№ 17
del 27 aprile 2012
con Teleradio 29 apr. – 5 mag.
Verdi liberali
idee rinnoVabili C T › RT › T Z › .–
Per chi ama il gusto e la linea. Mangiare con appetito senza dover rinunciare a nulla, sentendosi bene con se stessi: con i prodotti Coop Weight Watchers è possibile! Questi prodotti equilibrati e leggeri vi aiutano a tenere la linea o a perdere i chili di troppo. Provare per credere! Un esempio? Il tramezzino dal gusto speciale Chicken Caesar. Maggiori informazioni sul sito www.coop.ch/weightwatchers
Ticinosette n° 17 27 aprile 2012
Agorà Politica e partiti. Verdi sì, ma liberali Letture Una difficile verità
di
Lingua La lingua dell’uomo
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aleSSandro tabacchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gaia Grimani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Società Pin-up ticinesi. La ragazza non sfonda Tiratura controllata
Ambienti Biodiversità. Tesori fra i rifiuti
Chiusura redazionale
Vitae Gabriela Carbognani
70’634 copie
Venerdì 20 aprile
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Direttore editoriale Peter Keller
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
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marco Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Stefano Guerra. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
fabio martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Lo spirito e la spada Fiabe Il cardellino parlante
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Silvano de Pietro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Arti Musica e teatro. Vasco da Scala
Impressum
di
a cura della
redazione; foto di matteo aroldi . . . . . . . . .
fabio martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Scarpe per bambini. Piccoli, grandi passi
di
mariSa Gorza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Riciclare, riciclare, riciclare Elaborazione grafica di Bruno Machado
Il degrado della civiltà Anche la cronaca più recente continua a mostrare lo sprezzante disinteresse di alcune amministrazioni locali verso il patrimonio storico-architettonico e paesaggistico del nostro cantone (si veda il progetto di costruzione sul sedime della Casa Rossa a Collina d’Oro; www.savehermannhesse.com) . Per quale ragione tutto ciò avvenga è stato tema, in un recente passato, di diversi approfondimenti pubblicati sulle nostre pagine, anche alla luce delle tante iniziative di denuncia e prese di posizione di associazioni e privati cittadini di fronte alla imperante cementificazione sia delle zone urbane (ormai prossime al collasso edilizio) sia di alcune zone periferiche del cantone . Per chi volesse ulteriormente approfondire il tema e comprendere le ragioni di questo amore sfrenato per le ruspe e le betoniere, segnaliamo la conferenza-dibattito “La politica di tutela dei beni culturali in Ticino”, un incontro che avrà luogo questa sera, venerdì 27 aprile alle ore 18 .30 presso il Canvetto Luganese (Lugano) . Organizzata dal Club Plinio Verda (www. plinioverda.ch) e dall’USI, la serata sarà animata da Giulio Foletti (da oltre un ventennio figura di rilievo dell’Ufficio dei beni culturali di Bellinzona) e dall’architetto Riccardo Bergossi (vicepresidente della Società ticinese per l’arte e la natura) . Come si legge nella presentazione della conferenza, beni culturali e paesaggio hanno “assunto nel corso degli ultimi anni sempre più importanza, per esempio in relazione al tentativo di salvaguardia di Villa Galli (La Romantica) a Melide, alla variante di PR dedicata ai beni culturali di Lugano, alla perdita di attrattività turistica del nostro cantone. Un solida identità culturale presuppone la difesa del territorio e della sua storia. Quali strumenti sono a disposizione per proteggere i beni culturali e il paesaggio? Quali sono i principi che ispirano la politica di tutela
da parte dello stato e i criteri seguiti per allestire l’inventario dei beni da proteggere? La Legge sulla protezione dei beni culturali del 1997 si è rivelata sufficiente o presenta articoli che andrebbero modificati, come espresso per esempio dal prof. Bernhard Furrer, già presidente della Commissione federale dei monumenti storici?” . Questo appuntamento si inserisce nel “Ciclo Beni Culturali 2012 . In difesa del paesaggio e dei beni culturali, contro il degrado civile” . Un sottotitolo che per la verità meriterebbe da solo un’approfondita riflessione . In riferimento al patrimonio civile, sociale e storico di un territorio, il degrado infatti è un sostantivo che bene si applica non solo ai manufatti (siano essi più o meno “monumentali”) ma in particolare alla visione di coloro che amministrano comuni e cantone . In questo senso sarebbe assai utile che alla serata partecipassero anche coloro che permettono che la ricchezza di una regione venga sacrificata in nome di uno sviluppo poco chiaro e votato al monetarizzazione a breve termine . In una “lettera aperta” apparsa sul “Corriere del Ticino” il 19 aprile 2011, il citato Furrer si rivolgeva al sindaco di Lugano, Giorgio Giudici, con queste parole: “I vostri nipoti corrono il rischio di ritrovarsi in una città e in spazi pubblici che riflettono l’attitudine esosa dei nonni che non sono stati in grado di conciliare la prosperità economica della città con la sua eredità architettonica di altissimo valore culturale, e che sfortunatamente hanno dato la priorità a grandi profitti a beneficio di alcuni loro cittadini. Eccetto qualche raro esempio le testimonianze saranno annientate, malgrado l’evidenza che l’eredità architettonica, una volta distrutta, non si potrà mai più riconquistare. Sarà perduta per sempre”. Forse ciò che serve non è “modificare” qualche articolo, ma pensare e progettare un futuro . Buona lettura, Giancarlo Fornasier
Partiti politici. Verdi sì, ma liberali
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Agorà
Da alcuni anni si muove sulla scena politica nazionale un nuovo attore: il Partito dei Verdi Liberali. Una formazione che fa leva sui temi, molto attuali, dell’ecologia e del liberalismo, condivisi dalla maggior parte dei partiti e che gli elettori riconoscono ormai come prioritari. Ma in Ticino la situazione appare incerta, nonostante la presenza dei Verdi Liberali Democratici testo di Silvano De Pietro illustrazione di Bruno Machado
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hi sono i Verdi Liberali e che cosa vuole ottenere realmente questo partito? Il PVL è nato nel 2004 a Zurigo, dalla scissione di un’ala della sezione cantonale del Partito ecologista svizzero (PES, detto anche “die Grüne”, i Verdi) guidata da Verena Diener e da Martin Bäumle. Diener è stata nel 1982 cofondatrice e presidente dei Verdi zurighesi, poi consigliera nazionale e membro del governo cantonale. Dal 2007, rappresenta il canton Zurigo nel Consiglio degli Stati. Bäumle, da parte sua, ha presieduto per sei anni (gli ultimi due da copresidente) la sezione zurighese del PES, e oggi è consigliere nazionale e presidente del PVL svizzero. Questo dimostra che i Verdi Liberali non sono nati per l’impulso spontaneo di un pugno di ecologisti con le idee un po’ confuse, ma dalla meditata iniziativa di politici navigati.
Dall’ecologia ai Verdi La separazione maturò a suo tempo per un profondo disaccordo degli scissionisti con la gestione, da loro ritenuta “ideologica”, della linea del partito ecologista, sempre più impegnato in “battaglie di posizione” a difesa di interessi rappresentati dalla sinistra. Il PVL si è quindi proposto agli elettori come un “partito giovane e dinamico per la conciliabilità delle esigenze ecologiche, economiche e sociali”. In specifico, i Verdi Liberali
intendono “fare politica per la collettività e non per perseguire interessi particolari, portando avanti soluzioni orientate al futuro, con contributi costruttivi e pragmatici”. Il loro obiettivo rimane, in definitiva, quello di promuovere una politica ecologica coniugandola con le esigenze dell’economia e della società. Verena Diener ne ha presentato un’efficace sintesi durante la campagna elettorale dello scorso anno: “Vogliamo che le risorse siano utilizzate in modo sostenibile, che la responsabilità dell’individuo venga rafforzata e che lo stato non continui a espandersi”. Nella politica concreta di ogni giorno, questo significa in generale una chiara distanza dalla sinistra, un sostegno alle decisioni di risparmio e di rigore finanziario, un orientamento favorevole alla diminuzione della pressione fiscale sui redditi più alti. Insomma, una politica da partito borghese, che si distanzia dal PLR e dal PPD soltanto sui temi ambientalistici ed ecologici, dove il PVL risulta molto meno liberale dello stesso PLR. Ancora Diener durante la campagna elettorale: “Per noi il liberalismo non significa un diritto illimitato dell’individuo a fare tutto ciò che vuole. Ci sono dei limiti, nella natura come nelle relazioni umane, che dobbiamo rispettare”. La senatrice zurighese rimprovera agli altri partiti borghesi di avere troppa condiscendenza verso il consumismo, al quale andrebbe posto un freno: troppe persone e troppi stati hanno vissuto e vivono a credito.
