№ 14
del 6 aprile 2012
con Teleradio 8–14 aprile
LA GUERRA È FINITA
C T › RT › T Z › .–
Mangiare
1961 anni 2011
SACRIFICIO QUARESIMALE
Ticinosette n° 14 del 6 aprile 2012
Agorà Separazioni e mediazione Arti Centro Elisarion
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Media Comicità e potere
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MARCO ALLONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Letture Senza ambiguità
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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Società Sindromi maledette Incontri L’infermiera/e Storie Sorpresa
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MARIELLA DAL FARRA . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GAIA GRIMANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DANIELE FONTANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vitae Raffaele Scolari Reportage Emmaus
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NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E. KLUESER; FOTO DI C. TIRABOSCHI . . . . . . . . . . .
Fiaba La grandezza del re
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CHIARA PICCALUGA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Space Clearing
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KERI GONZATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PERFORMANCE AT YOUR FINGERTIPS
Confronti sullo stile “Il cervello umano anticipa la nostra percezione del mondo esterno. Per esempio, è in grado di predire se stiamo per percepire una stimolazione tattile di debole intensità o se al contrario sarà intensa o addirittura dolorosa. Un gruppo di ricercatori del Coma Science Group dell’Università di Liegi ha dimostrato scientificamente questa capacità misurando l’attività spontanea del cervello e quella relativa ai rapporti fra le diverse aree cerebrali coinvolte. Nello studio, pubblicato sull’ultimo numero dei Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), Mélanie Boly e Steven Laureys mostrano che l’attività misurata in certe parti del cervello ha una diretta influenza sulla nostra percezione cosciente e sull’intensità del dolore. «Il nostro cervello non è mai a riposo, ma la scienza non ha ancora una chiara comprensione di come l’attività continua e spontanea dei neuroni influenzi la nostra percezione del mondo», osservano i ricercatori (...)”. Da “La preveggenza del cervello” in “Le Scienze. Edizione italiana di Scientific American”, 11 luglio 2007, www.lescienze.it Nel contributo presente online né i ricercatori né il giornalista definiscono questo fenomeno precognitivo una “idiozia”. Un’etichetta con la quale un recente articolo del “CdT” (16 marzo, p. 26) preferiva invece liquidare sommariamente la questione, associandola per ignote ragioni all’astrologia. Punti di vista o preconcetti? Buona lettura, Giancarlo Fornasier
TACTILE TECHNOLOGY 11 funzioni tra cui bussola, marea, cronografo split e lap
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Impressum Chiusura redazionale 30 marzo 2012
Tiratura controllata 70’634 copie
Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direttore editoriale Peter Keller Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir
Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA 6500 Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA 6963 Pregassona
Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Direzione, Postfach redazione, 8010 Zürich composizione tel. +41 44 250 31 31 e stampa Centro Stampa Ticino SA fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch via Industria www.publimag.ch 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 Annunci locali fax 091 968 27 58 Publicitas Lugano ticino7@cdt.ch tel. 091 910 35 65 www.ticino7.ch fax 091 910 35 49 issuu.com/infocdt/docs lugano@publicitas.ch
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In copertina L’abbraccio Illustrazione di Bruno Machado
E xp e r i e nc e m or e a t ww w. t- t o uc h. c o m 595 CHF Prezzo consigliato al pubblico
Dividere senza distruggere
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Agorà
La separazione e il divorzio determinano sulle persone coinvolte molteplici ripercussioni a livello emotivo, giuridico, finanziario, sociale, oltre a implicare una riorganizzazione della vita di tutti i membri della famiglia. La mediazione familiare è uno strumento che aiuta ad affrontare questo tipo di situazioni, evitando i conflitti e nel rispetto reciproco di Roberto Roveda
L
a fine di un matrimonio o di una convivenza, la decisione di separarsi sono eventi quasi sempre dolorosi. Le persone coinvolte provano frustrazione, senso di fallimento, rabbia, rancore verso il partner. Vi sono scelte da fare e decisioni da prendere, scelte e decisioni che riguardano le persone che si stanno separando, ma anche i loro figli, se ve ne sono. D’altra parte, spesso manca la giusta lucidità per affrontare la situazione al meglio. Facile che volino parole grosse, che si cominci una guerra, prima privata e poi nelle aule giudiziarie, una guerra che può anche avere un vincitore e un vinto dal punto di vista legale, ma che lascia spesso solo macerie. Macerie ancora più difficili da ricostruire se a fare le spese del conflitto tra i genitori sono i figli, usati magari come arma di ricatto nello scontro e nelle rivendicazioni tra partner. Per evitare che la separazione si trasformi in dramma, un po’ in tutta Europa si sta diffondendo uno strumento di aiuto per le persone che si separano o divorziano: la mediazione familiare. Che cos’è la mediazione familiare? Per capire meglio di cosa si tratta abbiamo incontrato i mediatori familiari che operano presso l’Associazione Centro Studi Coppia e Famiglia (www.coppiafamiglia.ch) che ha sede a Mendrisio e Locarno: Maria Silva Ceppi, psicopedagogista e mediatrice familiare, Cinzia Lehmann, avvocato e mediatrice familiare e Michele Maggi, avvocato e mediatore. La prima cosa che ci hanno chiarito è che la mediazione familiare rappresenta un processo volontario. Un processo che ha lo scopo di aiutare e incoraggiare le persone e le coppie in conflitto che hanno deciso di separarsi a elaborare in modo costruttivo e propositivo soluzioni eque ed equilibrate, durature
e legalmente valide, rispettose degli interessi e dei bisogni di tutti i membri della famiglia, permettendo di mantenere saldo il valore di sé, dell’altro, dei figli e la continuità familiare. Il mediatore, che è un professionista competente, imparziale, gradito alle parti, senza alcuna autorità decisionale, ha il compito di aiutare a ristabilire non solo una comunicazione costruttiva ma anche a individuare soluzioni per risolvere controversie e a favorire le relazioni personali e genitoriali anche in futuro e malgrado la separazione. In altre parole, il ruolo del mediatore, in quanto facilitatore della comunicazione, consiste nell’assistere le parti nel processo di identificazione delle questioni. In tal modo egli incoraggia l’abilità e la creatività dei coniugi e dei genitori, stimolandoli a trovare possibili soluzioni ai problemi e a esplorare accordi alternativi, valutandone la correttezza nel rispetto della confidenzialità. Senza vincitori né, soprattutto, vinti Ma cosa cercano le persone che si rivolgono alla mediazione e, soprattutto, cosa trovano? Quello che è emerso è che le coppie che si rivolgono al Centro Coppia e Famiglia per un percorso di mediazione (che sono centinaia ogni anno grazie in particolar modo a un’efficace passaparola) cercano prima di tutto uno “spazio per le parole”, un luogo cioè neutrale e simbolico dove possano sentirsi ascoltati, esternando in modo chiaro e trasparente le loro preoccupazioni, i loro desideri e i loro bisogni individuali e familiari anche in una situazione altamente conflittuale. Non dimentichiamoci, infatti, che proprio il conflitto è parte integrante dell’esistenza e della vita di ciascuno di noi e ne costituisce una condizione ineluttabile. Lo spirito della mediazione è proprio quello di “so-stare” nel conflitto per riuscire a confrontarsi con le proprie paure, i propri bisogni e quelli dell’altro, non da antagonisti (“se vinco io, perdi tu“), bensì da co-protagonisti (‘per stare meglio, abbiamo bisogno l’uno dell’altro). Quello che nelle aule delle Preture viene infatti generalmente inteso come un dito puntato e accusatorio, si può sempre trasformare in mediazione – e nella vita di tutti i giorni – in una mano tesa che richiede qualcosa. Attitudine, quest’ultima, che, in fondo, costituisce il fondamento di ogni società: il bisogno riconosciuto di collaborazione. Le persone in mediazione scoprono dunque che vi è qualcosa che va aldilà dell’immagine stereotipata delle incomprensioni che devono sfociare necessariamente in lunghe, estenuanti, litigiose (e costose) procedure giudiziarie, ma possono anzi essere lo spunto per affrontare il problema in modo diverso, lavorando su una migliore comunicazione e permettendo così di riscoprire l’altro come una persona in difficoltà quanto lo siamo noi stessi. In fondo uno dei motti della mediazione è quello secondo il quale “un problema è un’ottima occasione per fare del nostro meglio”. Vi è poi un vantaggio ulteriore nella mediazione svolta presso i consultori: quello di potere usufruire, nell’ambito di un lavoro di équipe, di professionisti esperti nell’ascolto (che è obbligatorio) dei figli minorenni coinvolti nella separazione dei loro genitori. L’ascolto dei minori viene eseguito sia durante l’iter di separazione o divorzio, sia quando, dopo la sentenza, si
