№ 13
del 30 marzo 2012
con Teleradio 1–7 aprile
Diritto d,autore
QUALE FUTURO? C T › RT › T Z › .–
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Ticinosette n° 13 30 marzo 2012
Agorà Copyright. I nativi digitali e la morte dell’autore Arti Letteratura. L’altro colore del Nord Salute Bambini e gravidanza. Il sonno
Impressum
DI
Tiratura controllata
Letture Miti subiti
Chiusura redazionale
Segni Lingua. Il sesso dei nomi
Venerdì 23 marzo
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
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Visioni The Iron Lady
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Vitae Mattea David
MARCO JEITZINER. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Redattore responsabile
Luoghi Chiaravalle. L’abbazia di Milano
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
LAURA DI CORCIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GAIA GRIMANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage La Fondazione dell’arte
Fabio Martini
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REDAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MARCO ALLONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Direttore editoriale Peter Keller
A CURA DELLA
FRANCESCA RIGOTTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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KERI GONZATO; FOTO DI REZA KHATIR . . . . . . . . . . . . . . . . . DI
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FABIO MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ALBA MINADEO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Società Modelli e relazioni. Le donne e i narcisi Metaphorae Il legno storto
70’634 copie
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Casa e arredo. Una vasca da sogno!
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FRANCESCA AJMAR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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In copertina
Autori in dissolvenza Elaborazione grafica di Antonio Bertossi
Cattive compagnie Nel 1824 Giacomo Leopardi scrisse un celebre saggio intitolato Discorso sopra lo stato presente del costume degl’Italiani. A differenza di quanto tre secoli prima aveva dichiarato nei suoi Ricordi Francesco Guicciardini (“Essendo il mondo fatto così, hai a pigliare il mondo com’è, condurti di guisa che non te ne venga danno, anzi la maggior comodità possibile. Così fanno gli uomini savi”), Leopardi non riconosce nei precetti del politologo fiorentino un fondamento di saggezza ma piuttosto il segno di un’incapacità, tutta italiana, di sviluppare un’autonomia morale e civile, di compiere il fondamentale passaggio da “uno stato di minorità” a una kantiana “età della ragione”, come suggerisce Roberta De Monticelli in un suo volume pubblicato nel 2010 (La questione morale, RaffaelloCortina Editore). La diagnosi leopardiana è impietosa: “… l’Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun’altra nazione europea e civile (…) Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci”. Da questo punto di vista, gli ultimi vent’anni di storia italiana, dal fallimento di Mani Pulite in poi, hanno rappresentato una costante e progressiva caduta verso il basso e una puntuale conferma delle considerazioni di Leopardi. Un esempio fra i moltissimi a disposizione? Il commento che Giulio Andreotti rilasciò nel corso di un’intervista al “Corriere della Sera” (9 settembre 2010) riguardo all’assassinio avvenuto 23 anni fa, su ordine di Michele Sindona, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli: “Se l’è andata cercando”. Come a dire: anteporre
il dovere personale e il senso di giustizia al proprio vantaggio significa andare in cerca di grane. Guicciardini docet. Roberta De Monticelli nel suo saggio sostiene che: “La coscienza sprezzante ha toccato il culmine del suo disprezzo per il mondo umano quando non solo è arrivata a definire la politica come il luogo del conflitto fra nemici, cioè della continuazione della guerra con altri mezzi; ma ha addirittura ridotto le sue categorie, le «categorie del politico», a un’opposizione che pare una barbarica semplificazione, di sapore per di più mafioso: amico-nemico”. Che c’entra il nostro cantone con tutto questo? In parte c’entra. Le domande rivolte dalla rivista di area socialista “Confronti” a Boris Bignasca – analogamente a quanto era accaduto qualche tempo fa con la diffusione del “clone” del “Mattino della domenica” – attestano un ulteriore abbassamento del linguaggio e del confronto politico. Un imbarbarimento che, benché prerogativa pressoché esclusiva delle formazioni populiste di centro destra, sta mietendo vittime anche laddove, se non altro per tradizione libertaria e culturale, si immaginerebbe una dotazione ben differente in termini di capacità dialettica e di intervento. Il modello italiano, evidentemente, non sta giovando, a prescindere dal fatto che, con l’insediamento del governo “tecnico” di Mario Monti e la maggior coesione necessaria a far fronte all’emergenza della crisi, i toni del dibattito politico italiano si sono, almeno per il momento, ammorbiditi. Una moderazione che, ci auguriamo, possa riverberare positivamente sullo scenario politico cantonale. Cordialmente, Fabio Martini
I nativi digitali e la morte dell’autore
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Agorà
Una recente ricerca svolta fra gli studenti dei principali atenei europei, fra cui l’università La Sapienza di Roma, ha messo in luce come la maggior parte dei giovani ritenga che l’acquisizione illegale di file non rappresenti un furto ma un diritto o, nel migliore dei casi, una scorrettezza. Ci interroghiamo dunque sul destino dell’autorialità, sempre più minacciata dalle tecnologie digitali e dal principio di riproducibilità, oggi alla portata di tutti di Fabio Martini
L’
attuale sistema culturale, ammantatosi nel corso degli ultimi due decenni di una crescente aspirazione alla democratizzazione, si basa su tre elementi principali: la rete internet, la condivisione e la cooperazione interpretativa. Presupposti che contribuiscono a introdurre una serie di criticità soprattutto riguardo al ruolo dell’autore e alla funzione del copyright. Quale senso ha oggi il termine autore? Quale funzione ricopre l’autore rispetto al corpo sociale? E soprattutto, cosa sanno i giovani, principali fruitori dei media digitali, del diritto d’autore e delle normative che ne dovrebbero assicurare la tutela? La riproducibilità digitale, la condivisione dei contenuti, la velocità e la facilità con cui questi possono essere trasmessi e ceduti stanno mettendo definitivamente in crisi quelle che per secoli sono state le prerogative dell’autore – indipendentemente dalla natura della sua attività –, e cioè l’autorità, l’autonomia dell’opera, la sua integrità e la proprietà intellettuale ed economica della stessa. Lo stato di estrema entropia introdotto dalla rete internet ha completamente destrutturato il sistema culturale e dei media a partire soprattutto dalla musica, la cui filiera produttiva è oggi completamente sovvertita – ma sarebbe meglio dire cancellata – dal libero accesso ai file musicali disponibili dovunque in rete. Tale offerta ha favorito il diffondersi, soprattutto fra i giovani ma anche nel resto dell’opinione pubbli-
ca, dell’idea che copiare e cedere opere tutelate da copyright non sia un illecito ma un’azione tutto sommato accettabile anche se scorretta. Per altri invece, fortunatamente una minoranza, rappresenta la concreta possibilità di colpire gli interessi delle aziende che operano sul mercato a prescindere dalla funzione degli autori. Un’indagine allarmante L’argomento è stato al centro di “UseIT: Conoscenza, creatività e fair use nelle università”, convegno internazionale voluto dalla John Cabot University e dal Comitato Paritetico Crui, Siae, Autori ed Editori – gli atti sono consultabili sul sito http://dirittoautore.cab.unipid.it – durante il quale sono stati presentati i dati di una ricerca (Il diritto d’autore e la sua evoluzione) effettuata utilizzando come campione gli studenti dei maggiori atenei d’Europa, fra cui l’università La Sapienza di Roma. Per l’indagine, che mirava a sondare la percezione, i comportamenti e le tendenze d’uso e scambio di prodotti via web, sono state adottate sia una metodologia quantitativa – basata sulla compilazione di un questionario strutturato –, sia una qualitativa, con focus group e interviste approfondite. I risultati appaiono decisamente allarmanti anche perché i nativi digitali risultano del tutto sprovvisti di qualsiasi strumento di valutazione del fenomeno di cui peraltro sono attori diretti. Non solo il 90% degli studenti si collega a internet almeno una volta al giorno ma la stessa percentuale
