Ticino7

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№6

del 10 febbraio 2012

con Teleradio 12–18 febbraio

violenze

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I°semestre 2012 - corsi per pazienti e incontri per pazienti e familiari Sopraceneri Arte-terapia Una volta alla settimana a Bellinzona Feldenkrais Una volta alla settimana a Bellinzona Una volta alla settimana a Locarno Acquagym Una volta alla settimana a Gerra Piano Movimento e sport - ginnastica all’aperto Una volta alla settimana a Tenero Gruppi parola per ammalati e familiari Mercoledì, ogni 15 giorni a Locarno Giovedì, ogni 15 giorni a Bellinzona

Sottoceneri Arte-terapia Una volta alla settimana a Lugano Feldenkrais Una volta alla settimana a Lugano Acquagym Una volta alla settimana a Savosa Gruppi parola per ammalati e familiari Giovedì, ogni 15 giorni a Lugano Spazio accoglienza conviviale Giovedì, ogni 15 giorni a Lugano Inoltre organizziamo 6 incontri per pazienti e familiari sul tema dell’alimentazione

“Si unisca al gruppo… insieme è meglio!” INFORMAZIONI E ISCRIZIONI:     

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Ticinosette n° 6 10 febbraio 2012

Agorà Persone violente. In cerca di aiuto

Tiratura controllata 70’634 copie

Letture L’essere morale

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FRanCesCa Rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Comportamenti. Il valore del dubbio Luoghi Scale mobili. Climax diagonali

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Editore

Reportage Innamorati. Precauzioni per l‘uso

Direttore editoriale Peter Keller

Fiabe Il segreto del pane

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giulio CaRRetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRCo JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Vitae Ledwina Costantini

Teleradio 7 SA Muzzano

tiziana Conte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

duCCio CanestRini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiusura redazionale Venerdì 3 febbraio

MaRCo JeitzineR. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di

M. dal FaRRa; Foto di d. RueF . . . . . . . .

Fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Bellezza. Lotta alle rughe

di

PatRizia MezzanzaniCa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Redattore responsabile Fabio Martini

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media Ticino e audiovisivo. Sound & Vision Mundus L’Europa dei miracoli

Impressum

di

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

A me gli occhi! Fotografia di Antonio Bertossi

Nessuno escluso Pubblichiamo alcuni estratti di una lunga lettera giunta in Redazione a commento di un articolo dedicato alla “Giornata della memoria” (Ticinosette n . 3/2012; http://issuu.com/infocdt/ docs/n_1203_ti7) . L’autore prende posizione sia sull’articolo a firma di Roberto Roveda sia su un secondo contributo del collaboratore Marco Alloni dedicato al burka (parte che abbiamo qui tralasciato) . Facciamo notare come alcune delle osservazioni espresse dal lettore (in riferimento a una possibile estensione della “Giornata della memoria” a ricordo di tutti gli olocausti, i massacri, gli stermini di popoli e culture considerate minori) costituissero parte delle considerazioni espresse nell’editoriale che apriva quel numero di Ticinosette . Un’ulteriore nota: nei giorni a ridosso della “Giornata” vi sono stati alcuni commenti critici rispetto a presunte anticipazioni dell’importante ricorrenza, quasi che la stampa tutta fosse impegnata in una sorta di “gara d’anticipo” (forse per scarsità di fantasia e mancanza di temi da approfondire?) . A nostro parere, riteniamo che parlare di Shoah sia sempre e comunque doveroso e indispensabile, al di là di ogni ricorrenza . E non solo perché i testimoni diretti e i sopravvissuti, per ovvie ragioni naturali, stanno ormai scomparendo, ma soprattutto perché le forme di violenza, di razzismo e di intolleranza sono intrinseche alla natura umana – rimandiamo, a riguardo, all’articolo di apertura di questo numero – e richiedono una costante vigilanza, al di là di ogni opportunità mediatica o di audience . “Ho apprezzato l’articolo «Olocausto. Memoria e Shoah» e non eccepisco una virgola rispetto a quanto scritto, anzi credo che chi nega la Shoah e tutti gli altri olocausti debba essere in qualche modo sanzionato. In generale, si parla sempre

dell’olocausto degli ebrei, come se la parola «olocausto» fosse stata coniata dopo il massacro degli ebrei da parte dei nazisti. Purtroppo non si parla mai o quasi mai degli altri olocausti, a partire da quello degli armeni, addirittura negato da chi l’ha eseguito. La storia è costellata di eccidi e massacri: si pensi ai maya e agli altri popoli nativi del continente americano, agli aborigeni australiani, fino ai più recenti, quello dei tibetani, dei curdi, degli uiguri, dei musulmani in Bosnia e di altri popoli, come quello palestinese, il cui destino è stato segnato con la Dichiarazione di Balfour (1917). E vero che l’olocausto degli ebrei è stato il più infame per quanto riguarda il numero di uccisioni con ogni mezzo, è vero che si assiste a un certo ritorno di negazionismo (che è da combattere con tutte le forze), ma come dicevo non dobbiamo nemmeno dimenticare tutti gli altri avvenuti nel mondo. (...) Allora, in questa data si potrebbero ricordare veramente tutte le vittime, come gli zingari, gli omosessuali, i disabili, gli oppositori, ecc. Escluderli è irrispettoso nei confronti delle vittime e dei familiari ancora in vita. (...) In questi giorni, fortunatamente, la Francia ha dichiarato punibile la negazione di tutti gli olocausti, compreso naturalmente quello degli armeni. Una bellissima e coraggiosa legge che corregge gli errori del passato. Ora che il massacro armeno è stato riconosciuto (...) che cosa avviene? L’indignazione. La legge è discriminatoria e razzista e addirittura viola la libertà di pensiero (...). Proprio la Turchia parla di razzismo e di libertà di pensiero. Un paese che dopo aver sempre negato l’olocausto armeno ne sta attuando un altro nei confronti dei curdi, perché anche l’annientamento culturale di un popolo e l’annientamento del diritto di un popolo a esistere può considerarsi un olocausto (...). Vi ringrazio per l’attenzione” J . T . (San Pietro di Stabio)


Persone violente. In cerca di aiuto

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Agorà

La violenza è latente in tutti noi, è parte del nostro istinto di sopravvivenza. Non è prerogativa delle persone che hanno subito traumi infantili, che fanno abuso di alcol o stupefacenti oppure che presentano disturbi della personalità. Un problema complesso di cui in Ticino si occupa un apposito servizio di Roberto Roveda

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el dicembre scorso1 ci siamo occupati di quanto viene svolto nel nostro cantone per assistere e proteggere chi subisce violenza tra le mura domestiche. Oltre alle vittime, certamente le prime da salvaguardare, il fenomeno coinvolge anche coloro che la violenza la esercitano. E non parliamo di delinquenti abituali, ma di persone comuni; si può infatti perdere il controllo e diventare violenti senza esserlo mai stati prima, a causa di un forte stress emotivo: la perdita del lavoro, un improvviso e inatteso cambiamento nella nostra vita e tutte le situazioni che mutano profondamente le dinamiche delle strutture apparentemente consolidate all’interno delle quali viviamo come, per esempio, la famiglia. Inoltre, spesso ci si rende conto di quello che sta succedendo troppo tardi, perché si sottovalutano determinati segnali – come irascibilità e scatti d’ira – fino a quando la situazione degenera. E in una società che pone sempre meno limiti e freni, dove convivere con emozioni e frustrazioni è sempre meno facile, con frequenza maggiore si giunge all’atto violento, in famiglia e al di fuori di essa. Anche per queste ragioni, dallo scorso giugno è attivo presso l’Ufficio di patronato di Lugano un servizio di aiuto per le persone violente. Per capire come opera abbiamo incontrato la responsabile Luisella De Martini. Signora De Martini, come nasce il vostro servizio? “Una premessa: l’Ufficio di patronato interviene abitualmente in base al Codice penale svizzero come servizio a cui è affidato il compito di sostenere le persone condannate per reati penali, favorendo il loro reinserimento sociale. Questo servizio è attivo dagli anni Ottanta e lavora a stretto contatto con le strutture carcerarie e con la giustizia penale. Alla fine del 2010 il Dipartimento delle istituzioni ha istituito un servizio di aiuto alle persone violente, che mancava in Ticino, e ha affidato l’incarico all’Ufficio di patronato, abituato a operare con gli «autori» di reati. Si è estesa quindi la funzione, la missione dell’Ufficio di patronato anche agli autori di violenza domestica benché non si tratti di persone che notoriamente hanno a che fare con la giustizia penale e, per la maggior parte dei casi, unicamente con la giustizia civile”.


