambista Alla scoperta del samba e di una Rio de Janeiro poco conosciuta dai turisti in compagnia di Moacyr Luz, musicista carioca dalla sorprendente disponibilità e dalla grande umiltà di Tito Mangialajo Rantzer
Arti
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Nell’estate del 2010 ho avuto il piacere di soggiornare con la mia famiglia per oltre un mese a Rio de Janeiro. Una città bellissima (non è una novità) e molto accogliente. La nostra vacanza è trascorsa senza nessun problema e tra le tante cose “da fare”, ci eravamo prefissati di incontrare un grande sambista, Moacyr Luz. Moacyr è nato a Rio nel 1958 ed è quello che si può giustamente chiamare un vero carioca. Avendo scritto canzoni per alcuni dei più grandi interpreti della canzone brasiliana contemporanea – Maria Bethania, Leila Pinheiro, Emilio Santiago, Nana Caymmi e tanti altri – e avendo anche composto musiche per telenovelas di successo, Moacyr è considerato a Rio un vero e proprio mito musicale vivente. L’idea di chiamarlo al telefono e tentare quindi di incontrarlo ci sembrava quanto mai irrealizzabile.
del pranzo Moacyr ci ha invitato per il lunedì successivo in un locale della Zona Norte, quella meno turistica e più autenticamente carioca, dove lui organizza una Roda de Samba in un orario inusitato, dalle sei del pomeriggio in avanti, appena finita la giornata lavorativa. Per questo l’ha chiamata Samba do Trabalhador, “la samba del lavoratore”.
Fra cibo e tanta musica Una Roda de Samba è una specie di concerto jam session, perfetto esempio di come i brasiliani vivano la musica e l’essere musicisti, e di come la fruizione musicale sia ancora un evento di grande socialità. Si svolge in questo modo: intorno a una grande tavolata sono seduti, con gli strumenti, i musicisti. La formazione tradizionale prevede la chitarra, il cavaquinho (specie di ukulele), la chitarra a sette corde, Drin... drin... drin... il mandolino e come percussioni il Mia moglie – che parla molto bene il surdo (un grosso tamburo accordato portoghese brasiliano – ha composto il in tonalità grave), il pandeiro (sorta numero e Moacyr Luz si è dimostrato di tamburello a sonagli), il tambourim Moacyr Luz in un’immagine tratta da “Meio-Fio. A Revista da Calçada da Cultura” (dic. 2011) da subito gentile e disponibile come (piccolo tamburo con accordo acuto, tutti i carioca, senza far assolutamente spesso definito “la faccia del samba”). pesare il suo status di personaggio pubblico. E da subito ci ha Ma tutto questo è il minimo... I musicisti iniziano a suonare dato appuntamento all’ora di pranzo per il giorno seguente. stabilendo una tonalità e un tempo in comune e poi, a uno Informatosi su dove alloggiavamo, ci ha detto prontamente: a uno, propongono un brano semplicemente intonando la “Ah, state in Rua Paula Freitas. Allora all’angolo con Barata Ribeiro melodia con la voce. Gli altri, in genere, lo conoscono e si c’è un botequim che conosco bene: ci vediamo là domani alle 12!”. accodano finché, terminato il brano, il secondo musicista Non potevamo crederci: Moacyr Luz ci dava un appuntamento del cerchio ne comincia un altro. Fantastico! In questo modo senza mai averci visto prima, e in più sembrava conoscere suonano per un’ora senza mai fermarsi e nel pubblico chi perfettamente Copacabana e i suoi botequim (poi abbiamo vuole si alza e inizia a ballare. Ai musicisti seduti a tavola non scoperto che conosce veramente tutti i botequim di Rio). mancano fiumi di birra (ghiacciata) e piatti di pesce e carne Ma che cosa sono questi botequim di cui Moacyr pareva essere accompagnati dall’immancabile riso. tanto esperto? Sono una sorta di bar/tavola calda, quasi sempre Per chi si trovasse a Rio de Janeiro e volesse partecipare al all’angolo delle strade, con i tavolini all’esterno. Il “dentro” è Samba do Trabalhador non deve fare altro che recarsi al “Clube spesso minuscolo, solo un piccolo banco frigo e un retro con Renasença” nel quartiere Andaraì. Un’esperienza da vivela cucina. Si serve soprattutto birra fredda, freddissima, “stupi- re! Un altro consiglio che vi voglio dare, sempre fornitomi damente gelata” come dice Chico Buarque in una sua canzone, dall’ottimo Moacyr, è quello di andare alla domenica mattina e piatti di riso con pesce o carne preparati in vari modi. A Rio a Praça Sao Salvador: tutte le domeniche dalle 10 alle 16 si sono un’istituzione e Moacyr, uno dei massimi esperti di cucina tiene una jam session di choro, uno stile musicale tipicamente da strada, gli ha dedicato ben due libri. carioca, con musicisti di tutti i livelli. Anche questo pare sia All’appuntamento Moacyr si è puntualmente presentato e con entusiasmante. lui abbiamo chiaccherato piacevolmente per un’oretta della invito all’ascolto sua musica, di Rio, del disco che mia moglie aveva appena Moacyr Luz registrato (anche lei una cantante; il lavoro comprende pure Samba da Cidade (Lua Music, 2003) qualche brano di Moacyr) e del Brasile in generale. Alla fine Batucando (Boscoito Fino, 2009)
TicinoSette | Italienisch | Mobiles Internet Q1 Print | Sujet HTC Sensation XL | 210 x 295 mm | DU: 04.01.2012 | Ersch.-Datum: 13.01.2012
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La guerra che verrà? Non sarà forse l’anticamera del Terzo conflitto mondiale, certo che le recenti tensioni fra Iran e Israele non lasciano ben sperare sul fronte degli equilibri mediorientali. E non solo. La questione è infatti sempre la solita: chi ha cominciato per primo? Chi ha ragione o chi meno torto? testo di Marco Alloni illustrazione di Micha Dalcol
Società
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Diciamocelo chiaramente, che l’Iran stia arricchendo i suoi arsenali nucleari e apprestandosi a portare a compimento i presupposti tecnici per la realizzazione di un ordigno nucleare assimilabile a quelli di Hiroshima e Nagasaki è del tutto verosimile (se non una verità). Ma qui il problema è anche un altro: quali equilibri (o squilibri) diplomatici sottendono questo ennesimo stato di tensione fra le due grandi potenze della regione? Da quando è esplosa la cosiddetta “primavera araba” – con le rivoluzioni che hanno sparigliato lo scacchiere mediorientale – Israele non può più contare su quelli che sono stati per decenni i suoi alleati o interlocutori “sommersi”: primo fra tutti l’Egitto di Hosni Mubarak che, come si è venuto scoprendo recentemente, non solo giocava sul doppio registro di un’ini-