scarica abitualmente contenuti tutelati da copyright come canzoni, film e in misura inferiore ebook. L’80% di loro ritiene inoltre che l’acquisizione illegale di file non solo non sia da considerare un furto ma, al contrario, un diritto. Per una buona parte degli intervistati il problema della violazione neanche si pone. Gli studenti di Lettere, Comunicazione e Giurisprudenza appaiono più cauti a riguardo ma in generale la conoscenza della normativa e la consapevolezza delle conseguenze che comportamenti del genere stanno determinando sulla produzione culturale, appare pessima. Complessivamente, emerge l’opinione che il diritto d’autore sia una forma di tutela voluta principalmente da produttori, editori e distributori più che dagli autori. La maggioranza tende d’altra parte a considerare le violazioni come una risposta all’eccessivo costo dei prodotti. Una sfida persa? Fino a una quindicina di anni fa, l’autore si poneva in modo definito rispetto alla società: la sua opera veniva diffusa, distribuita e venduta attraverso canali e supporti collaudati e socialmente riconosciuti. Certo, la pirateria esisteva, così come lo scambio di registrazioni – chi dei più anzianotti non ricorda le tremende audio cassette a nastro o i libri fotocopiati dalla prima all’ultima pagina? –, tendenze già presenti nella società che la riproducibilità digitale e le possibilità offerte dal web hanno fatto letteralmente esplodere. I guru della rete intanto soffiano sul fuoco. A parer loro, la cultura, come del resto l’informazione, grazie a internet sarà sempre più democratica, economica e accessibile perché meno influenzata dai processi di produzione. Le conseguenze le stiamo già vivendo da un pezzo: la cultura e l’informazione, sempre più segmentate e polverizzate, perdono via via forza e incisività causando
confusione e un inevitabile calo di valore. Forse si tratta di una fase temporanea a cui seguiranno inevitabili processi di accentramento nel controllo dei media. Probabilmente gli strumenti legislativi riusciranno a contenere l’emorragia da tempo in corso. O forse, si tratta di una battaglia perduta in partenza, di cui i futuri e sempre più maneggevoli strumenti tecnologici segneranno l’esito finale… Certamente, al di là delle problematiche sul diritto, le possibilità tecnologiche consentono ai lettori di scegliere e costruire il proprio percorso, sviluppando metatesti che scaturiscono dalla convergenza e dal collegamento di testi scritti da altri, un procedimento che se da un lato disarticola l’idea del testo e dell’opera nella loro concezione tradizionale, dall’altra crea percorsi certamente originali e stimola nuove idee. Al centro, comunque sia, la perdita della funzione sociale dell’autore costretto a oscillare confusamente fra individualità e collettività (o condivisione, per usare un termine inflazionato), defraudato del proprio lavoro e incapace con le proprie forze di porvi rimedio. Quello a cui si dovrebbe mirare è pertanto lo sviluppo di una cultura del diritto d’autore, sia attraverso la creazione di una coscienza del valore e dell’importanza dell’autorialità, sia con l’educazione e la pratica creativa, anche a livello universitario: “Solo in questo modo gli studenti si renderebbero conto del perché un testo, una volta creato, non necessariamente possa andare in giro gratuitamente, senza aver mai la possibilità di rientrare delle spese affrontate o essere remunerato dell’impegno che ha richiesto”.1 note 1 Mario Porcellini, Giovanni Pratichizzo, “Diritto d’autore e pratiche giovanili”, in Viva Verdi, ottobre 2011.
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L’altro colore del Nord La bandiera della Svezia ha una croce gialla su fondo blu. La narrativa svedese è famosa per il giallo, ma ne esiste una più nobile, di “sangue blu”. È arrivato il momento di restituirle un’integrità estetica: un invito a scoprire i veri capolavori della letteratura svedese testo di Alba Minadeo illustrazione di Elio Ferrario
“Il fatto che due fattorie nel bosco partoriscano due scrittori,
Arti
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da queste parti è statisticamente nella norma, lo sanno tutti, in questa zona ci sono più narratori che mammelle di vacca.” Così scrive nel suo libro autobiografico Un’altra vita Per Olov Enquist, lo scrittore svedese celebrato in tutto il mondo per il romanzo Il medico di corte. La sua fattoria, nel Nord della Svezia, era a cento metri da quella di Stieg Larsson, il famoso autore della trilogia Millennium. In un Paese di soli nove milioni d’abitanti, uno svedese su dieci si dedica alla scrittura, una delle attività più diffuse nel tempo libero. Escono talmente tanti gialli in Svezia che ormai non esiste una città senza il suo poliziotto letterario: da Pajala al Nord a Ystad a Sud. Ma sono pochi i libri che sopravvivono alla stagione delle novità editoriali, mentre la letteratura svedese “canonica” ha una vasta produzione di qualità, ancora poco conosciuta all’estero. Quella scandinava è una cultura omerica, forse perché il racconto intorno al fuoco ha sempre costituito l’unico momento di svago durante i freddi inverni. Lars Gustafsson, il più internazionale dei letterati svedesi, ha ereditato il dono di narrare dalla mamma cantastorie: il suo ultimo libro Le bianche braccia della signora Sorgedahl si pone a metà tra la recherche e l’autofiction. La cultura nasce dalla natura di un luogo e l’anima svedese è timorosa delle ombre che si annidano nel buio, riflessiva di fronte al mistero della morte, desiderosa di eventi aurorali. “Io scrivo per gli ascoltatori e non per i lettori” spiega nella raccolta di racconti La bellezza di Merab Torgny Lindgren, il più gogoliano degli autori svedesi. Fa parte della grande generazione nata negli anni Trenta che oggi domina la scena culturale svedese, venuta dopo quella del premio Nobel Selma Lagerlöf (La saga di Gösta Berling), di Hjalmar Söderberg, autore del romanzo perfetto Il gioco serio e de Il doctor Glas (Giano) – considerata da alcuni l’opera migliore della letteratura svedese – e del grande padre August Strindberg. La buona letteratura svedese A tenere alta la bandiera, gran merito ha avuto l’italiana Iperborea che ha iniziato le sue pubblicazioni venticinque anni fa proprio con un titolo svedese: La notte di Gerusalemme di
Sven Delblanc, facendo diventare la letteratura scandinava a sua volta un genere. Per i lettori attratti dal grande Nord, la fine di un libro è l’inizio di un altro: “Leggo solo voi”, “Amore a prima lettura di Iperborea”, sono alcuni dei commenti postati sul muro di Facebook della casa editrice milanese che ha tradotto in lingua italiana i Premi Nobel Pär Lagerkvist, Eyvind Johnson e Tomas Tranströmer (I ricordi mi guardano, unica prova narrativa del grande poeta); i classici come Stig Dagerman, il Pavese svedese, Göran Tunström, maestro del romanzo poetico (vicino di casa della Lagerlöf), oltre all’attualissimo e controverso Carl-Henning Wijkmark (La morte moderna) e a Björn Larsson – quasi 120.000 copie vendute con La vera storia del Pirata Long John Silver – o ancora a Mikael Niemi (Musica rock da Vittula). Il catalogo comprende le opere di Ingmar Bergman e un’esplorazione nella produzione femminile con le autrici Karin Boye (Kallocaina) e Ulla Isaksson (Alle soglie della vita). L’editrice Tea pubblica invece Marianne Fredriksson (Le figlie di Hanna, Simon, Passato imperfetto), ai primi posti delle classifiche europee dei bestseller, e Jan Guillou, autore della saga del cavaliere Arn Magnusson (Il templare, Il saladino, La badessa). Una croce sul giallo svedese Ma il fenomeno più interessante degli ultimi anni è quello dei giovani scrittori immigrati che danno voce alla propria identità ibrida in un linguaggio chiamato blattesvenska, lo svedese contaminato con parole provenienti dall’arabo, dal turco e dallo spagnolo: Alejandro Leiva Wenger (due suoi racconti sono inseriti nell’antologia Nordic Light di Mondadori) o Jonas Hassen Khemiri (Una tigre molto speciale - Montecore di Guanda). La gente inizia a stancarsi dei gialli svedesi, che danno un’immagine distorta della realtà. “Non aiutano i lettori a vivere”, scrive Björn Larsson nel suo ultimo libro I poeti morti non scrivono gialli (collana “Ombre Iperborea”), l’autore molto seguito dai lettori amanti del mare che ha preso “in mano la penna per dare finalmente dignità letteraria al genere”. Forse è ora di mettere una croce sopra il giallo svedese e cominciare a guardare verso una letteratura più alta.
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bico.ch
Salute
Il sonno è una fase della nostra giornata poco rispettata. Ma dormire è essenziale, ancora prima di nascere a cura della Redazione
Clima del letto gelido?
