Ticino7

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con Teleradio 6–12 maggio

del 4 maggio 2012

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BILINGUISMO

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Ticinosette n° 18 del 4 maggio 2012

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Agorà Bilinguismo, quella marcia in più

di

Arti Festa danzante . Un paese in ballo

di

tiziana Conte . . . . . . . . . . . . . . . . .

Salute Ginnastica . Fai la cosa giusta

PatRizia MezzanzaniCa . . . . . . . . . . . .

di

Visioni Fratelli Taviani . L’arte come catarsi Società Da donna a donna Levante L’altro Egitto

di

di

di

eugenio KlueseR . . . . . . . . . . . .

MaRCo alloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRCo JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Milano sotto Fiaba La mela magica

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MaRiella dal FaRRa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Letture La Chiesa sotto la lente Vitae Antonio Pinto

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . .

di

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gianni biondillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRiCa iannuzzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze La magia del foulard

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MaRisa goRza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Le occasioni mancate Nonostante la maggior parte delle persone avverta in modo netto la consapevolezza di trovarsi in una fase di profondo mutamento del mondo e dei rapporti sociali, si ha d’altra parte la chiara sensazione che i grandi della Terra siano come ipnotizzati dal passato e mossi da modalità di condotta inadeguate a risolvere i problemi concreti delle collettività . La paralisi, politica, economica e sociale dell’Europa è in tal senso paradigmatica . Il progetto di unificazione anelato da Jean Monnet, Robert Schuman, Altiero Spinelli si è infatti drammaticamente arenato per l’impossibilità di giungere a una vera integrazione politica . Certo, sono state create imponenti istituzioni e una moneta unica, ma sono mancate la volontà e la determinazione di realizzare gli Stati Uniti d’Europa, di superare gli egoismi nazionali e personali in vista di una reale edificazione politica . Una scatola vuota, quindi, frutto di progressive forzature e di una sostanziale assenza di realismo, e i cui limiti la crisi economica ha oltremodo evidenziato . C’era, per esempio, veramente bisogno di aprire a paesi ancora deboli sotto il profilo della formazione democratica, come l’attuale situazione ungherese attesta? Non sarebbe stato auspicabile avviare un processo più lento e graduale ma in cui l’integrazione economica e quella politica procedessero di pari passo? Noi riteniamo di sì, e ci auguriamo che a Bruxelles qualcuno si stia rendendo conto che il mondo è cambiato e che l’Europa, da protagonista sul palcoscenico della Storia sta diventando ormai una semplice ma, ahimé, schizofrenica comparsa . Buona lettura, Fabio Martini

Impressum Chiusura redazionale 27 maggio 2012

Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Direttore editoriale Peter Keller Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir

Tiratura controllata 70’634 copie

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Bilinguismo, quella marcia in più…

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Agorà

Sono ancora in molti a credere che imparare dalla nascita due lingue richieda uno sforzo eccessivo ai bambini, con una ricaduta sul piano dello sviluppo cognitivo generale. Insomma, il bilinguismo è ancora troppo spesso circondato da pregiudizi e timori… anche nella nostra plurilingue Confederazione di Roberto Roveda

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l bilinguismo ha goduto a lungo di cattiva fama, forse alimentata dal fatto che in una Confederazione con ben quattro lingue ufficiali, siamo comunque circondati da stati nazionali che si sono formati attorno a un’unica lingua. Così, nella storia dell’Europa il monolinguismo ha sempre rappresentato la tendenza dominante e il bilinguismo l’eccezione. Un’eccezione vista con diffidenza per il sospetto che l’acquisizione di due idiomi possa favorire l’insorgere di problemi ai bambini che si trovano a vivere in ambienti familiari bilingui. Pregiudizi duri a morire tanto che può ancora capitare che alcuni genitori, pur desiderando che i loro figli parlino due lingue, accantonino la possibilità del bilinguismo ancor prima di averlo veramente sperimentato. O magari, scelgano di aspettare a parlare una delle due lingue fino a quando la prima non si è “stabilizzata”, per scoprire poi che introdurre una seconda lingua dopo qualche anno non è poi così semplice o immediato. A volte, inoltre, è la scuola a sfavorire il bilinguismo, con insegnanti che attribuiscono al fatto di parlare due lingue fin dall’infanzia la responsabilità di eventuali problemi scolastici. Di fronte a queste prese di posizione dei docenti non poche famiglie sono tentate di abbandonare l’educazione bilingue – che in realtà, come vedremo, nulla ha a che fare con i problemi scolastici dei bambini – per cercare di ristabilire un ambiente monolingue pensando così di risolvere il problema. Diventa quindi importante disporre di una corretta informazione sul bilinguismo e sapere quali vantaggi, ed eventuali svantaggi, comporta per lo sviluppo cognitivo del bambino bilingue. Ne abbiamo parlato con un’esperta di acquisizione in contesto multilingue, la professoressa Maria Teresa Guasti che si occupa di Linguistica e in particolare di “Linguaggio in circostanze atipiche” presso l’Università di Milano - Bicocca.


Professoressa Guasti, può magari sembrarle banale, ma cosa si intende esattamente per bilinguismo? “In un’accezione ampia, bilingue è colui o colei che usa correntemente e fluentemente due lingue. In ambito scientifico, il termine tende a essere usato per chi non solo usa due lingue fluentemente, ma è stato esposto alle stesse fin dalla nascita o molto presto”. È vero che non basta avere due genitori che parlino due lingue diverse per essere bilingue? “Sì è vero. È necessario che il bambino sia anche motivato a imparare le due lingue e si trovi in un ambiente dove l’atteggiamento verso le due lingue appare ugualmente positivo. Per esempio, se la comunità in cui il bambino è inserito parla la lingua A e un genitore parla la lingua B, ma malvolentieri e spesso la evita, il bambino potrebbe non apprendere la lingua B. Se la comunità ha un atteggiamento non positivo verso la lingua B, il bambino non sarà a suo agio a impararla. Se invece, non solo il genitore, ma altri membri della comunità parlano la lingua B o se il bambino frequenta regolarmente persone e altri bambini che la parlano, allora il bambino sarà più motivato”. È sostenibile l’idea secondo cui la crescita in un ambiente bilingue costringerebbe il cervello del bambino a un maggiore sforzo cognitivo e che ciò inciderebbe negativamente sullo sviluppo generale? “Per nulla. Il bambino acquisisce in modo naturale e senza sforzo le lingue a cui è esposto e che si parlano nella sua comunità. Quando è piccolo il bambino è una spugna. Può succedere che i bambini bilingui siano un po’ in ritardo rispetto ai monolingui, ma questo ritardo è temporaneo. Per esempio, i bambini bilingui dispongono di un vocabolario meno ampio rispetto ai monolingue. Ma con l’età, e se le due lingue sono entrambe usate, questo ritardo scompare. I due sistemi linguistici possono influenzarsi. Alcune proprietà della lingua A possono accelerare l’acquisizione di proprietà simili nella lingua B. Può anche succedere che si assista a un temporaneo ritardo. Per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, non si può parlare di influenza negativa, anzi è il contrario. La stimolazione linguistica ha effetti positivi anche su aspetti generali dello sviluppo cognitivo”. Quali sono appunto i benefici a crescere in un ambiente bilingue? “Oltre ai benefici evidenti del parlare due lingue e dell’aver accesso a due culture, in letteratura scientifica sono riportate vari altri aspetti positivi. Un beneficio specifico riguarda le funzioni esecutive, cioè dei sistemi cognitivi che stanno alla base della pianificazione, dell’abilità nello spostare l’attenzione in modo flessibile e in funzione dello scopo, della capacità a scegliere strategie adeguate e a inibire informazioni irrilevanti. Per fare un esempio, prendiamo due trenini. A è più corto di B, ma le carrozze di A sono più piccole di quelle di B. Perciò A ha più carrozze di B. Se chiediamo a bambini bilingui e monolingue della stessa età quale trenino ha più carrozze, i bambini bilingui tenderanno a rispondere in modo giusto più frequentemente dei monolingue. Perché? Per rispondere correttamente bisogna inibire l’informazione irrilevante “lunghezza del trenino” e contare le carrozze. Attorno ai cinque anni, la capacità di inibizione di un’informazione percettivamente irrilevante è migliore in un bilingue che in un monolingue. Si suppone che ciò sia dovuto al fatto che un bilingue deve continuamente monitorare le sue due lingue e inibire l’una per usare l’altra. Inoltre un bilingue, proprio perché ha accesso a due sistemi, sembra più disposto a spostare l’attenzione dai suoi stati mentali a quelli altrui e quindi a essere più tollerante”.