Chi sono le persone che seguite? “Le confesso che all’inizio pensavamo che gli autori di violenza domestica fossero soprattutto persone in difficoltà, ai margini della società. La realtà, però, è molto più variegata: si va dalla persona perfettamente inserita al libero professionista alla persona invece che si trova in uno stato di disoccupazione. Abbiamo a che fare soprattutto con ticinesi e anche con stranieri che vivono qui, con uomini, ma anche con donne pur se in misura ridotta. Quello che abbiamo capito in questi mesi di lavoro è che la violenza domestica è una questione che riguarda tutta la società, è una problematica trasversale. Non esiste la «persona tipo»”. Come opera il vostro servizio? “Anche qui una piccola premessa è necessaria. Le chiamate per casi di violenza domestica ai numeri di intervento della polizia sono centinaia ogni anno. Nel momento in cui abbiamo attivato il servizio ci siamo, però, concentrati su quelle persone per le quali la polizia, intervenuta in seguito a una chiamata, ha decretato l’allontanamento temporaneo dal domicilio. Abbiamo dato la priorità a queste persone perché riteniamo siano le più esposte a ripetere gesti violenti oppure a compierne di più gravi. Per quanto concerne l’operatività, a ogni intervento la polizia redige un verbale e chiede agli autori di violenza l’autorizzazione affinché i loro dati vengano trasmessi al nostro servizio e li invitano a rivolgersi direttamente all’Ufficio di patronato. Ricevuta la segnalazione e se la persona è stata allontanata da casa, prendiamo contatto immediatamente per aiutarla a risolvere i primi problemi, anche pratici, a partire da un luogo in cui dormire. Oppure sono le persone stesse a rivolgersi a noi per ricevere aiuto, ma anche per scaricare la tensione oppure perché cominciano a domandarsi «ma perché agisco così!?». Le persone che viceversa non sono state allontanate da casa ma che si sono dette interessate a essere contattate, ricevono una lettera con una proposta di appuntamento con il nostro servizio”.

una situazione precedente di perdita del lavoro, di difficoltà finanziarie. L’operatore sociale attua un intervento immediato per risolvere questa situazione e aiuta la persona nelle pratiche necessarie a migliorare la propria condizione economica. In seconda battuta, egli valuta se esiste una disponibilità a un trattamento di tipo terapeutico, nel qual caso si è di fronte a un soggetto che si rende conto di avere un problema, lo accetta in quanto tale e decide di affrontarlo con l’aiuto di uno specialista. In situazioni come queste si aiuta la persona a trovare un terapeuta privato oppure nell’ambito della rete dei servizi pubblici dell’organizzazione socio-psichiatrica cantonale. Evidentemente, però, non tutti sono immediatamente disponibili per questo percorso. Il compito dell’operatore non è quindi tanto trattare, terapeuticamente parlando, la problematica della persona violenta, ma accompagnare il soggetto in modo che arrivi a elaborare una richiesta di aiuto terapeutico”. Le esperienze di altri cantoni e quella che voi avete da qualche mese danno un’idea dei possibili risultati? “In altri cantoni sono molto più avanti di noi. Penso, per esempio, al canton Vaud dove hanno appena pubblicato la loro strategia per il trattamento della violenza domestica e dove esistono dei servizi di trattamento tout court per questi problemi, quello che oggi manca al Ticino. Noi abbiamo mosso un primo passo e con mezzi minimi, nell’intento almeno di limitare il rischio di una ricaduta o del passaggio ad agiti con conseguenze gravi per la vita dei familiari. A chi lo permette o lo desidera, offriamo un servizio di base e di aiuto immediato, senza dimenticare di indirizzare le persone verso una possibile soluzione. Abbiamo dato inoltre una risposta a un’urgenza, che era anche della stessa polizia. Perché spesso gli agenti intervenivano, le persone chiedevano aiuto e consiglio e si poteva fare solo affidamento sul buon senso per dare loro una mano. Ora non è più così. Fatto questo primo passo, il compito del nostro servizio è anche quello di presentare un rapporto per completare la rete di assistenza che, a nostro modo di vedere, non dovrà essere rivolta solo a un tipo di violenza, ma a tutte le tipologie di violenza. Perché si è violenti in famiglia, ma anche per strada oppure il sabato sera, usciti dalla discoteca, dentro e fuori gli stadi, per fare degli esempi. Sinceramente, laddove bisognerà mettere a disposizione dei luoghi di prevenzione e trattamento della violenza, non potranno essere indirizzati solo alla violenza domestica ma alle violenze, declinate al plurale. Ci chiediamo inoltre se sia sufficiente continuare a contare sulla buona volontà degli «autori» di violenza perché affrontino il problema. Nel momento in cui il passaggio all’atto e l’uso della forza fisica sembrano istaurarsi quasi come una «modalità» di intrattenere delle relazioni umane, forse bisogna fare qualcosa in più e magari pensare a rendere obbligatorio il trattamento di queste persone, quanto meno la segnalazione ai servizi che li possano prendere in carico”.

“Quello che abbiamo capito in questi mesi di lavoro è che la violenza domestica è una questione che riguarda tutta la società, è una problematica trasversale. Da questo punto di vista, si può dire che non esiste la «persona tipo»”

Come reagiscono le persone una volta contattate? “Noi prendiamo immediatamente contatto telefonico con le persone che sono state allontanate perché prese «sul momento», a caldo, è più facile che si lascino agganciare dal servizio. Abbiamo notato, infatti, che se passa del tempo pian piano si tende a banalizzare e a minimizzare quello che è capitato, si dice «adesso è tutto a posto… mi sono riconciliato… con mia moglie o mio marito…». Si tende, cioè a dire che il problema è risolto. In alcuni casi è vero, magari si trattava di una discussione che è degenerata e l’intervento della polizia è stato così scioccante da far capire alle persone fino a che punto sono arrivate. Altre volte, però, le cose non sono per nulla risolte, e lo vediamo perché si verificano casi in cui la polizia è intervenuta più volte presso la stessa famiglia. In queste situazioni, la nostra attenzione è ancora più alta”. A questo punto che cosa accade? “Allora, il nostro è un servizio sociale di base, non abbiamo specialisti, psicologi; è un servizio di valutazione del caso. Come detto si cerca di aiutare praticamente la persona, che spesso è fuori casa su ordine della polizia e che magari riceve conferma di allontanamento da parte del pretore e nello stesso tempo non ha mezzi, perché vive

note 1 “Violenza in famiglia. Le mura del silenzio” in Ticinosette n. 51/2011 (http:// issuu.com/infocdt/docs/n_1151_ti7) per informazioni Ufficio di patronato, Piazza Molino Nuovo 15, 6900 Lugano; tel. 091 922 85 67/66; di-patronato@ti.ch.

Agorà

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Sound & Vision Il convegno promosso dall’Associazione European Audiovisual Entrepreneurs svoltosi nell’autunno scorso a Lugano, ha fornito l’occasione per parlare di cinema elvetico. Durante il seminario, organizzato in collaborazione con il Conservatorio internazionale delle Scienze audiovisive (CISA), sono stati presentati i risultati di uno studio dedicato al settore audiovisivo in Ticino di Tiziana Conte

Media

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Il settore dell’audiovisivo nella Svizzera italiana - Studio di base è il titolo di una ricerca commissionata dal Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), dalla SUPSI e promossa nell’ambito dei sostegni della politica regionale per lo sviluppo economico per piccole e medie imprese e per il settore del turismo. Essa intendeva valutare il potenziale di sviluppo di un settore relativo alla filiera dell’audiovisivo, indicato dal cantone come “strategico per accrescere la competitività territoriale”. La metodologia adottata per produrre la ricerca – sperimentata per la prima volta in Svizzera proprio in Ticino –, è stata assolutamente inedita. In passato, infatti, non sono mancati gli studi di monitoraggio sulle diverse funzionalità regionali, ma non si erano mai compiute delle ricerche settoriali e mai era stato indagato l’audiovisivo come possibile nicchia di sviluppo economico. Non solo, ma tra le novità di questo studio rientra la costituzione di una piattaforma che ha coinvolto molte figure e istituzioni del settore: per esempio, l’Associazione dei produttori e registi indipendenti della Svizzera italiana, la RSI, il CISA, il Festival del Film di Locarno e i diversi enti turistici. Gli interventi dunque non sono stati definiti a priori dal cantone, ma si è data la possibilità agli attori coinvolti di valutare le proprie priorità. Obiettivi e numeri Le ipotesi approfondite dallo studio toccavano i tre aspetti di questo ambito specifico di attività: produttivo, formativo ed economico. Nelle valutazioni sono state individuate diverse proposte: la costituzione di un Centro di coordinamento dell’offerta formativa (ipotesi per ora accantonata) e di una scuola d’eccellenza del cinema e dell’audiovisivo (in cui confluirebbe l’attuale CISA), da insediare nella futura Casa del Cinema a Locarno; la creazione di una Film commission (FC), ossia di una struttura volta ad attrarre e sostenere a più livelli le produzioni sul proprio territorio al fine di rendere il più appetibile possibile la propria regione come luogo di riprese per i film, con importanti ricadute economiche, occupazionali e soprattutto d’immagine. Dalla ricerca invece è già nata la Fondazione Digital Film Suisse, tra i cui scopi figura quello di finanziare la

