Ticino7

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№7

del 17 febbraio 2012

con teleradio 19–25 febbraio

Il terzo è uomo

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08.02.12 16:20


Ticinosette n° 7 del 17 febbraio 2012

Agorà Relazioni e omosessualità. Lui, lei e l’altro Arti Dan Flavin. Tra sacro e profano

di

Società Longevità. Quoi? - L’Eternité

di

di

nicola deMarchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mariella dal Farra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Kronos Cinema e diritti civili. L’etica del servizio Tiratura controllata

Salute Alimentazione. Sushi boom boom

Chiusura redazionale

Vitae Roberto Alberio

70’634 copie

Venerdì 10 febbraio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

di

Fiabe Il gatto senza nome

di

di

Francesca rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

nicoletta barazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

ludovica doMenichelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Rugby. Oltre la meta di

di

4 6 8 10 12 13 14 39 46 48 50 51

Marco Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

alessandro tabacchi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media “Affari di famiglia”. Elogio della soap

Impressum

di

Marco Jeitziner; Foto di Jacek Pulawski . . . . . . . . . . . . . . .

Fabio Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Casa e sostenibilità. Sociologia dell’arredo

di

keri gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Un uomo di troppo Fotografia di Reza Khatir

Flessibilità - diritti - tecnologia Il “made in China” rappresenta un interessante spartiacque per i consumatori occidentali . Epigrafe di una filiera produttiva poco rispettosa dell’ambiente – e per nulla “corta”, come il buon senso vorrebbe –, per alcuni sapere che un oggetto è stato prodotto dalla grande potenza asiatica è sinonimo di “copia”, “scadente qualità”, “utilizzo di materiali non idonei”, ecc . Per molti altri invece significa né più né meno che è “a buon mercato”, in particolare quando l’acquisto rientra nella sfera dell’elettronica di consumo (dai cellulari ai PC agli schermi piatti) . Malgrado una certa flessione del PIL registrata negli ultimi dodici mesi (meno esportazione = meno produzione) legata a una sin troppo nota diminuzione del potere d’acquisto di europei e americani, le industrie cinesi sono impegnate come non mai, e ben pochi sono i manufatti in grado di sfuggire al loro immenso e organizzatissimo sistema produttivo . Un dato su tutti: nella città di Chengdu è presente una delle maggiori concentrazioni di aziende che fabbricano componentistica per l’elettronica . Tra queste la Foxconn è certamente la più nota, essendo la maggiore esportatrice cinese con un “parco lavoratori” di un milione e 200 mila persone . . . Un gigante che ha fabbriche in tutto il paese e assembla il 40% circa dei prodotti elettronici di consumo per Amazon, Dell, Nintendo, Nokia e su su sino alla Apple dello scomparso e discusso Steve Jobs (si veda la recente biografia) . Insomma, se avete tra le mani un iPad o un iPhone, state certi che gli unici occhi che quella tavoletta ha visto prima di entrare a casa vostra erano a mandorla . Sul perché anche queste aziende di punta producano in Cina è ben noto a tutti, e un approfondito articolo apparso sul New York Times il 26 gennaio scorso (in italiano, “I costi

umani di un iPad”, in Internazionale del 3 febbraio) evidenzia la drammaticità e le condizioni spesso disumane che sono alla base dell’equazione “elevata produttività + bassi costi = alta tecnologia” . Ma i bassi salari e la grande quantità di lavoratori – dai laureati ai contadini migrati dalle periferie e ammassati a migliaia in enormi dormitori – non spiegano tutto . Alla base del sistema cinese che ci garantisce grandi prestazioni, novità a cadenza mensile e un prezzo di acquisto invitante c’è dell’altro: la flessibilità . Un esempio di che cosa significa essere flessibili lo fornisce lo stesso articolo citato . “Poche settimane prima del lancio dell’iPhone, la Apple decise di ridisegnare lo schermo. I nuovi componenti arrivarono alla linea di assemblaggio in Cina intorno a mezzanotte. Un caposquadra radunò ottomila operai dai dormitori dello stabilimento. A ognuno fu dato un biscotto e una tazza di tè, poi furono condotti alle loro postazioni e nel giro di mezz’ora cominciarono a montare gli schermi. (...) In nessuna fabbrica degli Stati Uniti sarebbe stato possibile” . E con ogni probabilità nemmeno in Europa . In tempi non sospetti, quando la forza cinese non aveva ancora raggiunto le dimensioni odierne, già si osservava come l’argine dei “diritti dei lavoratori” sarebbe stato l’unico in grado di contenere l’invasione asiatica . A distanza di un ventennio, i diritti della persona e la sua dignità restano ancora delle potenti armi contro lo sfruttamento degli individui e i grandi profitti di pochi . Il timore che i lavoratori cinesi se ne accorgano è uno spauracchio sia per il governo cinese sia per molte aziende, anche le più “innovative” . Quanto a noi, consumatori, non rimane che scegliere . Una forza che troppo spesso non esercitiamo . Buona lettura, Giancarlo Fornasier


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Matrimonio. Lui, lei e l’altro

Agorà

Quando l’amante del marito non è una donna, ma un altro uomo. Tra trasgressione, moda, squallidi luoghi d’incontro, conflitti identitari e dolorosi silenzi: in Ticino il fenomeno è ancora tabù benché, pare, abbastanza diffuso. Ecco la testimonianza di un ticinese e le opinioni di alcuni esperti, secondo i quali si tratterebbe di una realtà sempre esistita... di Marco Jeitziner

“C

erco uomini sposati per solo sesso e divertimento, anche per prima esperienza. Sono un giovane gay!”. “Sono un uomo sposato segretamente bisex (…), cerco nella massima riservatezza un uomo sposato per amicizia e complicità”. “Sono un uomo sposato, ma amante dei bei ragazzi (…)”. Di questi annunci, facilmente reperibili e relativi al cantone Ticino, giornali e siti internet sono pieni. Sono scritti da uomini omosessuali o bisessuali di ogni ceto sociale ed età, sposati o meno, con o senza figli, che si sono sempre mascherati dietro a un’eterosessualità di facciata. Spesso mogli o compagne non sanno nulla, oppure sanno ma tacciono per il bene dei figli, del buon nome della famiglia, del posto di lavoro. Altre scelgono di parlarne, spesso non senza difficoltà. In ogni caso, è una realtà nascosta e per forza sotterranea in provincia, che ruota di norma fuori dal classici “giri” della prostituzione e delle prestazioni sessuali a pagamento. Comprensibile dunque l’anonimato della testimonianza che segue da parte di Fabrizio (nome di fantasia), un ticinese cinquantenne omosessuale. Fabrizio, provi a descrivere questa realtà partendo dalla tua esperienza? “Non sono pochi quelli che hanno moglie e figli, però ogni tanto devono, credo, trasgredire e così vanno con un uomo, perché non hanno il coraggio di ammetterlo. Se penso al mio caso, ho avuto tre relazioni con uomini sposati”.

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Come vi siete incontrati? “Sono persone che conoscevo già. Magari avevano intuito qualcosa, forse per come mi muovo, o perché non sono sposato. Poi, se una persona mi interessa, ovviamente anche io lancio le mie frecciatine. Sapevo che due di loro erano sposati, mentre il terzo no”.

Che tipo di relazione si instaura? “Dall’uomo sposato, ormai, sul piano della relazione non puoi ottenere niente, lo sai già appena comincia la storia. Non puoi pretendere che uno divorzi e che venga a vivere con te. Loro forse, essendo sposati, vengono con noi gay perché sanno che spesso siamo riservati, non creiamo problemi. Almeno, io non sono il tipo che telefona chiedendo «quando vieni?». Uno mi aveva promesso mari e monti, e invece...”. E invece? “Mi aveva detto che saremmo andati in gita, un fine settimana in albergo, ecc. Ma erano sempre e solo promesse. Un giorno mi ha scritto che sua moglie aspettava un figlio e che adesso voleva stare con lei. Poi sono venuto a sapere che bazzicava certi luoghi di incontro, come al Ceneri (la aree di sosta autostradali del Monte Ceneri, ndr.) e che girava di qui e di là come un dannato”. Raccontaci dell’altra storia... “Il terzo l’avevo «imbarcato» io e all’inizio diceva che non era vero che era sposato, ma poi ho saputo che aveva la moglie incinta. Mi seccava perché non mi rispettava come persona. In generale, vedevi già che c’era qualcosa di strano, perché mai nessuno si è fermato a dormire da me. Quando avevano raggiunto il loro scopo, se ne andavano e via!”. Hai detto che sono uomini sposati, con o senza figli. Ma che tipo di persone sono? “Posso dire che uno dei tre di cui ho parlato prima «chattava» in rete e faceva venire a casa gente che non conosceva. Ma di questo io ho un po’ paura, con tutto quello che succede. E poi far entrare in casa uno che non conosco e andarci a letto, mi sentirei sporco, un prostituto. Anche se io non mi faccio pagare, non voglio niente. Però mi sembra un po’ come «buttarsi via»...”.