giovanili dell’elettorato. I risultati non hanno tardato ad arrivare. Alle ultime elezioni federali i Verdi Liberali hanno ottenuto il 5,4 % dei voti e 12 deputati al Consiglio nazionale (contro i 15 dei Verdi del PES) e 2 consiglieri agli Stati (come i Verdi), superando a Zurigo persino il PES (11,5 contro 8,4%). Alle elezioni cantonali zurighesi di aprile 2011 il PVL e il PES erano praticamente alla pari: 10,27 contro 10,57% e 19 deputati ciascuno. Il giudizio prevalente dei politologi è che i Verdi Liberali sottraggono voti soprattutto al PLR, ma anche ai Verdi del PES e in misura minore al PPD. PVL: un partito “urbano”? I Verdi Liberali sono un partito di successo, un soggetto politico attivo da San Gallo a Ginevra. Soprattutto nei cantoni dell’Altopiano e nei maggiori centri urbani. Faticano invece a radicarsi nei cantoni periferici (con l’eccezione dei Grigioni) e nei piccoli cantoni rurali della Svizzera centrale. In Ticino, invece, la situazione è subito parsa alquanto difficile. Ci sono già i Verdi, guidati dal coordinatore Sergio Savoia, “con posizioni più aperte, a largo spettro e non vincolate a sinistra”, come ha dichiarato lo stesso Savoia. Un fatto, questo, che limita oggettivamente lo Agorà spazio politico del PVL. E poi ci sono i liberali-radicali ticinesi (PLRT) con la loro associazione per l’ambiente (ALRA). In questo quadro, vista la prudenza mostrata dal PVL prima di tentare uno sbarco in Ticino, è parsa un po’ temeraria l’iniziativa del dottor Werner Nussbaumer che, insieme all’avvocato Tuto Rossi, ha dato vita ai Verdi Liberali Democratici, un movimento che stenta ad affermarsi e non ha ancora trovato accoglienza nel PVL. La motivazione che sta alla base di questa iniziativa sarebbe, secondo Nussbaumer, “lo sgretolamento politico dei liberali-radicali e dei Verdi ticinesi”. Il nuovo movimento dei Verdi Liberali Democratici dovrebbe “coprire quel vuoto coniugando l’ecologia, l’economia e la democrazia”. Ma visti i risultati elettorali, non sembra che i Verdi Liberali Democratici riescano a decollare in Ticino. Per Nussbaumer, però, non c’è da meravigliarsi. E spiega: “Abbiamo costituito il nuovo movimento di pensiero il 28 agosto 2011 e dopo due mesi eravamo già pronti per le votazioni federali al Consiglio Nazionale e al Consiglio degli Stati. La nostra campagna elettorale è costata in tutto duemila franchi, siamo stati votati dall’1,3% dei ticinesi. A noi è parso un gran successo rispetto ad altri movimenti di pensiero come la Lega dei Ticinesi, che nelle prime votazioni cantonali ha preso lo 0,8% di voti e oggi si trova al potere cantonale con la maggioranza assoluta”. Anche il fatto che in Ticino vi fosse già un movimento verdeliberale come l’ALRA non sembra che conti qualcosa per il coordinatore dei Verdi Liberali Democratici: “Abbiamo cercato più volte un contatto con i responsabili dell’ALRA”, replica infatti Nussbaumer, “ma loro hanno troppi interessi e privilegi da difen- (...)
“… un ambientalismo pragmatico e per nulla radicale, un’intransigenza verbale di principio ma accomodante nelle decisioni concrete. È questa politica (l’ecologia conciliata col benessere, la salvaguardia dell’ambiente con la crescita economica) che piace a una parte della popolazione”
Le prime perplessità… Qualche perplessità i Verdi Liberali l’hanno fatta nascere di recente proprio sulla questione delle centrali atomiche e a proposito della votazione popolare sull’iniziativa “Basta con la costruzione sfrenata di abitazioni secondarie!”. Circa l’abbandono del nucleare, il PVL ha differenziato la propria posizione da quella dei Verdi e dei socialisti, sostenendo, come ha detto il presidente Bäumle, che “ci sono dei problemi se si esce troppo rapidamente” dal nucleare. Un’uscita ritardata offrirebbe al contrario “il vantaggio che le centrali atomiche rimarranno in funzione più a lungo e i produttori di energia potranno accumulare guadagni” da investire nelle energie rinnovabili. Quanto all’iniziativa per limitare il numero di case secondarie, approvata dal popolo lo scorso 11 marzo, i Verdi Liberali sono apparsi inizialmente indecisi, scegliendo alla fine le ragioni economiche e raccomandando ai propri elettori di votare contro. Sono scelte che riflettono un ambientalismo molto pragmatico e per nulla radicale, un’intransigenza verbale di principio ma accomodante nelle decisioni concrete. Ed è proprio questa politica (l’ecologia conciliata col benessere, la salvaguardia dell’ambiente con la crescita economica) che piace a una parte della popolazione e spiega il successo dei Verdi Liberali. Dal 2004 sono state fondate quattordici sezioni cantonali del PVL: ovunque il presidente Bäumle ha incontrato un certo entusiasmo e molta disponibilità, soprattutto nelle fasce più
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Agorà
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dere restando fedeli all’idea liberale radicale; per queste ragioni il direttivo dell’ALRA considera i Verdi Liberali Democratici con diffidenza, osteggiandoli invece di favorirli. Il loro motto sembra essere «divide et impera», mentre noi Verdi Liberali Democratici crediamo nel dialogo e nella crescita, politica, economica e sociale lavorando uniti nella differenza”. Questa è un’opinione, certamente rispettabile, che però non spiega davvero perché i Verdi Liberali Democratici non riescano a legare né con i Verdi del Ticino, né con il PLRT. “Questi partiti ci vedono come temibili concorrenti, come proposta alternativa alla loro crescente recessione elettorale”, spiega il dottor Nussbaumer, “mentre i Verdi Liberali Democratici sono avveduti difensori di sinergie ecologiche, politiche, economiche e culturali che, sapientemente valorizzate, potrebbero portare più verde, più ricchezza, più libertà e più democrazia a tutta la società civile ticinese e maggiore coesione nazionale”. Aspettando il 2015 Nussbaumer è un personaggio molto noto in Ticino, un medico conosciuto più per la sua fede ecologica che per la sua professione. Il suo impegno di ambientalista è fuori discussione, per cui se il suo gruppo non è ancora riuscito a farsi accettare dal PVL svizzero, un motivo ci deve pur essere. Ma la sua spiegazione è disarmante: “Molti svizzeri tedeschi considerano il Ticino terra di conquista e i suoi abitanti gregari da subordinare alle volontà politiche della loro intellighenzia abituata a prevaricare per maggioranza numerica e linguistica”. A noi, onestamente, non sembra però che Verena Diener e Martin Bäumle siano persone animate da una volontà prevaricatrice verso i ticinesi. A ogni modo Nussbaumer aggiunge: “Noi Verdi Liberali De-
mocratici siamo persone libere, indipendenti, non ricattabili e con le idee molto chiare in fatto di ecologia, economia, democrazia, cultura e politica; abbiamo cercato più volte un dialogo costruttivo con i Verdi Liberali svizzeri, ma loro continuano a ignorarci. Forse aspettano un nostro meritato successo elettorale in Ticino, prima di sancire accordi collaborativi per giungere alla costruzione comune di sinergie politiche vincenti”. Una considerazione, quest’ultima, che appare invece molto probabile. Un successo elettorale non sarà tuttavia facile da ottenere, anche considerando che alle ultime elezioni i Verdi del Ticino hanno rifiutato l’alleanza elettorale con i Verdi Liberali Democratici, che così rimangono isolati. Dove andrà, allora, questo nuovo movimento? O questa sua esperienza è già da considerarsi finita? Nussbaumer rivendica naturalmente la presenza, alle recenti elezioni comunali, di propri “delegati attivi nelle liste civiche in moltissimi comuni e molti anche come candidati nei partiti politici di provenienza”, sottolineando in tal modo la natura di un “movimento di pensiero”, più che di partito, che lui attribuisce al suo gruppo. Il coordinatore dei Verdi Liberali Democratici si mostra però convinto che questo movimento avrà un futuro, poiché continua a essere presente “con proposte e prese di posizione” su tutti i temi di maggior rilievo politico a livello cantonale. E soprattutto “ci stiamo preparando capillarmente per il rinnovo dei poteri politici cantonali del 2015, che consideriamo il nostro primo, vero e proprio banco di prova”, aggiunge Nussbaumer. E conclude: “Allora valuteremo i risultati raggiunti, la rete di consensi che ci sosterrà, misureremo la nostra vera forza di penetrazione politica sul territorio, per individuare progetti da perseguire e per garantire ai Verdi Liberali Democratici migliori scenari politici futuri”.
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Una difficile verità
» di Roberto Roveda
Per comprendere pienamente che cosa significa “Piazza Fon- Un romanzo (a volte) non è la realtà tana” nella storia recente d’Italia non si possono tacere alcuni Un discorso a parte meritano i protagonisti al centro del dati storici: il giorno della strage, 12 dicembre 1969, morirono dramma, le due figure opposte e insieme complementari del all’interno di una filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura commissario Luigi Calabresi e del ferroviere anarchico Giu– in pieno centro a Milano – 17 persone e 88 seppe Pinelli – interpretati rispettivamente rimasero ferite. L’attentato segnò, con ogni da Valerio Mastrandrea e da Pierfrancesco probabilità, l’inizio della “strategia della Favino –, animate da identica moralità e nel tensione”, un disegno eversivo che mirava contempo tragiche. L’umanità di questi due a instaurare in Italia un regime autoritario ritratti appare però unica nel film, a fonte di grazie a una serie di attentati tesi a esacerrappresentazioni semplicistiche e fin troppo bare il confronto politico e a destabilizzare benevole di quasi tutte le altre figure, delile istituzioni democratiche. A tirare le fila neate con un equilibrio un po’ affettato che del progetto, diversi attori: i servizi segreti rivela la volontà del regista di uscire dalle deviati, settori del mondo politico, parinterpretazioni politiche manichee in voga te dell’apparato industriale e finanziario, in passato. La stessa volontà di equidistanza militari, gruppi neofascisti, servizi segreti che può essere letta nella scelta del regista stranieri. di suggerire come plausibile la tesi del Un quadro che è stato in gran parte ricodoppio ordigno, sostenuta dal giornalista struito dagli storici e dai magistrati anche se Paolo Cucchiarelli nel suo recente saggio Il in nessun caso si è arrivati a una condanna Romanzo di una strage segreto di Piazza Fontana, da cui il film è per regia di Marco T. Giordana di mandanti, ideatori, responsabili. Per buona parte tratto. Un testo secondo cui, Italia/Francia, 2012 Piazza Fontana, per esempio, sette processi accanto alla bomba esplosa, collocata dai protrattisi fino al 2005 ci hanno detto che neofascisti veneti e da uomini dei servizi l’attentato è opera di esponenti del neofascismo collegati con segreti deviati, ci sarebbe stata anche una bomba dimostrativa i servizi segreti (e chissà con chi altri ancora). Non si è però e innocua portata da mano anarchica. Una suggestione, adatta arrivati, tra inquinamenti e depistaggi, ad alcuna condanna appunto a un romanzo. definitiva. Anzi, nell’ultimo procedimento i parenti delle vittime hanno subito la beffa e l’umiliazione della condanna al pagamento delle spese processuali!
