Ticino7

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№ 11

del 16 marzo 2012

con Teleradio 18–24 marzo

Quel bisogno di mediazione

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Insieme per un mondo piĂš giusto!

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Ticinosette n° 11 16 marzo 2012

Impressum Tiratura controllata 70’634 copie

Agorà Violenza domestica. Sotto la lente di

Letture Lo stile non (con)vince

MarCo alloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

di

GianCarlo Fornasier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Dinamiche familiari. Nel nome del padre Media Italiano. Quale lingua nel 2061? (pt.2) Sguardi Pietre. Le radici dei sensi

di

Editore

Reportage Lo spazio delle meraviglie

Direttore editoriale Peter Keller

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Fabio Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Gaia GriMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

alessio lonGo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Vitae Mario Maccanelli

Teleradio 7 SA Muzzano

Gaia GriMani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Fiabe Il pappagallo Teodoro

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Keri Gonzato; Foto di reza Khatir . . . . . . . . . . . . . .

Fabio Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Sport. Il golf al femminile

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elisabeth alli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Redattore responsabile Fabio Martini

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

4 6 7 8 10 12 14 39 46 48 50 51

Claudia Crivelli e laura Pedevilla. . . . . . . . . . . . . . .

Arti Mostre. La vetrina del freddo

Chiusura redazionale Venerdì 9 marzo

di

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Grida con me Elaborazione grafica di Antonio Bertossi

Magnifiche illusioni Il 29 dicembre 2011, poco più di due mesi fa, gli iscritti al sito Stratfor Global Intelligence, società privata di analisi geopolitica e di intelligence statunitense fondata nel 1996 da George Friedman – ex docente alla Cornell University nonché ex consulente governativo per le forze armate statunitensi –, ricevevano una comunicazione via email nella quale si annunciava che in seguito a un atto di hackeraggio gli archivi dell’agenzia di Austin (Texas) erano stati violati . Da quel momento dati sensibili riguardanti gli analisti di Stratfor e gli iscritti non erano più tutelati . Alla fine di febbraio, solo un paio di settimane fa, WikiLeaks, l’organizzazione guidata da Julian Assange annunciava di essere in possesso degli archivi di Stratfor a loro volta ceduti da Anonymous, il gruppo transnazionale di hacker responsabile del furto . Puntualmente giungeva la risposta di Friedman che, oltre a ribadire l’autonomia di Stratfor da qualsiasi ente governativo statunitense, interpretava l’azione di Anonymous-WikiLeaks come un chiaro attacco alla sua organizzazione, attuato anche attraverso una manipolazione dei contenuti delle prime email offerte in pasto a media e pubblico . Un dato è certo, gli analisti di Stratfor in quanto a finezza non ci fanno una gran bella figura, a partire dallo stesso Friedman: Assange è visto come il pericolo numero uno da neutralizzare e certo da non compiangere caso mai gli accadesse qualcosa di veramente spiacevole . Friedman contro Assange, un maestro di scenari da un lato e un paladino della trasparenza dall’altro . L’uno contro l’altro nello spazio indeterminato e labirintico che è la rete .

Come migliaia e migliaia di giornalisti in tutto il mondo, sono iscritto a Stratfor da alcuni anni così come parimenti mi capita di consultare il sito di WikiLeaks . Se i primi tendono sfacciatamente a divulgare informazioni funzionali alla tutela degli interessi economici e geopolitici statunitensi, i secondi paiono credere alla beata illusione che eliminata ogni forma di segretezza, il mondo sarebbe un luogo migliore in cui vivere . Proprio come nel noto romanzo di George Orwell . In un suo recente articolo per il settimanale “Internazionale”, Bill Keller, direttore del “New York Times” dal 2003 al 2011, in riferimento a una precedente ondata di file americani pubblicati da WikiLeaks, spiega che nulla si sa “(…) della sorte dei tanti informatori, dissidenti, attivisti e semplici curiosi citati nei dispacci statunitensi. Assange ha reso di pubblico dominio i nomi delle fonti, nonostante le forti obiezioni dei giornalisti che hanno avuto accesso ai dati e con grande sdegno delle organizzazioni di difesa dei diritti umani e di alcuni suoi colleghi di WikiLeaks. Mi dicono che alcune delle fonti sono fuggite dai loro paesi con l’aiuto di Washington e altre sono state fermate dalle autorità. Invece non si ha notizia di fonti uccise. Ma se fosse successo, l’avremmo saputo?” . Evidentemente, il cinismo è un tratto condiviso, a prescindere dai risultati che non paiono esaltanti . Infatti, prosegue Keller, non solo “la pubblicazione di quelle notizie non ha fermato la politica estera degli Stati Uniti”, ma, soprattutto, “l’intelligence statunitense sta lavorando a nuovi sistemi che dovrebbero rendere molto più difficile rivelare segreti, e più facile risalire ai responsabili delle fughe di notizie” . Cordialmente, Fabio Martini


Violenza domestica. Sotto la lente

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Agorà

L’articolo apparso lo scorso 10 febbraio nella rubrica Agorà, intitolato “Persone violente. In cerca di aiuto” a firma di Roberto Roveda ha avviato una riflessione da parte di Laura Pedevilla e Claudia Crivelli, collaboratrici di Ticinosette e attive come criminologhe nel nostro cantone. Un contributo di grande interesse rivolto soprattutto alle persone che vivono direttamente, sia come vittime sia come aggressori, questo delicato problema di Claudia Crivelli e Laura Pedevilla

I

l fatto che anche in Ticino sia stata avviata l’iniziativa per la presa a carico degli autori di violenza domestica, ambito nel quale i cantoni d’oltralpe sono all’avanguardia, rappresenta certamente un notevole passo avanti. Tuttavia, avendo esperienza diretta in quel canton Vaud di cui la signora Luisella De Martini, responsabile dell’ufficio dell’assistenza riabilitativa, loda i progetti1, abbiamo ritenuto opportuno riflettere su quanto da lei dichiarato a Ticinosette2 e chiederci se questo “primo passo” sia stato affidato al giusto servizio. Come correttamente sostiene la signora De Martini nell’articolo, il lavoro del suo servizio è da considerare come “un primo passo e con mezzi minimi” nella risposta a una delicata problematica sociale (ricordiamo a tal proposito che, in Svizzera, una donna su cinque ha subito violenza da parte del compagno3). Va però precisato che l’ufficio dell’assistenza riabilitativa è stato creato per svolgere una funzione socio-educativa nell’ambito penale (carcerazione) e post-penale (segnalazioni da parte dei Giudici dei Provvedimenti Coercitivi per persone liberate con condizionale). Gli operatori di questo ufficio vantano dunque un’esperienza pluriennale nella relazione con gli autori di reato, ma nell’affidar loro questo nuovo compito era necessario tener conto anche di altri aspetti.

Un problema specifico Gli autori di violenza domestica spesso non si riconoscono come tali, negando di avere un problema e promettono, a se stessi e alla vittima, che si è trattato di un episodio unico e non ripetibile. Questa reazione, giustificata dal ciclo stesso che caratterizza questo tipo di violenza e di cui parleremo dopo, implica un non riconoscimento di se stessi come