Secondo te, quante persone sono coinvolte in questo fenomeno nel nostro cantone? “Diciamo che su dieci uomini sposati, ne riguarda almeno la metà. E sono tanti! Lo vedo quando sono in giro, per esempio con un altro gay più anziano. Lo conoscono da Airolo a Chiasso e ci guardano, e molti portano la fede”. Esiste oggi un’accettazione dell’omosessualità in Ticino? “C’è ancora molta omofobia. Tanti, appena sanno che sei gay, ti mettono già in croce! Oppure, quando hanno organizzato una festa gay, ho sentito uno che diceva che bisognerebbe buttare dentro una bomba e farli saltare in aria tutti. Per questo motivo preferisco mantenere l’anonimato”. Tra gli sposati, c’è anche gente in vista? “Può darsi. Un amico un giorno mi ha fatto vedere in internet un tipo che voleva presentarmi, un mezzo direttore di banca, diceva. Ma quando l’ho incontrato di persona sono rimasto quasi scioccato da quanto era brutto! L’amico mi diceva che mi ero perso qualcosa, che il tizio era bravo, che ti copriva di regali, ecc. Ma devo andare a letto con uno così solo per farmi coprire di regali o per andare in vacanza al mare con lui? Non se ne parla!”. Perché avendo questa inclinazione, alcuni non divorziano? “Penso che in realtà alcuni divorzino anche per questo motivo. Ma se hai una fidanzata, o sei sposato e hai anche dei figli, non è corretto verso tua moglie. Se mi chiama uno che vuole vedermi, mi chiedo con quale coraggio poi torni a casa, a dare la buonanotte ai bambini e poi magari pretenda ancora di far sesso con sua moglie!”. Pensi che le mogli davvero non sappiano niente? “Penso di no, oppure fanno finta di non sapere, per il bene dei figli”. Fra te e il marito si stabilisce quindi una certa complicità, perché condividete un segreto... “Sì, anche perché io sono una persona riservata. Ma c’è chi non è capace di tenere la bocca chiusa”. Cosa consiglieresti a chi è nella tua situazione? “Di essere onesto e di non mascherarsi, perché magari si fa un lavoro importante o si vive una relazione coniugale con la presenza di figli, perché poi sono loro a pagarne le conseguenze”. Come vedi il tuo presente o il tuo futuro? “Al momento non cerco nessuno, ma se capita non dico di no. Forse sono ancora una persona vecchio stampo: non si trova quasi più quello che viene a bere un caffè, per parlare e poi ci si vede il giorno dopo. Oggi è una questione solo di sesso”. C’è a chi piace misto... Gli studi sulla bisessualità sono recenti e risalgono agli anni Novanta, spiega la psicologa e sessuologa losannese Denise Medico1. Secondo la specialista, vi sono diverse tipologie di bisessualità negli uomini: per “desiderio di femminilità”, per “desiderio di esplorazione sessuale e prova della mascolinità”, oppure per una “distinzione degli investimenti erotici e affettivi” secondo il genere, o ancora per una “transizione con l’identità”. Medico cita anche ulteriori aspetti, più sociologici, da non dimenticare. Esiste infatti un certo fenomeno di moda, specie tra giovani ragazzi e ragazze, che imitano attrici o cantanti famosi quando rivelano la loro inclinazione, a volte solo per scopi pubblicitari. Esiste lo scambismo di coppia, dove i rispettivi partner maschili si intrattengono, oppure ancora tutto l’universo socioculturale di ciò che è ritenuto “strano”, ossia il queer

world, composto da omosessuali, bisessuali e transessuali. Sta di fatto che, secondo la psicologa losannese, molti bisessuali “possono essere sposati”. Etero di facciata In altri casi si tratta di compagni o mariti omosessuali che non riescono o non vogliono dichiararlo alla propria partner e che, anche per lunghi anni, mantengono una parvenza di “matrimonio paravento”. Emblematico uno dei casi trattati dalla sessuologa ticinese Linda Rossi, in cui una donna, sposata da oltre trent’anni e con due figli, confessa di aver scoperto che il marito ha una relazione omosessuale. Una notizia comprensibilmente deludente: “Scoprire che il mio matrimonio sia stato una grande farsa mi amareggia” scrive la donna, scioccata: “benché siano passati più di cinque mesi da quando l’ho scoperto, non sono ancora riuscita a parlargliene”2. Non sappiamo se vi è poi stata una separazione tra i due, ma la testimonianza conferma il silenzio di certe mogli o compagne che scelgono di tollerare la situazione piuttosto che divorziare. Un motivo di divorzio che, per contro, rischia di non essere nemmeno riconosciuto come un “danno” nei confronti della moglie. Lo dimostra la famosa sentenza del 2007 della Corte d’Appello di Brescia: questa aveva totalmente ribaltato una precedente decisione di primo grado, che condannava il marito omosessuale a “risarcire alla moglie quarantamila euro” per il presunto “danno esistenziale” subito, scrive l’avvocatessa bolognese Rita Rossi. Ebbene, in Appello, il tribunale lo ha assolto. Motivo: “la moglie tradita non aveva provato alcunché sul piano del pregiudizio lamentato” poiché “tra omo-infedeltà ed etero-infedeltà non passa alcuna differenza”3. Di sicuro, prima di vendicarsi, è meglio parlare e capire, come fanno alcune mogli francesi nel forum www.femme-d-homo.org ricco di testimonianze, tutte molto simili.4 Una realtà sempre esistita Secondo la psicoterapeuta milanese Daniela Grazioli, tutto parte dal presupposto per cui è possibile separare l’amore (sentimento) dal sesso (pulsione), sia negli uomini sia nelle donne. In tal senso, scrive Grazioli, “il gay è uguale all’etero che frequenta abitualmente le prostitute, ambedue vivono la loro sessualità come un’imperiosa esigenza rivolta a ottenere un godimento che prescinde dallo scambio con l’altro”5. D’altra parte, già le civiltà del passato, quella greca, romana o musulmana, non facevano distinzione tra un genere e l’altro, tra un’identità sessuale e un’altra. Il comportamento sessuale, inteso come ogni altra attività sociale, è semmai influenzato dalla cultura e dai valori locali, tra i quali la religione, che nella nostra cultura ha normato e codificato solo due status, quello di uomo o di donna, ancora oggi duri a morire. Un gruppo di psicologi dell’Istituto italiano per lo Studio delle Psicoterapie, scrive infatti che “prevale la tendenza a considerare accettabili solo due modalità alternative di presentazione sessuale: maschile o femminile a seconda dell’aspetto esteriore del corpo biologico”. Ma, avvertono, “non sempre il sesso biologico e il ruolo di genere, il comportamento sessuale e il riconoscimento sociale, sono in pieno accordo”6. note 1 Citati dalla Fondazione ginevrina per l’Educazione e la Ricerca medica; www gfmer.ch/Educazione_medica/Pdf/Bisessualita.pdf. 2 Lettera pubblicata da “Il Caffè” il 13.11.2011. 3 http://www.studiolegaleritarossi.it/separazione-e-divorzio/no-al-danno-esistenziale-se-questo-non-e-al-servizio-di-una-buona-causa-app-brescia-5-giugno-2007 4 http://www.femme-d-homo.org/index.php?lng=fr 5 http://it.paperblog.com/sono-gay-e-mia-moglie-non-lo-sa-44345/ 6 http://www.psicologic.it/Identit%C3%A0%20di%20genere.htm

Agorà

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Tra sacro e profano Visitiamo un edificio religioso che, alla periferia di Milano, ospita l’ultima realizzazione del grande artista americano Dan Flavin (1933–1996), esponente di punta del minimalismo e pioniere nell’uso della luce di Alessandro Tabacchi

Arti

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Via Neera, nel quartiere della Chiesa Rossa a Milano, potrebbe piacere a Martin Scorsese. Se mai volesse girare un Taxi Driver in salsa meneghina, questa strada farebbe al caso suo, coi suoi edifici vecchi di ottant’anni e quell’aria grigia tipica delle periferie costruite negli anni Venti. Pur soffrendo, in buona compagnia, di tutti i problemi tipici delle periferie delle grandi metropoli, dalle occupazioni abusive ai problemi di convivenza interrazziali, e assumendo di conseguenza un’aria poco invitante al calar del giorno, una visita serale se la merita proprio, via Neera. Perché solo al buio risplende il suo tesoro. Al civico 24, all’interno di una chiesa costruita negli anni Trenta, Santa Maria Annunciata (che porta la firma dell’architetto razionalista Giovanni Muzio), è sita forse la più bella installazione permanente di arte contemporanea di Milano. Si tratta dell’ultimo progetto realizzato in vita da Dan Flavin, nel 1996.

retrospettiva del maestro curata dalla Fondazione Prada. E da allora è possibile contemplare l’installazione di Flavin in pianta permanente.