La trappola della semplificazione Una lunga premessa che ci fa capire come Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, regista da sempre attento al racconto della recente storia italiana – suo è il discusso La meglio gioventù, dedicato alla generazione cresciuta nel clima del Sessantotto – affronti una materia ancora incandescente, una ferita aperta. Lo fa con l’intenzione palese di compiere un’operazione di costruzione della memoria collettiva, lontana dalla retorica e dalle interpretazioni ideologiche, dando al suo film l’andamento di una grande narrazione, tragica e drammatica, un romanzo appunto, come recita il titolo. Una scelta che paga, ma fino a un certo punto. Perché in un racconto piano e ordinato, suddiviso in otto capitoli e frutto forzatamente di una semplificazione delle vicende che portarono all’attentato, Giordana mostra tutta la difficoltà proprio della semplificazione filmica della grande complessità di quegli anni tanto importanti quanto terribili. Nonostante la narrazione sia, infatti, fluida e misurata, forte è l’impressione di un’eccessiva volontà di ridurre e rendere digeribili al grande pubblico fili narrativi, intrecci, intrighi difficili da ricostruire anche a oltre quarant’anni dalla tragedia. Lo si avverte non solo nell’eccesso didascalico di alcuni dialoghi (alla prima apparizione ogni personaggio si presenta, quasi a voler agevolare il riconoscimento da parte del pubblico più giovane o sprovveduto), ma soprattutto nell’affresco di un passato che finisce per essere popolato da tanti, troppi personaggi – Moro, Saragat, Rumor, Feltrinelli, il principe Borghese e tantissimi altri – che risultano quindi poco approfonditi nella loro individualità.
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Vasco da Scala Dopo alcuni imprevisti è finalmente andata in scena nel grande teatro milanese la prima opera drammaturgica di Vasco Rossi. Il rocker di Zocca ha mantenuto le aspettative, meno fortunata è stata invece la scelta del luogo di Alessandro Tabacchi
Arti
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Spesso siamo costretti a fare i conti con i nostri preconcetti e pregiudizi, e ci sforziamo di allontanarli, prima di valutare e criticare un’opera d’arte in maniera sufficientemente lucida e distaccata. Accade anche, sebbene un po’ meno di rado, il contrario; ovvero che un’analisi lucida e distaccata di un’opera d’arte riveli al critico preconcetti dai quali non pensava di essere affetto, e lo aiuti a combatterli. E poi ci sono i casi indefinibili, quelli nei quali il tapino si trova ad affrontare un’opera pieno di pregiudizi, vorrebbe combatterli, ma alla fine se li tieni stretti perché rimangono l’unico suo metro di giudizio, perché l’opera d’arte stessa li ha alimentati. Quanto ho provato prima, durante e dopo la visione de L’altra metà del cielo al Teatro alla Scala ricade nel terzo caso. Si tratta di un balletto di nuova produzione (con la coreografia di Martha Clarke) che mette in scena un’allegoria della vita femminile basandosi su canzoni di Vasco Rossi dedicate alle donne, riarrangiate all’uopo per grande orchestra. Le tre protagoniste si chiamano non a caso Albachiara, Susanna e Silvia. Quello che mi ha francamente annientato fin dal primo momento è stato leggere sul cartellone “coreografia di Martha Clarke, musica e drammaturgia di Vasco Rossi”. “Blasco” drammaturgo: buona la prima No, non può essere! Passi tutto, ma “drammaturgia di Vasco Rossi” è un ossimoro che mi riesce indigesto. Ed ecco che subito un’onda montante di inevitabili pregiudizi si abbatte fragorosa sulla mia povera lucidità critica prima ancora di sedermi. Ho sempre visto in Vasco Rossi un demiurgo rock capace di trasformare in oro le banalità più trite, talvolta con esiti di livello elevato, e francamente non sono mai riuscito a spiegarmi come possa fare. Un grezzo rocker dall’animo gentile, un Prevert da stadio, un catalizzatore di sentimenti per una generazione che non ha più santi cui votarsi (lo so, lo sto citando). Di sicuro non un uomo di teatro, anzi l’esatto opposto dell’uomo di teatro. “Ci mancava pure Vasco Rossi alla Scala”: questo in sintesi il mio pensiero prima della rappresentazione. Poi lo spettacolo comincia e tutto fila via come l’olio, molto gradevole, molto curato e sostenuto da un ottimo lavoro di regia e di luci. Le canzoni sono tutte assai ben arrangiate, a volte sono commoventi e sanno pungere le corde giuste. Di danza vera e propria non se vede molta sul palco, però nel complesso
tutto funziona. La trama è semplicissima: si passa dagli amori adolescenziali alle delusioni della mezza età, per arrivare alle quarantenni che, con famiglia o senza, alla fine tirano a campare. Una sequela di luoghi comuni grammaticamente corretti con l’eccezione di una scena di teatro-danza (sulle note di Jenny è pazza) assai ben riuscita, debitrice in parte di alcune soluzioni teatrali “alla Ionesco”. Buon successo, applausi e ringraziamenti. Me ne torno a casa tutto sommato soddisfatto, eppure i vecchi cari pregiudizi sono sempre appollaiati sulla mia spalla. Mi chiedo infatti se lavori di questo genere siano un bene per la cultura o no. A ogni cosa il suo posto Lo spettacolo è bello, questo è sicuro, ma non è da Teatro alla Scala. Questo è il punto. Est modus in rebus, dicevano gli antichi: vi deve essere una misura nelle cose. Orbene, questo principio dovrebbe reggere anche i cartelloni dei teatri che si fregiano di essere fra i primi al mondo. In anni in cui il senso artistico del pubblico viene progressivamente imbarbarito e alimentato dal cattivo gusto venduto a piene mani da molti potenti media – che hanno tutto l’interesse a creare una generazione di consumatori inebetiti e privi di senso estetico, per affibbiare loro qualsiasi cretinata sforni il mercato –, le grandi istituzioni avrebbero il dovere – sì, la parola è giusta – di offrire qualcosa che abbia il coraggio di stimolare il pubblico e non, banalmente, di accontentarlo. Se le organizzazioni culturali smettono di guardare oltre, di spingere l’attenzione del pubblico lontano dalle banalità triviali del quotidiano, se smettono di educare gli spettatori e gli usufruitori dell’arte a un senso dell’esistenza che vada al di là del sentimentalismo da “Baci Perugina” propinato ogni dove e spacciato per alto sentire, l’arte stessa finirà per estinguersi. E poi, perché snaturare il rock, vestendolo di sonorità che non gli appartengono? Se al rock non si permette di essere se stesso, non ha alcuno scopo. Due anni fa, proprio alla Scala, andò in scena il Pink Floyd Ballet di Roland Petit. Uno spettacolo grandioso, in cui alla superbia e al magistero estetico della coreografia si univa la magnificenza psichedelica della musica. Ma non ci furono certo riletture alla Rachmaninoff per grande orchestra di Hey You! o di One of these days, perché avrebbero ucciso la splendida forza degli originali. Quello fu un evento culturale. Uno degli ultimi che percepii come tale.
