№ 15
del 13 aprile 2012
con Teleradio 15–21 aprile
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Ticinosette n° 15 13 aprile 2012
Agorà La tortura. Il fine e i mezzi Arti Jazz. L’arte di Lee
di
di
tito Mangialajo RantzeR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Salute Feng shui. La stanza da letto
Impressum
a cuRa della
Società Sentimenti. Amara vendetta Visioni Fuori dai cliché
di
Chiusura redazionale
Vitae Simona Forni
Editore
Reportage Sfida in bianco e nero
Teleradio 7 SA Muzzano
di
Fiabe Le figlie del sarto
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nicoletta baRazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di
Media Televisione. Imparando dal varietà
Venerdì 6 aprile
Redazione
nicoletta baRazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tiratura controllata 70’634 copie
di
nicola deMaRchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MaRco jeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di
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daniele Fontana; Foto di jacek Pulawski . . . . . . . . . . . .
Fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Direttore editoriale
Tendenze The Cube. A cena sul tetto
Redattore responsabile
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Peter Keller
Fabio Martini
Coredattore
4 8 9 10 11 12 14 39 46 48 50 51
RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di
FRancesca ajMaR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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In copertina
Sacrificio e verità Illustrazione di Bruno Machado
Il corpo del reato Nelle scorse settimane la Corte suprema degli Stati Uniti “ha dato il via libera alle perquisizioni approfondite anche per i reati minori” . In pratica se venite arrestati in territorio americano per aver commesso un reato di minima entità, gli agenti di polizia vi possono spogliare e perquisire attuando quello che in gergo è chiamato “strip-search” . Violazione della persona e della sua dignità? Qualcuno potrebbe pensarlo, ma dopo l’11 settembre tutto è plausibile e Guantanamo ne è la dimostrazione (“Agorà”, p . 4) . Gli estremi a volte sono più vicini di quanto si creda: non sorprende dunque che nella Confederazione nordamericana il diritto alla difesa personale (possesso di un’arma da fuoco) sia previsto dalla Costituzione, e non è raro che studenti e comuni cittadini commettano inspiegabili stragi e massacri in nome di presunte ingiustizie e fuorvianti ideologie . Una tendenza alla quale negli ultimi decenni nemmeno il continente europeo pare sottrarsi . In verità, chi di voi ha potuto visitare la grande e sterminata potenza americana certo si sarà accorto della complessità del paese di Barack Obama, diviso fra il “sogno americano”, l’alta tecnologia e un’apparente impossibilità di costruire un vero servizio sanitario per tutti (poveri e ricchi) . Una nazione divisa tra mille opportunità e successi personali; prima da decenni nella classifica dei paesi con maggiori super-ricchi al mondo . . . e un numero di clandestini e immigrati irregolari tanto grande da essere difficilmente quantificabile, ma che rappresenta una forza elettorale decisiva . Gli Stati Uniti sono stati anche il paese dove il sogno di una “casa di proprietà per tutti” si è trasformato nella più grande bolla immobiliare/speculativa che si sia mai vista sul pianeta e che, come una catena di sant’Antonio, ci ha
portati dove siano . E da qui non sappiamo esattamente dove andremo . Sei un ricercatore scientifico, preparato e pronto a lavorare sodo? Gli USA sono la prima nazione dove inviare il tuo curriculum vitae: oltre a trovare un impiego, avrai ottime possibilità di accedere ai fondi governativi per la ricerca, tanto ricchi da non avere quasi limiti . Sei invece un ragazzo di colore che abita in Florida, hai una felpa con cappuccio e casualmente ti trovi nel quartiere sbagliato? Peccato, i tuoi giorni sono finiti . . . e non sai nemmeno chi ringraziare visto che chi ti ha ammazzato è un poliziotto e lo ha fatto per ragioni di sicurezza . O prendere o lasciare . O vivi o muori . Non è un caso che gli USA siano ancora oggi un paese dalla fortissima democrazia, la nazione dei Tea Party e delle “Primarie-spettacolo” che definiscono senza giochini partitici lo sfidante per la Casa Bianca (con ogni probabilità il miliardario Mitt Romney) . Ma “l’America” è anche il paese dove, senza un buon avvocato – e il denaro necessario per pagare il suo onorario –, rischiate di finire nel braccio della morte sulla base di confusi testimoni; uscirne sarebbe un’impresa, a meno che qualche giudice non abbia pietà del vostro caso . È la giustizia dell’occhio per occhio; è “l’omicidio di stato” come condanna giusta e accettabile . È la pena di morte, ovvero eliminare fisicamente il corpo del male . Ma non sicuramente le sue origini e ragioni . Rimane un dubbio: siamo certi che la sparizione della prova vivente di un orribile crimine, che ha chiuso anzitempo la vita di un innocente – e che tanto dolore ha prodotto nei suoi cari – sia in grado di cancellare anche il senso di profonda colpa che una società generatrice di impensabili mostri dovrebbe provare? Buona lettura, Giancarlo Fornasier
La tortura. Il fine e i mezzi
4
(Cesare Beccaria, 1764)
“Il waterboarding sui terroristi fu dannatamente giusto” (George W. Bush, 2010)
testo di Roberto Roveda illustrazione di Bruno Machado
L
a pratica della tortura è antica come l’uomo, una sorta di malattia cronica che ci accompagna dalle origini e che ancora affligge la società umana. A secoli dai pronunciamenti di Cesare Beccaria nel suo Dei delitti e delle pene quando si dovrebbe ritenere di esserne diventati immuni, eccola rispuntare più viva e sadicamente fantasiosa che mai. È sufficiente che una nazione o una comunità si senta minacciata, perché scatti una sorta di riflesso mai del tutto sopito e ogni mezzo diviene lecito e accettabile in difesa della propria sicurezza nazionale, del potere costituito, delle idee che si propugnano, degli interessi economici che si intende affermare. Un meccanismo ben spiegato da Ariel Dorfman1: “Non c’è possibilità di errore: ogni regime che tortura lo fa in nome della salvezza, di qualche interesse superiore, di una promessa del paradiso. Chiamatelo comunismo, chiamatelo libero mercato, chiamatelo mondo libero, chiamatelo interesse nazionale, chiamatelo fascismo, chiamatelo civiltà, chiamatelo paradiso, chiamatelo come vi pare”.
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Agorà
“Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo... è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti”
Lo tortura in tempi di terrorismo Il fine giustifica i mezzi, anzi il mezzo. Un principio che è stato fatto proprio – ed è solo l’esempio più eclatante – dal governo americano per combattere la minaccia del terrorismo islamico dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Abbiamo così avuto le immagini dal carcere di Abu Ghraib, le denunce
per il trattamento dei prigionieri detenuti a Guantanamo e, soprattutto, le parole dell’ex presidente Bush, che non ha mai nascosto di approvare l’uso della tortura contro i terroristi tanto da riaffermare questa sua convinzione nel suo libro di memorie2. I risultati? Un bilancio della guerra al terrore nelle carceri speciali statunitensi si trova nel libro Una questione di tortura di Alfred W. McCoy (Socrates edizioni, 2008): “Quasi 14mila detenuti di sicurezza iracheni sottoposti a interrogatorio duro, spesso con tortura; 1.100 prigionieri di alto valore interrogati con tortura sistematica, a Guantanamo e a Bagram; 150 rendition (sequestri di persone e detenzioni segrete) extralegali di sospetti terroristi in nazioni note per la loro crudeltà; 68 detenuti morti in circostanze sospette; 36 detenuti di alto rango affiliati ad Al Qaeda sottoposti per anni alle torture della CIA e 26 detenuti assassinati durante l’interrogatorio, almeno quattro dei quali dalla CIA”. Dati che colpiscono, anche perché riguardano gli Stati Uniti, il paese che viene spesso citato come il più grande esempio di democrazia del mondo. Dati che hanno spinto svariate associazioni internazionali che lottano per il rispetto dei diritti umani a chiedere la messa in stato di accusa del presidente Bush e di altri alti funzionari del governo americano. In prima fila in questa battaglia opera Amnesty International (www.amnesty.ch) che anche nel suo Rapporto annuale 2011 sulla situazione dei diritti umani nel mondo documenta l’uso di pratiche di tortura in 98 paesi su 157 presi in esame3. Per trattare di questi temi abbiamo incontrato Danny Vannucchi che coordina la campagna di Amnesty sulle violazioni dei diritti umani nel contesto della lotta al terrorismo.