“criminali”. È infatti riconosciuto (vedi lavori di Christian Anglada, ViFa Losanna) che, non sentendosi tali, questi autori sono reticenti a rivolgersi a un servizio che, appunto, si occupa di criminali e persone in detenzione. Per far fronte a questo problema, che limita le possibilità di presa a carico, negli altri cantoni sono stati creati dei servizi appositi per la violenza domestica. Nel canton Vaud per esempio, gli autori possono rivolgersi a questi centri specializzati, aperti 24 ore su 24, su ordine del giudice4 o di loro spontanea iniziativa. Come ricorda giustamente la signora De Martini, è importante poter dare a queste persone uno spazio d’ascolto, di sfogo verbale che, a volte, rimpiazza addirittura lo sfogo fisico sul compagno/a. Il che porta inevitabilmente a una seconda considerazione. Dall’idillio al tormento Come accennato prima, la violenza domestica segue un ciclo che si presenta in quattro fasi: le tensioni create in un primo momento si trasformano in aggressione vera e propria. Dopo la violenza, interviene una fase di razionalizzazione (giustificazioni, scuse) seguita dalla fase detta di “luna di miele” in cui intervengono remissione, riparazione, speranza e perdono. Purtroppo, quest’ultima fase è poi seguita da nuove tensioni e nuove aggressioni. Questo ciclo è di durata variabile e può completarsi anche nell’arco di un solo giorno. È riconosciuto che i picchi di violenza si presentano durante il fine settimana e il sabato sera5. La segnalazione arriva però all’ufficio dell’assistenza riabilitativa solamente il lunedì mattina, all’apertura degli uffici. Benché l’operatore sociale possa dunque contattare “immediatamente” l’autore, con molta probabilità la coppia sarà già nella fase di razionalizzazione o di luna di miele, il che renderà ancor più difficile il riconoscimento del problema soprattutto per la riluttanza dell’autore ad accettare forme di aiuto. Un servizio, o almeno una linea telefonica, aperto 24 ore su 24 sembra dunque essere una condizione essenziale per una corretta presa a carico del problema. Questa convinzione nasce anche dalla collaborazione con agenti di polizia ticinesi, che esprimono difficoltà concrete durante i loro interventi, di fronte alla necessità di allontanare l’autore senza però sapere quale luogo indicare per un pernottamento d’urgenza in assenza di soldi o familiari/amici disponibili. Modalità diverse Una terza considerazione, che ci obbliga a riflettere sulla direzione presa dal nostro cantone in materia, riguarda la difficoltà nell’identificare vittime e autori. Come riferisce già la polizia, a volte è difficile stabilire facilmente chi è l’autore e chi è la vittima. Per gli agenti di polizia, una situazione del genere pone il problema di chi allontanare. Per gli operatori dell’ufficio dell’assistenza riabilitativa, il rischio diventa quello di prendere in carico qualcuno che, segnalato inizialmente come autore, si rivela essere in realtà la vittima. Il tal caso, la persona sarà indirizzata ad altri servizi appositi, ma ciò allunga l’iter di presa a carico, prolungando le sue sofferenze. Questo problema è riconducibile all’esistenza di due tipi distinti di relazioni violente all’interno di una coppia: le coppie dette a transazione violenta e le coppie a violenza complementare6. Nelle prime, la violenza è simmetrica, bidirezionale, anche se può assumere forme diverse tra moglie e marito. Gli attori sono coscienti della violenza, e nel ciclo gioca un ruolo

fondamentale il sentimento di colpa, motore della riparazione a corto termine ma centrale nel pericoloso rischio di banalizzazione della violenza. Nella seconda invece, la violenza è unidirezionale e più intima: il diritto all’alterazione è negato dal partner violento, che si sente superiore. La vittima è annullata, non riconosce il problema e lo nasconde. La violenza è intensa, imprevedibile, senza tregua con conseguenze fisiche e gravi danni psicologici. In alcuni casi fino a condurre al decesso. Senza voler scendere nei dettagli dei meccanismi, appare chiaro che i fattori centrali del passaggio all’agito sono diversi e ben distinti tra le coppie a transazione violenta e quelle a violenza complementare. Allo stesso modo, come sostiene la stessa signora De Martini, le dinamiche psicologiche, il tipo di passaggio all’atto e le caratteristiche della violenza commessa da autori uomini differiscono largamente da quelle della violenza commessa da donne7. I professionisti che vogliono assumersi il compito di affrontare la problematica della violenza domestica devono, a nostro parere, seguire corsi di formazione specifici, approfondendo il fenomeno e le varie forme di violenza possibili. Come infatti fa notare la signora De Martini, non esiste un “tipo di autore”. Va aggiunto dunque che le situazioni possono essere molteplici e, vista quest’eterogeneità, è essenziale che chi interviene sia in grado di riconoscere e isolare i meccanismi alla base della violenza in ogni singola coppia in esame. D’altro canto, questo è esattamente ciò che viene fatto negli altri cantoni, dove esistono servizi ad hoc composti da personale formato nel settore. In conclusione, riteniamo che la soluzione di presa a carico delle persone violente a livello cantonale, benché meritoria e indispensabile, sia ancora non ben focalizzata sul problema in termini di preparazione specifica e di organizzazione del servizio. È giunto il momento che questa prima esperienza, con i suoi meriti e gli ostacoli incontrati, venga analizzata da una commissione esterna cantonale composta da esperti del settore8, in modo da delineare gli obiettivi e pianificare futuri e mirati programmi di intervento. note 1 Vedi “10 ans de lutte contre la violence domestique dans le canton Vaud” di Hofner, Stalder, Pedevilla, Detraz e Saturno, su www.crimen.ch. 2 Ticinosette n. 6/2012; www.issuu.com/infocdt/docs/n_1206_ti7. 3 Dati tratti da “Violence interpersonnelle et santé publique”, Marie-Claude Hofner, medico della salute pubblica, centro universitario romando di medicina legale. 4 Dal primo aprile 2004, in Svizzera, i reati commessi nell’ambito domestico, a partire dalle vie di fatto (art. 126 CP), sono perseguibili d’ufficio (automaticamente) e non più a querela di parte (il che implicava una denuncia da parte della vittima). Dal primo luglio 2007, il Codice civile prevede inoltre l’allontanamento, cioè la possibilità, soprattutto se su richiesta della vittima, di allontanare l’autore dal domicilio. Benché il Codice civile, come dice la signora De Martini, rimane centrale, è sbagliato affermare che “nella maggior parte dei casi” il Codice penale non interviene, in quanto esso è interpellato in tutte quelle situazioni in cui si è superata la semplice discussione verbale (il che include anche la “semplice” sberla). 5 Per maggiori dettagli leggere “Swiss Crime Survey” di Killias, Haymoz e Lamon, Stämpfli Editions. 6 Esiste una terza categoria di coppie violente, in cui domina la cosiddetta “emprise”, interdipendenza patologica tra autore e vittima. Visto lo scopo del presente commento, non abbiamo ritenuto opportuno dettagliare anche questa terza forma di violenza, più rara. 7 Per maggiori informazioni sulla violenza commessa dalle donne nei confronti dei mariti, vedasi “Violence conjugale: et si c’était-elle?” su www. crimen.ch. 8 Vedi Commission Cantonale de Lutte contre la Violence Domestique (CCLVD), Canton Vaud.

Agorà

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La vetrina del freddo Nostalgia della neve e dell’inverno? Sino alla fine di aprile la Kunsthaus propone una passeggiata lunga oltre cinque secoli tutta dedicata alla stagione del letargo. Una mostra “trasversale” che pare però avere dimenticato il Ticino di Giancarlo Fornasier