Magie serali Ovviamente la magia avviene di sera, e per godere lo spettacolo è consigliabile partecipare a una messa serale nella stagione tardo autunnale-invernale (si tratta di una chiesa abitualmente in uso, aperta dal lunedì al sabato nelle fasce orarie 9:15-11:45 e 16:30-18:45). E se le luci sono spente, è sempre possibile chiedere di accenderle confidando nella gentilezza del parroco. I neon di Flavin compiono il miracolo di rendere impalpabile l’architettura severa di Muzio trasformando l’ambiente in uno scrigno di luce. L’architettura della chiesa viene trasfigurata dalle luci dei neon posti nelle modanature del soffitto e negli angoli delle pareti, nascosti alla vista degli spettatori. La trasfigurazione della luce La navata si anima di gialli soffusi e Quell’anno il grande maestro del miacidi, azzurri indefinibili, rosa e arannimalismo, che nei primi anni Sescioni, freddi eppure avvolgenti. Uno santa aveva introdotto l’uso del neon spettacolo mistico e intimo insieme. industriale come materiale artistico, E vagamente psichedelico. Uno dei ideando geometrie luminose adattabili pochi luoghi in cui ho sperimentato agli ambienti (una sorta di Veronese il sacro e il profano mescolati insieme La chiesa di Santa Maria Annunciata illuminata dall’installazione di Dan Flavin (©ProLitteris, Zurigo) contemporaneo capace di combinare in trascendente armonia. Un balsamo il rigore intellettualistico al gusto per per l’anima, almeno finché si rimane il bello), stava ormai perdendo la sua battaglia col diabete, ma all’interno. Perché forse il momento di maggiore impatto emoaccettò la proposta, a prima vista un po’ folle, di decorare con tivo si ha all’uscita. Per un attimo il gioco di luci architettato una sua grande installazione questa chiesa della periferia meri- da Flavin attenua il grigiore e la bruttura dell’ambiente che dionale milanese. Inizialmente Flavin aveva accolto la proposta circonda la chiesa, ma subito dopo non può non venire alla con perplessità, ma la passione del parroco della chiesa, don mente una riflessione sulla ben nota sequela di errori politici, Giulio Greco, che scrisse di proprio pugno una lettera al mae- culturali, sociali, che hanno portato nel corso dei decenni allo stro reticente per perorare la causa, commosse profondamente sviluppo di periferie come quella che circonda Milano a sud. Un l’artista, che dedicò tutte le sue residue energie al progetto. vacuum architettonico, civile, culturale e morale cui la chiesa Flavin fu soggiogato dal sogno di questo prete di periferia di di via Neera cerca di opporsi eroicamente. portare, letteralmente, la luce dell’arte e della speranza in un Don Giulio scrisse queste parole a Flavin: “La luce trafiggente quartiere che ne aveva disperatamente bisogno, e di farlo con del dolore umano continua da noi il grande dolore del Calvario. gli strumenti dell’arte contemporanea. Complice la malattia Proprio perché tentiamo sempre di dimenticare quello che ci ferisce, ormai in uno stadio avanzato, per l’artista questa fu l’occasione vorrei che l’interno della chiesa ricordasse tutte le sofferenze della di tradurre in realtà una profonda riflessione sull’Aldilà e sulla città di oggi. Ma anche nella luce di un’espressione che è già dialogo trascendenza. In un certo senso, fu la sua Cappella Sistina. con qualcuno, che ascolta e che può sommare tutto il male al male Solamente due giorni dopo la firma al progetto finale, Flavin della croce. Questa collocazione è significativa: indica la strada della morì. Nel 1997 il progetto divenne realtà, in occasione della speranza”. Aveva ragione.


La linea golosa e leggera.


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Elogio della soap “Sembra la storia di un romanzo” chiosa nonna Luisa nell’ultima puntata di “Affari di famiglia 5”, il serial andato in onda lo scorso dicembre su LA 1 (ma sempre disponibile sul sito RSI). La “storia” in questione è la rocambolesca vicenda dell’eredità di Vittorio al quale viene dato un anno di tempo per trovare moglie ed ereditare così dieci milioni dalla zia tedesca…

di Nicola DeMarchi

Media

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C osì se il melodrama di casa (prima soap opera interamente registrata in Svizzera italiana), si propone come altri, di raccontare piccoli e grandi problemi quotidiani di una famiglia ticinese come tante, il loro incessante avvicendarsi rende a dir poco superstiziosi. Alzi la mano infatti chi, come i Britti di Tenero, può “vantare” tra il parentado e nell’arco di una sola stagione (quanto si presume ricopri il serial), storie d’amore e disincanto che si susseguono a raffica, un caso di truffa con scippo (Rosa), quello di eredità tipo Monopoly sopracitato, e infine la scoperta di avere una figlia illegittima concepita da un degente terminale (quanto succede a Gabriele)? In barba al realismo, ci diciamo, il genere deve, al contrario, proprio ai ripetuti coups de théâtre, il suo successo. Ma non solo. Genesi di un genere “Il melodrama”, dichiarava già Douglas Sirk, uno dei padri cinematografici del genere inviso e poi sdoganato da critici e autori quali Fassbinder e che lasciò Hollywood per una vita ritirata proprio a Lugano “è una combinazione di kitsch, follia e trash. C’è una breve distanza tra arte e spazzatura e quella che contiene l’elemento della follia è più vicina all’arte”. Imbottito di situazioni inverosimili, il melodrama (termine “barbaro” nel quale l’inglese include i drammi di “realismo rosa” tra cui la soap) seduce infatti non solo per l’identificazione ma anche per una “sfrenata fantasia” dei loro autoriideatori che ha forse origini antiche. Prima di diventare soap opera per esempio, una forma episodica di trama finalizzata a fidelizzare il fruitore era già stata inaugurata dal feuilleton: quel fondo pagina che i giornali francesi riservavano alla pubblicazione di romanzi d’appendice. Adattato ai nuovi media, radio e poi tv, per catturare ascolti e vendere, appunto, “saponi” o affini articoli per massaie, al sotto-genere verrà dato il nome di “soap opera” (la stessa multinazionale di Palmolive “Propter&Gamble” è produttrice tra gli altri, di parte dei 6.000 episodi del serial “Sentieri”). Come dire, una saga sentimentale unica ed estensibile, divisa in episodi. Considerazione non cosi fine a sé stessa se si pensa all’influenza che hanno sul prodotto finale i vincoli del genere. Si parla allora di sotto-genere. Ma di che cosa? A prima vista

le tecniche farebbero pensare al cinema. A guardarci bene, complici anche ristrettissimi tempi di produzione, a un “teatro filmato” dettato da un’urgenza che impone soluzioni rapide, talvolta goffe, talaltra toccanti. Un metodo che seduce le scene contemporanee a giudicare dal lavoro del francese Gwénaël Morin che seguendo i ritmi di produzione dei serial, inscena pièces tratte dal repertorio classico. O da quello di Alexandre Doublet che propone, a Losanna, un atto a stagione di un “Platonov” contaminato dal genere. Sempre dal divano Eccomi dunque alle prese con un nuovo spettacolo da divano che da qualche anno cattura con buoni ascolti il pubblico ticinese, a giudicare dai mille e passa “pollici su” della pagina Facebook. Infatti, al di là delle riletture parodiche del genere (in terreno extra-teatrale ricorderemo en passant le gag del trio Marchesini-Lopez-Solenghi), se il teatro attuale ne adotta alcune categorie come la serialità è anche vero che soap opera come “Affari di Famiglia 5” sembrano trattenere legami, più o meno consapevoli, col modo di lavorare sulle scene. A cominciare dal ruolo dei dialoghi. È infatti là dove il cinema fa di tutto per “parlare” per sole immagini, che la soap opera, forse nell’ansia di ricordare o districare per lo spettatore dettagli di azioni sospese, tradisce come tanto teatro “di testo”, una tendenza a sottolineare tramite la parola azioni già manifeste (“Chi l’è a quest’ora” accentua per esempio Nonna Luisa in pigiama quando suonano alla porta). Preoccupazione che consiglia forse anche il ricorso pletorico a nomi o legami parentali. Di pari passo la recitazione, tra l’esigenza di ricordare a ogni pié sospinto i risvolti della trama e di riprodurre in poco tempo lo stato d’animo di un personaggio, assume caratteristiche tipicamente ambigue. “Il melodramma”, glossa a proposito la regista e coreografa minimalista Yvonne Rainer “è il luogo in cui si incontrano comportamento e teatro”. Teatri di vita Accanto al ruolo spesso pleonastico del dialogo, nel DNA del genere vi sono però anche, spesso introdotti da una musica significativa o dall’espressione grave di un attore, i cosiddetti


Media

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I principali protagonisti del serial tutto ticinese “Affari di famiglia”

“colpi di scena” cosi familiari a certo teatro drammatico e qui tradizionalmente risolti in battute stringate e lunghi primi-piani: “Non voglio un figlio” (Viola a Michele); “Sei tu il padre biologico di Camilla” (Jenny a Filippo). Se caratteristica della soap opera è poi, come suggerisce sempre la cultrice Yvonne Rainer, “la persistente intensità delle emozioni dove tutto è sempre in crisi o in climax”, questa si trova rinforzata dalla linearità di un tempo narrativo spesso e volentieri piatto, senza flash-back o altre infrazioni temporali se non le tipiche “pause” tra trame simultanee. Risultato: l’impressione di una storia che si svolge giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi, e incede a colpi di zapping di situazione in situazione. Con sospensioni talvolta arbitrarie delle scene – Sara dovrà per esempio “aspettare” non pochi minuti tra la scoperta di una mail di Luca e la sua lettura, puntata 20 –, e conseguenti ritorni ai diversi “teatri di vita”. Come l’interno di Mario e Luisa, luogo di consolazione dei (non pochi) cuori infranti della famiglia. Accanto all’adattamento di certe pratiche tea-

trali convenzionali, i vincoli del linguaggio cinematografico, sono spesso aggirati con stereotipi e incongruenze (delizia dei cultori del trash e altri blooper) congeniali all’arte del serial. Siano esse lo sfondo sonoro di un ufficio della polizia Cantonale allestito con squilli di telefoni e telescriventi tipo anni Settanta o il Mac di Sara che emette suoni da pc. Questo forse perché la soap è prima di tutto televisione, come lo suggellerà la corale scena finale che vedrà Nonna Luisa invitata alla trasmissione “Piattoforte” lanciare il suo messaggio d’amore alla famiglia riunita davanti al televisore, cioè da lì dove nasce la soap. E cosi mentre serie televisive (come “Lost”) si avvicinano vieppiù al cinema, si potrebbe dire che parallelamente i serial (soap opera, telenovelas e altre finzioni a lunga gittata) restano fedeli, almeno quanto il loro pubblico, a un genere con non poche contaminazioni, toccanti goffaggini, dettagli incongrui e altre fokloristiche follie del genere. Aspetti graditi a tanto teatro attuale, quelli della storia e del suo farsi.