verificano eventi che rendano necessarie nel tempo eventuali modifiche degli accordi. In particolare nei casi di separazione e/o divorzio, il mediatore familiare è anche la figura che redige per le parti la convenzione che racchiude gli accordi trovati da presentare al giudice con tutta la necessaria documentazione per la relativa omologazione. La mediazione familiare in Ticino Da diversi anni in Ticino la mediazione familiare costituisce sempre più un’utile alternativa a una procedura giudiziaria conflittuale, come ci confermano anche i mediatori del Centro Coppia e Famiglia. Nel nostro cantone, infatti, la strada della mediazione è stata aperta dai quattro consultori matrimoniali familiari distribuiti nel territorio, quelli di Locarno e Mendrisio, gestiti appunto dall’Associazione Centro Studi Coppia e Famiglia, e quelli di Bellinzona e Lugano, gestiti dall’associazione Comunità Familiare (www.comfamiliare. org), il tutto con il beneplacito e la collaborazione attiva del Cantone e, per esso, del Dipartimento delle istituzioni. I consultori, previsti dalla legge federale e cantonale in materia, intervengono su richiesta di famiglie, coppie e singoli con difficoltà relazionali, offrendo consulenza e sostegno con l’ausilio di specialisti in terapia e consulenza di coppia o individuale. Oltre che essere un’opportunità di riflessione per le coppie e gli individui che devono confrontarsi con le difficoltà della vita in comune e con la ricerca di una loro dinamica relazionale rinnovata e più soddisfacente, i consultori mettono a disposizione delle coppie in difficoltà i servizi dei mediatori familiari, la cui figura è tra l’altro prevista dal nuovo Codice di procedura civile svizzero, in vigore dal 1. gennaio 2011. Il nuovo Codice prevede la possibilità per il giudice, qualora questi lo ritenga opportuno e a seconda delle circostanze, di invitare le parti a intraprendere un percorso di mediazione. Una possibilità offerta non solo necessariamente per situazioni di divorzio o separazione, ma anche per le più svariate forme di conflitti familiari, genitoriali e/o intergenerazionali. In questo senso la collaborazione con le Preture ticinesi come pure con le Commissioni tutorie regionali è costante e regolare – anche per ciò che riguarda l’ascolto dei figli minorenni, che come detto prima è obbligatorio –, e ciò permette sempre più una chiara e maggiore conoscenza della mediazione e delle sue potenzialità. Da diversi anni la SUPSI prevede inoltre regolarmente importanti corsi formativi per l’ottenimento del diploma di mediatore familiare ed è interessante rilevare come diversi avvocati seguano questa formazione che può risultare molto efficace anche per lo svolgimento della loro professione. La mediazione è infatti prima di tutto un’attitudine che, se ben sorretta dagli adeguati strumenti, è certamente molto utile in ogni ambito sociale e nella vita, in genere.
“Il ruolo del mediatore consiste nell’assistere le parti nel processo di identificazione delle questioni. In tal modo egli incoraggia l’abilità e la creatività dei coniugi e dei genitori, stimolandoli a trovare possibili soluzioni ai problemi e a esplorare accordi alternativi, valutandone la correttezza nel rispetto della confidenzialità”
per saperne di più Associazione Svizzera per la Mediazione (ASM) - www.mediation-svm.ch Associazione Ticinese per la Mediazione (ATME) - www.mediazioneticino.ch Lisa Parkinson, La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Erickson, 2003
Agorà
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Il tempio del Clarismo
Tra il 30 marzo e il 29 aprile avremo di nuovo la possibilità
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La Svizzera italiana è stata la culla di una religione che avrebbe voluto cambiare il mondo. A Minusio una mostra propone un viaggio con Elisàr von Kupffer ed Eduard von Mayer alla ricerca di una nuova umanità testo di Demis Quadri fotografia di Reza Khatir
di visitare, presso il Centro culturale del Comune di Minusio, la mostra L’Elisarion e le sue origini. Si tratta di un’occasione importante perché, come spiega David Streiff dell’Associazione Pro Elisarion (www.elisarion.ch), “quando si vede l’Elisarion da fuori si nota come si tratti di un edificio un po’ strano, ma non si capisce bene cosa potesse essere in origine. Visitando questa mostra si apre tutto un mondo, quello di Elisàr von Kupffer e di Eduard von Mayer, che a Minusio hanno cercato di creare qualcosa di speciale e di assolutamente unico”. In effetti, secondo quanto scrive Fabio Ricci – autore tra l’altro del volume Ritter, Tod & Eros. Die Kunst Elisàr von Kupffers (1872–1942) pubblicato nel 2007 – l’Elisarion costituisce, con il Goetheanum di Rudolf Steiner e il Kunsttempel di Joahnn Michael Bossard, uno dei pochissimi esempi di struttura templare dei primi decenni del Novecento. Ma chi erano Elisàr von Kupffer ed Eduard von Mayer? “Si tratta di due uomini nati negli anni Settanta dell’Ottocento e provenienti uno dall’Estonia e l’altro da una famiglia tedesco-russa”, racconta David Streiff. “Entrambi di buona famiglia, si sono conosciuti molto giovani e hanno avuto la fortuna di poter condurre una vita da artisti e intellettuali. Dopo essersi spostati in Italia, hanno sviluppato una specie di religione e una teoria filosofica su come avrebbe dovuto essere e diventare il mondo. Vivevano in un periodo, quello intorno al 1900, in cui si erano fatte molte scoperte sull’esistenza umana, sui modi del vivere insieme, sulla sessualità (si pensi, per esempio, a Freud) e su temi religiosi legati ad ambiti diversi da quello del Cristianesimo. Era anche il periodo della nascita dell’antroposofia di Rudolf Steiner. Più tardi, durante la Prima guerra mondiale, von Mayer e von Kupffer lasciano Firenze e giungono in Ticino, dove danno vita alla religione nota come Clarismo e dove costruscono l’Elisarion come loro tempio, sperando che entro cent’anni le loro idee si sarebbero propagate ovunque. Anche se poi questo, come sappiamo, purtroppo per loro non è successo... Eduard von Mayer ha prodotto molti libri che sono esposti nelle vetrine della mostra, mentre Elisàr von Kupffer, dopo aver inizialmente scritto drammi, poesie e altro, si è dedicato alla pittura, creando opere che adesso fanno parte del fondo dell’Elisarion e che a loro volta possono essere ammirate nella mostra assieme a una riproduzione del Chiaro Mondo dei Beati”. Dall’oscurità alla luce Il Clarismo era inteso dai suoi fondatori come una religione gnostica. Nei testi che riguardano i suoi fondamenti, secondo quanto scrive Fabio Ricci, vengono trattate questioni a proposito “del rinnovamento dello Stato, della riforma sessuale, di diversi movimenti d’emancipazione e, in generale, della riforma della vita. In ultima analisi, il progetto prevedeva la nascita, con le comunità clariste, di «Stati nello Stato», ed entro tre generazioni la diffusione di una religione transnazionale che avrebbe sostituito le istituzioni cristiane con scuole e templi claristi”. Di questo progetto faceva parte anche il Chiaro
sopra e a sinistra, l’ingresso del Centro Elisarion a Minusio
Mondo dei Beati, un enorme dipinto a sviluppo circolare, che per noi oggi rappresenta uno degli esempi più importanti di pittura arcadica del Novecento e che per il visitatore di allora costituiva l’apice del percorso iniziatico all’interno del Sanctuarium Artis Elisarion. “Il dipinto”, spiega ancora David Streiff, “è il culmine di tutta l’opera di von Kupffer e rispecchia la sua idea di creare una sorta di panorama in cui abbia luogo l’ultima tappa del passaggio dall’oscurità, dal buio, alla rivelazione del Clarismo, e dunque alla vita, al mondo luminoso del paradiso. Si tratta insomma di una rappresentazione celeste, per la quale è stata edificata la rotonda che fa parte ancora oggi dell’Elisarion. Il dipinto si sviluppa su 28 metri di lunghezza e poco più di tre metri d’altezza. Dato che l’artista non aveva i mezzi per realizzarlo come un panorama costruito dall’inizio in un pezzo unico, è stato composto in una serie di strisce che poi sono state assemblate nello spazio dove ora, grazie alla mostra, se ne può ammirare una riproduzione. Si crea in tal modo un effetto fantastico che rivela come quella parte dell’edificio fosse in origine. Quando l’Elisarion è diventato un centro culturale, infatti, l’originale del dipinto è stato tolto. Più tardi è poi stato salvato in extremis dall’intervento del grande curatore Harald Szeemann, che l’ha rimesso in ordine e collocato al Monte Verità, dove si trova ancora oggi. Purtroppo, per ragioni di montaggio e dello stato di conservazione dell’opera, non ci è stato possibile riportare questo originale all’Elisarion. Ma vederne la riproduzione digitale su tela costituisce comunque un’esperienza straordinaria”.
