Ticino7

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№ 20

del 18 maggio 2012

con Teleradio 20–26 maggio

Aborto

chi decide?

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SPINAS CIVIL VOICES

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Ticinosette n° 20 18 maggio 2012

Impressum

Agorà Aborto e adolescenti. Una scelta difficile Visioni Una favola moderna

di

di

eugeNio Klueser . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Arti Margherita Palli. Giochi teatrali

di

oreste BossiNi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media Lingue. “Parlare” con i segni

di

roBerto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Salute Igiene e prevenzione. La guerra dei tamponi Tiratura controllata

Letture Vite fuori dal comune

Chiusura redazionale

Vitae Bellinda Wick

70’634 copie

Venerdì 11 maggio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

4 7 8 10 12 13 14 39 46 48 50 51

Nicoletta BarazzoNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

di

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di

Nicoletta BarazzoNi. . . . . . . . . . . . .

roBerto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

ludovica domeNichelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Police Force

testo e fotografie di

Fiaba Sole, Luna e la balena

di

matteo fieNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

faBio martiNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Architettura e sostenibilità. La casa bio

di

fraNcesca ajmar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Cullare la vita Elaborazione grafica di Bruno Machado

La facoltà di scelta Il tema dell’aborto, argomento dell’articolo di apertura di questo numero, non rappresenta certo una novità ma resta, per l’estensione delle sue implicazioni morali, sociali e ideologiche, un ambito di confronto aperto, al pari di altri temi legati alla bioetica . Le due interviste che corredano il testo di Nicoletta Barazzoni – la prima alla ginecologa Nadja Schneider e la seconda a don Roberto Roffi –, non rappresentano gli estremi di una contrapposizione ideologica ma rivelano le complesse sfaccettature del medesimo problema, visto e vissuto a partire da funzioni e ruoli pubblici diversi . Premesso che considero le opinioni di don Roffi sostenute da una loro logica, anche se personalmente non proprio condivisibili, vorrei entrare nel merito di una delle risposte da lui fornite alla intervistatrice . La domanda concerne i centri di pianificazione familiare responsabili, per don Roffi, di proporre l’interruzione come unica soluzione al fenomeno delle gravidanze impreviste . “Il problema”, sostiene il religioso, “non è che questi centri siano troppo laici, ma semmai che non lo sono a sufficienza: in essi vige un’unica ideologia. Se fosse veramente democratica, l’autorità pubblica responsabile di questi centri dovrebbe assicurare la presenza in essi di operatori secondo i diversi orientamenti ideali e ideologici presenti nella società, in modo da offrire un servizio realmente pluralista” . Le strutture pubbliche che offrono servizi di natura sanitaria, per ovvie ragioni di management, di spesa, di tempi decisionali e, last but not least, di diritto, non possono essere gestite sulla base dell’orientamento ideologico personale dei diversi operatori che al loro interno lavorano e che di volta in volta si interfacciano con il pubblico . Ciò che conta è far riferimento alla cornice legislativa, ispi-

rata a principi di laicità e in grado di offrire ai cittadini le medesime garanzie e un’assoluta libertà decisionale rispetto alla propria persona . Tanto più oggi, in una società che si è fatta sempre più multiculturale e multireligiosa . E in questo la Svizzera, tutto sommato, rappresenta un ottimo esempio . Certo, la Chiesa cattolica da sempre stenta ad accettare i processi di secolarizzazione, così come a risolvere in modo chiaro le sue profonde contraddizioni, a partire dal binomio aborto/contraccezione . Il 27 aprile scorso presso lo Stadttheater di Berna si è svolta la XXI edizione del Premio svizzero per la fotografia giornalistica . Ha vinto Mark Henley, incoronato fotografo dell’anno con un lavoro apparso nel 2011 dedicato all’economia e alla piazza finanziaria dal titolo “Bank On Us” . A Robert Frank (nato a Zurigo nel 1924) è andato invece lo Swiss Press Photo Lifetime Achievement Award per la carriera . Come già avvenuto nel 2011 con Reto Albertalli e Jacek Pulawski, anche in questa edizione dell’importante manifestazione Ticinosette ha visto riconosciuto il lavoro di uno dei suoi fotografi . Nella categoria “Ritratti” infatti, Reza Khatir – tra l’altro coordinatore dei reportage fotografici del nostro settimanale – ha ottenuto il secondo posto con una serie di scatti dedicati ad alcuni giovani di casa nostra apparsa sul n . 46/2011 (www.issuu.com/infocdt/ docs/n_1146_ti7) . Il primo posto è andato alla fotografa Adrian Moser, con un intenso ritratto di Simonetta Sommaruga pubblicato dal “Tages Anzeiger” . Tutte le personalità premiate e i loro lavori nelle diverse categorie sono consultabili digitando www.swisspressphoto.ch/ it/winners/2011#more . Buona lettura, F . Martini e G . Fornasier


Aborto e adolescenti. Una scelta difficile

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Agorà

Le cifre e le statistiche “parlano” ma non spiegano l’impatto e i risvolti psicologici che derivano da un’interruzione di gravidanza e neanche i motivi per i quali una donna decide di interrompere una maternità. In particolare quando si tratta di minorenni che si trovano ad affrontare tale condizione. I dati che emergono relativi a questa fascia d’età sono infatti piuttosto allarmanti anche nel nostro cantone di Nicoletta Barazzoni

I

cantoni si avvalgono delle statistiche per adottare, a livello politico e sociale, misure atte a contenere il fenomeno. Descrivere le circostanze, nonché le caratteristiche sociodemografiche dell’aborto e dell’interruzione di gravidanza ha una importante valenza in termini umani. Come riportato dal bollettino dell’Associazione Sì alla vita1, nel 2010 nel canton Ticino sono state effettuate 625 interruzioni legali della gravidanza (626 nel 2009, 682 nel 2008 ), di cui 207 con il metodo chirurgico e 413 con il metodo farmacologico. Gli studi a riguardo, in particolare quello effettuato tra il 1990 e il 19982, realizzato da alcuni ricercatori del canton Vaud, evidenziano la necessità di aumentare gli sforzi per assicurare un accesso universale alla pianificazione familiare e alla contraccezione, specialmente per le giovani donne e le adolescenti straniere. In questo arco di tempo i centri di pianificazione familiare sono diventati dei punti di riferimento a riguardo. Le persone contrarie a questo tipo di soluzione, come gli aderenti all’associazione Sì alla vita3, considerano i centri di pianificazione familiare come l’anticamera all’interruzione legale di gravidanza poiché “invece di svolgere un’opera di prevenzione efficace, si limitano alla funzione di «passacarte» per chi vuole effettuare un’interruzione di gravidanza. Praticamente quasi nessuna donna che si rivolge ai centri di pianificazione decide di rinunciare all’interruzione”. L’Ente ospedaliero cantonale pubblica regolarmente l’opuscolo informativo sulle attività dei centri di pianificazione familiare4 che svolgono anche attività di prevenzione tra gli adolescenti.


Alcune riflessioni statistiche Se prendiamo in esame gli studi5 sulle interruzioni di gravidanza riportate sul sito dell’Unione svizzera per decriminalizzare l’aborto (USPDA)6, in particolare riguardo alla fascia di età di donne e giovanissime comprese tra i 14 e i 25 anni, è possibile azzardare alcune valutazioni che concernono soprattutto gli aspetti statistici del fenomeno. In generale, si potrebbe dire che il numero delle interruzioni di gravidanza non varia molto negli ultimi anni, e che non vi è una tendenza all’aumento ma neanche alla diminuzione7. I dati relativi al Ticino L’evoluzione numerica delle interruzioni di gravidanza dal 1990 al 2010 nel nostro cantone è rilevabile sul sito della Divisione salute pubblica dell’Ufficio del medico cantonale8. Per quanto riguarda le interruzioni di gravidanza9 per metodo, si nota che in Ticino il loro numero rimane più o meno costante negli anni. Mentre nell’ultimo decennio sussiste una prevalenza maggiore, e in continua crescita, delle interruzioni di gravidanza attraverso il metodo farmacologico. Si passa in effetti da un 12% di donne che scelgono il metodo farmacologico nel 2000 al 66% nel 2010. La differenza notevole riguarda la distribuzione per fascia di età: per quanto riguarda le adolescenti (con età compresa tra i 15 e i 19 anni), le ragazze di nazionalità svizzera rappresentano circa il 70% della categoria mentre nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 24 anni, che sono comunque in maggioranza anche se la proporzione diminuisce, il 56% sono svizzere contro il restante 44% di altre nazionalità. Per quanto riguarda la provenienza, notiamo che nel 2010 il 43% delle donne che scelgono l’interruzione è di nazionalità svizzera mentre il restante 57% è di altre nazionalità10. Abbiamo interpellato a riguardo sia la dottoressa Nadja Schneider che lavora come ginecologa all’Unispital di Zurigo, sia don Roberto Roffi, parroco di Ravecchia, persone che leggono il fenomeno da posizioni differenti, connesse al loro differente ruolo pubblico e professionale.

intervengo chirurgicamente è come se si formasse un muro attorno a me, dal quale cerco di non far passare i sentimenti. Chiaramente ci possono essere situazioni nelle quali il muro si rompe, una condizione che cerco di reprimere inconsciamente. Penso che in certe situazioni sia necessario il distacco emotivo per poter esercitare questa professione. D’altra parte non è possibile scindere il ruolo del ginecologo dalla persona, quando si compie un atto medico come un’interruzione di gravidanza. Il mio compito del resto non è quello di giudicare o di giustificare. È una decisione della donna stessa, e non bisogna dimenticare che una persona che opta per una scelta del genere non lo fa mai a cuor leggero”. Si è mai confrontata con l’obiezione di coscienza? “No, non mi è mai capitato”. Ma il problema è molto più diffuso di quanto indicano le statistiche… “Ci saranno di certo interruzioni di gravidanza illegali. A mio avviso la percentuale di questi casi in Svizzera è piuttosto bassa perché i centri di pianificazione familiare sono diffusi sul territorio e aperti a tutti. Oggi qualsiasi donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza per motivi di salute, familiari e sociali entro i primi novanta giorni di gestazione. Penso che la prevenzione sia abbastanza generalizzata”.