produzione di opere cinematografiche e audiovisive, sia con fondi provenienti dalle attività industriali di produzione del settore, sia con attività di marketing e operazioni di fundraising che dovrebbero coinvolgere investitori istituzionali. In Ticino si contano 108 imprese attive nel settore dell’audiovisivo, il loro fatturato si aggira attorno ai 247 milioni di franchi. La RSI con i suoi 170 milioni di fatturato rappresenta il 70,5 per cento di quest’industria. Gli addetti al settore sono 2.617, per un totale di 1.220 unità a tempo pieno. Un’imprenditoria dunque con una sua conformazione consolidata. È dunque lecito chiedersi se, in questo contesto, abbia senso la creazione di una FC, e domandarsi quale dovrebbe essere la sua struttura nonché a chi potrebbe essere affidata. Alla prima domanda lo Studio risponde affermativamente e al momento alcuni esperti nominati dal cantone stanno valutando la fattibilità del progetto. Rimangono invece aperti diversi altri interrogativi riguardanti le eventuali fonti di finanziamento, la ricaduta formativa e culturale. Molti di questi quesiti sono stati affrontati in una tavola rotonda con alcuni esperti del settore presenti al workshop dell’European Audiovisual Entrepreneurs. Lo studio a oggi prevede l’istituirsi di una FC che beneficerebbe di un sostegno per il suo sviluppo durante i primi quattro anni (2-3 milioni), ma che in seguito dovrebbe garantirsi l’auto sovvenzionamento. Ci si domanda quindi cosa succederà quando saranno esauriti i soldi pubblici. La parola agli esperti Le risposte sono state chiare e unanimi: una FC senza un proprio fondo al quale attingere per degli investimenti puntuali sia in produzioni locali che straniere, ha scarse possibilità di sopravvivenza. La domanda da cui partire, incitano gli specialisti stranieri presenti alla discussione, deve essere: perché venire a girare film in Ticino? Se è vero che il nostro territorio presenta svariate attrattive (dimensioni ridotte, paesaggi belli e suggestivi), deve però sapere competere con altre FC altrettanto allettanti. Il loro suggerimento, dunque è quello di creare una struttura sufficientemente solida economicamente da potere


erogare incentivi a fondo perso anche per produzioni locali, e che gli aiuti pubblici vengano pianificati in una prospettiva futura. Conferma questa posizione anche Andres Pfaffli, produttore indipendente della Ventura Film di Meride nonché persona coinvolta nello studio. Signor Pfaffli, nel suo ruolo di produttore indipendente quali i vantaggi/svantaggi intravede nell’istituirsi di una FC ticinese e, sulla base della sua esperienza, quale futuro ne delinea? “Penso che a noi produttori indipendenti porterà alcuni vantaggi soprattutto per gli aspetti logistici e organizzativi. Ci sarà utile per creare una rete di contatti e conoscenze, anche se è bene dire che sembra prioritario negli obiettivi di questa FC attirare produzioni estere e non locali. Quello che inoltre mi pare interessante è la possibile mappatura che in questi quattro anni si potrà avere del territorio rispetto all’audiovisivo e la conseguente analisi della sua ricaduta economica sul Ticino. Avremo delle cifre concrete e potremo appurare se questo tipo di investimento, oltre a creare posti di lavoro, favorirà altri settori, come i trasporti, la ristorazione, ecc. Un’industria piccola ma che crea un suo moltiplicatore sull’economia cantonale. La mia speranza è che in questi quattro anni si riesca a dimostrare che la ricaduta economica è vantaggiosa, tanto da poter in seguito creare un fondo che dovrebbe essere strutturato in modo da attrarre non solo le produzioni che provengono da fuori, ma che sostenga anche quelle locali. Da quello che so, e sulla base dei molti studi svolti sulle diverse FC in Europa, una struttura che sostiene attraverso prestazioni logistico-organizzative le produzioni estere e/o locali senza però disporre di fondi propri è destinata morire. La concorrenza è molto grande, ovunque si creano delle FC, penso per esempio alla recente fondazione di quella dell’Alto Adige dotata di circa cinque milioni di euro all’anno il cui territorio offre un paesaggio simile al nostro”. Tra le proposte avanzate dagli esperti vi è inoltre quella di valorizzare e sfruttare maggiormente il potenziale offerto dalla presenza del Festival del Film di Locarno, istituzione che gode di ampi riconoscimenti internazionali. Il festival potrebbe infatti fungere da catalizzatore, ma anche da riferimento per tutta una serie di attività promozionali, di relazioni pubbliche, formative e culturali, utili allo sviluppo dell’audiovisivo della nostra regione, tutte attività che in parte svolge già oggi, grazie per esempio alla sua fitta rete di relazioni con l’industria cinematografica internazionale. Inoltre la futura Casa del Cinema a Locarno dovrebbe accogliere al suo interno, insieme agli uffici del Festival, una scuola di cinema ticinese e l’ufficio della FC. A questo proposito abbiamo interpellato Nadia Dresti, responsabile Industry Festival del film di Locarno, che ha partecipato allo Studio.

con una struttura come il Monte Verità, si potrebbe immaginare di ospitare giovani laureati in cinema provenienti da altri paesi, offrendo loro una possibilità di confronto e supporti tecnici e teorici di alto livello. Si potrebbe anche prevedere un partenariato con FOCAL, Fondazione di formazione continua per il cinema e l’audiovisivo, che ha sede a Losanna, ma che organizza seminari di formazione continua in tutta la Svizzera. Si può pure immaginare una collaborazione con la nostra Summer Academy. Credo che ci siano molte opportunità e possibili sviluppi. Il Festival del Film potrà, grazie alla sua internazionalità e al prestigio, aiutare a stabilire dei contatti conferendo visibilità alle varie attività che si svolgeranno nella futura Casa del Cinema e nel contempo essere più presente sul territorio ticinese durante tutto l’anno”. La necessità di un centro Durante la tavola rotonda si è anche sottolineato come sia importante prevedere dei luoghi e dei momenti privilegiati per la ricerca e la creatività del potenziale artistico del territorio. In tale direzione lo Studio aveva profilato un “centro di coordinamento delle competenze audiovisive”. A Jean-Pierre Candeloro – professore alla SUPSI, coordinatore del team di ricerca dello Studio di base e membro della piattaforma –, chiediamo come mai è stata accantonata questa ipotesi… “L’ipotesi volta a stimolare attività e sinergie tra le realtà produttive e di servizio e quelle formative presenti sul territorio” risponde Candeloro “non ha trovato immediata conferma nel nostro studio in parte perché tra i diversi attori interpellati non si è rilevata l’urgenza di tale struttura, ma soprattutto perché le sue finalità sono state racchiuse in altre azioni indicate e che riteniamo meglio rispondano alla necessità di un «sistema integrato» a sostegno di tutto il settore”. Condivide parzialmente questa valutazione Domenico Lucchini, direttore del CISA, anch’egli membro della piattaforma: “Ritengo invece necessario approfondire la possibilità di uno sviluppo delle competenze anche nell’ambito della formazione di base e non solamente nella formazione continua come individuato dallo studio, e creare in Ticino una scuola superiore specializzata negli audiovisivi, questo è infatti la via che con la nostra scuola vogliamo intraprendere”. Prima di procedere operativamente, risulta fondamentale evitare gli errori commessi a livello nazionale, innanzi tutto individuando le persone giuste e fornendo loro gli strumenti per lavorare. Ma soprattutto risulta necessario da subito – e in questo senso le porte istituzionali non sembrano chiuse a priori – che le volontà politiche, economiche e culturali intravedano già oggi la possibilità di sostenere le soluzioni individuate dalla piattaforma a favore dell’industria cinematografica ticinese anche dopo questo periodo di start up. Dopo l’invio al Parlamento da parte del Consiglio di Stato della richiesta di un credito di 40 milioni di franchi – a copertura dei costi per le attività riguardanti la politica regionale e la politica regionale complementare –, il settore dell’audiovisivo potrebbe ottenere, a fondo perso, un importo di 4,5 milioni con i quali, appunto, finanziare per i primi quattro anni l’avvio e i costi di gestione di quei progetti che la piattaforma avrà definito come prioritari, attualmente individuati nella FC e la Digita Film Suisse.

“La mia speranza è che in questi quattro anni si riesca a dimostrare che la ricaduta economica è vantaggiosa, tanto da poter in seguito creare un fondo che dovrebbe essere strutturato in modo da attrarre non solo le produzioni che provengono da fuori, ma che sostenga anche quelle locali”

Signora Dresti, quali sinergie intravede tra la FC, il Festival di Locarno e la Casa del Cinema che si aprirà a Locarno? “La Casa del Cinema dovrà soprattutto essere sfruttata come luogo di eccellenza della settima arte; non si concentrerà unicamente sul nostro cantone, bensì fungerà da ponte con l’industria internazionale. Tra gli esempi di istituzioni analoghe vorrei ricordare la CinéFondation di Cannes e il progetto Fabbrica Cinema. In collaborazione

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L’Europa dei miracoli L’economia reale che arranca, la mancanza di lavoro e il precariato, la fine di molti sogni, la speranza in un’esistenza migliore, la solidarietà e il ritorno alle origini. Vedere per credere di Duccio Canestrini

Il commerciante croato a cui ho ceduto la mia vecchia Volvo

Mundus

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incidentata (non valeva la pena ripararla) ci ha messo pochissimo a rivenderla: “O in Romania o in Polonia…”, ha tirato a indovinare Dimitri. E invece dopo mezz’ora gliel’hanno comprata in Lettonia. Un ferrovecchio “chilometrato” come si dice in gergo, che presumibilmente conoscerà nuove buche e nuovi fasti. Mentre andavamo insieme alla rottamazione, Dimitri mi ha propinato la sua sintesi personale di un percorso di vita da uomo navigato: “L’Europa è finita. L’euro è stato un fallimento. Sta andando tutto a catafascio. In Croazia ho un campo non lontano dal mare: ci ho fatto una casetta e dall’anno prossimo torno lì a coltivare patate”. Altro che sviluppo.

sono ambientate entrambe in città francesi, due porti di mare, uno del Nord e uno del Sud: Le Havre e Marsiglia. Il primo, intitolato Miracolo a Le Havre, del regista finlandese Aki Kaurismäki, è la storia di un umile lustrascarpe, che fa il suo lavoro con dignità nel degrado di un quartiere che non somiglia affatto alla Francia che conosciamo. Il suo destino un giorno si incrocia con quello di un ragazzino africano sbarcato da un container, sulla costa sbagliata della Manica, poiché sua madre lo aspetta in Inghilterra. Nonostante il ragazzo sia ovviamente clandestino e ricercato, il lustrascarpe lo aiuterà in maniera davvero commovente. Il secondo film, Le nevi del Kilimangiaro di Robert Guédiguian, è la storia di un portuale marsigliese il cui lavoro viene falciato dalla crisi e che per beffa della sorte subisce una rapina proprio da parte di un suo giovane ex collega, più disperato di lui. Ma poi, imprevedibilmente, le cose prendono un’altra splendida piega.