a quanto succedeva per gli artisti e gli intellettuali del Monte Verità”, dice David Streiff. “D’altronde, considerando le idee che cercavano di diffondere e il fatto che si trattava di due uomini omosessuali che vivevano insieme a una donna – la signora Fenacci – che badava alla casa, questo non stupisce più di tanto rispetto alla popolazione ticinese dell’epoca. Leggendo i documenti che abbiamo trovato durante la preparazione della mostra, però, ho potuto verificare che von Kupffer e von Mayer hanno tentato di instaurare contatti con la gente del posto. Prima di tutto parlavano o scrivevano in un ottimo italiano. In secondo luogo hanno avuto contatti con intellettuali e sacerdoti della regione, anche se molto probabilmente erano in pochi a nutrire simpatia per loro. È per questo che dopo la loro morte si è preferito metterne da parte l’opera per creare uno spazio vuoto dove sviluppare una nuova attività di centro culturale”. Se anche il Monte Verità veniva all’epoca visto come un luogo di bizzarrie, ci si può poi domandare quanti contatti ci fossero tra la località asconese e l’Elisarion. “Per quanto ne sappiamo, pochissimi. In parte perché quando von Mayer e von Kupffer sono arrivati in Ticino il Monte Verità cominciava magari a esercitare un po’ meno attrazione. Ma soprattutto per loro doveva trattarsi di un ambiente un po’ troppo anarchico. Non bisogna dimenticare che von Mayer e von Kupffer provenivano entrambi da buone famiglie borghesi... Ma forse in effetti un influsso sulla loro scelta di stabilirsi in Ticino è venuto proprio da quel mondo che era stato creato al Monte Verità”.
Un mondo a sé Se oggi si prova a immaginare come potesse essere Minusio all’inizio del Ventesimo secolo, viene spontaneo chiedersi come gli abitanti di un tempio del genere fossero percepiti dalla società locale. “Sicuramente von Kupffer e von Mayer erano visti come persone un po’ troppo strane, in maniera simile
la mostra Il chiaro mondo di Elisàr von Kupffer e di Eduard von Mayer Sino al 30 aprile 2012 Centro Culturale e Museo Elisarion via Rinaldo Simen 3 CH - 6648 Minusio www.elisarion.ch
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Processo all’arte Avvisaglie di un Egitto teocratico? Prove generali di una governance islamista? È quanto viene da chiedersi leggendo la sentenza di condanna emessa dal tribunale criminale del Cairo contro il massimo attore comico egiziano: Adel Imam testo di Marco Alloni illustrazione di Micha Dalcol
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motivazioni della sentenza – seguita all’atto di accusa dell’avvocato islamista Asran Mansur e di altri rappresentanti del movimento salafita – riecheggiano lo stile persecutorio dell’Inquisizione e la terminologia oscurantista che ha cominciato a prendere piede nelle corti del paese a partire dalla vittoria dei Fratelli musulmani e dei Salafiti alle recenti elezioni parlamentari. Adel Imam avrebbe infatti “vilipeso la religione musulmana”, “messo in cattiva luce l’Islam”, “deriso gli abiti tradizionali islamici come la gallabeya, il hijab e il niqab” e “ridicolizzato la barba degli islamisti”. Ma non già in mesi recenti – il dettaglio non è insignificante – bensì fin dalla sua partecipazione a pellicole di successo come Morgan Ahmad Morgan, Il terrorista o Hassan e Morqos, nonché alla celebre pièce teatrale Al Zaim (Il leader). La condanna – di chiaro valore simbolico e dall’ovvio intento intimidatorio nei confronti delle nuove generazioni di attori e cineasti – si limita a tre mesi di galera e all’ammenda di 1.000 pounds egiziani (l’equivalente di 180 franchi svizzeri). Ma il suo significato va ovviamente al di là dell’episodio in questione e rappresenta un precedente per tutta la giurisprudenza a venire. Qualora venisse convalidata e confermata l’accusa ci troveremmo infatti di fronte al primo episodio di esplicita persecuzione legale per ragioni di etica religiosa dall’insediamento degli islamisti alla Camera bassa del Parlamento. Un precedente che potrebbe divenire prassi una volta concessa alla referenza religiosa – cioè all’appello rigoroso ai principi della sharia – la legittimità a ergersi a norma non solo socialmente ma anche a livello forense. Muro contro muro L’episodio non si colloca però soltanto nel delicato momento politico che sta attraversando il Paese. Fa in qualche modo da contraltare alla recente formazione – da parte di artisti, scrittori e intellettuali capeggiati dal pittore figurativo Mohmmad Abla – di un Fronte unitario per la difesa dei diritti d’espressione e della libertà creativa. Contrassegna dunque,
con chiara evidenza, una netta linea di scontro fra quella che potrebbe essere chiamata l’avanguardia “laica e progressista” del paese e quella che si potrebbe definire viceversa una “retroguardia conservatrice e passatista”: in altre parole il muro contro muro – destinato a farsi sempre più esplicito – fra i cosiddetti liberalyyn (liberali in senso largo) e i cosiddetti islamyyn (islamisti toute orientation confondue). All’annuncio della sentenza si è subito delineata una levata di scudi trasversale da parte delle forze moderniste della società che, nell’esprimere la propria solidarietà ad Adel Imam, hanno voluto sottolineare che il confine fra conservatorismo religioso e censura di Stato non può in nessun modo essere varcato: letterati, intellettuali, artisti e un ampio numero di associazioni e movimenti civili. Adel Imam, da parte sua, ha dichiarato che ricorrerà in giudizio contro l’accusa. L’ombra della teocrazia Sotto minaccia si trovano allora oggi tutti quegli artisti, cineasti, attori e scrittori che hanno avuto l’intraprendenza e l’impudenza – dal punto di vista islamista – di trattare nelle proprie opere temi quali la sessualità, la religione e la politica. Minaccia per prevenire o attenuare la quale si stanno muovendo le forze laiche del paese affinché non diventi, nei prossimi mesi e anni, una deliberata strategia per affossare la libertà d’espressione e in genere il libero lavoro creativo degli intellettuali. Il segretario generale del sindacato dei cineasti egiziani, l’artista Ashraf Abdel Ghafour, ha incontrato Mohammad Badie, leader dei Fratelli musulmani, per discutere con lui del futuro dell’arte nel paese: un precedente considerato dal sindacato degli artisti una vera aberrazione, giacché rappresenta la richiesta di un avallo da parte degli islamisti di qualcosa che dovrebbe piuttosto ricadere sotto il solo principio della libertà. C’è da sperare che i più illuminati fra i religiosi d’Egitto – come l’imam della moschea di Al Azhar, lo sheikh Ahmad Tayeb – sappiamo imbastire un dialogo fecondo con i religiosi più ortodossi per tenere a freno l’ondata censoria che ha cominciato a serpeggiare – minacciosa come un’avvisaglia e temibile come un’anteprima teocratica – per il paese.
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Senza ambiguità
» di Roberto Roveda
Vito Mancuso, teologo cattolico, spesso controcorrente ri- di descrivere partendo dalla sua esperienza di uomo e di crespetto alle gerarchie ecclesiastiche, fa procedere la riflessione dente, per poi allargarsi a temi più universali. Prima di tutto che anima tutti i suoi libri da alcuni presupposti irrinunciabili. come rifondare e intendere oggi la fede in Dio, una fede che Primo fra tutti, il fatto che non vi può essere per Mancuso non può basarsi su dogmi e antagonismo tra religione e modernità, tra regole dottrinali ma sull’amore per la verità Dio e il mondo. Per questo, secondo Mane sulla ricerca e affermazione senza sosta di cuso, non si può dirsi credenti ponendosi in essa. “La sincerità è il fondamento della vita una condizione di disprezzo verso ciò che ci spirituale” sosteneva il missionario luterano circonda. L’uomo che ha fede in Dio, infatti, e premio Nobel per la pace 1952 Albert opera nel mondo e per il mondo basandosi Schweitzer e il teologo italiano fa sue queste su un’esigenza radicale dell’anima che può parole. Le riprende anche non nascondendo riassumersi nell’espressione “fame e sete di i casi in cui la dottrina ufficiale della Chiesa giustizia”. Un secondo presupposto è che cattolica viene meno a questa ricerca di non esiste fede senza libertà individuale, una verità e giustizia. libertà individuale che non può essere in alUna fede che sia ricerca di verità è, infatti, cun modo limitata né dall’autoritarismo delle fondamentale nell’Occidente moderno che gerarchie religiose, né da uno scientismo ateo pare aver smarrito assieme al sentimento e semplicistico. religioso, le sue norme etiche, la sua moraQuesti temi sono al centro anche dell’ultimo le, lasciando libertà d’azione all’egoismo e Io e Dio lavoro del teologo italiano, Io e Dio. Un saggio al nichilismo. Per Mancuso, un Occidente di Vito Mancuso che prova, con linguaggio meritoriamente privato del cristianesimo, nelle sue forme Garzanti, 2011 semplice, ad addentrarsi nel mistero del originarie e più vicine al messaggio di Crirapporto che ogni uomo ha oppure sceglie di non avere – è sto, è destinato a dissolversi e l’uomo occidentale a smarrirsi. questo il punto di vista dell’autore – con l’essere supremo che Un messaggio chiaro quello del teologo italiano, una presa di per semplicità chiamiamo “Dio”. Un rapporto, che Mancuso posizione netta, sincera, senza i giri di parole e le ambiguità considera prima di tutto personale e che non a caso sceglie che tanto piacciono al nostro tempo.