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Quoi? - L’Eternité

Il longevismo è un campo enorme che spazia dall’uso di diete e integratori alimentari ai trattamenti ormonali, per arrivare a ipotizzare, nel prossimo futuro, il ricorso sistematico e “democratizzato” alla clonazione, alla criogenia e alla manipolazione genetica di Mariella Dal Farra Società

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&. *1041 )..) 215,3*-) # -0-6-)41" “Chi vuole vivere per sempre?” chiedeva una nota canzone dei Queen1, contenuta nella colonna sonora del film Highlander - L’ultimo immortale (1986). Be’, un mucchio di gente, a quanto sembra. L’eternità va per la maggiore, e basta dare un’occhiata in rete per rendersene conto. I siti dedicati al tema sono moltissimi, a partire da quelli che hanno per oggetto il “longevismo”: termine che sta a indicare “lo studio di come rallentare o invertire i processi di invecchiamento, allo scopo di estendere la durata massima, nonché media, della vita”2. Rappresentante di spicco di tale movimento è Aubrey de Grey, controverso direttore della SENS Foundation, organizzazione di ricerca no profit – almeno sulla carta – il cui acronimo sta per Strategies for Engeneered Negligible Senescence, ovvero “strategie ingegnerizzate per rendere trascurabile la senescenza”. De Grey, il cui look ricorda vagamente quello di Rasputin, ha identificato sette meccanismi responsabili dell’invecchiamento cellulare del corpo, rispetto ai quali propone altrettante ipotesi d’intervento, che a suo parere saranno rese possibili dallo sviluppo delle nanotecnologie, dall’impiego di cellule staminali e dall’implementazione di protesi intelligenti in grado di rimpiazzare, con maggiori garanzie di durata, i deteriorabili tessuti umani. La lotta contro l’età Ma la SENS è solo la punta dell’iceberg. Il longevismo è infatti un campo enorme che spazia dall’uso di diete e integratori alimentari ai trattamenti ormonali, per arrivare a ipotizzare, nel prossimo futuro, il ricorso sistematico e “democratizzato” alla clonazione, alla criogenia e alla manipolazione genetica. E se queste

tecniche sembrano appartenere ancora all’ambito della fantascienza, i proventi delle vendite dei prodotti anti-age (alimentazione, cosmetica, trattamenti, ecc.) fanno già di questo settore uno dei più lucrativi su scala mondiale, con un volume di affari che si aggira intorno ai cinquanta bilioni di dollari l’anno solo sul mercato statunitense3. Il longevismo si iscrive nella cornice del “transumanesimo” (talvolta abbreviato in “H+” o “H-plus”), “un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, coma la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post-umana”4. Uno dei presupposti del transumanesimo è che la curva dello sviluppo tecnologico subirà nei prossimi cinquanta anni un’accelerazione, con importanti conseguenze sulla condizione umana così come l’abbiamo conosciuta finora. Questo “punto di non ritorno” viene talvolta indicato come “the singularity” o “singolarità tecnologica”, e si riferisce specificamente a un momento in cui “il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani attuali”5. Uno degli ambiti che, secondo le previsioni dei singolaristi, potrà creare questa contingenza è lo sviluppo dell’ “Intelligenza Artificiale”,

'*1041 10.-0, +,. $%/" intesa come un’intelligenza di natura sintetica capace di migliorare se stessa in maniera ricorsiva, e quindi di trascendere gli attuali limiti cognitivi umani. Il villaggio dei longevi I transumanisti, che si definiscono “fautori dell’evoluzione autodiretta”6 – in


Shang Xi, Four Immortals Saluting Longevity, tempera su seta, prima dinastia Ming (1368–1644), National Palace Museum, Taipei, Cina

Società

7RKNMIWI TXIVWE RSSRUWXQMW&' contrapposizione a quella darwiniana – rispondono alle accuse di hybris che vengono loro indirizzate affermando che “il transumano non può andare contro natura perché nulla di ciò che la tecnoscienza può fare si colloca fuori delle leggi della fisica e della biologia”7. Ciononostante, molte sono le critiche rivolte a questa scuola di pensiero, sia sul piano scientifico (plausibilità delle ipotesi di sviluppo sopra menzionate), sia su quello etico – vedi, per esempio, il principio di Precauzione nell’applicazione delle scoperte scientifiche raccomandato dagli ambientalisti – e morale. Secondo i “bioconservatori” infatti, qualsiasi tentativo di modificare la natura umana rappresenta di per sé una forma di “blasfemia”. Considerata la complessità della questione, ci asteniamo dal formulare un qualsiasi giudizio in merito, rimandando per gli approfondimenti alle fonti

accreditate. Concludiamo invece con la segnalazione di un romanzo-reportage uscito da poco per Nottetempo, che affronta la questione con tutt’altro spirito: parliamo di Eterna giovinezza (Nottetempo, 2011) di Ricardo Coler, medico argentino che si è recato in visita al misterioso Vilcabamba, villaggio situato in una valle dell’Ecuador i cui abitanti vivono in media quarant’anni in più del resto dell’umanità, e senza attenersi a uno stile di vita particolarmente morigerato. Divenuto negli ultimi anni meta di pellegrinaggio per scienziati, longevisti, star di Hollywood e gente comune, Vilcabamba è raccontato da Coler con tono lieve e giocoso, limitandosi a riportare quanto gli è capitato di osservare. Ed è per questo una lettura che ci sentiamo di raccomandare, anche se si trattasse soltanto di una splendida trovata pubblicitaria. note Il titolo dell’articolo è tratto dalla celebre poesia “L’Eternité” di Arthur Rimbaud (“Elle est retrouvée. Quoi? - L’Eternité”) contenuta nella raccolta Ultimi Versi (1872). Lo stesso incipit (“Quoi? L’eternité”) dà il titolo all’ultimo volume della trilogia autobiografica di Marguerite Yourcenar (Einaudi, 1992), nella quale la scrittrice esplora l’unica forma di eternità biologica che, fino ad ora, ci è dato di conoscere: quella del corredo genetico che, pas-

sando di generazione in generazione, attraversa i secoli indisturbato. “Who wants to live forever” è un singolo contenuto nell’album A Kind of Magic, 1986. 2 http://en.wikipedia.org/wiki/Life_extension 3 Ibidem. 4 http://it.wikipedia.org/wiki/Transumanesimo 5 http://it.wikipedia.org/wiki/Singolarità_ tecnologica#Tipi_di_singolarit.C3.A0_ tecnologiche 6 “Manifesto dei Transumanisti Italiani” in transumanisti.it 7 Ibidem. 1

<N GRQWR ENNE URYIVGME HIM HMIGM PMNMRQM ( MQM[MEWR2 )3+*,51 )10 4)1051 10-,0+ *+- $%." &3( 1 /(, 2,#" ARNR VX ZZZ'GUIHMW%QRZ'GL)PMNNMRQ 9VIPSMR HM GENGRNR2 7;: +*4***'3$ +, PIVM$ WEVVR EQQXR IJJ' 1'.O 3 ++'1O "VGRQWR RQNMQI KM& MQGNXVR#$ GRVWR GRPSNIVVMYR 7;: ..-'/* 3 7;: /+0'/*' CENI VRNR SIU 7@98<B%QRZ 7NEVVMG' >E GRQGIVVMRQI HM GUIHMWM ( YMIWEWE VI GRQHXGI E XQ MQHIFMWEPIQWR IGGIVVMYR "EUW' - >7A<#' 65?=%QRZ A5$ ;RUKIQ'

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L’etica del servizio L’uscita nelle sale cinematografiche di una pellicola dedicata all’aiuto domestico e ai diritti civili negli Stati Uniti degli anni Sessanta, offre un’ottima occasione per riflettere sul senso e l’etica della cura di Francesca Rigotti

Kronos

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Esce oggi, venerdì 17 febbraio, in lingua italiana il film The Help - L’aiuto della regista Tate Taylor, una pellicola ispirata all’omonimo romanzo di Kathryn Stockett pubblicato in inglese e in italiano nel corso del 2009. La storia narra di un terzetto di donne, due nere e una bianca, che nel Sud degli Stati Uniti degli anni Sessanta del Novecento – gli anni dei primi viaggi spaziali, della presidenza Kennedy e soprattutto della lotta per i diritti civili – si mettono insieme per realizzare l’audace progetto di scrivere un libro sulla condizione delle cameriere di colore nelle case bianche del sud degli Stati Uniti. Oggi, benché nelle nostre società non più razziste (o quasi) non si neghino i diritti civili, né politici a persone di colore (o quasi), è un fatto che tra le classi agiate si ricorre ancora spesso alla delega del lavoro domestico, nella maggior parte dei casi da una donna a un’altra donna.

interventi non richiesti, allorché oggetti e mobili verranno ritrovati disposti in bell’ordine simmetrico e non distribuiti nello stile falsamente trascurato ma sapientemente studiato della casa borghese. A questo atteggiamento l’aiuto domestico reagirà con un sorriso, che però tragicamente ricorda il rassegnato “Yes ma’am” col quale la cameriera di colore, nel romanzo, risponde alla padrona razzista e separatista che le chiede se è felice di avere un bagno tutto per sé.