E quali svantaggi, se ci sono? “Non ne conosco, se non un eventuale temporaneo ritardo. Nel caso di bilinguismo successivo, cioè nel caso in cui la seconda lingua venga appresa diciamo dall’età di tre anni, ovviamente ci sono ritardi in vari ambiti, lessicale, nella formazione delle frasi. Nel caso di bilinguismo simultaneo, come le ho detto prima, il lessico di ciascuna delle due lingue sarà più ristretto rispetto al lessico delle stesse lingue in un monolingue. Se sommiamo i due lessici del bilingue, però, il numero di parole totali è pari a quello di un monolingue”. In Svizzera, in alcuni cantoni stanno eliminando l’insegnamento della lingua italiana perché minoritaria in quelle zone per dare spazio all’inglese. Cosa pensa di questa scelta dei governi cantonali? “Durante la storia dell’umanità si è assistito alla messa al bando, sotto varie forme, di lingue minoritarie a favore di lingue maggioritarie. In questo modo, alcune lingue scompaiono. È un processo simile alla scomparsa di specie animali o vegetali. Se alla fine restassero sulla Terra solo dieci specie animali, non si potrebbe negare che c’è stato un impoverimento e sicuramente si verificherebbero conseguenze disastrose per gli ecosistemi. Perdere una lingua rappresenta senza dubbio un impoverimento e un appiattimento. In un recente libro di psicolinguistica di un autore americano, si chiedeva come si definisce una persona che parla molte lingue. La risposta è stata «multilingue». Ma la risposta alla domanda «come si definisce una persona che parla una sola lingua?» è stata: «Americano»! Certamente parlare inglese è importante e introdurlo nelle scuole presto è fondamentale. Ma se c’è l’opportunità di parlare altre lingue, perché non farlo?

Bilinguismo e minoranze Rimane viceversa diffusa l’idea che il bilinguismo infantile sia sì utile, ma soltanto se entrambe le lingue sono a larga diffusione, e che quindi non valga la pena che il bambino impari una lingua minoritaria usata da un gruppo relativamente ristretto di parlanti. In molti casi, questo è uno di motivi del declino delle lingue di minoranza negli ultimi decenni. Proprio in virtù di quest’ultima considerazione il tema del bilinguismo dovrebbe essere molto sentito da chi parla italiano nella Confederazione, lingua minoritaria e messa sempre più al bando al di fuori del canton Ticino e dei Grigioni. Proprio il bilinguismo è, infatti, una grande risorsa per mantenere vive le lingue minoritarie e, di conseguenza la cultura di chi le parla come ben scrive la dottoressa Antonella Sorace che insegna Sviluppo del linguaggio all’Università di Edinburgo1: “Il mantenimento della diversità linguistica dipende dalla trasmissione delle lingue da una generazione alla successiva. Capire e incoraggiare il bilinguismo nei bambini è una componente essenziale di questo processo. Gli interventi legislativi a favore delle lingue minoritarie, per quanto tempestivi ed efficaci, non possono compensare il fatto che queste lingue vengono parlate da un numero decrescente di famiglie.”2

Per saperne di più: Maria Teresa Guasti, L’acquisizione del linguaggio. Un’introduzione, Raffaello Cortina editore, 2007. note 1 Antonella Sorace ha creato un servizio europeo di informazione sul bilinguismo: www.bilingualism-matters.org.uk. 2 Tratto da Antonella Sorace, Un cervello, due lingue: vantaggi linguistici e cognitivi del bilinguismo infantile (www.minoranze-linguistiche-scuola.it/wpcontent/uploads/2010/03/Sorace.pdf)

Agorà

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Danza. Un paese in ballo I prossimi 12 e 13 maggio il nostro paese si trasforma in un grande palcoscenico dedicato alla danza e a tutti coloro, professionisti e non, che amano il balletto nelle sue forme più diverse. Si tratta della Festa danzante, un evento nazionale che nell’arco di pochi anni ha ottenuto un grandissimo successo

di Tiziana Conte

Arti

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La danza, considerata a lungo una sorta di Cenerentola delle nostro paese. Lo scopo del progetto, lanciato da Pro Helvetia arti sceniche, pare vivere un momento di grande salute. In e dall’Ufficio federale della cultura, era infatti quello di sviprimis la danza elvetica, come attesta sia la presenza di molte luppare – d’intesa con città, cantoni, associazioni e operatori compagnie svizzere nei cartelloni dei maggiori festival inter- del ramo coreico – un vasto piano generale per promuovere nazionali sia l’organizzazione di alcune importanti iniziative la danza in Svizzera. Un piano che tenesse conto di tutti gli a livello nazionale e internazionale. Si pensi, per esempio, aspetti della danza professionale, in modo da sviluppare e intervenire su quelle misure alla grande manifestazione atte a migliorare le condizioin corso a Losanna organizni quadro del ramo: dalla zata dalla città: “Lausanne: formazione alla salvaguardia une capitale pour la danse delle opere, dalla media2011-2012” che in occasione zione in campo coreico al dei diversi anniversari che riconoscimento sociale degli coinvolgono otto importanti artisti. istituzioni losannesi attive Tra i diversi risultati del nell’ambito coreografico, ha “Progetto Danza” vogliamo promosso moltissime iniziasegnalare la nascita dell’astive tra cui la mostra “En sociazione Reso-Rete Dancorps”, un’interessante e za, un’istituzione che, sul originale esposizione ospite modello di organizzazioni del Musée historique, che simili esistenti in altri parimarrà aperta fino a fine otesi e basandosi anche su tobre. Ma uscendo dai terriquanto era stato già fatto tori nazionali, occorre citare per il cinema svizzero, si un’altra importante manifepropone come un centro di stazione conclusasi lo scorso competenza nazionale. Reso aprile al Centre Pompidou oggi ha sede a Zurigo, ed è di Parigi, intitolata “Danser in questo luogo che abbiamo sa vie”. Migliaia di visitatori incontrato la sua direttrice hanno avuto così modo di Murielle Perritaz. scoprire la storia della danza attraverso un allestimento Qual’è lo scopo principale che indagava il dialogo e le della vostra associazione? Fotografia tratta da www.flickr.com reciproche influenze tra la “Lo scopo di Reso è soprattutto danza moderna e contemporanea e le arti visive. Non era del resto mai accaduto che quello di coordinare tutte le azioni, nazionali e locali, che proun museo nazionale d’arte dedicasse un’intera esposizione muovono e incoraggiano la danza, di mettere in rete appunto, le alla danza. Ma per tornare alla Svizzera, vogliamo ricordare iniziative che già esistono e quegli operatori già attivi a livello come la danza sia stata oggetto di un progetto di politica locale” culturale di portata nazionale già a partire dal 2002. Infatti in quell’anno le nostre istituzioni federali hanno dedicato I campi e le azioni con cui intervenite sono molteplici e una particolare attenzione a questa disciplina sostenendo il difficili da riassumere, infatti nel ventaglio delle vostre “Progetto Danza”, una ricerca che aveva per fine l’elabora- iniziative vi sono quelle indirizzate alla mediazione culzione di un nuovo concetto di promozione della danza nel turale, altre a sostegno della creazione, della diffusione,


della documentazione e dell’archiviazione della danza. Tra i vostri diversi progetti però, emerge per l’ampiezza della sua ricaduta anche sui i non addetti a lavori, la “Festa danzante” (il programma è consultabile sul sito www.fetedeladanse.ch.), un evento nazionale aperto a tutto il pubblico che nel giro di pochi anni ha ottenuto un successo straordinario. Quasi dai suoi esordi questa felice iniziativa fa tappa anche in Ticino, mietendo anche nella nostra regione grande successo di pubblico. Ci può dire in breve cos’è la “Festa danzante”? “Si tratta di un progetto di sensibilizzazione alla danza professionale e alle diverse forme di danza. Ogni anno in primavera, (quest’anno si svolgerà fra pochi giorni, il 12 e il 13 maggio), vengono offerti a tutti, dai bambini agli adulti, dagli anziani ai giovani, corsi gratuiti d’ogni genere, dal balletto alla breakdance, dal tango al Bollywood. In ogni regione della Svizzera la festa culmina, a fine giornata, con un ballo in comune fra operatori coreici e pubblico. Con questo progetto noi raggruppiamo molti e diversi professionisti della danza. Infatti, se è vero che Reso si occupa della coordinazione nazionale, sono gli organizzatori locali a costruire e a gestire l’evento: sono i teatri cittadini, le scuole e le compagnie di danza, le associazioni locali, che lavorano in sinergia per regalare un fine settimana davvero unico, insolito e speciale all’insegna del piacere del movimento”. Qual’è il fine che sostiene questo evento? “Innanzi tutto mettere in rete forze e istituzioni diverse che hanno però obiettivi e interessi comuni. Solo per dare alcune cifre: sono oltre 25 le località coinvolte e più di 60 le organizzazioni locali partner di progetto. Lo scorso anno, per esempio, sono sta-

ti circa 48.000 i partecipanti alla “Festa danzante”. Con questo evento vogliamo anche migliorare le condizioni e di conseguenza la qualità della danza in Svizzera. La Festa inoltre permette di coinvolgere un pubblico davvero vasto ed eterogeneo, oltre a suscitare attenzione da parte dei media. Ci interessa riportare la discussione sulla danza, che a nostro avviso è una disciplina che ha ancora molto bisogno di sostegno e riconoscimento”. Questa vostra iniziativa sembra essere strettamente connessa alla Giornata Internazionale della Danza promossa da Cid (International Dance Council) e dal Iti Unesco (Istituto Internazionale del Teatro) che la istituirono nel 1982 e che scelsero il 29 aprile quale data per questa commemorazione, (ndr. data di nascita di Jean-Georges Noverre, il creatore del balletto moderno). Ci può dire come si è sviluppata questa formula nel nostro paese? “Proprio grazie a questa ricorrenza, ad alcuni organizzazioni zurighesi è venuta l’idea, ben sette anni fa, di coinvolgere teatri e scuole di danza in modo da invitare la gente a ballare. Hanno così deciso di aprire le loro porte e offrire dei corsi di danza per principianti. L’entusiasmo del pubblico è stato tale che già l’anno successivo si sono aggiunte altre cinque città, da allora la crescita è stata esponenziale... Questo dimostra che gli svizzeri amano danzare e amano questa disciplina. Allo stesso tempo però, il rapido sviluppo della manifestazione non è stato accompagnato da altrettanti contributi finanziari a sostegno dell’evento. Se questa iniziativa continua a esistere e a espandersi è merito soprattutto dell’impegno volontario di molti professionisti della danza, che spesso invece vivono una situazione lavorativa difficile e precaria”.