Finalmente, dal 29 marzo siamo a Contone. Via Cantonale 10, Lu–Me +Ve 9–18.30, Gio 9–21, Sa 9–17
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Sindromi maledette “Sul pavimento, presso la sua mano c’era un piccolo disco di carta annerita da un lato. Nessun dubbio che era «la macchia nera»; presolo in mano e rivoltatolo, lessi sull’altro lato, scritto con scrittura ferma e chiara, questo breve messaggio: «Tempo fino alle dieci di stasera»” Robert L. Stevenson, L’isola del tesoro (1883)
testo di Mariella Dal Farra illustrazione di Mimmo Mendicino
Buongiorno. Società
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maledizione rappresenta uno dei temi preferiti dal folclore di ogni tempo: ci sono luoghi maledetti (Ca’ Dario a Venezia), oggetti maledetti (il famigerato diamante Hope), età maledette (i 27 anni che coincidono con la morte di molti musicisti il cui nome inizia per “J”) e tutto un repertorio di maledizioni più specifiche scagliate contro singole persone (ma a volte anche stirpi o intere popolazioni) da maghi, fattucchiere o anche gente comune che in quel momento si sente particolarmente arrabbiata. La maledizione è di solito innescata da una trasgressione, preferibilmente un gesto empio, sacrilego o comunque moralmente riprovevole, e prevede il coinvolgimento di un potere soprannaturale di natura non umana. Ma che cosa succede quando gli effetti della stregoneria escono dall’ambito della leggenda per entrare in quello, assai più concreto, della psicologia clinica? La maledizione del cugino Nel 2003 Simon Dein1 ricercatore presso lo University College di Londra, relaziona su due casi di “maledizione” contemporanea. Il primo ha come protagonista un giovane di vent’anni, di religione islamica che vive a South London e il quale viene ricoverato dietro segnalazione dei genitori dopo avere trascorso diversi
giorni in isolamento nella sua stanza, senza mangiare né bere. All’ingresso in ospedale, appare molto debole e mostra sintomi di disidratazione. Durante il colloquio di ammissione il giovane esprime viva preoccupazione per un litigio che ha avuto luogo fra lui e un cugino, con il quale ha sempre avuto un rapporto difficile, e che sa praticare la magia (cosa assolutamente proibita ai musulmani). Al termine della discussione, il cugino lo ha maledetto dicendogli che sarebbe morto e che in nessun modo avrebbe potuto sottrarsi al suo destino. Invece di riconoscere in tale profezia una constatazione spiacevole, ma valida per tutti gli esseri viventi, il giovane sviluppa un intenso senso di colpa e rifiuta di nutrirsi, fino a dovere essere alimentato artificialmente. Le sue motivazioni vengono ascritte a un processo di “ideazione paranoide” e contestualizzate in una dia-
Sogno avverato. gnosi di “Episodio depressivo maggiore” (deflessione dell’umore; agitazione psicomotoria; riduzione dell’appetito). I presidi farmacologici adottati per curarlo non sortiscono alcun effetto, e solo l’intervento di un “mago” ritenuto capace di rimuovere la maledizione gli consente di recuperare appetito e salute.
una diagnosi infausta, in seguito alla quale cominciano a manifestare i sintomi della malattia di cui non sono affetti. Qui, il sistema di credenze collettivo è rappresentato dalla “scientificità”, uno statuto così autorevole da rendere reale un effetto in assenza della sua causa. Questo vasto e affascinante ambito di ricerca pone ancora una volta in evidenza l’interdipendenza delle dimensioni psicologica, sociale e fisiologica nell’essere umano. La dicotomia mente/corpo mostra sempre più la propria natura di artefatto, mentre il paradigma della complessità trova nella maledizione un exemplum convincente delle proprie tesi.
Il senso di colpa Il secondo caso riguarda una donna caraibica di 25 anni, originaria di Trinidad, portata all’attenzione dei medici dai membri della comunità religiosa di cui fa parte. Dopo avere ricevuto una
Arrivederci. lettera dall’ex fidanzato – che, contrariamente al parere della famiglia, la giovane aveva lasciato per trasferirsi a Londra – comincia a manifestare segni di irrequietezza. Al momento del ricovero, esprime il timore che l’uomo in questione – praticante l’Obeah, una forma di stregoneria africana – le abbia fatto un incantesimo. La diagnosi è di depressione psicotica; le vengono somministrati dei farmaci, che comportano un lieve miglioramento. Su suggerimento di alcuni esponenti della sua comunità, vengono inoltre effettuati due tentativi di “esorcismo”, nessuno dei quali sortisce un effetto risolutivo; le sue condizioni continuano a peggiorare. Marcel Mauss, antropologo e sociologo,
ha documentato casi in cui tale deperimento “da maledizione” ha avuto esiti fatali2, fenomeno conosciuto come “morte psicogena” (distinta in “rapida”, quando avviene nell’arco delle 12-72 ore, e “lenta”, se richiede settimane o mesi). L’ipotesi di Mauss è che “in diverse società, il pensiero ossessivo della morte, in origine puramente sociale, senza nessuna interferenza di tipo individuale, è capace di determinare un tale disordine fisico e mentale nella coscienza e nel corpo di una persona da condurla rapidamente alla morte, in assenza di alcuna visibile lesione”.3 L’effetto “nocebo” In entrambi i casi descritti, tuttavia, il passaggio dal sistema di credenze collettivo (piano sociale) alla malattia (piano fisico) è mediato dall’elaborazione di un intenso sentimento di colpa, che si configura come elemento psicologico d’innesco della sindrome. Secondo le ricerche più recenti, la cosiddetta “morte Woodoo” costituirebbe una forma di stress psico-culturale estrema, che psicologi e antropologi definiscono “effetto nocebo”. Non si tratta di una prerogativa delle società permeate da convinzioni magico-sincretiche: l’effetto nocebo è stato, per esempio, osservato in individui che ricevono per errore
invito alla lettura Per chi fosse interessato ad approfondire il tema del rapporto fra psiche, corpo e collettività segnaliamo Salute Mentale e Società di Luciano Conti e Salvatore Principe (Editore Piccin-Nuova Libraria, 1989), dove fra l’altro si parla della “Malattia svizzera”, una sindrome descritta nel XVII secolo come specifica dei soldati elvetici al soldo di capitani di ventura stranieri: “I soldati erano presi a tal punto dalla nostalgia per la patria lontana che perdevano sonno e appetito, e deperivano fino a morire se non venivano rimpatriati per tempo” (op. cit., pag. 77). note 1 Simon Dein, “Psychogenic death: individual effects of sorcery and taboo violation”, Mentale Health, Religion and Culture, Volume 6, Number 3, 2003, pp.195-202. 2 Marcel Mauss, “The physical effect on the individual of the idea of death suggested by the collectivity (Australia, New Zealand)”, Sociology and Psychology: Essays by Marcel Mauss, trans. B. Brewster, Routledge and Kegan Paul Ltd, London, 1979. 3 M. Mauss, Op. cit., pag. 36.
Consulenza personale a due passi da voi: Lugano Manno, Via Violino 1. Telefono: 091 604 22 00 La concessione di crediti è vietata se conduce a un indebitamento eccessivo (art. 3 LCSI). CREDIT-now è un marchio di prodotto di BANK-now SA, Horgen.
