Ticino7

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№ 22

del 1. giugno 2012

con Teleradio 3–9 giugno

Strutture sanitarie

Il fronTe deI coSTI

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Ticinosette n° 22 del 1. giugno 2012

Agorà Verso una sanità solo “economica”? Media POESTATE . Il fiore della poesia Arti Glenn Branca . Sinfonie urbane

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Ambienti Flora . Profughe verdi in città Vitae Igor Ezendam

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Gaia GRimani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

GiancaRlo FoRnasieR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Kronos Spinoza . Il principe dei filosofi Luoghi Brera . Tra passato e futuro

FRancesca RiGotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di

steFano GueRRa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

valentina GeRiG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

nicoletta baRazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Una vita da open-air Fiabe Ruski, il clandestino

di

testo e FotoGRaFie di

sabine cattaneo. . . . . .

Giulio caRRetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Mamma sì, ma over 40

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4 6 8 9 10 12 14 43 50 52 54 55

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

PatRizia mezzanzanica . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Verde sì, ma naturale... La progettazione di città sempre più verdi, con spazi accessibili a tutti, e una mobilità lenta e rispettosa in particolare dei pedoni, sono tra le priorità di tutti gli amministratori cantonali e comunali . O così dovrebbe essere . In ballo non vi è solo un tessuto cittadino maggiormente variegato e dunque più ricco e urbanisticamente interessante; il verde in città significa qualità di vita e spazi di riposo e d’aggregazione gratuiti . Anche dove esistono e sono state risparmiate, però, le aree verdi pubbliche presentano sovente una sorta di “omologazione delle specie”: stesse piante, stesse aiuole, stessi fiori . . . il “solito” prato verde, basso, regolare, pulito, fitto . Appagante . Poco più di un campo da golf, insomma . Non è un caso dunque se in questo numero proponiamo il secondo contributo dedicato alla flora urbana a firma di Stefano Guerra, dando così seguito a un articolo già apparso su queste pagine (“Tesori fra i rifiuti”, Ticinosette n .17/2012) . Se in quell’occasione il giornalista affrontava il tema delle discariche e della vegetazione che le abita, questo secondo appuntamento è dedicato alla biodiversità troppo spesso latente nei parchi pubblici, “sterilizzati” da una visione di arredo urbano omologata e costantemente sottoposta a cure quasi maniacali . Come ricorda Guerra nel suo contributo, questa interpretazione del giardino ha radici lontane (seconda metà del XIX secolo) e nella nostra regione ben aderisce a quel concetto di “città per stranieri a sud delle Alpi” e che dunque doveva incontrare – in particolare dal punto di vista estetico – i favori del popolo dei turisti, “benestanti e perlopiù metropolitani provenienti dal nord” . Da allora ben poco è cambiato, anche se il neonato dibattito su una possibile demolizione del grigio Palazzo dei Congressi di Lugano – a favore di un allargamento del parco adiacente – mostra un certo fermento, civile e politico (almeno di intenti) . Buona lettura, Giancarlo Fornasier

Impressum Chiusura redazionale 25 maggio 2012 Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Direttore editoriale Peter Keller Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir

Tiratura controllata 70’634 copie Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt .ch www .ticino7 .ch issuu .com/infocdt/docs

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Verso una sanità solo “economica”?

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Agorà

Dall’inizio del 2012 è entrato in vigore nel nostro paese un nuovo sistema di finanziamento delle cliniche e degli ospedali, non più basato sulla reale durata della degenza ma su rimborsi calcolati in maniera forfettaria. Una riforma concepita per razionalizzare e controllare i costi della sanità, che però rischia di avere delle conseguenze sulla quantità e la qualità della cure erogate di Roberto Roveda

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ino alla fine dell’anno scorso vigeva nella Confederazione, nell’ambito del finanziamento ospedaliero, il “pagamento all’atto”. Prevedeva, tramite uno specifico tariffario, una remunerazione per ogni singola prestazione fornita ai pazienti. A partire dal 2007, però, il legislatore federale ha avviato lo studio di una riforma del sistema di finanziamento ospedaliero con l’obiettivo di rafforzare la misurazione e la sorveglianza in tempo reale degli interventi ospedalieri e assicurarne, così, la massima trasparenza. Un modo per razionalizzare i costi, contenere gli sprechi e gli abusi e richiamare alle proprie responsabilità chi non raggiungesse gli obiettivi stabiliti. Il nuovo sistema è entrato in vigore all’inizio di quest’anno: ogni degenza ospedaliera è attribuita a un gruppo di “casi-diagnosi”, il cosiddetto DRG ed è onorata in maniera forfettaria sulla base di criteri diversi, quali la diagnosi principale, quelle secondarie, le procedure eseguite, l’età e il sesso del paziente, la gravità della patologia.

Il sistema DRG Il sistema DRG (l’acronimo di Diagnosis Related Group, Gruppo correlati di diagnosi, ndr.) permette di classificare i pazienti degenti in gruppi omogenei rispetto alle risorse di cura di cui necessitano, attribuendo loro un valore relativo (detto cost weight) che corrisponde alle risorse necessarie rispetto ad altri gruppi omogenei. Mediante i cosiddetti codici DRG, a ogni gruppo omogeneo è attribuita una lunghezza di degenza, la cui media è calcolata con i dati forniti da un campione di ospedali. I codici DRG sono attribuiti da chi li codifica sulla base delle diagnosi e degli interventi operatori documentati nel rapporto medico finale