Il lavoro di cura Il lavoro domestico è una sottospecie del lavoro di cura, inteso come un servizio tramite il quale chi lo presta stabilisce un contatto personale per rispondere a un bisogno o a un desiderio del destinatario. Riordinare, pulire, lavare, stirare, cucinare sono attività di cura che vengono incontro al benessere dei destinatari permettendo loro di dedicarsi ad attività più gratificanti: lavorare, leggere, studiare, ma pure riposare, oziare o farsi belle come alcune delle vanesie e inconcludenti ragazze americane che incontriamo nel romanzo e nel film. Gli aiuti domestici si dedicano dunque alla cura di persone, spazi e oggetti nonché alla distribuzione di questi ultimi secondo la soglia di ordine e pulizia corrispondente al benessere del destinatario.

Il rapporto affettivo Torniamo a noi, alle nostre case e ai nostri bagni, che fino a non molti anni fa si chiamavano, è il caso di ricordarlo, “padronale” e “di servizio”. Per evitare l’accusa di sfruttamento e soprattutto per allontanare i sensi di colpa, la “femminista padrona” sovente introduce, dicevamo, un rapporto familiare, tra il cordiale e l’affettuoso, con la lavoratrice domestica. Il punto dei rapporti affettivi che si creano tra l’aiuto e la nuova famiglia è ampiamente elaborato, nel libro come nel film, con tutte le sue ambiguità. Non soltanto tra i bambini bianchi e le tate di colore che li allevano si creano forti relazioni di tipo materno-filiale; anche tra molte donne bianche, annoiate e frustrate, e le loro aiutanti nere si sviluppano rapporti intensi, coltivati più, paradossalmente, dalle padrone ricche che dalle domestiche povere, queste ultime ben consapevoli del fatto che amicizie di tal fatta, con le gelosie che suscitano in madri, mariti e persino amiche, possano minare il posto di lavoro (e infatti la Prima Regola per lavorare con una Donna Bianca che Minny impara da sua madre e che insegnerà a sua figlia recita: “I problemi della Donna Bianca non sono affari tuoi”).

La “femminista padrona” Forse nel Mississippi razzista e separatista era paradossalmente più facile gestire il rapporto padrona-cameriera. Ma cosa accade quando le datrici di lavoro sono, come da noi, persone per lo più aperte e democratiche e pure femministe?! Succede che la “femminista padrona” (la chiamo così senza alcuna ironia o spregio, anzi) si imporrà di non sfruttare il lavoro altrui, comportandosi da buona datrice di lavoro piuttosto che da schiavista. Limiterà dunque le disposizioni all’indispensabile, tratterà la lavoratrice domestica in maniera cordiale magari prendendo un caffè insieme a lei, e tollererà persino i suoi

L’etica della cura E allora? Allora ascoltiamo l’etica della cura, una corrente importante in seno alle filosofie della morale e della politica, secondo cui è indispensabile una rivalutazione delle attività di cura, spiegando che un nuovo apprezzamento può nascere grazie a quell’attività essenziale per la nostra vita che è l’immaginazione. In virtù dell’immaginazione forse più che della generalizzazione è infatti possibile mettersi al posto degli altri – che cosa significherebbe per me dover pulire e riassettare la casa di altre persone? – per instaurare rapporti morali non fondati sullo sfruttamento ma nemmeno sulla falsa cordialità.


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Sushi boom boom L’impatto del sushi, insieme all’influenza culinaria giapponese e alle sue colorate preparazioni, ha scosso il mercato della produzione, della distribuzione e del consumo del pesce crudo. Con qualche spiacevole sorpresa… di Nicoletta Barazzoni

Il global sushi, riprendendo lo stile culinario del fast food all’americana, ha soppiantato la cucina tradizionale in molti paesi europei. Gli abbinamenti cromatici dello sushi, che utilizza il pesce crudo come elemento principale, sono allettanti per le nostre papille gustative stimolate, attraverso il senso della vista, dal richiamo dei colori. Va detto, che l’aspetto del “piatto” ricopre una funzione centrale un po’ in tutta la cucina asiatica in cui fortissima è l’attenzione, quasi maniacale, all’aspetto visivo della pietanza. Non è un caso che, partire dagli anni Novanta, notissimi cuochi e chef europei abbiano iniziato a studiare queste “composizioni”, reinterpretandole nell’ambito della nouvelle cousine e della cucina del territorio. Ma al di là delle caratteristiche organolettiche e di gusto, è anche il tratto minimalista della cucina giapponese a suscitare il vasto interesse del mondo occidentale. L’impatto storico (e finanziario) della cucina giapponese L’esportazione della cucina giapponese ha origini nell’anteguerra. La produzione di massa dello sushi si innesca a partire dal 1990, anno in cui inizia la caccia spietata al tonno rosso in Cina, Taiwan, Indonesia, Vietnam, Spagna, Italia e Croazia. L’impatto finanziario, correlato alla vendita di questo pesce in Giappone, si aggira intorno ai 400 milioni di dollari, con una vertiginosa ascesa in termini di profitti. Risultato: in poco tempo il bluefin tuna è diventata una specie in via d’estinzione. Per arginare il fenomeno e mettere un freno allo sterminio, 26 paesi hanno firmato la Convenzione internazionale per la conservazione del tonno rosso dell’Atlantico, mentre viene istituita la Commissione per la sua conservazione nei mari del sud, a cui aderiscono Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea e la Fishing entity of Taiwan. A partire dagli anni Sessanta a oggi, la presenza del tonno rosso ha subito una perdita del 90%. Le previsioni del WWF annunciano il crollo del commercio sostenibile di questo pesce prelibato nel Mediterraneo, che insieme al Golfo del Messico è una delle due principali zone di riproduzione (si tenga presente che non solo l’80% dei tonni rossi pescati nel Mediterraneo sono destinati al mercato giapponese ma molte della aziende che operano in

quest’area sono oggi di proprietà giapponese). L’importanza e il valore economico globale dello Sushi establishment sono ben rappresentati dalla gigantesca nave Tuna Queen, che trasporta, in enormi congelatori, decine di migliaia di tonni dal Mediterraneo al Messico, passando per l’Australia e rientrando in Giappone. Mentre l’affare titanico affonda il suo arpione nella pesca indiscriminata, gli allevamenti in cattività del tonno rosso in Australia, Spagna e Croazia producono effetti irreversibili sull’ecosistema. Perché il tonno rosso, prima di arrivare sulle nostre tavole ma ancor prima, sui banconi dei super mercati, è costretto a seguire una traiettoria macchiata di sangue e atrocità. Crudo significa fresco? I pesce dopo tre giorni si altera e puzza. Nel caso dello sushi quali garanzie di freschezza abbiamo? Come può essere fresco se il pesce dopo tre giorni puzza? E se puzza perché non ne avvertiamo l’odore? Sarà forse coperto da altre pietanze o trattato con sostanze chimiche adulteranti? È noto, per esempio, che per mantenerne viva la colorazione, il tonno rosso viene trattato illegalmente con il monossido di carbonio. La questione è comunque complessa. Al di là di quelle che possono essere le contaminazioni batteriche “classiche” (i batteri più frequentemente isolati in questo tipo di alimenti sono il Vibrio parahaemolyticus, lo Staphylococcus aureus e la Salmonella sp.), comunque pericolose, un ulteriore elemento da tenere presente è la possibilità che la carne di pesce sia infestata da larve di parassiti quali il Diphillobotrium latum, l’Anisakis e lo Pseudoterranova. In particolare, la rivista della società americana di parassitologia ha pubblicato un articolo scientifico sulla presenza dell’Anisakis nel pesce crudo. La microscopica larva si annida nell’animale per poi depositarsi nel fegato o nell’intestino dell’uomo, causando complicazioni molto serie. In sintesi, considerazioni ambientali e animaliste a parte, lo sushi è un alimento particolarmente a rischio perché il pesce utilizzato per la sua preparazione viene consumato crudo, e solo le alte temperature possono eliminare batteri e parassiti. Certo, bellino a vedersi sto’ sushi. E molto, molto cool... ma con una marea di controindicazioni.

Salute

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» testimonianza raccolta da Ludovica Domenichelli; fotografia di Igor Ponti