Società
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L’infermiera/e Da bambina avevamo un’amica di famiglia che faceva un mestiere il cui nome era per me fonte di mistero: caposala in un ospedale. Capo non di persone, ma di una sala: quale mondo magico nascondeva questa definizione? testo di Gaia Grimani illustrazione di Micha Dalcol
Non nasconde nessun mistero, nessuna favola, bensì la realtà
Incontri
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tremenda della sofferenza umana e un nucleo di esseri speciali che la alleviano: le infermiere e gli infermieri. Quando si è giovani, l’incontro con questa persona avviene solitamente nello studio del pediatra: la sua figura incute soggezione, tutta vestita di bianco, talvolta fa il “pic” nel dito, da cui come un vampiro estrae il sangue che poi analizzerà, lasciando il piccolo piangente e dolorante, altre volte somministra vaccinazioni e, in genere, esperienze poco piacevoli, che suscitano nel futuro diffidenza e non certo desiderio di incontrarla ancora, anche se, per farsi perdonare, distribuisce poi caramelle o cioccolatini. L’inganno è rotto e l’infermiera sarà per tutta l’infanzia, lo spauracchio che la mamma incauta evocherà, se si fa un capriccio o si è commessa una marachella. Gli angeli della guarigione Quando si cresce, il rapporto cambia radicalmente e ci si avvicina a lei in modo più consapevole, apprezzandone l’abilità e, spesso, l’affabilità di preziosa intermediaria nel contatto con il medico di famiglia, sempre occupato, sempre di corsa. È lei che ascolta al telefono il primo resoconto dei nostri mali, è lei che dice le prime parole di consolazione e fissa l’appuntamento con chi ci guiderà verso il recupero della salute e nello studio ci assiste, ci guida con delicatezza, anche attraverso prove non sempre piacevoli. Ma il luogo in cui veramente si sperimenta l’abilità professionale e la disponibilità umana dell’infermiera è l’ospedale. Chi vi si trova, ha certo qualcosa di serio con cui confrontarsi e ha bisogno di “abitare”, per così dire, in un luogo diverso dalla propria casa per essere a disposizione completa, fisica e psichica, dei medici che lo devono curare. Si sa che si tratta di un posto pieno di potenziali pericoli, di sofferenza, ma, anche e soprattutto, di paura: riusciranno a capire che cosa ho e a individuare una cura che mi guarisca? Riuscirà l’operazione? Mi sveglierò dall’anestesia? Chi conduce fuori dal tunnel di questi incubi è proprio l’infermiera, che a capo del letto assiste, aiuta, misura la pressione, la febbre, cambia le medicazioni, consiglia
come affrontare le difficoltà e questo, giorno e notte, incessantemente, alternandosi nei turni, ma sempre portando con sé una presenza altamente consolatrice. Non ci sono soldi che possano compensare questo lavoro prezioso, spesso silenzioso e appartato. Se è vero che il medico abile guarisce, quanto della guarigione è opera della persona che favorisce la sua azione, mettendo il paziente nella condizione interiore e fisica più opportuna per accoglierla? Un aiuto indispensabile Non si può però al giorno d’oggi, nel campo delle cure infermieristiche, tacere di altre figure professionali, assai legate all’evolversi dei nostri tempi: le infermiere o infermieri delle cure a domicilio o spitex. Chi ha avuto in casa un congiunto anziano o gravemente malato, conosce la disperazione e la solitudine che si prova davanti a certi problemi, la spossatezza fisica e psichica, generate da situazioni che è estremamente gravoso gestire da soli. In tal caso, si può ricorrere a questi infermieri che arrivano a casa di mattina e si prendono cura del paziente con una regolarità che dipende dalla gravità della malattia, lo medicano, lo lavano, controllano il suo stato di salute per poi riferire al medico e, soprattutto nel caso di un anziano, portano una competenza e un sorriso a cui volentieri egli si affida, sentendosi considerato e accudito, con gran sollievo dei suoi familiari. Ma vi sono anche altre figure dei tempi moderni, che non sono vere e proprie infermiere, ma esercitano una professione a esse affine. Mi riferisco all’esercito delle badanti che si prendono cura degli anziani in casa, aiutandoli nell’assumere medicamenti, portandoli a passeggio, magari in carrozzina, provvedendo a loro in ogni modo. La badante è generalmente una donna, talvolta con istruzione accademica, che giunge, spesso, da paesi lontani. Quando vado al mercato, incontro spesso una signora anziana, accompagnata da una più giovane, evidentemente straniera, che fatica a scegliere cibi per lei altrettanto stranieri: negli occhi dell’una e dell’altra un fondo di malinconia per le rinunce affettive che lo stare insieme comporta. È lo stato di necessità dei deboli che si aiutano a vicenda.
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Sorpresa un racconto di Daniele Fontana
Oggi è giornata triste. Da Porlezza, in fondo al lago, viene avanti una nuvolaglia densa. Un ammasso di grigi scomposti che si rotolano addosso e non promettono nulla di buono. Manuela finisce il caffé e si infila il cappotto. Fuori fa già fresco. Par di essere in quei romanzi svedesi, dove l’estate dura un niente e alle prime piogge è già aria di neve. Giornate difficili per vivere. Figurarsi per morire. Manuela è un’infermiera oncologica. La morte è il suo pane quotidiano. È un pane che stanca. Che sfianca. Eppure a modo suo ti nutre. Certe volte. A pensarci. A vederci. Comincia a piovere. Senza una grande intenzione prima. Ma poi quell’acqua, che non si sa bene se venga dal cielo o dal lago, prende a scrosciare. Santa pazienza, mai stata fatta per la pioggia questa auto d’occasione, che quando la si è presa già sembrava come certi gatti malandati, dimenticati in un angolo del rifugio. Una scatoletta di latta montata su quattro ruote piccine che, a ogni squasso, sembra sul punto di cedere all’assordante violenza delle gocce. E quel tergicristalli che mette pena dalla fatica che fa anche solo ad arrivare da una parte all’altra del vetro. È fatica pure questo viaggio su in valle. Ed è bruma. Una pena che va ad aggiungersi a quel senso di amarezza che da qualche giorno sta scavando nell’anima. La figlia che arranca negli studi e che soffre per una balorda storia d’amore. Gli uomini, quelle carogne. Come Andrea, che l’ha mollata per una più giovane, già. E poi questo lavoro, che le piace. Che la prende. Che è tutta la sua vita. Ma che certo ti nega ogni speranza. Destini segnati. Percorsi tracciati. Finali già scritti. Addosso, sulla pelle, nelle carni di quegli uomini e di quelle donne che vedranno la morte venire loro incontro. Giorno dopo giorno. Passo dopo passo.
quei pochi istanti tra l’uscita dall’auto e l’entrata in casa le inzuppano il cappotto. Il buio di quell’atrio parla nel suo silenzio. La collega del servizio di aiuto domiciliare è già passata. La casa è pulita, riassettata, quasi asettica. Un muto sepolcro in cui il tempo ha spento anche i piccoli rumori della quotidianità. Ueli è al piano di sopra. Nella camera matrimoniale, reliquiario di un amore antico, forte e tenace, spezzato dalla morte ma che il ricordo mantiene ancora in vita, goccia a goccia come la flebo inserita a forza nella pallida vena di quest’uomo disseccato dalla malattia. Non ha mai lasciato che lo si portasse da basso. Sarebbe stato come tradire quell’amore, violarne per sempre i territori esclusivi. E anche ora, che Ueli la forza e la mente per opporsi non le avrebbe più, nessuno osa mancare di rispetto a quella scelta. Manuela sale le scale. Sa cosa l’aspetta. Lui è lì, steso nel letto, atrofizzato nelle forme in cui il dolore costringe il suo corpo. Eppure, anche nei più forti spasimi, non invade mai lo spazio che fu di sua moglie. Non parla più Ueli. E forse nemmeno sente. Chissà se capisce. La morte però con lui non ha fretta. Ha altro da fare. E altrove parrebbe. Che vita è questa, che senso ha? Se un senso esiste.
NON HA MAI LASCIATO CHE LO SI PORTASSE DA BASSO. SAREBBE STATO COME TRADIRE QUELL’AMORE, VIOLARNE PER SEMPRE I TERRITORI ESCLUSIVI
No, oggi non è giornata. E ad attendere Manuela su, in valle, c’è Ueli. Solo di una solitudine che non ha pari. Venuto in Ticino per vivere una vita semplice in questo spicchio di sud ancora dentro i confini di casa. I figli sono rimasti là, in Svizzera interna, con le loro famiglie e, col passar del tempo, chi li ha più visti. La moglie se ne è andata anni fa, portata via da un cancro. Lo stesso che ora sta consumando lui. Anzi no, lei è stata più fortunata. Carcinoma gastrico, attacco allo stomaco e in pochi mesi tutto si è consumato. Non come Ueli che il tumore, maledetto nella sua calma, se lo sta mangiando giorno dopo giorno, pezzetto per pezzetto. La casa è lì, appena fuori quelle altre tre o quattro che farebbero il nucleo del paesino. Manuela ha le chiavi, ma
Manuela presta la propria arte.