Quindi, a suo parere, stiamo andando verso un mondo in cui vi è di fatto maggiore tolleranza nei confronti di determinati abusi, almeno a livello di istituzioni? “Chiariamo una cosa: nessun governo ammetterà mai pubblicamente di tollerare la tortura. La reazione dei governi di fronte a denunce di un coinvolgimento di agenti governativi in pratiche di tortura è solitamente basata sul rifiuto e sulla smentita. Quello che è preoccupante è che nonostante le dichiarazioni di facciata, quando si tratta di indagare a fondo su denunce di fatti concreti, le autorità sono restie a intervenire. E questo nonostante la Convenzione ONU contro la tortura del 1984, obblighi i governi ad assicurarsi che i propri agenti e funzionari, così come i privati cittadini, non facciano ricorso alla tortura e imponga severe indagini in caso di denunce. Questo avviene raramente, soprattutto se vi è il coinvolgimento di apparati statali. Se poi mi chiede se oggi vi è maggiore tolleranza verso la tortura, le rispondo di si, per le ragioni che le ho già esposto precedentemente. Non a caso nel contesto della lotta al terrorismo, alcuni governi spesso invocano il segreto di stato per non rivelare informazioni sulla condotta dei propri agenti di sicurezza”.
“L’amministrazione Obama continua a parlare di una guerra globale in corso. Una guerra pervasiva e senza fine all’interno della quale la protezione dei diritti umani non viene applicata e all’interno della quale il Presidente stesso (e in certi casi il Congresso) legiferano in maniera unilaterale, al di fuori della legge ordinaria”
Signor Vannucchi, negli ultimi anni è cambiato qualcosa nell’atteggiamento dei governi nei confronti della tortura? “L’aumento della minaccia di azioni terroristiche negli ultimi dieci anni – avvertita soprattutto in Europa e negli Stati Uniti – è stata purtroppo una sorta di catalizzatore che ha fatto sì che alcuni governi approvassero di fatto pratiche che sono incompatibili con il rispetto della proibizione assoluta e universale dell’uso della tortura e altri maltrattamenti. Nel nome della «guerra al terrore», così come viene definita negli Stati Uniti, l’amministrazione Bush ha autorizzato la cosiddetta pratica del waterboarding4 negli interrogatori dei sospettati di terrorismo. Oppure per piegare la volontà dei sospetti li si lascia in posizione di stress per lunghi periodi, o li si sottopone a isolamento prolungato o a deprivazione sensoriale5. Secondo Amnesty International questo atteggiamento degli Stati Uniti ha inevitabilmente mandato un segnale forte ad altri governi. Un segnale che dice che questi abusi sono accettabili in determinate circostanze di emergenza. La conseguenza è che altri governi stanno seguendo la strada aperta dagli americani”.
L’opinione pubblica è diventata più disposta ad accettare queste pratiche? “La gente comune quando tocca con mano e vede quali sono gli effetti della tortura non accetta queste pratiche. Per questo si fa di tutto per tenerle nascoste e per questo bisogna far di tutto per mostrare all’opinione pubblica il vero volto della tortura. È quello che cerchiamo di fare con le campagne di Amnesty International: raccontare le storie dei sopravvissuti a pratiche aberranti così da sensibilizzare il pubblico attraverso queste testimonianze. L’indignazione popolare è un elemento fondamentale per arrivare a un rigetto totale della tortura”.
Agorà
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Gli Stati Uniti sono entrati nell’occhio del ciclone per quanto avvenuto ad Abu Ghraib e a Guantanamo. Come è possibile che situazioni di questo tipo possano accadere sotto l’egida di un governo come quello americano? “Quello che bisogna chiarire è che quello che è accaduto negli ultimi anni non è frutto di una mancata attenzione da parte delle istituzioni, non sono falle del sistema. Quello che è accaduto è frutto del sistema stesso, di un sistema messo in piedi dalle istituzioni americane per poter operare al di fuori della sfera giuridica e con totale indifferenza dei propri obblighi in materia di diritti umani. La scelta è stata adottata fin dalle prime reazioni agli attacchi terroristici dell’11 settembre quando si è scelto di utilizzare un linguaggio bellico per fare riferimento alla questione del terrorismo. Trasformare la lotta al terrorismo in «guerra al terrore» ha avuto tragiche ripercussioni dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. Una stortura che continua anche oggi perché l’amministrazione (...)
Obama, nonostante abbia annunciato la chiusura di Guantanamo durante il primo anno di mandato, continua a parlare di una guerra globale in corso. Una guerra pervasiva e senza fine all’interno della quale la protezione dei diritti umani non viene applicata e all’interno della quale il Presidente stesso (e in certi casi il Congresso) legiferano in maniera unilaterale, al di fuori della legge ordinaria. Insomma la dottrina della «guerra al terrore» ha portato gli Stati Uniti a gestire la questione della lotta al terrorismo senza ricorrere al proprio apparato giuridico ordinario fondato sul rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani”. Che cosa dovrebbe fare il governo americano secondo Amnesty International? “L’organizzazione di cui faccio parte ha recentemente consegnato a Barack Obama una petizione con più di 165mila firme chiedendogli di affrontare una volta per tutte la questione di Guantanamo. Abbiamo chiesto che venga interrotto il ricorso alle commissioni militari per i detenuti di Guantanamo, visto che non soddisfano gli standard internazionali di equità dei processi, e che vengano
istituiti procedimenti di tipo ordinario. Abbiamo chiesto che i funzionari statunitensi (presenti e passati) responsabili di violazioni dei diritti umani e di crimini puniti dal diritto internazionale come la tortura e la sparizione forzata vengano chiamati a risponderne. Soprattutto abbiamo chiesto che gli Stati Uniti riconoscano l’applicabilità del diritto internazionale in materia dei diritti umani nello svolgimento di operazioni di antiterrorismo, tra cui le detenzioni a Guantanamo”. note 1 Scrittore argentino di nascita e cileno di formazione conosciuto per il dramma La morte e la fanciulla. 2 George W. Bush, Decision Points, Crown Publishers, 2010. 3 http://50.amnesty.it/rapportoannuale2011 4 Forma di tortura consistente nell’immobilizzare un individuo in modo che i piedi si trovino più in alto della testa, e versargli acqua sulla faccia. Si tratta di una forma di annegamento controllato. 5 Le pratiche di deprivazione sensoriale consistono nel confinare i prigionieri in uno spazio buio senza la possibilità di comunicare con nessuno né rendersi conto di dove si trovano. Oppure tenerli legati a lungo, bendati e con cuffie che trasmettono musica ad alto volume.