Dormire
è fondamentale per il nostro ciclo vitale, tanto importante che il sonno è presente ben prima della nostra nascita. A partire dalla 27esima settimana di gestazione, infatti, i feti mostrano fasi di sonno quieto e fasi di sonno attivo che si alternano a periodi di veglia calma e periodi di veglia attiva. Il sonno quieto è simile al sonno non REM degli adulti, nel quale non vi sono movimenti degli occhi ma leggeri movimenti del corpo accompagnati da un’accelerazione della frequenza cardiaca. Nel sonno attivo (simile al sonno REM degli adulti) compaiono vivaci movimenti del corpo e movimenti oculari rapidi, mentre il cuore aumenta la frequenza in coincidenza con i movimenti del corpo. Ma nel feto i movimenti non sono “mediati” dal pericolo di incidenti e di cadute: all’interno del suo micromondo, protetto dal liquido amniotico e dalla placenta, il bambino ha una completa libertà posturale e può permettersi di vivere i suoi sogni in modo totale. Mentre in questo periodo nella madre si accentua la difficoltà a riposare in modo continuo e soddisfacente, fra la ventottesima e la quarantesima settimana nel bambino l’organizzazione del sonno muta radicalmente, in parallelo con lo sviluppo del sistema nervoso centrale e della corteccia del cervello. I periodi di sonno attivo si accentuano e rappresentano un momento fondamentale per l’organizzazione delle prime esperienze del feto; il bambino dorme sovente – nelle settimane precedenti la nascita passa dal 60 all’80% del tempo di sonno in fase REM –, momenti essenziali che si riflettono non solo dal punto di vista fisico, ma in particolare psichico. Il feto, infatti, comincia a elaborare le prime esperienze sensoriali, influenzate anche dagli stimoli affettivi che gli trasmette la madre. Durante la vita fetale le informazioni che passano dalla placenta sono in grado di sincronizzare anche i ritmi cardiaci del suo “orologio biologico”: questo fa in modo che una volta venuto al mondo il bambino sia preparato a vivere in un ambiente che alterna il giorno alla notte. Infatti, non potendo vedere se fa buio o se c’è luce (ma percependo la presenza del sole e del suo calore), sono le variazioni dei livelli di melatonina presenti nel sangue materno – un ormone prodotto nel cervello che, agendo sull’ipotalamo, regola il ciclo sonno-veglia – a stimolare il cervello del bambino, indicandogli i ritmi corretti. Una volta nato egli conserverà ancora per qualche tempo i due stadi di sonno presenti nella vita intrauterina; passerà la maggior parte del tempo (circa 16-18 ore al giorno) dormendo e il suo ciclo del sonno sarà ancora irregolare e più breve di quello dell’adulto. Sempre che quest’ultimo non soffra d’insonnia...
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Le donne e i narcisi Siamo ancora una società maschilista? Che vecchiume, direte. Al contrario! Sono domande che ciclicamente occorre porsi, per approfondire la risposta ed evitare che, illudendosi di rimanere fermi sul posto, si retroceda come gamberi testo di Laura Di Corcia illustrazione di Rachele Masetti
Società
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Di solito, quando si tratta questo tema, ci si limita solo all’aspetto giuridico-sociale, concentrandosi soprattutto sul lavoro; e in questo campo, non possiamo certo negarlo, già si vedono i risultati di un pensiero diverso, anche se le quote rosa dimostrano che il processo è ancora macchinoso, tutt’altro che spontaneo. Insomma, affrontiamo la realtà: il cambiamento di mentalità è un processo lungo e difficoltoso e, va detto, non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo di fronte alle novità. A partire dalla sfera degli affetti. Se è vero che molte donne oggigiorno affermano la loro indipendenza e non ci stanno a farsi dominare dai partner maschili, se è vero che alcune addirittura dominano, è anche vero che, purtroppo, alcuni esempi riconfermano tristemente lo stereotipo dell’uomo mascalzone e della donna succube. Quella storia che, onestamente, speravamo di aver gettato per sempre via, ritorna come un fantasma. Quante donne soffrono ancora in balia di uomini prepotenti, che promettono mari e monti per poi abbandonarle per un’altra preda? Non si tratta della regola, attenzione: ma i casi sono ancora molti. “Le pene d’amore colpiscono in egual misura uomini e donne”, afferma invece lo psicoterapeuta Pier Pietro Brunelli, attivo a Milano e Genova ed esperto nei traumi sentimentali caratterizzati da dinamiche narcisistiche (si veda a proposito il suo libro Trauma da narcisismo. Il narcisismo patologico e la ferita narcisistica nel vampirismo affettivo, Lulu edizioni, 2010). Però, se diamo una sbirciatina al suo blog (www.albedoimagination.it), che ospita anche un forum di auto aiuto, notiamo una netta predominanza di interventi femminili. C’è bisogno di un’ulteriore conferma? Eccola: il forum www.narcisismo.forumup.it è frequentato anch’esso da rappresentanti del gentil sesso, nella stragrande maggioranza dei casi. Di fronte a queste evidenze, Brunelli parla di una maggiore disponibilità, da parte delle donne, a guardarsi dentro ed elaborare le emozioni negative che vengono a galla. Sarà…
Madri frustranti Ricordate il bestellerone Donne che amano troppo scritto negli anni Settanta dalla psicoterapeuta americana Robin Norwood? Non uomini. Donne. La Norwood aveva raccolto tutta una serie di testimonianze di pazienti che avevano subito le peggio angherie da parte di uomini egoisti e sentimentalmente inibiti e, ciò nonostante, erano ancora lì, a disperarsi per loro e a soffrire. Le ragioni di queste situazioni patologiche? Famiglie schizoidi, ambienti malati che non avevano permesso alle piccole donne di crescere in maniera sana. Ma la Norwood non aveva risposto a tutte le domande. Detta in soldoni: come mai le stesse famiglie hanno posto le basi affinché ci siano più donne con problemi di dipendenza affettiva che uomini? Vogliamo credere all’assurda panzana della diversità biologica? Davvero siamo ancora legati a queste false credenze? Recentemente è tornata sul tema un’altra psicoterapeuta, Maria Cristina Barducci, in un saggio pubblicato l’anno scorso, Specchio delle mie brame (Edizioni Magi). La lettura di queste pagine offre due o tre spunti interessanti per approfondire la questione. La studiosa parte dal rapporto della bambina con la madre, una relazione che – per i limiti imposti dalla cultura maschilista che ancora è il punto di riferimento in molte famiglie – non soddisfa a pieno la piccola donna. Il desiderio di piacere e di essere accettata è spesso ripetutamente frustrato negli anni importanti della crescita, e così la ragazza, che sente il rifiuto della madre, si rivolge al mondo maschile con la speranza di vivere quell’esperienza narcisizzante che le è mancata durante l’infanzia. Ma la sua fragilità la rende facile preda per narcisisti patologici, uomini che, per problemi loro, non sono in grado di dare alle donne l’affetto di cui avrebbero bisogno. Allora si riaprono vecchie ferite mai rimarginate. Ma pare che da qui si possa ripartire per prendere per mano quella bambina fragile e renderla forte, fiera. In grado di affrontare il mondo con una specificità diversa da quella maschile, ma altrettanto valida.