micizia ufficiale verso Israele e di una sostanziale connivenza in nome di Camp David e degli interessi economici congiunti, ma addirittura, attraverso uno dei suoi tanti ministeri corrotti, trasferiva il proprio gas sottobanco a Israele a prezzi di favore mantenendo il popolo nella fame. Caduti i baluardi di queste alleanze spurie è tornato alla luce il tradizionale gioco di forza, con Israele che organizza sul suo territorio un esercito di difesa (e offesa) destinato a preparare la popolazione a un attacco missilistico iraniano, e con l’Iran che minaccia rappresaglie destinate a colpire non solo lo Stato ebraico ma tutti gli interessi e gli avamposti statunitensi nella regione. Come ha dichiarato Ali Asghar Soltanieh, rappresentante iraniano presso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica
(AIEA), “l’ultimo rapporto dell’AIEA è squilibrato e manca di professionalità”, con ovvio richiamo alla determinazione di Teheran di rispondere a ogni eventuale aggressione “sionista” sul proprio territorio. Dose rincarata dall’ayatollah Khamenei nella dichiarazione resa alla stampa: “Chiunque attenti contro la Repubblica Islamica d’Iran deve prepararsi al pugno di ferro dell’esercito, dei guardiani della Rivoluzione e del Bassid, la militanza islamica”. Nuovi scontri, vecchie dinamiche Russia e Cina sono le sole potenze a condannare a priori – per quanto minaccioso possa essere il programma nucleare di Ahmadinejad – ulteriori sanzioni contro l’Iran. E il mondo arabo sta a guardare, preso fra l’incudine di una storica ostilità verso Israele e il martello delle ambizioni nucleari iraniane e del suo sciismo, così inviso all’Arabia Saudita e agli altri Stati a maggioranza sunnita. L’unico a “guadagnare” in questo stato di stallo sembra Mohamed El-Baradei, ex direttore dell’AIEA
che, accusato un tempo di essere un agente occidentale, lo è oggi del contrario. Un ottimo viatico per le prossime presidenziali egiziane! Il primo paradosso in questa situazione è che ad avviare il programma nucleare iraniano fu nel 1956 l’ultimo shah Reza Pahlavi, con il sostegno degli Stati Uniti. Più o meno come Bin Laden fu foraggiato dagli USA in funzione antisovietica. Tale sostegno mirava alla costruzione di 23 centrali nucleari entro il 2000. Cadute le alleanze, cambiate le politiche e le priorità. Il secondo paradosso è che l’Iran ha ripreso la ricerca sul nucleare solo nel 1990, dopo la recrudescenza neocoloniale israeliana: dunque in risposta a una provocazione e non viceversa. Ma il timore non è solo sul fronte strettamente nucleare. L’Iran
si è dotando di missili di lunga gittata in grado di raggiungere – con relativi ordigni chimici, biologici e nucleari – distanze che possono raggiungere i 2.500/3.000 chilometri: il diametro della sua azione si allarga dunque potenzialmente all’intero Medioriente. Che fare? A rigor di logica smantellare equanimemente gli ordigni nucleari israeliani – di cui lo Stato ebraico nega pateticamente l’esistenza: altro paradosso della contemporaneità – e quelli iraniani. Ma forse la logica, laddove a orientare l’azione diplomatica internazionale e le relative sanzioni non sono che gli interessi e i proventi che ne derivano, non ha più voce in capitolo. Guerra in vista o meno, è del tutto evidente che la politica internazionale non si è ancora dotata di un organo di supervisione in grado di trasformare la perpetua “guerra fredda” che gela il pianeta in un disarmo generale. Forze nascenti e antiche rivoluzioni Il problema iraniano va anche al di là di queste considerazioni e riguarda le ripercussioni che le rivoluzioni arabe potrebbero avere sul paese. Se ne è avuta qualche avvisaglia alcuni mesi fa quando Ahmadinejad represse nel sangue le rivolte giovanili. Ma ora la partita, con l’affermarsi traversale, dalla Tunisia allo Yemen al Qatar, della “primavera araba” assume i connotati di una vera e propria sfida con il futuro. Saprà il governo di Teheran controllare il “popolo del web” che ormai, con o senza censura di Stato alla siriana, è perfettamente a conoscenza di tutte le rivendicazioni di libertà che si sono riversate a ogni angolo del mondo arabo-musulmano? Riuscirà a non far travasare – ed è un interrogativo che riguarda l’Iran ma investe tutto il Terzo Mondo – le istanze democratiche che stanno investendo la sponda sud del pianeta? Il caso iraniano presenta un singolare paradosso: laddove il mondo arabo – dunque non quello persiano – ha conosciuto soltanto a ridosso delle rivoluzioni una crescente affermazione delle formazioni islamiste – elettorale, nel caso tunisino ed egiziano –, l’Iran la sua Rivoluzione islamista l’ha già sperimentata nel 1979 con l’avvento al potere dell’ayatollah Khomeyni. Il fenomeno assume quindi i profili di una paradossale domanda: come si può prospettare per l’Iran una rivolta anti-governativa capeggiata dai movimenti di matrice islamista se è proprio al modello teocratico che la sua gioventù rivolge oggi le maggiori critiche? Come chiedere un rinnovamento democratico in chiave islamica – come stanno facendo i Fratelli musulmani mediorientali – laddove il governo stesso incarna le istante della Rivoluzione khomeinista? Questo paradosso va osservato nella chiave della tradizionale strategia politica e sociale dei Fratelli musulmani, che in una certa misura potrebbero rappresentare anche per l’Iran una sorta di modello di riferimento. Fino alla Rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011 i Fratelli musulmani praticavano quella che, dai tempi del suo fondatore Hassan Al-Banna, nel 1928, era considerata la strategia principale del movimento: riformare la società dal basso per prendere il potere solo una volta trasformatala in una società a tutti gli effetti islamista. La Rivoluzione ha però sparigliato le carte: i Fratelli musulmani hanno capito che una migliore strategia di conquista del potere può essere non già quella tradizionale riformista, ma quella appunto rivoluzionaria: prima il potere, poi l’islamizzazione dello Stato. In questa chiave l’Iran potrebbe interpretare la “svolta” dei Fratelli musulmani come un nuovo possibile modello strategico per ribaltare il potere di Ahmadinejad e dei “guardiani” della Rivoluzione. Potrebbe cioè assumerne le dinamiche pur senza mirare allo stesso obiettivo una volta scalzato il tiranno: conquistare con la forza il paese e promuovere all’interno gli stessi i princìpi modernisti a cui le giovani leve fanno riferimento.