Arti

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Il clima e i suoi cambiamenti sono stati per settimane al centro presente anche in alcuni pittori ticinesi. Rimarrete però delusi di un inatteso “dibattito” cantonale tra insigni giornalisti e se pensate di recarvi a Zurigo e ammirare, per esempio, Funerale acuti lettori. Ma i cambiamenti climatici non sono materia per bianco (1901) di Edoardo Berta. Vi “consolerete” con Giovanni improvvisate conclusioni, tanto che a qualcuno di voi potrebbe Segantini o le classiche rappresentazioni innevate di Bruegel il capitare di visitare Una favola invernale non con il cappotto di Vecchio e di Monet. O ancora con alcuni esponenti della sterstagione ma in maniche di camicia. Inaugurata a febbraio e pro- minata scuola del Nord... oltre a decine di altre tele, dipinti su veniente direttamente dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, legno, vere slitte, ecc. Ma i nomi ticinesi brillano – purtroppo e l’originalità dell’esposiziolo diciamo con un pizzico ne sta proprio nel tema di campanilismo – per la che la contraddistingue: loro assoluta assenza. l’inverno, il tempo del riQuesto significa che alla poso, dell’uomo e della mostra zurighese mancano terra, prima che i processi alcuni “pezzi fondamenindustriali sconvolgessero tali” dell’arte europea? definitivamente il senso Assolutamente no; certo delle stagioni e il loro cariche, accanto al carro che co simbolico e metaforico. si allontana sotto una fitta “L’inverno giunse sulla terra nevicata del belga Alfred come punizione e flagello” W. Finch (Die Vorstadt im recitano le note introSchnee, 1886) e l’intimo duttive alla mostra. “Fino Die Eisvögel (1890/’91) di al Medioevo il suo sopragÈmile Claus, crediamo che giungere metteva in pericolo le enigmatiche fanciulle l’approvvigionamento umavestite di bianco di Berta no e la salute di una società sarebbero state un ottimo fondata sull’agricoltura e anello di congiunzione Plinio Colombi, Paesaggio invernale (1906), olio su tela Museo Civico Villa dei Cedri, Bellinzona dipendente dalla natura”. tra le ottocentesce ricerTra strade innevate, corsi che simboliste e la Wind’acqua ghiacciati, scene di vita e allegorie, l’esposizione è do- ternebel (1910) di Giovanni Giacometti (padre del più noto minata dagli esterni imbiancati e dai paesaggi ghiacciati, visioni Alberto). Per la verità nemmeno il locarnese Filippo Franzoni corali/teatrali, drammi (Jean-Pierre A. Antigna, Eine arme Frau, avrebbe sfigurato, e un confronto a distanza tra il suo Bosco XIV sec.) e riletture idealizzate: come nelle suggestive tavolette di dell’Isolino - Autunno (1888-’91) e Morgendliches Sonnenlicht auf Hendrick Avercamp, pittore olandese non udente “specializza- dem Schnee (1895) di Camille Pissarro – opera presente alla tosi” nella rappresentazione scenografica di un’esistenza fatta di Kunsthaus – siamo certi convincerebbe anche molti di voi. lavoro quotidiano ma anche di divertimento (Winterlandschaft Merito dei curatori è stato quello di aver portato in Svizzera mit Windmühle, 1610/1620). opere rare, un aspetto autocelebrativo ampiamente segnalato nel Per molti secoli dimenticata da artisti e committenti – tra brutti ricco catalogo; ne è un esempio la distesa innevata di Schifahrer presagi e cieli plumbei ben riassunti nella tela del bellunese Mar- auf einem schneebedeckten Hügel (1894) del norvegese Frits Thauco Ricci (1730) o nelle numerose rappresentazioni dell’esercito low. Ma chissà, forse sarebbe stato meno complesso mostrare al di Napoleone perduto nell’inverno russo –, a partire dalla fine pubblico svizzero tedesco Paesaggio invernale di Plinio Colombi del XVIII secolo la stagione più fredda dell’anno verrà rivalutata (nell’immagine), un pregevole olio di 130x170 cm di proprietà anche attraverso la realizzazione di opere mobili e arredi, come della Confederazione e oggi parte della Collezione di Villa dei le ceramiche e i trofei visibili alla Kunsthaus. Cedri a Bellinzona. Che certo non sarà il Louvre, però… Il vizietto campanilista Un paese come il nostro – classica meta di un turismo votato alla montagna e alle sue cime – ha da sempre avuto uno sguardo privilegiato sui suoi “candidi paesaggi”. Un aspetto

la mostra Wintermärchen - Una favola invernale. Winter-Darstellungen in der europäischen Kunst von Bruegel bis Beuys Sino al 29 aprile. Kunsthaus Zürich, Heimplatz 1, 8001 Zurigo tel. 044 253 84 84; www.kunsthaus.ch.


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Lo stile non (con)vince

» di Marco Alloni

Q uesto volume, apparso oltre una decina di anni fa, è nari di grande caratura individuale: personaggi divertenti un’opera costruita per frammenti di vita quotidiana secondo presentati con un’abile tessitura di dettagli e che strappano un modus narrativo che rimanda a un certo minimalismo più di un sorriso invitandoci a partecipare al disincantato all’italiana. Un libro – come accade spesso e tragicomico mondo del protagonista, al romanzo contemporaneo della Penisola lo stesso autore. Uno di questi è l’Angelo –, stilisticamente bello ma dal contenuto Karmelo, surreale intermediario fra lo piuttosto insignificante. Un testo la cui soscrittore e un’immaginifico empireo di la cifra di qualità (a modo suo importante) Critici celesti che ne valutano di volta in risiede nell’originalità linguistica. volta, con sicuro effetto comico, la proIn questo “diario” senza storia, in questa duzione. Un altro personaggio – e dal mio storia senza grandi disvelamenti né essenpunto di vista il più riuscito del libro – è il ziali agnizioni, Paolo Nori racconta i suoi filosofo Gianni Vattimo, presentato come esordi di scrittore – anche l’autorefenziaun alcolista astruso e incomprensibile il lità è tipica della narrativa italiana – e il cui allievo avrebbe sottratto all’autore la contrasto fra la sua aspirazione e passione fidanzata, Bassotuba. Un Vattimo il cui di creativo e la banale routine del suo pensiero debole sembra stagliarsi come lavoro di magazziniere e di interprete da l’ideale contraltare metafisico alla vita lingue slave. Niente di trascendentale né tutta sostanza e pragmatico realismo del di particolarmente innovativo. Senonché protagonista. Bassotuba non c’è la scrittura compensa la pochezza del È questo dunque un romanzo importante? di Paolo Nori plot – come si dice in gergo – e restituisce Lo è certamente nella cifra stilistica, a suo Feltrinelli, 1999 ai lettori una pagina ricca di invenzioni modo unica nel panorama italiano e dotasintattiche contrassegnata da una sapiente combinazione ta di guizzi di intelligenza non comuni. Ma un romanzo la fra linguaggio parlato e prosa letteraria. cui originalità narrativa non sortisce altro effetto che quello Altro pregio di Bassotuba non c’è, sempre su un piano for- di farci rimpiangere opere forse meno elaborate ma in grado male, è quello della creazione di personaggi veri e immagi- di offrire una diversa visione del mondo. SIMPLY CLEVER

ŠKODA Superb Combi

L’ammiraglia nel rapporto qualità-prezzo

La ŠKODA Superb Combi: prospettive fantastiche per tutti coloro che desiderano far convergere nella guida al più alto livello un eccellente comfort, una grande prestazione e un’elevata qualità di finiture. Da brava compagna di viaggio sa portare ovunque l’entusiasmo alle stelle, emergendo dalla massa non appena fa la sua entrata in scena. Ad esempio grazie al suo motore dinamico TSI benzina o TDI diesel, alla sua trazione 4x4 oppure alle versioni ecologiche GreenTec e GreenLine. L’abitacolo estremamente spazioso è inoltre semplicemente impressionante. Il tutto con un interessantissimo rapporto qualità-prezzo. La ŠKODA Superb Combi è disponibile già a partire da CHF 36’040.–* oppure a partire da CHF 319.– per mese**. Lasciatevi convincere in occasione di un giro di prova presso il vostro partner ŠKODA. www.skoda.ch * Prezzo netto di vendita raccomandato IVA dell’8% inclusa. ŠKODA Superb Combi Active, 1.4 l TSI, 92 kW/125 CV, 5 porte. Consumo di carburante totale: 6.9 l/100 km, emissioni di CO 2: 159 g/km, categoria di efficienza energetica: D. Immagine: ŠKODA Superb Combi Elegance, 1.8 l TSI, 118 kW/160 CV, 5 porte. Prezzo di vendita netto raccomandato: CHF 45’280.– IVA dell’8% inclusa. Consumo di carburante totale: 7.3 l/100 km, emissioni di CO2: 171 g/km, categoria di efficienza energetica: E. Valore medio di tutte le nuove vetture in Svizzera: 159 g/km. ** Esempio di leasing, finanziamento tramite AMAG LEASING AG: ŠKODA Superb Combi Active, 1.4 l TSI, 92 kW/125 CV, 5 porte. Tasso di leasing effettivo: 3.97% (durata: 48 mesi/10’000 km/anno), prezzo di acquisto in contanti: CHF 36’040.–, pagamento straordinario: 20% del prezzo di acquisto in contanti, rata di leasing: CHF 319.95/mese, assicurazione casco totale obbligatoria esclusa. Con riserva di modifiche in qualsiasi momento. Tutti i prezzi si intendono IVA dell’8% inclusa. La concessione del credito è vietata se causa un eccessivo indebitamento del consumatore. Azione leasing valida per richieste di leasing entro il 30.4.2012.