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Il legno storto “Da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo, non si può costruire nulla di perfettamente dritto” Immanuel Kant, “Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico” (1784)
testo di Francesca Rigotti illustrazione di Mimmo Mendicino
Metaphorae
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Metafore che negano e affermano E così saremmo legni storti, noi esseri umani, tronchi sbilenchi e inadatti a una costruzione dritta. È una metafora questa, certo, una metafora ideata dal grande filosofo Immanuel Kant prendendo a prestito elementi del mondo naturale, il bosco, la foresta e i suoi alberi, e trasferendoli nel mondo morale del comportamento umano: “L’uomo è un legno storto”. Il significato della metafora ci è abbastanza chiaro, persino dopo i duecento e passa anni dalla sua prima formulazione a opera del filosofo prussiano. Anche il livello di efficacia della metafora è alto, benché essa non stia enunciando una verità, dal momento che gli uomini non sono legni, né diritti né storti. Ma proprio questa è la straordinaria capacità delle metafore: condensare in una definizione breve, fresca e profonda una realtà non ancora conosciuta, mentendo e dicendo la verità, negando e affermando allo stesso tempo: “L’uomo è/non è legno”. Metafore del legno Perché il legno? Perché il legno è il più diffuso materiale da costruzione, anzi per lungo tempo fu la materia da costruzione per eccellenza, come si vede ancora oggi nella parola spagnola madera (= materia = legno). Il legno che si trova nelle officine dei carpentieri e nelle botteghe dei falegnami è lì per essere lavorato in nuove costruzioni, le quali, in senso ancora una volta metaforico, saranno le società umane. Come fare a tirarle su diritte se il legno è storto? Diamo due interpretazioni, una recente e banale, e una un po’ più vecchiotta ma dotata di notevole spessore intellettuale. Tutti gli uomini sono storti L’enunciazione di Kant, sostiene la prima interpretazione, giustifica il comportamento di alcuni personaggi pubblici; impossibile non citarne uno in particolare, l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Col richiamo dotto alla metafora kantiana alcuni giornalisti e commentatori politici hanno voluto infatti minimizzare certi suoi comportamenti privati ma certamente discutibili, festicciole e altre “licenze” ben più gravi:
nessuno è perfetto, gli uomini sono tutti un po’ stortignaccoli, lo diceva persino Kant, che male c’è dunque?! La società perfetta La seconda interpretazione non è affatto banale né tantomeno legata a una realtà effimera e in fondo trascurabile. La seconda è nientemeno che alla base di una profonda critica rivolta ai modelli “perfezionisti” di società, a tutte le utopie cioè che avrebbero voluto creare un mondo felice, libero, giusto, virtuoso e armonioso seguendo un modello ideale di società perfetta in cui gli uomini sarebbero stati finalmente liberi dalla schiavitù, dalla prigionia, dal bisogno. Se veramente si crede che ciò sia possibile, nessun prezzo sarebbe troppo alto da pagare. Per costruire questa nuova umanità giusta, creativa, armoniosa e felice ci sarebbe bisogno però di tronchi dritti o raddrizzabili. Che fare invece coi nostri legni storti? La società traballante Coi nostri legni storti si potrà costruire giusto in maniera provvisoria e forse un po’ traballante, senza porsi modelli irraggiungibili di perfezione; scegliendo di volta in volta, facendo quel che si può fare; applicando gli scopi primari di libertà ma anche di eguaglianza, perché la libertà assoluta, la libertà totale dei potenti, dei ricchi, dei dotati, dei capaci, non è compatibile coi diritti dei deboli, dei poveri e dei meno dotati e capaci. Con un’altra metafora legata al legno Immanuel Kant illustrava questo secondo concetto: “... gli alberi in un bosco ottengono una crescita diritta e bella proprio in virtù del fatto che ciascuno cerca di togliere all’altro aria e sole e si necessitano a vicenda a cercarli sopra di sé, mentre quelli che, in libertà e separati l’uno dall’altro, gettano i loro rami a piacimento, crescono deformi, sbilenchi e storti”. Gli uomini (le persone), lasciati alle loro passioni in uno stato di “selvaggia libertà” – vuol dire la metafora kantiana – procurano danni, mentre in una società bene ordinata dalle leggi danno risultati positivi. È la libertà sfrenata e assoluta che fa gli uomini storti, mentre la libertà delle leggi, anche delle leggi che pongono limiti alla libertà per fare spazio al benessere sociale, li fa crescere dritti.
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Miti subiti
Impossibile
» di Marco Alloni
rendere conto in una breve recensione della si potrebbe chiamare idées recues ma a “risvegliarci dalla quiete complessità di un libro come I miti del nostro tempo, che il che le nostre idee mitizzate ci assicurano, perché molte sofferenze, filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti ha ripubblica- molti disturbi, molti malesseri nascono non dalle emozioni di cui to quest’anno nell’Universale Economica si fa carico la psicoterapia, ma dalle idee che, Feltrinelli. Basta scorgere l’indice dei nomi comodamente accovacciate nella pigrizia del per renderci conto che siamo di fronte nostro pensiero, non ci consentono di comprenall’ennesima escursione a tutto campo del dere il mondo in cui viviamo”. grande autore di Il tramonto dell’Occidente Il corposo volume (sono circa 400 le pagie altri fondamentali saggi. ne) ci invita dunque a passare in rassegna Ma l’Introduzione al volume ci aiuta a miti individuali e miti collettivi e a farcene cogliere il senso essenziale dell’opera, che una ragione critica per non assumerli pascome è tipico della produzione filosofica di sivamente e dunque subirli. Galimberti ci invita in primo luogo a quella Quali miti? Quello della giovinezza, per che nel volume Il viandante della filosofia esempio, ma anche quelli della felicità, (Aliberti 2011) egli chiama la “problemadella moda e del potere. Senza escludere tizzazione dell’ovvio”. i miti della tecnica, del mercato, della “A differenza delle idee che pensiamo, i miti globalizzazione, del terrorismo. Per non sono idee che ci possiedono e ci governano con parlare del mito della sicurezza o di quello mezzi che non sono logici, ma psicologici, e famigerato della razza. Umberto G limbertipercorrendo questo libro GalimGalimberti a quindi radicati nel fondo della nostra anima, Insomma, I miti del nostro tempo dove anche la luce della ragione fatica a far berti ci rendiamo conto che noi siamo molFeltrinelli, 2009 giungere il suo raggio” scrive Galimberti in to più fruitori involontari di una cultura e quelle prime pagine. “E questo perché i miti sono idee semplici di una serie di certezze a priori di quanto ne siamo gli artefici che noi abbiamo mitizzato perché sono comode, non danno e i padroni. Un’opera fondamentale – e non poteva essere problemi, facilitano il giudizio, in una parola ci rassicurano”. altrimenti – per riconoscere noi stessi e renderci pienamente Un chiaro monito a non prendere per definitive quelle che consapevoli dei miti che ci stanno sovrastando.
SIMPLY CLEVER
ŠKODA Superb Combi
L’ammiraglia nel rapporto qualità-prezzo
La ŠKODA Superb Combi: prospettive fantastiche per tutti coloro che desiderano far convergere nella guida al più alto livello un eccellente comfort, una grande prestazione e un’elevata qualità di finiture. Da brava compagna di viaggio sa portare ovunque l’entusiasmo alle stelle, emergendo dalla massa non appena fa la sua entrata in scena. Ad esempio grazie al suo motore dinamico TSI benzina o TDI diesel, alla sua trazione 4x4 oppure alle versioni ecologiche GreenTec e GreenLine. L’abitacolo estremamente spazioso è inoltre semplicemente impressionante. Il tutto con un interessantissimo rapporto qualità-prezzo. La ŠKODA Superb Combi è disponibile già a partire da CHF 36’040.–* oppure a partire da CHF 319.– per mese**. Lasciatevi convincere in occasione di un giro di prova presso il vostro partner ŠKODA. www.skoda.ch * Prezzo netto di vendita raccomandato IVA dell’8% inclusa. ŠKODA Superb Combi Active, 1.4 l TSI, 92 kW/125 CV, 5 porte. Consumo di carburante totale: 6.9 l/100 km, emissioni di CO 2: 159 g/km, categoria di efficienza energetica: D. Immagine: ŠKODA Superb Combi Elegance, 1.8 l TSI, 118 kW/160 CV, 5 porte. Prezzo di vendita netto raccomandato: CHF 45’280.– IVA dell’8% inclusa. Consumo di carburante totale: 7.3 l/100 km, emissioni di CO2: 171 g/km, categoria di efficienza energetica: E. Valore medio di tutte le nuove vetture in Svizzera: 159 g/km. ** Esempio di leasing, finanziamento tramite AMAG LEASING AG: ŠKODA Superb Combi Active, 1.4 l TSI, 92 kW/125 CV, 5 porte. Tasso di leasing effettivo: 3.97% (durata: 48 mesi/10’000 km/anno), prezzo di acquisto in contanti: CHF 36’040.–, pagamento straordinario: 20% del prezzo di acquisto in contanti, rata di leasing: CHF 319.95/mese, assicurazione casco totale obbligatoria esclusa. Con riserva di modifiche in qualsiasi momento. Tutti i prezzi si intendono IVA dell’8% inclusa. La concessione del credito è vietata se causa un eccessivo indebitamento del consumatore. Azione leasing valida per richieste di leasing entro il 30.4.2012.