Il progresso mitizzato Gilbert Rist, già professore all’Institut Universitaire d’Etudes du Développement di Ginevra (oggi Graduate Institute of International and Development Studies), autore di diversi libri tra cui Lo sviluppo. Storia di una creScott Yeskel, Their Old Volvo, 2004, olio su legno denza occidentale (Bollati BoEuropa: qui e ora ringhieri, 1997), ha sempre Quelle appena raccontate considerato lo sviluppo un vero e proprio mito, a livello, sembrano storie terzomondiali di ordinaria miseria, in scenari appunto, di una credenza religiosa. Ahinoi, “lo sviluppo è simile lontani da quell’Europa glamour che per decenni ha fatto da a una stella morta di cui ancora percepiamo la luce, anche se si specchietto per le allodole ai migranti. Storie di precarietà è spenta da tempo, e per sempre”. Più che di una crisi si tratta esistenziale e di espedienti per sbarcare il lunario. Tutto quedi una liquidazione: non se ne parla quasi più neppure negli sto, sì. Ma anche storie di pietas e di straordinaria generosità. ambienti deputati come il Fondo monetario internazionale Perché se è certamente vero che nello stress da impoverimento e l’Organizzazione mondiale del commercio. Quanto alle – gli economisti direbbero nell’improvvisa scarsità di risorse – organizzazioni non governative sembrano rivolgere il loro l’uomo diventa predatore feroce ed egoista, è anche vero che operato – che qualcuno un po’ cinicamente definisce charity nelle stesse circostanze spesso emergono sentimenti migliori. business – sempre più all’emergenza umanitaria che allo svi- Senza fronzoli, senza false immagini, senza bei vestiti, senza luppo economico. alta tecnologia ma dentro appartamenti scalcinati. Qui si innesca miracolosamente una solidarietà animale, poco inLo schermo della realtà dagata dagli analisti del mercato, quanto nota invece a molti Ebbene, dato l’addio al mio vecchio catorcio, sono andato al assistenti sociali. cinema e guarda caso ho visto due pellicole che mettono in Buona visione dunque, sia del panorama di campi di patate scena la recessione economica europea in maniera assoluta- in Croazia sia di toccanti storie di vita nei porti della Francia. mente positiva, perlomeno sul piano umano. Curiosamente, Le nevi del Kilimangiaro sono già qui.


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L’essere morale

È un dialogo serrato quello tra Marco Alloni, scrittore e gior-

» di Francesca Rigotti

Ora, in tali occasioni l’ospite parla del suo tema, che evidennalista che e vive e lavora al Cairo, e Corrado Augias, noto temente conosce bene, ma Augias parla dello scibile univervolto della televisione italiana nella sua versione migliore, sale, e questo è un po’ meno evidente: discetta di scienza, civile, divulgativa e culturale. Dialogo come storia, filosofia, diritto, letteratura e socioforma fondamentale di comunicazione, dialogia, libri alla mano, libri letti con calma logo fitto e pacato nello stile che è più natuo con la tecnica della lettura veloce – tutrale all’Augias che, per esempio, conduce e to questo è raccontato nel volumetto/interinterroga con garbo e competenza gli ospivista – libri di cui si discute per risvegliare ti di “Le Storie”, un programma televisivo la curiosità del pubblico televisivo, non cerdi RaiTre in onda in un orario difficile to per fornirgli nozioni rassicuranti e appa(12.45–13.10) ma di grande seguito. ganti. Vi sono stata anch’io come ospite in quelUno dei temi su cui Alloni si sofferma è la trasmissione a parlare di filosofia – cosa proprio quello del cristianesimo e della sua per niente scontata alla televisione, per di storia, di cui Corrado Augias è esperto laipiù italiana –; ma da Augias si può fare co, diciamo così, o più precisamente agnoanche questo. E sono rimasta favorevolstico. In questioni di religione Augias dice mente colpita dalla sapienza e dalla periinfatti di sé che non sa, che si aggira “in un zia del conduttore e delle sue collaboratriterreno dai confini indecifrati”, ma che di ci, nonché dalla ferrea organizzazione. sicuro segue una forte indicazione morale, Corrado Augias. Mentre passavo per “trucco e parrucco”, di morale laica però, che viene definita Divulgare il mondo seduta su una specie di poltrona da dentisuperiore alla morale religiosa in quanto di Marco Alloni sta, una mantellina sulle spalle pronta per non viene esplicata nella prospettiva della Aliberti editore, 2011 essere incipriata e pettinata per bene, venisalvezza quanto unicamente per motivi di vo contemporaneamente erudita da una dotta giornalista dovere. Perché è così che ci si deve comportare – kantianasull’impianto e l’andamento della trasmissione: questo si mente, seguendo la formula semplice e geniale dell’imperachiama “non perdere tempo!”. tivo categorico – per essere persone morali.

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Il valore del dubbio Dubbio o certezza? Pensiero veloce o pensiero lento? Domande che sottendono modalità differenti di affrontare e valutare la realtà, senza dimenticare che comportarsi da esperti non significa affatto esserlo…

di Giulio Carretti

Società

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Ho sempre pensato lentamente. All’inizio, quando ero bambino, e successivamente ragazzo e adolescente, questa caratteristica mi appariva come un problema perché di fatto creava problemi, o almeno, nella competizione della vita che ogni giovane si trova ad affrontare, veniva da me interpretata come una condizione negativa e sostanzialmente sfavorevole. Anche perché insegnanti, amici e amiche mi assillavano, per esempio, con discorsi del tipo “hai sempre la testa fra le nuvole”, “sei troppo distratto”, oppure “perché non hai reagito subito?”, “cosa stai aspettando?”, e così via. Naturalmente, restavo ammirato di fronte a chi possedeva il dono di avere sempre la risposta pronta, l’idea giusta al momento giusto, rivelando una reattività immediata di fronte alle situazioni e agli imprevisti, verbali e non. Poi, un giorno, uno psicologo cognitivo mi propose di sottopormi a un test intellettivo che fugò ogni dubbio. Di fronte alla domanda sulla mia supposta lentezza, mi rispose: “Lei si prende il tempo necessario per pensare bene. Questo, come scoprirà nel tempo, è tutt’altro che uno svantaggio”. Sono passati quasi trent’anni da quel giorno e, sulla base dell’esperienza umana e professionale accumulata, devo ammettere che quell’analisi non era sbagliata. Il pregiudizio della coerenza Pensare lentamente permette innanzitutto, di non giungere con facilità a conclusioni affrettate. Anche di fronte a un’aggressione verbale, reagire in ritardo, magari di un giorno o due, consente di mettere meglio a fuoco la risposta, argomentando con maggior precisione e tenendo conto anche di aspetti collaterali, spesso importanti, che in una reazione

Il conto alla rovescia è iniziato. immediata potrebbero essere trascurati. Inoltre si va a colpire l’avversario nel momento del rilassamento, quando si sta godendo l’illusione della vittoria o quando meno si aspetta una reazione da parte vostra. Ma i vantaggi non sono solo questi. Pensare lentamente, evitando risposte impulsive, permette di individuare immediatamente quelli “sicuri di sé”, gli aspiranti opinion leader o similari. L’esperienza mi suggerisce che è meglio dubitare vivamente di queste persone per un semplicissimo motivo: tendono a pensare che la realtà sia più regolare e prevedibile di quanto in effetti non sia e ciò li porta a proporre soluzioni all’apparenza coerenti, eliminando al contempo le possibili alternative. Come ha scritto Daniel Kahneman, psicologo, premio Nobel per l’economia nel 2002, nel suo recente libro (Thinking, Fast and Slow, 2011): “Chi pensa velocemente non ha dubbi. […]. Il pregiudizio della coerenza favorisce un’eccessiva sicurezza. Una persona che esprime una grande sicurezza probabilmente ha in testa una buona ipotesi, che però può essere più o meno valida”. In effetti, ho imparato a diffidare delle persone eccessivamente assertive e sicure di sé: tendono quasi sempre ad apparire molto più competenti di quello che sono. Comportarsi da esperti non significa infatti esserlo davvero e, almeno per quanto mi riguarda, risulta assai più facile credere a una persona che sostiene

un’ipotesi o una teoria ammettendone però i limiti e le incertezze piuttosto che accettare tout court chi sostiene un’idea con assoluta o presunta sicurezza. O la borsa… Prendiamo, a paradigma di quanto stiamo dicendo, due categorie professionali: gli operatori di borsa e i medici. I primi, al di là di quello che vanno sostenendo, giocano al buio, o quasi. Terry Odean, che insegna materie finanziarie all’Università di Berkeley ha studiato a fondo le modalità con cui si opera in borsa. Confrontando l’andamento di moltissimi titoli nel corso di vari anni gestiti da un gruppo di investitori, ha dimostrato che le azioni vendute hanno avuto un andamento complessivamente migliore rispetto alle azioni considerate più appetibili. Non solo, ma gli operatori più attivi e più sicuri del proprio successo sono quelli che solitamente ottengono i risultati peggiori, mentre gli altri, i più cauti e i più “lenti” realizzano di più. A

Sconto online del 15%. riguardo Daniel Kahneman ha scritto che “I fondi comuni di investimento sono gestiti da esperti che comprano e vendono azioni per ottenere il miglior risultato possibile per i loro clienti. Nonostante questo, cinquant’anni di ricerche hanno dimostrato che per la maggior parte dei gestori di fondi la scelta delle azioni da comprare somiglia più a un lancio di dadi che a una partita a poker. Ogni anno almeno due fondi su tre rendono meno del previsto”.