Parte di
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L’arte di Lee In un interessante libro-intervista il sassofonista americano Lee Konitz si racconta e ci conduce nei sentieri dell’improvvisazione nel jazz di Tito Mangialajo Rantzer
Arti
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Ho appena finito di leggere, e subito ricominciato, un libro che più colpisce è la franchezza e l’onestà nel parlare di musica che consiglio a tutti gli appassionati e ai musicisti di jazz, e di musicisti, e soprattutto riguardo a ciò che lui intende per nonché a chiunque pratichi l’improvvisazione musicale o si improvvisazione. interessi di musica e arte in generale. Il libro in questione, Konitz sostiene un approccio intuitivo all’improvvisazione, che tanto mi ha entusiasmato, si intitola Lee Konitz. Conver- definendosi un artista impegnato nella vera improvvisazione, sazioni sull’arte dell’improvvisatore di Andy Hamilton (edito in tanto da affermare che nel suo programma di studio giornaItalia nel 2010 da EDT), una lunga intervista con il sassofo- liero si prepara a essere impreparato. Tutto questo lo racconta nista americano, nato nel 1927 a senza prosopopea, senza posa alChicago, uno degli ultimi grandi cuna, ma in maniera molto piana musicisti di jazz tuttora in vita. e naturale, da uomo saggio. Già, grandissimi. Qui non esprimo un semplice giudizio personale, Tabula rasa ma è la storia della musica afroKonitz rifugge l’improvvisazione americana a parlare in favore di preparata, che accosta, per esemLee, che ha attraversato settant’anpio, al pianista Oscar Peterson, ni di jazz da protagonista, a fianco su cui Konitz non esprime un spesso di veri capiscuola come giudizio negativo, ma che consiLennie Tristano, Charlie Parker, dera semplicemente un musicista Miles Davis, e diventando a sua fornitore di un’ottima esibizione volta un maestro, un modello per professionale. Oltre all’approccio molti giovani musicisti affacciatisi intuitivo e all’improvvisazione sulla scena dopo di lui. preparata, il sassofonista di ChicaNel libro, stimolato dalle intego descrive una terza via, secondo ressanti domande di Hamilton, lui seguita da Charlie Parker e John insegnante di filosofia e di storia Coltrane fra gli altri: l’approccio ed estetica del jazz all’università compositivo all’improvvisazione. di Durham, il nostro si racconParker, secondo Konitz, sarebbe Lee Konitz (immagine tratta da www.unterfahrt.de) ta e affronta svariati argomenti, stato un compositore che, elabointroducendo il lettore alla sua rate delle grandi frasi musicali, concezione dell’arte; con un approccio quasi filosofico, per durante l’esecuzione riusciva a renderle vive collegandole con niente tecnicistico o per soli addetti ai lavori, entriamo così stringente logica. Usando però un vocabolario preparato in nel vivo del processo creativo. anticipo (ma che vocabolario, comunque...). Lee invece, dopo anni di esperienza, vuole entrare nell’improvvisazione con Un tipo regolare una “tabula rasa”, procedendo verso l’ignoto, e cercando semLa vita personale di Konitz non offre particolari spunti dram- plicemente di mettere in fila delle belle note. Tutto partirebbe matici: niente droghe pesanti, niente alcol, nessun problema quindi dalla melodia, che deve essere interiorizzata in maniera mentale. Insomma, un anti-personaggio. Nel capitolo dedicato ineccepibile per poi variarla. Melodia che Konitz attinge alla sua vicenda, Konitz si racconta in maniera molto tranquildal grande corpus degli “standard” americani, ovvero quelle la: figlio di piccoli commercianti ebrei, con pochi soldi e per intramontabili canzoni, spesso del repertorio di Broadway, niente ortodossi, fin da piccolo si appassionò alla musica e al che hanno reso immortali compositori come Gershwin, Kern, clarinetto e i suoi genitori ebbero la buona idea di supportarlo Berlin, Porter... e che da anni sono lo stimolo principale per negli studi. Tanto che fin da giovanissimo, passato al sax alto, le improvvisazioni di Lee Konitz. intraprese la carriera musicale professionale, dapprima in In definitiva un libro ricchissimo, che mi ha fatto sognare di orchestre da ballo, poi con la formazione di Claude Tornhill, poter essere il vicino di casa di Lee, per avere la possibilità, anche questa un’orchestra da ballo ma già molto evoluta. Si magari dopo avergli fatto la spesa, di sentirgli raccontare i avvicinò poi al pianista Lennie Tristano, figura storica e noda- segreti di quella musica incredibile che chiamiamo jazz. le del jazz moderno, musicista che Konitz seguirà a New York Per chi non lo conoscesse e desiderasse approfondire l’ascolto imprimendo una svolta alla sua parabola musicale. consiglio almeno due Cd: The birth of the cool di Miles Davis Ma al di là delle pur interessanti notizie sulla sua vita, quello e Motion, del 1961, a suo nome.
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bico.ch
Salute
La stanza da letto è uno spazio centrale della casa. E alcune “regole” possono aiutarci a riposare meglio a cura della Redazione
Clima del letto tropicale?
Con appartamenti sempre più picco-
li, arredare la propria casa è sovente una vera impresa. E, visto lo spazio limitato e la dimensione delle stanze, non è raro che in pochi metri quadrati debbano convivere più “luoghi” molto diversi tra solo, dalla zona cottura allo spazio destinato allo studio alla camera da letto. Quest’ultima è in verità la più importante del nostro spazio vitale, proprio per le attività di riposo, di riV. Van Gogh, Camera da generazione e di scambi fisici e affettivi letto (particolare; 1888) che vi si svolgono. Secondo Il feng shui – antica arte taoista concernente l’organizzazione dello spazio domestico – vi sono però alcune essenziali scelte che ognuno di noi dovrebbe considerare nella disposizione della propria zona di riposo. Il portale internet fengshui.it, per esempio, pone quale prima condizione che la camera sia divisa dalle altre. Se ciò non è possibile, meglio utilizzare “alti mobili oppure pareti movibili per realizzare una forma di separazione. Il luogo del riposo dovrebbe, inoltre, trovarsi lontano dall’ingresso dell’appartamento, se possibile in una posizione riparata che tenga lontani odori e rumori dalla stanza in cui ci si rilassa”. Attenzione anche a dove fate dormire i vostri figli: la loro stanza “dovrebbe essere orientata ad est, in armonia con il sole nascente, mentre quella delle persone anziane ad ovest”. Particolare attenzione agli specchi, vista “la complessa relazione che si instaura con i riflessi. Uno specchio posto di fronte al letto, alla porta o alla finestra rischia di produrre un riverbero di energia direttamente sul letto. (...) In generale la pratica del feng shui sconsiglia di appenderlo nella propria camera da letto, ma se ciò appare indispensabile si potrebbe sistemarlo all’interno del guardaroba”. Se è noto a tutti che gli apparecchi elettrici dovrebbero essere esclusi dalla propria camera, altrettanto importante è che il letto non sia posto “né con i piedi né con la testata di fronte alla porta, dal momento che tali sistemazioni renderebbero difficile il controllo sulla stanza e sulle persone che potrebbero accedervi. Esso non va nemmeno posto direttamente sotto a una finestra, al fine di evitare di essere colpiti violentemente dai raggi solari”. È altresì poco consigliato avere il letto nel “flusso di corrente” che dalla finestra conduce alla porta (e viceversa). In effetti lo stesso non dovrebbe essere in prossimità di nessuna di queste aperture; meglio posizionarlo nell’angolo opposto all’entrata, “con la testata aderente al muro e orientata verso est”. Per la struttura del letto optate per materiali naturali come il legno e scegliete forme regolari. È preferibile che il letto sia sollevato da terra, a un’altezza sufficiente (circa 45 cm) da lasciare spazio all’energia vitale di muoversi al di sotto del materasso. E ogni tanto arieggiate gli ambienti: “L’aria fresca almeno una volta a settimana spazza via lo Yin stagnante”... e altri sconvenienti e poco edificanti “profumi”.