relativo alla degenza del paziente. Quando si fattura, si moltiplica il valore dei DRG di un singolo paziente per la tariffa di riferimento dell’ospedale, negoziata con chi finanzia la prestazione (gli assicuratori-malattia), tariffa che dovrebbe rispecchiare il costo delle risorse impiegate per la cura dei pazienti, diviso per la somma dei loro valori relativi. Insomma un sistema piuttosto complesso, che attiene più alla statistica e all’economia che alla medicina e di cui vogliamo parlare con il professor Roberto Malacrida, primario di medicina intensiva all’Ospedale Regionale di Lugano e professore di Etica alle Università di Ginevra e di Friborgo. Professor Malacrida, per quale ragione è stato introdotto il sistema dei DRG e che vantaggi dovrebbe portare, almeno secondo il legislatore? “Vede, il vecchio sistema di remunerazione denominato «pagamento all’atto» non prevedeva alcun stimolo economico a operare in modo efficace, ossia a selezionare soltanto quelle prestazioni che si ritengono appropriate per la cura del paziente. Il problema che si voleva risolvere non riguardava l’efficienza o meno delle strutture ospedaliere e delle cliniche: l’efficienza è fare le cose nel modo giusto, l’efficacia è fare soltanto le cose giuste. L’ospedale poteva farsi rimborsare tutte le prestazioni, anche quelle inutili, perché la concorrenzialità in sanità è malfunzionante. Fortunatamente, sotto certi aspetti, perché il terreno delle contese riguarda anche gli ammalati e non soltanto gli affari economici-finanziari e alcuni monopoli nel settore pubblico potrebbero perfino essere vantaggiosi per gli stessi utenti. Inoltre il paziente era libero da preoccupazioni finanziarie considerata la quasi totale copertura assicurativa. Anche l’introduzione della «diaria» (tetto delle


spese fissate per una determinata degenza) non aveva migliorato la situazione perché l’ospedale poteva aumentare artificialmente la media (prolungando degenze non proprio necessarie) e quindi le proprie entrate. I vantaggi attesi dall’introduzione dei DRG derivano dall’ipotesi che la diversa ripartizione del rischio finanziario e la possibilità di usufruire dei margini di guadagno porterebbe al contenimento dei costi e all’aumento dei ricavi soprattutto mediante una migliore efficacia delle cure, razionalizzandone i processi all’interno degli ospedali svizzeri”. Viceversa, quali rischi comporta questo nuovo sistema per i medici e soprattutto per i pazienti? “Il problema più delicato riguarda la qualità e l’equità delle cure perché i DRG potrebbero scoraggiare la cura ottimale dei pazienti che costano più del ricavo associato o incoraggiare interventi operatori non necessari se i costi attesi fossero minori. Potrebbero favorire una cura inutilmente più intensiva per aumentare la severità delle diagnosi e quindi il rimborso relativo, ma soprattutto potrebbero spingere gli amministratori ospedalieri a indurre i medici a dimissioni «precoci» di pazienti costosi, ma particolarmente vulnerabili come per esempio i grandi anziani, con il rischio di riammissioni ripetute oppure oberando di cure domiciliari i servizi non ancora pronti per assorbire tali oneri di cure complesse. Gli studi internazionali effettuati negli ultimi trent’anni permettono di prevedere una durata delle degenze più corta, senza poter differenziare se tale risultato sia dovuto ai DRG o al progresso delle indagini tecnologiche e, pure, un maggior volume di servizi offerti in servizio ambulatoriale. La mortalità dei pazienti sembra restare invariata e si dovranno attendere i dati svizzeri disponibili fra qualche anno per capire se il cambiamento sia stato inutile o, attraverso una migliore trasparenza dei dati e una migliore gestione dei costi si potrà registrare un qualche vantaggio finanziario rispetto all’attuale esplosione dei costi della medicina ospedaliera”. Quali categorie di pazienti avranno più svantaggi da questo sistema? “I pazienti con un’instabilità clinica al momento della dimissione dall’ospedale – non soltanto gli ammalati anziani o quelli con prognosi delicate – corrono il rischio di subire l’effetto chiamato quicker and sicker, caratterizzato da un alto tasso di riammissioni in ospedale dovuto a una precedente dimissione troppo precoce per limitare le spese. Un’altra categoria «a rischio» è quella dei pazienti con diagnosi particolarmente «redditizie», che vengono selezionati allo scopo di migliorare il rendimento dei DRG, non rispettando quindi il principio di appropriatezza delle cure. Questi pericoli sono presenti sia nelle strutture private sia in quelle pubbliche, perché se per il privato è importante creare benefici finanziari, per il pubblico

sarà altrettanto importante economizzare al massimo per restare concorrenziale. E nella sanità, la concorrenzialità economica può andare a discapito dei cittadini, soprattutto di quelli non particolarmente benestanti. Per queste ragioni, con l’introduzione dei DRG, l’Accademia svizzera delle scienze mediche e la Commissione nazionale di etica preconizzano la messa in atto di studi che focalizzino, oltre alla prognosi dei pazienti, anche i temi della soddisfazione dei curanti, il tempo dedicato ai colloqui con gli ammalati e i loro familiari, i possibili conflitti d’interesse e l’accesso al sistema sanitario per determinati gruppi di pazienti a rischio”. Quali vantaggi hanno acquisito gli assicuratori malattia in questa nuova situazione, soprattutto rispetto alla conoscenza dei dati riguardanti le diagnosi dei pazienti? “Per poter introdurre gli SwissDRG, gli ospedali hanno dovuto negoziare nuove convenzioni tariffarie con le casse-malati. Questi accordi contengono, in particolare, le regole per la trasmissione di dati dei pazienti agli assicuratori-malattie, informazioni che devono essere conformi al principio della proporzionalità (in teoria, quindi dovrebbero fornire soltanto informazioni assolutamente necessarie alla corretta fatturazione) e, soprattutto, non devono violare il segreto medico. La scorsa estate, gli Ospedali svizzeri e gli Assicuratori-malattia hanno cercato di concludere una convenzione nazionale che prevedeva l’invio sistematico di dati dettagliati sullo stato di salute dei pazienti agli assicuratori assieme alla fattura, così da permettere loro un controllo puntuale della correttezza dei dati forniti dagli ospedali. Tale procedere avrebbe irrimediabilmente compromesso il principio del diritto alla difesa della privacy degli ammalati e, in un certo senso, avrebbe minato anche il sacrosanto segreto medico. L’indignazione dei medici è stata fortunatamente grande, suscitando la reazione, risentita e vigorosa, della FMH (la Federazione dei Medici Svizzeri), di Privatim (l’Associazione nazionale degli incaricati della protezione dei dati), di varie associazioni di pazienti e di consumatori e, pure, dei membri del Parlamento del nostro cantone. Lo scorso dicembre, cercando un compromesso, il Parlamento federale ha approvato una modifica della LaMal (la Legge federale sull’assicurazione malattie) che autorizza la trasmissione sistematica della diagnosi e delle procedure ma soltanto in forma codificata: cosa significherà concretamente, lo dirà il Consiglio federale, che sta redigendo la necessaria ordinanza di applicazione, che dovrà in ogni caso rispettare il principio della proporzionalità. Tengo però a chiarire una cosa: in futuro, sarà sempre più importante che tutti i curanti – medici e infermieri – siano pronti a indignarsi se le logiche di mercato economiche-aziendali mettessero a rischio la protezione della privacy dei nostri pazienti e il segreto medico: occorrerà essere a fianco dei nostri amministratori ospedalieri per meglio resistere ai ricatti degli assicuratori-malattia”.