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Nel nome del padre Sui ruoli familiari nel corso degli ultimi decenni, psicologi e sociologi hanno scritto moltissimo, anche se forse è mancata una riflessione sui danni della conflittualità fra padri e figli di Fabio Martini

Società

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Una delle novità di rilievo nell’ambito della più recente zione dei nostri costumi contemporanei è incomprensibile se produzione televisiva statunitense è certamente la serie Mad si trascura questo prodigioso ingigantire del sentimento famiMen ideata dallo sceneggiatore e regista Matthew Weiner e liare. Non è l’individualismo che si è affermato, è la famiglia. andata in onda in Europa a partire dal 2008. Ambientata nel Ma la famiglia si è estesa nella misura in cui si contraeva la socievomondo delle agenzie pubblicitarie di Madison Avenue, nella lezza. Tutto si svolge come se la famiglia moderna si sostituisse alle New York nei primi anni Sessanta, la serie, che ruota attorno vecchie relazioni sociali che vengono meno per consentire all’uomo alla figura del direttore creativo Don Draper, si distingue per di sfuggire a un’insostenibile solitudine morale”. la ricercatezza dei testi, lo scavo psicologico dei personaggi e La famiglia, come nucleo sociale e affettivo al cui interno si soprattutto per la capacità di restituire stabiliscono relazioni nuove e non più l’immagine di una società a noi vicina ispirate solo alla trasmissione del nome ma per molteplici aspetti profondamente e del patrimonio, inizia ad affermarsi diversa da quella attuale. Draper, il cui nel corso dell’età moderna e, più in passato nasconde un’infanzia difficile e specifico, a partire dal Seicento. È in un inconfessabile segreto, è sposato con questo secolo che, grazie al diffondersi la bellissima Betty da cui ha avuto due del pensiero pedagogico e moralista, figli che possiamo immaginare essere gradualmente si va stemperando l’anarnati nella seconda metà degli anni Cinchia sociale che aveva contrassegnato quanta. Di fatto potrebbero essere miei l’età medievale. Un percorso che porta coetanei. Numerosi sono i fenomeni all’idea della famiglia moderna intesa sociali che la fiction evidenzia: la compecome luogo “d’intimità e anche d’identitizione sociale e professionale, i rapporti tà: i membri della famiglia sono legati tra uomo-donna, la condizione femminile, loro dal sentimento, dall’abitudine, dal la sessualità, la famiglia. Le figure patergenere di vita”, per citare ancora Ariés. ne, Draper in primis, mantengono una Un percorso che nel corso degli ultimi sorta di costante distacco rispetto alla decenni ha subito nuove e importanti propria prole, manifestando una cronica mutazioni, soprattutto per quanto conAntonio Ciseri, La famiglia Bianchini (1854) particolare, Collezione privata, Siena incapacità di relazionarsi affettivamente cerne i ruoli genitoriali che appaiono con i propri figli che si muovono come contrassegnati da contorni sempre più in una sorta di sfondo. Il ruolo professionale, il prestigio che sfumati e intercambiabili. Emancipazione femminile, crisi del ne deriva, le prerogative che da esso scaturiscono dominano maschile, responsabilità economiche condivise, perdita di ausu tutto: sulle relazioni coniugali e familiari, sul ritmo della torevolezza, tendenza a delegare le funzioni educative… tutti quotidianità, sulla comunicazione familiare. Il rapporto padre- eccellenti argomenti, peraltro reiterati all’infinito per tentare figli ne è letteralmente travolto e assoggettato. Certamente il di spiegare cosa siano la famiglia e la genitorialità oggi. clima del dopoguerra e il sentimento, unanimemente avver- La realtà è che in fondo essere genitori, e nello specifico padri, tito, di essere parte della più grande ricostruzione della storia è sempre frutto un’improvvisazione sul canovaccio che noi umana svolgono un ruolo centrale. Altro recente esempio ci- stessi abbiamo in precedenza sperimentato come figli, una nematografico di paternità è quello offerto da Terrence Malick traccia da cui però si deve avere il coraggio di distanziarci nel suo recente Tree of Life (2011), in cui la figura tormentata quando riconosciamo in noi stessi gli aspetti peggiori dei e autoritaria interpretata da Brad Pitt ben restituisce il clima nostri padri. Per trasformare l’autorità in autorevolezza, la familiare che si viveva in quegli anni. Uomini interiormente limitazione della libertà in possibilità di scelta e in assunziorigidi, assorbiti dalla propria funzione, incapaci di lasciarsi ne di responsabilità, la vicinanza in scambio affettivo. Per andare ai sentimenti. Ma al contempo capaci all’occasione di “cambiare” il padre. Per non arrivare mai a pensare, come imporsi, di lasciare, nel bene e nel male, un segno. scrisse Eugene Ionesco nel suo dramma “familiare” Vittime del dovere: “Avremmo potuto essere buoni amici… Guardami… Figli dei tempi Ti assomiglio… Ho tutti i tuoi difetti”. In un suo celebre saggio (Padri e figli nell’Europa medievale note e moderna, Laterza, 2006) il medievalista e filosofo fran- Immagine tratta da: Arte in Ticino 1803–2003, Vol. 1, a cura di Rudy Chiappini, cese Philippe Ariés (1914–1984) scriveva: “Tutta l’evolu- SalvioniEdizioni, 2001


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Quale lingua nel 2061? Quali sono le prospettive future dell’italiano nel nostro paese come lingua nazionale? Proseguiamo la riflessione avviata nello scorso numero di “Ticinosette” a seguito dell’ultimo Congresso Internazionale della Società Dante Alighieri svoltosi a Torino di Gaia Grimani (seconda parte)

Guardando

Media

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allo stato attuale della lingua italiana non vi sono solo problemi, ma anche aspetti positivi: l’italiano che ha avuto essenzialmente una storia di lingua scritta, fatta dagli scrittori, sembra attualmente, almeno secondo Nicoletta Maraschio, Presidente dell’Accademia della Crusca, svilupparsi ed evolvere soprattutto oralmente, grazie ai cittadini che lo parlano, compresi i tanti migranti che l’hanno imparato e forse, con i loro figli, lo espanderanno fuori dai confini italiani. A ciò si aggiunge l’accesso sempre più diffuso a internet, che può consentirne un’ulteriore valorizzazione attraverso la rete. “D’altra parte, a proposito di internet”, aggiunge Vercesi, condirettore di “Io donna-Corriere della Sera”, “non c’è dubbio che fra i grandi artefici dell’espressione linguistica si debbano annoverare i giovani: essi sono fra i più numerosi utenti della rete, degli smart phone e di tutti quei mezzi che richiedono velocità: ciò ha provocato un’ulteriore semplificazione e corruzione del linguaggio perché la comunicazione oggi è più veloce e meno dispersiva. È un inevitabile segno dei tempi che però non deve preoccupare più di tanto”. Secondo Vercesi, anzi, dobbiamo minimizzare paure e spau-

Dante Alighieri, scultura di Ettore Ximenes (Meridian Hill Park, Washington)

racchi che hanno caratterizzato l’approccio a questi problemi nel passato: “negli anni Settanta, per esempio, si imputava ai giovani gran parte dell’impoverimento del linguaggio che sempre più ne adottava frasari ed espressioni introducendoli nell’uso comune e, inoltre, si paventava il cosiddetto burocratese, che, imponendosi, avrebbe costretto in 50 anni chi parla italiano a esprimersi in un modo simile a quello riportato nei rapporti della questura. Tutto ciò alla fine non è avvenuto (anche se in qualche esercizio pubblico mi è capitato di leggere: si effettuano panini). Invece c’è stata la televisione che per decenni ha fatto crescere la coscienza dell’unità nazionale attraverso la lingua, anche se, negli ultimi vent’anni, l’ha tendenzialmente corrotta, appiattita, immiserita, sottraendo alla parola il suo valore etico”. Come rimediare a questo reale pericolo? Secondo Vercesi mantenendo saldo il principio di un’educazione umanistica che è sempre stata la forza della tradizione culturale italiana. Parole in adozione In fondo, a ben vedere, sono state le lettere e non gli eserciti a diffondere l’italiano. L’affermazione della lingua italiana nei secoli è dovuta ai capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio e di tanti altri; solo un’educazione e un’istruzione umanistiche che approfondiscano i valori che questi scrittori convogliano nelle