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Il sesso dei nomi La confusione fra maschile e femminile non si limita solo alle relazioni umane, ma investe potentemente anche il settore grammaticale e linguistico, con parecchie sorprese testo di Gaia Grimani illustrazione di Micha Dalcol
Segni
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Il primo terribile dubbio riguarda le lettere dell’alfabeto: sono maschili o femminili? Si dice la b o il b? Personalmente le cito al femminile (forse per campanilismo) la a, la b, la c, ma si possono nominare anche al maschile, come attesta lo stesso vocabolario, eccetto il pi greco che è sempre tassativamente maschile. Altri dubbi sorgono con alcuni nomi che cominciano per vocale. Uno per tutti l’eco, che al singolare è femminile in riferimento alla ninfa Eco che innamoratasi di Narciso si consumò per quest’amore finché di lei non rimase che la voce. “Ho sentito un’eco molto suggestiva”. In realtà è ammesso anche l’uso al maschile, pur non così corretto e il plurale è tuttavia sempre maschile: gli echi. Il vocabolario riserva altre sorprese. Turchese, per esempio, è maschile quando indica il colore, ma è femminile se vogliamo indicare la pietra preziosa, che è la turchese. Quando al venerdì sera si finisce di lavorare e ci si congeda dai colleghi, si usa dire spesso all’inglese “Buon weekend!”, ma chi resiste a questa invasione anglosassone e sfodera l’italianissimo “Buon fine settimana”, incappa in un altro problema: una parola maschile formata da due femminili che al plurale fa i fine settimana e resta invariabile. Lo stesso può dirsi per il pronome qualcosa, maschile, nonostante sia composto da qualche e dal femminile cosa. Contrariamente a fine settimana, fine secolo viene percepita al femminile, forse basandosi più sulla parola fine che sul secolo, parte finale del secolo. “La scorsa fine secolo è stata molto problematica”. Toponomastica critica Facendo una piccola scorribanda geografica, si scopre che la maggior parte dei nomi di città in italiano sono femminili, anche se terminano in o (Milano è sovraffollata), con poche eccezioni come Il Cairo o Il Pireo, mentre i nomi di paesi sono in maggioranza maschili, soprattutto se il nome è accompagnato da un aggettivo maschile come Senna Comasco, o se comprende parole come Castello, Monte, Ponte, Porto (Castel San Pietro è molto carino). Le isole sono tutte femminili in italiano, salvo le più grandi, come il Madagascar; per quanto riguarda le nazioni possiamo
osservare che in Europa sono prevalentemente femminili, nel resto del mondo si alternano femminili a maschili con una curiosità: tutte quelle che hanno sostituito il nome coloniale con uno proprio sono tendenzialmente maschili, come Ceylon, diventata lo Sri Lanka o la Birmania, oggi il Myanmar. Se passiamo a parlare di alberi e frutti la regola è semplice: di solito l’albero è maschile e il frutto femminile: il melo, la mela. Caso speciale sono gli agrumi che in genere sono maschili sia il frutto che l’albero, a eccezione dell’arancia che torna alla regola generale, anche se bisogna dire che in alcune regioni dell’Italia meridionale si usa il termine arancio anche per il frutto. Dal mondo vegetale a quello animale: quasi tutti gli animali hanno un’unica forma per indicare sia il maschio che la femmina: la farfalla, la lucertola, l’orata sono femminili che comprendono anche i maschili e allo stesso modo il coccodrillo, l’usignolo, il salmone sono maschili e si riferiscono anche alle femmine della specie. Quando bisogna specificare il sesso di questi animali si parla di usignolo femmina o di oca maschio. Apparenti illogicità Vi sono parole in italiano che a prima vista sembrano illogiche come soprano e contralto che indicano due voci femminili nella musica lirica, ma sono maschili come genere grammaticale, anche se oggi si tende sempre più a considerarle femminili. Questa apparentemente illogica appartenenza grammaticale al genere maschile sembra essere giustificata nei tempi dal fatto che esse indicavano non solo i cantanti, ma i registri musicali, l’altezza e l’estensione di una voce, quindi erano in origine aggettivi riferiti a registro e a canto. Come il soprano è una professionista donna con un nome maschile, così esistono le professioni maschili con un nome femminile, come guida, spia, sentinella, guardia. In questo caso, nella frase la concordanza è al femminile: “La sentinella si è addormentata in servizio”; “La spia John Mc Cormick fu individuata dai servizi segreti e uccisa”. In tal modo all’interno della frase l’orecchio pretende una concordanza illogica, al femminile, anche se i soggetti cui si riferisce hanno muscoli e barba.
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Visioni
The Iron Lady regia di Phyllida Lloyd Gran Bretagna/Francia 2011
Oltre
» di Roberto Roveda
le facili polemiche sulla rappresentazione della demenza senile di quella che è stata un’icona della politica del secolo scorso – l’amata-odiata Margaret Thatcher –The Iron Lady resta un film difficile da decifrare. Nel solco del più recente trend del genere biografico, il film sembra concentrarsi soprattutto sulla sfera privata dell’ex premier inglese – il legame con il marito Denis, interpretato dall’ottimo Jim Broadbent, il progredire della malattia, la smisurata ambizione personale, il rifiuto del compromesso – piuttosto che sul suo spesso, soprattutto oggi, contestato operato politico. Gli avvenimenti storici che hanno segnato i tre mandati politici della “lady di ferro”, caratterizzati da fortissime tensioni sociali e dallo scontro duro con l’IRA, restano così ai margini di un ritratto intimo e malinconico della donna. Non c’è dubbio che la regista abbia puntato tutto sulla straordinaria recitazione di Meryl Streep, alla sua diciassettesima candidatura all’Oscar, che da sola regge sulle spalle l’intero film, riproducendo con estrema naturalezza movenze ed espressioni dell’ex primo ministro (merito anche del make-up di Marese Langan). Questione di scelte stilistiche, certo, scelte che però non pagano del tutto. Quello che viene a mancare è infatti un chiaro punto di vista sulla protagonista e sulle sue scelte: il prevalere di una Thatcher domestica, fragile e vittima di allucinazioni, e l’utilizzo del punto di vista interno alla protagonista portano inevitabilmente lo spettatore a un lento processo di identificazione ed empatia col personaggio e quantomeno a sospendere il giudizio su una figura tanto ambigua quanto complessa. Una soluzione che manca di coraggio e che si trasforma in una manifestazione programmatica di neutralità, a scapito del film che risulta troppo bilanciato, troppo attento a non “peccare” per eccesso: se da un lato la pellicola indugia su luci e ombre della vita della donna inglese, rifuggendo la rappresentazione agiografica – almeno se si esclude l’episodio relativo alla guerra delle Falkland, intriso di sentimento patriottico e retorica british –, dall’altra, per reticenza o forse per un atto di umana compassione, non si sbilancia in un’univoca presa di posizione sull’oggetto della narrazione. Vanno interpretate in questa direzione anche alcune scelte registiche della Lloyd, come l’utilizzo di flashback allucinati scaturiti da una memoria confusa, che movimentano e insieme frammentano la storia, senza un vero disegno unitario. L’ondeggiare continuo tra passato e presente alla fine è spesso fine a se stesso e poco aggiunge alla narrazione. Non basta certamente a reinventare gli schemi del genere biografico e vivacizzare un film che sembra rimanere sospeso, indefinito, salvato solo dall’eccezionale forza interpretativa della Streep.
IF YOU WANT. WHEN YOU WANT. YOU CHOOSE. Rauchen fügt Ihnen und den Menschen in Ihrer Umgebung erheblichen Schaden zu. Fumer nuit gravement à votre santé et à celle de votre entourage. Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno.
» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Flavia Leuenberger
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Mattea David
Vitae
ho nemmeno provato, perché non sono nessuno. Forse avevo paura di prendere una batosta e mi sono rifugiata in quelle piccole a pagamento. Per “emergenza” diciamo. Ho fatto leggere alcune parti del mio libro a persone “normali”, senza passare da figure intermedie professionali. Poi, da quello che mi si diceva, ho messo a posto e riletto un sacco di volte. So che c’è chi critica la pubblicazione a pagamento, ma penso che dipende da quello che uno vuol fare. Io desideravo avere una possibilità e che vi fosse un riscontro da parte di una casa editrice, visto che dal Ticino non è arrivato quello Il rapporto di una giovane autrice ticinese che cercavo. All’inizio non mi con il mondo letterario, quando scrivere fidavo, ma poi ho visto che diventa un’esigenza, anche su un qual- pagando non si condiziona la loro scelta, perché so di siasi pezzo di carta... libri che sono stati rifiutati da questi editori. risultare un po’ asociale che Che cosa penso di giovani autori di casa costare con persone che non me Matteo Pelli e Andrea Fazioli? Per essere mi danno niente, perché mi coerente dovrei sostenerli e comprare i loro diverte molto di più. libri. Pelli forse mi interessa meno perché In Ticino è difficile riuscire a non leggo volentieri le cose un po’ “comipubblicare. Io ho provato, ma che”. Fazioli invece mi piace, anche se il purtroppo ho dovuto cercare giallo non è il genere che preferisco; ma lui degli editori in Italia, anche è nella lista degli autori da leggere. Certo, il se non sapevo esattamente fatto di essere figli di personaggi assai noti chi contattare. Oggi che da aiuta tantissimo, oggi come in passato, e noi ci sono più autori di una soprattutto in Ticino! (ride, ndr.). Poi da noi volta, mancano gli editori. Il ci sono più autori uomini, perché penso che cantone è piccolo, ma non una donna che scrive tende a chiedersi: “Ma viene svolto un lavoro di vera perché lo devo pubblicare? Lo tengo per me!”. promozione della letteratura Forse è perché ci si mette un po’ a nudo o ticinese e i nuovi autori non perché siamo più legate a un lavoro saldo. Se sono supportati. Penso sia esiste una scrittura “al femminile”? Oddio, anche una scelta di genere. credo di no, lo dimostra il fatto che spesso Infatti quando volevo pubbliautori e autrici si scambiano i ruoli, scrivendo care, diverse case editrici ticidi personaggi maschili o femminili. nesi mi ponevano dei limiti e Il mio rapporto coi lettori è di ringraziamenprendevano solo dei gialli. Ma to, ma non vanno nemmeno osannati. Anzi, io il giallo non lo so scrivere e a volte andrebbero un po’ criticati perché non lo voglio nemmeno fare! non sostengono abbastanza la letteratura tiSe si rischiasse un po’ di più cinese. Per fortuna ancora non mi è successo dal punto di vista editoriale, che un lettore abbia “distrutto” il mio libro, servirebbe anche per promuoma se dovesse accadere penso che analizzerei vere di più la lingua italiana la critica, per capire se è solo per un gusto in Svizzera, visto quello che personale o se perché veramente qualcosa sta succedendo. Forse anche non andava bene. Il mio consiglio a chi noi abbiamo un problema di vuole scrivere è di non lasciarsi frenare dai fondo: quando i nostri concondizionamenti. Se si vuole dire qualcosa, nazionali vengono da noi, lo si dica senza problemi, scrivendo, magari dobbiamo per forza parlare la anche una poesia o una canzone, anche loro lingua. se poi rimane in un cassetto. Esprimersi è Nel mio caso, con le grandi importante e non bisogna sempre subire il case editrici italiane non ci pensiero degli altri!
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S
crivo su pezzi di carta, prendo appunti, magari solo delle “frasettine”, perché a scuola non posso aspettare che finisca la lezione. Tengo tutto e non butto via niente, anche le cose meno rilevanti. Penso sia importante. Di solito mi metto al computer, anche dopo una litigata o qualsiasi cosa, senza impormi un vero senso logico, scrivo, “lascio andare” le parole. Così so che quello che ho scritto è almeno quello che pensavo. Non credevo di riuscire a scrivere qualcosa che fosse un libro, però poi ho iniziato e ho visto che non finiva più, ero completamente dentro. Quando sono arrivata a superare le settanta pagine mi sono detta: “Ok, magari se arrivo a più di cento posso provare a pubblicare qualcosa, se piace”. Tutto mi è venuto molto di getto, le parole uscivano da sé. Una volta finito mi sono sentita un po’ vuota, persa, perché mi ero talmente concentrata in quello che avevo fatto e mi dicevo: “E adesso cosa faccio?”. Ma sto già pensando a un’altra storia e spero che arrivi presto. Leggere tanti libri mi ha aiutato parecchio. Oltre ad arricchire il vocabolario, mi dà una traccia, una struttura, capisci se ti piace o meno come ha scritto quell’autore, ecc. Ma anche quello che fanno i docenti a scuola è importante, anche se tanti mi sembrano un po’ rassegnati, di solito quelli più anziani o freschi di formazione. In quarta media avevo una professoressa che ci parlava tanto di libri e ce li prestava: è da lei che è nata veramente la voglia di scrivere. Purtroppo penso che oggi i giovani leggano veramente poco e spesso ricadono sui fumetti e mi dico: “Va bene, però…”. E gli adulti in genere si scusano: dicono che non hanno abbastanza tempo e che solo di sabato si rilassano. Ma un libro rilassa sempre! Se vado in un posto a leggere un libro da sola, non mi sento un’asociale, anzi. Per essere un po’ polemica, preferisco
La Fondazione dell’arte testo di Keri Gonzato fotografie di Reza Khatir
L’edificio voluto da Ernst Beyeler e progettato dall’architetto italiano Renzo Piano è un luogo speciale: ogni visita regala emozioni e sensazioni sempre nuove. In un dialogo che si rinnova di stagione in stagione, l’architettura della Fondazione dimostra quanto forte ed eternamente stimolante possa essere il costruito… quando è “pensato” e contrassegnato dalla qualità
“L’architetto fa il mestiere più bello del mondo, perché su un piccolo pianeta dove tutto è già stato scoperto, progettare è ancora una delle più grandi avventure possibili” (R. Piano)
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roporzioni perfette, luce naturale che dall’esterno filtra a illuminare spazi vasti, finestre di vetro che si aprono sulla campagna e altre di pittura come portali che scavano nella parte meno visibile delle nostre esistenze… L’edificio ideato dal genovese Renzo Piano per la Fondation Beyeler è grande. Una grandezza fattasi necessità sia per l’importanza delle opere d’arte in esso presenti sia per il flusso di visitatori che le stesse, sommate a quelle che animano le esposizioni temporanee, attirano quotidianamente.
Un magnifico, intimo labirinto Uno stagno che gioca con il sole; un tetto piano che rimanda alla tradizione giapponese, la grande porta che permette il passaggio all’interno, e poi un lungo corridoio e la luce che riappare alla finestra, là in fondo, riempita dalle piante che popolano il parco circostante. L’edificio infonde calma. I colori neutri dei materiali ispirano sobrietà, la luce modulata di spazio in spazio, accompagna il cammino silenziosamente. È un’architettura che, seppur discreta, infonde rispetto in chi la percorre. La sua semplicità ne fa un’alcova perfetta per accogliere i mondi complessi delle opere che vi sono esposte e che, dalle pareti, si aprono come ferite di vita, abbracci appassionati o geometrie assolute. Da un locale all’altro, attraverso abbondanti aperture rettangolari, ci si sposta tra spazi immensi e aree più intime, ognuno adibito ad accogliere in modo ottimale le opere d’arte. Intimità e respiro espanso si danno il cambio per fare da cornice all’arte. Dalle simmetrie elementari di Mondrian ci si scompone penetrando un Picasso, per poi sciogliersi nel colore puro dei Rothko. Il corpo del visitatore sensibile all’arte vibra colorandosi di emozioni.