Contusione, strappo, distorsione?

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Agorà

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Il fiore della poesia Unico nel genere in Svizzera, POESTATE è un festival che nasce a Lugano nel 1997 per volontà di Armida Demarta. Una manifestazione di successo che ha contribuito a ravvivare l’interesse per la poesia e la letteratura nel nostro cantone testo di Gaia Grimani illustrazione di Micha Dalcol

Media

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Armida Demarta, lavora alla RSI dalla metà degli anni Ottanta, dapprima in televisione, e in seguito per più di due decenni, ai microfoni della radio. È così diventata una delle voci più popolari della radio di lingua italiana nonché autrice di numerosi programmi, nuovi format e produzioni. Da anni collabora anche con la città di Lugano con idee e progetti innovativi. Fra questi risalta in particolare POESTATE che, a partire dal 1997, ha contribuito a dare origine a un inaspettato movimento culturale, attivando canali di incontro e di conoscenza a tutti i livelli, aprendo la via a un evento nuovo, inedito e a una formula di gran successo. Abbiamo intervistato Armida Demarta poco prima dell’inizio della sedicesima edizione del festival per conoscere più da vicino uno straordinario progetto e un punto fermo nella vita culturale della città di Lugano e dell’intero canton Ticino. Quando e come nasce il Festival POESTATE? “Nasce nel 1997, una serata d’estate sul lungo lago di Lugano, in Rivetta Tell. Fu un momento indimenticabile, illuminato dalla luna piena, il sole (logo di POESTATE) e la luna giocavano in versi. La poesia, in quel momento, era chiusa in un noioso angoluccio clubbistico e segregata in scaffali nascosti e impolverati, così l’ho liberata insieme ai suoi poeti, come ha fatto la mia omonima nella Gerusalemme liberata del Tasso. Anni fa ho aperto la via. Ora tutti propongono incontri di poesia, l’attività poetica è aumentata, favorendo anche il mercato editoriale che sta incrementando le tirature, con più spazio agli autori. Nel contempo ho creato un nuovo concetto di festival con una formula multipolare e multidisciplinare. È stata dura, ma sono andata avanti come un panzer e così eccoci qua, con un gran bel festival in piena forma progettuale e di successo”. A proposito di formula progettuale con quale criterio vengono elaborate le scelte? “La formula che ho creato è segreta… Scherzi a parte, il festival è qualcosa di unico nel suo genere. In diversi hanno tentato e continuano a tentare a più riprese di copiarne la formula, ma senza successo perché l’originale ha strategie e dinamiche molto particolari che non rientrano nei soliti clichè”. Allora tentiamo di cambiare domanda: che iter ha seguito, da cosa sono state determinate le sue scelte e quali difficoltà ha dovuto affrontare? “La sfida è stata quella di mettere insieme livelli ed espressioni

diverse e poi una regia molto accurata e strategica, tanto che POESTATE non finisce mai nella sua edizione, ma è diventato un polo e un movimento culturale straordinario. Eccezionale, direi, se pensiamo che oggigiorno la cultura è spesso in mano a faccendieri e affaristi che, con sovvenzioni milionarie, di cui non gode POESTATE, riescono tuttavia al massimo a mettere insieme delle sagre di salsicce culturali e nulla più. Le difficoltà maggiori sono state quelle di riuscire a filtrare, nonostante un ambiente così chiuso, la mancanza di sostegno finanziario a potenziamento del progetto che negli anni segnava una straordinaria crescita, e infine il mancato sostegno mediatico per la visibilità”. Che cosa l’ha indotta ad affrontare con coraggio tutto questo e quali sacrifici le ha imposto? “A Lugano in quegli anni mancava un festival di poesia e, soprattutto, non esisteva un festival di carattere multidisciplinare a più livelli. Da una ricerca mi ero accorta che, addirittura, mancava proprio in tutta la Svizzera, ma anche in Italia: infatti, POESTATE è nato un anno prima di un noto festival italiano e di altri a seguire. Lugano ora ha un fiore all’occhiello che ha portato grande prestigio sia alla città sia al cantone. Se poi pensiamo che nel mondo d’oggi sta crollando tutto quanto è antipoetico, questo festival è una sorta di arca che salva poeti e poesia. Non è roba da poco! Ciò ha richiesto tanti sacrifici, faticare tutto l’anno nel tempo libero, rinunciare alle vacanze per lavorare, per di più gratis, per la sola passione. Andare avanti così per anni e anni è pesante, ma sono una combattente e non mollo”. Come si svolge la sua attività attuale e in cosa consiste? “Mi occupo di tutto, dall’organizzazione alla direzione artistica, dai lavori d’ufficio alle relazioni pubbliche, incluse quelle istituzionali, dal pubblico al privato, dai piani di lavoro alle operazioni di marketing, dal coordinamento del personale agli artisti. Beh diciamo che le difficoltà e il carattere coriaceo, mi hanno permesso di accumulare una notevole esperienza a 360° gradi”. Con POESTATE lavora e incontra molte persone, cosa le rimane alla fine di ogni edizione? “La fantastica rete di collaborazioni e di incontri che ho messo in piedi sta creando un vero e proprio movimento culturale e questo è di grande soddisfazione. E poi lascio molta libertà di collaborazione e di confronto, così alcuni non solo vi partecipano, ma a volte lavorano alla realizzazione alle proposte. Alla fine di ogni edizione rimane tanta stanchezza, ma anche tanta soddisfazione”.