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Amara vendetta “Danno materiale o morale, di varia gravità fino allo spargimento di sangue, che viene inflitto privatamente ad altri in soddisfazione di offesa ricevuta, di danno patito o per sfogare vecchi rancori” (dalla voce “Vendetta”, Enciclopedia Treccani)
testo di Nicoletta Barazzoni illustrazione di Mimmo Mendicino
Società
10
“Da chi a torto mi trasse a morte sia dal ciel qui attendo la vendetta mia”. Questo è il titolo di quella che presumibilmente potrebbe essere una pièce della commedia dell’arte, scritta da un autore anonimo, con Arlecchino e Pantalone e altri personaggi a noi sconosciuti, affiancati alla figura di Don Giovanni. Diciamo presumibilmente, dato che il libricino, reperito in biblioteca, non è datato e nemmeno fornisce ulteriori informazioni. Ci soffermiamo sulla frase per parlare proprio di vendetta, un sentimento umano che ha a che fare con la sofferenza, e che rimanda alla modalità mafiosa del regolamento dei conti. Servita su un piatto freddo colpisce alle spalle. Un proverbio cinese, inneggiando alla vendetta nella forma di violenza passiva, ci intima di sederci sulla riva del fiume e aspettare l’arrivo del cadavere del nemico, a simboleggiare il torto e le angherie subite da chi ci ha danneggiati. Senza essere perciò i diretti responsabili ma semplicemente spettatori indifferenti dell’altrui sconfitta. Il proverbio cinese è un forma di vendetta tacita, un esempio di sapienza asiatica, con cui si lascia allo scorrere del tempo il ruolo del vendicatore, con la sua capacità di mutare gli eventi, senza la mano e l’intervento dell’uomo. Come tutti, avvertiamo le pulsioni che ci spingono a vendicarci per un torto subito, ma poi la differenza dovrebbe sussistere nel non passare mai all’agito, quantomeno non facendolo in modo consapevole e diretto. Sempre, quando siamo stati sul punto di farlo, e abbiamo invocato la vendetta per placare la nostra rabbia, come risolutrice delle nostre pene, ci siamo sentiti delle nullità, delle persone indegne. E anche quando siamo venuti a conoscenza delle disavventure di chi ci ha causato sofferenza non abbiamo provato alcun sentimento di rivalsa e nemmeno il piacere perverso dell’altrui disfatta. Legge di frontiera Le nostre lontane reminiscenze di filosofia ci riportano a Kant. Il pensatore di Königsberg ha parlato della vendetta come di una passione irresistibile dell’uomo e che, per quanto cattiva sia, è in qualche modo legata al desiderio, alla passione del diritto secondo la massima della ragione. Risentimento, odio, rancore alimentano la sete di vendetta. In questo senso la vendetta viene spesso associata, per le evidenti analogie, con
il desiderio di giustizia. Una giustizia che si tende a realizzare con l’espressione “occhio per occhio dente per dente”, come accadeva nel Far West o nell’antica Mesopotamia. Come nel film Il Grinta del regista Henry Hathaway, un susseguirsi di feroci vendette e giustizie sommarie. La cinematografia strabocca di storie analoghe come Il giustiziere della notte di Brian Garfield, con Charles Bronson, o Cane di paglia di Sam Peckinpah e Dustin Hoffman, oppure con La fontana della vergine di Ingmar Bergman. Anche Hegel ha parlato della vendetta nei suoi trattati, per distinguerla dall’esercizio del diritto, in quanto mero atto soggettivo, un puro arbitrio, dettata dalle passioni e incapace di elevarsi alla sfera generale o oggettiva. Anche per questo motivo la vendetta dà luogo a una spirale di vendette e contro vendette senza fine, chiamando a sé il desiderio di annullamento e di morte. Nella genealogia della morale di Nietzsche si trovano interessanti suggestioni legate alla vendetta come abbietta strategia premeditata e devastante. La vendetta chiama vendetta, e a sua volta ci fa sprofondare nell’abisso disumano della rivalsa, senza considerare che “chi di spada ferisce di spada perisce”. Falsa rivincita In termini psicanalitici, ci pare di ricordare che l’esercizio del diritto è la sublimazione della vendetta. Insieme danno sfogo alle pulsioni più squalificanti al servizio dell’essere umano. La vendetta è una reazione di falsa rivincita, colpevole indiscussa della devastazione sia fisica che morale, essa impedisce di vivere in pace la propria esistenza, senza la paura di doversi guardare alle spalle. Sin da piccoli veniamo allenati e abituati alla vendetta. Ricordiamo le storie ammiccanti del tenero Topolino, con la mitica edizione dal titolo La vendetta di Paperinik e la collezione storica di Tex Willer che comprende l’episodio dal titolo Il prezzo della vendetta. Anche nell’opera di Shakespeare La tempesta i riferimenti alla vendetta non mancano. È un misto di dramma e di commedia, di sofferenza, pazzia e gioia. In essa si dice che siamo fatti della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni. La vicenda si conclude con una generale riappacificazione per dire che chi ha subito un grande torto perdona colui il quale, con poteri magici, ha ordito la vendetta, ma senza averla veramente attuata.
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Fuori dai cliché
» di Nicoletta Barazzoni
Se il film di Eric Todano e Oliver Nakache non si fosse basato musica funk, con gli inconfondibili brani Boogie Wonderland e su una storia vera – quella tra il senegalese Driss (Omar Sy) e September degli Earth, Wind & Fire, e ancora con Feeling Good di il miliardario tetraplegico Philippe (François Cluzet), ambien- Nina Simone & Hal Mooney. È altrettanto interessante la colonna tata fra i sobborghi e i quartieri borghesi di sonora firmata da Ludovico Einaudi. Il conParigi –, sarebbe forse finito nella lista dei trasto tra musica classica e funk, tra povertà film irriverenti. Parlare della condizione di e ricchezza sono forti, marcati dall’indigenun tetraplegico, senza diventare offensivi, è za in cui vive Driss contrapposta allo sfarzo una questione assai delicata. Alcuni colpi di che contrassegna l’esistenza di Philippe. scena, caricati da battute sulla condizione di Tra loro nasce un’amicizia sincera narrata chi è immobilizzato su una sedia a rotelle, in una commedia realista e intelligente. condizione che potrebbe toccare chiunque, La disabilità di Philippe diventa un fatto lasciano invece aperta la scommessa con la naturale, grazie al comportamento disinisorte, senza distinzione tra poveri e ricchi. bito di Driss. Lo ridicolizza bonariamente, Questa è la storia vera di Philippe Pozzo di prendendolo in giro e fumando marjuana Borgo, proprietario della Pommery. L’ingresinsieme a lui. Poi c’è la scena della corsa so di Driss nella casa del miliardario inizia in carrozzella, guidata dall’incoscienza di con il furto del prezioso uovo di Fabergé. Il Driss, a ricordarci quando, in gioventù, suo intento è solamente quello di ottenere fornivamo assistenza ai paraplegici. Il loro la firma per il sussidio della disoccupazione divertimento prediletto era lanciarsi insieQuasi amici ma viene poi ingaggiato da Philippe come me a noi all’impazzata in una gara con le regia di Olivier Nakache suo assistente di fiducia. I due registi sono carrozzelle. Ironizzando con loro non si sened Eric Todano davvero riusciti a divertirci, con i vari tentativano trattati da menomati fisici e mentali. Francia, 2012 tivi di Driss di sdrammatizzare il destino di In Quasi amici un uomo di colore, grazie alla un uomo colpito duramente dalle avversità. Regalandoci anche sua spontaneità, spezza il ritrito cliché del delinquente immistralci di brani di musica classica con Vivaldi, Bach, Schubert, grato per intrecciare una relazione affettiva con una persona Mozart, Chopin, Telemann, Haendel e altri. E spezzoni di che appartiene a un mondo antitetico al suo.
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Imparando dal varietà Dal teatro al varietà il passo è breve. Questa la sensazione che si prova di fronte alle svariate pièce frontali imbottite di balli, trasformismi, sfilate, gag e altri “numeri”, proposte dalla televisione. L’esempio della trasmissione di SF1 Benissimo è oltremodo significativo, con tutto ciò che ne consegue
di Nicola DeMarchi
Media