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Fai la cosa giusta Le palestre offrono di tutto e di più e i programmi di fitness si sprecano. Ma in questa baraonda di possibilità, spesso, si perde di vista ciò che è veramente importante di Patrizia Mezzanzanica

Salute

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Nell’epoca del nuovo fitness che vede decisamente il primato del crossfit – disciplina ideata negli anni Settanta da un ex militare americano e basata su movimenti funzionali, ad alta intensità come la corsa, il salto con la corda, il sollevamento pesi, l’arrampicata con le funi, esercizi vari con sacchi pieni di sassi, tubi colmi d’acqua, sbarre, pneumatici, anelli, elastici e bilancieri –, ci si dimentica spesso della ginnastica posturale. Un vero guaio, perché la palestra serve sì a migliorare lo stato fisico e mentale ma ci riesce solo se la postura è corretta. “Alla base di ogni esercizio ci deve essere il ri-allineamento strutturale”, spiega Marcello Venturini, preparatore atletico, che nella sua palestra in provincia di Milano dedica molto tempo a osservare la postura dei suoi iscritti. “Stare dritti è fondamentale per il corretto sviluppo del proprio fisico e si riesce a farlo solo nella misura in cui si è in grado di gestire le proprie catene muscolari”.

come mai il tricipite femminile, uno dei muscoli delle braccia, sia decisamente meno tonico di quello maschile”. In quest’ottica, lavorare in palestra vuol dire quindi riappropriarsi della giusta postura perché è proprio da qui che parte la tanto agognata tonificazione. E per farlo è necessario, prima di tutto, mantenere le “curve in fisiologica”.

Perdita di simmetria La nostra colonna vertebrale, infatti, è formata da angoli di carico che, se alterati, possono dare problemi. Forse non a vent’anni, quando il fisico è in grado di gestire i sovraccarichi, e neanche a venticinque ma già a trenta, trentacinque, rimediare alle compensazioni del nostro corpo diventa difficile. I gruppi muscolari si sfasano e si creano modificazione, che possono diventare, col passare degli anni, devastanti. Iperlordosi, ipercifosi dorsale (gobba), rettilineizzazione del collo con Stli di vita conseguente doppiomento, accorSembra facile a dirsi. Cosa ci vorrà ciamento di una catena muscolare mai a stare dritti? Invece è uno che porta a una differenza dei due degli esercizi più difficili e, almeemisferi: la struttura perde simmeno all’inizio, presuppone fatica e tria e i dolori sporadici diventano concentrazione. La struttura ossea, latenti e poi cronici. infatti, è passiva e si adegua facil“Per migliorare la nostra postura e di mente alle indicazioni dei muscoli, conseguenza la nostra forma fisica anche quando queste sono sbagliaci sono esercizi che si possono fare te: più stiamo storti, più il nostro ovunque, senza stremarsi in palestra”, corpo si organizza per mantenersi conclude Venturini. “Attenzioni storto. quotidiane come quella di mettersi “L’85% delle problematiche e dei davanti allo specchio, piedi dritti Immagine tratta da www.asiamodena.it dolori dipendono dalle compensazioa circa 15 cm, ginocchia morbide, ni che l’organismo mette in alto per controllo degli addominali e della coristabilire un non ordine posturale”, continua Venturini. “Al- lonna che devono contenere le viscere, scapole “in tasca” e sguardo terazioni della posizione che spesso sono legate allo stile di vita. Il all’orizzonte. Stare così per qualche minuto è già lavorare sul tono e ragazzino costretto a camminare a gambe divaricate per non perdere volendo ci si può divertire a contrarre vari gruppi di muscoli: prima i pantaloni a vita bassa rappresenta un ottimo esempio ma anche i glutei, poi le cosce, poi gli addominali, stando bene attenti a non i fattori ambientali possono incidere e chi lavora, per esempio, alla scomporre mai la postura. Un’ultima cosa, sempre a proposito di catena di montaggio ripetendo all’infinito lo stesso gesto con la corretto allenamento. È indispensabile ricordare che le fasi più imstessa parte del corpo, quasi sicuramente avrà delle ripercussioni portanti del movimento sono le eccentriche cioè quando il muscolo sulla postura. Così come hanno problemi le donne prosperose e le si allunga. In allungamento si produce il 20% in più di tensione donne in genere che tendono a nascondere il seno curvando le spal- rispetto alla fase concentrica, cioè quando il muscolo si accorcia. le. È un atteggiamento atavico, legato a ragioni psicologiche, che L’errore di molti atleti è quello di pensare di tonificare sollevando il non è cambiato neppure con il trend delle maggiorate e che spiega peso, invece è lo stiramento dei capi ossei a fare la differenza”.


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L’arte come catarsi

» di Eugenio Klueser

La pellicola dei Taviani, recentemente premiata con l’Orso con il testo di Shakespeare li costringe a fare i conti con un d’Oro al festival di Berlino, è prima di tutto un film sui con- passato che li inchioda per sempre dietro le sbarre. Teatro e cifini che circoscrivono ogni essere umano: confini imposti nema portano quindi alla catarsi finale, a una consapevolezza e insuperabili rappresentati dalle sbarre e nuova capace di toccare questi uomini nel dai muri inviolabili di una prigione – in profondo del loro io, una consapevolezza questo caso, il braccio di massima sicurezza riassunta nella considerazione di uno degli del carcere romano di Rebibbia. Allo stesso attori-carcerati: “da quando ho conosciuto tempo, confini che non sono altro che una l’arte questa cella è diventata una prigione”. linea di contatto tra realtà diverse, e che E quello che più colpisce nella pellicola, invece di separare annullano le distanze, non a caso, è proprio quanto, prova dopo lasciando tracimare l’arte nella vita, la prova, il palcoscenico e il testo trasformino tragedia universale nei drammi personali dei volenterosi dilettanti in attori capaci di ciascuno. di restituirci uno Shakespeare credibile e In questa duplice esperienza di separazione coinvolgente, mai banale, né dilettantesco. e di mescolamento incappano i protagonisti Tanto che la verità più intima di questi uodell’ultimo lavoro dei fratelli Taviani, quasi mini finisce per rivelarsi nei momenti in cui tutti detenuti condannati al carcere a vita indossano una maschera piuttosto che nelle che sono chiamati a mettere in scena il Giupoche scene in cui sono chiamati a parlare lio Cesare di Shakespeare, l’opera del genio di sé in prima persona. Nei passaggi più doCesare deve morire inglese in cui più forte è la critica alla sete di cumentaristici, infatti, la magia si spezza e il di Paolo e Vittorio Taviani potere e all’ambizione umana. E nella mesfilm diventa artificioso, quasi sterile, i proItalia, 2012 sa in scena della tragedia shakespeariana, tagonisti impacciati e fuori luogo di fronte questi attori “improvvisati” trovano in nuce le loro stesse vite alla macchina da presa, nonostante lo stile asciutto, diretto ed di “uomini d’onore”, percorse da momenti di violenza, ambi- essenziale dei due registi. La messa in scena ha ormai messo zione e tradimento. Molti di loro sono stati affiliati alla mafia nell’angolo la vita e tutti, spettatori e protagonisti, aspettiamo e si sono macchiati di reati e delitti gravissimi: il confronto che il sipario si alzi e che il Giulio Cesare abbia inizio.

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Da donna a donna L’esigenza di stabilire una genealogia femminile di natura positiva, ovvero un senso di continuità fra donne appartenenti a una stessa famiglia, costituisce un argomento ricorrente all’interno del setting psicoterapeutico, anche se generalmente connotato in senso negativo di Mariella Dal Farra

Il conto alla rovescia è iniziato.