“La discussione sugli aspetti etici, deontologici e dell’obiezione di coscienza non rientra nella formazione. Il problema è delicato e penso che si voglia lasciare al medico la possibilità di decidere secondo coscienza, tenendo conto del giuramento d’Ippocrate”

Dottoressa Schneider, durante la formazione universitaria in ginecologia, in che modo viene affrontato il tema dell’interruzione di gravidanza? “A quanto ricordo, si tratta di una problematica trattata soltanto a margine, in particolare dal punto di vista legale. La discussione sugli aspetti etici, deontologici e dell’obiezione di coscienza non rientra nella formazione. Il problema è delicato e penso che si voglia lasciare al medico la possibilità di decidere secondo coscienza, tenendo conto del giuramento d’Ippocrate”. Che cosa prova quando sta per intraprendere un’interruzione di gravidanza? “Sicuramente non la affronto mai con superficialità, come se stessi per compiere un intervento qualsiasi. Sin dall’inizio provo a distanziarmi da quello che sto facendo, concentrandomi sull’intervento, ponendo la mia attenzione sull’incolumità della paziente. Quando

Ci sono casi in cui lei giustifica un’interruzione di gravidanza e casi in cui non l’approva? “Come detto, non è mio compito, in quanto medico, giustificare o disapprovare. Non è mio compito dire dove inizia e dove finisce una tale decisione. Secondo me è la donna che deve decidere. In quanto medico devo preoccuparmi che la paziente sia sicura di quello che sta facendo, restandole accanto. Quello che conta in una situazione del genere, ripeto, è la decisione della persona”.

Agorà

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Don Roberto perché, secondo lei, una ragazzina di quindici anni non dovrebbe abortire? “La sua domanda mi sembra avere un presupposto, e cioè che sia scontato che una ragazzina incinta a quindici anni abortisca. Chi lo dice? Nel modo stesso di porre la domanda si nota come sia profondo l’influsso della mentalità comune, dove l’aborto è ormai un fatto normale, scontato, sul quale non ci si interroga nemmeno più. Io penso invece che in una situazione come questa le soluzioni possibili siano altre: forse più impegnative, ma di certo sono più umane, perché evitano di ricorrere alla soppressione d’una vita innocente e di caricare le madri d’un fardello psicologico pesante, dalle conseguenze imprevedibili. Nella Chiesa sono stato educato a riconoscere che stare alla realtà è sempre conveniente: quante cose avvengono che non avevamo previsto, ma che poi si rivelano un’occasione di grande crescita umana! Per tante giovani donne l’aver accolto una gravidanza indesiderata è stata l’occasione della loro maturazione personale e anche della loro «salvezza». Quella vita che stava crescendo in loro le ha permesso di prendere coscienza della loro dignità umana: «se posso dare la vita, allora io sono importante!». Accettare la realtà, anche nella sua durezza, (...)


permette sempre di far emergere il meglio che è racchiuso in ciascuno di noi. Se incontrassi questa ragazza le direi: «Tu hai un valore infinito! Sono sicuro che puoi accogliere il tuo bambino e che sarai una brava mamma. Lui non ha bisogno d’una mamma perfetta: ha bisogno solo del tuo amore, che già gli puoi dare. E poi non sei sola: io sono con te e conosco altre persone che ti possono aiutare nelle difficoltà che incontrerai. Ma se non te la senti di accogliere questa vita, quando nascerà lo potrai affidare a una famiglia che magari desidera da anni avere un figlio, ma non ha avuto questo dono. Ci stai?». Ecco, questo mi pare un approccio corretto”. Crede che i centri di pianificazione familiare siano troppo laici? “Non conosco direttamente la situazione dei centri di pianificazione familiare, ma da quello che mi dicono persone che lavorano in questo settore sono troppo spesso l’anticamera dell’interruzione. Se una donna si rivolge a loro incerta se portare avanti la gravidanza, raramente viene aiutata a scegliere per la vita del bambino che è in lei: l’aborto, ritenuto un diritto e una conquista di libertà, è di norma l’unica soluzione proposta. Ora, il problema non è che questi centri siano troppo laici, ma semmai che non lo sono a sufficienza: in essi vige un’unica ideologia. Se fosse veramente democratica, l’autorità pubblica responsabile di questi centri dovrebbe assicurare la presenza in essi di operatori secondo i diversi orientamenti ideali e ideologici presenti nella società, in modo da offrire un servizio realmente pluralista”.

Agorà

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No all’educazione sessuale, no ai rapporti sessuali tra giovanissime, no alla pillola del giorno dopo, no all’interruzione di gravidanza. Ma non è una posizione anacronistica e superata? “Non è assolutamente vero che la posizione della Chiesa in materia di morale sessuale sia sempre e solo «no» a tutto! Ogni no è sempre espressione d’un grande si: si alla vita, si alla dignità della persona, si all’amore, nella sua verità. Il sesso non è un semplice bisogno fisiologico dell’essere umano: l’essere maschio o femmina definisce la nostra identità personale, e la sessualità è il luogo dove s’esprime un’intima comunione d’amore tra un uomo e una donna. Fuori da un’autentica relazione d’amore, il sesso non rende l’uomo felice: anzi, lo avvilisce. Rispetto a tutti i problemi legati alla sessualità, la Chiesa ha sempre detto che la questione è innanzitutto educativa: si tratta d’accompagnare i giovani in un cammino di crescita umana, che li aiuti a prendere coscienza di sé, di chi sono e di che cosa desiderano veramente, in modo da renderli responsabili dei propri atti, delle proprie scelte”. L’argomentazione religiosa non è superata dagli eventi, nel senso che la collettività oggi si muove in tutt’altra direzione, con il rischio di un distacco tra la Chiesa e la società civile? “Ma scusi, qual è il criterio della verità? Quello che pensa la maggioranza oppure la natura dell’essere umano?”. Perché in certi casi la Chiesa cattolica giustifica la pena di morte, mentre l’aborto mai, partendo dal rispetto assoluto per la vita, non è una contraddizione? “La dottrina morale cattolica ammette la possibilità della pena di morte solo come caso estremo della legittima difesa: nella situazione in cui una società si trovasse nell’impossibilità di neutralizzare il pericolo di certi criminali con strutture detentive adeguate e sicure, la pena di morte può essere l’estremo rimedio che uno stato può adottare per tutelare i suoi cittadini. L’aborto, invece, è tutt’altra questione: qui si tratta della soppressione d’un essere umano innocente, che chiede solo d’essere accolto”.

Tenendo salvo il principio, non si può concretamente decidere nei singoli casi, tenendo conto della situazione, della motivazione e delle circostanze? Quale spazio può essere dato alla coscienza individuale? “La valutazione nei singoli casi a volte è molto complessa e drammatica: ognuno deve decidere secondo coscienza. La Chiesa ha un rispetto profondo per le scelte personali del singolo e non si permette mai di giudicare la persona, anche se le scelte fatte contrastano con i suoi insegnamenti. Non bisogna però dimenticare che la coscienza è in noi la voce della verità: seguire la coscienza non è semplicemente «fare quello che mi sento»”. In base a quali criteri la Chiesa cattolica è così tassativa nel riconoscere la qualità di “persona” fin dal concepimento, mentre dal profilo scientifico questa certezza non sembra esserci? “L’origine della vita umana è un mistero. La teologia cattolica insegna che l’anima razionale è infusa direttamente da Dio, ma come e quando questo accada è un mistero. Dal punto di vista biologico, tuttavia, possiamo solo dire che con il concepimento si mette in moto un processo autonomo che porterà alla formazione di un essere umano, a meno che non siano subentrati dei problemi nelle fasi successive dello sviluppo. Tutte le discussioni che cercano di stabilire a partire da quale giorno si possa dire che il feto è una persona, sono solo in apparenza scientifiche, perché i criteri proposti sono soggettivi e arbitrari, legati più ai grandi interessi economici in gioco, che determinati da una disinteressata conoscenza scientifica della realtà”.

note 1 http://www.siallavita.org/Bollettino_Si_alla_Vita_n.198.pdf Sono stati selezionati i dati relativi a donne di età compresa tra 14 e 24 anni, che vivono nel canton Vaud. I dati sono stati estrapolati tra le oltre 12mila richieste di aborto registrate per le residenti di età compresa tra 14 e i 49 anni nel periodo che va dal 1990 al 1998. I risultati hanno mostrato che, in generale, il tasso relativo alle richieste di aborto in funzione dell’età è rimasto costante per tutto il periodo di studio. http://www.ncbi.nlm.nih. gov/pubmed/12222723.