loro opere, possono vincere la battaglia contro le semplificazioni, gli immiserimenti, l’appiattimento espressivo. A questo proposito vale la pena di segnalare un’iniziativa singolare lanciata da quattro dei più importanti dizionari dell’uso dell’italiano contemporaneo: Devoto Oli, Garzanti, Sabatini Coletti e Zingarelli e promossa dalla Dante Alighieri nel corso del recente Congresso di Torino. Tale iniziativa è stata battezzata “Adotta una parola” e nasce dalla constatazione che gli studenti di oggi spesso hanno difficoltà di carattere lessicale e, per esempio, non conoscono la differenza tra esterrefatto e stupito, credono che tergiversare significhi “detergere in profondità” o che esecrabile abbia a che fare con le ghiandole endocrine. Per rimediare a questo perché non adottare una parola in via di estinzione? “L’adozione potrebbe sembrare una bizzarria, invece costituisce un’opportunità non solamente didattica, che sensibilizza a un uso corretto e consapevole delle parole, favorisce una conoscenza più ampia del lessico, monitora l’uso di alcuni termini, e promuove la varietà dell’espressione nel mondo della comunicazione globale”, ha affermato il linguista Massimo Arcangeli, Responsabile scientifico del Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri (PLIDA). Ma come si può procedere all’adozione? Sul sito della Società Dante Alighieri (www.ladante.it) ogni partecipante, dopo essersi registrato, potrà candidarsi come custode di una parola a scelta, selezionandola dalla lista disponibile sulla pagina dedicata al progetto. Potrà inoltre sottoscrivere una dichiarazione simbolica nella quale s’impegna, per un anno, a promuovere la parola quando ne ha l’occasione, invitare gli amici a partecipare, monitorarne l’uso attraverso vari canali, segnalandone utilizzazioni non appropriate o nuovi significati rispetto a quanto documentato dai dizionari. Le parole più adottate? Zuzzurellone e desueto e oltre 20.000 adozioni in pochi mesi. Un’iniziativa fra tante per conservare il patrimonio linguistico e sollecitarne un uso più consapevole che potrebbe interessare anche il nostro cantone e favorire l’arricchimento lessicale dei suoi abitanti. Un fattore di civiltà Ma come guarda al 2061 l’italiano parlato in Svizzera? In alcuni cantoni se ne è abolito lo studio e nella Svizzera interna l’inglese guadagna facilmente punti nei confronti delle lingue nazionali. Che situazione ci attende? Quali prospettive? Lo abbiamo chiesto, a conclusione di questa nostra scorribanda attraverso l’italiano del futuro, a Stefano Vassere, docente di linguistica generale nell’Università degli Studi di Milano. “Fare della «sociolinguistica prognostica» non è evidentemente impresa comoda” ci ha risposto Vassere, “ma si può pensare però a qualche fatto che potrà avere un ruolo. Andranno rivalutati i rapporti con la madrepatria linguistica, oggi tutt’altro che intensi, e constatata la tendenza fattuale dell’italiano a ritirarsi (sul piano svizzero) all’interno del territorio e della regione storica, il Ticino in particolare. Si dovranno quindi coltivare maggiormente rapporti autentici, e non solo declamatori e rivendicativi, con il resto della Svizzera. Un’attenzione particolare andrà infine ai nuovi trafori alpini e a quale o quali saranno, con il Paese più a portata di mano, le lingue dell’AlpTransit”. Si può coltivare la speranza che la Svizzera si renda conto della ricchezza di civiltà che sottende alla terza lingua nazionale e non vi abdichi in nome della comodità dell’uso dell’inglese, perché questa ricchezza gli appartiene e – insieme a quella rappresentata dal francese, dal tedesco e dal romancio – fa di questo pezzetto d’Europa qualcosa di unico e di esemplare a cui tutti dovrebbero ispirarsi.

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Pietre. Le radici dei sensi testo di Alessio Longo; fotografie di Daniela Brandino

più che un utensile profilandosi come un tramite, un oggetto di dialogo e di suggestione. Attraverso le forme antropomorfe delle pietre l’uomo ha riconosciuto le sue divinità. In questo senso la pietra è presente in tantissimi culti: da Stonehenge alla Pietra nera della Ka’ba, dalla pietra della Crocifissione alla pietra filosofale, l’elenco è infinito. È opportuno notare come queste pietre non sempre necessitano di lavorazioni particolari, ma sovente vengono contemplate per il fatto stesso di esistere. La loro esistenza è strettamente legata alla memoria e questo perché la vita di una pietra è estremamente lunga; un’evidenza in netta contrapposizione con l’effimera esistenza dell’uomo. Non è un caso se, per conservare il più a lungo possibile un evento, questo è simbolicamente inciso “nella/sulla pietra”.

Sguardi

12 Talvolta capita che il nostro sguardo venga improvvisamente

catturato dalla pietra di un muro o dal sasso che stiamo per calpestare, dalla lastra di marmo che definisce un gradino o ancora da un piccolo ciottolo colorato sul fondo del greto di un fiume. È un momento breve ma inatteso; come se una forza tra il magnetico e l’ipnotico ci attraesse precisamente verso quel sasso, quella forma, quella sfumatura. In quel preciso isrtante l’oggetto si rivela tra tutte le altre cose, quasi ci parla e noi, osservandolo, ci troviamo immersi nei nostri pensieri a dialogare intimamente con noi stessi. Se ci lasciassimo andare ai nostri istinti avremmo certo il desiderio di toccare quella pietra, di raccoglierla, prenderla nelle nostre mani, assaggiandone la consistenza, le “qualità” con altri sensi che non siano la vista. Nei più piccoli – giovani menti meno soffocate dalle convenzioni – il fenomeno è palese e chi ha già passeggiato lungo un corso d’acqua con un bambino avrà notato la sua irresistibile tentazione a raccogliere i “sassi”, oggetti unici con i quali egli stabilirà da subito un profondo legame. Parole di pietra Quello dell’uomo e della pietra è un legame antico e profondo, tanto profondo da rendere difficile immaginare l’uomo senza pietra. Quando la pietra era anche utensile e arma, la sua scelta, la valutazione delle sue caratteristiche e la cura messa nella sua lavorazione – o nella semplice custodia – erano aspetti fondamentali dell’esistenza. In verità, la pietra è sempre stata molto

Leggere il futuro nel passato La pietra oltre a conservare, “interpreta”: un’altra sua fondamentale caratteristica è infatti la possibilità di raccogliere e ridarci la luce, il senso del colore e i riflessi, che ai nostri occhi diventano meraviglia e bellezza. Tra i primi pigmenti utilizzati per colorare, le polveri provenienti dalla macinazione di pietre con particolari cromie erano le più diffuse: come per esempio il lapislazzulo, una pietra azzurra che una volta polverizzata dà una cormia associabile al cielo... come se dalla terra fosse stato possibile estrarre un pezzetto di infinito. Nell’immaginario comune la veggente legge il futuro in una sfera di cristallo (il cristallo è una pietra), come se fosse proprio quella conformazione trasparente a mostrarglielo. Allo stesso modo, pietre meravigliose e colorate adornano arredi, e non solo sacri: ancora oggi la pietra nelle abitazioni private è un lusso, ma anche un vero godimento estetico, basti pensare ai pavimenti in marmo oppure alla semplice bellezza (e praticità) dei piani di lavoro in cucina. Come da sempre accade, la pietra ci parla. Magari lo fa quando siamo un po’ distratti e lasciamo che i colori accompagnino i nostri pensieri. Ricordo che da bambino, a scuola, mi soffermavo a guardare i sassolini colorati all’interno del cemento, resi visibili per esempio da un taglio lucidato del muro grigio. Ma capita anche di pensare a quante gemme colorate tacciono nella malta grigia dei palazzi inglobati in una struttura architettonica che farà il suo tempo e sparirà. Tuttavia i sassi, lo sappiamo, loro no, non hanno fretta e quieti esistono.



» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Igor Ponti

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Mario Maccanelli

Vitae

non ho più un impegno fisso, inizio la giornata quasi sempre verso un quarto alle sette, facendo colazione con mia moglie e guardando una candela accesa. Regolarmente do un’occhiata al giardinetto davanti alla porta di casa, per scoprire un fiore che sboccia, un’erba che cresce, una foglia caduta. M’impegno a non stare troppo a lungo seduto davanti al PC. Meteo permettendo, almeno due volte la settimana faccio un’escursione, anche minore, e nella stagione bella regolarmente lavoro nell’orto e in giardino. E poi ci sono i nipotini (“sei il mio nonno preferito”: adulatori!) ai quali dedico il tempo Attivo nella comunicazione, innamorato che ho fatto mancare ai figli. della montagna, ritiene che l’essenza del- La sera, rigorosamente, lettula vita sia creare una comunione con gli re. Televisione? Mediamente dieci minuti al mese. umani, gli animali e i vegetali Tutti i miei interessi sono riconducibili all’essenza della imparato, e non dimenticato, mia professione: comunicare, creare una un metodo di lavoro che mi comunione. Vale per le fotografie, i filmati, la permette di non pascolare fra filatelia, l’escursionismo. Vale quando col vile fresche frasche e di guadadeo racconto com’è nato l’arcobaleno, come gnare tempo, lavorando. in montagna ogni zona ha i suoi fiori tipici, Forse la solitudine dell’adolecome San Teodulo è diventato il protettore scente, forse l’incapacità fisica dei Valser. Vale quando faccio raccontare ai di parlare con i compagni di francobolli la vita di San Gottardo, la scoperta scuola di Olivone mi hanno della Svizzera, la storia della fotografia, la preindotto a occuparmi intensenza di personaggi illustri in Ticino. Valeva samente di comunicazione. quando, anni fa, capo gita degli Amici della Dopo aver lavorato per il cannatura, portavo escursionisti a scoprire la tone, come economista prima montagna bucata, il fiume scomparso nella e segretario di concetto poi, montagna, il laghetto appena nato, la scarsono approdato in banca dove petta di Venere, il fiume che esce dal fianco avrei potuto scegliere tra anadella montagna, la croce di sasso, ecc. lisi finanziarie e marketing-PRDel contatto con la natura mi attira la diverstampa. Avessi scelto la prima sità delle specie, l’armonia che regna fra gli strada avrei capito quali titoli elementi (quando non è disturbata da intercomperare in borsa per far ferenze umane), il sentirsi parte di un insieme crescere il borsello, invece mi molto più grande. Ne apprezzo il silenzio sono arricchito di esperien(Stille), l’assenza di rumori, non l’assenza di ze umane resistenti a tutti i comunicazione. Mi piace il ridimensionacrolli. mento dell’uomo nella grande arena del crePer anni sono uscito alle sei ato. Ricordo una foto di Ely Riva, il ghiacciaio e mezzo del mattino per ridel Cassimoi, con un piccolo puntino rosso. entrare tardi. Sabato e doSono io, o meglio, la mia giacca a vento! Mi menica occupati con eventi, piace avere un po’ di paura e poi riuscire a sponsorizzazioni, premiazioni, vincerla, magari con l’aiuto di un amico. Mi qualche volta anche escursioattira l’inspiegabile. Osservare la mia ombra ni per riconoscere i percorsi proiettata su un mare di nebbia, circondato per i laghetti alpini, prima di da un alone dai colori dell’arcobaleno: spettro produrre gli opuscoli tuttora di Brocken. noti e apprezzati. Ma mai la Quando giungo in cima a una vetta, ma percezione di disagio. La bianche solo su una cresta mi capita di ingilancia pendeva sempre dalla nocchiarmi: non so se è il cielo a venirmi parte del piacere. Adesso che incontro o se sono io a salire in alto.

»

S

ono nato il giorno in cui mia madre ha fatto il bucato e in cui, sulla strada per l’ospedale, ha incontrato uno spazzacamino. Buon segno. Era il primo pomeriggio del 23 febbraio e in Europa si aspettava non la mia venuta, ma la pace e la fine della seconda guerra mondiale. Dell’infanzia ho ricordi belli e meno belli: a Vals andavo in giro con Ludwig, il pastore delle capre. Sempre a Vals, alla cappella di San Pietro, sopra un dirupo, cresceva una genziana asclepiadea che volevo ammirare da vicino e mia sorella, impaurita, urlava (in Schwyzertütsch “nit gang döta”) non andar là. Una volta all’anno si prendeva il treno rosso che da Coira porta a St. Moritz. Non dovevo ancora pagare il biglietto e così potevo andare con la zia, a trovare mio nonno materno al cimitero: era morto quando la mamma aveva appena tre anni. Il Kornplatz di Coira. Alois Carigiet stava dipingendo la facciata dell’edificio Globus, mia sorella e io portavamo all’Ufficio esecuzioni fallimenti le posate d’argento della mamma. Pignoramento. A casa, la mamma piangeva. Non capivo. Allora. Nelle mie scelte tante persone importanti e tante lezioni di vita. Mia madre: leggere ed essere sensibile alle debolezze degli altri; la zia: scarpinare; lo zio materno: la prima lezione di fotografia, il primo apparecchio fotografico, la prima camera oscura. Non ho scelto il percorso di studio, sono andato per eliminazione. Ho frequentato la Scuola di commercio a Bellinzona, perché le mie incompetenze linguistiche precludevano magistrale e liceo. Infatti la famiglia si era da poco trasferita in Ticino. Se fossi rimasto a Coira, avrei scelto un curriculum più umanistico: storia, antropologia. Sono poi andato a San Gallo, all’università, dove ho acquisito e dimenticato un sacco di conoscenze sui cicli congiunturali, sui modelli di previsione economica, ma ho anche


Un sito sacro votato agli dei dell’architettura e del design, dove i sogni si trasformano in materia concreta. Attraversandolo ci si sente partecipi di un mondo magico in cui ogni elemento è parte integrante di un disegno perfetto. Questo è il sentimento che si prova camminando tra le strutture chiare del Vitra Campus, situato in Germania a pochi chilometri da Basilea, mecca mondiale dell’architettura testo di Keri Gonzato; fotografie di Reza Khatir

Lo spazio delle meraviglie



A

ppena fuori dal villaggio tedesco di Weil am Rhein, procedendo su una strada diritta, ci si ritrova a un tratto in una dimensione parallela; discreti, malgrado la loro mole, edifici dalle forme sorprendenti si stagliano nella natura circostante. Addentrandosi in questi spazi si scopre un insieme eterogeneo di architettura contemporanea costruito nel pieno rispetto delle norme urbanistiche e per questo sorprendentemente leggero nel suo rapportarsi agli spazi circostanti. Un luogo surreale che pare una maquette in scala gigante dove alcuni tra i più grandi nomi dell’architettura dell’ultimo secolo si sono trovati a vivere, virtualmente, fianco a fianco. Il progetto Vitra è nato nel 1950 come una fabbrica del design, secondo la visione di Willi Fehlbaum, proprietario di un negozio di mobili a Basilea con un fiuto per il design che lo portò ad acquistare i diritti sui lavori di Charles e Ray Eames e George Nelson. Nel 1981 un grande incendio divorò quasi tutto a Weil am Rhein, lasciando uno spazio aperto e vasto destinato a ospitare luoghi votivi rivolti alla perfezione delle forme, delle linee e delle proporzioni. E così sono apparsi la fabbrica e il Vitra Design Museum (1989), firmati da Frank Gehry, il Pavilion vetrato di Tadao Ando (1993), mentre Zaha Hadid ha dato forma a una caserma dei pompieri (1993). Il parco comprende quattordici clamorosi templi architettonici, gli ultimi due sono sbucati dal terreno nel 2010 a opera degli svizzeri Herzog & De Meuron e dei giapponesi SANAA . Visitando il campus oggi viene da pensare che Vitra sia sempre più simile a un museo a cielo aperto piuttosto che a un’azienda. Ma si tratta solo di un’illusione, infatti nel tempo è diventata una compagnia con poli sparsi in tutto il mondo, “che produce arredamento ed è dedicata a sviluppare soluzioni sane, intelligenti, durevoli e ispiratrici per l’ufficio, la casa e gli spazi pubblici”. L’universo architettonico ed espositivo che le ruota (...) attorno fa parte del progetto e serve a stimolare ulteriori approcci creativi.





Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la Supsi. Per informazioni: www.khatir.com.

per informazioni Il Vitra Campus (VitraHaus, Café VitraHaus,Vitra Design Museum, Vitra Design Museum boutique) è aperto al pubblico dal lunedì a domenica, dalle 10 alle18. Il Campus si trova a un chilometro dal confine di Basilea-Kleinhüningen (A2): Charles-Eames-Strasse 2 D-79576 Weil am Rhein tel. +49 (0)7621 702 3500 vitrahaus@vitra.com www.vitrahaus.com

Volumi in movimento Come lo slancio apportato dalla VitraHaus, opera del duo Herzog & De Meuron, uno strabiliante edificio modulare composto dalla sovrapposizione di dodici case. Tornate con la mente alla forma di casa che disegnavate da piccoli, moltiplicatela per dodici e gonfiatela tridimensionalmente… Ecco la VitraHaus è qualcosa del genere, perfezionata con genialità. Per essere l’ultima arrivata gode di notevoli vantaggi, come la posizione predominante all’entrata del campus. Per quanto riguarda i materiali naturali, l’approccio sostenibile – non ha l’aria condizionata e viene scaldata con la tecnologia geotermica – e le linee epurate, il tutto ammicca al design nordico. L’aspetto che la distingue rendendola unica è il fatto che, partendo dall’idea tradizionale della casa con il tetto a punta, si dispiega piano dopo piano, in un viaggio che cambia totalmente l’ottica del visitatore lasciandolo al contempo divertito e disorientato. È una struttura in movimento che ti sorprende girando di qua, aprendosi di là e svoltando poi all’ultimo nella direzione opposta, mentre si apre su un nuovo spazio. Gli abitanti di questa casa sono gli oggetti d’arredo prodotti da Vitra, esplicitamente per gli ambienti domestici. Per gli amanti del design si tratta di un paese delle meraviglie, si va dagli oggetti più recenti e ludici fino alle sedie culto degli Eames… Si viaggia dal salotto a mo’ di savana fino alla casetta per bambini fatta come una lavagna da decorare, dai divani impeccabili alle lampade a forma di nuvola. Il tutto si gioca nella tensione tra necessità e piacere, perché come diceva Charles Eames, designer geniale indissolubilmente legato all’azienda tedesca: “Nella vita devi prendere il piacere seriamente”.


» Nel folto della fore-

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Il pappagallo Teodoro

sta del Brasile, proprio lungo il corso del famoso rio delle Amazzoni, uno dei fiumi più grandi al mondo, viveva un tempo una famiglia di coloratissimi pappagalli. Come tutti sanno, i pappagalli sono animali assai loquaci e dispettosi. L’ultimo arrivato della famiglia, a cui era stato dato il nome di Teodoro, aveva iniziato però a preoccupare presto i suoi genitori. “Questo figliolo è piuttosto strano”, continuava a ripetere papà pappagallo a mamma pappagallo, “io non lo capisco”. A differenza dei suoi fratelli e sorelle, appollaiati tutto il santo giorno su qualche ramo a fare il verso agli animali della foresta, Teodoro preferiva volare sopra le cime degli alberi, osservando dall’alto il brulichio della vita che si muoveva incessante sotto di lui. Col tempo divenne così abile che nessun altro pappagallo ebbe più il coraggio di cimentarsi nel volo con lui. Talvolta saliva così in alto da riuscire scorgere in lontananza la catena delle Ande e sotto di lui la rete di fiumi le cui acque confluivano nell’immenso rio delle Amazzoni. “Dicono che sono strambo”, pensava fra sé, “ma quello che vedo io non lo può vedere nessun altro pappagallo”.

testo di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini

Ogni sera papà pap-

pagallo raccomandava ai suoi piccoli di stare attenti: “Siete proprio degli incoscienti! Gli uomini ci cacciano per metterci in gabbia e fare di noi il loro divertimento. Se continuate a comportarvi da sciocchi prima o poi uno dei bipedi vi catturerà e allora… addio libertà!”. Poi guardando Teodoro disse: “Di te non c’è da preoccuparsi, chi vuoi che ti venga a prendere lassù e poi chi lo vuole un pappagallo muto”. L’indomani Teodoro si alzò in cielo fino a sfiorare le nuvole. Il panorama da lassù era magnifico e il fruscio provocato dal vento sulle piume delle ali gli dava un’incredibile gioia. Proprio mentre eseguiva una delle sue acrobazie udì un colpo secco. Un attimo dopo la sua ala destra si piegò ed egli cominciò a precipitare. L’impatto con i rami degli alberi attutì la caduta e in un attimo Teodoro si ritrovò a terra tutto ammaccato e con un ala spezzata. Vide per un attimo filtrare sopra di lui la luce del sole fra le fronde e poi tutto diventò buio. Quando si svegliò era chiuso dentro una cassa di legno con l’ala fasciata e legata a una stecca di legno. “Che sfortuna”, pensò “stavolta è proprio finita”. Qualche giorno dopo era in gabbia in un negozio di Rio de Janeiro. Sulla gabbia era appeso un cartello con scritto: “Nuovo arrivo! Pap-


pagallo parlante! Divertimento assicurato!”. Passarono i giorni, le settimane e i mesi e nonostante il proprietario del negozio le avesse tentate tutte per insegnare a Teodoro a parlare, egli se ne restava muto come un pesce. “Una cosa del genere non mi era mai capitata, un animale così bello e neanche una parola… se va avanti così mi toccherà liberarlo”, diceva fra sé. Ogni tanto qualche cliente lo portava a casa ma dopo qualche giorno, visto che Teodoro di dire “buongiornooo”, “ciaoooo”, “mi chiamo Teodoooroooo” proprio non ne aveva intenzione, lo restituiva al negoziante.

Un giorno un cacciatore portò al

negozio una piccola scimmia che il negoziante chiuse nella gabbietta proprio accanto a quella di Teodoro. La stessa notte, la scimmietta, che era rimasta tutto il tempo rannicchiata in un angolo della gabbia cominciò a osservare attentamente il pappagallo. “Ma io ti conosco…”, esclamò, “tu sei Teodoro il pappagallo muto, quello a cui piace volare. Ti ricordi di me?”. Anche Teodoro la riconobbe e per la prima volta in vita sua aprì il becco: “Certo che ti riconosco”. “Accidenti”, disse la scimmietta “ma tu parli, diamine di un pappagallo”. E così passarono la notte a ricordare quanto fosse bella la vita nella foresta, quando erano liberi di saltare da un ramo all’altro e di volare nel cielo. Il mattino seguente, all’arrivo del negoziante smisero di chiacchierare in modo da non suscitare sospetti.

La notte seguente la scimmietta si rivolse a

Teodoro: “Sentì un po’, mi è venuta un’idea ma prima ho bisogno di sapere se ci stai”. “Sentiamo”, rispose il pappagallo. “Uscire da questa gabbia è facilissimo. Oggi

ho osservato come faceva il negoziante. Ma poi ce la farai a portarmi sulle spalle fino alla foresta?”. “In effetti sono un po’ fuori allenamento e poi devo controllare se la mia ala funziona. Tentar non nuoce”. E così appena gli altri animali si furono addormentati, la scimmietta uscì dalla gabbia e liberò Teodoro. Dopo aver aperto una finestra, i due amici si trovarono finalmente all’aperto. Sotto di loro le luci della città illuminavano la notte. Teodoro caricò allora sulle spalle la piccola scimmia e insieme si alzarono in volo di nuovo liberi e felici. Quando gli altri animali videro arrivare, rimasero di stucco e cominciarono subito a fare domande. Anche papà pappagallo, felice di riabbracciare (ma bisognerebbe dire “rialare”) il suo figliolo, chiese a mamma pappagallo: “Ma come ha fatto? Nessuno è mai tornato dal mondo dei bipedi…”. Mamma pappagallo sorrise e con il becco indicò il cielo. Teodoro era lassù, intento a librarsi sopra le cime degli alberi.