Xi Murong

Quali sono gli appuntamenti da non mancare in questa sedicesima edizione? “Risposta difficilissima con 88 ospiti in tre serate tra poeti, scrittori, perfomer e altre decine di iniziative interessanti. Mi sembra però giusto segnalare alcune presenze ed eventi straordinari, come Corrado Augias, la poetessa cinese Xi Murong, la presentazione del libro Max Frisch arriva in Cina, il Premio alla carriera al poeta Giancarlo Majorino e la probabile partecipazione del grande Evghenij Evtushenko. Chiunque voglia però scorrere il programma per intero, lo troverà sul sito www.poestate.ch”. Che evoluzione futura prospetta o auspica per il festival? “Se arriva l’atteso sponsor e la buona copertura mediatica, allora

si potrà pensare di realizzare molti progetti rimasti nel cassetto insieme a una lista di grandi nomi ancora tutti da invitare, un elenco di giovani emergenti da promuovere, una bella schiera di persone da mettere al lavoro, dando loro un’occupazione. Per non parlare di straordinarie produzioni ferme. Sono anni che desidero potenziare questo progetto sia sul fronte della produzione, sia su quello del lavoro, ma c’è bisogno di sostenerlo… non si può vivere di briciole come i piccioni. Ma magari, nel futuro, gira il vento e gira la ruota... Non bisogna però dimenticare che è il pubblico il cuore del festival, la misura del suo successo ed esso è sempre stato in continuo aumento. È l’augurio che mi faccio anche quest’anno: di poter incontrare tante persone, di poter stringere tante mani e di poter applaudire straordinari ospiti!”.

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Sinfonie urbane Musicista e compositore, Glenn Branca ha profondamente segnato la scena musicale alternativa sin dalla seconda metà degli anni Settanta. Traghettando definitivamente la chitarra elettrica dal punk-rock al rumoroso furore dell’inferno di Giancarlo Fornasier

Arti

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Ai lettori più giovani il nome del newyorkese Glenn Branca, classe 1948, non dirà forse molto. Più noti agli estimatori del rock rumoroso e sperimentale sono invece una sua indiretta emanazione, i Sonic Youth. Chi conosce o ha minimamente approfondito la discografia del quartetto guidato dai funanboli delle sei corde, Thurton Moore e Lee Ranaldo, di certo avrà nella sua personale discografia quel sensazionale primo miniLP (Sonic Youth, 1981) apparso per l’allora neonata casa discografica Neutral. Ebbene, se quel capolavoro minimalista è stato stampato lo si deve alla volontà di Glenn Branca (sua era infatti l’etichetta). Branca vide i Sonic suonare dal vivo proprio nel giugno del 1981; si erano formati da pochi mesi e il palco del Noise Fest di New York mostrava una band impegnata in una ricerca anomala, “un incrocio di Black Flag e Throbbing Gristle”1.

Girls) non seppero mai mostrare su disco la complessa carica concettuale e decostruzionista degli intenti più viscerali del loro fondatore. Meglio andò con i lavori prodotti a partire dal 1980 per la 99 Records: sia il 12 pollici Lesson no. 1 sia il successivo e più esteso Ascension – esaltante e torrenziale il brano “Lightfield (In consonance)”, con trilli e cascate di note – mostrano un Branca conscio delle potenzialità del suo approccio frontale, quasi al limite del muro sonoro e del dolore per l’ascoltatore. Sono composizioni che definiscono il suo marchio di fabbrica: lo scontro di dissonanze create da chitarre diversamente accordate, un labirinto di variazioni minime e contrappunti. In entrambi i lavori spicca il nome del fedele Lee Ranaldo, che farà buon uso dell’esperienza maturata sia con i Sonic Youth (Bad moon rising, 1985) sia nei suoi lavori solisti (From here to infinity, 1987).

La “No Wave” americana 1981: la prima “sinfonia” Ma i rapporti tra i primi Sonic Youth Tra il 16 e il 19 luglio del 1981 Glenn e Branca hanno radici più profonde. Branca registra presso il Performing La copertina di Lesson no. 1 (for electric guitar), 1980 Il primo vero disco del quartetto Garage di New York il primo di una americano (Confusion is sex, Neuserie di lavori noti come “Sinfonie”: tral, 1983; un lavoro ancora oggi assai ostico e spigoloso) sarà 16 strumentisti, almeno 6 chitarre, 2 trombe e un set di percusinfatti sempre influenzato da Glenn Branca, interessato a sioni martellanti sono gli ingredienti di Symphony no. 1 (Tonal promuovere una più ampia e originale visione sonora, e questo Plexus). Music in four movements for multiple guitars, keyborads, anche oltre le sue personali composizioni. Una sorta di scambio brass and percussion (Roir, 1982-’83). Il disco esalta e condanna di favori tra lo stesso musicista e i già citati Moore e Ranaldo; allo stesso tempo lo strumento chitarristico e le sue capacità quest’ultimo, in particolare, era da tempo stato assoldato dallo di punteggiare disegni, di creare tappeti e infiniti crescendi di stesso Branca quale musicista per una serie di brani strumen- note. Le accordature anomale in “mi” degli strumenti portano tali a più chitarre, un approccio che Branca portava avanti da l’ascoltatore in un esaltante universo di luci e bagliori dove tempo. Mentre buona parte della scena mondiale prendeva le beatamente si smarrisce (“First mouvement”), per poi trascinarlo misure del movimento punk americano prima e inglese poi, nell’inferno più atonale e freddo (“Third mouvement”). Il critico New York presentava al pubblico il lato più disumanizzato e Piero Scaruffi scriverà a tal proposito: “Il tremolio suspense delle nichilista della vita metropolitana, con un occhio ben rivolto chitarre cresce in uno strepito intermittente di fiati (una specie di al passato (Velvet Underground e Stooges): nasceva la scena ingorgo di ambulanze dentro una tromba d’aria), il tornado mugola “No Wave” (DNA, Mars, Contorsions, Teenage Jesus & The Jerks, e prende forza sotto i rovesci della batteria. Questo movimento ecc.), un vero movimento artistico-musicale-visuale che vide è quanto di più violento e apocalittico Branca abbia concepito”. nella realizzazione della raccolta No New York (Antilles, 1978) Per l’artista sarà l’inizio di un lungo percorso di ricerca. I Sonic il suo maggiore documento. In quella compilation prodotta Youth invece si persero nel pop già sul finire degli anni Ottanta. dal geniale Brian Eno certo non avrebbe sfigurato almeno una delle composizioni di Branca, considerato forse troppo poco note “degenere”2 e violento rispetto ai coetanei. È vero che i gruppi 1 Alberto Campo e Guido Chiesa, Rockin’ USA, Arcana, 1986, p. 154. che Glenn Branca formò a partire dal 1977 (Static e Theoretical 2 Andrea Prevignano, Noise. Suonare al massimo, Castelvecchi, 1998, p. 19.