Leonard Braskin (1922–2000), Bertolt Brecht, xilografia (immagine tratta da www.impeltheatre.blogspot.com)

Cogliete questa opportunità. ... o la vita All’opposto, la categoria dei medici, a dispetto delle diffidenze e degli errori che le alimentano, offre un rendimento elevato in termini di successo. Alcuni anni fa ho avuto come medico di base un eccellente professionista. Mi rivolsi a lui per un consulto in seguito a una grave malattia. Dopo avermi visitato mi chiese se per me fosse un problema attendere un giorno prima di avere la diagnosi. Gli dissi che non c’era alcun problema, ma volli anche conoscere la ragione di quell’attesa: “Vorrei studiare meglio il suo caso e riflettere attentamente”. Trovai questa risposta interessante: quel medico mostrava sia di saper gestire il proprio impulso narcisistico – la capacità di elaborare una diagnosi al primo colpo è parte integrante dell’immagine che collettivamente abbiamo del medico –, sia di prendersi cura del proprio paziente in modo accurato e competente. Forse questo comportò una certa ansia

da parte mia ma tutto sommato mi parve una modalità corretta, anche perché la sua diagnosi e la conseguente cura risolsero definitivamente il problema. Ma il medico, rispetto all’agente di borsa, gode di un sostanziale vantaggio: non solo formula il proprio giudizio in base alla propria conoscenza ed esperienza, il che vale per qualsiasi professione, ma anche sull’analisi di dati rilevati scientificamente e questo fa sì che un suo giudizio, anche se espresso in modo rapido, debba comunque essere tenuto in considerazione. Elogio del dubbio Di questi tempi la tentazione di cedere alle facili certezze può ammaliare: le questioni che ci troviamo ad affrontare – si pensi alle scoperte nel campo della genetica, ai temi legati alla bioetica, alla pena di morte (piaga tutt’altro che vinta), all’aborto, agli interventi militari di “pace” o meno, al pluralismo culturale ed etnico – paiono talvolta inestricabili. La complessità del mondo offre poi il destro ai demagoghi, sempre pronti a raccogliere consensi quando le situazioni si fanno difficili. Ma non ci si deve arrendere, tenendo sempre viva in noi la fiamma del dubbio, un dubbio virtuoso e non nichilista, un dubbio

creativo, in grado di vivificare i nostri principi e capace di guidarci oltre ogni tentazione fondamentalista o di sospetto nei confronti di chi la pensa in modo differente da noi. Un equilibrio difficile e delicato a cui dobbiamo aspirare. Valgano, a monito, gli ultimi versi della Lode al dubbio, scritta dal grande poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht (1898-1956): “Tu, tu che sei una guida, non dimenticare / che tale sei, perché hai dubitato / delle guide! E dunque, a chi è guidato / permetti il dubbio!”.

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Società

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Scale mobili. Climax diagonali testo di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger

del soggetto. Consiglio: se vi capita, non dite nulla, altrimenti verrete tacciati come i soliti erotomani. Per Jung scendere le scale simboleggia invece la ricerca interiore. Aggiungo che il tipo di scala sognata è un dettaglio importante: quella a chiocciola mi lascia sempre perplesso, mentre se uno passa le notti immaginando le scale mobili “Santa Lucia” di Potenza, lunghe oltre un chilometro, forse ha qualche problema. Nella realtà, questo è un luogo per molti guardoni e signorine esibizioniste. Di recente un architetto di 46 anni del Padovano è finito a processo per le foto e i video che raccoglieva sotto le gonne delle signore, passando le ore su e giù dalle scale mobili. Allo stesso modo, non credo sia l’unica signora che, in Facebook, dice di prendere queste scale piuttosto che l’ascensore per un preciso motivo: “Far vedere al signore dietro di me sulla scala mobile, che sotto la gonna non porto mai le mutandine”.

Luoghi

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Stai a destra o a sinistra? Di solito a destra, perché sto fermo sul gradino e mi godo il viaggetto. A sinistra ci sono quelli che salgono o scendono sorpassando, perché hanno fretta o perché la scala mobile, con i suoi 0,6 metri al secondo, fa sapere uno dei maggiori costruttori, è un po’ lenta. In ogni caso, l’indicazione appare tutt’oggi in molte grandi stazioni ferroviarie svizzere ed estere. Sembra che noi elvetici fossimo un po’ lenti di comprendonio, tant’è che ancora nel 1970, una nota rivista svizzera dedicata alle famiglie pubblicava un servizio sul “corretto utilizzo” delle scale mobili. Abbiamo imparato? Mica tanto, come vedremo. Nella rete gira un video spassoso: un inglese anzianotto, forse un po’ alticcio, per salire prende le scale che invece scendono, e per un buon minuto e mezzo continua a macinare gradini, senza accorgersi che non avanza. Invenzione geniale per molti, diabolica per altri, un incubo per pochi, un’americanata in ogni caso, apparsa alla fine dell’Ottocento, simbolo della modernità e del consumismo, regina dei grandi centri commerciali. Dall’incubo al sogno “Da piccola sono caduta, dato che misi i piedi su due gradini diversi” afferma una ragazza in un blog, ancora oggi terrorizzata dalle scale mobili. Ora, dirle “sei mongola o cosa?” come fa chi le ha risposto non serve a molto, anche se può far sorridere. Ma il problema è serio: in Facebook ci sono addirittura due pagine diverse sul tema, di gente che ha la fobia di venir “divorata” dalla scala o “risucchiata” sotto il pavimento. Gli esperti la chiamano “climacofobia”, la paura delle scale, di salirle, di cadere da esse e di scendere da quelle mobili. Una “paura da cane” inoltre, poiché pare che il Jack Russell sia l’unica razza che le teme. C’è chi, invece, mobili o immobili che siano, le sogna ed è tutto un paradigma. Secondo Freud, sognare di arrivare in cima o di scendere una scala, una “climax” in greco, rappresenta l’atto sessuale o la ricerca di esso da parte

“Mind the gap!” Vi è mai capitato di mettere piede su quei gradini ma le scale non si muovono e ve ne state lì fermi a cercare di capire cosa sta succedendo? Quante volte si vuole scendere di piano ma si imbocca la scala mobile che invece sale e la gente vi guarda sconcertata? Il fatto è che spostarsi in diagonale non è mica roba di tutti i giorni, tant’è che c’è chi ha rischiato la vita per farlo. Colgo l’occasione per ricordarlo: quei gradini, oltre che ferrosi e spigolosi, sono mobili, appunto. Così come lo è, di solito nella direzione delle scale, il corrimano di gomma. Eppure, basta un nulla per creare il panico: le cronache sono piene di incidenti. Stento a credere quando leggo che nel 1982 a Mosca, ad esempio, otto persone persero la vita a causa del malfunzionamento dell’impianto nella metropolitana. Panico e feriti a Roma nel 2000, invece, quando quelle di Piazza di Spagna si sono fermate all’improvviso. Lo scivolone è da evitare, come testimoniava qualcuno in un blog ticinese nel 2007: “per i restanti sette giorni mi son ritrovato culo e coscie a righe!”. Avrete fatto caso, immagino, a come sono fatti quei famosi gradini, vero? Lo stesso anno, in alcuni paesi si segnalano fino a cinque incidenti a settimana: colpa di quegli orribili zoccoli, bucherellati e di plastica, chiamati “crocs”, per un po’ di moda anche da noi. Motivo: tendevano a incastrarsi nella dentellatura degli scalini, con le conseguenze truculente che tralascio di descrivere. La realtà, a volte, supera la fantasia dei film. Quello che Stephen King ha messo in scena in Maximum Overdrive è accaduto davvero nel 2010 a Napoli: le scale mobili della stazione di Poggioreale sono “impazzite”: hanno iniziato a circolare in discesa invece che in salita. Risultato: nove feriti. L’anno scorso in un grande negozio del milanese, una 56enne se l’è vista brutta. Era rimasta incastrata tra un carrello della spesa e la paratia della scala mobile: il corrimano di gomma l’ha agganciata, sollevata di peso e ribaltata all’esterno, lanciandola nel vuoto...



» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Reza Khatir

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Ledwina Costantini

Vitae

diceva: “Devi sentire di più! Come Anna Magnani!”. Ma che cavolo diceva? Non si può imporre un sentimento a un attore, non è così che farà provare qualcosa agli spettatori! Il classico non era la mia strada. Così sono entrata in un giovane gruppo ticinese che cercava attori per un nuovo spettacolo: la reciprocità creativa ci ha permesso di creare delle belle cose. Ma dopo cinque anni sono partita alla volta della Cina, volevo studiare all’Opera di Pechino. Mi interessano gli allenamenti che si basano sulle arti marziali, certe forme acrobatiche e aeree molto C’è chi s’improvvisa attore o maestro di affascinanti. Mi interessava teatro, e chi invece sente il bisogno vitale Sheng, il personaggio madi imparare, comunicare e creare. An- schile dell’Opera, perché era una forma impressionante e che girando il mondo: dal Sud America incisiva per inscenare il Rical Pakistan, dall’Indonesia all’Europa. Il cardo III di Shakespeare. teatro per lei non ha confini, soprattutto Comunicare è stato un dramma, a causa della lingua e sul piano creativo... della distanza culturale. Il professionalmente in teatro professore mi diceva: “Corri!”... e io correvo a causa di un’attrice che ha per un’ora, ma era sempre impassibile e speslasciato improvvisamente la so dovevo chiedergli io di correggermi. Fare compagnia, proprio prima di troppe domande era scortese. Ho poi capito partire in tournée in Argentiche se qui da noi è anche educato chiedere na! La regista allora mi chiecome si sta, là una domanda del genere se di prendere il suo posto e sottintende che ci sono problemi e quindi così ho iniziato. Ho lavorato bisogna trovare altri modi per rivelarsi e con loro per sette anni e per comunicare. Ci sono stata solo per nove mezzo, spesso in America mesi, mentre gli studenti cinesi studiano Latina, poi in Pakistan, in vent’anni su un unico personaggio! Belgio ed è stato bello. Ma Oggi faccio creazioni col mio gruppo, da avevo 17 anni e così anche sola o con altri. Quando dico alla gente quest’esperienza di vita si è che faccio teatro, mi dicono: “Ah, che bello, conclusa. anch’io quand’ero ragazza...”. Spesso si pensa Sono partita in Scozia per che il teatro sia divertimento; invece non è imparare l’inglese, dove ho solo così, è innanzitutto disciplina e lavoro. realizzato anche due piccoli Cosa penso del teatro dialettale? Non ho progetti teatrali da sola. Poi nulla in contrario, ma il dialetto purtropnel sud dell’Inghilterra ho po non lo parlo: conosco solo alcune frasi lavorato come stagista in due nel dialetto di Airolo, perché mio padre teatri, facevo la costumista e veniva da lì. In genere posso dire che non la scenografa. uso una dizione “radiofonica” e che dalla Tornata in Ticino, ho fatto mia parlata traspare la mia provenienza e diversi lavori per campare, mi va bene così. all’aeroporto, consegne in Per me il pubblico è sempre sacro, anche bicicletta, ecc., iscrivendomi se si deve fare molta promozione per farlo in seguito all’esame in una venire. Ho incontrato tempo fa una signoscuola di teatro classico a Mira che mi ha detto: “Noi ticinesi dobbiamo lano. Ero un po’ esterrefatta, smettere di pensare che non valiamo!”: è un perché il classico è molto pensiero che condivido. In Ticino ci sono formale e ha una pedagogia creazioni di alta qualità e tanta competeatrale che non condivido. tenza. Se non ce ne rendiamo conto noi in Per esempio, il maestro mi primis, come facciamo a proporci?

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F

ra gli attori che ho incontrato e con cui ho lavorato, tanti sono tecnicamente molto forti, questo però non significa necessariamente che lo siano anche creativamente. In Ticino vengono proposti un’infinità di corsi dai più professionali al fai da te: è una gran confusione. C’è l’esigenza da parte di tanti di diventare artisti, ci sono tecnologie che permettono anche agli incompetenti di risultare abbastanza bravi, ma chi fruisce non capisce più qual è la qualità e quanto tempo richiede la realizzazione di un lavoro. Questa urgenza di “esprimere” qualcosa, nasce più dal volersi sempre mettere in mostra, un male del nostro tempo, che da un reale desiderio di comunicazione e condivisione. Quindi tanti diventano “registi” e soprattutto “maestri” di teatro, ma è una cosa pericolosa se non si posseggono le reali competenze. Sarò un po’ polemica, ma... Il legame che ho con il teatro ha radici familiari. Mio padre era appassionato di opera lirica e nel salotto di casa inscenava le arie che ascoltava, le drammatizzava, ce le raccontava affascinandoci e incutendoci anche un po’ paura. Ho poi frequentato la scuola d’arte a Lugano dove mi sono presto resa conto che stavo troppo tempo ferma chiudendomi in me stessa. Avevo bisogno di qualcosa che coinvolgesse tutto il corpo. Ero già una persona introversa, quindi dovevo trovare il modo “di uscire”, di “darmi fastidio” e, un giorno, ho letto un annuncio di alcuni corsi di teatro. Proviamo, mi sono detta, anche se avevo una paura folle. È stata dura. Mi dicevano che dovevo disimparare tutto quello che avevo imparato, dovevo usare la voce e il corpo in modo nuovo, ma come? Per fortuna ho avuto una buona maestra. Ho cominciato a lavorare


Innamorati

Precauzioni per l’uso

Lugano, 2011

Festività consolidatasi all’interno della tradizione monastica benedettina, il giorno di San Valentino è oggi un’occasione per manifestare i propri sentimenti. Ma il 14 febbraio è in particolare un appuntamento imperdibile per la società del consumo e del commercio a tutti i costi, in grado di trasformare il cuore, simbolo universale della vita, dell’amore e del sacrificio, in una sterile icona in vendita testo di Mariella Dal Farra; fotografie di Didier Ruef


Senegal, 2009



Ginevra, 2009

Ruanda, 2007


Eritrea, 2006


Sudan, 1999


S

ono due le festività che negli ultimi anni, con determinanti primariamente commerciali, hanno assunto un particolare rilievo nel nostro calendario: Halloween (31 ottobre) e San Valentino (14 febbraio). Il fatto che una celebri i defunti e l’altra gli innamorati sembra alludere a un’ambigua simmetria, la cui sintesi più significativa è senz’altro costituita dal film slasher1 My Bloody Valentine (“Il giorno di San Valentino”, regia di George Mihalka, 1981) considerato da Quentin Tarantino2, e da altri cultori del genere, uno dei migliori splatter di tutti i tempi; tanto che nel 2009 ne è stato realizzato il remake in 3D. Dal terrore all’incertezza Senza arrivare ai sanguinosi estremi rappresentati nel film, è tuttavia innegabile, quanto meno a parere di scrive, che se il folclore legato alla festività di Halloween ha arricchito la plumbea compostezza della festa dei morti di un’aura magica e tetramente scherzosa, l’adozione di San Valentino ha comportato invece un corredo d’ansia, incertezza e potenziale dramma di cui in effetti non si sentiva propriamente il bisogno. Di qui la simmetria sopra menzionata. D’altra parte, che sulla festa in oggetto aleggiasse una sorta di quieta disperazione lo si intuiva già dalla sua reiterata presenza nelle note vignette di Charlie Brown, la cui attesa perennemente delusa di trovare nella cassetta delle lettere un biglietto di San Valentino, contrappuntata dall’incapacità di offrire il proprio regalo all’elusiva “ragazzina coi capelli rossi”, fornisce una rappresentazione autenticamente straziante dell’amore non corrisposto. Ma quand’anche il sentimento fosse contraccambiato, non sempre le cose vanno perfettamente lisce. Veniamo alla casistica più comune. La disattesa Si tratta del caso più frequente: il/la partner non è minimamente sfiorato dall’idea di omaggiare l’amante, compagno/a o coniuge con un presente. I motivi possono essere diversi e tutti comprensibili, quanto meno sul piano razionale: dimenticanza o distrazione, boicottaggio intenzionale della commercializzazione che caratterizza la ricorrenza, rigetto di una festività che non appartiene alla propria tradizione, ecc. Quali che siano le ragioni, se tale atteggiamento non è condiviso dal partner, l’assenza di un regalo di San Valentino può innescare dinamiche

di coppia tutt’altro che simpatiche. Suscettibili di peggiorare se la controparte non è disposto/a ad ammettere di avere avuto un’aspettativa in tal senso. L’errore di valutazione Il caso si configura quando il dono concepito per l’occasione viene giudicato non all’altezza delle aspettative. Anche se a parole è il pensiero che conta, per alcuni innamorati passa una certa differenza fra un regalo costoso (gioielli, viaggi, gadgetistica tecnologica) e la scatola di cioccolatini a forma di cuore. Tale discrasia viene solitamente tradotta dalla parte “offesa” in termini di sottostima (“Mi dà per scontato/a”), a cui reagirà iniziando a valutare possibili forme di ritorsione. L’ordalia degli/delle “ex” Il regalo di San Valentino arriva inatteso, e si tratta di un dono particolarmente azzeccato, che rivela in chi l’ha inviato la conoscenza di cosa piace al destinatario/a e perché. E non potrebbe essere altrimenti, visto che si tratta di un/una ex partner. È questo il caso in cui la festività degli innamorati diventa il pretesto per riaprire pagine che forse avrebbero dovuto rimanere chiuse per sempre. Il boccone avvelenato È il San Valentino perfetto, e si presenta puntuale in mano alla persona giusta, quella nei confronti della quale il/la ricevente nutre sentimenti di amore e/o passione. Salvo poi scoprire che si tratta di una manovra artatamente congegnata, parte di una sofisticata strategia diversiva per distogliere l’attenzione da un comportamento fedifrago o da altra forma di tradimento. Fortunatamente non è una pratica molto diffusa, e comunque, quando si verifica, ha l’indubbio vantaggio di far rivalutare i pregi di un rapporto più semplice e meno ritualizzato. Al termine di questa breve disamina, che descrive i principali effetti collaterali della festa di San Valentino, è superfluo precisare come esistano anche casi felici per i quali il 14 di febbraio rappresenta soltanto un’occasione per sentirsi più vicini a colui o colei che si ama. Resta prudente opinione di chi scrive che l’amore si celebri da sé, senza bisogno di date speciali a eccezione di quelle, del tutto personali, che scandiscono il tempo del proprio sentimento.