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la crisi del golf‌ femminile in Ticino e nel mondo


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arin Icher, una tra le migliori giocatrici francesi che partecipa al tour americano della LPGA (la lega femminile professionistica americana), ci confidava tempo fa di sperare che il peggio fosse passato: “Sentirsi dire a inizio stagione che i tornei sono stati ridotti a 22-23, non è per nulla simpatico!”. Caroline Rominger, miglior giocatrice svizzera, passata professionista proprio in tempo di crisi, non perde la fiducia sperando in momenti migliori e rallegrandosi d’aver ottenuto per due anni consecutivi la wild card per il prestigioso torneo Evian Masters, un’eccezione tra i tanti appuntamenti che hanno dovuto abbassar bandiera. Infatti, da oltre 19 anni Franck Riboud – CEO del gruppo Danone e presidente dell’Evian Masters – ha messo in piedi un torneo che, stagione dopo stagione, non ha cessato di crescere diventando il primo al mondo in assoluto in termini di price money, con i suoi 3.250.000 dollari di monte premio. Ogni estate poco meno di un centinaio tra le giocatrici più forti del momento sono invitate dalla Evian, in compagnia della loro famiglia, a trascorrere una settimanella ai bordi del Lemano, contendendosi la vittoria in un quadro idilliaco e surreale, traboccante di fair play e spensieratezza. Nel concreto, tuttavia, abbiamo voluto chiedere in un’intervista esclusiva all’ex professionista ticinese di golf, Paolo Quirici, quali fossero le reali prospettive della disciplina femminile a livello mondiale e svizzero. “Temo che il golf femminile soffra della concorrenza di quello maschile. Inoltre, il circuito americano – visto l’aggirarsi dei montepremi più elevati –, sottrae da sempre le migliori giocatrici al circuito europeo, rallentandone di fatto la crescita e l’espansione”. Gli sponsor e le promesse ticinesi In un quadro già poco roseo, la crisi sembra essere giunta a pennello per guastare una situazione di per sé molto precaria e compromessa? “La crisi ha pure i suoi lati positivi” sostiene Franck Riboud, “ho chiesto al direttore del mio torneo, Jacques Bungert, di operare dei risparmi indolore. Essi hanno rappresentato il 15% del nostro budget e li abbiamo prontamente immessi a vantaggio del torneo stesso”. Per altri specialisti la cura del golf femminile, se desidera riconquistare gli sponsor perduti, deve passare da una miglior comprensione dei bisogni di questi ultimi. Infatti, in un mercato diventato sovranazionale, bisogna imperativamente riflettere in termini globali. A più riprese Frank Riboud ha evocato le parole “coppa del mondo di golf” proiettandoci nell’universo dello sci alpino, che permette alle atlete del circo bianco di misurarsi tra di loro, prova dopo prova, nel mondo intero: “Se investo dei soldi sponsorizzando un’atleta, il mio interesse in qualità di uomo d’affari è che questa sportiva sia visibile sulla scena internazionale, affinché il mio investimento e il mio marchio possano avere le ricadute mediatiche desiderate”. Ma il golf femminile ticinese è veramente in grado di rivaleggiare sul piano internazionale senza complessi? “Posso affermare che in Ticino vi sono elementi potenzialmente capaci di raggiungere questi standard. Direi che nella fascia tra i 12 e i 15 anni siamo in

linea con tutto il resto dell’Europa continentale... tenuto conto delle dovute proporzioni. A partire dai 16 anni in altri paesi si lavora più assiduamente e con strutture meglio organizzate sia a livello regionale che nazionale per portare i giovani talenti a seguire le scuole e una formazione sportiva di eccellenza. A questo proposito, non è raro che giovani svizzeri si rechino negli Stati Uniti per sviluppare gli standard richiesti da una carriera professionale”. Un movimento in continua crescita Anaïs Maggetti è già espatriata per coltivare il golf ad alto livello e i suoi sforzi sono stati ripagati come conferma la recente qualifica al Tour europeo 2012 (18 gennaio scorso, ndr.). Le promettenti sorelle Clarissa ed Eleonora Cattori, che come ci ha detto la mamma Chantal “sono impegnate in una bella sfida: conciliare studi e sport”, potrebbero forse seguire la strada dell’emigrazione in terra americana. In che modo è possibile trattenere queste giovani speranze? Perché, seguendo l’impulso del tennis, il golf non potrebbe sfornare in loco giocatori dal calibro di Hingis e Federer? “Le strutture sono limitate, anche se il numero di percorsi in Svizzera è cresciuto parecchio. Infatti, solo alcuni circoli hanno la possibilità di accogliere un numero sufficiente di giovani in modo da permettere che questa disciplina sportiva venga portata a conoscenza di un pubblico più vasto. Ricordo che, al tempo della scuola media, tutti ridevano del fatto che praticavo uno sport da vecchi”, racconta Paolo Quirici. “Oggi quegli stessi ragazzi, che nel frattempo sono diventati quarantenni, giocano in maggioranza a golf e lo ritengono uno sport molto difficile e impegnativo”. Lavorare per un progetto comune In che modo dunque aumentare l’interesse per il golf? La via sembra una sola: aprire le porte alla gioventù. “Se ogni circolo in Svizzera offrisse la possibilità a cinque ragazzi/e delle vicinanze di praticare questa disciplina per un periodo di due anni gratuitamente o sponsorizzati da eventuali soci, in un lasso di tempo di 5-10 anni potrebbero cambiare molte cose. A livello nazionale, poi, andrebbero coordinati gli sforzi per una formazione più professionale e di grande qualità. Resta tuttavia la guerra dei numeri, pochi giovani, pochi campioni, poca conoscenza della disciplina”. In questo deserto Franck Riboud pare una mosca bianca: “Con la marca Evian volevamo sponsorizzare una manifestazione senza dare l’impressione di voler iniettare semplicemente dei soldi; all’epoca, posso dire che il golf non godeva di buona salute. Personalmente mi definisco come un accompagnatore della discipina. Io e la mia squadra ci siamo dati come obiettivo lo sviluppo del golf a livello mondiale e, coerenti con questo sogno, abbiamo proposto una serie di strumenti come l’Evian training Center (un centro dove allenare tutte le diverse componenti del golf), la scuola di golf gratuita per tutti i giovani partecipanti della zona, la capanna del golf (una sorta di baita, per soggiornare nei pressi di un campo da golf, a buon mercato); inviti gratuiti nei nostri hotel a tutti i professori di golf che desiderano venire con i loro clienti… per citarne solo alcuni”. La via della generosità sembra dunque essere l’ultima chance per consolidare e garantire un futuro alla tradizione del golf.


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» a cura di Elisabetta

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Verticali 1. Le capostipiti di ogni tessuto organico • 2. Il nome della Fallaci • 3. Sorcio • 4. Oliare, ingrassare • 5. Rende lustri i pavimenti • 6. Adesso • 7. Piccolo strumento a fiato • 8. La pigna tropicale • 12. La fine della Turandot • 13. Ha scritto “La cantatrice calva” • 17. Intacca i denti • 19. La torre dell’incomprensione • 20 Una voce del tennista - 21. Serpentelli innocui • 24. Uno detto a Zurigo • 25. Fu re degli Ostrogoti • 27. Le forbici del giardiniere • 31. Parte di pagamento • 33. Leali, corretti •34. Nord-Est • 36. Ecogoniometro • 38. Pancia prominente • 43. Circolano in Giappone • 46. Associazione Sportiva • 48. Assicurazione Invalidità.

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Orizzontali 1. Simboleggia la fertilità • 9. Epoca • 10. Mori • 11. Un procedimento di stampa • 14. Una via... celeste • 15. Asciugacapelli • 16. Il primo dispari • 17. Pasto serale • 18. Una nota e un articolo • 19. Città indiana • 21. I confini di Osogna • 22. Il nome di Ramazzotti • 23. Ricordati, conservati • 26. Conto Corrente • 28. La regione montuosa con Lhasa • 29. Paladino • 30. Desiderar • 32. La tesse il ragno • 33. La Yoko di Lennon • 35. In mezzo alla pista • 37. Università (pl) • 39. Pronome personale • 40. Ortaggi insulsi • 41. Relativi a 365 giorni • 42. Dei nordici • 44. Lamenti poetici • 45. Mezza casa • 47. Una rosa pallida • 49. Mira al centro! • 50. Consegnano corrispondenza.

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Snow’n’Rail Airolo - Andare a sciare in treno Divertimento sugli sci e piste all’insegna dello sport per famiglie e sciatori esperti. Con i suoi 30 km di piste tra 1.700 e 2.250 metri di quota, il comprensorio sciistico ticinese di Airolo è una destinazione molto amata. Le sue strutture attirano sciatori di medio-alto livello, giovani, famiglie e amanti della natura. Gli appassionati di sci e di snowboard trovano diverse varianti di pendii, mentre un nuovo snowpark completa l’offerta. Alla stazione intermedia di Pesciüm vi attendono nuovi sentieri per bellissime escursioni.

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