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Il prete Figura centrale in molte comunità, ai parroci ci siamo sempre rivolti con grande rispetto proprio per l’importanza della loro funzione. Dei professionisti dello spirito il cui lavoro, tra scandali e crisi delle vocazioni, è però molto cambiato testo di Gaia Grimani illustrazione di Micha Dalcol
Incontri
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Quando ero bambina ricordo che era facile distinguere per strada un prete da un “normale” cittadino, e questo a causa dell’abito: il prete indossava la tonaca, generalmente nera, un frate il saio, spesso marrone. Oggi questa differenza è assai più sfumata e un sacerdote può a volte confondersi con l’impiegato di banca che si reca in ufficio. Il modo attuale di vestirsi ne fa una persona come tutte le altre, rendendo più semplice e più diretto avvicinarsi a lui. La figura del sacerdote ha sempre suscitato differenti reazioni, che vanno dalla detestazione all’ammirazione e le scandalose vicende dei preti pedofili hanno generato nella popolazione una visione spesso distorta e univoca, offuscando quella luminosa di coloro che (e sono la maggioranza) in tante parti del mondo vivono in semplicità la loro vocazione alla luce del Vangelo. Un simbolo di longevità Il prete vive una situazione particolare contraddistinta da una grande longevità professionale: nell’attività che esercita è sacerdos in aeternum, non ha orari e la sua presenza nella vita del credente comincia con la nascita, accompagna i momenti significativi dell’esistenza e finisce con la morte. Il territorio su cui la sua funzione si esercita è quello dell’anima che per sua natura non è scalfita dal tempo che passa. Da un prete ci si aspetta che risponda alle attese profonde di carattere spirituale, che sia l’annunciatore del Vangelo e lo viva in prima persona; che sia un uomo presente, un consigliere spirituale, un aiuto per rispondere alle domande fondamentali dell’uomo; si auspica che abbia un’attenzione preferenziale per i poveri, gli emarginati, gli immigrati e per tutti i volti dell’umanità sofferente; si confida che il prete realizzi in sé quella vocazione alla santità che è di ogni essere umano – ma specialmente sua – e aiuti gli altri a fare altrettanto. Il senso della chiamata E qui, di parola in parola, ci s’incaglia in una fondamentale: la vocazione, che non dovrebbe riguardare solo chi decide di consacrare a Dio la propria vita, ma qualunque essere. Vocazione significa chiamata, ma in questi tempi così rumorosi e frenetici non è facile percepire le voci delle chiamate... E come sareb-
be invece diverso il mondo se ciascuno potesse rispondervi. “Voglio fare il medico, voglio fare il contadino, voglio fare l’artista”. Quando un giovane esprime un desiderio del genere intervengono subito le pressioni familiari o istituzionali: “Non farlo, non troverai un posto di lavoro, il settore è saturo”, giudicando la scelta di vita solo dal profitto che se ne ricava. Ma ciò non basta e i sogni si spengono con la vocazione persa nel frastuono generale. Il risultato: la passione del lavoro non esiste più, si ha al massimo un mestiere, attenti a ricevere lo stipendio a fine mese. E il prete? Crisi delle vocazioni con innumerevoli motivazioni che non è qui il caso di affrontare. Tutto il Canton Ticino può contare su 231 preti, di cui attivi nel ministero solo 156. I pochi rimasti si sono trasformati in globe-trotter: alle 9.00 Messa nella parrocchia “A”; alle 10.00 in quella “B”; alle 11.30 in quella “C”. Molteplicità di funzioni, corse da un impegno all’altro: il pericolo è di diventare un erogatore di servizi, dimenticando l’essenziale. In questa vita densa d’impegni è necessario quindi trovare un equilibrio tra attivismo e cura della propria vita interiore, senza la quale nulla può essere dato a quella degli altri. Un figura anticonformista Il prete sa di vivere un momento di passaggio, da una cristianità che coincideva con la società a un cristianesimo presente in una pluralità di visioni culturali e sociali. È un passaggio delicato e difficile che deve essere gestito con una preparazione più ampia e diversificata, senza perdere di vista la peculiarità della propria funzione. Certo, essere preti non è una scelta comoda, né tantomeno una sistemazione: significa passare dalla comune tendenza a considerare interessante solo la carriera e il maggior guadagno alla scelta di donarsi. Ed è qui che sta la forza del sacerdote: nell’essere fuori dalla logica degli interessi e nel vivere per gli altri senza dover accontentare i gusti di nessuno. Diceva monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, durante l’ordinazione di alcuni giovani: “In una società che è sempre più dominata dall’incomunicabilità e dalla paura degli altri, un’esistenza «donata», giocata «soltanto» per un amore esigente e totale, appare una possibilità di rinascita, un segno di contraddizione sovversivo e liberante”.
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Nella luce e nell’ombra In un volume di recente pubblicazione i risvolti meno noti del papato di Giovanni Paolo II. Una figura così amata dai fedeli da suggerire alla Chiesa una sua immediata beatificazione di Eugenio Klueser
La beatificazione di Giovanni Paolo II avvenuta il 1. maggio Un papa, quindi, che ha saputo spesso andare al di là dei limiti 2011 è stata uno degli eventi più attesi (e insieme forse anche imposti dal suo ruolo di capo della cattolicità. più scontati) della storia recente della Chiesa. In soli sei anni, Ma Galeazzi e Pinotti, proprio perché non tacciono i grandi infatti, il pontefice polacco è stato elevato alle glorie degli altari, meriti e le virtù del pontefice polacco, non si fermano neppure quasi si volesse dare una risposta immediata a quell’invocazio- di fronte alle contraddizioni del suo pontificato, contraddizioni ne “Santo subito!” che si era alzata tra la folla già all’indomani intrinseche al modo in cui Wojtyla intendeva il ruolo papale. della morte di Wojtyla. Tanta rapidità ha in verità sconcertato Egli non cessa mai, infatti, di intendere l’ufficio che gli è stato gli osservatori più attenti delle vicende vaticane e anche parte affidato in maniera molto concreta, terrena. Rimane, più che del mondo cattolico. Ma la scelta di procedere a tappe forzate una guida spirituale, soprattutto una personalità “politica” nel caso di Wojtyla si inserisce nella politica più recente della coinvolta nella lotta senza quartiere contro il comunismo Chiesa cattolica: alla base l’idea di offrire alla sovietico. E come qualunque uomo politico, comunità dei fedeli simboli forti da imitare Wojtyla non si è fatto remore a combattere la e in cui identificarsi. Il pontefice polacco sua battaglia con ogni mezzo, anche se questo da questo punto di vista era il candidato ha comportato stringere negli anni Ottanta del ideale. Le beatificazioni e le canonizzazioni Novecento un’alleanza di ferro con gli Stati perseguono poi anche un altro obiettivo: Uniti di Reagan e la sua politica di appoggio istituzionalizzano il personaggio in questioai governi più reazionari in America Latina. ne, lo pongono su un piano differente da Oppure di dover a volte chiudere un occhio quello dei comuni mortali, non rendendolo (e forse anche due) di fronte a movimenti di più disponibile in qualche modo a un’analisi fiumi di denaro di provenienza quantomeno più critica e approfondita del suo operato. ambigua che passavano dalle banche vaticane. Proprio per sottrarre la figura di Giovanni I nomi di Calvi, Marcinkus, istituti come il Paolo II e il suo pontificato a questo mecBanco Ambrosiano e lo IOR, così tornano e canismo di sacralizzazione e a una visioritornano più volte nel libro. ne monodimensionale che tracima spesso Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti nell’agiografia e nell’aneddotica, Giacomo Un moderno “papa-re”? Wojtyla segreto Galeazzi e Ferruccio Pinotti hanno provato a I due autori descrivono anche gli aspetti più Chiarelettere, 2011 fare nel loro recente Wojtyla segreto una sorta “interni” e legati all’universo cattolico di un di controinchiesta sul pontefice polacco. Un’indagine che rac- pontificato in cui il carisma e la personalità di Wojtyla hanno contasse l’uomo, il sacerdote, il vescovo e il pontefice con un egemonizzato la Chiesa, sia dal punto di vista mediatico sia certo distacco, soprattutto senza acrimonia e senza il desiderio da quello politico con una gestione monarchica della cattolidi scovare a tutti i costi i classici scheletri nell’armadio. cità. Questa gestione ha frenato ogni slancio di indipendenza da parte dei vescovi e delle Chiese locali e ha permesso un Meriti e demeriti controllo ferreo dal punto di vista dottrinale. Ne hanno fatto Quello che ne esce è il ritratto di un gigante della storia del le spese i teologi più aperti alla modernità, come Hans Küng, XX secolo, un uomo di enorme personalità e coraggio, capace e l’intera Teologia della liberazione fautrice dell’emancipadi sfidare prima il nazismo e poi il regime comunista polacco zione delle masse popolari oppresse dai governi dittatoriali e l’Unione sovietica. Agli anni in cui Wojtyla non era ancora dell’America Latina. papa, infatti, gli autori del saggio dedicano lunghe e docu- A questa repressione dottrinale è corrisposta una politica tradimentatissime pagine, arricchite da interviste a persone che zionalista e conservatrice in quasi tutti i campi, dalla bioetica conobbero il futuro pontefice prima dell’elezione al soglio di alla sessualità, senza dimenticare il mancato riconoscimento Pietro, disegnando così il ritratto di un uomo legato in maniera del ruolo della donna, con risultati sotto gli occhi di tutti: una profondissima alla sua terra. Un grande patriota prima ancora Chiesa statica, sclerotizzata e arroccata sulle sue posizioni, in che un uomo di fede e di religione, un patriota che poneva al difficoltà nell’orientarsi e nel dialogare con la modernità e di sopra di tutto la libertà polacca dal comunismo. Contem- con la società secolarizzata. Più propensa a bacchettare, che a poraneamente il volume racconta i grandi gesti del Wojtyla colloquiare e comprendere. Una Chiesa che nelle sue gerarchie pontefice, capace di aperture prima di lui impensate verso rimane lontana dalle persone, dal mondo e dai tempi assai l’ebraismo e le altre grandi religioni del pianeta. incerti che stiamo vivendo.