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Ben prima di diventare un popolare genere d’intrattenimento televisivo, il varietà – cabaret, café-chantant, vaudeville, music hall, avanspettacolo o che dir si voglia – era già stata una novità spontanea, proprio dello spettacolo scenico. Un’innovazione “senza registi” che dai vari Café Apollon, Folies Bergères, Olympia e altri teatri parigini di boulevard fine Ottocento, avrebbe poi invaso il mondo. Non a caso il coevo critico, librettista e road-writer tedesco Otto Julius Bierbaum (che vanta, en passant, tra i suoi exploit di “scrittore a quattroruote”, di essere stato il primo automobilista a transitare sul passo del Gottardo!), si spingeva ad affermare che “l’uomo di oggi ha i nervi del varietà, delle distrazioni” e può solo raramente “accordare la sua sensibilità a complessi drammatici di tre ore o più”. In un certo senso si può dire che da allora, a teatro, l’esperienza col pubblico passerà sempre meno dalla rappresentazione di una trama fittizia, per privilegiare la presenza in scena. Una tendenza osteggiata dalle accademie di teatro che porterà nondimeno le stesse avanguardie (basti pensare al connubio tra dadaismo e il suo Cabaret Voltaire), a considerare il varietà e il suo procedere come un’antologia (o un’addizione) trasversale di numeri, un genere teatrale più consono al caotico e al moderno sentire. Fenomenologia di “Benissimo” Oggi, anche se la sua forma (o non forma) contamina quanto mai il teatro attuale, il varietà puro è quello che ci arriva da trasmissioni dichiaratamente retrò (pensiamo a Fiorello), oppure da certi ricordi sbiaditi. Infatti, dopo non poche ore trascorse davanti alla tv, scopro con crescente imbarazzo che il varietà di una volta (“Carramba”, “Fantastico” e altri “Drive In”) non esiste più, sostituito da ibridi complessi. Per finire, anche se lontano anni luce dagli autarchici “Derby” di Milano o altri luoghi culto dell’intrattenimento, scelgo il gioco-varietà “Benissimo” su SF1 come soggetto per una nuova cronaca da divano. Tanto più che l’edizione del 24 marzo era la centesima trasmissione in vent’anni di onorata carriera di fabbricante di milionari e scopritore di talenti. Per l’occasione artisti, politici, sportivi e altri vip di casa nostra aprono le danze con un omaggio incrociato a Beni (Bernard Thurnheer, anche cronista di hockey e calcio), il conduttore
storico a cui la trasmissione deve anche il nome, frutto di un gioco di parole tra il superlativo assoluto italiano e il soprannome dell’anchorman. Superlativi a parte, Beni è poi però un po’ il prototipo dello svizzero medio: andatura impacciata, vestiario discutibile, ma una lingua (uno Schwizerdütsch, con “r” arrotate e fricative velari – “ch” – da far invidia a certi felini), capace di suscitare i pensieri rimasti nel cuore dei suoi numerosi beniamini che l’hanno ribattezzato col tempo, lo “Schnurri der Nation” (il “chiacchierone” della nazione). Un soggetto in mezzobusto dunque, che guarda dritto “in casa degli svizzeri”. Infatti malgrado uno studio stile cabaret con vani zeppi di fans e secchielli di champagne (sicuro retaggio del varietà d’antan), è il pubblico a schermo interposto a essere interpellato. Un classico: il ruolo della valletta Dopo sigla e balletto, ecco quindi aggiungersi l’immancabile valletta dalle poche parole e molti sorrisi. Un gioco di contrasti che è senza dubbio uno dei motivi di successo della trasmissione. A condizione di rispettare i ruoli. Cosi, dopo un breve scambio di battute, ecco la laconica soubrette avviarsi come in un tableau vivant (pratica ricorrente dei primi cabaret) in forma di allegoria di dea Fortuna versione bionda, sotto una fanta-doccia di cartoline per pescare i nove fortunati concorrenti al gioco. Passate al team Swisslos, organizzatore e sponsor, le cartoline vengono “spulciate” da periti con cravatte retrò-fantasia e zelo elvetico, e consegnate al conduttore per la chiamata a casa. Ma prima, e sembra essere cosi da vent’anni, tra le diverse telefonate, ecco svelato il programma della serata. Come dire, il cacio sui maccheroni: l’intrattenimento allo stato puro. E per questo giubileo, annuncia Beni con enfasi roboante da circo Barnum, gli invitati sono di primissimo piano. E sappiamo quanto i varietà, da Antonello Falqui in poi, si nutrissero già del prestigio della ribalta internazionale o, in assenza di stelle, dell’esotizzazione, per dare enfasi ai numeri proposti (basti pensare al fenomeno delle “sciantose” dei primi café-chantant napoletani: invenzioni di personaggi esotici al solo scopo di impressionare l’auditorio). Altra particolarità endemica del varietà, qui rispettata, è l’interdisciplinarietà
dei numeri proposti. “La coalition de tous les spectacles qui ne sont pas du théâtre” secondo l’esperto Legrand-Chabrier. Ecco quindi performer-giocolieri sintetizzare “il meglio” del musical “Grease” con gomme-lacca, e bielle roventi e altri numeri coreografici, che suscitano in studio l’antico fascino per il barocco trasformarsi di scene. E poi spazio al “meglio” degli sketch stile sitcom della compagnia teatrale “Friends”. Infatti stasera anche i “witz” e le gag sono “il meglio”. E se rispetto ad altri varietà tipo “Grössten Schweizer Talente” – basati sulla vecchia regola di valutazione dei numeri – qui non si decreta direttamente la bravura dell’artista ma si arredano i momenti del gioco, è anche vero che non mancano certo classifiche, giudizi e giurie. Il pubblico: un attore credibile Tra la musica dei Roxette e altri Züri West, si arriva così ai numeri comici, del genere in cui l’attore interpella direttamente il pubblico nel tipico iper-monologo con allusioni a realtà quotidiane. Nel caso dell’invitato Marco Rima, il complesso svizzero verso i tedeschi (la satira politica è, quella, lasciata alle gag di “Telefon ins Bundeshaus”, oggi purtroppo assenti). Infine, si passa al numero circense con l’impressionante contorsionista Sergey Timofeev, e poi agli amarcord autocelebrativi per intrattenere il pubblico mentre la macchina burocratica e scenica organizza “dietro le quinte” il gioco milionario e le sue spassose dirette telefoniche. Tra i “numeri”, infatti, ecco il momento all’origine di gaffes (“atto di sincerità non mascherata” ricordava altrove Umberto Eco, già portati “a dignità di figura retorica da Mike Buongiorno”), che hanno fatto la storia del programma. Dosata, la naïveté dei partecipanti diventa infatti un’impagabile macchina drammatica. E qui, improvvisando sul vecchio canovaccio delle domande (Chi è? Dove abita? Che cosa fa?), Beni fa un po’ l’attore-scrittore. Facilitato in ciò dall’effetto sorpresa della telefonata, e dai “tipi” che rispondono e si prestano volentieri al gioco. La prima a rispondere, e che “Grazie al cielo parla tedesco” (dirà Beni), è una signora che chiama da Losone. Tra le sette palline colorate a disposizione, sceglie quella nera: e tra il viaggio in Sardegna oppure la possibilità di tentare l’estrazione del milione messo in palio alla fine, come tanti altri, sceglie il milione. Frau Rottenmann, la seconda a rispondere, scarta anche lei il viaggio per giocarsi il milione. In seguito, tra militari in pensione svegliati dalla pennichella, ex impiegati e altri beniamini di una certa età che danno la replica al mattatore, ecco un altro ticinese provocare i sempre apprezzati qui pro quo linguistici e culturali con l’impacciato Beni nel ruolo di italofono. Dopo aver distribuito Bmw, Maggioloni e 150mila franchi al militare in pensione, ecco il momento di tirare a sorte (tra quattro partecipanti) il milionario del giorno. E qui il registro comico cede decisamente a quello drammatico, anche nella colonna sonora. I quattro candidati sono tutti in linea telefonica, come per palparne tensione e gioia. Ma Anna Amrein, la neo-milionaria di quest’edizione (che non aveva mai vinto niente in vita sua), alla notizia rimane letteralmente senza parole. E si può capire. Ma non c’è spazio per l’analisi o il dramma, e come per decorare il silenzio e sigillare l’happy-end da commedia di ogni trasmissione, ecco la massima “beniana” del giorno: “Un milione non rende forse più fortunati, ma sicuramente tranquilizza”. Che pensare… Tutto si può dire dell’ibrido varietà televisivo di oggi, ma non certo che non faccia sempre parte del folklore contemporaneo. Una materia prima sempre d’attualità per un teatro che si vuole contemporaneo.
IF YOU WANT. WHEN YOU WANT. YOU CHOOSE. Rauchen fügt Ihnen und den Menschen in Ihrer Umgebung erheblichen Schaden zu. Fumer nuit gravement à votre santé et à celle de votre entourage. Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno.
» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Reza Khatir
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Simona Forni
Vitae
e cercavo di fare il meglio. Anche se non dovevamo controllare la cottura e la lievitazione, purtroppo ci sono stati problemi col forno e quasi tutto era un po’ troppo cotto e “stra-lievitato”! La sera della premiazione, con mia madre e il mio maestro, eravamo tutti sul palco mentre chiamavano il quarto classificato, poi il terzo, ecc., finché all’ultimo è “venuto fuori” il mio nome. Non ci credevo per niente ed ero diventata rossissima! Ho ricevuto una medaglia, dei fiori e dei soldi. Poche settimane dopo, al concorso svizzero a Lucerna, eravamo oltre una ventina. C’era un po’ il problema con la lingua perNel 2011 è stata la migliore panettiera- ché col tedesco, io, “proprio pasticcera della Svizzera italiana e la zero”! Alla premiazione, chiaterza migliore a livello nazionale. Un me- mavano tutti col cognome in ordine alfabetico, aspettavo stiere che è anche una dolce passione... il mio e non l’ho sentito: “O mi hanno dimenticata oppure e che avrebbero dovuto guarsono sul podio!” mi sono detta. Non ci avevo darsi in giro! Forse avevano creduto tanto, il livello era molto alto e non poca voglia di fare, non lo mi aspettavo di ottenere il terzo posto. Però so. Riguardo alla formazione, non mi sento la più brava, perché l’ho fatto penso sarebbe stato meglio un po’ per gioco, per mettermi alla prova. A avere una rotazione degli apSion è da undici anni che un ticinese non prendisti e dei posto di lavoro, saliva sul podio, mentre a Lucerna nel 2010 invece di stare sempre presso il terzo posto è andato a un ticinese. lo stesso: avremmo cominciaQuando le persone sanno cosa faccio mi to a fare un po’ di esperienza dicono “ah, che bello!”, e mi chiedono degli e si sarebbero aperte magari orari notturni, del fatto di avere meno tempo altre porte. la sera per uscire con gli amici, ecc. All’inizio Agli esami sono stata la mimi dispiaceva, ma gli amici ci sono sempre; gliore del Ticino e quando ci si fa l’abitudine e io ho sempre avuto forho saputo dei concorsi per tuna perché comincio alle 4/5 del mattino e migliore apprendista panettienel primo pomeriggio ho finito. Le idee più re-pasticcere, mi sono detta: pazze per le torte? Per gli addii ai celibati: “Facciamoli tutti e due!”. Il chiedono certe forme che qui non posso tema era “emozioni di pridire. Ultimamente ho voluto preparare, per mavera” e un mesetto prima una mia amica, una torta al cioccolato per sapevo già cosa volevo fare, celiaci, gli allergici al glutine. Ho sostituito così ho potuto allenarmi al la stessa quantità di farina normale con una lavoro. Al primo concorso di riso, solo che è uscito un “pastone” ima Sion, quello romando-ticimangiabile, uno schifo! Non l’avevo provata nese, eravamo in otto ed ero e, forse per gentilezza, non mi hanno detto l’unica ticinese. Avevo tempo nulla. Comunque vanno molto le torte per i cinque ore e mezzo per fare compleanni dei bambini, con il marzapane due prodotti in sfoglia, due a forma di Puffo, di Hello Kitty, di giocatore paste dolci involte, paste secdi hockey, ecc. La forma più strana che ho che a sorpresa e, tra le altre realizzato era un’auto tridimensionale. Forse cose, due trecce uguali, perun giorno cambierò mestiere, ma sempre nel ché valutavano l’estetica. Non ramo alimentare, magari la cuoca. Intanto, veniva giudicato il gusto, ma quando sono in vacanza sono sempre cula decorazione e la fantasia. riosissima e mi piace andare in pasticceria: All’inizio ero in panico ma devo vedere le novità, come decorano, ecc. poi, quando cominci, cominDi sicuro, mi piacerebbe girare un po’ per ci: non guardavo più gli altri imparare, per esempio in Francia.
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M
i piace fare la mousse con la meringa italiana, a base di polpa di frutta e panna. Forse perché il mio datore di lavoro mi spingeva a inventare nuove ricette ogni settimana. Quando mi chiedono “ma non ti stufi dei dolci?”, rispondo di no. Assolutamente no (ride, ndr.). Anzi, continuo a mangiarne molti e, al momento, non ho paura della linea. Sembrerà strano, ma il cioccolato non mi è mai piaciuto, anche se lo lavoro spesso. Mi è sempre piaciuto cucinare, specie le torte, ma è stato un po’ per obbligo: avevo dieci anni, mia mamma lavorava e a mezzogiorno mi mettevo già ai fornelli e cucinavo per tutta la famiglia. Dopo le scuole medie non sapevo bene cosa fare, ma volevo subito iniziare a lavorare per essere un po’ indipendente. Ho fatto degli stage di qua e di là, tra cui quello di panettiera. All’inizio non ero così convinta e per un anno sono stata indecisa, forse a causa degli orari di lavoro, o del fatto che ho dovuto prendere una camera da sola ad Airolo. Poi, la passione è arrivata, vedendo che le cose si potevano fare anche bene. Tanto che, di recente, mentre aspettavo il treno, ho sentito uno al telefono che diceva “ma non siamo mica dei cioccolatai!” e ci sono rimasta un po’ male! Alla scuola di apprendistato a Trevano non conoscevo nessuno, ma mi sono trovata da subito bene. Eravamo in due che venivamo “da su”. Abbiamo cominciato in una ventina, metà ragazzi e metà ragazze, finché sono rimaste solo quattro ragazze e una decina di maschi. Oggi sono sempre più le donne che riescono nel settore, forse perché sono più fini e precise? Imparavamo a scrivere col cioccolato, a fare soggetti col marzapane, poi teoria su igiene, sicurezza, ecc. Purtroppo tanti compagni di scuola mi dicevano che, finito l’apprendistato, non sapevano cosa fare. E io pensavo che, cavolo, la scuola stava finendo
Sfida in bianco e nero testo di Daniele Fontana fotografie di Jacek Pulawski
Una sala da biliardo. Tavoli preparati. Luci sapienti a illuminarli. Bilie e birilli schierati. Stecche in resta. Maschi pronti al cimento. E poi bianco e nero. Buio e luce. Contrasti forti a rendere, con drammaticità , il senso di una sfida. Non solo quella tra uomini compresi nei loro ruoli, ma la sfida tra il caso e l’abilità . Tra la fortuna e il calcolo che si fa maestria
Si ringraziano il Club Carlino e il Club Leone di Chiasso per la disponibilità e l’aiuto fornito alla realizzazione del presente reportage
Jacek Piotr Pulawski Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e altri riconoscimenti sono giunti negli anni a seguire. Per informazioni: www.pulawski.ch.
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n punta a quelle stecche, tra la polvere di gesso e il cappuccio di cuoio, intorno al tavolo del biliardo ce la si gioca di certo tra un sì e un no. Ma quanto sapere prepara quel responso cruciale! Prendete la Garuffa. Tecnicamente uno dei colpi più difficili. Con quelle geometrie algebriche, quelle linee immaginarie, puntate sulle sponde e cucite con l’“effetto contro”. Traiettorie, parabole, calcoli e classe. E un pizzico di buena suerte. Come nella vita. Una infinita paletta di sfumature di colori. Compreso il bianco, che li contiene tutti. Compreso il nero, che tutti li nega. E noi lì dentro a giocarci la nostra partita di biliardo all’italiana. Con le nostre qualità, le nostre forze, la nostra audacia, la nostra intelligenza. E mille soluzioni possibili. In mezzo a tutto questo, il caso che se ne sta annidato, sempre pronto al morso finale. Un capriccio, una pura variante di calcolo, un residuo di legge fisica e tutto il nostro sapere svapora. S’infrange come fa la pallina da tennis quando impatta sul nastro della rete. Se cade di là ho vinto io, se rimane di qua hai vinto tu. E non c’è Federer che tenga. Lo sanno benissimo questi uomini del biliardo che, nel codice da iniziati dei loro sguardi, cercano sicurezza offrendo sfide. C’è una muta intesa nei loro geni. La memoria attiva di antichi guerrieri che nell’arte della battaglia celebrano la vita seminando la morte. L’esasperazione di luminosità e contrasto di questi scatti in bianco e nero ripropone, inalterata, quell’eterna epica. Chi ne
uscirà oggi vincitore? Questo o quello? L’arte o la sorte? La tensione è all’apice. È il silenzio a parlare in questi momenti di surreale immobilità, che già da sola si fa azione. L’imprevisto Intanto, fuori, il tripudio di colori del tramonto che si spegne. E con lui anche il generatore. Un colpo di tosse, un rantolo e l’elettricità se ne va. Dal fondo della sala le ombre avanzano. Prima furtive poi sempre più decise. Conquistano gli angoli, aggrediscono spazi su spazi, cancellano corpi e volti. Sempre più flebilmente contrastate da quel fil di grigio che agonizza dai vetri delle finestre. Rapidamente la linea netta di demarcazione tra luce e buio si fa impalpabile, evanescente, indistinta. Come i peli di cammello, l’uno bianco e l’altro nero, che Adì, figlio di Hatim, mise sotto al cuscino. Quei fili sono il nero della notte e il bianco del giorno. Come fu per Adì, solo quando saranno tra loro irriconoscibili pure a me sarà consentito nutrirmi. Di cibo per il corpo, di forza per la mente e per lo spirito. E allora quella sfida, lanciata sul tavolo da biliardo, potrà dare il proprio responso. Tu o io, il fato o il sapere, tutti o nessuno. Poco importa. Sta a ciascuno di noi, a noi soltanto, esistere. Sopravvivere. E resistere. E allora via, la bilia verso la prima sponda, di rimbalzo sulla seconda e poi in cerca di quella avversaria, con il castello di birilli negli occhi. E che vada come deve andare…
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Fiabe
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Le figlie del sarto
Nel paese di Cecina c’era una volta un sarto che aveva due figliole. La più piccina, Lucilla, era bella e vanitosa. La maggiore, che di nome si chiamava Rosina, pur essendo graziosa, non eguagliava in bellezza la sorella ma il buon Dio l’aveva dotata di un cervello fino e maniere che avrebbero conquistato anche il più esigente dei principi. Giunte in età da marito, il padre, che era vedovo da tanti anni, chiamò le due ragazze e disse loro: “Figliole mie, dato che ormai siete cresciute, cercatevi due giovanotti e sposateli. Il vestito per le nozze ve lo preparerò io con le mie stesse mani”. Lucilla, che di spasimanti ne aveva uno stuolo, non ci mise un granché: senza troppo riflettere scelse il più bello del paese, un marcantonio di nome Alfonso, tutto muscoli e poco cervello. Rosina, che di palato era più difficile, non sapeva invece chi scegliere: “Pinuccio è gracilino e di poca salute… Mario è triste e sempre attaccato alle gonnelle della mamma… Michele è rozzo, pensa solo alla caccia e ad andar per osterie… Renato fa tante smancerie ma di ragazze non capisce nulla… Qui di mariti io proprio non ne vedo”. Qualche tempo dopo il sarto chiamò le sue figliole e chiese loro: “Allora tesori miei, avete trovato qualcuno che vi piaccia?”. “Oh, io sì, mio caro babbo” disse Lucilla. “Io voglio sposar l’Alfonso, è bello e pieno di attenzioni. Pensate che per amor mio farebbe qualsia-
trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini
si cosa… Guardate che anello mi ha regalato… Ne avete mai visto uno più grosso?”. Il sarto scosse la testa, ma conoscendo il carattere di Lucilla, dichiarò: “Anelli o non anelli, l’importante è che abbia voglia di lavorare e si comporti da gentiluomo”. “Ma che dite”, esclamò Lucilla, tutta presa nella parte “è il giovanotto più bello del paese e come sapete la bellezza aiuta sempre”. Poco convinto della scelta della figliola minore, il sarto si rivolse allora all’altra figlia: “E te Rosina, l’hai trovato un fidanzato?”. “Voi mi conoscete, babbo mio, son difficile e poi di giovanotti in gamba qui davvero non ce n’è. Ci penserò. In queste cose non si deve avere troppa fretta”.