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http://www.siallavita.org/Bollettino_Si_alla_Vita_n.190.pdf

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C:\Documents and Settings\Utente\Desktop\Materiale aborti\Rapporto sint. CPF_EOC_2010.pdf

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http://www.svss-uspda.ch/it/minorenne.htm. All’interno dei cantoni la situazione è ancora più complessa in quanto alcuni hanno iniziato tardi a raccogliere i dati oppure hanno definito la variabile diversamente includendo le donne di vent’anni. Tuttavia si può notare un movimento oscillatorio abbastanza costante negli anni il che fa pensare che non vi è un trend né alla diminuzione né all’aumento ma che ci sono altre variabili in gioco che influenzano (per esempio una crisi economica, ondate migratorie, visto che il numero degli aborti è maggiore per questa categoria di persone, nuove scoperte di metodi contraccettivi meno fastidiosi, ecc.).

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http://www.svss-uspda.ch/index.html

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Tuttavia è difficile fare un paragone a livello internazionale in quanto i dati raccolti riguardano anni diversi. Inoltre, non si può garantire una relazione tra la natalità e l’interruzione di gravidanza per le donne tra i 15 e 19 anni in quanto i dati presentati non riguardano lo stesso anno. Quindi i dati variano per anno sia tra paesi per la stessa variabile (natalità per esempio) sia per lo stesso paese tra natalità e interruzione di gravidanza.

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http://www4.ti.ch/dss/dsp/umc/cosa-facciamo/interruzione-di-gravidanza/ statistiche/

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Esiste una percentuale sommersa di aborti clandestini (http://www. pro-life.pl/resources/italiano/flyers%20ita%20-%20pdf%20files/aborti%20 clandestini%20-%20miti%20e%20fatti%20-%20a3.pdf)

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Non si nota una differenza significativa per quanto riguarda la durata della gravidanza al momento dell’interruzione. Il 53% delle donne decidono per l’interruzione entro la sesta settimana di gravidanza mentre il 45% tra la settima e dodicesima settimana.


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Una favola moderna

I PI Ù D

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» di Eugenio Klueser

Inno ai piaceri terreni e alle piccole gioie dell’esistenza, il cibo è di stili e registri differenti, quindi, che procede per accumulada sempre allegoria di vita, al punto che il suo deliberato rifiuto zioni ardite e talvolta sfugge alla coerenza, ma che assicura il sottende, per inevitabile automatismo, una scelta di morte. divertimento allo spettatore disposto a farsi coinvolgere. È questo il rassegnato proposito del violiniIl mondo incantato tratteggiato abitualmensta Nasser Ali, strampalato protagonista di te dalla Satrapi, nel passaggio dall’animazioPollo alle prugne, il quale giunge a rifiutare il ne del film d’esordio al cinema realizzato suo piatto preferito, nell’attesa che giunga, con attori in carne e ossa, non sembra aver per lui, la fine. L’uomo infatti non ha mai perso originalità e fascino. Paradossalmente dimenticato l’amata Irane, nonostante sia la strada del realismo appare più lontana che andata sposa a un altro contro la sua stessa mai, come confermano da una parte l’involontà. tensa fotografia di Christophe Beaucarne, Visto il tragico contesto della storia lo spetche predilige i colori saturi e i chiaroscuri, tatore potrebbe immaginare un film dai dall’altra la scelta di non abbandonare del contorni drammatici: niente di più sbagliatutto il fumetto, limitando la tecnica del to. La seconda pellicola diretta da Marjane disegno agli sfondi e ad alcuni brevi inserti Satrapi e da Vincent Paronnaud (dopo il narrativi. Allo stesso modo, i continui balzi grande successo mondiale di Persepolis nel temporali, che muovono il racconto attra2007) e tratta dall’omonima graphic novel verso una serie di flashforward e flashback, didell’autrice iraniana, mostra diverse anime: gressioni e brusche anticipazioni del futuro, Pollo alle prugne è una commedia grottesca, in cui trionfano contribuiscono abilmente a destrutturare la di Marjane Satrapi l’ironia e l’humour nero che tanto piaccionarrazione, rendendola se possibile ancora e Vincent Paronnaud no alla giovane artista di origine iraniana, meno realistica e tradizionale. Francia/Germania/Belgio, 2011 ma è anche un dramma che emoziona e Tutte scelte che appaiono evidentemente commuove lo spettatore. Una fiaba senza lieto fine, colorata e non estemporanee, non improvvisate, ma sorrette da una noonirica, in cui predominano atmosfere fantastiche ed esotiche tevole cura formale dei dettagli e dalla volontà di giocare con che paiono rimandare alle storie di Le mille e una notte. Un mix i linguaggi visivi che quasi sempre coglie nel segno.


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Giochi teatrali

Nel mese di marzo si è chiusa all’Istituto Svizzero di Milano una mostra-omaggio dedicata alla grande artista e scenografa ticinese Margherita Palli, da decenni al centro delle scene europee. Una figura poliedrica, geniale e capace di sorprendere il pubblico con la creazione di mondi fiabeschi e “meravigliosi”

di Oreste Bossini

Arti

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“Avevano escogitato, per distrarmi nelle sere che mi vedevano un

aspetto troppo infelice, di regalarmi una lanterna magica, con cui, mentre si aspettava l’ora del pranzo, coprivano la mia lampada; e, al modo dei primi architetti e maestri vetrai dell’età gotica, essa sostituiva all’opacità delle pareti impalpabili iridiscenze, soprannaturali apparizioni multicolori, dov’eran dipinte leggende come in una vetrata vacillante e momentanea”. Con questa immagine di una cameretta di bambino a fine Ottocento cominciava il traboccante flusso di ricordi del protagonista della Recherche di Marcel Proust, la monumentale opera pubblicata tra il 1913 e il 1927. Anche la stanza dei giochi della nostra infanzia era un mondo riempito di oggetti fantastici, capaci di trasportarci nell’immaginazione ben oltre le pareti dell’appartamento. L’esperienza della nostra vita interiore si incarnava in maniera indiscutibile nel più innocente pezzo di legno o in un’immagine caduta per caso sotto gli occhi, senza alcuna distinzione tra il mondo della finzione e quello della vita reale. A ben pochi adulti è concesso di avere a disposizione una vera stanza dei giochi nella vita professionale. Un tributo di eccellenti collaborazioni Tra i rarissimi personaggi in grado di vantare un’affinità elettiva non millantata con Peter Pan figura senz’altro Margherita Palli, una delle maggiori personalità della scena teatrale d’oggi. L’Istituto Svizzero di Milano ha dedicato di recente un omaggio alla grande artista e scenografa ticinese con una mostra intitolata Giochi teatrali/Theatre Toys. Il significato del termine gioco in questo caso va interpretato a differenti livelli. In primo luogo in senso letterale. Una moltitudine di giocattoli sono affastellati in maniera apparentemente disordinata nella stanza dei ricordi di Margherita Palli, che invita il visitatore a entrare in uno spazio allestito con un tocco di leggera ironia, come se fosse una grande e colorata camera di bambina, con i tavolini e i piedistalli bianchi e rossi che richiamano da una parte il vecchio Lego e dall’altra i colori della bandiera svizzera. In una dimensione più formale, invece, gli oggetti esposti nella mostra manifestano il concetto di gioco nel teatro di Margherita, disegnando allo stesso tempo un percorso che attraversa oltre venti anni di lavoro a fianco di registi del calibro di Luca Ronconi, Cesare Lievi, Franco Branciaroli, Mario Martone e altri nei principali teatri italiani ed europei. Un giocattolo in senso stretto è per esempio il cavalluccio a ruote usato dai bambini protagonisti dell’opera di Benjamin Britten The Turn of the Screw, tratta dall’omonimo racconto di Henry James, nello spettacolo allestito al Teatro Regio di Torino nel 1995 con la regia di Luca Ronconi. Gli spettacoli con Ronconi, a partire dalla lontana Fedra di Racine allestita al Teatro Metastasio di Prato nel 1984, hanno spesso toccato il tema del gioco. Un divertissement onirico era per esempio lo spettacolo di Ronconi e Palli per l’opera di Schubert Alfonso und Estrella, al Teatro Lirico di Cagliari nel 2004: una leggenda romantica immaginata come un epico racconto di pupi evocato dai giovani viennesi in una delle famose schubertiadi del primo Ottocento. A volte invece i loro spettacoli hanno incluso giochi veri e propri, magari di natura ottica come l’anàglifo, un’immagine stereoscopica che risulta tridimen-


L’immagine della locandina de L’Affaire Makropulos (un testo teatrale di Karel Čapek il cui libretto è stato rielaborato da Leóš Janáček), opera messa in scena al Teatro alla Scala di Milano nell’allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli, creato per il Regio di Torino