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Roberto Alberio

Vitae

ha fatto amare l’alpinismo. Una passione che non mi ha più abbandonato. Ho scalato oltre metà dei quattromila svizzeri, ho partecipato a due spedizioni sudamericane, l’Aconcagua e il Mercedario nelle Ande argentine. La montagna per me non è soltanto un piacevole passatempo, è un valore che nel corso degli anni mi ha aiutato a superare difficoltà e ha favorito la conoscenza di me stesso. La magia del silenzio che si percepisce durante le ascensioni lascia spazio a un intenso dialogo con te stesso, che lentamente, man mano che sali verso la vetta, attraverso la fatica, fa crollare uno a uno tutti i Dalla carriera nel mondo bancario al de- veli che col tempo ognuno siderio di aiutare gli altri. Un passaggio di noi si è creato per poter all’apparenza difficile senza un progetto sopravvivere all’interno delle proprie esistenze. Così capita di vita, solidi ideali e un grande amore che rivivi situazioni che credeper l’alpinismo e la montagna vi dimenticate, riprendi il filo di riflessioni abbandonate da tri a piedi in 30 giorni. È stata tempo, ti rimetti in discussione. Anche la più un’esperienza fantastica che breve delle passeggiate in quota richiede di mi ha dato quella consapedarsi un obiettivo e perseguirlo, di essere prevolezza che da tempo andavo videnti amministrando bene le proprie forze. cercando, ma che solo attraPoi c’è il gruppo, la cordata. In una cordata la verso un percorso intimo di sicurezza di tutti dipende dalla responsabilità lavoro su te stesso hai il coragdi ciascuno e viceversa. È quindi indispensagio di ammettere. Al rientro bile fidarsi dell’altro. E se è pur vero che esiste in Svizzera, dopo 38 anni di la guida, il capocordata che ha il compito banca, ho dato fede a ciò che di guidare e dare sicurezza al gruppo, anche già affermavo da ragazzino e l’ultimo che chiude è altrettanto importante ho voltato pagina. E l’ho fatto per la riuscita dell’impresa. con il mio nuovo progetto La mia prima spedizione in Sud America, Corda Tesa, una nuova sfida l’Aconcagua, è stata un parziale fallimento che unisce i miei ideali di per me. Non ho raggiunto la vetta poiché non vita con la montagna, la mia sono riuscito a inserirmi armoniosamente grande passione. Insieme alla nella cordata. Durante queste spedizioni guida alpina Nikita Uboldi, ognuno di noi si mostra senza veli e ha modo abbiamo deciso di promuovedi valutare in che misura è in grado di gestire la passione per la montagna re paura e stress, due componenti sempre proponendo degli itinerari di presenti in alta quota. A volte può tuttavia diversa durata e difficoltà a succedere l’irreparabile. Diversi gli amici che aziende e organizzazioni coho perso in quel modo. Penso in particolare me modalità di crescita delle alla guida alpina Nicola Balestra, travolto risorse umane. fatalmente da una lastra di ghiaccio il 17 Perché la montagna? Amo la giugno 2007, sul Monte Bianco che da allora montagna da quando sono è divenuto la mia guida spirituale durante le un bambino, anche se pratico ascensioni. Corda Tesa vuole essere anche un l’alpinismo solo da una quinomaggio a lui, un tentativo di dare un senso dicina d’anni. Questo perché a quanto accaduto, un modo diverso per da sempre credevo che sarei non dimenticare. E poi ho solo 59 anni e ho andato in montagna soltanto voglia di buttarmi in questa nuova e difficile fino a dove non avrei dovuto sfida con tanto entusiasmo. La scommessa usare la corda. Poi l’incontro è di riuscire a trasformare un hobby in una illuminante con la guida alpiprofessione. Non so se ci riuscirò, ma ho na Luciano Schacher, che mi ancora voglia di provare.

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D

a ragazzino ero convinto che in banca non avrei mai lavorato. Poi, un po’ per caso, un po’ spinto dal marito di mia sorella che già lavorava in quell’ambito, terminata la scuola commerciale ho iniziato la mia avventura in questo settore. Inizialmente ho operato in qualità di responsabile del commercio delle divise, in seguito nel servizio dedicato ai gestori di patrimoni esterni e, infine, come “ambasciatore” di un’importante banca privata svizzera. Un totale di 38 anni trascorsi nel settore bancario-finanziario, che mi hanno indubbiamente regalato tante soddisfazioni… ma anche tanti dolori. Ciò che più mi mancava nel mio lavoro erano i valori umani, troppo spesso messi da parte a scapito di quelli materiali. Nel corso degli anni ho cercato di nutrire il mio animo “diverso” con attività e impegni extraprofessionali. Durante gli anni Novanta, ho organizzato con mia moglie Manuela il campo Kiwanis, un soggiorno estivo per adolescenti in difficoltà. Per sei estati di fila, con il supporto di “Gioventù e Sport”, abbiamo ospitato una cinquantina di ragazzi, proponendo attività sportive a contatto con la natura. Un’esperienza unica che ha dato tanto a noi, ai miei figli e ai tanti ragazzi che di anno in anno sono tornati entusiasti. Per altri sei anni sono invece stato soccorritore nella Società svizzera per cani da catastrofe. Quattro anni della mia vita li ho pure dedicati alla carriera militare, tra formazione e varie forme di comando. Tante attività diverse che ho sempre svolto parallelamente alla mia professione e che in qualche modo mi hanno aiutato ad andare avanti. Quel sentimento di inadeguatezza si è fatto sentire con più intensità nel corso del 2010, costringendomi a fermarmi e riflettere. È stato allora che ho deciso, insieme a mia moglie di percorrere tutto il sentiero di Santiago, oltre 800 chilome-


Oltre la meta

testo di Marco Jeitziner; fotografie di Jacek Pulawski

Qualsiasi partita di rugby è una partita di calcio che va fuori di testa.conordinata,eferoce,follia Alessandro Baricco




in queste pagine Sopra: la vestizione prima della sessione d’allenamento e una fase di preparazione in palestra. A destra: un concitato momento di gioco contro l’ostica squadra dell’Alba Lausanne, incontro svoltosi nell’autunno scorso e vinto dai luganesi con un perentorio e convincente 0-24 nelle pagine precedenti La squadra in una fase di riscaldamento presso il campo di Muzzano in apertura Tatuato sulla pelle: un giocatore del Rezzonico Rugby Lugano e il suo “guerriero”


U

n pallone ovale che scappa ovunque, vitale e imprevedibile. Dietro al rugby c’è questo, ama sottolineare l’allenatore del Rezzonico Rugby di Lugano, Alessandro Borghetti, vent’anni di esperienza come giocatore e allenatore. Mi accorgo subito che le somiglianze con il calcio o il football americano si fermano qui. “Nel rugby la palla si passa solo indietro, e a differenza degli altri sport dopo le fasi statiche non esistono più i ruoli” mi dice Borghetti. Così in un centinaio di metri di campo si scatena il caos, una giocosa pazzia; solo apparente però, perché c’è ordine e organizzazione. I “magnifici sette” scendono in campo, le facce sono concentrate, eccitate, a volte sofferenti. Ci sono smorfie doloranti, ma soprattutto un’energia incontenibile per tenere quegli ottanta minuti. Andare avanti passando indietro, già, questo è tutto il paradosso che mi si palesa. Avanti verso quei pali a forma di “H” alti oltre tre metri, che si stagliano quasi infiniti verso il cielo buio di una fredda serata o in quello illuminato a giorno. Tutto questo ha un senso molto profondo: “La palla che si passa solo indietro rappresenta la considerazione del passato per costruire il futuro, la meta da raggiungere insieme, un obiettivo da condividere”.

Quei “bestiali gentiluomini”... Il 2016 è una data importante: la versione di gioco con sette giocatori (esiste quella a quindici e a tredici) farà finalmente parte dei Giochi olimpici estivi di Rio de Janeiro. Ma comporre le squadre nazionali, pare, non sarà facile. Poco importa, per ora: se ci sarà da portare quell’ovale oltre la meta, lo si porterà. Mi è chiaro ormai, da profano, che il rugby corazzato all’americana è davvero molto lontano da qui. Questi piccoli “colossi di Rodi” alternano gioco di mani e gioco di piedi, nonostante i placcaggi, nonostante le muraglie umane: si rialzano come inossidabili e moderni gladiatori, come mi ricorda il “casco spartano”, emblema della società luganese. A guardarli, sembrano tutti grossi uguali, questi “bestiali gentiluomini”, ma non è (...)


così: “Esiste un ruolo per ogni personalità e fisicità: il piccoletto estroverso e rompiscatole sarà sicuramente un buon mediano; il più grosso, paziente e altruista andrà in prima linea; mentre quello agile e svelto sarà un’ala...”. Chi sta in prima linea deve aprire la strada per favorire quelli dietro, più veloci. In mezzo, i mediani, per lanciare un’azione di gioco: viene rubata la palla e si scatena una travolgente fuga verso la meta. Qualcuno indossa delle protezioni, altri nulla. Contusioni, lesioni, traumi, loro non sembrano nemmeno farci caso. “È uno sport per tanti, ma non per tutti” ammicca Borghetti, “i colpi duri si sopportano solo se diventano un piacere, quello su tutti di arrivare insieme alla meta”. Rispetto, tenacia, resistenza: il rugby come educazione Quest’anno il rugby svizzero compie quarant’anni, è giovane e fresco, ma già ricco di storia. Nel 1973, i bellinzonesi del Rugby Club Ticino debuttano in campionato, rimediando 24 sonore batoste dai ginevrini. Nel 1987 si riscattano, arrivando quasi ai vertici della Lega nazionale A: tra loro, giocatori storici come Antonio Cadoni (oltre 220 partite all’attivo) e l’ex nazionale Luca Madonna. A Lugano, invece, è solo nel 2007 che si riaccende la scintilla: “Prestateci un terreno e vi faremo vedere” avranno detto alcuni di loro ai comuni di Muzzano e Tesserete. E infatti, due anni dopo la squadra arriva a sfiorare la promozione in Prima lega. Oggi i numeri del rugby Lugano parlano da soli: una cinquantina di tesserati adulti e un frizzante settore giovanile che offre speranza. Certo, Sopra e Sottoceneri sono ancora una volta divisi, anche in questo sport. Ma per Borghetti unire i talenti del cantone a Lugano sarebbe “ottimale”, anche se, aggiunge: “Capisco benissimo chi non condivide questa strada”. I giovani, dicevo, ai quali “sin da piccoli si insegna a rispettare arbitro e avversari”, oggi più che mai. Il rugby ha una “forte valenza educativa” e agli adolescenti non resta che provare diverse discipline sportive prima di dedicarsi a una sola... Facile immaginare quale secondo il coach: “Sicuramente il rugby, o almeno lo spero!”.


in queste pagine A destra: una pausa nella sessione d’allenamento nel campo di Muzzano. Sopra: un altro momento della partita contro l’Alba Lausanne e, in basso, la gioia finale di tutta la squadra dopo aver sconfitto una “squadra ostica che gioca un rugby duro, ai limiti, forse anche oltre, del regolamento”, come si legge nel portale internet del Rezzonico Rugby Lugano (www.rugbylugano.ch)

Jacek Piotr Pulawski Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e altri riconoscimenti sono giunti negli anni a seguire. Per informazioni: www.pulawski.ch.