Didier Ruef Fotografo documetarista e fotoreporter, ha pubblicato per importanti testate (“Time”, “The Observer Magazine”, “Daily Telegraph”, “Le Monde”, “Der Speigel”, “Neue Zürcher Zeitung”). Ha collaborato con Médecins sans Frontières, il Fondo Globale e la Fondazione Syngenta. Dal 1991 è stato coinvolto in un progetto sul tema degli sprechi e dei rifiuti dal quale è nato anche un libro (Recycle, Casagrande, 2011). Per informazioni: dididierruef.com.

note 1 “Il genere denominato slasher – dall’inglese “to slash”, ferire profondamente con un’arma affilata – si riferisce a quel gruppo di film horror in cui il protagonista è un maniaco omicida (spesso mascherato) che dà la caccia a persone (spesso giovani) in uno spazio più o meno delimitato, utilizzando in genere armi da taglio per ucciderli in modo cruento” (definizione tratta da wikipedia.org). 2 Chris Nashawaty, “House Mates”, Entertainment Weekly, 23/6/2006.


» C’era

Il segreto del pane

una volta un giovane mercante di nome Amid. Con la sua nave, a cui aveva dato nome di Esmeralda, navigava lungo le coste dell’India, trasportando verso i porti d’Arabia le preziose spezie destinate ai mercati delle grandi città europee. Una notte, mentre era alla fonda a largo della città di Surat, la sua nave fu attaccata da un gruppo di feroci pirati. L’equipaggio dell’Esmeralda, colto alla sprovvista, non riuscì proprio a trovare il tempo per difendersi: Amid e i suoi marinai furono fatti prigionieri e dopo due giorni di navigazione, furono condotti nella tana del famigerato Kendar, un Fiabe temuto pirata che viveva con i suoi scagnozzi su un’isoletta presso la città di Jamnagar. Dovete sapere che Kendar, uomo assai crudele e dall’aspetto pauroso, aveva una figlia di nome Gita nota per la straordinaria bellezza. Proprio per evitare che qualche giovanotto se ne innamorasse, il padre la teneva segregata in un palazzo circondata da un gruppo di giovani ancelle costrette a stare sempre con il volto coperto. Ma Gita, dopo qualche anno di quella triste vita, aveva scoperto che vestendosi come loro poteva uscire per qualche ora dal palazzo per comprare il pane e le vivande necessarie alla sua sopravvivenza. Proprio durante una di queste uscite, ebbe modo di assistere allo sbarco di Amid e dei suoi uomini che, trascinati in catene dai pirati, venivano condotti al cospetto di suo padre, il terribile Kendar. Riuscì a farsi spazio fra i curiosi che assistevano alla scena, nonostante le borse piene di pane che portava con sé, e a incrociare lo sguardo con quello del giovane Amid che le rivolse un sorriso. Tornando a piedi verso il palazzo in cui era tenuta prigioniera, Gita continuava a chiedersi:

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testo di Fabio Martini illustrazione di Céline Meisser

“Ma perché mi ha sorriso? In fondo, poteva scorgere solo i miei occhi. E poi non ho mai visto un uomo così sereno andare incontro alla morte o alla schiavitù. Deve essere davvero un tipo speciale…”. Proprio in quel preciso istante qualcosa si accese nel suo cuore, un piccola fiammella, una sensazione che mai aveva provato prima.

Il

pirata Kendar aveva la perfida abitudine di sottoporre i suoi prigionieri un indovinello: chi riusciva a risolverlo diventava suo schiavo e aveva salva la vita, mentre chi sbagliava era destinato a una morte orribile. Giunto al cospetto del pirata, Amid fu costretto a inginocchiarsi. “Sicché tu saresti il capitano dell’Esmeralda? Una bella nave che ora, eh, eh, ehhh… è mia. Vediamo adesso se anche tu diventerai mio schiavo o se devo buttarti in pasto ai pescecani”. Amid se ne stava a testa bassa, tutto concentrato in attesa dell’enigma. “Questo è proprio bello, ma ascoltalo bene, ne va della tua vita: «In cielo non si vede in mare non si sente, il diavolo ce ne ha una, in paradiso ce ne sono due, Alessandria ne ha tre, e in tutto l’universo non se ne trova nessuna». Indovina che cos’è?”. “La risposta ve la posso dare subito”, disse Amid “ma se indovino e diventerò vostro schiavo dovete promettermi solennemente che mi affiderete il compito di fare il pane. Nessuno lo sa impastare e cuocere come me e ve lo dimostrerò”. “D’accordo”, disse Kendar “ma ora dimmi: qual è la riposta?”. “È la lettera A”.


Il pirata, assai sorpreso dalla perspicacia del giovane, ammise: “Bene, sarete fornaio e comincerete oggi stesso. Domani mattina voglio però assaggiare il vostro pane e se mi avete mentito sapete cosa vi aspetta…”. Condotto al forno, Amid, che era figlio di un fornaio e ben sapeva cosa fare, si mise subito al lavoro. Impastò tutta la notte e la mattina sfornò il pane più fragrante e gustoso che mai si fosse assaggiato a questo mondo. Estasiato da a tale delizia Kendar pensò: “Con questo schiavo ho fatto proprio un buon acquisto! Neanche il gran sultano di Bombay ha un fornaio come il mio. Devo subito mandare una di queste pagnotte a mia figlia perché l’assaggi”. Di fronte a tale bontà a Gita venne subito la curiosità di andare a vedere chi fosse il nuovo fornaio. Si vestì dunque da ancella e, con il volto coperto, si recò al forno.

Quale sorpresa quando Gita riconobbe il giovane che aveva visto in catene il giorno prima. Amid, a cui non mancavano certo cervello e astuzia, era rimasto incantato da quegli occhi e voleva conoscere il suo nome. “Come vi chiamate fanciulla? Vi ho visto ieri, ne sono certo, i vostri occhi non si possono dimenticare…”. “Il mio nome è Rupa e sono l’ancella della principessa Gita, la figlia del pirata Kendar che egli tiene prigioniera nel palazzo vicino al mare. Ogni giorno verrò da voi a prendere il pane e ogni giorno vi lascerò una moneta d’oro”. “Ma il mio pane non vale tanto! È solo farina impastata con acqua e cotta nel forno. Perché dovrei accettare?”. “Alla principessa è piaciuto tanto e vi vuole ricompensare”.

Passarono i giorni, le settimane e i mesi e non solo Amid aveva accumulato una bella fortuna, ma la sua curiosità nei confronti di Rupa era cresciuta a tal punto che una mattina le chiese: “Io desidero vedervi in volto. Non ce la faccio più a parlarvi tutti i giorni in questo

modo, senza conoscere il vostro vero aspetto”. “Ve lo mostrerò, ma ora ascoltatemi. Dovete insegnarmi a impastare il pane. Quando avrò imparato alla perfezione, lascerete che vi sostituisca per un giorno. Quindi andrete alla città di Joda e con i soldi che vi ho portato fino a ora acquisterete una nave piccola ma veloce, tutta dipinta di nero e con le vele anch’esse nere come l’inchiostro. Quando farà notte e dopo che io avrò preparato il pane per il pirata, attraccherete vicino al palazzo. Io salirò sulla nave e fuggiremo insieme da questo luogo”. Pronunciate queste parole Gita si tolse il velo dal viso e Amid rimase senza fiato di fronte a tale bellezza. “Rupa, siete meravigliosa e voglio sposarvi”, disse Amid “ma ora mettiamoci al lavoro: dovete diventare in poco tempo una brava fornaia”. Una settimana dopo la ragazza era ormai bravissima a fare il pane. Misero allora in atto il loro piano: Amid raggiunse la città di Joda, acquistò il naviglio e la notte stessa attraccò l’imbarcazione, nera e invisibile, proprio sotto le mura del palazzo. La ragazza salì a bordo senza dare nell’occhio e, dato vento alle vele, i due giovani fuggirono felici nella notte. Solo quando le luci della costa erano ormai lontane Gita rivelò al futuro sposo la sua reale identità. La mattina seguente Kendar, dopo aver mangiato il pane a cui Gita aveva aggiunto dell’oppio, cadde in un sonno profondissimo. Dormì tre giorni di seguito e quando al risveglio gli fu detto che Gita e Amir erano fuggiti insieme, nonostante la terribile furia, fu costretto a rassegnarsi.