Arti

sionale se osservata attraverso occhiali dotati di filtri di colori complementari, una sorta di antenato ottocentesco del cinema in 3D. Un anàglifo, in formato ridotto, riproduce per esempio la scenografia dello spettacolo al Regio di Torino nel 1993 per l’opera di Leóš Janáček L’Affare Makropoulos, sempre con la regia di Ronconi. Il catalogo dei lavori con Ronconi del resto è lungo quanto quello di Leporello e comprende numerosi spettacoli che nella loro stessa concezione potrebbero essere considerati alla stregua di giochi. Dalle meraviglie alla ricerca “digitale” Le scenografie di Margherita Palli in genere non si limitano a conferire alla situazione drammatica uno spazio nel quale gli attori o i cantanti abbiano la possibilità di sviluppare i loro personaggi, ma spesso acquistano a loro volta le caratteristiche del testo, animandosi come se fossero una cosa viva e partecipando allo svolgimento del racconto. Certi allestimenti di Ronconi e Palli manifestano la ricerca del meraviglioso in forme analoghe a quelle dei grandi spettacoli di corte del Rinascimento, con scenografie che si trasformano a vista, come nella celebre Cenerentola al Rossini Opera Festival di Pesaro del 1998, o che creano l’illusione del movimento di macchina di una ripresa cinematografica, come nella Damnation de Faust di Berlioz per il Regio di Torino del 1992 o nella fantasmagorica Lolita di Nabokov al Piccolo Teatro di Milano del 2001. Non mancano nella mostra le inquietanti figure antropomorfe, come il manichino di legno che rappresenta la bambola di Nora nella rilettura del testo di Ibsen allestita al Teatro della Corte di Genova nel 2011, oppure di tipo zoomorfo, come il cane di peluche – azzurro però, e non nero come indicato da Beckett – di Finale di Partita, spettacolo con Franco Bran-

ciaroli interprete e regista al Teatro Sociale di Brescia nel 2006. Gioco infine è anche il divertimento un po’ infantile di costruire l’installazione video più grande del mondo, allestita alla Triennale di Milano nel 2007 per festeggiare i venti anni di “Striscia la notizia”. La pancia della gigantesca nave-torta infatti era formata da oltre quattromila monitor, che trasmettevano a loop contemporaneamente tutte le puntate del popolare programma televisivo. Per questa impresa, certificata dal Guinness World Records, Margherita Palli s’è guadagnata la duratura amicizia di un bel Gabibbo rosso, che come un tardivo Babbo Natale sbarbato e silenzioso se ne sta seduto in un angolo della stanza a custodire i giochi e i suoi sogni di bambina. L’ammirazione per il lavoro infaticabile di questa grande artista del teatro italiano si mescola tuttavia anche a una riflessione un po’ melanconica. La Wunderkammer di Margherita Palli, infatti, è l’espressione di una tradizione di palcoscenico artigianale ormai in declino, soppiantata dalla necessità di trasformare i teatri in macchine produttive sempre più rapide e redditizie. Oggi non c’è più tempo per preparare spettacoli così complessi e fantasiosi, dove i macchinisti erano chiamati a imparare i tempi e i movimenti della regia tanto quanto gli attori in scena. Non si vedranno più forse allestimenti come quelli per la Lodoïska di Cherubini alla Scala del 1991, ambientata in un castello romantico svettante sull’alto di una rupe boscosa, o il Prometeo del 2002 al Teatro Greco di Siracusa, con un Prometeo colosso di 32 metri dal quale penzolava il protagonista Branciaroli incatenato in posizioni impossibili, ma non c’è motivo di dubitare che l’immaginazione inesauribile di Margherita Palli trovi in futuro forme nuove e adatte agli attuali tempi digitali per esprimere cose di cui il mondo d’oggi ha ancora un gran bisogno, come i sogni del teatro e il desiderio di provare meraviglia.

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“Parlare” con i segni Usare la lingua dei segni, anzi le tante diverse lingue dei segni che esistono al mondo, non significa provare a rendere con gesti una lingua parlata, né tradurre, mimandole, le parole. Significa parlare lingue autonome, complete, con un lessico, una grammatica e una sintassi ben definiti testo di Roberto Roveda illustrazione di Bruno Machado

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Le lingue dei segni sono lingue a tutti gli effetti, nonostante siano ancora in molti oggi a pensare che si tratti di sistemi artificiali per “mettere in segni” una lingua parlata. Persiste, infatti, l’idea che associando a ogni parola un segno si possa ottenere una versione visiva e non acustica di qualsiasi altra lingua parlata e in questo modo chi non ci sente e non ha imparato a parlare, avrebbe accesso a una lingua. La realtà è che le lingue dei segni rappresentano sistemi completi e autonomi. Autonomi perché non dipendono dalle lingue parlate e completi perché non solo hanno lo stesso potere espressivo di qualsiasi altra lingua parlata ma anche perché, dispongono di un lessico e una grammatica ben definiti. Un’altra idea diffusa è che esista un’unica lingua dei segni. Le cose non stanno affatto così, come ci spiega all’inizio del nostro incontro Carlo Cecchetto, professore ordinario di Filosofia e Teoria dei linguaggi all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e studioso da molti anni delle lingue dei segni: “Le lingue dei segni sono tante e differenti l’una dall’altra. In tutto il mondo sono documentate diverse decine di lingue dei segni, ma probabilmente quelle effettivamente utilizzate sono molte di più, dato che la ricerca in questo campo è relativamente recente. In Svizzera sono diverse le lingue dei segni usate, anche se in Ticino si fa riferimento per lo più alla LIS, la Lingua dei Segni Italiana. Ovviamente il fatto che tutte le lingue dei segni usino il canale visivo-gestuale fa sì che abbiano alcune caratteristiche in comune, ma questo non deve nascondere le chiare differenze che sussistono fra loro”. Quindi due persone che usano due lingue dei segni diverse non si capiscono? “In molti casi le lingue dei segni effettivamente non sono mutualmente intelligibili, quindi

Il conto alla rovescia è iniziato. c’è bisogno di un interprete per tradurre da una lingua dei segni all’altra. Però sussistono parentele fra le diverse lingue dei segni. Inoltre le lingue dei segni imparentate fra loro sono più trasparenti l’una nei confronti dell’altra. Niente di diverso da quello che avviene con le lingue parlate: chi sa l’italiano capisce un po’ di spagnolo, ma non capisce niente di cinese”. Se le lingue dei segni sono imparentate fra di loro, significa che esiste una protolingua dei segni comune, una sorta di lingua madre, da cui tutte discendono? “Difficile rispondere, perché le lingue dei segni non hanno una forma scritta e solo negli ultimi anni sono diventati facilmente accessibili i supporti video che permettono una conservazione delle lingue dei segni nel tempo. Quindi non sappiamo bene quale forma avessero le lingue dei segni che venivano usate uno o due secoli fa. Si hanno però informazioni abbastanza precise sulla storia delle lingue dei segni a partire dalla seconda metà del Settecento in poi e questo ci consente di avanzare delle ipotesi sulle loro parentele, almeno per quanto riguarda l’area europea”. Cosa accadde in quegli anni? “Un religioso, l’abate de l’Épée, aprì a Parigi la prima scuola per sordi. Il suo obiettivo era quello di «mettere il francese in segni», affinché la lingua francese diventasse disponibile anche a chi non ci sentiva. Questi tentativi di inventare a tavolino una lingua in grado di mimare quella orale in genere non funzionano

e quindi anche il metodo di de l’Épée non ebbe molto successo. Tuttavia, il fatto che per la prima volta un gruppo di sordi fosse riunito in una scuola permise che dall’interazione spontanea tra loro nascesse una lingua nuova, quella che oggi è la Lingua dei Segni Francese. La scuola ebbe un enorme successo, perché fino ad allora prevaleva il pregiudizio che i sordi non potessero essere educati. Da tutto il mondo giunsero educatori per capire come i sordi potessero essere istruiti. Essi imparavano la Lingua dei Segni Francese e poi tornavano nei loro paesi e la usavano con i sordi nelle scuole che man mano venivano aperte. Abbiamo un’evidenza certa di una filiazione fra la Lingua dei Segni Francese e la Lingua dei Segni Americana, perché sappiamo che un insegnante francese sordo che lavorava nella scuola fondata da l’Épée si trasferì negli Stati Uniti. Per quanto riguarda la LIS è ipotizzabile, anche se non documentata in maniera sicura, una qualche filiazione dalla Lingua dei Segni Francese. Infatti la prima scuola per sordi in Italia fu fondata da un altro religioso, l’abate Silvestri, che aveva «imparato il metodo» nella scuola parigina.