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Da circa duemila anni a questa parte, la maternità è iconograficamente rappresentata, nella nostra cultura, dall’immagine della Madonna con il Bambino: infinite varianti, dalle più note alle più oscure, sono state prodotte nel corso dei secoli su questo tema, che potremmo a ragione definire emblematico. Dalla Madonna dei Pellegrini del Caravaggio a quella del Granduca di Raffaello Sanzio, dalle icone russe alle moderne rivisitazioni di David Lachapelle1, la maternità si identifica, in termini visivi, con l’essere madre – in primo luogo – di un figlio maschio. E anche se, sempre nell’iconografia cristiana, l’opzione alternativa esiste, ed è data dalla raffigurazione di Anna, madre di Maria2, essa risulta assolutamente marginale rispetto alla “coppia primigenia”. Ora, se prestiamo attenzione alle moderne icone pop, l’impressione è che qualcosa stia cambiando e, di nuovo, a partire da una “Madonna”, anzi due: Louise Ciccone e la figlia Lourdes Maria. Osservando le foto che le ritraggono insieme, ciò che colpisce a prima vista è la straordinaria somiglianza dei tratti somatici ma, sottesa a questa, e forse ancora più pregnante, risulta essere la similarità dell’espressione: lo stesso sguardo consapevole e determinato; la stessa sicurezza un po’ spavalda. E subito si intuisce come, al di là dei geni, sia l’attitudine verso il mondo a essere trasmessa. L’immagine mediatica del sodalizio materno-filiale che sembra caratterizzare il rapporto

Madonna-Lourdes risalta in maniera particolare perché afferisce a un’area sensibile nel processo d’individuazione femminile. A questo proposito, la letteratura clinica evidenzia spesso particolari criticità nel rapporto madre-figlia che, nell’ambito patologico, possono oscillare fra situazioni di disinvestimento, talvolta a carattere avversativo (“Si sa che mia figlia dà fastidio”3), e una sorta di super investimento narcisistico in cui la bambina “disincarnata” diviene proiezione del sé ideale della madre (una condizione spesso presente nell’eziologia dei disturbi alimentari, anoressia in primis). Per contro, la condizione di svantaggio psicosociale che per secoli ha condizionato, e tuttora condiziona, il genere femminile si rispecchia in maniera puntuale nel passaggio generazionale, complicando il processo d’identificazione della figlia nella madre, che può essere vissuta come un modello inadeguato o “perdente”.

Sconto online del 20%. Identificazione costruttiva Di conseguenza, l’esigenza di stabilire una “genealogia femminile” di natura positiva, ovvero un senso di continuità fra donne appartenenti a una stessa famiglia che non sia né confusivo né penalizzante, ma che anzi possa fornire alle nuove arrivate elementi di identificazione costruttivi rispetto ai quali individuare poi le propria specificità personali, costituisce un argomento ricorrente nei discorsi delle donne all’in-


Il mito di Demetra Sul piano “reale”, spicca invece la particolare sintonia che sembra legare una delle due matrigne cinematografiche – l’attrice Charlize Theron, vincitrice del premio Oscar nel 2004 5 – alla propria madre, la signora Gerda Maritz, che uccise il coniuge alcolista per legittima difesa (sua e della figlia), e fu per questo prosciolta. Nell’ambito della mitologia greca, la figura che più efficacemente rappresenta la madre disposta a lottare per la propria figlia è quella di Demetra, madre di Persefone, dea del grano e dell’agricoltura, che non esita a gettare il mondo nella carestia per riavere indietro la figlia, rapita da Ade, dio degli inferi. Il dolore per la perdita di Persefone e la determinazione nell’esigere che le venga restituita, sebbene con risultati parziali (Ade, che prima di lasciarla andare le ha fatto mangiare un seme di melograno, ottiene così di riaverla all’inferno per sei mesi all’anno – durante l’autunno e l’inverno), risuonano ancora oggi nella sensibilità femminile, risvegliando un desiderio di appartenenza e di rispecchiamento che non sempre trova piena realizzazione.

Giovanni Bellini, Madonna con il bambino in piedi su un parapetto, 1475 ca., Museo di Castelvecchio, Verona

terno del setting psicoterapeutico, anche se generalmente connotato in senso negativo (“Mia madre: il mio buco più grande”4). Si tratta infatti di un processo

Cogliete questa opportunità. lento e tuttora in corso che, al di là della dimensione individuale, coinvolge la società umana nel suo complesso; una società dove, in maniera significativa, è quasi sempre il cognome del padre a essere tramandato, eventualmente corredato di patronimico. Coerentemente, sempre facendo riferimento all’ambito della letteratura e della pratica clinica, le donne che riescono a stabilire con la propria discendenza femminile un rapporto equilibrato sembrano essere quelle maggiormente individuate, capaci cioè di comunicare un sentimento di affinità che non diventa sovrapposizione, e un riconoscimento delle differenze che non degenera in competizione. Attingendo nuovamente

al serbatoio dell’iconografia contemporanea (cinema e media), appare in questo senso significativa la prossima uscita di ben due film che hanno per oggetto la favola di Biancaneve. Il primo in ordine di distribuzione – Mirror Mirror (2012), regia di Tarsem Singh; in italiano soltanto Biancaneve – ha come protagonisti Lily Collins (figlia di Phil) e Julia Roberts nei panni della matrigna; il secondo, Biancaneve e il Cacciatore – Snow White & the Huntsman (2012), regia di Rupert Sanders – è invece interpretato da Kristen Stewart e Charlize Theron. Entrambi frutto di mega produzioni americane, i due film ripropongono, con piccole variazioni sul tema, una delle proiezioni fantasmatiche più terrifiche del rapporto madre-figlia (il fatto che formalmente si tratti di una matrigna è un camuffamento piuttosto manifesto). Ed è degno di nota che tale archetipo – quello della genitrice antagonista che cerca di eliminare fisicamente la figlia-competitor, peraltro ricorrendo all’avvelenamento: una modalità tipica del comportamento omicida femminile, forse anche a causa delle dense componenti simboliche orali che lo caratterizzano – trovi tuttora uno spazio così ampio nel contesto del nostro immaginario.

Per saperne di più Il tema delle genealogie femminili è stato spesso oggetto di riflessione da parte di Luce Irigaray, filosofa, psicoanalista e linguista belga, nonché figura di spicco del movimento femminista. Fra i suoi libri, segnaliamo proprio Sessi e Genealogie, Dalai (2007), che raccoglie undici conferenze tenute dall’autrice fra 1980 e il 1986. Per un approccio più “leggero”, si rimanda a uno dei film più belli dello scomparso Mario Monicelli: Speriamo che sia femmina (1986), con il suggerimento di vederlo e magari rivederlo, di tanto in tanto. note 1 The House at the End of the Word, 2005 2 Particolarmente toccanti quelle di Giotto (1305) nella Cappella degli Scrovegni a Padova. 3 Verbalizzazione di una paziente adulta, madre di una figlia a sua volta madre di una bambina. 4 Verbalizzazione di una paziente adulta, orfana della madre dall’età di diciassette anni. 5 Monster, U.S.A. 2003, regia di Patty Jenkins

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Società

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L’altro Egitto Per non essere sempre seriosi... dove si racconta dell’Egitto islamista che sfugge alle cronache e non rientra nei notiziari, scivolando oltre le analisi di giornalisti e politologi di Marco Alloni

Levante

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Proviamo a partire da ciò che scorgo dal mio ufficio, in un quartiere residenziale alla periferia del Cairo. Affacciandomi alla finestra, vedo un uomo sui sessant’anni, con una folta barba grigia, seduto su una seggiola sul suo balcone dissestato. Lo circondano vecchi arnesi, qualche panno appeso e una moglie velata che guarda nel vuoto. Cosa fa? Legge. Un librone enorme, sempre lo stesso. Un Corano rilegato in cartonato verde, molto bello (ne distinguo le lettere dal mio davanzale a cinque metri da lui). Sempre, tutti i giorni, a orari diversi. Sempre chino su quel “Libro Chiaro” dolcemente appoggiato sulle ginocchia. Vedo le sue labbra muoversi, gli occhi seguire le righe con lentezza. Lo memorizza? Non lo so. Ma so che questo è un caso come molti: uomini di un solo libro, lettori di un solo testo, adepti di una sola Verità. Me lo sono chiesto spesso: come possono considerare superiore una religione alle altre – perché così vuole il principio che Maometto sia il Khatim el-anbià, il Suggello dei profeti – se non hanno letto nulla che non sia il Corano? A meno che dentro casa si dedichino agli Zend-Avesta, ai Baghva-Gita e al Tao… ma sinceramente ne dubito. Una questione di naso Una foto di giornale. Sulle prime non si riesce a capire: sembra un uomo con tanto di barba lunga nera e baffi tagliati, un salafita. Invece è un manichino. Il manichino di un salafita. Irresistibile la tentazione: dopo aver letto la didascalia passo all’articolo. Siamo ad Assuan. Un intraprendente negoziante ha deciso di esporre in vetrina – invece dei manichini abituali, glabri e muscolosi nelle loro pose irrigidite – la perfetta controfigura di un islamista rigoroso. Dice che lo faceva già prima dell’avvento dei salafiti al potere, prima della loro ascesa politica in parlamento. È una deliziosa bugia: sotto Mubarak gli avrebbero sequestrato il negozio. Lui invece è un salafita un po’ originale e (detto fra noi) anche un po’ fesso. Si chiama El-Balakmi, i giornali hanno riportato per giorni la sua foto in prima pagina con tanto di bendaggi e un’enorme fasciatura intorno al viso. Aveva dichiarato di