Passarono i mesi e arrivò il giorno delle nozze
di Lucilla. I due sposi fecero una gran festa e Alfonso spese tutti i suoi risparmi per soddisfare le numerose richieste di Lucilla. La ragazza, a cui il padre aveva cucito un abito principesco, volle che tutto il paese fosse presente e non si badò a spese: ci fu di che bere e mangiare e fu fatta arrivare la banda da Bolgheri per accompagnare le danze degli invitati. Qualche tempo dopo, una sera, Lucilla si presentò alla porta di suo padre.
“Babbo mio, vi devo chiedere un aiuto. Il mio Alfonso non ha di che pagar l’affitto perché il capomastro lo paga poco”. “Beh, la soluzione ci sarebbe cara la mia Lucilla”, disse il sarto “Mettiti a lavorare. A casa del conte cercano una domestica, è una persona di buon cuore e io posso metterci una parola buona visto che gli cucio sempre i vestiti”. “Ci penserò, babbo mio, ma ho paura che mi rovinerei le mani e le mie belle ginocchia. Vi farò sapere…”. Sapendo che la sorella era in difficoltà, Rosina, senza dire nulla a nessuno, si presentò a casa del conte. Fu ricevuta dal maggiordomo. “Che cosa desiderate signorina?”. “Ho saputo che il conte cerca una domestica e dato che ho molta pratica nelle faccende di casa vorrei che mi metteste alla prova”. Il maggiordomo la squadrò per benino. “Va bene, vi istruirò a dovere ma sappiate che il conte è assai esigente in fatto di pulizia ed essendo un uomo di studi non vuole essere mai disturbato quando è nella biblioteca”. Essendo brava e scrupolosa, in poco tempo Rosina conquistò la fiducia del maggiordomo. Tutti i soldi che guadagnava la ragazza li metteva da parte e una volta alla settimana li lasciava di nascosto nella cassetta delle lettere della sorella. Un giorno, vedendo come era sempre in ordine la casa, il conte chiese a Rosina di presentarsi in biblioteca. “Signor conte, ai vostri comandi”, disse inchinandosi la ragazza, sorpresa di vedere un così bel giovanotto in mezzo a tanti libri. “Volevo ringraziarvi”, disse il conte, “Da quando lavorate per me in questa casa si respira un’aria diversa. Saranno i fiori alle finestre, le tende rimesse a nuovo, ma sono così felice che lavoriate per me. Ma da dove venite? Chi è vostro padre?”. Rosina raccontò allora la sua storia e il conte fu così colpito dal buon cuore e dalla grazia della fanciulla che da quel giorno cominciò a innamorarsene. Lo stesso accadde a Rosina che però non disse nulla né al suo babbo né alla sorella Lucilla.
Quando il conte annunciò il fidanzamento
con Rosina tutti in paese rimasero sorpresi. Lucilla, piena d’invidia, si recò allora furente a casa del padre. “Tu e mia sorella mi avete ingannato, il posto di cameriera spettava a me e lei me l’ha rubato”. In quel momento il conte fece il suo ingresso nella casa del sarto per chiedere in moglie Rosina e udite le sciocchezze di Lucilla, con voce severa disse: “Siete una ragazza stolta e senza cervello. Potevate avere un lavoro e non l’avete voluto per paura di rovinarvi le manine. Vostra sorella, invece, vi aiutato in tutti i modi e ha salvato voi e quello sciocco di vostro marito dalla rovina. D’ora in poi pagherete la vostra scempiaggine lavorando per me e per vostra sorella, la futura contessa, come cameriera e guai se sentirò di nuovo un lamento”. Il sarto, felice che Lucilla avesse ricevuto una lezione, diede subito il consenso alle nozze e si mise al lavoro per preparare l’abito nuziale di Rosina che, a quanto si narra, fu il più bello che in quelle contrade mai si fosse visto.
Fiabe
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A cenA sul tetto nelle pratiche progettuali dell’architettura contemporanea il riutilizzo e l’innesto in strutture preesistenti consente di avviare un dialogo vivificante fra passato e presente. A Milano, un ristorante molto particolare ben rappresenta, nella sua vocazione nomade, questo orientamento Tendenze p. 48 – 49 | di Francesca Ajmar
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ell’apprestarmi a scrivere questo articolo mi sono chiesta innanzitutto da dove potessi iniziare per trattare di architettura. Avrei potuto prendere spunto da testi quali Gli architetti del Partenone (Einaudi, 1979), pietra miliare della Storia dell’architettura, opera immortale di Rhys Carpenter, e muovermi man mano seguendo una sorta di cronologia storica, dal più remoto passato fino ai giorni nostri. Quasi subito mi sono sorti dei dubbi enormi riguardo a un simile percorso, e ho pensato che poteva invece essere più stimolante e anche più divertente partire dai giorni nostri, da ciò che accade oggi nel mondo della progettazione architettonica, con eventuali riferimenti a opere storiche e monumentali.