Ormai i due giovani erano lontani e liberi dalla sua prepotenza. Questa storia me la raccontò tanto tempo fa un marinaio arabo mentre navigavamo verso la penisola di Malacca…

Fiabe

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Il grande poeta inglese Wystan Hugh Auden (1907–1973). Immagine tratta da www.jrsm.rsmjournals.com


Non la solita crema antirughe Accanto ai prodotti cosmetici più diffusi e pubblicizzati con grandi campagne mediatiche, ne esistono altri forse meno noti ma altamente efficaci. Procuraseli però richiede del tempo… ma ne vale certamente la pena Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica

Quale organo sensoriale la pelle rivela il nostro stato d’animo e, allo stesso modo di un bambino che strilla per attirare attenzione della mamma quando ha fame o è in difficoltà, manda messaggi altrettanto chiari e rivelatori per denunciare il suo stato di sofferenza. Paul Scerri, un signore svizzero che da trent’anni si occupa con passione e successo di bellezza, lo chiama “il suo pianto d’aiuto” e aggiunge che “è davvero difficile rimanerne insensibili”. Lo è per lui, che alla cura della pelle ha dedicato la sua vita professionale, e lo è per una sempre più ampia fascia di consumatori che fra mille proposte non sa più a chi credere e cosa comprare. Noi non intendiamo aggiungere confusione a confusione, ma solo informare che accanto ai prodotti da profumeria ve ne sono altri, meno pubblicizzati forse, ma di altissima qualità e efficacia, frutto di lunghe e appassionate ricerche. Alcuni vengono utilizzati dai centri estetici dove è anche possibile acquistarli, altri sono in vendita solo in farmacia, altri ancora su internet, attraverso siti altamente qualificati. PAUL SCERRI www.paul-scerri.ch Secondo Paul Scerri è la natura stessa che ci offre la possibilità di contribuire allo stato di benessere della nostra pelle. Con il suo aiuto, infatti, possiamo neutralizzare un’eccesiva secrezione di sebo o stimolarla in caso di una rallentata attività biologica, in entrambi i casi rinforzare la sua struttura con oli essenziali, estratti di piante officinali, oligo-minerali, vitamine, proteine, aminoacidi, sali minerali e, soprattutto, acqua, che il nostro sangue assorbe e rilascia ai tessuti più superficiali

dell’epidermide perché si rigenerino. Il programma Osmovital, composto da un attivante termico, un riequilibrante e crema notte e giorno, è stato studiato proprio per portare tutti questi preziosi elementi alla nostra pelle e ristabilire il suo equilibrio idrico. RILASTIL www.ganassini.it Ipoallergenici e senza coloranti e parabeni, Rilastil Progression HD attivatore di luminosità siero e intensificatore di luminosità crema, costituiscono un trattamento viso intensivo dalle proprietà illuminanti e leviganti, che contrasta l’iper-pigmentazione della cute tipica dell’invecchiamento attenuandone le discromie. I prodotti comprendono una selezionata miscela di principi attivi, acido ialuronico, una molecola con forte tendenza a legare l’acqua, e burro di karité. PERRICONE MD www.perriconemditalia.com L’ultimo nato dalla ricerca di Nicholas Perricone, dermatologo clinico americano specializzato nel trattamento delle patologie cutanee da invecchiamento è l’Acyl-Glutathione. Il prodotto prende il nome dalla nuova molecola sviluppata da Perricone, il glutatione (in attesa di brevetto scientifico negli USA) presente, fra l’altro, in tutte le cellule degli esseri viventi, e in grado di proteggere il DNA cellulare dagli attacchi dei radicali liberi. Se i livelli di glutathione si abbassano, la pelle è la prima a subirne gli effetti: perdita di tono, aspetto stanco, rughe, disidratazione, peggioramento dell’intera struttura cutanea. Come supporto della crema Perricone propone Cold Plama, un veicolante che permette

alle cellule di prelevare dal sangue il nutrimento di cui hanno bisogno nella giusta quantità. RESTYLANE www.restylaneskincare.it Il leader mondiale nella produzione di acido ialuronico per la medicina estetica propone una linea di cosmetici per il trattamento giornaliero e/o complemento ai trattamenti iniettivi. Sieri, contorno occhi, creme viso e mani a base di acido ialuronico brevettato Nasha, oli naturali, filtri solari e una selezione di principi attivi. Indicate contro macchie e rughe, Restylane suggerisce inoltre di utilizzare le creme con un piccolo massaggio e nella corretta quantità. Una dose troppo scarsa, infatti, rischierebbe di non essere sufficientemente efficace mentre impiegata in quantità eccessiva potrebbe occludere i pori e ridurre la sua azione. Queste le dosi e i prodotti anti-age consigliati e acquistabili solo sul sito: 1 cucchiaino da caffé per la crema giorno e notte, 4 o 5 gocce per il siero e 3 chicchi di riso per il contorno occhi. DIBI MILANO www.dibimilano.it Fill Perfection è la nuovissima linea di trattamento professionale dell’altrettanto nuovissimo marchio Dibi Milano, che sostituisce il preesistente Dibi. Un trattamento estetico ad azione filler grazie all’acido ialuronico e a microsfere di collagene facilmente assorbibili dall’epidermide e indicato per tutti i tipi di pelle. Del trattamento riempitivo di autocura fanno parte la crema, il siero ultraconcentrato, il contorno occhi e il contorno labbra, che grazie al particolare applicatore arriva proprio nel cuore della ruga.


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San Valentino in salsa uraniana. Venere e Urano questa volta non perdonano. Favoriti i colpi di fulmine e le atmosfere originali. Più austeri i nati nella terza decade sotto Saturno. Opportunità economiche.

San Valentino ricco di passione dominato dal transiti di Marte e Plutone. Periodo ideale per vedere esaltate le proprie capacità seduttive. Vita lavorativa colorata da competizioni accese e inaspettate.

Con Mercurio e Nettuno in aspetto angolare potrebbero venir meno alcune vostre convinzioni. Guardatevi interiormente per comprendere meglio quello che realmente fa per voi. Non siate irascibili. Colpi di fulmine.

Metà mese sotto i migliori auspici. Grazie alla Luna di transito nel segno dello Scorpione riuscirete a canalizzare le aggressività del momento in una divertente attività erotica. Novità provenienti da un’altra città.

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Luna in Scorpione, Sole in Acquario. Ecco a voi un 14 febbraio all’insegna della trasgressione. Non fatevi prendere dall’ansia di non essere accettati per quello che effettivamente siete. Siate meno frenetici.

San Valentino alla grande. Il transito di Venere nella vostra sesta casa solare favorisce il sorgere di storie sentimentali all’interno della propria attività lavorativa. Favoriti i rapporti con Toro e Scorpione.

Con Venere in opposizione a Saturno potreste sentirvi un po’ trascurati. Per San Valentino la Luna si troverà di transito nella vostra dodicesima casa solare. Il passaggio potrebbe favorire una relazione segreta

San Valentino di fuoco e passione soprattutto per i nati nella terza decade. Vi sentite investiti da un’improvvisa voglia di libertà e di trasgressione. Grazie a Marte la determinazione non manca. Nuove amicizie.

sagittario

capricorno

acquario

pesci

San Valentino karmico. Incontro con il destino per i nati agli inizi di dicembre. Il transito di Venere, unitamente all’arrivo del Nodo Lunare vi spingerà nelle braccia del destino. Cambiamenti professionali.

San Valentino galvanizzato da mille emozioni. Grazie a Luna e a Venere potrete vivere momenti di autentica sensualità. Ardore per i nati tra la seconda e la terza decade. Scelte professionali importanti.

San Valentino segnato da torbidi transiti Lunari. Momento particolare per i nati nella terza decade strattonati dalle proprie passioni. Liscio come l’olio il lupercales del 15 febbraio. Nuove entrate finanziarie.

Grazie a una Luna magnetica e irresistibile potrete passare un San Valentino indimenticabile all’insegna della sensualità più sofisticata. Mercurio è con voi. Situazioni propizie per studi, concorsi ed esami.

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 16 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 14 feb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Lavora nelle cucine dei ristoranti • 10. Elettrodo positivo • 11. Terna al poker • 12. La dimostra l’infaticabile • 14. Profonda, intima • 15. Il giorno trascorso • 16. Si nutrono di lana • 17. Poi, dopo • 19. Grido d’incitamento • 20. Prestigio, lustro • 22. Particella nobiliare • 23. Ripide • 24. Cuor di cane • 25. Tradiscono la patria • 26. Uncini da pesca • 27. Tiro centrale • 29. Aspro come il fumo • 30. Cadaveri imbalsamati • 31. Un figlio di Noè • 33. Le prime dell’alfabeto • 34. Pesce prelibato • 36. Quartiere cittadino • 39. Lo usa il gommista • 40. Proprio stupido • 42. Pari in parchi • 43. Cullare • 45. Riga centrale • 46. I confini di Arosio • 47. La Kant di Diabolik • 49. Solidi, poderosi. Verticali 1. Noto romanzo di Milena Moser • 2. Bestia • 3. Recarsi alle urne • 4. Il nome della poetessa Negri • 5. Versatili, eclettici • 6. Diva del cinema • 7. Rimorchio • 8. Il Ticino sulle targhe • 9. Guitti • 13. Dittongo in pietra • 18. Tragici, terribili • 21. Celestiale • 23. Generale tebano • 28. Metallo alcalino • 31. Costosa • 32. Grossi sassi • 35. Responsabilità Civile • 37. Pari in soriano • 38. Dato anagrafico • 41. Il dio greco della guerra • 44. Periodi storici • 48. Avanti Cristo.

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GIOIELLO Tra coloro che hanno comunicato la soluzione corretta è stata sorteggiata: Alba Tonini Madrano Alto 26 6780 Airolo Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: buono viaggio del valore di 150.– franchi Hotelplan offre un buono viaggio del valore di 150.– franchi da utilizzare presso le filiali Hotelplan e le migliori agenzie di viaggio del Ticino e della Mesolcina.

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La linea golosa e leggera.


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