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La lingua dell’uomo In italiano, se un aggettivo o un participio si riferiscono a una parola maschile e a una femminile, la concordanza avviene al maschile. L’ennesima prova di una cultura maschilista…? testo di Gaia Grimani illustrazione di Micha Dalcol
“Le
scarpe e i guanti di Filippo sono puliti”, “Isa e Marco sono andati al cinema” sono solo due piccoli esempi della regola grammaticale ben nota. Se una donna esce di casa con due amiche e un amico, bisognerà dire che “sono usciti dalla porta”, anche se la maggioranza femminile è, in questo caso, evidente. È chiaro che la grammatica sia maschilista, ma, regole di concordanza a parte, oggi il maschilismo linguistico tocca un problema assai importante e, per un certo verso, sociale: le qualifiche da attribuire alle donne che svolgono professioni un tempo riservate agli uomini. Lui, lei e “l’altro” Come chiamare il medico, l’avvocato, il maestro, il professore e persino il ministro donna? L’ambasciatrice è l’ambasciatore donna o la moglie dell’ambasciatore, come si usava una volta? Le risposte sono disparate, così da ingenerare non poca confusione. Proviamo a trovare qualche indicazione nelle regole grammaticali sulla formazione dei nomi: 1. I nomi che al maschile terminano in o formano solitamente il femminile in a: il maestro/la maestra. 2. Quelli maschili che terminano in a, invece assumono il suffisso essa, poeta/ poetessa, il duca/la duchessa. 3. Quelli che al maschile terminano in e formano il femminile in due modi diversi: alcuni mutano la e in a, infermiere/infermiera; altri aggiungono il suffisso essa: l’oste/l’ostessa. 4. I nomi maschili in tore formano per lo più il femminile in trice: scrittore/scrittrice, senatore/senatrice, ma di essi alcuni, invece, aggiungono al femminile la desinenza tora: pastore/ pastora; tintore/tintora. Vi sono poi “i rivoluzionari”, cioè i nomi al di fuori di queste regole e schemi: l’eroe/l’eroina, il dio/la dea; per non parlare di chi ha forme completamente diverse per il maschile e il femminile, come prete/suora, fratello/sorella e quelli che hanno un’unica forma per maschile e femminile e solo l’articolo o la desinenza degli aggettivi che li accompagnano permette di stabilire, se si tratta del cantante o della cantante, del giornalista o della giornalista. Mestieri a parte, ci sono infine i nomi di genere promiscuo, in cui non esiste differenza tra maschile e femminile: la maggior parte dei nomi di animali, per esempio, il leopardo, l’usignolo, l’aquila. In questo caso per designare il sesso si ricorre
all’espressione leopardo maschio, leopardo femmina e così via. Esistono anche i falsi cambiamenti di genere: il cerchio non è certo il maschile della cerchia, come non lo è il cero della cera e così via. Chi è “a” e chi è “o”? È una selva intricata di regole e relative eccezioni! Ma torniamo al maschilismo linguistico e alle nuove qualifiche professionali delle donne. Talvolta la “femminilizzazione” degli appellativi maschili ha portato a creare nomi che, oltre a suonare sgradevoli, sembrano essere usati in senso ironico o dispregiativo. Si pensi a parole come vigilessa, medichessa, giudichessa, avvocatessa e simili. Che cosa si può fare in casi come questi? Secondo i linguisti, la cosa migliore è usare il nome maschile anche per la donna, lasciando, al senso della frase o al nome proprio che segue la qualifica, il compito di eliminare ogni possibile dubbio. Così, si dirà: “II vigile Carla Rossi”; “L’amministratore delegato della società, ingegner Rossana Neri”. In taluni casi, poi, si può premettere il nome donna al nome maschile: così donna poliziotto e donna soldato sono preferite, nell’uso, a poliziotta e soldatessa. In Italia la Commissione nazionale per la parità uomo/donna ha pubblicato, già nel 1987, le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua, con una serie di proposte fra le quali quella di seguire la tendenza a usare forme come: l’avvocata (non l’avvocato, l’avvocatessa o la donna avvocato), la notaia, la magistrata, la prefetta, l’amministratrice delegata, la consigliera comunale, la giudice, la ministra. Proposte in parte inascoltate perché, in realtà, le donne che svolgono determinate professioni sembra preferiscano un titolo maschile per mettere in evidenza, dicono, la funzione svolta invece del sesso di chi la svolge, ammettendo così una posizione femminile che, per debolezza, non osa scostarsi dal riferimento maschile. Inoltre la legge non è uguale per tutti: si può dire il notaio Marisa Brambilla, però non l’operaio Silvana Rossi. Perché questa differenza? Forse bisognerebbe talvolta riflettere non solo sull’uso sessista, ma anche su quello classista della lingua italiana, come suggerisce qualche studioso.
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La ragazza non sfonda Società ticinese inibita e donne piuttosto vergognose? La rubrica delle pin-up nostrane del quotidiano “Blick” pare dimostrarlo. Analisi e tesi a confronto, tra trionfo del narcisismo, sconfitta del femminismo e pudicizia di costume
di Marco Jeitziner
“Abbiamo
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avuto solo due ragazze dal Ticino”, ci conferma Sabine Höltschi, redattrice del “Blick” e responsabile della pagina “Heute bin ich ein Star” (“oggi sono una star”)1, la rubrica più guardona della Svizzera. Dal 2009 centinaia di donne elvetiche della porta accanto, casalinghe, impiegate, studentesse, tra i diciotto e i trent’anni, si sono fatte fotografare semi-nude, anche se mai in modo volgare. Un successo inatteso e inarrestabile: a oggi vi hanno partecipato oltre 600 donne da ogni angolo del paese, fa sapere Höltschi. Ma tra queste solo due ticinesi, Nadya e Christina, entrambe madri e di Lugano. Eppure, ha commentato Höltschi, ci sono delle belle donne in Ticino! Già, ma la bellezza non basta. Il narcisismo dominante L’iniziativa, unica nel nostro paese, è prerogativa del “Blick”, il giornale scandalistico per eccellenza. Un fenomeno di costume nuovo e rilevante: certo, non tutte si mostrerebbero senza veli, ma per il maggiore quotidiano a pagamento con oltre mezzo milione di lettori (622mila nel 2011)2, si può fare un’eccezione. Vent’anni fa, qualcuno ricorderà, c’erano solo ragazze straniere e solo sulla terza pagina! Come si spiega? “Allora”, ha dichiarato l’ex capo redattore del giornale, Fridolin Luchsinger, “sarebbe stato impossibile”. Fu compiuto un tentativo ma “ha funzionato per qualche settimana, poi abbiamo dovuto smettere: era difficilissimo trovare un numero sufficiente di ragazze disponibili a posare”3. Un motivo, per il giornalista, sarebbe il successo ottenuto negli anni Novanta da alcune osannate modelle,
come Cindy Crawford o Naomi Campbell, divenute stelle del mondo dello spettacolo alla pari di attori e musicisti famosi. “Posare per un giornale, in un certo senso, è come immaginare di fare un passo verso il loro universo” ha detto. Per gli studiosi del sociale, come l’an-
Sognare. tropologa Elisabetta Moro, nulla di sorprendente: “il narcisismo di massa è il fenomeno dei nostri tempi” ha spiegato.4 “Se una volta le vere pin-up erano un modello irraggiungibile, oggi tutte possono esserlo”. Un’evoluzione aiutata indubbiamente dai nuovi mezzi di comunicazione come internet, dove sono in tanti a mostrarsi, sapendo che molti altri guardano. Siamo nell’epoca dell’individualismo e del voyeurismo: tra le giovani donne è infatti sempre più diffuso il teorema “mi esibisco, quindi esisto”. Evoluzione, dunque, o ritorno al passato? Per buona pace delle femministe, la seconda ipotesi sembra quella più reale. La rubrica del “Blick” ha spazzato via in pochi anni alcuni dogmi del vecchio femminismo radicale. Dunque meno pin-up ticinesi significa maggiore femminismo in Ticino? Certamente no. La storia culturale delle donne a sud delle Alpi lo attesta. Per la storica Nelly Valsangiacomo, le svizzere italiane non si sono mai distinte per le rivendicazioni emancipatorie,
nemmeno a livello intellettuale. “Dal 1960 al 1990” scrive, nella letteratura impegnata c’era solo “una decina di donne su poco più di cento autori”. Un po’ poche, considerando gli anni caldi a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Solo nel 1999, dice, la letteratura si è occupata di storie di donne, “limitandosi però essenzialmente a un indirizzo di tipo giuridico-istituzionale”5. Nulla di liberatorio insomma, tantomeno di rivoluzionario, dice la scrittrice Susanna Tamaro, per cui “le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne a essere soltanto oggetti in modo diverso”6. Se può consolare, tuttavia, la rubrica del “Blick” rappresenta una forma di narcisismo non assoluto ma relativo, perché se oggi tutte potrebbero fare le pin-up, in realtà non tutte lo vogliono. Allo stesso tempo, è una spettacolarizzazione dal basso meno democratica di quanto sembra. Infatti, stando al “Blick”, nessuna candidata è mai stata rifiutata, ma ciò non significa che si siano presentate donne di qualsiasi corporatura. Se gli artifici cosmetici, è vero, fanno miracoli, per la loro fisicità
Passare in filiale. tutte rientrano in un canone di bellezza certo ordinario ma circoscritto. Discriminante per coloro che non si sentono di appartenervi, irraggiungibile per coloro che, fortunatamente,
Rimane ora una sola ragione predominante, quella culturale e di costume. La nudità è comunemente più accettata nei paesi del nord, perché vissuta come atto di gioia e di libertà. Al sud, invece, è più repressa e vista come vergognosa o come mera trasgressione. Questa è una delle particolarità del Ticino: benché sia parte di un paese alpino e comunemente ritenuto “del nord”, prevale una mentalità “del sud”, cioè repressiva della nudità. Per la sociologa Eliane Perrin, la causa sono dei “fattori inibitori” e delle “nevrosi”, che identifica “nella famiglia, nel matrimonio e nella morale cristiana”7. Indubbiamente fortemente radicati nella nostra cultura. Un’inibizione presente persino nella segretezza dello studio medico: “nelle consultazioni ho notato parecchia resistenza, pudore, vergogna” testimonia la sessuologa ticinese Linda Rossi.8 È dunque culturale il motivo per cui il Ticino è totalmente privo di un vero star-system, come invece esiste oltre Gottardo. Privo anche di un vero gossip che i mass-media locali – a volte un po’ provinciali e conservatori – preferiscono non trattare. Insomma, la giornalista Müller, che conosce bene le due realtà, conclude così: “ho l’impressione che le ragazze ticinesi siano più timide. Per loro spogliarsi e lasciarsi fotografare per un giornale ha sempre un po’ l’aria dell’osceno”.