essere stato aggredito sulla tratta Alessandria-Cairo di notte: un gruppo di teppisti che gli aveva rotto la faccia e rubato 100.000 lire egiziane (l’equivalente di 20.000 franchi: un bel gruzzolo). Poi si scoprì che era tutta una bufala: era entrato in ospedale per fare un’operazione di chirurgia estetica al naso (a quanto pare fino a quel momento elefantiaco). Lo stesso chirurgo che aveva fatto l’impiantologia ad Ayman Nour – un altro deputato, liberale questa volta – non aveva resistito alla tentazione di smascherarlo. Radiato dal partito, privato dell’immunità parlamentare! E il tutto perché aveva cominciato a comparire in TV e si vergognava della sua proboscide. Propaganda elettorale Campagna per le elezioni presidenziali. I candidati si riversano a depositare i loro nomi. In pochi giorni vengono superati – tra eleggibili e ineleggibili (la maggioranza) – i 700 nominativi. Ma uno fra tutti spicca per onnipresenza. È ancora una volta un salafita: tale Abu Ismail. Barba folta – va da sé – occhi dolci, fare compiacente, baffi tagliati. In poche settimane i suoi poster e volantini invadono la capitale e le campagne. La stampa satirica non perde tempo. Nel giro di qualche giorno fioccano le caricature. Abu Ismail viene ritratto in tutte le pose possibili: la sua faccia bonaria compare su un manifesto appoggiato sul suolo lunare allo sbarco degli americani; nello studio ovale della Casa Bianca Abu Ismail fa da sfondo a un Barack Obama chino sul telefono. Una barzelletta comincia a circolare tra la gente: “Non sai come arrivare a casa mia? Prendi il ponte e dopo il quarto poster di Abu Ismail giri a sinistra. Lì segui i poster di Abu Ismail sul muro fino al tredicesimo e prendi la traversa a destra. Quando arrivi all’incrocio dove svetta il cartellone pubblicitario di Abu Ismail passi oltre e prendi la via prospiciente. Dopo il settimo poster di Abu Ismail sulla cancellata c’è una casa gialla con una foto di Abu Ismail sulla porta d’ingresso. Abito lì”. Ma la fantasia l’ha anche raffigurato nelle vesti di Padre Eterno tra la Madonna e Gesù. Con grande costernazione dei cristiani. Perché anche questo è l’Egitto islamista. Vivono nell’ombra per decenni e adesso sono diventati la luce del mondo.


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La Chiesa sotto la lente

Nonostante si sia scritto e polemizzato molto sulle prese di

» di Roberto Roveda

In queste pagine, storia e giornalismo si intersecano a viposizione della Chiesa cattolica in materia di divorzio, aborto, cenda per delineare in una sintesi compatta e completa la omosessualità ed eutanasia, La Chiesa contro, saggio scritto a “linea politica” della Chiesa sulle questioni più spinose della quattro mani da Sergio Romano, oggi uno contemporaneità, ricercandone nel passato dei più autorevoli commentatori italiani, e origini e ragioni. Certo, la posizione di Serdal figlio Beda, giornalista del “Sole 24 Ore”, gio e Beda Romano è chiara: per gli autori riesce comunque a proporsi come lettura ini diritti degli omosessuali, la ricerca sulle teressante e originale. Vi riesce proponendo cellule staminali e la fecondazione in vitro un inquadramento accattivante all’argosono solo alcune delle istanze che in questi mento, un approccio storico, attento alle più ultimi anni hanno creato nuove domande recenti vicende della cronaca e concentrato ed esigenze che la Chiesa di Roma attualsulla situazione italiana ma che, con respiro mente non è in grado di cogliere appieno. internazionale, mette a confronto anche le Ma la complessità dell’analisi, gli episodi di differenti esperienze e culture dei paesi del cronaca e i casi riportati – come quello del Vecchio continente. Da un lato, quindi, si successo dell’associazione zurighese Dignitas guarda alla storia contemporanea per ricoche da quattordici anni si occupa di suicidio struire i rapporti tra stati europei e Vaticano, assistito –, possono essere molla per una passando dalla nascita del moderno condiscussione in grado per una volta di evitare cetto di stato alle recenti tensioni scaturite gli estremismi. Partendo da un punto di vista La Chiesa contro all’indomani degli scandali sui preti pedofili. liberale e moderato, i due giornalisti portano di Sergio e Beda Romano Dall’altro viene presentata una panoramica a sostegno della propria tesi argomentazioni Longanesi, 2012 delle realtà mediche, giuridiche, accademiche mai banali, come quella che sottolinea come e associative europee che sono salite agli onori della cronaca per tra i paesi che accettano il matrimonio tra omosessuali e quelli aver abbracciato le istanze più progressiste scaturite da quelle che lo vietano non sia possibile individuare né criteri geograche vengono definite le due grandi rivoluzioni del nostro tempo: fici né fattori religiosi come dimostrano le leggi sui temi etici sessuale e biologica. approvate nelle “cattolicissime” Spagna e Irlanda.

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La ŠKODA Superb Combi: prospettive fantastiche per tutti coloro che desiderano far convergere nella guida al più alto livello un eccellente comfort, una grande prestazione e un’elevata qualità di finiture. Da brava compagna di viaggio sa portare ovunque l’entusiasmo alle stelle, emergendo dalla massa non appena fa la sua entrata in scena. Ad esempio grazie al suo motore dinamico TSI benzina o TDI diesel, alla sua trazione 4x4 oppure alle versioni ecologiche GreenTec e GreenLine. L’abitacolo estremamente spazioso è inoltre semplicemente impressionante. Il tutto con un interessantissimo rapporto qualità-prezzo. La ŠKODA Superb Combi è disponibile già a partire da CHF 36’040.–* oppure a partire da CHF 319.– per mese**. Lasciatevi convincere in occasione di un giro di prova presso il vostro partner ŠKODA. www.skoda.ch * Prezzo netto di vendita raccomandato IVA dell’8% inclusa. ŠKODA Superb Combi Active, 1.4 l TSI, 92 kW/125 CV, 5 porte. Consumo di carburante totale: 6.9 l/100 km, emissioni di CO 2: 159 g/km, categoria di efficienza energetica: D. Immagine: ŠKODA Superb Combi Elegance, 1.8 l TSI, 118 kW/160 CV, 5 porte. Prezzo di vendita netto raccomandato: CHF 45’280.– IVA dell’8% inclusa. Consumo di carburante totale: 7.3 l/100 km, emissioni di CO2: 171 g/km, categoria di efficienza energetica: E. Valore medio di tutte le nuove vetture in Svizzera: 159 g/km. ** Esempio di leasing, finanziamento tramite AMAG LEASING AG: ŠKODA Superb Combi Active, 1.4 l TSI, 92 kW/125 CV, 5 porte. Tasso di leasing effettivo: 3.97% (durata: 48 mesi/10’000 km/anno), prezzo di acquisto in contanti: CHF 36’040.–, pagamento straordinario: 20% del prezzo di acquisto in contanti, rata di leasing: CHF 319.95/mese, assicurazione casco totale obbligatoria esclusa. Con riserva di modifiche in qualsiasi momento. Tutti i prezzi si intendono IVA dell’8% inclusa. La concessione del credito è vietata se causa un eccessivo indebitamento del consumatore. Azione leasing valida per richieste di leasing entro il 30.4.2012.


» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Flavia Leuenberger

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Antonio Pinto

Vitae

luzione totale della musica, coi Beatles, coi Rolling Stones, ecc., una rivoluzione meravigliosa e colorata, dove c’era solo la marijuana e non altre droghe. Coi capelli lunghi e la bandana, giravo insieme ai miei cugini in Mini Cooper o con le finte Harley trasformate in “chopper”: ci siamo divertiti tanto e sono stato fortunato. Per noi bianchi la vita era più facile, mentre nel popolo nero stava succedendo qualcosa: non poteva più continuare a vivere sotto il dominio colonialista portoghese. Nei primi anni Sessanta è arrivata la ribellione, con il “Fronte di liberazione del Mozambico” guidato da Samora Machel, Dalle savane del Mozambico alle strade poi la “Resistenza nazionadel Sudafrica. Fino al ritorno in Svizzera le mozambicana” e la lunga e alla scelta di Bellinzona come luogo in guerra civile. Un periodo difficile e doloroso e un cambiacui vivere e coltivare le proprie passioni mento molto drastico. Con la mia voglia incredibile sole. Il mio era anche un padi conoscere e di vivere, ho sentito che i miei ese di caccia al bufalo: ero sogni di giovane finivano lì, così mi sono tracontrario a questo “sport” ma sferito definitivamente a Pretoria, dove la mia accompagnavo mio padre nelfamiglia si era trasferita. Era un paese molto la savana. Allora non c’erano più ricco, l’America dell’Africa, solo che si senrestrizioni e chi voleva uccitiva il peso dell’apartheid. Ricordo l’episodio dere un elefante con una 375, del crollo di un tunnel in una miniera, che lo faceva e basta. Vicino ai aveva imprigionato un minatore bianco. Un villaggi, vedevo dei coccodrilli collega di colore andò a salvarlo, rischiando la impalati lungo il fiume, uccisi vita e ricevendo poi una medaglia. Quel giordai bianchi armati. Erano gli no, il bianco, sulla sua sedia a rotelle, non gli abitanti a chiederlo ed erano strinse neanche la mano per ringraziarlo! In felici, perché così i coccodrilli Mozambico, bianchi e neri andavano innon divoravano i loro vitelli, sieme nei ristoranti o a suonare musica, ma il loro pane. questo non accadeva in Sudafrica. PurtropIl movimento hippie intanto po, “a Roma come i romani”: quanti di noi andava forte e ovviamente hanno dovuto seguire il loro “gioco” per non volevo perdere quel trepotere vivere senza problemi? Io non ci stano. Così ho fatto un “convo, e sono andato Londra a trovare mia zia, tratto” con mio padre: una sempre con il biglietto di ritorno in tasca. Un buona pagella scolastica in viaggio impegnativo, perché dovevo lasciare cambio dei capelli lunghi e dei il continente, ma era l’Inghilterra che avevo pantaloni a zampa di elefante. sempre sognato, la terra dei Beatles! Ho girato Imparavo senza studiare e avetutti i “Fish&Chips” della città, ma Ringo vo molto tempo per me. I poStarr non l’ho mai incontrato! (ride, ndr). Ho meriggi, nella pausa scolastica, lavorato in un negozio di jeans, poi in una andavo fino in periferia per fabbrica di gadgets musicali finché un giorno comprare una “Sparletta” (bisono andato a trovare una coppia di amici del bita gasata sudafricana, ndr) o Mozambico che viveva a Brunnen, nel candelle “chips”. C’erano sempre ton Svitto. Lei lavorava in un albergo, dove dei musicisti che suonavano il mancavano degli ausiliari per i banchetti, così blues o la marrabenta (genere mi ha chiesto una mano, ma per me era tutto musicale di Maputo, ndr). Stavo “cinese”, non capivo niente del ramo. Abbiacon loro a suonare la chitarra, mo comprato una camicia bianca, pantaloni, anche se prendevo delle scosscarpe, farfallino neri e ho iniziato a servire se terribili dall’amplificatore. piatti. Da qui è iniziata la mia avventura in Sono cresciuto in quella rivoSvizzera, ma questa è tutta un’altra storia.