Letture
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Spogliatoio. Stanze a nudo testo di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger
Luoghi
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I forzati del boudoir lo sanno bene: c’è sempre la stessa inconfondibile puzza, l’avete mai notato? Così tocca spogliarsi, se va bene, quando non c’è nessuno ed è quasi come a casa. Se va male è l’inferno per pudici, complessati e sottodotati di ogni tipo. Tutti “biotti” (o quasi) come mamma c’ha fatti insomma, e nessun altro stato umano ci urta quanto la nudità. Se è vero che c’è spogliatoio e spogliatoio, è anche vero che sin dai tempi della scuola ci hanno obbligati a finire in mutande, prima e dopo lo sport, tra il puzzo di sudore e la muffa delle docce. E gli spogliatoi del terzo millennio, a credere chi li frequenta, non sono poi cambiati granché. Chi si sfila prima “il sopra” e chi prima “il sotto”. Mica semplice... Anzi, la “sindrome da spogliatoio” esiste eccome: c’è chi in cinque secondi è già lì che sgambetta e si stira, il timido invece è ancora fermo alla fibbia della cintura e l’angosciata ai bottoni della giacca. Il peggio è che la maggior parte di quelli che si stanno impunemente spogliando davanti ai tuoi occhi manco li conosci. Ammettilo che sei sempre stato un complessato, che “hai sempre le stesse calzette”, ti diceva uno. No, ne hai tante dello stesso tipo, ribattevi prontamente tu. E poi salta fuori il nuovo completo da tennis firmato, la tutina da palestra, il training per il ballo con le nuove scarpe “gomma bianca sagomata anti-strisciata”, sempre di marca. E il fermaglio dei capelli, mi raccomando, in tinta con la maglietta troppo attillata che, da dietro, disegna il reggiseno taglia media. Sii fiero invece della tuta comprata ai saldi, perché a noi (e siamo in tanti) le due ore imposte di pallavolo non sono mai piaciute. Così, da sportivo a malincuore e da perfetto imbecille la indossi e ti senti ridicolo. Tanto l’aria sportiva non ce l’hai mai avuta... Parola agli indignati Lo spogliatoio finisce persino in televisione, che è poi la stessa cosa, oggi come oggi. Perché fatiscente oppure progettato da
un insensibile. Così pare che a vedere quello della palestra delle Scuole medie di Viganello ci si vergogni di essere svizzeri. Scoppia la rivolta degli allievi e di altri utenti indignati: miserevoli “prefabbricati, la puzza, riscaldamento spento, le docce dello spogliatoio femminile” e l’acqua calda che tarda, si sfogano nel blog della televisione pubblica. Ma non solo: pare che le condizioni al Centro professionale commerciale di Lugano siano “penose”. Persino il rinomato Centro sportivo federale di Tenero ha un problema d’inverno: non è logico che la piscina sia all’interno... ma gli spogliatoi all’esterno. No, non è logico. “Altra genialata di questo centro” dichiara un indignato: gli asciugacapelli, messi in corridoio da un architetto eccentrico con la fissa dell’open-space. “Per non parlare degli spogliatoi” al Liceo 1 di Lugano, scrive un’utente: il festival della muffa e dei capelli. Già, come alle Medie di Vira Gambarogno, luogo per quelli duri di stomaco: “Le docce fanno veramente schifo, se poi aveste abbastanza fegato di alzare una griglia di scarico dell’acqua...”. Quanti sono questi temerari? Conviene dunque calzare delle ciabatte ragazzi, mi raccomando! Le stanze dei segreti L’odissea della saponetta, il paradiso dei debosciati, ahi noi. La giustizia è entrata anche negli spogliatoi. Quasi mai per i giornalisti sportivi, i più divertenti e ossessionati dalla metafora della Umkleidekabine. “È ora di affrontare il problema di uno spogliatoio diventato sempre più ingestibile” scrivono. Metafora che trascende questo luogo di cameratismo e che diventa un’entità indefinita dotata di umori e commenti, con le sue “voci di spogliatoio” quasi sempre sbagliate. Ma pazienza. Un po’ più serio, va detto, il problema dei “topi da spogliatoio” che escono allo scoperto soprattutto in estate. Nel 2010, ne hanno beccati tre in un campo sportivo a Lugano e ben otto a Bellinzona, dopo una razzia di borsellini e cellulari... ma “senza scasso”, si precisa. Da dove saranno mai entrati? Dalla porta (quasi) mai chiusa: infatti, chi gestisce declina, sempre, ogni responsabilità. Sorpresa invece in uno spogliatoio devastato pochi mesi fa in provincia di Varese da una banda di baby calciatori: c’erano le telecamere. Ma lo spogliatoio è anche luogo di dubbi per le giovani ragazze tormentate: “A voi non è mai capitato di essere gelose che il vostro ragazzo si facesse la doccia nudo nello spogliatoio di calcio e tutti lo vedono?” si chiede una fidanzata preoccupata in un blog femminile. Alle lettrici l’ardua sentenza, mentre alla giovane dico: pensa al tuo di spogliatoio. Magari proprio quello del solarium che frequenti, col pavimento in legno, sotto il quale un furbo ci ha piazzato una micro-telecamera per filmare “dal basso” e mettere il tutto in Internet per soddisfare l’irrefrenabile bisogno di molti. Ma questa è solo cronaca di un altro lontano paese, vero?