in questa pagina: Andy Warhol, Flowers, 1965, Fondation Beyeler, Riehen/ Basel. © 2012, Andy Warhol Foundation/ARS, New York/ ProLitteris, Zurich a destra: una delle sale della Fondazione Beyeler. Sulla parete di sinistra, Paul Cézanne, Sous-bois (Chemin du Mas Jolie au Château noir), 1900-02. Fondation Beyeler, Riehen/Basel in apertura e nelle pagine seguenti: alcuni scorci interni ed esterni dell’edificio progettato da Renzo Piano
La passione di una vita La collezione privata della Fondazione è impressionante. Dietro a questa fredda etichetta si cela però il calore di una persona, Ernst Beyeler, figlio di un impiegato delle ferrovie svizzere, nato a Basilea nel 1921 e morto due anni fa. La sua passione per la cultura si accende quando, da ragazzo, lavora presso una libreria antiquaria e in seguito alimenterà la scintilla studiando Storia dell’arte. Nel frattempo la libreria passa nelle sue mani e, nel 1952, si trasforma in galleria d’arte. Ernst Beyeler coltiva il suo primo amore sia come gallerista sia come collezionista, guidato da quel gusto sicuro che oggi traspare agli occhi dei visitatori del museo. I contatti di Beyeler e della moglie si espandono oltre oceano e la galleria si afferma come una delle più importanti al mondo. Braque, Picasso, Mondrian, Van Gogh, Lichtenstein, Bacon, Giacometti, Seurat, Klee, Rodin, Matisse, Monet, Calder, Degas, Chagall a questi nomi corrispondono le scelte di questo illuminato amante dell’arte e, mentre la sua collezione personale cresce, si delinea la necessità di una sede espositiva adeguata. Qui entra in gioco l’eleganza italiana delle linee, capace di cucire un vestito perfetto per i corpi tanto amati da Beyeler…
L’incontro di due sensibilità Con questo progetto l’esigenza meticolosa svizzera incontra l’entusiasmo italiano: Renzo Piano e Ernst Beyeler entrano in simbiosi e lavorano con appassionata intensità. Il risultato viene celebrato nel 1997 con l’inaugurazione della Fondazione. Si tratta di un museo d’arte moderna e contemporanea, situato nel tranquillo comune di Riehen, poco distante dal centro urbano di Basilea. L’edificio di Renzo Piano, oltre a ospitare la collezione privata, propone regolari esposizioni di artisti contemporanei. Il silenzioso seminterrato alloggia un laboratorio di conservazione e restauro, attualmente adibito al Conservation Project Henri Matisse “Achantes”. Se lo si visita negli orari giusti, attraverso una grande vetrata, si può osservare il personale in azione, come pesci in un acquario. L’uomo che si inoltra in questa giungla d’arte e perfezione si ritrova piccolo, anzi piccolissimo, un nano che osserva stupito quel gigante chiamato cultura. Una cultura fatta di corpi magnifici all’interno di un abito perfetto che sembrano giungere da una dimensione sovrumana. Nell’attraversare questi spazi il visitatore quasi dimentica che dietro a ogni quadro e a ogni struttura architettonica ci sono persone in carne e ossa. Esseri umani che, seguendo la follia dell’avventura, hanno saputo rinnovare la vita, cavalcare il gigante e sfidare le leggi del presente rompendone le catene…
Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. Per informazioni: www.khatir.com.
per informazioni Fondation Beyeler Baselstrasse 101 CH - 4125 Riehen/Basel tel. +41 (0)61 645 97 00 info@fondationbeyeler.ch www.fondationbeyeler.ch
attualmente in mostra Pierre Bonard sino al 13 maggio 2012 orari: tutti i giorni 10–18 mercoledì sino alle 20.
Chiaravalle. L’abbazia di Milano testo di Roberto Roveda; fotografie di Reza Khatir
maggio 1798. I cistercensi dovettero abbandonare l’abbazia e il monastero fu abbandonato a se stesso per tutto l’Ottocento, subendo spoliazioni e abbattimenti. Addirittura, attorno al 1860, venne totalmente demolito il chiostro rinascimentale dell’abbazia, attribuito al Bramante, assieme ad alcuni edifici per far passare i binari della ferrovia Milano- Genova… e tutto questo con decine di chilometri di aperta campagna poco più a sud!
Luoghi
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L’abbazia di Chiaravalle sorge tra Milano e San Donato Milanese, in posizione isolata tra le campagne, baluardo di un importante passato capace di resistere al progressivo allargarsi della città. Quanto sarà ancora così è difficile dirlo, ma da secoli l’abbazia difende gelosamente il suo isolamento. I monaci cistercensi, provenienti dalla Francia e guidati da Bernardo (1090–1153) giunsero in queste terre alla fine del 1134. Predicavano un ritorno a un cristianesimo austero e ascetico, basato sul famoso motto di san Benedetto: ora et labora (prega e lavora) e fondavano le loro abbazie nei luoghi più solitari e impervi. Le terre su cui sorge Chiaravalle, in quei secoli del Medioevo, erano acquitrinose e quasi disabitate, il paradiso delle cicogne che qui nidificavano in gran numero e che vennero scelte dai cistercensi come simbolo dell’abbazia. I monaci si diedero da fare e cominciarono a bonificare la zona, rendendola coltivabile. Intanto l’abbazia cresceva lentamente, tanto da poter essere inaugurata solo nel 1221, quasi un secolo dopo l’inizio dei lavori. Il nome era un poco strano per una zona dove la nebbia faceva da padrona per buona parte dell’inverno, ma Clairvoux, in latino Claravallis, era il nome dato alla prima abbazia cistercense fondata da Bernardo in Borgogna nel 1115. Dal potere al tramonto Nonostante i cistercensi professassero ascetismo e austerità, l’abbazia divenne ben presto ricca e potente, grazie al lavoro dei monaci, ma anche alle donazioni e ai lasciti ereditari di molti devoti. L’alta torre nolare – che si eleva per 56 metri ed è familiarmente detta “ciribiciaccola” – costruita nel Trecento, rappresenta il simbolo della potenza raggiunta in poco più di un secolo. Si tratta di una costruzione particolare, un esempio raro di campanile non costruito a fianco della chiesa, ma svettante direttamente sul corpo dell’edificio, in corrispondenza del tiburio, all’incrocio tra la navata centrale e il transetto. Una soluzione tipica dell’architettura gotica, molto diffusa in Francia, Germania e Inghilterra, ma insolita in Italia. Chiaravalle mantenne intatto il suo splendore fino all’epoca napoleonica, quando ne fu decisa la soppressione: era il 15
La rinascita Solo nel 1952 i cistercensi sono tornati a far rivivere il complesso abbaziale, restituendogli la sua dignità di luogo di preghiera e di monumento artistico, grazie anche a lunghe campagne di restauri. Così oggi il grande ingresso fortificato, costruito nel XVI secolo, ci consente di entrare in quel piccolo mondo a parte che un grande monastero sempre rappresenta. Ai lati dell’ingresso troviamo l’edificio quattrocentesco dell’antica foresteria e la coeva cappella di San Bernardo, costruita nel 1412 per accogliere le donne che non potevano accedere all’abbazia, luogo rigorosamente riservato agli uomini. Poi si percorre un breve vialetto, sotto lo sguardo del cinquecentesco campanile e così si accede alla chiesa abbaziale. L’interno è imponente con una grande navata centrale e due navatelle laterali, separate da massicci pilastri circolari, tutti affrescati nel Seicento. Il vero capolavoro è però il coro ligneo, preziosamente intagliato e realizzato a partire dal 1645 da Carlo Garavaglia. L’artista scelse di rappresentare scene e miracoli della vita di san Bernardo e, in pieno spirito barocco, si profuse in decorazioni con putti, cornici floreali, riccioli, frutti, volute e grottesche. Proseguendo lungo la navata, si giunge al transetto, totalmente affrescato e nel quale si aprono le cappelle costruite tra il Cinquecento e il Settecento. Il transetto è interrotto dal presbiterio, con il grande altare maggiore, realizzato nel 1689 in stile barocco e inglobante l’antico altare trecentesco, e la cattedra abbaziale in legno, del 1586. Al di sopra si ergono la cupola e il tiburio, che presentano gli affreschi più antichi dell’abbazia, opera di un allievo di Giotto. Sempre nel transetto, nella parte destra, si apre una scalinata che porta al grande organo a canne seicentesco e alla Madonna con il Bambino e due angeli musicanti eseguita nel 1512 da Bernardino Luini. Dalla chiesa abbaziale si accede, poi all’unico chiostro rimasto costruito già nel XII secolo e ancora oggi fulcro della vita monastica. Qui vale la pena di passeggiare lentamente lungo i quattro lati, godendosi la fantasia e la ricercatezza dei capitelli, le sculture, gli scorci della torre nolare che ci sovrasta. Estraniarsi dal tempo e dallo spazio, farsi monaci anche noi, anche solo per un attimo. per informazioni www.borgodichiaravalle.it per saperne di più AA.VV, L’abbazia di Chiaravalle, Guide Skira, 2005 Paolo Grillo, Monaci e città. Comuni urbani e abbazie cistercensi nell’Italia nordoccidentale (secoli XII-XIV), Biblioteca Francescana, 2008