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a bambino negli aereo-club c’era sempre festa. Grazie alla passione di mio padre, un pilota istruttore, volavo con lui, su degli aerei della Seconda guerra mondiale, dei Tiger Moth o dei Chipmunk. Una passione che mi ha contagiato per sempre, tant’è che ancora oggi costruisco modelli di aerei. La fobia degli aerei più grandi l’ho superata col tempo, anche per necessità, perché mi spostavo tanto dal Mozambico al Sud Africa per andare a trovare la mia famiglia, sparpagliata un po’ ovunque dopo il cambiamento del governo mozambicano. Sono cresciuto nella capitale Lourenço Marques, che oggi si chiama Maputo, a quattrocento chilometri di mare dal Madagascar e in prossimità della parte settentrionale del Sudafrica, nella famosa “regione degli elefanti”. Ci sono rimasto fino ai quindici anni. Era una città aperta, portuale, con una grande colonia indiana e una cinese per via di Macao, tant’è che sono cresciuto con quel tipo di alimentazione. Ho imparato a nuotare ancora prima di camminare. Abitavo a dieci minuti dal mare e la nonna, quando i pomeriggi mi portava in spiaggia, dopo un panino e una Cola si addormentava! Durante le vacanze scolastiche avevamo un budget che doveva servire per due mesi, ma lo facevamo fuori in tre settimane. Allora, per mangiare, si pescava, in un mare ricchissimo dove quasi non servivano esche. Poi andavamo a comprare il cioccolato vicino al confine col Sudafrica, dove c’è la favolosa spiaggia “Ponta do Ouro”. Meglio quando non tornavo a casa, perché il mare era più blu e ci piacevano tanto le sudafricane. Passavamo dei week-end anche nel parco nazionale Kruger e dormivamo nelle tende, con i fuochi accesi per tenere lontani i leoni. Mi svegliavo il mattino presto, colazione davanti al fiume, dove gli ippopotami si bagnavano e i coccodrilli prendevano il


Milano sotto testo di Gianni Biondillo

La Biblioteca dell’Accademia di Architettura di Mendrisio ha acquisito nel 2011 un fondo documentario relativo alla costruzione del primo tronco della Metropolitana Milanese. Si tratta di materiale progettuale e di un corpus di quasi trecento fotografie dei lavori da Amendola Fiera a Sesto Marelli che attestano la definitiva trasformazione della Milano postbellica in città del modernismo europeo. Nei prossimi giorni, presso l’Accademia, si inaugura la mostra dedicata a questi documenti


sopra: Piazza Duomo. Scavi in trincea per la formazione dei piedritti, marzo 1961, (ŠPublifoto) in apertura: Corso Venezia. Scavi per il getto della copertura, marzo 1961, (ŠPublifoto)


A

vevo un professore alle superiori, un ingegnere. Non c’era volta che non mi punzecchiasse, entrato in aula. Controllava il romanzo che io con finta indifferenza mettevo a bella mostra sul banco, si avvicinava, lo sfogliava con altrettanta finta indifferenza e aggiungeva ogni volta una battutina sulle mie letture. “Letteratura” era per lui sinonimo di “inconsistenza”. Voli pindarici, distrazioni, ma la professione era un’altra cosa. Insegnava Tecnologia dei materiali. Una noia mortale. Poteva avere sessant’anni, “l’ingegner B.”, e non c’era volta che non ci raccontasse della sua esperienza nei cantieri della metropolitana. Io non lo stavo quasi mai ad ascoltare. Oggi che sfoglio questi raccoglitori zeppi di fotografie in bianco e nero mi è tornato in mente. Sono foto del cantiere della Linea 1. Fotografie che non hanno alcuna velleità artistica, pura documentazione dei fatti. Nessuna letteratura, foto da ingegneri. Eppure così belle. Le guardo e mi accorgo di provare una dolorosa nostalgia per un periodo che non ho mai potuto conoscere. Il primo vero progetto di metropolitana a Milano così come la intendiamo noi è del 1905. Durante la grande guerra il Comune decide di istituire un “Ufficio metropolitano”. Le parole, si sa, non sono mai innocenti. Non si parla di “ferrovia urbana”, alla berlinese, non di “strada sotterranea” alla londinese. Il riferimento è a Parigi, certo. Ma è il fascino della parola – metropolitana – che attira l’immaginario. Milano voleva una ferrovia metropolitana, perché, in pectore, si sentiva già una metropoli. Nel 1930 il tracciato della prima linea è sostanzialmente quello che poi verrà realizzato. La guerra ferma tutto. Lo slancio utopico subisce uno stop di un decennio, l’Italia deve essere ricostruita. Nel 1952 l’amministrazione comunale affida ad Amerigo Belloni il progetto esecutivo della Linea 1. Nel 1955 viene costituita la “Metropolitana Milanese Spa”, con capitale di maggioranza nelle mani del Comune. Uno sforzo economico e uno sfoggio muscolare imponenti. Fu un’opera collettiva: i milanesi, per primi, sottoscrissero le obbligazioni emesse dal Comune. Venne previsto un contributo di miglioria specifica. In pratica chi abitava di fronte ai cantieri doveva pagare un plus, dato che (...) la sua casa acquisiva un incremento di valore.


Via Mercanti. Rampa d’accesso alla galleria vista da Piazza del Duomo, maggio 1961, (© Giancolombo News Photos)

Stazione Amendola-Fiera. Il piano banchine, gennaio 1961, (© Publifoto)


Corso Venezia. Rampa d’accesso al sotterraneo e copertura della stazione Palestro, settembre 1961, (© Impresa Sogene)

Stazione Amendola-Fiera. Vista interna del mezzanino, febbraio 1961, (© Publifoto)


Stazione Amendola-Fiera. Il piano banchine a lavori ultimati, (© Publifoto)

Metropolitana come architettura sociale In quei cantieri lavorava l’ingegner B. Consulto questo corpus di fotografie, una più bella dell’altra – no, non sono foto d’occasione, fatte dal primo venuto, sono troppo “professionali” –, sperando quasi di incrociarlo, più giovane, mentre magari dà un’indicazione ai muratori o verifica un getto. Milano appare come una città stravolta, la metafora viva, palese, dell’etica del lavoro. Città operosa, instancabile, incapace di fermarsi. Un cantiere eterno, come quello della sua cattedrale. Guardo le foto e rammento le parole dell’ingegner B.: per prima cosa scavavano delle paratie profonde, dalla sezione ristretta, poi veniva il getto di calcestruzzo. Costruiti i costoni esterni iniziava lo scavo a cielo aperto. La pancia veniva aperta e il chirurgo poteva operare senza intralci. Milan Method, fu definito. Divenne un esempio per la costruzione di altre metropolitane nel mondo, compresa quella di Toronto. Lo studio Albini-Helg intervenne in corso d’opera. C’era da creare una architettura ipogea, c’era bisogno di un progetto coordinato, nelle forme, nei materiali, nella comunicazione. Uso di continuo la Linea 1 e faccio fatica ad ammettere che abbia già sessant’anni. Ovvio, i lastroni di Silipol che fanno

da rivestimento sono ormai per la maggior parte crepati, i profilati portanti spesso sono arrugginiti, insomma, il degrado e l’incuria dichiarano il tempo trascorso, ma la perfetta logica dei percorsi, dei segnali, il disegno minimalista di ogni singolo particolare, sembrano senza età. Quella di Albini-Helg è un’opera di Architettura Sociale di dimensioni spaventose, un vero esempio di monumento della democrazia, antiretorico, capillare, intriso – sottopelle – di quella precettistica borromaica che impernia da sempre l’etica borghese meneghina. Non me l’ha mai detto, ma secondo me all’ingegner B. piaceva il progetto dei due architetti. Concreto, razionale. E poi la grafica di Bob Noorda. Quelli erano anni in cui un olandese veniva a vivere a Milano, perché le città era un centro propulsore internazionale. Noorda inventa la segnaletica, la grafica, il logo, in una parola l’immagine delle MM. Un progetto di design perfetto che gli fa vincere il primo dei suoi quattro compassi d’oro. Un filo rosso nella storia di Milano Ritorno di nuovo alle fotografie. Dell’ingegner B. non v'è traccia, peccato. Come in quel passatempo della Settimana