» testimonianza raccolta da Chiara Piccaluga; fotografia di Igor Ponti
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Nicole Jaks
Vitae
nato il suo contratto in America è tornato in Svizzera per giocare nell’Ambrì. Un anno dopo io ho vinto una borsa di studio al Franklin College e così ho vissuto dieci mesi nel Luganese, ma poi sono dovuta tornata a Los Angeles per finire gli studi in Scienze ambientali e geografia. Una volta laureata ho deciso di tornare in Ticino a vivere con il mio futuro marito. Qui ho iniziato a collaborare con una scuola di lingue per insegnare inglese, poi mi sono sposata e a 24 anni ho avuto il mio primo figlio, Aleksander, e tre anni dopo e arrivato Krystian. Aleksander ha frequentato l’asilo in Russia, Si ritiene molto fortunata ed è convinta in russo, poi ha continuato che “certe cose” avvengano per ragioni l’asilo in tedesco a Langnau, ben precise. Una certezza che le dona la mentre la prima elementare l’ha fatta a Morges. In seguito forza per affrontare le difficoltà ci siamo trasferiti in Ticino e ora i nostri figli sono una sorassieme Halloween. Era bellista di cocktail di Brasile, America, Repubblica simo andare di casa in casa a Ceca e naturalmente Svizzera. chiedere il classico “dolcetto o Anche con i bimbi ancora piccoli non ho mai scherzetto”... ma si era diffusa smesso di lavorare e dare lezioni, perché amo la paura che avvelenassero insegnare: attualmente sono docente a metà le caramelle, così dovevamo tempo di geografia e inglese alle Scuole medie portare tutto ai genitori che e frequento un master in Scienze dell’educasetacciavano ciò che avevazione a Praga tramite l’Università di Boston. mo ricevuto, permettendoci Mi sono sempre adattata alla cultura del di mangiare solo i dolci ben paese in cui ho vissuto e ho avuto il piacere incartati. Da quel momento di conoscere persone buone e interessanti in ho capito che il mondo non ogni angolo del pianeta. Per questo motivo era come l’avevo immaginato, non ho mai avuto malinconia nemmeno non tutti erano buoni come nella fredda Russia, quando abitavamo in pensavo e non siamo sempre Siberia, e non ho neanche mai avuto paura protetti da una bolla, perciò di vivere in posti dove nessuno riusciva a bisogna sapersi proteggere. capire la mia lingua. Non ritengo di avere Ora è da quindici anni che della radici in un luogo preciso, perché ogni vivo in Svizzera anche se nel posto offre qualcosa di bello e ha gente amifrattempo, per la professione chevole, aperta e solare che ama divertirsi, di mio marito Pauli, prima caratteristiche che ricerco nelle persone. portiere di hockey e attualTutti mi prendono in giro quando dico che mente allenatore, abbiamo mi piace molto l’odore delle grandi città. Sarà vissuto anche nell’Emmenforse l’inquinamento, non so, ma mi riporta tal, a Langnau, a Morges, nel all’infanzia e alla sensazione di essere a casa. Canton Vaud e poi tre mesi Amo però molto la natura e vorrei che la anche in Russia. Mio marito gente fosse più sensibile verso questa risorsa è della Repubblica ceca, l’ho di benessere che ci circonda, impegnandosi conosciuto per puro caso; per a ridurre l’inquinamento globale del pianeta. due anni è venuto in America Ho bisogno di viaggiare tanto quanto mana giocare nei Phoenix Coyotes giare e respirare, trovo sia un arricchimento e nei Los Angeles King. Una che apre gli orizzonti e i modi di percepire la sera alcuni amici mi invitavita. Ammetto però che in Ticino mi trovo rono a vedere una partita di davvero molto bene... ma se proprio potessi hockey, cosa mai fatta prima... cambiare qualcosa modificherei il clima: e lì conobbi Pauli. Avevo 19 vorrei ci fossero 28 °C tutto l’anno… perché anni e lui pochi di più. Termisoffro davvero molto il freddo!
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utti mi chiedono da dove vengo a causa del mio accento straniero e io rispondo che sono americana; così mi domandano da dove in particolare e a questo punto non so mai che cosa rispondere, perché ho vissuto in moltissimi stati americani. Sono nata a Chicago 36 anni fa. A un anno e mezzo la mia famiglia ha deciso di trasferirsi nel Deleware, per poi andare in Texas, nel Connecticut, in Arizona e in diverse città della California. Cambiavamo casa e paese ogni due-tre anni, per me era normale e ora ho amici in tutto il mondo. Ho vissuto anche in Brasile, a San Paulo, perché mia madre è brasiliana e mio padre americano; lui lavorava per una ditta farmaceutica e si occupava delle parti elettroniche per la produzione dei farmaci. Grazie alla sua professione all’età di 11 anni sono anche venuta in Svizzera, a Basilea, e ricordo molto bene quell’esperienza, perché abbiamo visitato lo zoo. Essendo figlia unica, con mia madre seguivamo il papà in particolare durante le vacanze scolastiche. Ho avuto una bella infanzia: mi ricordo quando a 5 anni abitavo in Brasile e potevo andare con la mia bicicletta rosa solo all’interno della recinzione che circondava la nostra casa. I bambini delle favelas venivano al cancello e mi chiedevano qualcosa da mangiare e io tenevo sempre le banane in tasca o prendevo qualcosa dalla cucina. Posso dire che erano miei amici, anche se non potevo giocare con loro e non capivo molto bene il perché. Solo più tardi mi hanno spiegato che il tasso di criminalità era altissimo e che uscire in strada era estremamente pericoloso. Dopo il Brasile ci siamo trasferiti in Texas e non potrò mai dimenticare le infinite ore trascorse con i vicini di casa a giocare. Eravamo una banda di ragazzini dello stesso quartiere che si divertivano come matti e festeggiavamo tutti
Milano. Prove di risalita
Nel Settecento il termine inglese “skyscrapers” – letteralmente “grattatori del cielo” – identificava gli altissimi alberi maestri dei velieri della ricca marina britannica. Ma nei secoli a venire le nuvole e i piedi degli dèi furono solleticati da altre enormi costruzioni, in ferro prima, in acciaio, calcestruzzo e vetro poi. Nascevano i moderni grattacieli, giganti luminescenti che hanno fatto la loro definitiva comparsa anche da noi... testo di Roberto Roveda; fotografie di Reza Khatir
sopra: un particolare della facciata del Palazzo Lombardia, opera realizzata su progetto dello studio di architettura Pei Cobb Freed & Partners di New York
in apertura: il Palazzo Lombardia è la nuova sede del Governo regionale: alto 161 metri, conta 43 piani e 33 ascensori. Ăˆ stato realizzato tra il 2007 e il 2011
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uella dei grattacieli è una sfida all’empireo e alle forze della natura, come i venti e la gravità, iniziata con le prime grandi civiltà (le gigantesche piramidi d’Egitto) e proseguita nei secoli con le torri medievali, con i campanili e le ricercate guglie delle cattedrali gotiche. Nuovi materiali e tecnologie hanno permesso l’inosabile, dando forma a edifici alti centinaia di metri e con decine e decine di piani, simboli del progresso e di una nuova civiltà che si vestiva di metallo, cemento e vetro. Nascevano i grattacieli, sfida e affermazione di potenza, ma edifici che rispondevano, almeno fino alla metà del secolo scorso, anche all’esigenza di aziende e società con migliaia di dipendenti di riunire la forza lavoro in un unico luogo ottimizzando in questo modo risorse e tempi.
Sempre più in alto... Oggi, nell’era della connessione globale e con un pianeta che ha sempre più bisogno di alberi e sempre meno necessità di cemento, edifici di questo tipo non avrebbero forse più ragione di essere costruiti, una sorta di mammut in attesa di estinzione, retaggi del passato. Invece spuntano come funghi, in particolare in quei paesi in forte sviluppo economico – Estremo Oriente e Cina in testa – e nei ricchissimi stati arabi affacciati sul Golfo Persico, i piedi comodamente immersi nei più ricchi giacimenti petroliferi del globo. Certo, non si può negare che i moderni skyscrapers non abbiano il loro fascino... Così, se fino al 1998 il tetto artificiale del mondo è stato la Sears Tower di Chicago – oggi ribattezzata Willis Tower, un edificio alto 442 metri per 108 piani; primato detenuto per ben 24 anni –, nel giro di poco più di un decennio lo scettro è passato prima ai 452 metri delle Petronas Towers (Kuala Lumpur, Malesia), poi ai 508 metri del Taipei 1 (Taiwan) per raggiungere l’incredibile altezza di 828 metri che caratterizza il Burj Khalifa di Dubai... anche se il tetto dell’edificio è in verità a “soli” 636 metri d’altezza, il resto è una gigantesca antenna. Un primato quest’ultimo che riconsegna dunque al Vicino Oriente lo scettro del “più alto” del mondo, fino al 1300 già posseduto per la presenza della Piramide di Cheope. Una smania di altezze e di dimensioni fuori dal comune ha contagiato, pur senza giungere alle “follie” arabo-orientali, anche la vicina Lombardia, modificando il classico skyline di Milano. Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. Per informazioni: www.khatir.com.