Con sapienza. Con premura. E intanto la giornata torna ad affollarle la mente. Gli affetti, le preoccupazioni, gli umori. Quella vita che a volte ti si presenta sull’uscio di casa fosca e torva come le nuvole che stamattina salivano da Porlezza. Poi, improvviso come certi pensieri, come certi amori, un raggio di sole buca la cappa delle nubi, si fa strada nella spessa foschia di montagna, taglia il buio della stanza, supera, radente, il corpo di Ueli per adagiarsi sul letto. Proprio là, nello spazio che fu di sua moglie. E d’improvviso ogni nuvola nel cielo di Manuela si dissolve. Un gesto incerto, goffo, quasi straziante. Dapprima una mano tremula. Poi un braccio contorto, una forza venuta chissà da dove che muove schiena, bacino e poi quel che resta di muscoli nelle gambe. Quel corpo consunto dalla malattia e dal dolore riprende vita. Con uno sforzo che non ha più nulla di umano avvia un movimento lento e ostinato. Come pianta che anela alla vita. Come linfa pompata da fisica misteriosa che risale alla luce. Ueli si è spostato. Ora giace abbracciato al calore di quella traccia solare. Avvolto nel tepore di un ricordo che, come una pianta graziata, ha risollevato il capo aprendosi alla luce. E par che sorrida.
Storie
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» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Reza Khatir
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Raffaele Scolari
Vitae
ho un’esagerata considerazione di me stesso dato che quel fantasma è abbastanza regolare nelle sue visite. Ho una natura “felpatamente” tragica e credo di essere un individuo compulsivamente cerebrale. Per quanto riguarda le critiche ho imparato a incassarle, e qualche volta mi riesce anche di farne qualcosa. Avendo due divorzi alle spalle qualcuno potrebbe pensare che abbia problemi nella relazione con le donne. Sono convinto che l’istituto del divorzio sia una conquista di civiltà, a meno che, come diceva una canzone di Jannacci degli anni Settanta, si voglia il divorzio ma non per divorziare. Ho Originario della Valle Verzasca, docente problemi con le donne come nel campo della formazione professionale, li posso avere con gli uomini. coltiva un profondo interesse per la filo- L’empatia tra uomo e donna occupa lo stesso posto che fra sofia anche in relazione al territorio uomini e uomini e fra donne e donne. Ho sempre ritenuto no pure riuscito a pubblicare che le donne ti ammantano con dei trappoloqualcosa (per lo più cose che ni non più dei maschi, ma in modo diverso. oggi mi appaiono illeggibili); E poi le trappole s’intrappolano. Comunque, poi ho capito che le mie enernon mi sono mai sentito intrappolato da una gie andavano spese altrove. donna né, penso, di averne mai intrappolata Mi occupo di territorio da una. Finora ho avuto più fortuna che sforparecchi anni. In filosofia il tuna. Scelte sbagliate sì, parecchie, ma non tema dello spazio è assai imfondamentali. Mi sembra di essere un buon portante, ma evidentemente padre, e lo deduco dal fatto che Baldo, Jacopo il mio interesse per lo spazio e Luna trascorrono parecchio tempo con me, e il territorio va ricercato anbenché tutti e tre siano ormai grandi. che nella biografia, in alcune Il termine “vita” mi è sempre apparso osceesperienze che risalgono all’ namente generico. Gli spazi delle nostre infanzia. Sono presidente esistenze, i territori del presente, sono spesso della Fondazione Verzasca, considerati brutti, ma altrettanto spesso si un’agenzia che si occupa di dimentica che questa bruttezza è dovuta progetti volti a promuovere all’entropia di cui siamo responsabili. Brutti, lo sviluppo socio-economico poi, ci appaiono anche perché non abbiamo della valle di origine della tempo e spazio a sufficienza per guardarli da mia famiglia paterna. Si tratta lontano. Credo che la ricerca della bellezza di un’attività che fa per così sia da considerare (anche) con sospetto: il dire da pendant pratico alle manto del bello cela molto spesso il domimie ricerche filosofiche, e che nio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla mi rimette un po’ i piedi per natura. Le mie ricerche, ma anche l’analisi terra. junghiana cui mi sono sottoposto, mi hanno Se ho mai predicato bene e permesso di capire che dietro a tale ricerca si razzolato male? Sì, ma ancela il desiderio di guardare da lontano. Nel che il contrario. Nella vita De rerum naura Lucrezio descrive uno spetmi spaventano le esplosioni tatore che dalla riva contempla il naufragio improvvise di violenza, mi di un vascello; egli non gode delle tribolatranquillizzano molte cose zioni altrui, ma del confronto tra la propria semplici. Di me non mi piace sicurezza e la sciagura degli altri. Quella riva il nome: ho sempre associato sicura cerchiamo, ma sempre più chiaramenal nome Raffaele un che di farte gli eventi del mondo ci mostrano che la fallesco e poco serio. Di tanto maggior parte del tempo siamo fra le onde, in tanto ricevo visita dal fananzi, che quelle onde, come diceva Jacob tasma dell’inettitudine. Non Burckhardt, siamo noi.
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N
on ho nulla di particolare da rimproverare alla mia famiglia d’origine. Dell’ambiente in cui sono cresciuto mi porto dietro una dose sostenibile di nodi o traumi, verosimilmente necessaria per essere in grado di metabolizzare, quantomeno finora, i rovesci che inevitabilmente la vita riserva. Dalla mia famiglia ho tratto soprattutto la volontà di essere indipendente e una diffidenza di fondo nei confronti del potere e delle sue messe in scena. Mio padre era un uomo piuttosto ombroso, a tratti severo, e spesso lo temevo. Ovviamente il papà e la mamma hanno marcato la mia crescita, e poi i nonni, i fratelli, gli zii e alcuni amici di famiglia. Mio padre mi ha sicuramente segnato parecchio, per l’impegno che metteva nelle cose che faceva. Sono cresciuto sostanzialmente con un’educazione alla libertà. Ricordo l’adolescenza come un periodo noioso e difficile, in cui ho fatto parecchio fatica a ingranare, a individuare il percorso da seguire. Da ragazzo ci fu un momento in cui con un paio di amici ci si divertiva a costruire ordigni e a farli esplodere di notte in vari posti. Finimmo davanti al giudice dei minorenni. Un insieme di eventi e incontri mi ha condotto alla riflessione filosofica. Nella casa dei miei genitori i libri erano una presenza importante; tuttavia fino a quindici anni ho letto poco o niente. In seguito le cose sono cambiate, e una volta mi sono imbattuto in un dialogo socratico, nel Teeteto di Platone, e lì ha avuto inizio il mio interesse per la filosofia. Poi ci sono stati alcuni incontri importanti in Germania, dove ho vissuto e studiato per undici anni. La mia formazione è però stata tutt’altro che lineare. A Colonia seguivo solo i corsi che mi andavano a genio, e per molti anni ho vivacchiato di traduzioni, di alcune ore d’insegnamento e di illusioni. Volevo fare lo scrittore, e so-
Emmaus. Una Pasqua continua testo di Eugenio Klueser; fotografie di Chiara Tiraboschi
“Se voi siete dei ragazzi e delle ragazze che vogliono la gioia personale, la ricchezza, il successo, allora sarete i più disgraziati tra gli abitatori della terra... Ma se voi comprendete che la gioia di ogni essere umano è di essere servitore della gioia di tutti, allora sarete la più felice di tutte le generazioni, perché avete in mano dei mezzi che mai l’umanità ha avuto per liberare i poveri dalla miseria” (Abbè Pierre, fondatore del movimento Emmaus, 1968)
Attilio, ospite comunitario
Aldo, cuoco della ComunitĂ
Famiglia in visita al centro
Pausa pranzo per gli ospiti della ComunitĂ
Oreste e Imre, ospiti comunitari
Alessandra, impiegata della ComunitĂ
Cristian, ospite comunitario
Gabriel, ospite comunitario
L’
inizio delle nostra storia ha un po’ il sapore di una parabola antica: siamo sul finire degli anni Quaranta del secolo scorso e un uomo, solo e disperato, ha deciso di suicidarsi. Si chiama Georges, nella sua vita ha ucciso, è stato in carcere e ora sente di non avere nessuna ragione per continuare a vivere. L’Abbè Pierre1, che gli è accanto in questo momento drammatico, non si abbandona a parole di conforto. Gli propone di fare qualcosa assieme, di aiutare altri sfortunati a sfuggire all’inferno della solitudine e della miseria. Offre a Georges una ragione concreta per vivere e quell’uomo, fino a un momento prima disperso nel mondo, vi si aggrappa, per tutto il resto della vita. Il primo seme del Movimento Emmaus è così gettato e altri ne seguiranno, sempre avendo come punto di partenza l’intuizione del sacerdote francese: per aiutare chi è disperato, chi vive situazioni difficili non ci vuole solo pietà e compassione. Bisogna dare un senso alla vita di queste persone. Anche i più disperati possono rendersi utili per gli altri, anche i più deboli possono aiutare quelli ancora più deboli, portando il messaggio di amore per i poveri e per i diseredati, per i dimenticati del mondo. “L’uomo non è salvato che a partire dal momento in cui egli stesso diviene salvatore”, sono le parole che ispirano l’Abbè Pierre nel suo progetto. La “provocazione” delle Comunità d’Emmaus Nascono da queste parole le prime Comunità d’Emmaus, piccole aggregazioni autosufficienti e indipendenti, i cui membri condividono il lavoro, la conduzione della casa, l’aiuto reciproco e il mutuo sostentamento. L’importante è non sprecare energie umane e anche materiali. Ci si dedica così alla raccolta di oggetti, che la gente getta via. Li si riutilizza, li si ricicla, li si rivende. Nulla va sprecato. Ancora oggi e ancora di più nel pieno degli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, l’epoca dell’individualismo sfrenato, del consumismo e dello spreco senza limiti, del successo a tutti i costi, quella di Emmaus diventa una provocazione forte, quasi uno “schiaffo” al mondo che dimentica e oltraggia la miseria, dimenticando gli ultimi. Un piccola, silenziosa rivoluzione che attecchisce nel tempo in 36 paesi e dà vita a oltre 300 comunità, sei delle quali nella Confederazione. Da noi il movimento arriva nel gelido inverno del 1956 quando alcune persone si organizzano per portare conforto a chi non ha di che riscaldarsi. Il motto di quei giorni è “aiuta prima i più sofferenti”, parole che facilmente ritroviamo visitando la prima Comunità d’Emmaus del nostro cantone, a Rivera. Un luogo dove si incontrano occhi di persone che non hanno avuto una vita facile e che portano le loro difficoltà nel profondo del loro sguardo. Un luogo in cui si incrociano tratti somatici di ogni continente, dove non contano le razze e i credi religiosi. Conta darsi una mano, guadagnarsi da vivere, senza aspettare aiuti o elemosine. Senza aspettare di essere buoni, perfetti e pronti perché la miseria non può attendere. In altre parole, uno di quei luoghi in cui la Pasqua, intesa come passaggio da un orizzonte senza speranza alla gioia della vita, si rinnova ogni giorno, non arriva, se va bene, una volta all’anno.