Vorrei quindi raccontarvi di un’opera architettonica itinerante, “nomade”, che sta facendo il giro delle capitali europee, e che per definizione si aggancia a strutture preesistenti. Si tratta di The Cube, un ristorante di altissimo livello, ideato per Electrolux dall’agenzia di eventi Absolute Blue di Bruxelles e curato per la progettazione architettonica e d’interni dallo studio Park Associati di Milano. The Cube è un perfetto esempio di quella che si può definire Parasite Architecture, termine che purtroppo, nella traduzione italiana (“architettura parassita”) ha un che di dispregiativo, ma che in realtà nasconde un concetto molto interessante e antico, che sta tornando in auge di fronte agli indiscutibili problemi di spazio che le grandi città di oggi pongono.
a sinistra Berlino, Porta di Brandeburgo enogastronomia.it sotto Milano, dettaglio della struttura herhoff.hu pagina di sinistra Milano, Piazza Duomo newsroom.electrolux.com
Nuovo e aNtico In epoca medievale numerosissimi sono gli esempi di “riciclo” dell’architettura precedente, per esempio strutture di epoca romana utilizzate come base per innalzare altri edifici o adottate al fine di un cambio di destinazione d’uso. Il Teatro di Marcello, a Roma, è senza dubbio un affascinante esempio di come l’uomo abbia modificato, nel tempo, uno spazio preesistente in funzione delle proprie esigenze. Inaugurato nel 13 a.C. per ospitare giochi sontuosi, con una capienza di 15mila spettatori, e dedicato a Marco Claudio Marcello, nipote di Augusto, nel Medioevo divenne una sorta di fortezza che utilizzava come basamento l’antico teatro. L’edificio cambiò drasticamente aspetto e funzione rispetto alla struttura originaria, fino alla trasformazione definitiva voluta dai Savelli, che diedero l’incarico nel 1519 a Baldassare Peruzzi di progettare ed edificare il palazzo che tutt’oggi vediamo sopra le arcate della facciata. Le arcate e lo spazio circostante ospitavano numerose botteghe artigianali e abitazioni, purtroppo eliminate durante gli anni Trenta del Novecento. L’architettura parassita è quindi una pratica progettuale che utilizza strutture architettoniche preesistenti come base e come punto di partenza, come riferimento architettonico e non solo statico, senza il bisogno di creare nuovo spazio urbano, e con possibilità compositive e formali spesso molto superiori rispetto a strutture più tradizionali e più vincolate. Un bellissimo ed esaustivo testo su questo tema specifico è Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città di Sara Marini (Quodlibet Studio, 2009).
Nomadismo architettoNico In questo attuale, anzi attualissimo filone progettuale, si inserisce perfettamente quest’ultimo lavoro di Park Associati. Dopo l’inaugurazione a Bruxelles, dove il ristorante è stato attivo da aprile a luglio 2011, The Cube è ora “appoggiato” sul tetto del Palazzo adiacente alla Galleria Vittorio Emanuele a Milano, con una vista spettacolare su Piazza del Duomo e sui tetti del centro della città. Alcuni tra i migliori chef stellati italiani cucinano, con un servizio di show cooking, per 18 persone alla volta, offrendo menù appositamente creati nella cucina high tech del ristorante.
Il progetto architettonico di Park Associati prevede un modulo di volta in volta assemblabile, capace di adattarsi a ogni situazione climatica. Il padiglione, volutamente bianco per enfatizzare la leggerezza formale e il movimento compositivo, è rivestito all’esterno da una “pelle” in alluminio tagliato al laser, secondo una texture concepita dallo Studio FM di Milano. L’abbinamento tra una vista mozzafiato e una cucina di tale livello è davvero entusiasmante, un’esperienza gastroarchitettonica che vi consiglio caldamente, da mettere presto in agenda, visto che The Cube a maggio si sposterà a Londra e poi a Stoccolma. Ben più lontano di Milano!
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Astri toro
gemelli
cancro
A partire dal 16 aprile transito di Venere nella vostra terza casa solare. Grazie a questo passaggio vi sarà un forte incremento delle occasioni mondane. Incontri sentimentali. Equinozio baciato dalla Luna.
Trasgressioni tra il 15 e il 16 aprile. Con il transito di Venere il vostro look tende a rinnovarsi e a sincronizzarsi con i trend in voga. Nuovi incontri. Momento favorevole per il concepimento di un figlio.
A partire dal 16 aprile il passaggio di Venere interesserà soprattutto i nati nella seconda decade. Momento favorevole per divertirsi e diventare più belli. Non è difficile fare colpo con un transito del genere.
Grazie a Marte favorevole troverete la determinazione per portare a termine qualunque tipo di iniziativa. Favoriti i progetti professionali. Scegliete i vostri amici sulla base delle affinità elettive. Viaggi.
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Malumori passeggeri tra il 15 e il 16 aprile. Colpi di fulmine per i nati nella seconda decade a partire dal 17 aprile. Grazie ai buoni aspetti con Venere di passaggio, possibile nascita di interessanti amicizie.
Convogliate le energie verso ciò che vi sta a cuore. Possibilità di successo. Basterà crederci senza esitazioni. Mareggiate in amore tra il 16 e il 18 aprile. Fortuna professionale per i nati nella seconda decade.
Mercurio e Urano in opposizione. È senz’altro arrivato il momento delle grandi sfide. Siete incredibilmente infastiditi da tutto quello che potrebbe costituire un limite alla vostra libertà d’azione.
Rapporti bi-polari con soci e partner. Con Giove in opposizione non è difficile sentirsi non accettati dal partner. Cercate le complementarietà se volete essere felici. Determinati i nati nella prima decade.
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Mancanza di autodisciplina. In questo momento siete troppo pigri per portare a termine qualcosa di impegnativo. Fortunate le attività professionali più creative riconducibili ai favori uraniani. Vitalità.
Momento magico per la vita professionale: grazie a una configurazione astrale irripetibile avete l’opportunità di tagliare con tutto ciò che tende a opprimervi. Pungenti sul lavoro. Non trascurate l’attività fisica.
Emozioni in effervescenza. Complicità con il segno dei Gemelli o con chi fosse alfiere di una forte personalità mercuriale. Incontri con persone più giovani. Favorite le comunicazioni e le relazioni commerciali.
Opportunità professionali grazie al transito di Giove. Favoriti gli addetti alle relazioni e al marketing aziendale. Atteggiamenti a volte superficiali per quanto riguarda la sfera affettiva. Autoindulgenza.
» a cura di Elisabetta
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Soluzioni n. 13
La soluzione del Concorso apparso il 30 marzo è:
COLORATO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Bianca Piatti via Navone 10 6942 Savosa
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Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Orizzontali 1. Zoppicare • 10. Ama Radames • 11. È opposto allo zenit • 12. Il nome di Teocoli • 13. Un’incognita • 14. Sud-Est • 15. Il nome di Fieramosca • 17. Il punto in cui albeggia • 18. Cerimonie • 19. Ripostigli sottotetto • 21. Seguaci, aderenti • 23. Le stuzzicano gli odori • 25. Questa cosa • 27. Privo di fede • 28. Uno scoiattolo di Walt Disney • 30. Consonanti in liuto • 31. Generale statunitense • 33. Attraversa Berna • 35. Issata, innalzata • 36. Accentato nega • 37. Escursionisti Esteri • 38. La capitale del Marocco • 41. Si empiono di schede • 43. Lo sono certi bocconi • 44. Noi a Losanna • 45. Osservare, rilevare • 47. I confini di Sonvico • 48. Dispari in dorsi • 49. I Rolling del rock • 52. Dittongo in reità • 53. Adagio adagio. Verticali 1. L’illuminata zarina russa • 2. Allegri, gioviali • 3. Accogliere un figlio non proprio • 4. Uruguay e Austria • 5. Inciampare • 6. Il club dell’alpinista • 7. Anno Domini • 8. Scoppiava nel saloon • 9. Lo fu Ario • 13. Tiro centrale • 16. Intacca la vite • 17. Decolla in verticale • 20. La fine della Turandot • 22. Pari in secco • 24. Idonea • 26. I lati maggiori dei triangoli rettangoli • 29. Andate in poesia • 31. Redimersi, ricredersi • 32. Il Sodio del chimico • 34. Sottratti illegalmente • 39. Li colleziona il dongiovanni • 40. Variopinto pappagallo • 41. Articolo indeterminato • 42. Esagerati nelle pretese • 46. Un dato anagrafico • 50. Cono centrale • 51. Negazione.
Questa settimana ci sono in palio 100.- franchi in contanti!
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 17
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 19 aprile e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 17 aprile a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
Giochi
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Promettiamo a Nuyen di ridurre del 10 % l’impatto ambientale complessivo degli imballaggi dei 250 prodotti più venduti entro il 2013. Gli imballaggi non devono essere soltanto stabili: dovrebbero anche essere il più possibile ecologici. Per ridurre il proprio carico nei confronti della natura, entro il 2013 la Migros utilizzerà materiali ancora più rispettosi dell’ambiente e riciclati ed eliminerà gli elementi inutili delle confezioni. Con queste e molte altre promesse concrete in merito alla salute, ai consumi, ai collaboratori, all’ambiente e alla società ci impegniamo per la generazione di domani.
Fai anche tu una promessa su generation-m.ch