Una U av vasca sca d da sogno! Tendenze p. 48 – 49 | di Francesca Ajmar
Molti i pregi e davvero pochi i difetti di questo elemento, che oggi non viene pensato più solo per la stanza da bagno. La vasca si trasforma in tal modo in un elemento d’arredo originale e in grado di offrire momenti di relax e autentico piacere sia fisico che estetico Se vi capitasse di dover scegliere tra la vasca da bagno e la doccia, nell’unico locale bagno di casa vostra, che cosa fareste? Gli uomini spesso prediligono la doccia, tonificante, igienica e veloce; le donne, invece, la vasca da bagno, rilassante e lussuriosa, in cui sentirsi vere principesse... A ben vedere esistono in commercio già da alcuni anni soluzioni di vasche che comprendono anche la doccia: alcune sono splendide, soprattutto se inserite in uno spazio progettato ad hoc. Molte, per esempio, le realizzazioni di vasche-doccia appoggiate ad ampie vetrate, con panorami verdeggianti come sfondo, o comunque con un ruolo estetico e funzionale di primo piano. Ma quanti possono permetterselo? E se si avesse a disposizione un tradizionale spazio rettangolare da poter solo un po’ ristrutturare, cosa scegliere? Un’idea, oltre a quella della vasca-doccia, potrebbe essere quella di mettere una doccia, ampia e comoda, in bagno, e una vasca freestanding di ultimo design in camera da letto o in un altro locale pensato appositamente, che può essere anche piccolo, ma caldo ed accogliente. Possiamo farci conquistare da una vasca a incasso, una sorta di mini-piscina a domicilio, essenziale o super accessoriata, ovvero con la possibilità di idromassaggio, cromoterapia, stabilizzatore di temperatura dell’acqua, radio, ingresso audio, ozonoterapia, e quant’altro. Del resto già nell’Ottocento era uso, nelle case borghesi, soprattutto francesi, avere la vasca da bagno in una stanza della casa che nulla aveva a che vedere col bagno. Ci sono esempi piuttosto divertenti di vasche da bagno camuffate per non essere riconoscibili in quanto tali: vasche-divani, vasche-letti, vasche-tavoli, o vasche su ruote per poter essere
trasportate facilmente da un locale all’altro della casa. Il materiale utilizzato quasi sempre era metallo smaltato. Oggi possiamo scegliere tra vasche da bagno in ceramica o in polimetilmetacrilato, facili da pulire; vasche in acciaio o in rame, preziose sculture; in legno, molto diffuse nei paesi asiatici; in pietra, materiale già utilizzato a questo scopo dai greci e dai romani. I nostri progenitori, infatti, oltre a essere dei grandi maestri nella realizzazione delle terme, in molte case gentilizie non rinunciavano a vasche da bagno in pietra o in metallo. Ci sono pervenuti esempi, già dalla Magna Grecia, addirittura di “semicupii”, ovvero piccole vasche da bagno col sedile interno per immergersi solo parzialmente, molto indicate per particolari terapie mediche e per persone con difficoltà motorie. La prima vasca da bagno che si conosca risale al 1700 a.C. e proviene dal Palazzo di Cnosso, dove esisteva un sistema idrico per gli impianti igienici molto sofisticato e ingegnoso. Dopo l’epoca romana, così ricca di terme pubbliche, in epoca medievale l’igiene personale consisteva per lo più nel passare un panno umido sul corpo, bagnando con l’acqua solo mani e viso. Solo i più ricchi potevano permettersi di scaldare l’acqua in inverno, di conseguenza l’immergersi nella vasca, detto “stufarsi”, era un privilegio per pochi. Da numerose fonti letterarie sappiamo, per esempio, che in molti monasteri si praticava il bagno al massimo quattro volte l’anno. In compenso l’acqua veniva profumata con erbe fresche scaldate, petali di rose e olii pregiati. Spesso le tinozze in legno avevano un’ampiezza tale da poter ospitare più persone. Esiste una vasto repertorio iconografico medievale in cui viene rappresentata la coppia abbracciata, durante il bagno, protetta con un telo da sguardi indiscreti. Si sta recuperando oggi questa piacevole usanza del “bagno di coppia” con le vasche “a due”, dalle forme sinuose ed avvolgenti, pensate come veri e propri elementi d’arredo, capaci di rendere felici anche coloro che altrimenti avrebbero preferito una bella doccia!
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Dal 4 aprile, Venere archetipo di bellezza, eros e piacere fa il suo ingresso nel segno dei Gemelli. Un transito di enormi potenzialità, da canalizzare in maniera creativa e originale. Vita sociale in fermento.
Grazie al transito di Nettuno è giunto il momento di aprirsi al romanticismo. Ogni giorno si fa sempre più forte in voi il desiderio di sentirvi in comunione con il partner anima e corpo. Moderati con il cibo.
Gaudium… arriva Venere e per restarci diversi mesi. Vita sentimentale in fermento e incontri inaspettati. Tentazioni amorose inarrestabili, difficili da frenare. Momento di grande fervore per i più creativi.
Momenti di grande romanticismo indotti dal trigono con Nettuno. Spese voluttuarie grazie a Venere nella vostra seconda casa solare. Attenti a non adottare atteggiamenti masochistici favoriti da Plutone.
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Esplosione di energie a partire dal 3 aprile. Eventi inaspettati, fuori dell’ordinario. Rompete con la consuetudine e introducete nuovi elementi. Liberatevi dalle inibizioni e godete di una nuova libertà.
Metamorfosi spirituali per i nati nella prima decade in relazione all’opposizione con Nettuno. Particolari i giorni tra il 4 e il 5 aprile. Iniziative improvvise: va bene essere coraggiosi ma evitate le imprudenze.
Romanticismo ed eros alle stelle. Di fronte alla bellezza rimanete sempre a occhi aperti. La felicità del compagno/a una volta tanto viene prima della vostra. Svolte professionali per i nati nella terza decade.
Particolarmente attivi tra il 3 e il 4 aprile. Il tutto grazie ai buoni aspetti del Sole natale con Luna e Marte in Vergine. Momenti passionali ed emozioni fuori controllo per i nati nella seconda decade.
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Colpi di fulmine e nuove relazioni sociali. Potenzialità inaspettate a partire dal 4 aprile grazie alla buona congiuntura tra Urano e Venere. Scalpitanti e impazienti tra il 4 e il 5 aprile. Ansie professionali.
T a iil 4 ler iil 5 laaprile i n Tra nati p n nel ssegno ar eei beneficeranno di un importante trigono fra tutti e tre i segni di terra. Potranno svilupparsi repentine opportunità professionali. Storie sentimentali con colleghi di lavoro.
tFase l lgdi ie svolta grazie n a Urano o e all’arrivo di Venere nel segno dei Gemelli. In questo periodo avvertite sempre più forte il desiderio di nuove esperienze e nuove attività. Bene sia con l’Ariete sia con i Gemelli.
Metamorfosi spirituali favorite da Nettuno. Attenti ai fanatismi perché Marte si trova in opposizione. Atmosfere trasgressive per i nati nella seconda decade indotte dall’incontro di Giove con la Luna Nera.
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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 5 aprile e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 apr. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Piccoli e variopinti abitatori dell’acquario • 2. È vicino a Bellinzona • 3. Re francese • 4. Il nome della Ventura • 5. Io, in altro caso • 6. Proprio antipatico • 7. Tutti esclusi • 8. Arrabbiato • 9. Alcolisti Anonimi • 13. Insetto laborioso • 17. Intacca la vite • 19. Raccoglie lo scibile umano • 22. Spassarsela • 25. Colte, istruite • 27. Vocali in tasca • 28. Melodiosi, dolci • 32. Norvegia, Uruguay e Austria • 33. Il guscio della tartaruga • 35. Il dio dei venti • 37. Il leggendario Hood • 40. La solita rima per amor • 45. Articolo maschile • 46. Società Nuoto • 47. Il pronome che mi riguarda.
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Orizzontali 1. Caratterizza l’economo • 10. Paladini • 11. Pianta rampicante • 12. L’entità dei danni • 14. Nome di donna • 15. I confini di Comano • 16. Contrario • 18. Il nome della Grandi • 20. Che gli appartengono • 21. Pasto serale • 22. Il fiume dei Cosacchi • 23. La nota degli sposi • 24. Carmi lirici • 26. Granturco • 29. Mezzo vaso • 30. Due nullità • 31. Filosofo inglese • 33. Commissario Tecnico • 34. Ha presentato con successo la tesi • 36. Poeta provenzale • 38. Infaticabili roditori • 39. Raganella arborea • 41. La coppiera degli dei • 42. A volte stroppia! • 43. Rifugi per pennuti • 44. Tonti senza pari • 45. Levigati, glabri • 48. Uncino da pesca • 49. Gas luminoso.
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La soluzione del Concorso apparso il 16 marzo è: GINESTRA Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Margarita Gervasi Somaino 7741 S. Carlo (GR) Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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