note 1 Henri Grouès, conosciuto come l’Abbè Pierre (1912–2007) è stato un sacerdote e uomo politico francese. Cappuccino, nel 1938 lasciò l’ordine francescano per lavorare nel clero secolare. Partecipò alla Resistenza contro i nazisti; nel 1944 fu cappellano nella Marina e dal 1945 al 1951 fu deputato al Parlamento francese.
Un intero piano è stato adibito alla vendita. Vi si possono acquistare mobili, tavoli, letti, scrivanie, materassi e quant’altro
per saperne di più sul Movimento Emmaus www.emmaus-international.org; www.emmaus-arce.ch per informazioni sulla Comunità d’Emmaus in Ticino via Cantonale, CH - 6802 Rivera; tel.: +41 (0)91 946 27 26 rivera@emmaus-arce.ch; www.emmaus-arce.ch/rivera_i.htm
Chiara Tiraboschi Fotografa free-lance, ha vissuto a San Francisco e Rio de Janeiro. Collabora con la rivista belga di cinema “Filmmagie”. Condivide con il marito Maurizio De Marchi uno studio grafico e fotografico a Locarno.
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La grandezza del re trascrizione di Chiara Piccaluga illustrazione di Céline Meisser
Fiabe
46 Una volta, in un immenso impero oltre il mare, viveva un re molto temuto: la gente pensava che non esistesse un re più potente o più ricco e anche lui stesso finì per convincersi che sulla terra non ci fosse nessuno capace di superarlo in grandezza. Un giorno proclamò che tutti dovessero chiamarlo “Invincibile magnificentissima grandissima immensa infinita risplendente Maestà” e ordinò anche alle guardie di arrestare chiunque non si rivolgesse a lui con queste parole. Un giorno, il capitano delle guardie si presentò al re, s’inginocchiò ossequioso e disse: “Invincibile magnificentissima grandissima immensa infinita risplendente Maestà, abbiamo qui un uomo che si rifiuta di onorarvi”. “Conducetelo subito a me”. L’uomo, che aveva già i capelli bianchi, fu portato al suo cospetto. “Chi sei?”, chiese altezzoso il re.
“Sono solo un mercante, vivo con mia moglie in una casetta in cima alla montagna. I miei figli ormai sono grandi e se ne sono andati per il mondo in cerca di fortuna”. “E io chi sono?”, gli domandò il re guardandolo severamente negli occhi. “Siete il re”, rispose calmo il mercante. “No! Io sono l’Invincibile magnificentissima grandissima immensa infinita risplendente Maestà!”. “Sire”, disse l’uomo “voi siete certamente un gran re, ma io non vedo che cosa vi renda così straordinario…”. Il re furibondo lo fece allora gettare in prigione. Un anno più tardi il mercante fu liberato e poté tornare a casa, ma qualche giorno dopo le guardie lo riportarono dal re. “Quest’uomo si rifiuta ancora di riverirvi correttamente, vostra Invincibile magnificentissima grandissima immensa infinita risplendente Maestà”
“Gettatelo di nuovo in prigione, dovrà pur imparare!”, urlò fuori di sé il sovrano.
L’anno successivo l’uomo venne liberato e il re, non riuscendo a credere che si rifiutasse ancora di chiamarlo con il titolo che gli era dovuto, decise di spiarlo. Durante una lunga notte buia il re andò a casa del mercante e da una finestra aperta lo sentì parlare con la moglie che si lamentava amaramente del re. “Ascolta, moglie mia”, le diceva il mercante “è vero che il nostro re è un po’ incline alla collera, ma dobbiamo perdonarlo perché da quando ci governa regna la pace, il popolo ha da mangiare e le tasse sono ragionevoli. Non dimenticare poi che ha distribuito molti suoi terreni ai contadini in modo che potessero coltivarli liberamente. Gli dobbiamo veramente molto e gli auguro di poter vivere a lungo circondato dall’amore e dal rispetto di tutti!”. Il re nel sentire quelle parole d’elogio fu colto da un terribile rimorso, entrò nella casa del
mercante e s’inginocchiò davanti alla coppia chiedendo perdono per essere stato la causa di tanti torti. Il mercante allora s’inchinò davanti a lui e disse: “Sono onorato di vedere la vostra Invincibile magnificentissima grandissima immensa infinita risplendente Maestà!”. “È straordinariamente gigantesca”, aggiunse sua moglie. Il re, sorpreso, gli chiese come mai ora si rivolgesse a lui in quel modo dopo che per ben due volte era stato ingiustamente imprigionato proprio perché non voleva pronunciare quelle parole. “Maestà, solo il più grande tra gli uomini sa riconoscere le proprie colpe e sa chiedere umilmente perdono. Oggi meritate veramente il riconoscimento della vostra grandezza”. Quando il re tornò a palazzo, ordinò che alla coppia non dovesse mai mancare nulla e fece immediatamente annullare il decreto che lo nominava Invincibile magnificentissima grandissima immensa infinita risplendente Maestà. La modestia e l’umiltà del mercante avevano cambiato il carattere del re! Fiabe
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L’arte di fare spazio in casa come nella vita
Tendenze p. 48 – 49 | di Keri Gonzato
“Un’abitazione disordinata e straripante di cose superflue corrisponde a un confuso e inconcludente approccio esistenziale. Se in casa ci sono soltanto cose che usiamo e amiamo, la casa diventa un’impareggiabile fonte di sostegno e nutrimento psicofisico” (Lucia Larese) Vite troppo piene: questa è la diagnosi per gran parte delle persone che popolano il mondo occidentale. “Buttare via una cosa al di’ ed evitare di rimpiazzarla con 1 nuovo acquisto” potrebbe essere quindi la posologia per iniziare una cura depurativa. I sintomi evidenti di esistenze riempite fino all’orlo sono le nostre case, la dimostrazione palese del fatto che abbiamo troppo… Una frase scontata ma che sta perfettamente incollata alla realtà. E quando uno ha “troppo” vuol dire che da qualche altra parte invece la bilancia pende verso il “troppo poco”. Si parla quindi di squilibrio: planetario (ricchi-poveri), interiore (ricchezza esteriore-vuoto interiore), occupazionale (agende schizofreniche-tempo libero), ecc. Ma la storia ci sta insegnando che è sempre meglio partire dal locale e quindi torniamo alla dimensione domestica.