» C’era

Fiabe

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Il gatto senza nome

una volta una simpatica vecchina di nome Agnese che viveva in un’umile casetta posta in cima al paese di Biricoccola. Rimasta vedova molti anni prima, aveva cresciuto con amore i suoi due figlioli, Cecco e Santo che una volta divenuti grandi erano andati a vivere nella lontanissima America del sud. Desiderava tanto rivederli, ma non aveva né i soldi né le forze per affrontare un viaggio così lungo. Ogni tanto, di notte, le capitava di osservare la Luna e ammirandola si ritrovava a pensare: “Forse anche i miei figlioli la stanno guardando adesso” e questo la faceva sentire meno sola. La sua unica compagnia era infatti quella dei conigli a cui ogni giorno portava da mangiare. Una sera, tornando dall’orto, le venne incontro un bel gattone grigio che subito andò a strusciarsi alle sue gambe. “Ma che bel micio”, pensò fra sé Agnese “quasi quasi me lo porto a casa così avrò qualcuno che mi faccia compagnia e di cui occuparmi”. In realtà, sembrava proprio che anche il micio fosse interessato alla stessa cosa, dato che seguì Agnese fino alla porta. Dopo che gli ebbe dato da mangiare, Agnese si domandò: “Adesso che ho un bel gatto, devo trovargli un nome che mi piaccia e che sia facile da capire. Ci penserò stanotte”. Pensa che ti penso, non gli venne in mente nulla e alla fine si addormentò.

testo di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini

Quella notte, con il gatto placidamente addormentato ai suoi piedi fece uno strano sogno. Si trovava in mezzo a un grande prato e accanto a sé aveva i suoi figli che non vedeva da tanti anni. Il figlio maggiore, Cecco, le disse: “Mamma, era da tanto tempo che volevo parlarti e ora finalmente posso farlo. Mi sono costruito una bella casa e ho una moglie che aspetta un bimbo. Come vorresti che lo chiami?”. “Non lo so”, rispose Agnese “ci devo pensare”. Le si avvicinò allora il figlio minore, Santo, che le disse: “Cara mamma, mi manchi tanto. Mi sono sposato anch’io e anche mia moglie aspetta un bel figliolo. Che nome desiderate dargli?”. “Ah, davvero non lo so, ci penserò stanotte”. E il sognò svanì. La mattina seguente, al risveglio, sul comodino riluceva una noce d’oro. Agnese la prese in mano e il guscio come d’incanto si aprì mostrando all’interno un fogliettino su cui erano scritti due nomi, Giuliano e Beatrice. Subito gli venne in mente ciò che aveva sognato e spontanea gli sorse la domanda: “Come faccio a dire ai miei figli che ho i nomi per i miei nipoti? Ora che ricevono la mia lettera i bimbi saranno già nati e chissà che nomi gli avranno dato”. Poco dopo si era dimenticata di tutto e la giornata proseguì come tutte le altre con la


sola differenza che il gatto la seguiva ovunque andasse. “Devo trovare un nome per questo gatto. Possibile che non mi venga in mente nulla! Stanotte devo trovare quello giusto”. Ma anche quella notte, dopo aver pensato e ripensato, Agnese finì per addormentarsi.

Sognò ancora lo stesso prato e i suoi figlio-

li. Appena li vide andò loro incontro: “Ho i nomi per i vostri bimbi. Tu Cecco, che avrai un maschio, lo chiamerai Giuliano mentre tu Santo, che avrai una femmina, la chiamerai Beatrice”. I figli abbracciarono la madre. Cecco allora le disse “Mamma carissima, mia moglie tutte le sere desidera mangiare dei fichi freschi ma qui da noi di piante non ce ne sono. Come posso fare?”. “Non ne ho idea figliolo, ci devo pensare”. Fu dunque la volta di Santo: “Mamma, mia moglie ogni sera mi tormenta perché ha voglia di carciofi ma qui non ne crescono. Che debbo fare?”. “Che vuoi che ti dica, ragazzo mio, ci penserò e vedrò quel che posso fare”. Il sogno svanì. La mattina dopo sul comodino c’era un’altra noce d’oro. Agnese la prese in mano e dal guscio saltò fuori un fogliettino su cui erano scritte due formule: fico, ficuzzo cresci presto e dappertutto e carciofo, carciofino cresci sotto il mio piedino. “Che strana faccenda”, pensò Agnese “sembrano due incantesimi. Ma ora che glieli scrivo le loro mogli avranno già partorito e chissà che voglie avranno i due bambini”. Il tempo di arrivare all’orto, seguita come un’ombra dal fido gatto, e il ricordo del sogno era svanito. Quella notte sognò di nuovo il grande prato e i suoi figlioli. Si rivolse prima a Cecco: “Vai nell’orto e quando sarai lì devi dire: fico, ficuzzo cresci presto e dap-

pertutto. Tu Santo farai lo stesso ma devi dire carciofo, carciofino cresci sotto il mio piedino”. I due giovanotti abbracciarono la loro madre e il sogno svanì.

La

mattina seguente, al risveglio, una terza noce brillava sul comodino. “Ma che strana cosa, è davvero un miracolo”, pensò Agnese fra sé. Prese in mano la noce che si schiuse immediatamente mostrando all’interno un altro fogliettino su cui era scritto: Mi chiamo Poldo e se mi parli io poi ti rispondo. Agnese guardò il gatto che ancora sonnecchiava in fondo al letto. “Sarai mica te che ti chiami Poldo?”. Il micio si stirò per benino dopodiché disse: “Certo, sono io Poldo e se farai come ti dico vedrai presto i tuoi nipoti”, e prese tranquillamente a leccarsi una zampetta. “Che debbo fare?”, chiese Agnese trepidante. “Vai in paese con le tre noci e rivendile. Con il ricavato compra una carrozza con quattro cavalli neri e quattro sacchi di biada”. Agnese acquistò la carrozza con i cavalli e i sacchi di biada e li fece portare davanti alla sua casa. Giunta la sera se ne andò a letto seguita dal gatto. Si addormentò subito e dopo un po’ si ritrovò in mezzo al grande prato. Davanti a lei c’era la carrozza con i quattro cavalli che nitrivano, impazienti di partire. Stava per salire quando sentì la voce di Poldo. Ma non era il gatto a parlare bensì un vecchio vestito con un manto azzurro e uno strano cappuccio in testa. “Non mi riconosci, eh? Sono proprio io, Poldo”, disse il vecchio “il mago della Luna. Anche i tuoi figli hanno passato molte notti osservando la Luna e pensando a te. Ho deciso che dovevo fare qualcosa per voi e mi sono trasformato in gatto. Ora vai da loro, i tuoi nipotini ti aspettano”. Agnese salì sulla carrozza che in un baleno si alzò da terra e volando nel cielo la portò finalmente a riabbracciare i suoi cari.

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Sociologia dell’arredo Tendenze p. 48 – 49 | di Keri Gonzato

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ono tre i punti chiave che motivano molti designer di oggi ad arredare gli spazi nei quali transitiamo. In un mondo traballante fatto di illusioni, poche certezze e una grande fragilità, l’uomo torna a desiderare una rassicurante semplicità. La casa è l’emblema del rifugio e il modo con il quale viene arredata è sintomatico del bisogno di essere rassicurato da parte di chi la abita. In tempi di allegra e costante crescita economica la casa viene quindi arredata con spensieratezza e i mobili, seguendo umori e stagioni, cambiano spesso. In periodi di decrescita, come quello attuale, invece si torna a riflettere, a ponderare e a cercare soluzioni durabili capaci di infondere fiducia.

Il Salone dell’interiorità

In questo inizio di 2012, anno carico di presagi funesti, camminando attraverso MAISON&OBJET – un salone del mobile e dell’oggettistica che si tiene a Parigi due volte all’anno e che, assieme a quelli di Milano, Mosca e New York, rappresenta uno degli incontri più importanti per il design mondiale – si respira un’aria di preoccupazione. Da un lato, il mondo del design è strettamente legato alla logica del consumismo, dall’altro la necessità di interpretare e rispondere alla società che muta non è delegabile. Il risultato è che i marchi più lungimiranti hanno preso delle decisioni che appaiono chiare nella scelta dei materiali e dei processi di produzione. Il piacere puramente ludico del prodotto industriale di massa lascia spazio al desiderio di tornare alla solidità del legno, alla naturalezza della lana, alla durabilità della pietra. Si respira un vento che riporta sulla strada della memoria, verso il recupero del telaio, del tornio, dello scalpello. I tempi di produzione si allungano, gli oggetti si fanno più preziosi e riconquistano l’anima che, nel corso della modernità, avevano perso. Questo sembra dunque l’anno della definitiva fine dell’usa e getta; un’inclinazione tangibile e necessaria, come ha detto l’esperta di design d’interni Gilda Bojardi, che pone tra le priorità del creare quella di farsi portavoce di “una soluzione razionale allo spreco delle risorse”.