Una classica pin-up tutta curve del grande illustratore statunitense Gil Elvgren (1914–1980)
Acquistare. non si spoglierebbero mai pubblicamente. “Heute bin ich ein star”, dunque, non fa che riprodurre un modello, o dei modelli, estetici già dominanti nella nostra società. Società ticinese inibita? Un fenomeno che è “una riscossa dal basso, un modo di uscire dall’anonimato” ha spiegato ancora l’antropologa Mora. Una generalizzazione fuorviante e, come detto, non rappresentativa del Ticino. Diversi i motivi ipotizzati. Secondo Höltschi, per le ticinesi “venire fino a Zurigo per la ripresa fotografica comporta una lunga giornata”, dalle 4-5 ore d’impegno oltre al viaggio. Pigrizia dunque? Forse,
ma non solo: come mai allora le svizzere francesi partecipano più numerose pur vivendo distanti da Zurigo? Il cantone Ticino è poco popoloso, ha motivato ancora Höltschi. Ma la demografia non spiega tutto, altrimenti perché alcune pin-up nostrane provengono da cantoni persino meno abitati del Ticino, come Basilea Campagna o Sciaffusa? E persino da comuni più piccoli di Lugano, come Dörflingen o Arbon? Altra ragione ipotizzata da Höltschi è che il “Blick”, scritto in tedesco, sarebbe poco conosciuto a sud delle Alpi. Ignoranza linguistica? In parte forse sì, ma a Ticinosette la corrispondente del giornale in Ticino, Myrte Müller, smentisce questa ipotesi: della rubrica ne avevano parlato per esempio due noti portali internet ticinesi. Anche i numeri le danno ragione: in Ticino il giornale conta “novemila lettrici” e “21mila utenti singoli al mese del sito on-line”, fanno sapere da Zurigo.
note 1 www.blick.ch/life/stardestages/ 2 www.cdt.ch/confederazione/cronaca/50223/lastampa-svizzera-guadagna-lettori.html 3 www.illustre.ch/la_voisine_pose_quasi_nue_en_ une_40870_.html 4 http://epaper2.caffe.ch/ee/ilca/_ main_/2010/10/17/036/ 5 www.archividonneticino.ch/studi/aardt_valsangiacomo.shtml#a12 6 “Corriere della sera”, 17 aprile 2010. 7 Eliane Perrin, Cultes du corps, Ed. Favre, 1985. 8 Linda Rossi, Amore e sesso, Rezzonico Editore, 2004.
Consulenza personale a due passi da voi: Lugano Manno, Via Violino 1. Telefono: 091 604 22 00 La concessione di crediti è vietata se conduce a un indebitamento eccessivo (art. 3 LCSI). CREDIT-now è un marchio di prodotto di BANK-now SA, Horgen.
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Tesori fra i rifiuti “Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior”. Il calcestruzzo, l’asfalto, i mattoni e tutti gli altri inerti non sono certo preziosi e fecondi come il letame cantato da Fabrizio De André in “Via del Campo”. Ma non sono nemmeno privi di valore o sterili come i diamanti. Anzi. Le discariche in cui si accumula materiale di scarto sono luoghi molto ricchi per quanto concerne la biodiversità. Possono persino trasformarsi in un rifugio per piante rare e minacciate. L’esempio dell’area di Stabio-Gaggiolo di Stefano Guerra
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Aggiriamo il cancello, e imbocchiamo la strada sterrata che sale. È sabato mattina, la discarica è chiusa. Non c’è l’abituale viavai di camion, né il frastuono di pale meccaniche e benne che scaricano. Il solito decespugliatore, una motocicletta che accelera, il traffico attraverso la dogana, altrimenti soltanto il cinguettio degli uccelli, un picchio che si dà da fare, ogni tanto – in lontananza – il raglio di un asino. In questa giornata di fine marzo che sembra di essere già in estate, il bosco vicino si sta svegliando: i ciliegi sono in fiore, presto sarà il turno di robinie, querce, frassini, castagni. La strada s’inerpica sul fianco orientale della montagna artificiale. In basso il pendio è ricoperto di verde, soprattutto erba medica e trifoglio. Poca roba. Più su il costone è stato seminato con una miscela che serve a consolidarlo, per evitare che le piogge se lo portino via. Qui la vegetazione non è ancora spuntata. La ricchezza di una discarica Bruno Bellosi si guarda attorno perplesso: “È presto, il clima è troppo secco e poi quest’anno il posto mi sembra più «povero»”. Nel 2009 il botanico comasco visitò più volte la discarica1: vi trovò 320 tipi di piante. Alcune appartenevano alla “Lista rossa” delle specie minacciate, che tra gli inerti trovano una sorta di rifugio. “In un luogo come questo – spiega – c’è di tutto: specie tipiche dei prati secchi o delle zone umide, da giardino, invasive, pioniere, e soprattutto alcune specie rare che molto difficilmente si sviluppano nei campi coltivati, di regola molto concimati”. Siamo a Stabio, in località “Cà dal boscat”, nel punto più orientale del Mendrisiotto. La discarica sta proprio a ridosso del confine: al di là della rete metallica che segna la frontiera, all’ombra dell’ammasso formato da materiale di scavo e di demolizione, alcune case e qualche capannone industriale. Negli ultimi anni, il culmine della collina è stato smussato, ma il volume della discarica “a me adesso sembra tre volte tanto”, stima Bruno. Oggi il sito di Stabio-Gaggiolo è in fase di esaurimento. Dovrebbe chiudere i battenti nei prossimi mesi. Arriviamo in cima. Il vento sibila, terge il cielo dove un sole splendente è sfiorato da una delle tante scie bianche che s’incrociano sopra le nostre teste. Un’altra la disegnerà
presto l’aereo che si è appena alzato in volo dalla Malpensa. Scorgiamo la vetta del Generoso, le colline del Mendrisiotto tutt’intorno. A ovest, oltre le antenne del Campo dei fiori di Varese, il massiccio del Monte Rosa. Rintoccano le campane, prima a Cantello poi a Stabio: è mezzogiorno. Sulla spianata riposa un trax Hitachi. Bruno dà un’occhiata in giro, il suo pessimismo cresce: “È troppo presto”. In effetti, di verde quassù non se ne vede. Poi a un tratto, laddove la parte più vecchia e più alta della collina di inerti declina verso il suo “tetto” attuale, scorgiamo una scarpata verde. La terra è cotta: il pendio è rivolto a sud-est, riceve sole tutta la giornata. Nell’avvallamento ai suoi piedi, un deposito recente di calcestruzzo e altri scarti edili: una macchia grigia, con pezzi di piastrelle, lastre e tubi di cemento, qualche bottiglia, due taniche di plastica, una scatola di cartone, un interruttore. Quando piove, qui si formano delle pozze. “L’ideale per le piante”, osserva Bruno. Con l’occhio dell’esperto Di acqua oggi non c’è traccia, ma non importa. La nostra guida si avvicina e comincia a perlustrare la scarpata, in equilibrio precario sugli scarponi, attento a non scivolare sulla terra dura e friabile, che offre pochi appoggi. Ci sono il trifoglio e l’erba medica, già incontrati salendo. Ma anche alcuni ciuffi di Echium vulgare (detta “Viperina azzurra”), l’Euphorbia lathyiris (una pianta da giardino), la Salvia pratensis (tipica dei prati secchi), la Sanguisorba minor (“Meloncello”). E poi ancora la Daucus carota (la carota selvatica), la Silene vulgaris (“Verzett” in dialetto: “ci si fa una buonissima insalata”, dice Bruno), due boccioli di Leucanthemum vulgare (“la vera margherita, dai grossi petali, non le margheritine che si trovano un po’ ovunque”). Bruno si ferma davanti ad alcune piantine di Anthyllis. Hanno fiorellini di un giallo vivo: “fantastico, non le avevo ancora viste fiorite quest’anno!”. Poi a un tratto si accovaccia, afferra alcuni steli rinsecchiti di Chenopodium album, spostandoli di lato: sotto, un fiorellino (una Veronica persica), alcune foglie di Malva sylvestris e il Sonchus oleraceus. “Però... guardando bene, ce ne sono di piante”.
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13 Due presenze abituali delle nostre zone incolte: la violacea Salvia pratensis e le “vere” margherite a grandi petali (Leucanthemum vulgare)
Una natura “incontrollabile” Lì attorno, sempre sulla stessa scarpata, ci sono decine di altre erbe, molte difficili da determinare perché ancora troppo poco cresciute. “L’assurdo è proprio questo”, commenta Bruno Bellosi. “Alla flora non gliene importa niente di quel che le sta attorno, basta che ci sia da mangiare. Per un botanico è un posto bellissimo, perché c’è il piacere della scoperta. Si pensa alle discariche come ambienti da evitare, invece sono luoghi interessantissimi per chiunque si interessi alla flora. Certo, qui hanno buttato di tutto: ma vicino c’è anche la pianta rara. Da ciò di cui gli uomini si liberano, nascono pianticelle e fiori bellissimi”, dice Bruno, che anni fa in un’altra discarica di inerti nel Mendrisiotto s’era imbattuto nella “Nappola italiana” (Xanthium italicum), una pianta rara alle nostre latitudini, alla quale è particolarmente affezionato2. “Spesso e volentieri – aggiunge la nostra guida – andiamo a cercare le piante esotiche. Sono belle, per carità. Però così finiamo col trascurare le nostre. Un posto del genere ci aiuta a riacquistare la sensibilità proprio nei confronti di ciò che è tipico delle nostre regioni. Prendi il tarassaco: è quanto di più comune ci sia, tanto che quasi non lo guardiamo nemmeno. Eppure, sono convinto che se un marziano lo vedesse, rimarrebbe incantato di fronte a un fiore che poi si trasforma in un soffione”. Scendiamo dal versante che s’affaccia su Gaggiolo-Cantello.