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Il principe dei filosofi I più associano probabilmente il nome Spinoza al blog di critica sociale che da un po’ di annetti circola nella rete (www.spinoza.it). In realtà Baruch Spinoza è stato un grande filosofo la cui vita non fu né particolarmente umoristica, né scevra da pericoli, anzi… di Francesca Rigotti

Baruch de Spinoza (1632–1677), fu un pensatore ebreo di

grafo Johannes Colerus – per svagarsi un po’). Era il Tractatus origine portoghese che nacque e visse in Olanda, dove oltre theologico-politicus, nel quale proponeva un ordine politico un secolo prima la sua famiglia – il cui cognome deriva completamente nuovo, fondato sul principio di tolleranza dall’equivalente spagnolo di “spinoso” – s’era rifugiata per secondo il quale tutti gli individui hanno il diritto di esprisfuggire alle persecuzioni dei cristianissimi sovrani di Casti- mere le proprie opinioni sui problemi di coscienza. glia e di Aragona allorché essi poNella successiva opera del 1677, sero gli ebrei della penisola iberica l’Etica, Spinoza propone una audavanti alla scelta di convertirsi al dace soluzione al problema di Dio, cristianesimo o emigrare. centro della sua filosofia, e più Bisogna sapere che la repubblica specificamente al rapporto di Dio olandese, che accolse gli ebrei con la natura. La soluzione stava sopravvissuti al rogo, alle stragi e nel... sopprimere il conflitto dialle conversioni forzate, era divechiarando che Dio e la Natura sonuta nel giro un cinquantennio, no la stessa cosa: Deus sive Natura, proprio dopo essersi ribellata alla Dio è la Natura. È questa la famosa dominazione spagnola nel 1572, asserzione che fece rispondere a una regione colta e ricca, dedita Einstein, quando gli chiesero se alle arti e alle scienze (e alla colcredeva in Dio; “Credo nel Dio di tivazione dei tulipani) e in cui Spinoza”. Non bisogna però intenregnava – e questo è l’aspetto più dere questa natura come troppo stupefacente – una straordinaria rigogliosa e ronzante: la natura di libertà per i suoi abitanti, inclusi Spinoza è una generalizzazione gli ebrei. Questi ultimi non vidi tutte le nature, è l’essenza del vevano confinati nel ghetto ma mondo, è ciò che rende il mondo lavoravano e commerciavano liciò che è. E Dio questa Natura la beramente contribuendo al benespervade, le è immanente, non è ad Baruch de Spinosa, ritratto di anonimo, Herzog-August Bibliothek, Wolfenbüttel, Germania sere generale. Il giovane Baruch essa trascendente. (Benedetto, chiamato alla spagnola Bento), l’uomo destinato a ripensare la filosofia, il fanciullo Un filosofo tanto parco quanto geniale dotato e il ragazzo che criticava la religione degli avi, subì a Spinoza morì a 44 anni di una malattia polmonare acuìta 23 anni una terribile scomunica che lo escluse dalla comunità dall’aver respirato per anni le polveri di vetro delle lenti che ebraica a causa delle sue idee considerate empie e malvagie. molava. Parco in tutto il suo stile di vita, anche nel mangiare, Quando Bento fu scomunicato insieme al suo amico Juan de si concedeva un po’ di birra annacquata e qualche fumata di Prado la sinagoga fu ripulita – si disse – dalle spine (espinas) tabacco nella pipa. Non ebbe moglie né figli, e dall’inventario che infestavano i prati (prados). Spinoza si trasferì in un’altra redatto dopo la sua morte si vide che possedeva due paia di zona della città di Amsterdam – in seguito si sarebbe spostato pantaloni, sette camicie e cinque fazzoletti, più un letto col all’Aja –, doppiamente esule perché eretico (per gli ebrei) e baldacchino rosso ereditato dai suoi genitori. perché ebreo (per i cristiani), dandosi completamente alla Con le sue opere si era imposto come uno dei primi grandi filosofia e mantenendosi con l’attività di molitore di lenti, teorici dello stato laico moderno e come l’anticipatore dei suoi che svolgeva a domicilio nella sua stanzetta nel sottotetto di futuri sviluppi filosofici e scientifici. L’universo rivelato dal una casa plurifamiliare. suo sistema filosofico è quello della scienza moderna: senza finalità né progetto, regolato soltanto dal nesso causa/effetto Il “Trattato teologico-politico” e l’ “Etica” delle leggi naturali. Di lui, il filosofo dell’Ottocento G.W.F. Nel 1670 Spinoza rese pubblica l’opera cui aveva lavorato per Hegel, disse che se non si è spinozisti, non si è nemmeno anni con la sola compagnia di ragni e mosche (che faceva filosofi. Per il filosofo francese del Novecento Gilles Deleuze, lottare insieme sul pavimento di casa – racconta il suo bio- Spinoza fu “il principe dei filosofi”.