Sconto online del 20%. Sia come sia, i miei amici sordi mi dicono che, anche se la LIS e la Lingua dei Segni Francese sono diverse, non ci vuole moltissimo tempo a familiarizzare con l’altra lingua se si conosce bene una delle due”. La lingua dei segni francese è nata dall’interazione spontanea fra i sordi. Può spiegarci meglio che cosa intende? “Faccio una premessa su come nascono le


Cogliete questa opportunità. lingue in generale. Ognuno di noi viene al mondo con una predisposizione innata al linguaggio. Questa predisposizione fa parte della nostra dotazione biologica. Tuttavia, affinché lo sviluppo del linguaggio si attivi, è indispensabile un minimo di esposizione al linguaggio stesso durante i primi anni di vita. Un’osservazione importante è che lo sviluppo del linguaggio non è un processo di imitazione, nel quale il bambino riproduce il modello linguistico a cui è esposto. L’acquisizione del linguaggio è un processo creativo nel quale il bambino usa indizi parziali e frammentari per costruire la grammatica della propria lingua. Non serve essere esposti a un linguaggio completo per sviluppare un linguaggio completo, perché il bambino ha un istinto naturale che gli permette di costruire un sistema grammaticale completo sulla base di un insieme relativamente ridotto di indizi su come è fatta la lingua che sta acquisendo. Per gli adulti non è così, come scopriamo quando cerchiamo di imparare una lingua straniera da grandi. Quanto ho detto vale sia per lingue parlate, sia per le lingue dei segni. Quello che probabilmente è successo nella scuola fondata da de l’Épée è che i bambini sordi hanno inventato una lingua nuova sulla base del sistema rudimentale di segni che è

stato fornito loro da de l’Épée. Ma il caso francese non è quello meglio documentato di invenzione di una lingua dei segni da parte dei bambini”. A che cosa si riferisce? “In Nicaragua negli anni Ottanta è stata fondata una scuola in cui per la prima volta in quel paese un gruppo di bambini sordi si sono trovati a passare molto tempo insieme e a interagire usando i segni. Nel giro di pochi anni quei bambini hanno inventato quasi da zero una lingua, come testimoniato da molti filmati realizzati dai ricercatori che hanno documentato quel che avveniva nella scuola. Quindi abbiamo una testimonianza unica di ciò che di solito è impossibile vedere in diretta: la nascita di una lingua1”. Non c’è nessun rapporto fra la lingua dei segni locale e la lingua parlata nel territorio, per esempio fra LIS e italiano? “LIS e italiano sono due lingue diverse e non solo per il fatto che una usa il canale acustico e l’altra quello visivo-gestuale. Sono diverse anche sotto il profilo grammaticale. Un esempio: se in italiano dico «Gianni ama Maria» chi mi ascolta capisce che Gianni è colui che ama e Maria colei che è amata. Se dico «Maria ama Gianni» chi mi ascolta capisce che Maria è colei che ama e Gianni colui che è amato. Quindi l’ordine delle parole è importante: se modifico l’ordine cambia il significato. In italiano l’ordine più naturale è soggetto-verbo-complemento oggetto. Anche in LIS l’ordine è importante, ma l’ordine più na-

turale per molti sordi è soggetto-complemento oggetto-verbo. Cioè, per dire che «Gianni ama Maria» in LIS prima articolo il segno che sta per Gianni, poi quello che sta per Maria e infine articolo il segno che sta per il verbo «amare». Ciò detto, come sempre fra due lingue usate nello stesso territorio si verificano fenomeni di «contatto», in base ai quali una lingua influenza l’altra. Succede quindi che certi segni della LIS derivino dall’italiano o da gesti usati dagli italiani mentre parlano. Si tratta, però, di influenza fra due sistemi linguistici separati”.

note 1 Esiste un documentario BBC intitolato Silent Children, New Language che racconta questa esperienza.

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La guerra dei tamponi Il monopolio del mercato degli assorbenti interni sta forse per finire? Un nuovo prodotto, altamente tecnologico e innovativo, potrebbe oscurare una metodologia vecchia di secoli testo di Nicoletta Barazzoni illustrazione di Micha Dalcol

Salute

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Sembrerebbe che, dopo una lunga egemonia, frutto della liberazione femminile (la donna non ha più dovuto ricorrere all’ingombro del fastidioso pannolino esterno), il tampone assorbente stia definitivamente per perdere la sua quota di mercato con l’arrivo della Ladycup®. Da secoli l’assorbente compresso dalla forma aereodinamica è entrato a far parte dell’igiene intima di molte donne, offrendo loro la possibilità di affrontare, senza troppi inconvenienti, il momento transitorio delle mestruazioni. Con questa nuova invenzione ecologica ed economica, diffusasi sul mercato da qualche anno, il successo potrebbe essere assicurato. La coppetta mestruale Ladycup®, assicurano i venditori, è prodotta esclusivamente in silicone anallergico e viene inserita all’interno della vagina come un normale assorbente. La sua forma adattabile permette di raccogliere, nell’apposito contenitore, il flusso. Stando ai produttori la coppetta non dovrebbe (usiamo per prudenza il condizionale) presentare agenti ammorbidenti, lattice, BTA (una sigla che non ci viene spiegata ma che di sicuro non è la Business Transformation Agency e nemmeno la Bicycle Transportation Alliance). Il silicone utilizzato non dovrebbe nemmeno contenere ftalati che sono composti organici dell’acido ftalico. Si garantisce inoltre l’assenza, su tutta la sua superficie, di residui batteriologici. Non assorbendo alcun liquido, la coppetta non dovrebbe alterare l’equilibro vaginale naturale. Proposto in diverse taglie e colori nella collezione I love fruit collection, con coppette rigorosamente contenute in sacchetti in cotone biologico, viene tinto con colori naturali a base vegetale. Il nuovo Per funzionare funziona ma l’accattivante trovata pubblicitaria non ci mette in guardia dall’apparente e innocua promessa commerciale? Perché trasformare un evento naturale come le mestruazioni in una summer plum, sweet strawberry e pink guava? L’idea pare solo un espediente pubblicitario creato per ridicolizzare implicitamente la natura femminile nella sua inimitabile semplicità. Che senso ha paragonare la potenza femminile a una succulenta macedonia (i frutti in pubblicità hanno la loro bella valenza simbolica). Aldilà del fatto che il marchio è regi-

strato nella repubblica Ceca, in Germania e negli Stati Uniti, l’acquisto della coppetta è possibile unicamente online. Il vecchio Sul versante opposto, quello dei produttori di assorbenti interni, si risponde affermando che il tampone garantisce una protezione sicura, igiene e comfort. Qualcuno ha provato a fare chiarezza su come vengono fabbricati questi ultimi, sostenendo che vi sia dell’amianto e del rayon che produce la diossina, quella di Seveso per intenderci, una sostanza chimica altamente pericolosa. Inoltre, il cotone utilizzato per la fabbricazione dei tamponi viene trattato con pesticidi e insetticidi. Su un sito dedicato al vivere etico e vegano troviamo dei chiarimenti interessanti ma piuttosto allarmanti sull’utilizzo dei tamponi che possono causare la sindrome da shock tossico. Come descritto su tutti i foglietti illustrativi dei tamponi, e riportato anche sul sito ufficiale di una notissima azienda produttrice, la sindrome da shock tossico, detta Toxic Shock Syndrome(TSS)èunamalattiararamagrave. È causata dalle tossine prodotte dal batterio Staphylococcus aureus. La TSS mestruale è associata all’uso dei tamponi. È grave abbastanza da indurre persino i fabbricanti di tamponi a riportare questo consiglio: potete anche sostanzialmente eliminare il rischio di TSS mestruale non usando assorbenti interni. In questo palese controsenso leggiamo la stessa strategia pubblicitaria riportata sul retro dei pacchetti di sigarette: il fumo nuoce alla salute, così come usare i tamponi se implicano il rischio di contrarre la TSS. Fabbricanti di sigarette e fabbricanti di tamponi uguale fabbricanti di malattie assicurate? Saranno forse queste le conseguenze dell’aumento della sterilità tra le donne? Sarà colpa dell’uso prolungato di corpi estranei, trattati con ammoniaca e sbiancanti, e delle presunte sostanze chimiche in essi contenute, colpevoli di compromettere la salute della donna e la sua fecondità? Le smentite e le controsmentite sulle presenze chimiche dei tamponi sollevano il dubbio sulla loro immacolata morbidezza e sul loro candore. L’avvento della Ladycup® forse metterà fine all’ormai assuefatta consuetudine dell’utilizzo di questo dispositivo, sempre che davvero riesca a fare piazza pulita di un’invenzione risalente al 1350.