Yoko Yasunishi e suo marito, direttori artistici della Drill Design di Tokyo che a MAISON&OBJET erano presenti con due marchi distinti, confermano: “Oggi le persone si interessano nuovamente alla fattura e alla provenienza degli oggetti, soprattutto in Giappone la collaborazione tra designer e artigiano è fondamentale”. Ma anche dalla vicina Italia giungono messaggi simili: si vuole recuperare la cultura del fatto a mano, punto centrale per il Gruppo Installazione, i cui oggetti “nascono da una ricerca che unisce tecniche e materiali della tradizione popolare italiana a lavorazioni innovative. I materiali, prodotti in antiche fabbriche italiane, sono quelli dei corredi e dei guardaroba dei primi del Novecento”.

Ridurre la velocità

Ritornando al passato i nuovi designer reinventano il futuro arredandolo con oggetti preziosi, poiché frutto del tempo e di una sapienza ancestrale, oggetti carichi di umanità e di grazia atemporale fatti per accogliere le storie della nostra vita a lungo. Non si tratta di nostalgia del passato quanto piuttosto della necessità di rivedere il presente alla luce di parole quali sostenibilità, rispetto e durabilità. Urge il bisogno di rallentare e l’impulso di creare meglio unito al desiderio di consumare meno. Nonostante le sembianze seriose del trend, il 2012 non si irrigidisce in forme rigorose, non si limita a colori neutri e blandi, ma piuttosto si apre alle mille possibilità del produrre il nuovo facendo ricorso all’immaginazione e alla semplicità, con ampli slanci poetici e divertenti. E così arrivano in volo dalla Finlandia gli uccellini decorativi Lovi, disegnati da Anne Paso, per ognuno dei quali, spiega la rappresentante, viene piantato un albero. Il nord continua a ispirare il mondo con il suo approccio pratico e ludico, non a caso la capitale del design del 2012 è proprio una città che sta “lassù”, trattasi di Helsinki (www.wdchelsinki2012. fi). I responsabili della ditta danese Hay, dal 2003 madre di splendidi oggetti che dal legno naturale virano al fluo, spiegano di voler offrire un “design sensato e sincero per le persone”, guidato da linee determinanti come la sostenibilità, la solidità, i prezzi accessibili e la gioia. E poi ci sono i vasi che oscillano nel vento dell’agenzia di eco design francese ART Terre pronti a raccogliere nuovi semi di idee per salvare il pianeta. Emozioni e solidità, uniti a legno, ferro, e sapere artigianale, per un 2012 arredato con le forme dell’anima. Oggi i professionisti del settore mirano a farci vivere al meglio arredando le nostre case come nidi di salvezza. Per farci sentire più sicuri in un’era colma di pronostici assai “apocalittici”.


 Lovi

www.lovi.fi Uccello, Cuore e Maialino e alcune cartoline

 Hay

www.hay.dk Set per la scrivania

Umanità, con il ritorno alla produzione artigianale e all’emozione. Sostenibilità, con materiali naturali che offrono sicurezza e durabilità. Creatività, per divertire in un tempo carico di preoccupazioni  aRT

TeRRe www.agenceartterre.com Cestino porta riviste A4

 Appoggia

piedi: come un tronco d’albero a cui s’ispira, ogni pezzo prodotto è unico

Hay www.hay.dk I tappeti Colour Carpet

 aRT

TeRRe www.agenceartterre.com Set per la tavola: sottobicchieri e sottopiatti


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Astri toro

gemelli

cancro

Opportunità professionali per i nati nel segno per la presenza di Urano in Ariete. Grazie a questa configurazione ha inizio un ciclo molto importante della vostra vita. Determinate le terze decadi.

Grazie a Venere nella dodicesima casa solare la vita sentimentale si arricchisce di aspetti insoliti. Attrazione per il mistero. Opportunità economiche per i nati tra aprile e maggio. Giove e Plutone favorevoli.

Passioni irrefrenabili per i nati nel segno favoriti dal sestile con Venere e dalla quadratura con Marte. Possibili ostacoli provenienti dagli ambienti familiari. Disturbi di stagione tra il 21 e il 22 febbraio.

Mente lucida e attiva tra il 22 e il 23 febbraio. Grazie ai buoni aspetti con Mercurio e Luna riuscirete a fare ottimi affari; basta che seguiate il vostro intuito. Successo negli esami e nei concorsi. Mondanità.

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A fine mese Giove in quadratura sollecita l’orgoglio dei nati nella prima decade. Opportunità sentimentali per gli altri “leoni” grazie agli ottimi transiti di Venere. Eros alle stelle per la giornata del 25.

Il 22 e il 23 febbraio caratterizzati da un susseguirsi di sbalzi umorali. Tenete a freno la vostra irascibilità. Non siate permalosi con il partner. Impegnatevi solamente nelle cose che vi sono più affini.

Se tra il 19 e il 25 febbraio sarete riusciti a superare le inibizioni potrete dare vita a una settimana di trasgressioni. Con Venere e Urano in opposizione siete attratti all’inconsueto. Disturbi psicosomatici.

Fase di ribellione provocata da una iper-stimolazione dell’Ego. Con Giove in quadratura si accentua la naturale tendenza a non esser mai contenti di quello che effettivamente si possiede. Bene tra il 22 e il 23.

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acquario

pesci

Grazie alla fortunata posizione di Venere si apre una fase evolutiva. Amplificazione delle capacità creative. Incontri karmici. Aprite la porta al futuro che avanza. Malumori passeggeri tra il 22 e il 23 febbraio.

I giorni di fine febbraio saranno dedicati al lavoro. Grazie al fortunato transito di Giove i nati in dicembre potranno realizzare importanti avanzamenti professionali. Intuizioni tra il 22 e 23 febbraio. Dieta!

Se volete cavalcare l’onda e fare “strike” scegliete tra il 20/21 febbraio. Novità sentimentali. I vostri gusti cambiano. Grazie alla vostra creatività state andando incontro a nuove situazioni di guadagno.

Con Sole e Nettuno in congiunzione state per entrare in una nuova era. Metamorfosi spirituale per le prime decadi. Compleanno ricco di emozioni. Tra il 22 e il 23 febbraio fenomeni di chiaroveggenza onirica.

» a cura di Elisabetta

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Verticali 1. La bruciatura necessaria per eliminare certe verruche • 2. Restare • 3. Sarcasmo - 4. Precede la notte • 5. Né vostra, né loro • 6. Oscuro, cupo • 7. Il de’ scozzese • 8. Privo di profumo • 13. Sfortuna • 17. Idonee • 18. Fa strage di cuori • 20. Lebbrosario • 24. Un tipo di aggettivo • 26. Venuti al mondo • 27. Via... losannese • 30. Il vil metallo • 32. Relativo alla navigazione • 33. Pedina coronata • 39. Società Anonima • 41. Est-Ovest • 43. Frulla in testa • 46. Pronome personale • 49. Concorso Internazionale • 51. Consonanti in avorio.

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Orizzontali 1. Fiori novembrini • 9. Spinta iniziale • 10. Dittongo in poeta • 11. Cuor di cane • 12. Divertente, comico • 14. Rifugio animale • 15. Il numero perfetto • 16. La fondò E. Mattei • 17. L’indimenticato Tieri del teatro • 19. La fugge il sognatore • 21. Cuor di balordo • 22. Italia e Romania • 23. Antico Testamento • 24. Il cibo quotidiano • 25. Se ne estrae un olio essenziale • 28. I limiti dell’alfabeto • 29. Porticciola • 31. La stella principale dello Scorpione • 34. La fine di Belfagor • 35. Stato africano • 36. I confini di Vogorno • 37. Vocali in virtù • 38. Ella • 40. Fa dolere le orecchie • 42. Privi di malattie • 44. Il Nichel del chimico • 45. Gradazioni vocali • 47. Dispari in nido • 48. Si dice consegnando • 50. Lapalissiane • 52. Ossigeno e Iodio • 53. Noto stilista.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 9

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 23 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 21 feb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Premio in palio: buono viaggio del valore di 150.– franchi Hotelplan offre un buono viaggio del valore di 150.franchi da utilizzare presso le filiali Hotelplan e le migliori agenzie di viaggio del Ticino e della Mesolcina.

Avete già viaggiato con Hotelplan? I cataloghi per quest’estate sono già disponibili in tutte le agenzie e la scelta delle offerte di viaggio è molto ampia. Se sognate una vacanza nel Mediterraneo o se preferite partire per un viaggio negli Stati Uniti o in Canada, se amate le vacanze benessere oppure se volete dedicare il vostro tempo libero alla scoperta delle più belle città europee, di culture millenarie e di paesi ricchi di fascino, Hotelplan ha sicuramente la proposta che fa per voi. Richiedete i cataloghi in agenzia e lasciatevi consigliare. Buon viaggio!

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« Animanca ! » significa « scopri ! » :

con il passaporto dell’esploratore, ogni bambino potrà fare emozionanti scoperte. Per tutto l’anno ti darà accesso a più di 99 avventure Animanca in tutta la Svizzera. Il 22 febbraio 2012 il passaporto dell’esploratore sarà disponibile come jolly a partire da un acquisto di fr. 60.– in tutte le fifiliali liali Migros e presso Do it + Garden Migros, melectronics, Micasa, OBI, SportXX (Outdoor incl.), i ristoranti Migros e LeShop.ch. La maggior parte delle proposte sono riservate a bambini fifino no ai 16 anni. Al massimo tre passaporti dell’esploratore per ogni acquisto e solo fifino no a esaurimento dello stock. Tutte le date delle varie avventure verranno pubblicate regolarmente su www.animanca.ch

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