Kronos

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Profughe verdi in città La città e i luoghi fortemente antropizzati rappresentano un rifugio per specie vegetali rare e minacciate. Ma questi straordinari “laboratori ecologici” sono anche le prime vittime delle pianificazioni e degli appetiti immobiliari, nemici giurati del disordine vegetale urbano testo di Stefano Guerra fotografia di Nicola Schoenenberg

Ambienti

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Tornando di nascosto al paesello natale dopo due anni d’assenza, Renzo trova la vigna e l’orto inselvatichiti. Laddove Manzoni s’entusiasma, descrivendo con trasporto l’uva turca, il tasso barbasso, cardi, vilucchioni, una zucca selvatica, al contrario il protagonista dei Promessi sposi, “analfabeta, con la mentalità da contadino (...), vede solo genericamente erbacce e piante selvatiche”. Lo scrittore emiliano Ermanno Cavazzoni immagina che Renzo “ci sarebbe passato con la motofalciatrice, il decespugliatore, la trinciatrice e, fosse già ai tempi nostri e avesse sposato Lucia, ci avrebbe fatto un pratino all’inglese col dondolo e i sette nani, la siepina geometrica e i cespugli tosati come cespugli di plastica”. Cavazzoni trae spunto dal capitolo XXXIII dei Promessi sposi per tessere “l’elogio dei giardini abbandonati”, invitando poi i sindaci a ispirarsi a Manzoni: “lasciare in libero movimento i giardini pubblici, gli spazi verdi, i viali alberati, lasciare che cresca l’erba ai margini dell’asfalto e tra le pietre della pavimentazione; le radici che sollevano l’asfalto farebbero da dissuasori della velocità, le mangrovie, i rovi, i pruni, il biancospino sostituirebbero gli accertatori di sosta e difenderebbero naturalmente le aree pedonali; e poi rampicanti su tutto, edera, capelvenere, vite americana, vilucchio, che sono efficaci per tener freschi i muri e sostituire l’aria condizionata; forse tornerebbero anche lupi, sciacalli, avvoltoi a smaltire i rifiuti; potrebbe pascolare qualche mucca se i cittadini desiderano l’erba più bassa; farei circolare anche i polli, che sono uno spettacolo più vario e gradito della televisione, fan compagnia agli anziani e possono insegnare agli scolari che un pollo non è solo la cosa arrosto che si compra in rosticceria. In tutto ciò ci sarebbe anche risparmio sensibile: sono ottime ad esempio le foglie di piscialetto con l’uovo sodo”.1 La cartolina e la biodiversità L’anarchia vegetale urbana sognata da Cavazzoni è quanto di più lontano ci sia dall’idea di verde pubblico che dalla seconda metà del diciannovesimo secolo ha messo radici nell’immaginario collettivo in Europa: giardini e parchi ben rasati, verdi, con aiuole coloratissime, ricche di specie esotiche e attorniate da alberi accuratamente potati. Il modello s’è imposto anche in Ticino, diventando una componente essenziale di quella che Hermann Hesse in uno scritto del 1925 chiamò “Die Fremdenstadt im Süden”, la città per stranieri a sud delle Alpi, forgiata per soddisfare i gusti dei turisti benestanti e perlopiù metropolitani provenienti da nord. È “la finzione di una natura sapientemente addomesticata” ed “esoticizzata”, sinonimo

di ordine e benessere, prodotto “di una vera e propria opera di simulazione che, con il suo artificio, ha piegato la natura alle esigenze umane”.2 Né scena di un verde da cartolina, né paradiso di anarchia vegetale, l’ambiente urbano oggi si presenta piuttosto come precario rifugio della diversità vegetale e animale. La biodiversità – in genere addirittura superiore a quella che possiamo riscontrare nelle campagne circostanti sfruttate in maniera intensiva – è favorita da temperature leggermente più elevate rispetto alle zone rurali: in città s’insediano così specie che troviamo di norma soltanto parecchi chilometri più a sud, e le piante vi fioriscono prima e più a lungo. I centri urbani, inoltre, offrono una ricchezza di habitat unica – basti pensare ai frequenti contrasti tra spazi ombreggiati e soleggiati – e una quantità di superfici impermeabilizzate o povere d’acqua, gradite a piante ruderali, abituate a un clima caldo e secco. La molteplicità di nicchie ecologiche, o “ambienti di sostituzione” (parchi, giardini, cimiteri, stagni, ma anche selciati, muri, marciapiedi, tetti piatti, cantieri, posteggi dismessi, scarpate, sedimi ferroviari, ecc.), fanno delle città da un lato un rifugio (perlomeno temporaneo) soprattutto per specie rare e minacciate, dall’altro una sorta di “laboratorio ecologico” dove osservare, per esempio, sorprendenti strategie di adattamento o l’avanzamento di determinate specie, come le piante esotiche che tendono ad avere il sopravvento su quelle indigene.3 Fortuna dei botanici, ma non proprio della natura. Le piante che crescono in città, infatti, non sono delle vere e proprie “urbane”: “Non si dilettano dei cantieri o delle crepe tra l’asfalto delle nostre strade e dei nostri marciapiedi. Cacciate dalle campagne, si sono appropriate in città dei prati e dei boschi risparmiati, delle aree industriali dismesse, delle scarpate e di altri ambienti di sostituzione”. Inoltre “questi rifugi”, proseguono Hoffer-Massard, Bornand e Vust, che a Losanna hanno censito 1.361 specie diverse (958 indigene e 403 esotiche), “adesso sono soggetti a distruzione”: “Fanno spesso parte di spazi vuoti – di abitazioni s’intende – e sono dunque il bersaglio ideale per costruire, sviluppare, pianificare o ingrandire. (...) I muri a secco sono rabboccati o cementificati, i viali in ghiaietto o i selciati sostituiti da un manto d’asfalto”. In fin dei conti, “malgrado queste scoperte piene di speranza, lo sviluppo delle città resta sinonimo di distruzione e di minaccia per la biodiversità”.4 Una diversa gestione Vittime anonime di pianificazioni dissennate, costantemente minacciate da appetiti immobiliari, ignorate (quando non di-