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Vite fuori dal comune

» di Roberto Roveda

Due esistenze, quella di Wladimir Rosenbaum e di Aline Valan- impegno antifascista che, unito al crescente antisemitismo gin, si incrociano nella Svizzera dei primi anni del Novecento. che percorre la società svizzera di quegli anni, costa alla fine a Lui, ebreo sfuggito ai pogrom russi e avvocato di successo, è uno Wladimir il diritto di esercitare l’avvocatura. Per lui inizia allora spirito libero caratterizzato da un anarchismo una fase nuova, si trasferisce ad Ascona, dove innato e indomabile. Lei è una donna sensibile, diventa un importante antiquario e uno degli anticonformista, un’intellettuale inquieta. Stoanimatori della vita culturale della cittadina per ria di due vite, dello storico e scrittore zurighese oltre un quarantennio. Aline, ormai separata dal Peter Kamber, prova a raccontare l’incontro tra marito, segue altre strade e diventa una scrittrice queste due anime straordinarie e inquiete e lo di successo. fa in maniera felicissima lasciando totalmente Gli anni della loro unione sono però quelli sui il palcoscenico ai protagonisti, anzi alle loro quali si incentra il libro, racconto di due vite parole raccolte in pagine di diari e nelle decine fuori dal comune, ma soprattutto coinvolgente di lettere che Wladimir e Aline si scambiano e ritratto di un’epoca, il primo dopoguerra, di scrivono ad alcuni dei protagonisti della culgrande fermento. Politicamente dominata e tura di quegli anni. Per più di un ventennio, incupita dall’affermarsi dei totalitarismi, culinfatti, fino alla vigilia della Seconda guerra turalmente innovativa e liberatoria, segnata mondiale, i Rosenbaum sono una delle coppie com’è dalla musica dodecafonica, dall’arte postpiù in vista di Zurigo e ospitano nella loro avanguardista, dall’affermarsi della psicologia abitazione come nella dimora di villeggiatujunghiana, oltre che da un’inusitata libertà nei Storia di due vite ra di Comologno (Val Onsernone) il gotha costumi e nei rapporti tra i sessi. Un’epoca ecdi Peter Kamber intellettuale e artistico dell’epoca: da Joyce a cessiva e vitale preservata fino a noi negli scritti Armando Dadò editore, 2012 Mann, da Elias Canetti a Ignazio Silone, per di Wladimir e Aline. Scritti che, per usare le citarne solo alcuni. parole di Kamber a conclusione del libro “costituiscono un tesoro Nello stesso tempo i salotti diventano un punto d’incontro della inestimabile del vissuto e della memoria, un archivio umano immenso resistenza al nazismo e al fascismo, sempre più forti in Europa che fa percepire e immaginare come le linee della vita si incrociano, si e pronti a porre solide radici anche nella Confederazione. Un uniscono, si dividano senza che gli uomini si perdano”.

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» testimonianza raccolta da Ludovica Domenichelli; fotografia di Igor Ponti

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Bellinda Wick

Vitae

iniziato a dedicarmi all’insegnamento, felice di poter trasmettere la mia unica grande passione, senza mai smettere di studiare a Milano. Con la nascita di mia figlia Fleana ho smesso di ballare, di esibirmi sul palco e mi sono interamente dedicata alla didattica. Anche se sono passati molti anni dalle mie esibizioni più importanti, ricordo come se fosse ieri l’emozione, la paura di sbagliare che accompagnavano il momento prima di entrare in scena. Non ero mai soddisfatta della mia esibizione, avevo sempre l’impressione che avrei potuto fare meglio. Tra i molti spettacoli, quello che ricordo L’amore per la danza classica la accom- con particolare affetto, fu pagna sin da bambina. Dopo molti anni a Villa Olmo a Como, dove sulle scene, oggi continua a trasmettere partecipai come ballerina accanto ai solisti della radio la sua passione ai più giovani orchestra di Lugano. Ma non posso dimenticare nemmeno Teatri italiani e ho svolto l’esibizione di Madame Butterfly al Lido di il ruolo di protagonista in Lugano o Elisir d’Amore e Don Pasquale sulla molte Operette passate alla piazzetta di Castagnola. televisione italiana. Già da Oggi posso ritenermi soddisfatta del succespiccola mi ero esibita in Tiso della mia scuola, la prima, poi seguita da cino in pubblico, perlopiù molte altre ma che ha sempre tenuto testa in spettacoli di beneficenza, alla concorrenza. Sono invece un po’ delusa spesso accompagnata da mia nel constatare come oggi la danza classica mamma al pianoforte. non venga più considerata un’arte, ma sia Man mano che gli anni pastroppo spesso paragonata a un semplice savano, cresceva dentro di sport. Mi preme sottolinearlo: la danza non me la voglia di aprire una è uno sport, è arte! È una tendenza generale scuola di danza classica a che riscontro anche nelle bambine di oggi, Lugano. Avevo tante amiche diverse di quelle di allora, meno pazienti che avrebbero voluto dedie dedite al sacrificio. La danza viene oggi carsi a quest’arte ma che non considerata come un gioco, un passatempo avevano la possibilità di analternativo per divertirsi e stare tra coetanei. dare a Milano. Un processo L’impegno, il migliorarsi di volta in volta, sograduale, iniziato per gioco no aspetti a cui i genitori stessi non prestano all’età di 13 anni, quando inla necessaria importanza. Il mio augurio è vitavo a casa qualche amica, che in futuro si ritorni a una maggiore disciballavo per loro, insegnavo plina, che è poi la prerogativa fondamentale loro i primi passi e mia mamper ottenere risultati e soddisfazioni. Non ma preparava la merenda per tutti devono diventare professionisti, ci tutte. Di quel periodo serbo mancherebbe, ma credo comunque che se ricordi fantastici. Ancora ogsi intraprende lo studio di una disciplina, gi, quelle ragazzine, sono le qualsiasi essa sia e a qualsiasi età, è bene mie migliori amiche. Essenfarlo con impegno e serietà. Questa è la filodo figlia unica, molto legata sofia della mia scuola, che rispecchia la mia alla mia famiglia e alla mia persona e che per mia grande soddisfazione Lugano, decisi di provare a dal 2000 si avvale anche dei corsi di modern realizzare il mio sogno di jazz dance di mia figlia Fleana. Sono felice e aprire una scuola tutta mia di orgogliosa di averla accanto a me, così come danza classica. Avevo solo 18 mi riempie di gioia vedere la mia nipotina a anni, una piccola sala a Mosoli quattro anni danzare libera e felice. Per lino Nuovo, qualche amica me la danza è l’arte più bella, la mia vita, la aspirante ballerina. Ho così mia passione. Per sempre.

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C

on la danza classica è stato amore a prima vista, un colpo di fulmine. Avevo sei anni e mia madre, pianista diplomata al Conservatorio di Zurigo, mi portò a vedere un’opera al Teatro alla Scala di Milano. Ricordo che il primo tempo mi annoiai parecchio. Chiacchieravo, picchiettavo con i piedi la sedia davanti, a tal punto che mia madre si vide costretta a cambiarmi di posto per non disturbare i nostri vicini. Poi iniziò il secondo tempo con un balletto classico, L’invito al walzer di Weber, ed per me fu folgorazione. Stregata dallo spettacolo, rimasi ammaliata dal movimento armonioso di quei corpi leggeri ed eleganti. Non avevo dubbi: da grande sarei stata una ballerina di danza classica. Nella piccola Lugano di quei tempi, sul finire degli anni Quaranta, non era tuttavia possibile studiare danza classica. Così mia madre decise di farmi seguire dal campione olimpico Giorgio Miez, che mi iniziò alla ginnastica artistica. Lo stesso Miez colse subito la mia naturale inclinazione per la danza e convinse mia mamma a portarmi in qualche scuola fuori cantone. Fu così che iniziai il mio percorso artistico a Ginevra, ad appena otto anni, sotto la guida dei maestri Delly e Willy Flay. All’età di 11 anni cominciò la mia avventura a Milano, dove sotto la guida dell’allora primo ballerino del Teatro alla Scala di Milano Ugo Dell’Ara, ho iniziato a studiare danza in maniera più strutturata. Mia madre mi portava a Milano tutti i giorni. Cambiai diverse volte maestro, sempre primi ballerini della Scala. I miei studi scolastici li ho invece svolti a casa, esaminata regolarmente da un ispettore. La danza era ormai diventata la mia vita, così a 15 anni sono diventata ballerina professionista, entrando a far parte della compagnia di Dell’Ara e Wanda Sciaccaluga. Mi sono esibita in molti


Ritratti Metropolitani #15

P ol ice f orce

Marco

La sessione fotografica numero 15 della serie “Ritratti Metropolitani” è stata dedicata agli agenti del reparto mobile della gendarmeria del Sopra e Sottoceneri che operano nell’ambito del mantenimento dell’ordine pubblico. Una missione tutt’altro che scontata sia per i soggetti sia per chi, in quel momento, si è trovato dietro la macchina fotografica

testo e fotografie di Matteo fieni


Nicola

Q

uel 1. maggio 2011 l’ho organizzato con discreto anticipo. Avevo programmato quasi tutto, ma non sapevo bene cosa mi aspettava e così ho caricato la mia attrezzatura insieme a una buona dose di fiducia sulla vettura presa in sharing. Quel che sarei andato a condividere erano però sensazioni che non conoscevo più dai tempi della scuola reclute, quando contrastanti emozioni dovevano trovare una loro speciale “armonia”, in sintonia con lo spirito cameratesco. Sono infine giunto alla caserma di Bellinzona dove

vengono addestrati i corpi speciali di polizia e militari. Un luogo particolare in cui si respira la tipica atmosfera di queste strutture: reti di cinta, filo spinato, cemento, acciaio, ampie vie di transito e segnaletica ben visibile. La disposizione architettonica pare studiata per distribuire i compiti nel modo più efficace. Tutto in ordine, insomma. Gli agenti del reparto mobile si stavano preparando radunati all'interno di un edificio. In questo spazio così ben organizzato, anche le auto sembrano avere una loro naturale collocazione,


Jean Marc

disposte su lunghe file parallele. Ma non si tratta delle vetture private dei poliziotti. Sono le auto sequestrate che, in molti casi, non hanno neppure i tratti distintivi per essere considerate “svizzere”. Quel parcheggio internazionale mi ha infuso una certa dose di speranza. Nonostante le vetture fossero orfane dei loro padroni, ho deciso che sarebbero divenute parte dello sfondo di quella giornata. Inquadrate in questo modo, possono anche fungere da monito a tutti gli automobilisti, nella speranza che scelgano di spostarsi meno e soprattutto meglio.