Oggi, a parte un solitario fiorellino viola (Muscari neglectum), alcuni fiori di tarassaco, le Anthyllis incontrate prima e un gruppetto di Tussilago farfara coi loro soffioni, non c’è un granché. Incontriamo il temuto “Poligono del Giappone”, specie infestante sempre più diffusa anche nell’area insubrica. Proseguiamo. Arriviamo ai piedi della montagna, il confine è a pochi metri. Lungo la strada sterrata che conduce all’uscita, un’ultima sorpresa: terra bagnata. Forse è la pioggia che la montagna di inerti, come una spugna, ha assorbito e poi rilasciato piano piano. Non si è formata una vera e propria pozza, ma questo angolino umido che sfugge alla siccità persistente è risultato gradito ai germogli di equiseto (Equisetum arvense) e alla Veronica beccabunga, che qui stanno crescendo generosamente. “C’erano già due anni fa: sono contento di ritrovarli”, dice Bruno. note 1 Nell’ambito di uno studio (unico nel suo genere finora in Ticino) su otto discariche di inerti nel Mendrisiotto, dove sono state censite 512 specie. Vedi Bruno Bellosi, Paolo Selldorf, Nicola Schoenenberger, “Exploring the Flora on Inert Landfill Sites in Southern Ticino (Switzerland)”, Bauhinia, no. 23, 2011, pp. 1–15. 2 È uno degli episodi della serie “Erbacce” di Olmo Cerri, andata in onda alla RSI nel 2009 (http://vimeo.com/29947804).
» testimonianza raccolta da Fabio Martini; fotografia di Flavia Leuenberger
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Gabriela Carbognani
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mostra personale risale invece all’anno successivo, il 1999, al convento del Bigorio per la quale scelsi testi dal Cantico delle Creature. È importante distinguere tra la grafia personale e la calligrafia, che prevede lo studio degli antichi caratteri, dei caratteri gotici, dell’italico, del corsivo inglese… Queste sono le basi, la parte propedeutica. Altra cosa è farne uno strumento di ricerca espressiva, una pratica d’arte, affrontando un testo e restituendolo in una forma calligrafica capace di trasmettere emozioni, suggestioni o altro ancora. Oggi la mia attività si è fatta più personale, più coinvolgente, ed Uno spirito aperto e intuitivo, che l’ha è in continua trasformazione. portata a sviluppare un percorso artistico Nella mia espressione artistinon consueto e ad affrontare la vita e gli ca, al momento mi interessa meno elaborare, per esempio, affetti con creatività e positività testi di altri autori. Preferisco lavorare sui miei concetti, sule un collega mi chiese se ero le mie riflessioni personali. Mentre come interessata a specializzarmi in calligrafa, amo ricevere la richiesta da parte quel tipo di attività. Ma anche di terzi per scrivere una frase particolare che dopo questo episodio non ci gli sta a cuore. fu un seguito immediato. Ma Un paio di anni fa ho sentito l’esigenza di il seme era stato gettato. Fu trasformare la mia passione per la calligrafia, nel corso della gravidanza che specializzandomi nello scrivere direttamente avvertii chiaro il desiderio di sulle pareti. Ho trovato un atelier lungo il diventare una calligrafa, di fiume Tresa, in una vecchia fabbrica, è un imparare a scrivere bene come luogo molto luminoso, dove posso lavorare oggi non si usa fare più. Da tranquillamente sui vari progetti, insegnare, quel momento ho scoperto un ed essendo uno spazio molto grande, orgamondo che ignoravo: iniziai nizzare anche degli eventi. a leggere libri sull’argomento Circa un anno fa ho dovuto affrontare le e sono entrata in contatto particolari scelte di vita di mio figlio Elia. con l’Associazione Calligrafica Ha deciso di abbandonare gli studi e di Italiana seguendo corsi di caldedicarsi al volontariato. Inizialmente noi ligrafia classica ed espressiva genitori non accettavamo e non capivamo a Milano. A un certo punto e così l’ho invitato a scrivere. Ecco, ancora, ho capito che la calligrafia la forza della scrittura. Quando ho letto le poteva essere uno strumento sue riflessioni, i suoi testi, ho compreso, per esprimere qualcosa di mio, tanto che li ho utilizzati in una serie di ladi profondamente personale. vori che poi ho esposto. Appena compiuti Intanto, con mio marito e mio i diciott’anni è partito per l’Africa: prima è figlio, ci eravamo trasferiti a stato in Ruanda con l’ONG “Insieme per la Ponte Tresa, nel castello della Pace”, poi ha viaggiato da solo fermandosi famiglia de Stoppani. Si tratta due mesi con i masai. Attualmente lavora in di uno spazio a cui sono molto un orfanotrofio in Tanzania, dove insegna e legata, essendo un tempo stata si dedica ai ragazzi. Sono contenta delle sue una piccola chiesa. Il luogo scelte, è una formazione di vita e avrà sempre emana un’ energia particolail tempo di finire gli studi o di intraprendere re. È lì che, in collaboraziouna professione. Le difficoltà certo ci sono ne con Sandra Schaffner, ho state, e sto prendendo coscienza che sono organizzato la prima mostra i momenti più difficili da affrontare che mi collettiva insieme a calligrafi fanno crescere. Cerco comunque sempre delle Associazioni calligrafiche di vedere il positivo in tutte le situazioni e svizzera e italiana. La prima questo mi dà grande forza!
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ono nata ad Altdorf e il trasferimento a Claro è avvenuto quando avevo solo pochi anni. Mio papà aveva una ditta di giardinaggio ma ha continuato a lavorare nel canton Uri facendo il pendolare. Sono cresciuta con la mamma e le mie due sorelle in una casa ai piedi del monastero di Santa Maria Assunta, un luogo con una sua atmosfera, sia per il giardino creato da mio padre a ridosso della roccia, sia per la presenza del monastero e della chiesetta di Sant’Ambrogio. È stata un’infanzia serena, vissuta a stretto contatto con la natura. Quando si è trattato di scegliere quale formazione intraprendere mi sono orientata verso qualcosa di artistico perché la passione per il disegno si era già manifestata. Dopo il diploma al CSIA di Lugano, mi sono trovata di fronte a un bivio: andare a Milano per lavorare alla rivista “Abitare”, oppure trasferirmi a Losanna impiegata in un’agenzia pubblicitaria. L’idea di Milano mi allettava ma allo stesso tempo mi spaventava; mi sentivo troppo timida per andare a lavorare in una metropoli… Ho scelto Losanna, anche se l’impatto col mondo del lavoro non è stato facile, del resto la scuola ti prepara solo parzialmente, e ammetto che nel mondo pubblicitario mi sentivo un po’ persa. A quel punto però è subentrato l’amore e di conseguenza la decisione di stare vicina alla persona che poi è divenuta mio marito. Ho quindi lasciato il lavoro a Losanna e sono tornata in Ticino e a 23 anni è iniziata la gravidanza, un’esperienza che mi ha infuso una grande vitalità: mi sono resa conto che volevo dedicarmi a mio figlio, alla sua crescita. In realtà, l’interesse per la calligrafia era già presente e il primo contatto era avvenuto proprio a Losanna. Stavamo lavorando alla campagna pubblicitaria di una nota birra e lo slogan era Feel the night. Per la scritta si rivolsero a un calligrafo inglese
Lo spirito e la spada
Il Kendo non è una tecnica di combattimento, ma un percorso di educazione e un momento di crescita personale. Perché l’avversario non è un nemico da sconfiggere, ma colui che colpendoti mostra i tuoi punti deboli testo a cura della Redazione; fotografie di Matteo Aroldi
I
l Kendo discende dalla spada giapponese, comparsa a metà dell’era Heian (794–1185) e caratterizzata dalla classica lama leggermente ricurva. Questo tipo di arma, usata dai samurai, è stata oggetto nel corso dei secoli di un incessante processo di perfezionamento. L’evoluzione nella scelta dei materiali e nelle tecnologie costruttive e le esperienze apprese negli scontri reali non solo portarono a una estrema specializzazione dei forgiatori ma anche allo sviluppo di raffinate pratiche di combattimento e di straordinarie abilità nell’utilizzo della spada. Durante l’era Edo (1603–1867) nel paese del Sol levante iniziò un periodo di relativa pace; le tecniche di ken (spada giapponese) furono convertite da “tecniche per uccidere” in “tecniche per sviluppare l’individuo”: Heiho Kadensho (La spada che dà la vita) di Yagyu Munenori, Fudochi Shinmyoroku (La mente inamovibile) del sacerdote Takuan Soho e Gorin-no-sho (Il libro dei cinque cerchi) di Miyamoto Musashi sono solo alcuni dei numerosi volumi sulle teorie della spada e del combattimento scritti e pubblicati durante la metà e la tarda era Edo. Questi testi diventarono dei classici tra i samurai, veri manuali di comportamento nella vita quotidiana e sull’accettazione della morte (e la vita dopo di essa).