La torre Cesar Pelli A (a sinistra nella foto) è alta 231 metri; la Cesar Pelli B una volta ultimata raggiungerà invece i 105 metri. L’architetto argentino César Pelli ha progettato anche le Petronas Towers di Kuala Lumpur (Malesia)
La sfida alla Madonnina Il capoluogo lombardo ha per la verità una sua tradizione in fatto di “torri” moderne, anche per il ruolo di primo piano che da sempre riveste in ambito industriale, economico e finanziario. Nel periodo del boom economico italiano (tra il 1955 e i primi anni Sessanta) viene infatti realizzato fra le stazioni ferroviarie Garibaldi e Centrale (a nord di Milano) il Centro Direzionale, un quartiere che ha come fiori all’occhiello gli edifici più alti d’Italia e tra i più alti d’Europa. Il più noto, con i suoi 127 metri di altezza, è certamente il Grattacielo Pirelli, progettato da Giò Ponti e inaugurato nel 1960, uno dei migliori esempi della scuola razionalista italiana. Ben presto però lo slancio economico si affievolisce e il Centro Direzionale rimane incompiuto, tanto che nel bel mezzo c’è l’area delle Varesine, prima diventata un luna park, in seguito abbandonata a se stessa per decenni. In questi ultimi anni proprio su quell’area sono nati e stanno nascendo gli edifici che in un futuro assai prossimo regaleranno al capoluogo un nuovo profilo urbano, disegnato appunto a colpi di grattacieli. A dare inizio alle danze è stata l’Amministrazione Regionale Lombardia, che si è regalata come sede il Palazzo Lombardia, 400 milioni di euro di costo per 161 metri di altezza. Quindi, proprio a due passi, sta sorgendo Milano-Porta Nuova, un progetto che prevede la realizzazione su una superficie complessiva di 340.000 m² di un quartiere ultramoderno destinato a uffici, residenze, ma anche a piste ciclabili e ad aree verdi. A farla da padroni saranno però i grattacieli previsti all’interno dell’area, dei veri giganti (almeno per i parametri di una città come Milano). In fase di ultimazione vi sono le torri residenziali Varesine, chiamate “Solea”, “Aria” e “Solaria”, con quest’ultima che una volta terminata (nel 2015) con i suoi 37 piani per 143 metri
di altezza diverrà la torre residenziale più alta d’Italia. Non possiamo non dimenticare le gigantesche gru che stanno dando forza alla torre Diamante (140 metri) e quelle che stanno definendo il Bosco verticale, due grattacieli residenziali di 105 e 80 metri la cui particolarità sarà la presenza di 550 alberi nella prima torre e di 350 nella seconda. A dominare su tutto sarà la mole avveniristica della torre Cesar Pelli A, progettata dall’architetto brasiliano Cesar Pelli e alta ben 231 metri. Il tutto è naturalmente pensato in prospettiva 2015, quando Milano ospiterà l’Esposizione Universale: un evento che si spera possa restituire prestigio e dinamismo a una città alla ricerca di una nuova identità e di nuovi slancio facendo “il solletico” al cielo... ma nella speranza di non seguire l’infausto destino della biblica Torre di Babele. per saperne di più: www.porta-nuova.com.
in queste pagine: gli avveniristici grattacieli del Centro Direzionale si inseriscono nel tessuto urbano di un quartiere densamente abitato e caratterizzato da edifici tipici dell’edilizia residenziale e popolare
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Il marito tartaruga
Fiabe
46 C’era una volta un povero pescatore che aveva tre figliole da maritare. Una notte si presentò alla sua porta un giovanotto di nome Berto per chiedere la maggiore in sposa. Dato che in un tutto il paese era considerato un tipo strano perché usciva solo la notte, la maggiore, che non si fidava, gli disse di no. Allora lui chiese di sposare la seconda. Ma anche questa gli disse di no mentre la più piccola, che si chiamava Maddalena, accettò la proposta di matrimonio. Le nozze, naturalmente, furono celebrate di notte al chiaror della luna e delle stelle. Una volta rimasti soli, Berto disse alla sua sposa: “Devo confessarti un gran segreto. Qualche tempo fa una strega mi ha fatto un incantesimo: di notte sono uomo, come adesso mi
testo di Fabio Martini illustrazione di Simona Meisser
vedi, ma al sorgere del sole mi trasformo in tartaruga. Per sciogliere l’incantesimo devo lasciare mia moglie il giorno dopo le nozze e fare il giro del mondo intero, di notte come uomo e di giorno come tartaruga. Se al mio ritorno vedrò che mia moglie mi è stata fedele e ha sopportato ogni sventura per amor del suo sposo, resterò uomo per sempre. Te la senti di affrontare tutto questo?”. Maddalena, che di Berto era innamorata matta, gli diede un bacio. “Certo che ti sarò fedele e quando tornerai sarò qui ad aspettarti”. Prima che sorgesse il sole Berto tirò fuori da un cassetto un anello di rubino. “Se ti troverai in difficoltà chiedi aiuto all’anello e sarà come se fossi accanto a te”. Una volta che i raggi del sole apparvero all’orizzonte Berto si trasformò in tartaruga e piano piano iniziò il suo viaggio. Maddalena quel giorno andò in cerca di un lavoro. Lungo la strada incontrò una donna con un bimbo che piangeva. “Datelo a me”, disse Maddalena “che di sicuro lo faccio smettere”. “Difficile”, disse la donna “il mio figliolo è un gran piagnone… ma se volete provarci…” Appena l’ebbe in braccio invocò l’aiuto del rubino per vedere se davvero funzionava. “Oh rubino, rubino, che il bimbo rida, balli e canti”. E subito il bimbo si mise a ridere, a cantare e a ballare. Entrò poi nella bottega di un fornaio e rivolta alla padrona chiese: “Perché non mi prendete a lavorare con voi,
so impastare, tener pulito e far di conto. Non ve ne pentirete”. La padrona la osservò perbenino e visto che era una ragazza così graziosa e intraprendente la prese a bottega. Maddalena era bella e gentile e tutti iniziarono a comprare pane e focacce da quel fornaio. Passarono anche tre giovanotti che notata la sua grazia finirono per innamorarsi di lei. Un giorno, uno dei tre si presentò: “Mi chiamo Bachino e faccio l’imbianchino. Se mi volete io vi sposo e vi faccio una casa tutta colorata”. “Ma io sono già sposata ma se lo desiderate aiutatemi a impastare il pane e domattina vi darò un bacino”. Bachino non se lo fece dir due volte e presa acqua e farina cominciò a impastare. Maddalena chiese allora aiuto al rubino: “Oh rubino, rubino, che Bachino impasti fino al mattino”. Impasta e impasta, quello andò avanti tutta la notte, tanto che la mattina non si sentiva più le braccia. Appena sorse il sole Maddalena lo cacciò via in malo modo. Dopo qualche giorno passò dalla bottega il secondo giovanotto e si presentò: “Bella fornaia, io mi chiamo Beltrame e faccio il falegname. Se mi volete io vi sposo e vi faccio una casa tutta di legno che mai se n’è vista una uguale”. “Caro Beltrame, io sono maritata ma se volete aiutarmi a tenere acceso il fuoco del forno domattina vi darò un bacino”. Quello, convinto di poterla sposare si mise a soffiare. Maddalena allora chiese aiuto al rubino: “Oh rubino, rubino, che Beltrame consumi tutto il legname”. Soffia che risoffio, quello andò avanti tutta notte che la mattina aveva
i polmoni in fiamme. Al sorgere del sole Maddalena lo mandò via dicendogli di non farsi più vedere. Passò qualche giorno e si fece vivo il terzo giovanotto: “Gentile dama, il mio nome è Mario e di mestiere faccio il vetraio. Se mi volete io vi sposo e vi farò una casa tutta piena di finestre che mai se n’è vista una più bella e luminosa”. “Son sposata io, ma se volete darmi un aiuto vi faccio spazzare tutta la farina che è rimasta in soffitta”. Anche il terzo, nella speranza di poterla sposare si mise subito all’opera. Maddalena chiese ancora aiuto all’anello: “Oh rubino, rubino, che Mario pulisca bene tutto il solaio”. Spazza che ti spazzo, la mattina non c’era più un granello di farina in terra ma come aveva fatto con gli altri, lo cacciò subito via. La padrona vedendo quanto pane era stato cotto e come era stata pulita la soffitta regalò a Maddalena un dolce di riso e gli disse: “Questo e per voi e per vostro marito. Se lo mangerete insieme avrete due bei gemelli”. Maddalena corse a casa piangendo perché sapeva che Berto sarebbe tornato dopo molto tempo. Ma appena scesa la notte sentì bussare alla porta. Quale meraviglia quando vide Berto davanti a sé. Si abbracciarono felici. “Ma come hai fatto a tornare così presto?”, gli chiese. “È stata la tua virtù a farmi tornare. Non solo hai mantenuto la promessa ma hai saputo usare bene il rubino. Non sarò mai più una tartaruga”. Festeggiarono allora mangiando la torta insieme e di lì a nove mesi ebbero due gemelli, belli come il sole e la luna.