Il cielo sopra Bellinzona La tensione era palpabile. L’operazione antisommossa sarebbe iniziata a breve. Via via che il tempo passava, la novantina di agenti sempre più corazzati, si distribuiva in piccole unità. Un responsabile al centro di ogni gruppo impartiva alcune disposizioni. Da automobilista senz’auto propria e soldato d’ospedale ritiratosi anzitempo, dovevo richiamare l’attenzione degli agenti, peraltro riluttanti a essere ritratti. È in questi casi che il lavoro del freelance kamikaze porta a lanciarsi all’inseguimento dell'ultimo obiettivo. Senza rischiare


Stefano

Massimo


Thomas

Matteo


Massimo

l’autodistruzione – anche perché vorrei che la serie proseguisse –, è indispensabile farsi largo tra il generale scetticismo. Il successo in questo caso dipende dallo spiegamento di risorse che si mettono in campo e in quella circostanza le mie uniche armi erano proprio le argomentazioni. A mio favore avevo solo i contenuti, e stava a me trasmetterli. Mi sentivo una mosca bianca, una preda facile anche perché i discorsi qui non attecchiscono facilmente. Non ero uno di loro, era evidente. Senza nulla togliere al mio gentile intermediario, certamente con una “bella bionda” come assistente sarebbe

stato tutto più facile. Evitando, quindi, la maggior parte dei luoghi comuni e nonostante i panni scomodi, mi sono fatto largo. Alla fine, nove di loro hanno accettato di farsi ritrarre. Questa sorta di miracolo me lo spiego filosoficamente: i soggetti fungono anche da “sgombratori” di un cielo nuvoloso e in costante movimento non solo di folle inquiete. Credo che questa serenità contrasti con il ruolo che professionalmente capita talvolta loro di interpretare e ritengo che le fotografie scattate quel giorno trasmettano un buon messaggio, per chiunque.


Elmin

Si ringraziano la Polizia Cantonale (POL) e il Reparto Mobile Mantenimento dell'Ordine (MO) per la gentile collaborazione

Matteo Fieni Nato nel 1976, si diploma nel 2001 all’Istituto Europeo di Design di Milano dove ha studiato fotografia. Inizia la sua carriera artistica con alcuni lavori presentati al festival off di Image Argos Project 2000 (Vevey) e con diverse performance presso la Fabbrica tra cui figura l’esposizione “Realtà rivelata” nel 2003 (Losone). Nel 2007 si iscrive alla Facoltà di Scienze della comunicazione (USI, Lugano). Dal 2010 si sta occupando del progetto “Ritratti Metropolitani” (www.ritrattimetropolitani.ch). Vive a Lugano e lavora presso la Opening da lui fondata nel 2003 (www.opening.ch).


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Sole, Luna e la balena

C’era una volta un uomo che aveva un figlio e una figlia così belli, ma così belli che tutti li ammiravano. Proprio per tale ragione li aveva chiamati Sole e Luna. Dovete sapere che quest’uomo, che di mestiere faceva il calzolaio, aveva il compito di preparare gli stivali al re di quelle terre che viveva al di là del mare. Avendo bisogno di un servitore che fosse di bella presenza ed educato, il sovrano inviò una richiesta al calzolaio di mandargli il suo figliolo, di cui tanto aveva sentito parlare. Il re ebbe subito in simpatia Sole e ne fece il suo paggio di fiducia. Si fidava a tal punto che gli Fiabe aveva assegnato il compito di pulire gli ori e gli argenti di corte. Tutti i giorni Sole si recava nella sala del tesoro e, straccio e olio di gomito, si dava da un gran da fare per far risplendere le ricchezze del re. Appeso al muro della stanza c’era il ritratto di una dama, tale e quale a sua sorella Luna. Un giorno, incuriosito, chiese al re chi fosse quella donna. “Perché lo vuoi sapere, figliolo?” gli domandò il re. “Solo un’altra donna ho visto di pari bellezza” “E chi sarebbe questa donna?”. “Ma mia sorella Luna!”. “Se davvero tua sorella è così bella, sono pronto a sposarla

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trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Céline Meisser

subito. Dovrai farla venire a corte affinché io possa controllare che quello che dici è vero” “Non vi mentirei mai. Luna è la ragazza più bella che mai si sia vista sulla faccia della terra. Ma io la farò venire solo se mi promettete che la sposerete”. Il re, che di Sole si fidava ciecamente, gli giurò solennemente che l’avrebbe sposata.

Luna

viveva in compagnia di una balia e di sua figlia, una ragazza brutta e antipatica. Quando alla balia, che era una perfida megera, giunse l’ordine di accompagnare oltre mare la ragazza, venne un’idea davvero malvagia. “Sai che facciamo…” disse alla sua figliola, “quando siamo in mezzo al mare la buttiamo di sotto dal bastimento e così sarai tu a sposare il re. Non è possibile che questa smorfiosa diventi regina solo perché è bellina…” E così, mentre attraversavano il mare in piena notte, la megera e sua figlia diedero una bella spinta a Luna che cadde fra le onde. Fortuna vuole che di lì passasse una balena che vista la poverina in difficoltà, la nascose nella sua pancia. Quando il re vide scendere dalla nave la megera con la sua orrenda figliola si arrabbiò con Sole. “Mi hai mentito ma te ne pentirai. Io manterrò


la promessa data e sposerò tua sorella, ma tu diventerai il guardiano dei porci”. “Ma non è possibile… quella non è mia sorella”, cercò di ribattere Sole. “Era bella e ammirata ma una malattia l’ha rovinata”, si intromise pronta la megera. Insomma, il giorno stesso Sole fu mandato al porcile. Tutti le mattine, con il cuore pesante e le lacrime agli occhi, il povero ragazzo accompagnava i suoi maiali a grufolare lungo la spiaggia. “Ah, se solo potessi attraversare il mare per sapere cosa ne è stato della mia povera sorella”, pensava fra sé. Un giorno, quando mancava meno di una settimana alle nozze, mentre se ne stava seduto sulla spiaggia a guardare sconsolato i suoi maiali, udì una voce provenire dal mare: “Oh mio dolce fratellino, non ti disperare. Il giorno delle nozze vieni qui e mettiti a cantare”. Riconosciuta la voce di sua sorella, Sole ritrovò la fiducia e tornato alla sua stamberga, si diede una bella lavata, raccolse i pochi danari che gli erano rimasti e corse da un sarto per far preparare un vestito da sposa. “Figliolo”, gli disse il sarto, “come faccio a fare il vestito che mi chiedi senza poterlo provare? E poi questi soldi bastano a malapena a cucire un calzino”. “Non vi preoccupate”, disse Sole. “Si tratta un segreto. È per la futura regina e se le piacerà, farà di voi il sarto di corte”. Udite quelle parole da un giovane così bello e simpatico, il sarto si convinse e si mise immediatamente all’opera. La mattina delle nozze Sole si recò alla spiaggia con i maiali e il vestito finito dal sarto. Subito intonò la canzone che gli aveva insegnato tanto tempo prima suo padre. Come si sa, le balene sono assai sensibili al canto e uditi quei suoni

così dolci e armoniosi, l’animale, incuriosito, salì in superficie e per la meraviglia aprì la bocca. Luna allora saltò fuori e corse ad abbracciare il fratello. Indossato l’abito da sposa, insieme a Sole e seguita da un corteo di maiali, la ragazza fece il suo ingresso in città. Il re, che pieno di tristezza si stava preparando per le nozze con la figlia della megera, udì dalla finestra un gran baccano: l’intera popolazione si era accodata al corteo, che guidato da Sole e Luna e dai maiali, si dirigeva verso il palazzo reale. “Guardie”, urlò allora il re furente, “fermate questo scempio!”. Ma i soldati erano talmente intimiditi dalla bellezza di Luna che non ebbero il coraggio di intervenire. Il re allora scese per vedere di persona cosa stava accadendo e trovatosi di fronte alla fanciulla rimase come impietrito. “Ecco, mio sovrano. Questa è mia sorella Luna, non quella che credevate voi!”, annunciò Sole. Il re si inchinò e baciata la mano a Luna, si scusò con il paggio per non avergli creduto. Poco dopo furono celebrate le nozze e Sole fu nominato consigliere speciale di corte. Ah, dimenticavo… la megera e sua figlia furono catturate dalle guardie mentre cercavano di scappare da una finestra. Il re salvò loro la vita ma come punizione le mandò a sorvegliare i maiali…

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La casa bio Tendenze p. 48 | di Francesca Ajmar