L’avvento del “kendo-gu” Nell’era Shotoku (1711–1715) prese forma il kendo-gu (l’equipaggiamento protettivo) e venne stabilito un metodo di allenamento usando la shinai (la spada di bamboo). È questa l’origine diretta dell’attuale disciplina del Kendo. Più tardi venne introdotto un nuovo metodo di allenamento che prevedeva l’utilizzo di un men (la protezione per la testa) in ferro e un kendo-gu in bamboo. A partire dall’era Kansei (1789–1801) la competizione fra le diverse scuole divenne molto popolare e i samurai iniziarono a uscire dalla loro regione con una certa frequenza alla ricerca di avversari più forti da sfidare; un modo per mettere alla prova le abilità sviluppate. La Yotsuwari Shinai (spada composta da un set di quattro stecche di bamboo) fu introdotta nella seconda metà dell’era Edo. Nello stesso periodo Chiba Shusaku – responsabile di uno dei maggiori dōjō, i luoghi in cui si pratica il Kendo – tentò
(...)
Le immagine sono state scattate presso il Tokyo Kyumeikan Dōjō di Itabashi-ku (Tokyo). Per chi volesse approfondire il Kendo e la sua storia, vi rimandiamo al sito della International Kendo Federation (www.kendo-fik.org) da dove sono state tratte le informazioni presenti nel testo.
di regolamentare l’allenamento della spada di bamboo stabilendo le Sessantotto tecniche di Kenjutsu. Alcune di queste sono ancora oggi applicate dai moderni samurai. La caduta e la rinascita dei samurai Dopo la seconda metà dell’Ottocento la classe dei samurai fu dissolta e venne introdotto il divieto di portare la spada: fu il primo vero colpo letale all’arte della spada che, però, si risollevò nei primi decenni del Novecento con la nascita della Dai-Nippon Teikoku Kendo Kata (o Nippon Kendo Kata). Grazie all’unificazione di molte scuole, i samurai poterono così continuare a tramandare le tecniche e lo spirito della spada giapponese, correggendo nel contempo alcune “derive” stilistiche che negli anni l’uso della spada di bamboo avevano portato. L’arrivo dell’esercito statunitense, dopo la Seconda guerra mondiale, portò alla sospensione del Kendo che con la fondazione della All Japan Kendo Federation poté rinascere nel 1952. Oggi questa disciplina è praticata in tutto il mondo tanto che nel 1971, anno nel quale si è svolto il primo Campionato del mondo di Kendo, è stata creata la International Kendo Federation. I combattimenti si svolgono all’interno di una stanza con il pavimento di parquet (il già citato dōjō). In un confronto agonistico (shiai) è lecito colpire in quattro punti: men (la protezione della testa), kote (i guanti), dō (il corpetto) e tsuki (la gola); vince chi per primo realizza due colpi convalidati dagli arbitri (ippon). Spirito, spada e corpo devono essere un tutt’uno nel combattimento e per meglio valutare la presenza del ki (lo spirito) il regolamento impone il kiai, un grido che esprime appunto spirito e concentrazione nel momento del colpo.
Matteo Aroldi Fotografo professionista da oltre vent'anni opera e si muove prevalentemente fra l’Asia e la Svizzera. La città, i suoi estremi, le incongruenze, l’interazione tra le persone e lo spazio urbano rappresentano il suo contesto d’azione privilegiato, “dove l’intimità degli esseri umani è esposta e perennemente visibile”. Per ulteriori informazioni: www.matteoaroldi.com.
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Il cardellino parlante
C’era una volta… un re che aveva tre figliole, le maggiori né belle né brutte e la minore, che di nome faceva Fiore, un vero splendore. Questo fatto creava un po’ di problemi al nostro sovrano perché tutte le volte che si presentava a corte un pretendente per Fiabe chiedere la mano di una delle due figlie maggiori finiva per innamorarsi della più piccina. Le sorelle, rose dall’invidia, decisero allora di organizzare un complotto contro la povera Fiore. Una mattina, appena alzate, corsero dal padre e gli raccontarono che quella notte avevano sognato che la loro sorella minore sarebbe scappata con un povero contadino. Temendo che si trattasse di una profezia e che Fiore avrebbe finito per portare sciagura alla casata, il re chiamò il suo generale più fidato e gli ordinò: “Prendi Fiore e abbandonala nel bosco, qui a corte non ci può più stare”. “Ma sire, come potete… è vostra figlia”, ribatté il generale, sconvolto da quella richiesta. “È troppo civetta e porterà disgrazia alla mia casata. Fate come vi ho detto”. E così, suo malgrado, il generale con una scusa condusse la ragazza nel bosco. Dopo molto camminare, giunsero in una radura dove la ragazza si mise a raccogliere margherite. Il generale balzò allora a cavallo e con le lacrime agli occhi l’abbandonò al suo destino.
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trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Simona Meisser
Resasi conto di quanto era accaduto, Fiore cadde nella più cupa disperazione e iniziò a vagare nel bosco, finché stanca e impaurita cadde a terra svenuta. In quel bosco viveva Silvano, che non era un vero e proprio re, ma il vecchio, anzi, il vecchissimo signore degli alberi. Quella mattina, andando a caccia di cinghiali, notò la bellissima fanciulla addormentata sotto una quercia e decise di svegliarla. “Non temete, signora. Non vi farò del male. Vi porterò nella mia casa dove potrete rifocillarvi e riposare”. Fiore decise allora di seguirlo. La casa di Silvano era fatta di rami intrecciati e foglie secche e si trovava nel luogo più remoto e segreto della foresta. La ragazza dopo qualche giorno riprese le forze e iniziò ad abituarsi alla nuova vita: puliva la casa, faceva qualche passeggiata in compagnia degli animali e preparava il cibo per sé e per il vecchio Silvano. Una mattina, mentre era intenta a pettinarsi, un cardellino si posò sul davanzale della finestra e, magicamente, iniziò a parlare: “Sei bella e le trecce ti fai, ma da Silvano mangiata sarai”. Impaurita da ciò che aveva udito si mise a piangere. Quando il signore dei boschi tornò a casa dopo la caccia, trovò la ragazza in lacrime. “Cos’hai figliola, perché piangi?”, le chiese. Fiore raccontò quanto le era accaduto. “Ah, quello sciocco… È solo un chiacchierone. La prossima volta dovrai rispondergli così: Cardellino, cardellino, con le tue ali farò un ventaglino e con le coscette un arrostino”.
Quando
la mattina seguente l’uccellino si presentò di nuovo alla finestra, Fiore recitò la formula che le aveva insegnato Silvano. A sentire quelle parole le penne gli si arruffarono tutte e l’uccellino fuggì verso il cielo. Ora, cari amici, dovete sapere che quel cardellino pettegolo apparteneva al principe di Piripillo, che vedendolo tornare tutto spennacchiato chiese cosa gli fosse accaduto. Il cardellino raccontò che nella casa del signore dei boschi abitava da un po’ di tempo una bellissima principessa piuttosto dispettosa. Il principe incuriosito decise di recarvisi di persona. Salito a cavallo si lanciò al galoppo verso il bosco. Dopo un paio di giorni giunse di fronte alla casa di Silvano. Il signore dei boschi lo fece entrare e il principe chiese di vedere la fanciulla che lì viveva. “Ve la mostrerò”, disse Silvano, “a patto che, se ve ne innamorate, la trattiate come una regina quale ella in realtà è”. Come immaginerete, appena i due si incontrarono, i loro cuori si misero a battere all’unisono e di lì a poche settimane si sposarono. Silvano, rimasto solo nel bosco, decise che era troppo vecchio per andare in città alla cerimonia mentre il padre della sposa, pentito, chiese di fronte a tutti perdono alla figlia per quello che le aveva fatto sotto la cattiva influenza delle due sorelle che, come molti raccontano da quelle parti, finirono per sposare due modesti contadini…
Fiabe
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Piccoli, grandi passi È impagabile lo spettacolo di un fantolino di pochi mesi che, ancora nella culla, gioca con i suoi piedini! Così buffi e paffuti, sembra impossibile che siano destinati a compiti complessi e preziosi, come offrire stabilità ed equilibrio a tutto il corpo e a consentire la deambulazione Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza
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inalmente, tra gli otto e i dodici mesi, il bambino scopre che può spostarsi carponi e partire gattonando alla ricognizione del mondo. Primi tentativi di posizione eretta, primi emozionanti saggi di passettini e camminata. Esercizio che man mano formerà la “volta” plantare e poi intorno a un anno di vita le prime autentiche scarpette, veicoli determinanti per lo sviluppo corretto delle estremità. In questo meraviglioso periodo il piede misura già 12 cm e si trova nella fase di maggior spinta di crescita e poi chi li ferma più: “i bimbi crescono...” diceva una vecchia canzone, come pure i piedi, piccoli, grandi congegni biologici. Correre, scalciare, saltare... muoversi e scatenarsi è un impulso naturale, una prova di salute e di inesauribili energie. Di punto in bianco le scarpe sono piccole. L’evento passa a volte inosservato, dato che i piccini non avvertono quando le scarpe stringono o, addirittura, aggrediscono le dita dei piedi. “Spesso i bambini indossano scarpe troppo corte che non lasciano sufficiente libertà all’articolazione”, ci conferma Thomas Böni, primario ortopedico presso la Clinica Balgrist di Zurigo. “Ciò favorisce il decorso di deformazioni permanenti, tra le quali le dita a martello o ad artiglio”. Ma se l’autorevole parere pone l’accento su quanto sia essenziale tener d’occhio la crescita delle estremità dei nostri pargoli, è altrettanto rilevante conoscere alcune regolette per l’acquisto delle calzature. Il sistema di misura presso i negozi specializzati si basa sulla formula WMS (ampiezza, punto medio, punto più stretto), quindi non basta conoscere la lunghezza del piede. Le dita devono avere davanti uno spazio di almeno 5-6 mm e anche se i piccoli piedi crescono rapidamente, non si devono acquistare scarpe troppo grandi, pensando che durino di più. Bensì vanno spesso sostituite, anche quando i fanciulli entrano nell’imprevedibile età dell’adolescenza. Di fatto, una buona calzatura deve essere traspirante, cioè non imbottita con materiali sintetici, avere una suola flessibile e un gambale morbido. Ma ascoltiamo ora l’ultimo consiglio elargito dal dottor Böni: “La cosa migliore per lo sviluppo dei piedini sarebbe quella di far camminare il bambino il più possibile scalzo. Tra i popoli primitivi, abituati a muoversi a piedi nudi, non sono mai stati riscontrati problemi di deformazione degli arti...”. La civiltà avrà i suoi limiti, ma le nuove, gioiose scarpette, promettono (e spesso mantengono) molto di più che una semplice protezione
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FAVOLA FLOREALE I Pinco Pallino festeggiano l’arrivo della primavera con una favola floreale. Un giardino incantato assume i contorni di un etereo acquarello di rose inglesi, dipinto su tutù vaporosi; mentre ricami sangallo disegnano corolle sulle vestine da festa. Si accompagnano a babbucce e dolly con cinturino in raso e vernice. A scortare le ragazzine nelle escursioni bucoliche ci sono dei Piccoli Lords dal bon ton un po’ malandrino di completi giacca e pantaloni in lino gessato. Ai piedi infilano morbidi mocassini in cuoio o stringate in canvas a righe. Stessi materiali e motivi replicati nelle scarpette dei bebè, le ultime nate.