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P “Ma le gambe... a me piacciono di più...”. La divertente canzonetta, portata al successo nel 1938 da Enzo Aita insieme al Trio Lescano inneggiava per la prima volta alla fisicità femminile con un po’ di impertinenza. Ma se le gambe rappresentano il punto focale di un eterno femminino, intrigante e misterioso, ciò è enfatizzato quando sono velate dalle calze Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza
Ragnatele di pizzi Lo stile Pierre Mantoux strizza l’occhio alle atmosfere del Burlesque e alle ammiccanti pin-up tornate d’attualità. Una ragnatela di pizzi disegna corolle su autoreggenti, parigine e ricchi collant. Fiori bianchi e inserti rosso fuoco brillano sul fondo nero intercalati a righe e maculati fantasiosi e non manca la calza liscia, velatissima e dai toni delicati. Star della stagione primaverile è il calzino rifinito da nastri, a pari merito con gli imperdibili leggings in reti impercettibili. Effetto tatoo Ed è di sicuro una donna consapevole della sua sensualità quella che ispira le collezioni
Golden Lady. Non a caso il nero profondo è usato per ramage stilizzati sul fondo carne per regalare un suggestivo effetto tatoo alle gambe. Giochi di trasparenze lucide e opache anche per i capi adatti al look serale, dagli ornamenti a baguette che si inerpicano sulla caviglia enfatizzata al massimo. In agguato c’è pure il ritorno del conturbante reggicalze. Benessere colorato Solidea by Calzificio Pinelli punta sul rivoluzionario collant Red Wellness che all’elegante vestibilità e alla variegata palette, unisce l’efficacia di un esclusivo filato ai raggi infrarossi, capace di
roprio riguardo alle calze delle donne un esteta, quale fu Jean Cocteau, ebbe a dire: “Se non ci fossero, le gambe delle donne (anche se belle) sarebbero solo dei mezzi di locomozione”. Un indumento intimo, ma non del tutto, che è molto di più di un utile complemento del vestire: è leggenda, mito, simbolo, sogno... Ambito traguardo di un eros segreto e varco dell’immaginario maschile. Al contrario di quanto comunemente si crede, le origini delle calze non appartengono alla storia moderna, ma si perdono in epoche remote. La grande pianura della Mesopotamia fu la terra che, oltre sei secoli prima dell’era cristiana, vide la comparsa dei primitivi esemplari a uso dei popoli nomadi. Si trattava di lunghi gambali di tela che coprivano anche il piede e incorporavano una suola in cuoio. L’adozione di un indumento tubolare, chiuso in punta e realizzato in maglia, si propagò al resto del Medio Oriente, come testimoniano alcuni reperti rinvenuti fra le rovine di Dura Europos, fiorente città sulle rive dell’Eufrate oltre duemila anni fa. Sulle sponde settentrionali del Mediterraneo, le calze comparvero in tempi a noi più
aumentare l’ossigenazione e il metabolismo della pelle. Risultato? Cellulite in ritirata, tonificazione garantita e benessere assicurato. E sono perfetti per prepararsi fin d’ora alla prova costume i pantaloncini Silver Wave dal tessuto tridimensionale che favorisce lo smaltimento della temuta “buccia d’arancia”. Arrivano gli skeggings?! Tra le salienti novità di Calzedonia ecco gli skeggings, gonna e leggings incorporati all in one. Ci sono però anche le calze dal tocco naif dato da una pioggia di pois e micro fiorellini. Più le proposte sexy in total black, richiamate alla calze della prorompente
calze… vicini. Greci e Romani avevano risolto l’esigenza di proteggere e abbellire le gambe arrotolandovi fasce di tela e maglia e il piede veniva infilato in sandali di cuoio. Mentre i barbari delle Gallie, in lotta con l’Impero Romano, indossavano bracae, ovvero calzoni ante litteram. Certo è che l’avvento delle calze, vicine all’accezione moderna, avvenne nel Medioevo quando la seta cominciò a essere lavorata per realizzare gli involucri gemelli. Fino al Quattrocento rimasero relegate al ruolo di ornamentale accessorio, finché regnanti, nobiluomini e possidenti in genere, purché dotati da madre natura di gambe non troppo storte, le sfoggiarono come capo di vestiario principale, spiccanti sotto la corta tunica. E le donne, non le portavano? La domanda è davvero “calzante”: sulla passerella della storia, a mostrare gli arti e le estremità inferiori, fin nell’Ottocento inoltrato furono solo gli uomini. Le donne, almeno quelle per bene e di ceto alto, pare non avessero le gambe e forse neppure i piedi. Solo nell’intimità delle alcove si sfilavano calze segrete e mitiche giarrettiere per prepararsi a incontri ravvicinati con mariti, amanti e favoriti.