Viale Monza in corrispondenza del confine tra i comuni di Milano e Sesto San Giovanni La carreggiata ripristinata a lavori finiti (© Publifoto)

Enigmistica – “cerca le differenze” –, confronto di continuo la città di allora con quella di oggi. Certe volte riconosco d’acchito uno scorcio, un edificio, una strada; altre, invece, non mi ci raccapezzo proprio. Ormai è diventata una specie di sfida con me stesso: questa è Pagano, dico, questa è piazza Wagner, questo corso Venezia. Le strade del centro sono più facili da individuare. Quelle dedicate a Piazza del Duomo poi sono quasi familiari, la mole della cattedrale è tale che organizza lo spazio della fotografia con prepotenza, nonostante la piazza devastata. La lunga desolazione di viale Monza invece quasi mi strania. Era ancora una strada, a modo suo, extraurbana. Pochi edifici ai lati della carreggiata e là in fondo, fuori dall’inquadratura, le fabbriche. Le automobili corrono sparute sull’asfalto, sembrano quasi modellini d’antiquariato abbandonati da qualche bimbo distratto. La città tentacolare di quei fine anni Cinquanta in realtà aveva un traffico automobilistico che oggi neppure il più fanatico ecologista oserebbe agognare! Ecco: sono i particolari semplici, transitori, che danno un colore inequivocabile a questi scatti in bianco e nero. M’accorgo che sulla cesata d’un cantiere c’è un manifesto: “Lotteria di

Agnano, primo premio cento milioni”. Siamo nel 1961, sono un sacco di soldi, penso, chissà chi li vinse… oppure: quella ragazza in via Marghera col vestito a fiori dalla casta scollatura sul collo e la sporta di paglia in mano, dove stava andando? E quegli operai in canottiera, a capo scoperto, o al massimo con un berretto moscio in testa, da quale regime d’Italia venivano? E quel gruppo di vecchi curiosi, appoggiati alle transenne del ponte sulla Martesana in secca, che osservavano gli operai al lavoro, tutti col Borsalino calcato in testa, cosa diavolo si stavano dicendo? Vorrei dirglielo all’ingegner B. quanto si sbagliava: la Linea 1, gli direi, è come un filo rosso nella storia di Milano, che trapunta piazze, strade, quartieri a sogni, visioni, storie. È vita, caro ingegnere. È letteratura. La mostra Il giorno 8 maggio, presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio, verrà inaugurata la mostra dedicata al fondo fotografico relativo alla costruzione della Linea 1 della Metropolitana Milanese. Tutte le fotografie del fondo saranno visibili sul sito http://metromilano.biblio.arc.usi.ch. Cogliamo l’occasione per ringraziare la dottoressa Angela Windholz, responsabile della Biblioteca dell’Accademia di Architettura, per l’aiuto e la squisita collaborazione


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La mela magica testo di Marica Iannuzzi illustrazione di Rachele Masetti

Fiabe

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C’era

una volta… un giovane molto, molto povero di nome Albertino. Viveva in un piccolo villaggio di umili contadini. Albertino desiderava sposare una donna allegra e di bell’aspetto ma nel suo paese le donne erano tutte tristi e piuttosto bruttine. Un giorno Albertino, con il suo bel cestino in mano, si incamminò nel bosco vicino al villaggio, perché lì si trovavano le more più dolci del mondo! Mentre era intento a raccoglierle, all’improvviso, udì un canto suadente provenire dal fondo del bosco. Si diresse verso la voce e a ogni passo che faceva il suono di-

veniva sempre più forte e intenso. Si trovò di fronte una bellissima ragazza anche lei intenta a raccogliere le bacche. Albertino subito se ne innamorò. Accanto a lei c’era però un signore dall’aria arcigna che indossava un ricco mantello. Era intento ad appendere un cartello su un albero in cui si leggevano le seguenti parole: “Il conte di Borgogna è alla ricerca di un giovane coraggioso che riporti a sua figlia Guendalina l’anello portafortuna. È stato rubato dall’orco Asdrubale, che vive in una grotta sulle montagne. Chi riuscirà a recuperare l’anello avrà in sposa la giovane contessa”.


Il

ragazzo ritornò di corsa in paese, preparò una bisaccia con le sue poche cose e si mise in viaggio per raggiungere la caverna dell’orco. Lungo la strada incontrò una vecchina che portava sulle spalle due pesanti sacchi di farina. Albertino, impietosito, le chiese: ”Ha bisogno di aiuto, signora?” ”Volentieri, ragazzo. Sei molto gentile. Mi potresti portare i sacchi vicino a quell’albero?”, e indicò una grossa quercia. “Certamente!” rispose Albertino. La vecchina, come ricompensa, regalò ad Albertino una mela magica, rammentandogli che chiunque l’avesse mangiata si sarebbe addormentato. Albertino ringraziò l’anziana donna e riprese a camminare verso le montagne finché giunse all’ingresso della caverna dell’orco. Gli venne allora l’idea di lasciare fuori dalla caverna la mela magica e di nascondersi dietro una roccia per vedere cosa sarebbe successo. L’orco, sentito un odore appetitoso, uscì dalla caverna e vista la mela rossa e succosa, subito

gli diede un gran morso. All’istante si udì un tonfo assordante: l’orco era caduto a terra in un sonno profondo! Albertino entrò allora nella caverna e si mise a cercare l’anello dappertutto,

ma senza risultato. Uscì di corsa e si accorse che l’anello che cercava era appeso a una corda al collo dell’orco! Con un gesto delicato, glielo sfilò e, per non correre il rischio di perdere il prezioso gioiello, cercò di infilarlo al dito anulare. Ma proprio non c’era nulla da fare: l’anello non entrava. Provò allora con il mignolo. Invano. Sembrava che l’anello si allargasse e stringesse da solo! Lo ripose allora in una tasca e riprese velocemente il suo cammino verso il castello del conte.

Giunto di fronte al portone bussò tre volte. Un

servitore lo fece entrare e Albertino chiese di essere portato al cospetto del signore di quel castello. Il conte lo ricevette in una grande sala piena di armature e arazzi alle pareti. “Egregio, illustrissimo signor conte, volevo annunciarvi che ho finalmente trovato l’anello di vostra figlia”. “Fatemi vedere”, ordinò il conte con voce severa. “Sembra proprio l’anello di Guendalina. Dovete sapere, mio caro giovanotto, che quello di mia figlia è un anello speciale: solo lei può infilarlo al dito. Se mi avete ingannato vi metterò alla gogna per una settimana!” Fu allora convocata la giovane contessa. Guendalina stese la mano e Albertino le porse l’anello che come d’incanto calzò alla perfezione il suo dito. Al colmo della gioia la ragazza giurò il suo amore al coraggioso giovane. Tre giorni dopo furono celebrate le nozze e come torta nuziale Albertino e Guendalina chiesero che fosse preparata una gigantesca torta di… mele.

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Come essere chic e creative in questa capricciosa primavera? Basta indossare o meglio... interpretare un bel foulard! Ricco di giochi di trame, di decori, di colorate fantasie, il quadrato setoso è da sempre espressione di eleganza e ricercatezza, un corollario di moda talmente eclettico da prestarsi agli usi più svariati Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza

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ndimenticabile, quello sfoggiato da Grace Kelly durante la famosa corsa in auto di Caccia al ladro, accompagnata da un’estasiato Cary Grant! Quanto al legame del foulard con dive e divine basti ricordare Audrey Hepburn che negli anni Sessanta lo annodava in una ciocca bon ton adeguata alla principessa di Vacanze romane, mentre in Sciarada lo portava legato sotto il mento, come del resto faceva Brigitte Bardot a Saint Tropez, abbinandolo agli immancabili occhialoni scuri. Che dire poi di Jackie O, indelebile icona di stile che del foulard avvolto intorno al capo fece il suo tratto distintivo? Più tardi arriverà Sharon Stone a usarlo come manette in Basic Instinct e per Madonna in Travolti dal destino diventerà un cappio fatale... Camaleontico e burlone, sensibile a ogni brezza d’aria, il foulard, come lo conosciamo oggi, nasce nel 1937 per mano di Emile Hermés, che inventa il carré di seta ispirandosi al mouchoir de coi, il fazzoletto da collo dei soldati. Ci vogliono la bellezza di 4 chilometri di filo per crearne un prototipo e in questi 75 anni sono state ideate e commercializzate ben 950 stampe differenti. E se nel 1948 Hermés inizia a produrre gli esclusivi e preziosissimi carré (cm 90x90), in seguito il

foulard diventa voce importante anche nel prestigio di altre griffe affermate: in Francia le celebri Dior, Saint Laurent, Chanel, Givenchy, Louis Vuitton… In Italia nomi antesignani del foulard sono stati Gucci, Ferragamo, Valentino, Emilio Pucci e Roberta di Camerino, apripista di quel gran seguito di stilisti e creativi d’alto bordo, da Mila Shön a Versace, da Armani a Ferré e così via. Dal focale al foulat La sua storia e le sue origini si perdono però nella notte dei tempi visto che appare nelle sculture cinesi della antichissima dinastia Chu (1122–225 a.C.). Anche le statue di terracotta raffiguranti l’esercito dell’Imperatore Qin Shi Huang ci ricordano come già nel III secolo a.C. la divisa comprendesse una specie di morbida sciarpa. A Occidente è la Colonna Traiana del II secolo d.C. a raccontarci che i soldati romani si proteggevano la gola con il “focale”, usato pure dalle matrone. Secondo Catullo i foulard, che oggi definiremo di lusso, venivano importati dalla Spagna e da semplice protezione passeranno a essere indicatori di un determinato status sociale. Nel Rinascimento i fazzoletti piacevano molto anche alle popolane, sia in Europa sia in