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FANTASTICO ZOO Zebre, elefanti, giraffe, pellicani... la bella stagione di Lelli Kelly (2) è all’insegna di un fantastico zoo che si anima sulle tomaie in puro cotone di scarpine e sandaletti con suola in gomma naturale. Un progetto che ha inoltre un innovativo, vivacissimo packaging dal fine educativo. Ogni calzatura viene venduta separatamente: la destra in una scatola con stampata l’immagine, per esempio, dell’elefante e la sinistra in un’altra, magari con la figura della giraffa. Tutto secondo la scelta della bambina che impara così a non confondere la dritta con la manca. Un aspetto ludico-pratico ritrovato sulle sneakers con i lacci... pre-allacciati: il piedino vi si alloggia comodamente per virtù di bande elastiche laterali.
PRETTY GIRLS&GLAM-ROCKERS Per accontentare pretty girls in miniatura ci sono pure le Angels Shoes, firmate Roberto Cavalli, cioè sandaletti incrociati alla schiava e infradito in pony naturale, dall’immancabile stampa maculata sottolineata da manciate di cristalli e borchie scintillanti. Intanto gli scatenati Devils (1), cioè i maschietti dalle mille attività, scelgono coloratissime ginniche e sandali dallo sfondo carrarmato, fibbie e cinturini. Molto da glamrockers a passo... ridotto, ma non troppo.
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MOTIVI VACANZIERI I passi più importanti sono proprio i primi, lo ha ben presente la Garvalin (3), rassicurante compagna di viaggio nella magica avventura dell’infanzia. Le scarpine per un bambino curioso e sempre in movimento gli permettono di scegliere la modalità di spostamento, cioè gattonare, trascinarsi o tentare la posizione eretta, senza mai sostituire la capacità di darsi la spinta per alzarsi. Rese ancor più accattivanti da un puzzle di quadretti e piccole sfere multicolore, o dalla tela dei jeans consumata dal sole e dal salmastro. Motivi vacanzieri reiterati su sneakers e tenniste destinate ai più grandicelli. E ancora per invadere l’estate di un’atmosfera festosa, Agatha Ruiz de la Prada (5) attualizza le storiche ballerine stampigliandovi cavallucci marini, barchette di carta, farfalle e nuvolette. Dedicate a vezzose ragazzine con la testolina piena di sogni.
GLAMOUR FORMATO MIGNON È apprezzato un tocco glamour anche per i piedi piccini-picciò, non per niente la collezione Primigi (4) è un collage di stilemi, colori e motivi. Dall’azzurro-celeste, prima riservato ai maschietti, che prende il posto del rosa nel guardaroba delle bimbe, al verde fluo e il rigato rosso-bianco per marinai in erba. Novità assoluta il modello “college” in tela bianca, corredato da pennarelli atossici e stencil per personalizzarlo ad arte. Senza trascurare la nota qualità dei materiali e l’innovazione tecnologica portata all’ennesima potenza. Ogni scarpa, a cominciare dalle linee “primi passi” fino ai sandali e mocassini dei teen agers, è dotata di suola con sistema antishock per proteggere i talloni dagli urti.
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Astri toro
gemelli
cancro
Incontri e opportunità sentimentali indotte dal passaggio di Venere. Cambiamenti importanti per i nati nella prima decade. Nuove vicende professionali legate al mondo delle relazioni esterne e della cultura.
Maggio inizia bene grazie ai folgoranti transiti di Luna, Marte e Plutone. Con questi passaggi il vostro carisma salirà alle stelle e così potrete fare colpo sul prossimo. Promozioni e vittorie legali. Fertilità.
Possibile matrimonio. Situazioni inaspettate per i nati a maggio. Favoriti i progetti originali. Date spazio alla creatività e alle soluzioni geniali. Malumori tra il 1. e il 2 di maggio. Alla larga dagli invidiosi.
Periodo di grande attività stimolato dai transiti di Marte e Sole. Se riuscirete a fare i conti con Plutone e con tutto ciò che limita la vostra voglia di vivere potrete fare in questa fase dell’anno grandi cose.
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Venere è con voi. Se volete vincere non dovete perder tempo a far progetti ma dovete far ricorso al vostro genio. Se siete voi i re spetta a voi dettar le regole. Successi professionali grazie a Urano in trigono.
Attenti a non farvi ghermire troppo da un improvviso furore estatico perché con Nettuno in opposizione è facile prender abbagli. Successi e avanzamenti professionali per i nati tra la seconda e la terza decade.
Svolte professionali. Con Mercurio in opposizione la vostra proverbiale diplomazia tende ad andar sotto terra. Voglia di libertà per i nati nella prima decade in ordine ai transiti di Urano e Plutone.
Rapporti professionali attivi in ordine ai transiti di Marte, Luna e Plutone. Finalmente riuscite a realizzare un progetto a cui tenevate molto da tanto tempo. Incontri intriganti per i nati nella seconda decade.
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Con Venere in opposizione amore a gonfie vele. Il cammino professionale si avvia verso una fase attuativa. Sbalzi umorali per le prime decadi rese irascibili dalla quadratura di Marte e Luna. Permalosità in agguato.
Attenti a possibili interferenze familiari nella vostra vita professionale. Con Mercurio e Saturno in reciproca opposizione potrebbero crearsi situazioni bloccanti. Evitate sensi di colpa e scatti d’orgoglio.
È il momento buono per concludere qualcosa di importante con una realtà estera. Possibile ritorno di una vecchia fiamma. Sbalzi umorali provocati dalla quadratura con Giove. Bene per i nati nella terza decade.
Inizio segnato da momenti di furore guerriero: con Marte e Luna in opposizione non si scherza. In questi giorni è facile scontrarsi con la vostra suscettibilità. Ingerenze materne nel vostro rapporto di coppia.
» a cura di Elisabetta
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Orizzontali 1. Invasore • 9. Imbianca le vette • 10. Pubbliche Relazioni • 11. Breve esempio • 12. Lavorano nei campi • 15. Le iniziali di Pappalardo • 16. Una nota e un articolo • 17. Costoso • 18. Nascondere • 21. Thailandia e Idaho • 22. È priva di cuore • 24. I confini di Vogorno • 25. Il figlio adottivo di Cesare • 27. Pigioni • 28. Nel centro di Verona • 30. Imbarcazione da regata • 32. Tabulatore in breve • 34. Io, in altro caso • 36. Comporta cinque anni • 38. In mezzo al mare • 39. Conservate • 40. Guai, fastidi • 42. Impronte • 43. Quelli attuali... sono moderni • 45. Fiume russo • 47. Dotato di piume • 48. René, regista • 51. Zelo senza pari • 52. Mesce vino • 53. Il nome di Villaggio. Verticali 1. Noto film del 2007 di Wong KarWai • 2. Rettile • 3. Si vendemmia • 4. Protestato, recriminato • 5. Insetti laboriosi • 6. Lo teme l’oratore • 7. Antiquato, conservatore • 8. Il poeta di Ascra • 13. Le navi di Colombo • 14. Il nome di King Cole • 19. Cordogli • 20. Lo fondò E. Mattei • 23. Il fiume di Berna • 26. Dorme di giorno • 29. Strumento a fiato • 31. Circolano in Europa • 33. Maestria • 35. Paladino • 37. Solenne ubriacatura • 39. Molluschi con l’inchiostro • 41. Le iniziali di Montanelli • 44. Piero nel cuore • 46. Il dio dei venti • 49. Consonanti in Eloisa • 50. Antico Testamento.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 19
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 3 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro lunedì 30 aprile a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Soluzioni n. 15
La soluzione del Concorso apparso il 13 aprile è:
BARRIRE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Nada Villa via Cantonale 97 6818 Melano Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Questa settimana ci sono in palio 100.- franchi in contanti!
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Validità: dal 24.4 al 7.5.2012
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Jörg Abderhalden, leggenda della lotta svizzera
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