Sofia Loren che nel film Ieri, Oggi, Domani inscena uno spogliarello a favore di un inebriato Marcello Mastroianni. E parlando di uomini, ecco per lui le calze vintage in piccole fantasie jacquard tono su tono. Di un gusto sicuro e raffinato. Righe e fiori pop Complici la fantasia e il buonumore scompare il rigore dell’inverno. La maison Gallo azzarda righe multicolor e scoppiettanti inflorescenze pop che passano dall’abitino svasato, ispirazione Sixties, ai calzettoni e alle parigine sopra il ginocchio. Collant coprenti o delicatamente ricamati e traforati per chi non osa. L’uomo esigente, specialmente per
Rivincita o vendetta? Nel 1827 la moda femminile lancia calze traforate a piccoli buchi dove sbircia il candore della pelle. Rimarranno celate sotto le lunghe sottane per quasi un secolo. Nascoste sotto crinoline e mutandoni, compresse da stivaletti con i lacci, le gambe (e le calze) delle donne covano la rivincita. Siamo ormai nel nuovo secolo: nel 1910 l’abito da passeggio si chiama trotteur e scopre tutto il piede per rendere elastico il passo muliebre in marcia verso insperati traguardi. Le gonne si accorciano a svelare la caviglia (e poi oltre) avvolta in calze di seta naturale. Un lusso destinato a poche sino a quando negli anni Venti, con l’invenzione del rayon, ribattezzato seta artificiale, la calze relativamente velate diventano accessibili a un’utenza più ampia. La totale rivoluzione arriverà nel 1938 con la nascita negli stabilimenti Du Pont del
quanto riguarda i dettagli, sceglie il filo di Scozia nella classica costa a maglia rasata, ma in emozionanti pennellate di colore. Poiché la calza, tutt’altro che accessorio banale, è il primo indizio di personalità.
nylon, la prima fibra sintetica definita “resistente come l’acciaio e delicata come una ragnatela”. La giarrettiera viene sostituita dal reggicalze: un aggeggio esiguo, ma saturo di valore erotico. Le tecnologie produttive degli anni Cinquanta permetteranno poi di realizzare le calze senza cucitura (la famosa riga) arricchite di varie sfumature. Con gli anni Sessanta e l’avvento degli elastomeri, la perfetta aderenza estetica non è più una promessa. Quando nel 1965 scoppia il boom della minigonna, per il collant coprente è un vero trionfo che fa però perdere l’uso del reggicalze, sostituito più avanti dalle autoreggenti. Nei decenni successivi tecnica e moda continuano a procedere di pari passo ravvivando la scena con collant coloratissimi, calze setose e malandrine e la ricerca del massimo comfort tipica dei Novanta. Agli albori del terzo millennio collant modellanti e autoreggenti con balza fantasiosa convivono con le gambe nude anche con il sottozero (sigh!) e c’è chi ha tentato di sdoganare il calzino da uomo abbinandolo al “tacco 12”. Tuttavia le attuali tendenze segnalano un sano ritorno alle “vere calze” create per lusingare e abbellire i nostri preziosi arti inferiori.
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cancro
Possibili notizie il 19 gennaio. Importanti scelte in amore da affrontare senza procrastinare. Per quanto riguarda le attività di gruppo fatevi guidare dal vostro intuito. Privilegiate le affinità spirituali.
A partire dal 15 gennaio potrete contare su una ritrovata serenità. Romanticismo e affabilità. Buone relazioni sociali. Vecchie attività tornano attuali per i nati nella terza decade. Attenti alle provocazioni.
Scarso interesse per gli impegni di lavoro. Siete più propensi a risolvere i vostri problemi di natura affettiva che a interessarvi ad altro. Aspettate il 20 gennaio per intraprendere una nuova iniziativa.
Grazie a Venere nell’amico segno dei Pesci il rapporto con il partner si arricchisce di ulteriori affinità. Incontri con persone straniere. Scelte importanti per i nati nella terza decade. Curate di più la salute.
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Metamorfosi favorita dagli aspetti con Saturno e Nettuno. Non fatevi suggestionare dalle paure ma affrontatele direttamente. Spese legate alla gestione del quotidiano. Il 15 gennaio dedicatevi al superfluo.
Non esagerate con i sospetti per quanto riguarda il vostro rapporto di coppia. Canalizzatevi verso l’Eros: fate l’amore, non la guerra. Disturbi di stomaco per i nati nella prima e terza decade. Bene il lavoro.
Soluzioni per il 15 gennaio. Cambiamenti indotti dal transito di Saturno. La vostra tenacia verrà premiata. Situazioni inaspettate per i nati in settembre. Aprite la porta all’incredibile seguendo l’istinto.
Tendete a far sempre di testa vostra prendendo in scarsa considerazione l’opinione degli altri. Con l’arrivo di Venere nei Pesci potete iniziare ad addolcire ogni vostra posizione. Liberatevi dall’ansia.
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Se volete vincere date spazio alla vostra creatività uscendo dagli schemi. Costruttivi, pazienti e laboriosi i nati nella terza decade. Curate di più il fisico. Riposatevi. Urano super positivo per la prima decade.
Spingete su Marte per affrontare Saturno in quadratura. Non rimandate le scelte ma attaccate senza riserve i vostri nemici. Fortuna e ricchezza per i nati in dicembre. Viaggi e fortuna favoriti dai pianeti.
Sbalzi umorali provocati da Giove in tensione emotiva. Se credete in voi stessi riuscirete a realizzare cose incredibili. Urano è dalla vostra parte. Fase professionalmente costruttiva per i nati nella terza decade.
Con Marte in opposizione non è difficile affrontare un periodo di calo sul piano energetico. Riposatevi di più senza farvi cogliere da ansie immotivate. Approfittate di Venere per abbandonarvi all’amore.
» a cura di Elisabetta
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Orizzontali 1. Furto, ruberia • 10. Rinnegare • 11. Il colore della speranza • 12. Producono more • 14. Negazione dell’esistenza di dio • 16. Riga centrale • 17. Una nota e un articolo • 18. Calibrati • 20. Lo sono le novelle rosa e azzurre • 23. Il Ford dei fumetti • 24. Il mitico re di Egina • 25. In precedenza • 26. Si rende al merito • 27. Articolo maschile • 28. Lo incassa l’armatore • 30. Uno a Londra • 31. Questa cosa • 32. Ingorde • 34. Risiede a Mascara • 37. Lisa nel cuore • 38. Li ha tesi lo stressato • 39. Macchinari agricoli • 42. Assicurazione Invalidità • 43. Articolo romanesco • 44. Avanti Cristo • 45. Ha inventato il barometro • 49. Sdruciti • 50. Dato anagrafico. Verticali 1. Noto libro di R. Musil • 2. Un bosco di conifere • 3. Affermare • 4. Bruschi, burberi • 5. Uccide Egisto • 6. Mezza casa • 7. Annaffiare • 8. Piccolo difetto • 9. Fantasioso, stravagante • 13. Sostanze biocatalizzatrici • 15. Dubitativa • 19. Arti pennuti • 21. Una scienza ambientale • 22. L’alza l’irato • 25. Audizione • 29. Olio inglese • 30. Stuzzicano le narici • 32. In mezzo al mare • 33. Indifeso • 35. Provenienti da un altro paese • 36. Rettile innocuo • 40. Cattivo • 41. Terna al poker • 44. Stop! • 46. Consonanti in ruolo • 47. Concorso Internazionale • 48. Lussemburgo e Spagna.
Questa settimana ci sono in palio 100.- franchi in contanti!
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 4
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 19 gennaio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 17 gennaio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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La parola chiave del Concorso apparso il 30 dicembre 2011 è:
BACIARSI Tra coloro che hanno comunicato la soluzione corretta è stata sorteggiata: Bernadette Omassoli via Prada 3 6929 Gravesano Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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Il 24 marzo 2012 l’Europa-Park aprirà le sue porte in esclusiva ai membri Famigros, il nuovo club per famiglie con tante fantastiche offerte in esclusiva. Registrati entro il 26 febbraio sul sito 8 www.famigros.ch e vinci biglietti per l’Europa-Park (al massimo 10 biglietti; viaggio di andata e ritorno, pasti, ecc. esclusi). In caso di domande in merito all’iscrizione puoi rivolgerti alla infoline Cumulus al numero ) 0848 850848 oppure visitare il sito www.famigros.ch, dove trovi anche tutte le informazioni dettagliate in merito al club.
MGB www.migros.ch W
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