Oriente, che li usavano nei campi per raccogliere la capigliatura e ripararsi, ma anche per vezzo, tant’è che il foulard trionfa nei costumi tradizionali. Ben presto se ne produssero di raffinati e decorati da fili d’oro per esaltare la bellezza del volto delle dame. Tuttavia secondo alcuni studiosi del costume il foulard per eccellenza trae ispirazione da quello usato dai soldati di Napoleone. Che si trattasse a quei tempi anche di un accessorio maschile lo dimostrano alcuni scritti dell’Ottocento: un giovanotto elegante doveva sempre avere a portata di mano un fazzoletto (fazzolettone) per vari usi. Quadrato, in lino o in cotone, talvolta ricamato, solitamente bianco, ma pure colorato e stampato a disegni paisley (quelli delle originali sciarpe del Kashmir), doveva accordarsi con la cravatta. L’accessorio maschile piacerà da impazzire alle suffragette dei primi decenni del secolo scorso anche se la sua patria rimane la Provenza francese e precisamente Lione, dove un produttore di selleria e accessori per l’equitazione ne intuì la magia e ne consacrò l’utilizzo, diventato poi una filosofia estetica. Quella di Hermés, ma non l’avevo già detto? Anche etimologicamente parlando la parola foulard rivela le sue radici d’oltralpe, nascendo dal termine provenzale foulat, letteralmente “follare”, antico metodo usato per il finissaggio dei panni. Dinamici ed estemporanei Senza mai essere passato davvero di moda, riecco che il foulard è di grande tendenza, spesso in stupende riedizioni (limitate) di esemplari del passato. È il caso del prototipo “Flora”, una delle più amate icone di Gucci, nato nel 1966 su commissione speciale per la Principessa Grace di Monaco, disegnato dal rinomato illustratore Vittorio Accornero. Il più lussureggiante e rigoglioso giardino riprodotto su seta, che si fosse mai visto, torna a risplendere grazie all’intuizione e all’estro creativo di Frida Giannini, art director della Maison. Moderni ed ironici, densi di colore e pieni di sorprese sono i foulard creati da Gen-

tucca Bini per Mantero, uno dei più illustri setifici comaschi (nelle immagini). Uno sguardo ai libri antichi e agli archivi, uno alle geometrie optical e un altro alla natura selvaggia: la giovane designer milanese elabora e mescola il tutto per dar vita a quadri dalle stampe e dalle texture uniche da far scivolare e annodare sul corpo come si desidera. Ci sono poi gli esemplari “Souvenir d’Italie” di Frankie Morello, vere e proprie cartoline d’epoca del Bel Paese su quadrati di raso e seta, che compongono una ironica couture: i famosi monumenti-simbolo delle città sono portati a spasso su gonne a ruota, camicie annodate sotto il seno o fluttuanti caban su calzoncini da ciclista. Tanto per unire i ricordi degli anni Cinquanta a un dinamico glamour d’avanguardia. Dinamici ed estemporanei anche i foulard-scialli di Missoni che, oltre a mitigare le scollature, compongono abiti danzanti dalle costruzioni sghembe, asimmetriche, fluttuanti e maliziosamente rivelatrici, giacché flirtano con la sinuosità delle curve, regalando spontaneità e colorato divertimento.


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Tra il 7 e l’8 maggio la Luna attraverserà il vostro segno. È il momento adatto per intraprendere nuove strade. Grazie all’arrivo di un buon aspetto con Venere potrete mitigare le difficoltà del periodo.

Novità per l’arrivo di Mercurio: momento adatto per affrontare concorsi ed esami. Godete di ottima lucidità mentale. Particolarmente intuitivi tra il 9 e il 10 maggio grazie agli effetti del passaggio lunare.

Risveglio degli istinti promosso da Marte e Venere. Colpo di fulmine per i nati in maggio favorito dal passaggio del nodo lunare sud. Preparatevi a un grande destino. Affrontate con intelligenza gli avversari.

Bene tra il 9 e il 10 maggio. Possibilità di successo in campo associativo. L’importante è che siate liberi dai condizionamenti provenienti dall’infanzia. Tentativi di manipolazione da parte del partner.

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Momento particolarmente ricco per i nati nella terza decade favoriti da Saturno e Venere. Puntate con fiducia al futuro. Ai nati in luglio si consiglia di prestar maggior attenzione a una questione legale.

Metamorfosi spirituale e di coppia in ordine all’opposizione con Nettuno. Cercate di soddisfare il vostro desiderio di condivisione. Successi professionali per i nati in settembre. Novità da un paese estero.

Grazie ai buoni aspetti di Venere riuscirete a mitigare le severità di Saturno. Meno sensi di colpa. Desiderio di indipendenza per i nati nella prima decade. Se volete esser felici non limitate il potere creativo.

Tra il 9 e il 10 maggio la Luna si troverà in opposizione. Questo aspetto, con il transito di Giove nella settima casa solare, potrà slatentizzare alcune problematiche presenti nella vostra vita matrimoniale.

sagittario

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Opportunità d’affari, incontri insoliti e divertenti, atmosfere romantiche in compagnia del partner. Se avete deciso di spingere l’acceleratore fatelo subito. Piani per il futuro e sforzi intellettuali premiati.

Tra il 6 e il 7 maggio la Luna si troverà nella vostra undicesima casa solare. È il momento ideale per costituire un rapporto associativo e così partire verso una grande impresa. Novità per i nati in dicembre.

Dal 9 maggio in poi potrebbero sorgere problemi di comunicazione con i vostri familiari. La vita sentimentale si avvia comunque verso un consolidamento grazie ai buoni aspetti con Saturno e Venere.

Metamorfosi spirituale in ordine alla congiunzione con Nettuno. Controllate di più la vostra irascibilità. Vita finanziaria sempre più ricca grazie ai buoni transiti con Giove per i nati nella terza decade.

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Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 20

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 10 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 8 mag. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Noto successo di Claudio Baglioni • 2. Impavido, coraggioso • 3. La cura l’otorino • 4. Lanciano il sasso e nascondono la mano • 5. La dea della discordia • 6. Gomitoli • 7. Fu ammiraglio di Alessandro Magno • 8. Affondò a causa di un iceberg • 9. Leale e sincera • 13. Turchia • 17. Imbarcazione gonfiabile • 20. Il fiabesco Peter • 21. Il Renzo amato da Lucia • 23. Intimidatorie • 26. Alberi dal tronco chiaro • 27. Il noto Connery • 30. Articolo romanesco • 31. Consonanti in ruota • 33. Complessino canoro • 35. Sopra • 38. Risultati • 39. Né questi, né quelli • 42. Cantore epico • 44. Fiume francese • 45. Devoto • 47. Vino senza pari.

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Orizzontali 1. Salutare beneficio • 10. Si valuta quella dei danni • 11. Uno a Zurigo • 12. Pugnalate • 14. Scossoni, spintoni • 15. Ls città degli arazzi • 16. Altra sigla per MEC • 17. Cuba e Svezia • 18. Consonanti in coniata • 19. Le iniziali di Pappalardo • 20. Impaccio, impedimento • 22. Restar • 24. Dio nordico • 25. Le prime dell’alfabeto • 28. Asciugacapelli • 29. Paventare • 32. Calamitata • 34. Brilla in cielo • 36. La testa del gufo • 37. Né miei, né suoi • 38. Essa • 40. I confino di Rovio • 41. Lucio Cornelio, politico romano • 43. Lamenti poetici • 45. Boschi di conifere • 46. Lo usa il panettiere • 48. Consonanti in radio • 49. Si contrappone a off • 50. Pronome personale • 51. Un parente.

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PRESIDIO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Loredana Brown via Collina d’Oro 37 6926 Montagnola Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: buono RailAway FFS per l’offerta “Lido Locarno” RailAway FFS offre 1 buono del valore di 100.– CHF per 2 persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Lido Locarno” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch/railaway-ticino.

Lido Locarno. L’oasi in riva al Lago Maggiore Il Lido Locarno si propone come una straordinaria oasi di svago, sport e benessere per tutta la famiglia, ideata attorno al tema dell’acqua e posizionata su una splendida spiaggia lacustre. Aperto tutto l’anno, con le sue vasche termali, le piscine, gli scivoli e i giochi in riva al Lago Maggiore, il Lido Locarno rappresenta la più completa e moderna struttura balneare del Ticino dove nuotare, rilassarsi divertirsi in piscina, ma con la sensazione di essere immersi nel lago. Un’esperienza unica e particolare!

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125 CV di piacere ecologico al volante. Con i 125 CV del suo nuovo rivoluzionario motore EcoBoost 1.0 l, la Ford Focus assicura un autentico piacere al volante. Non solo, ma appartiene anche alla categoria d’efficienza energetica A. Con un consumo di 5.0 l/100 km a fronte di 114 g/km di CO2 eroga le stesse prestazioni di un convenzionale motore 1.8 l. Per un maggior piacere di guida e una coscienza pulita. ford.ch

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