Solo una ventina di anni fa, la bioarchitettura rappresentava un settore di nicchia che cominciava a proporre soluzioni concrete al problema della “sostenibilità” in architettura. Oggi invece molti paesi stanno introducendo normative nell’ambito delle costruzioni tali da incentivare l’utilizzo di elementi di bioarchitettura, sia per quanto riguarda l’orientamento dell’edificio e dei locali, sia per i sistemi impiantistici e per la scelta della coibentazione. Troviamo le radici di questo penL’architettura siero già all’inizio dell’Ottocento e il socialismo grazie ad alcuni architetti, in utopistico prevalenza inglesi, francesi e statunitensi, spesso legati al movimento dei “socialisti utopisti”, che, a seguito delle conseguenze tangibili della rivoluzione industriale sull’uomo e sull’ambiente, pensarono e misero in atto alcuni principi urbanistici che si rivelarono la fortuna e la salvezza di città oggi immense come Londra, Parigi e New York. Alcuni villaggi operai progettati e realizzati da Robert Owen, Ebenezer Howard e più tardi da Tony Garnier, sono tuttora studiati e presi a modello per la loro capacità di autosussistenza (una sorta di autarchia) e la creazione di servizi per gli abitanti mai pensata prima di allora, oggi presupposto fondamentale delle società civili ed evolute. Frederick Law Olmsted, paesaggista statunitense, e Calvert Vaux, architetto inglese, realizzarono il progetto per Central Park, aperto nel 1856. Per Olmsted il parco, oggi polmone verde di New York, era “uno sviluppo democratico di altissimo livello”. In lui troviamo quindi l’espressione del concetto di livello di democrazia abbinato alla qualità dei servizi offerti alla cittadinanza, principio che dovrebbe sempre essere garantito dalle leggi urbanistiche. Per avvicinarci ai nostri tempi, alla fine degli anni Sessanta, il Club di Roma espose le proprie teorie riguardo alla necessità di fronteggiare il consumo esponenziale di risorse naturali ed energetiche attraverso una politica di “sviluppo sostenibile”. Jeremy Rifkin, economista statunitense, riprendendo le tesi del Club di Roma, pubblica nel 1980 “Entropia”, che diverrà una sorta di manifesto del pensiero ambientalista.

Il principio della sostenibilità sta diventando una conditio sine qua non nell’ambito della progettazione contemporanea. Un percorso di ricerca e di pensiero che arriva da lontano Questi concetti che a quei tempi erano guardati da molti con circospezione, come se partoriti da un piccolo circolo di fanatici, oggi sembrano essere invece l’unica strada percorribile di fronte a segnali allarmanti che arrivano dal nostro pianeta in affanno. È indubbio che nell’opinione pubblica stia cambiando l’atteggiamento nei confronti dell’ambiente e dei consumi energetici, sia per una questione di riduzione dei costi da sostenere, che per un concetto ambientalista, appunto, in cui la scelta di ogni singolo individuo incide poi a livello globale. Lo scorso 22 aprile ricorreva la Giornata Mondiale della Terra, con la partecipazione quest’anno proprio di Jeremy Rifkin e di Vandana La forza dei Shiva, attivista e ambientalista movimenti indiana. Earth Day, nata a San e del pensiero Francisco nel 1970 quando 20 milioni di americani parteciparono a una storica manifestazione, si pone l’obiettivo di sensibilizzare sempre più l’opinione pubblica verso la sostenibilità ambientale. La mobilitazione di un miliardo di persone appartenenti a 175 paesi differenti fa sì che questi eventi non possano più essere sottovalutati dai leader mondiali, a cui viene chiesto fermamente di promuovere le energie rinnovabili e la ricerca nei confronti del risparmio energetico. Un altro appuntamento ormai imperdibile, soprattutto nell’ambito della bioarchitettura, è Ecobuild: manifestazione nata nel 2004 nel Regno Unito, è diventata rapidamente la maggiore fiera a livello mondiale sull’ecosostenibilità nell’edilizia, nel design, nell’architettura e nell’energia. Quest’anno, dal 9 al 12 aprile, per la prima volta si è svolta con grande successo a Shanghai, sottolineando l’importanza che i paesi asiatici hanno oggi anche in questo settore. Il lento e progressivo interesse verso questa filosofia progettuale, ne ha accresciuto nel tempo l’autorevolezza e ne ha consolidato l’efficacia. Concludiamo citando le parole di Mario Botta, pronunciate in una recente ed estesa intervista di Marco Alloni pubblicata da Casagrande: “Dobbiamo re-imparare a costruire bene, in modo corretto, e non solo ad assemblare parti”.


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Cogliete la fortuna senza esitazioni, soprattutto tra il 20 e il 23 di maggio. Non tergiversate come al solito, potrebbe presentarsi la grande occasione. Sviluppo di amicizie al femminile tra il 24 e il 25 maggio.

Vivete cavalcando senza riserve le emozioni provenienti dal profondo. Possibili disguidi sul lavoro e con i colleghi. Favorite le relazioni con l’Acquario e la Bilancia. Fase di scontro con il segno della Vergine.

Opportunità professionali tra il 20 e il 24 maggio per i nati nella terza decade. Il calore e la confidenza che mettete nelle comunicazioni fa sì che gli altri credano in voi e rispettino la vostra sincerità.

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Momento ideale per affrontare un concorso o prepararsi a un esame. Sbalzi umorali per i nati nella terza decade. Con Giove in quadratura ogni contraddizione tra l’essere e l’avere si evidenzia più del solito.

Fine mese segnata da cambiamenti importanti per quanto riguarda la sfera professionale. Avanzamenti di carriera e nuova attività con un paese estero. Sport e attività agonistiche. Scaricate ogni stress.

Aprite le porte a un amore antico. Incontri tra il 20 e il 23 maggio. Novità in arrivo con l’ingresso di Mercurio nell’amico segno dei Gemelli. Possibile inizio di un’attività professionale di tipo associativo.

Aumento degli appetiti sessuali: con Venere retrograda in ottava casa solare e Giove in opposizione non è facile controllare i propri desideri. Non trattenete le emozioni. Possibili spirali masochistiche.

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Fine mese caratterizzato da un forte incremento degli scambi comunicativi. Con Mercurio in opposizione è però necessario che gli obiettivi mentali si sincronizzino con i desideri espressi dal cuore.

Successi professionali. Colpi di fulmine con Acquario e Bilancia. Date spazio al desiderio di divertimento. Evitate però di perdere tempo: fate le vostre scelte, altrimenti i cambiamenti avranno il sopravvento.

Esperienze tantriche incoraggiate dai forti passaggi di Saturno e Venere. Favorito l’incontro con il segno dei Gemelli o del Leone per la giornata del 25 maggio. Passo decisivo per i nati nella terza decade.

Grazie al sestile con Giove potrete ricavare importanti vantaggi dal mondo della comunicazione e delle relazioni esterne. Favoriti i nati a fine segno in concorsi ed esami. Beghe familiari per i nati in febbraio.

» a cura di Elisabetta

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Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 22

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 24 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 22 mag. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Il lungo naso dell’elefante • 10. Un personaggio dell’Otello • 11. La Ville Lumière • 12. Stazione radio • 13. Sponde • 14. Fu cacciata dall’Olimpo • 16. Gravoso, pesante • 18. Nel centro di Roma • 19. I confini di Comano • 20. Danno un punto a scopa • 21. Raganella arborea • 23. Il regista de’ “Il quinto elemento” • 25. Inspirare • 28. Mezza gara • 29. Vetusta • 30. La solita rima per amor • 31. Incapace • 33. La secreta il fegato • 34. L’ha moscia il bleso • 36. Dittongo in giada • 37. Si porta in spalla • 39. Uno detto a Zurigo • 41. Fiaccarono Annibale • 42. Consonanti in tuono • 43. Veicolo pubblico • 45. Vi sbarcarono gli anglo-americani • 47. I confini di Tegna • 48. Italia e Austria • 50. Vocali in grossa • 51. Abietto • 52. Cattive. Verticali 1. Il mattatore de’ “Il Sunday Show” • 2. Un gioco con le carte • 3. Parti dei cannoni • 4. Fernando, pittore e scultore colombiano • 5. Contraddistingue la gioventù • 6. Se abbaia, non morde • 7. Ispida • 8. Consiglia ipocalorie • 9. Breve esempio • 15. Effondere • 17. Stoffa grezza • 21. La fine di Aramis • 22. Il Lucio Sergio, politico romano • 24. Dubitativa • 26. Nessuna Notizia • 27. La tiene... la modella • 30. Complessi canori • 32. Rimorchio • 35. Istituzioni • 38. Si rende al merito • 40. Ha per capitale Teheran • 44. Il nome della Martini • 46. Imperava in russia • 49. Le iniziali della Magnani.

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Soluzioni n. 18/19

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Come già annunciato nello scorso numero di Ticinosette, a causa di un errore nel cruciverba apparso sul n.18 mancavano le cifre colorate che permettono di scoprire la parola chiave. Per questo motivo il gioco è stato riproposto nella forma corretta sul n. 19 di Ticinosette. Il nome del vincitore apparirà dunque sul n. 21 in edicola la prossima settimana.

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La parola chiave è:

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