La legge del consumo La nostra identità, plasmata sul modello del compratore compulsivo, ruota attorno alla paura del vuoto. Il risultato di questa fobia è che ci si ritrova con delle vite intasate di oggetti di ogni genere che, oltre ad accumulare polvere, ci fanno perdere la chiarezza mentale che potremmo avere se riuscissimo a mettere un po’ di ordine, come? Eliminando ciò che ormai non ci serve più. “Una delle paure più grandi per l’uomo è quella di lasciare andare il passato, questo timore si manifesta nell’attaccamento agli oggetti che lo rappresentano ed è una delle maggiori cause del disordine in cui molti vivono”, spiega Lucia Larese, direttrice della Scuola italiana di Space Clearing. Un’espressione che indica tutte le tecniche di purificazione energetica e fisica degli spazi. Lucia Larese ha messo a punto un metodo che da un lato insegna alle persone a liberarsi dalle cose superflue (libri, foto, scarpe, ecc.) e dall’altro le aiuta a migliorare la propria vita a un livello più profondo. Inizialmente l’idea di un legame tra gli oggetti in casa e la vita le era sembrata assurda ma, leggendo libri sul Feng Shui e informandosi, si è lentamente convinta del contrario…
L’ordine per ri-cominciare non sarà abbastanza o persone che tengono tutto perché Mettendo in pratica questo concetto Lucia Larese vivono nel passato…”. realizza che è un mezzo molto potente, “in dei corsi di Space Clearing mi è capitato di avere persone disoccupate Per una purificazione globale che, dopo aver ripulito la casa, hanno trovato lavoro, così Come già detto all’inizio, si tratta di problematiche come coppie in crisi che hanno ristabilito l’armonia”. particolarmente sentite oggi, che può essere paraQuali sono i passi da seguire? “Generalmente suggerisco gonato a una immensa casa del caos al crocevia tra di fare un giro per casa ed annotare le zone critiche. Se uno zoo, un parco dei divertimenti ed una discarica. la casa è molto piena, consiglio di partire dalla zona più Lucia Larese è d’accordo: “Fino alla generazione dei facile, come il bagno dove realizzi che miei genitori si viveva con poco, il connon hai bisogno di quattordici saponi… sumismo non c’era ancora e le guerre Man mano, sentendo un senso di bedistruggevano tutto. Tutto è cambiato p er sap er n e d i pi ù nessere che cresce, si passa poi al resto nel giro di una generazione: ora viviamo ww w . spac e c lea r i n g .i t della casa”. Non è un fenomeno in in una società in cui l’essere umano è si t o d ed i cato a l lo Space C lea r i n g cui qualcuno deve credere, bisogna un consumatore che pensa a gratificarsi l ’a r te d i fare s paz i o sperimentarlo, mi dice, è così che con cose che costano piuttosto che con un in casa c om e n el la v i ta le cose si mettono in moto… Il suo tramonto o una chiacchierata”. In tempi ultimo libro Space Clearing: libera il di crisi, oltre a favorire l’equilibrio tuo spazio, trasforma la tua vita è un psichico, la purificazione degli spazi manuale che, in otto capitoli, accompagna le persone è anche una forma di risparmio positivo che insegna in questo percorso di purificazione. È un tragitto che a spendere solo per quello di cui abbiamo davvero va in senso inverso rispetto alla psicanalisi, invece bisogno. “Adesso è primavera, il momento ideale per un di andare dall’interno verso l’esterno con lo Space rinnovo e una pulizia esteriore e interiore: ricordati che Clearing si va dall’esterno verso l’interno. Mettere in facendo ordine nei cassetti lo fai anche nella tua vita”, ordine la dimora o l’ufficio è l’inizio di un viaggio che dice con entusiasmo Lucia Arese. porta a fare chiarezza dentro a se stessi: “L’obbiettivo Potremmo dunque concludere con una domanda/proè incominciare a guardare la casa come uno specchio del vocazione cosmica, richiamando così l’attenzione di proprio approccio alla vita. Ci sono persone con cucine Putzfrau e Putzmann di tutto il pianeta: e se lo Space Cletrasbordanti di cibo che vivono con la paura che domani aring si nascondesse il segreto per un mondo migliore?
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Con Marte e Venere angolari la vita sentimentale si fa effervescente. Momenti di passione. Cambiamenti professionali per i nati della terza decade. Se volete fare spazio al nuovo dovete liberarvi del vecchio.
Avanzamenti professionali grazie agli ottimi aspetti tra Marte, Plutone e Giove. Fortuna nelle operazioni finanziare. Vittoria in una vertenza legale. Spese voluttuarie in circoli o in attività culturali.
Vita sentimentale e affetti in primo piano. Con Venere di transito e Marte in quadratura la vita si fa incandescente. Possibili gelosie. I nati della terza decade riescono a portare a termine un antico progetto.
Rottura di vecchi legami. Grazie al transito di Nettuno e ai valori espressi dalla nona casa solare avvertirete l’esigenza di incontrare un maestro spirituale. Buone aspettative per una richiesta fatta sul lavoro.
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Fase professionalmente attiva. Comunanza di interessi con il partner. Spirito creativo. Improvvisa attrazione per le realtà straniere. Incontro con il destino per i nati della terza decade favorito da Saturno.
Tra l’8 e il 14 aprile la quadratura di Venere con Marte interesserà soprattutto i nati della prima decade. Vivace aumento degli appetiti sessuali. Indolenza e auto indulgenza di fronte alle questioni professionali.
Con Saturno in retrogradazione ogni questione se lasciata in sospeso deve essere definitivamente affrontata. Svolte sentimentali per i nati nella prima decade favoriti dall’arrivo di Venere. Progetti e associazioni.
Grazie a Nettuno e all’opposizione di Giove sentirete sempre più forte l’esigenza di rinnovarvi. Altrimenti atteggiamenti contraddittori di fronte ai messaggi provenienti a volte dall’animo e altre dalla ragione.
sagittario
capricorno ca
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pesci
Sentimenti in effervescenza. Con Venere in opposizione la vita affettiva tende ad assumere un profilo più superficiale. Gelosie per i nati in novembre. Grazie a Mercurio e Urano incontri con persone più giovani.
Q Questo èu un m momento u n effondamentale oo s m tn per chi ha la fortuna di trovarsi nella stanza dei bottoni, o per chi ha la volontà di trovarcisi presto. Moderate le parole. Momento di forza per i nati nella prima decade.
pricorno
» a cura di Elisabetta
ariete
Grazie o d a Venere e a positiva, n m possibilit o e Situazioni n sentimentali t a incandescenti l e per i nati in febbraio. Marte e Venere tà d’incontri, avventure erotiche e si trovano in reciproca quadratuamori. Finalmente i progetti a lungo ra con i vostri valori natali: o fate termine riescono ad arrivare in porto. l’amore o fate la guerra. Canalizzate Il tempo è dalla vostra parte. Fortuna le energie in esubero. in campo politico.
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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 12 aprile e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 10 aprile a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Un pipistrello di notevoli dimensioni • 2. Priore • 3. Le mogli dei re • 4. Non correre... ma quasi • 5. Il pronome che mi riguarda • 6. Nessuna Notizia • 7. Urna • 8. Perseguitare, tartassare • 9. Un Profeta • 13. Lo dice il rassegnato • 15. Vocali in freschi • 18. Serrate, turate • 22. Sbagliato • 24. Ebbe la moglie tramutata in statua di sale • 27. Vessillo, bandiera • 30. Può essere bronchiale o cardiaca • 32. Guitti • 34. La nota Vanoni • 36. Altera • 39. L’antagonista del Milan • 41. Radice piccante • 45. Il nome di Pacino • 47. Ohio e Lussemburgo.
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Soluzioni n. 12
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DORMIRE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Christina Vanazzi 6724 Ponto Valentino
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Orizzontali 1. Li usano i gommisti • 10. Il re degli Elfi • 11. La dea greca dell’aurora • 12. Bacino lacustre • 13. Tonalità di giallo • 14. La cura l’otorino • 16. Propaggini vegetali • 17. Udita, recepita • 19. Dittongo in beato • 20. Spagna e Austria • 21. Chiude la preghiera • 23. Gola centrale • 25. Un settore ospedaliero • 26. Governava a Venezia • 28. Rogo • 29. Andato in poesia • 30. Alcolisti Anonimi • 31. Danno un punto a scopa • 33. I Rolling del rock • 35. Fuggevoli, passeggere • 37. Un consenso stiracchiato • 38. Un colore del croupier • 40. La tesse il ragno • 41. Mezza cena • 42. Il Nichel del chimico • 43. Il vil metallo • 44. Gridato • 46. Un piccolo grande uomo • 48. Una delle Kessler • 49. La rapì Paride • 50. Marina nel cuore.
Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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