sprezzate) dai più, le profughe verdi da tempo trovano un po’ di ristoro in città. Dapprima in Germania, negli anni Settanta, sulla spinta dei movimenti ecologisti, poi piano piano anche in altri Paesi europei, alcuni amministratori hanno deciso che qualcosa andava fatto per favorire la biodiversità. In Svizzera, a partire dagli anni Novanta, la gestione degli spazi verdi urbani conosce qua e là una graduale riconversione, dettata soprattutto da ragioni di risparmio. A Zurigo nel 2000, dalla fusione dei servizi cittadini di parchi e giardini, delle foreste e dell’agricoltura, è nato Grün Stadt Zürich, ente all’avanguardia nello sviluppo – codificato in un Grünbuch (Libro verde) – di un approccio non intensivo al verde urbano: prestazioni che prima erano abituali, come la realizzazione e la cura di aiuole fiorite, sono state soppresse.5 A Losanna, per esempio, fino alla prima metà degli anni Novanta “la vegetazione era confinata nei parchi o eliminata. Tutti gli spazi verdi erano trattati in maniera intensiva, regolarmente sfalciati, le aiuole erano arricchite di specie nobili e sbarazzate dalle erbacce”, ricordano Hoffer-Massard, Bornand e Vust. Poi è stata introdotta, come in molte altre città europee, la “gestione differenziata”: per ragioni ecologiche (rispettare l’ambiente), economiche (far fronte alla contrazione del bilancio comunale) ed estetiche (arricchire spazi verdi “sterilizzati” da una manutenzione intensiva), il Servizio comunale dei parchi e delle passeggiate è passato a un approccio mirato e parsimonioso. La nuova politica si è concretizzata tra l’altro nella conversione di numerosi tappeti verdi (o di una parte di essi), fino ad allora destinati allo svago, in prati riservati alla natura, dove vegetazione e fauna sono libere di (re)insediar-

si. Spesso (come all’interno del parco di Valency), è bastato mettere al bando erbicidi, smettere di annaffiare e ridurre il numero degli sfalci per ricreare biodiversità. Percezioni che cambiano Un po’ di “disordine vegetale” in città? A Zurigo, all’inizio la mancanza di aiuole fiorite ha creato molti malumori: “Oggi non se ne parla più”, afferma Ernst Tschannen, direttore di Grün Stadt Zürich, ente che ha investito parecchie risorse per spiegare senso e portata della sua politica: “La popolazione si è abituata e si è resa conto che le cose possono funzionare anche così”.6 Il progetto BiodiverCity, realizzato in tre città (Lugano, Lucerna e Zurigo) nell’ambito del “Programma nazionale di ricerca 54”, ha dimostrato come una popolazione ben informata preferisca di gran lunga spazi verdi urbani ricchi e complessi, a condizione che non ne siano compromessi accesso e possibilità d’utilizzo.7 note 1 “I giardini di Renzo”, da “Domenica” inserto de Il Sole 24 Ore, 1. aprile 2012. 2 Claudio Ferrata, La fabbricazione del paesaggio dei laghi. Giardini, panorami e cittadine per turisti tra Ceresio, Lario e Verbano, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2008, p. 63 e p. 110. 3 Vedi “Vita e miracoli della natura in città”, Bollettino Pro Natura Ticino, n. 18, ottobre 2008, p. 5. 4 Flore de Lausanne et de sa région. 1. À la découverte de la nature en ville, Rossolis, Bussigny, 2006, p. 23. 5 “L’esempio verde”, nota 3, p. 6. 6 Ibid. 7 Vedi www.biodivercity.ch


Brera. Tra passato e futuro testo di Valentina Gerig; fotografie di Flavia Leuenberger

Luoghi

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Amata dai turisti, coccolata dai milanesi, meta preferita dei nuovi arrivati in cerca di casa a Milano: è bella Brera, non c’è che dire. Deve il suo nome a “braida”, ovvero spiazzo erboso, e da ormai parecchio tempo il termine riassume le tre istituzioni che la racchiudono: il quartiere stesso, l’Accademia e la Pinacoteca. Brera è tutte e tre le cose insieme, e una sola alla volta. Il denominatore comune? L’arte. Proprio qui, tra le vie strette con il pavimento a ciottoli, gli artisti e i letterati bohémien di fine Ottocento trascorrevano lunghe ore a disquisire di politica, filosofia e arte. Un secolo prima si ponevano le basi per la costruzione di uno spazio destinato ai grandi capolavori della pittura e scultura, proprio sopra l’Accademia. Ma cosa è rimasto di quello spirito “scapigliato”? È ancora possibile avvertirlo, oggi, tra i tavolini affollati di turisti, le boutique griffate e i ristoranti chic? Succede anche a Montmartre, o lungo il Ponte Vecchio di Firenze: i luoghi così deliziosamente tipici, così diversi dal resto della città, diventano paesaggi da cartolina. Forse, come fa il protagonista del recente film di Woody Allen, Midnight in Paris, bisognerebbe andare indietro nel tempo con la fantasia per riscoprire la vera anima di un quartiere, di una città. Poco importa se sia la Ville Lumière o un angolo speciale come Brera. La Pinacoteca al servizio dell’Accademia Il palazzo di Brera fu dapprima un convento trecentesco dell’ordine degli Umiliati e successivamente dei Gesuiti che vi stabilirono una scuola. L’assetto attuale risale all’inizio del Seicento, mentre bisogna arrivare al 1773 perché il Collegio di Brera diventi proprietà dello Stato e oggetto di trasformazione da parte dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. È stata proprio la regnante illuminata, a cui si deve tra l’altro l’introduzione di importanti riforme, a volere che Brera divenisse sede di alcuni dei più avanzati istituti culturali della città. La Pinacoteca arriva nel 1776 e l’intento è didattico: offrire agli studenti dell’Ac-

cademia una collezione di opere esemplari, con cui essere a contatto quotidiano, a solo un piano di distanza. Osservare da vicino, dialogare, perdersi nei grandi capolavori dei padri dell’arte: Raffaello, Tiziano, Piero della Francesca, Caravaggio, Mantegna, solo per citarne alcuni. Cosa potevano desiderare di più gli aspiranti Tintoretto e Michelangelo? Così si decise allora e così è stato per oltre due secoli. Fino a oggi. Già, perché la prossimità spaziale tra Accademia e Pinacoteca cambierà presto la sua veste se andrà in porto il progetto della Grande Brera, su cui si dibatte da quasi trent’anni e a cui, pare, che proprio in queste settimane si sia arrivati a un punto di svolta. Sono stati stanziati i fondi dal governo e il 2012 potrebbe essere l’anno dell’inaugurazione dei lavori. Le trasformazioni più evidenti? L’Accademia di Belle Arti si sposterà nella ex caserma Mascheroni, nei dintorni della elegante via Pagano, e la Pinacoteca allargherà i suoi spazi diventando un museo dallo stile internazionale, con bookshop, nuove illuminazioni e stanze, e un tetto di vetro “delicatissimo” sulla corte maggiore. A completare l’ambizioso progetto, il ripristino di palazzo Citterio, il rifacimento dei tetti della Pinacoteca e del complesso di Brera, già minacciata dalle infiltrazioni d’acqua. Obiettivo: presentare il tutto entro Expo 2015, diventato il termine di consegna di quasi tutti i progetti e i cantieri nel capoluogo lombardo. Tutti contenti? Non proprio. I più scettici sono soprattutto gli studenti, che avvertono il trasloco come uno “strappo” dal contesto dove è nata e sempre stata l’Accademia, per oltre due secoli. I loro “maestri” non saranno più a un piano di distanza, ma a qualche fermata di metrò. Chi sta lavorando al progetto sostiene invece che l’Accademia verrà spostata solo in parte e non si spezzerà il legame inscindibile tra struttura scolastica e Pinacoteca. Il dopoguerra nel cuore di Brera La storia di Brera passa anche attraverso il dramma della Seconda guerra mondiale, quando Milano venne duramente colpita dai bombardamenti. I saloni napoleonici della Pinacoteca distrutti, i danni enormi: solo un massiccio finanziamento statale riesce a salvarla e a farla diventare il simbolo della città che risorge e rinasce dopo il dramma del conflitto. In quegli stessi anni, dal 1945 in poi, Brera diventa luogo di confluenza di artisti squattrinati, scrittori, cineasti, musicisti, attori. Un po’ come già era stato a fine Ottocento. Lo ricorda il regista Carlo Lizzani, in un interessante articolo apparso sul Corriere della Sera di qualche anno fa. I luoghi simbolo? La latteria gestita dalle sorelle Pirovini, il caffè della “Titta” in via Fiori Chiari, il bar Jamaica (ancora oggi affollatissimo di studenti, turisti e milanesi). Ore e ore di chiacchere, nel sogno di una nuova capitale della cultura. Quanto erano lontani i ristoranti chic, le boutique griffate, i bar con l’happy hour.



» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Flavia Leuenberger

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Igor Ezendam

Vitae

a sviluppare una profondità musicale. La perdita di nostra figlia, durante una gravidanza piena di problemi, ci ha profondamente segnati. Da quel momento ho voluto imparare a essere vero e questo è stato un grande regalo che mi ha fatto la mia bambina. Solo dopo un anno ho iniziato a piangere e a sentire quanto pesante è stata quell’esperienza; ho imparato a gestire le emozioni ma soprattutto a usare la voce per sciogliere le tensioni e le tristezze che avevo dentro. Sempre a Olivone ho conosciuto una giovane donna ticinese con cui sono stato sposato per cinque anni. In Ticino non avevo un lavoro Ha inventato e realizzato il corno circo- fisso e ho iniziato intagliando lare. Organizza seminari in tutta Europa, dei pezzi di legno che colleinsegna canto armonico e vive con sere- zionavo da tanti anni. Sono diventati delle bacchette manità, sempre alla ricerca di una propria giche che tutt’ora realizzo e autenticità vendo accompagnate da un canto personale. Una volta Questo era l’argomento della imparato l’italiano, ho iniziato a insegnaserata, poi venivano presentare percussioni e canto armonico, che con te le attività di un particolare determinazione ho imparato e sviluppato campeggio di meditazione da autodidatta. Oggi offro lezioni, concerti che si teneva ogni anno nelle e seminari per aprire la voce e uno degli montagne del Ticino, a Camstrumenti che uso è proprio questo speciale pra. Da lì a poco, la mia amica tipo di canto. e io partimmo in autostop e La mia attuale compagna Arianna l’ho conoarrivammo qui in Ticino per sciuta quando mi ha invitato a cantare a un la prima volta, una ventina di festival che organizza a Lugano. Mai avuto anni fa! In questo luogo di riproblemi con la giustizia? Un incontro con trovo e ispirazione di persone un poliziotto di Amsterdam, quando nel giorprovenienti da tutto il monno di San Valentino, mi sono svestito e con do, si parlava della perfezione, un cuore di carta a coprire le mie intimità ho dell’armonia e dell’amore e camminato per strada davanti a una galleria si lavorava sull’apertura del dove dovevo partecipare a un seminario sul cuore. Una delle frasi che più tema dell’odio. Una pazzia che mi fa ancora mi hanno toccato di Hazrat sorridere! Amo il buon umorismo. Dico Inayat Khan dice “prima acsempre la mia verità, cercando di non ferire cordavo il mio strumento, poi ho nessuno e di parlare con chiunque come se imparato ad accordare le persone fosse una parte di me. Questo mi permette di e le loro anime”. Da allora il crescere e sento che anche gli altri ne escono mio approccio verso la musica arricchiti. e il canto è andato evolvendo Un sogno che si sta avverando è quello di in questa direzione. Sono riaiutare le persone a aprirsi, crescere e intornato per molti anni ogni sieme fare un canto di guarigione, per noi estate a ricevere e condividere e per il pianeta in cui viviamo. Quello che ispirazione e insegnamenti in sperimento e voglio condividere è che siamo questo luogo così speciale. un organismo unico, non siamo individui seNel frattempo mi sono trasfeparati. Abbiamo perso l’orientamento perché rito in Germania, ad Amburgo ci siamo proiettati troppo verso l’esterno ma con una donna conosciuta anche questo fa parte della nostra evoluzione al campeggio sufi, con cui le e ci possiamo ritrovare se ci riavviciniamo esperienze di crescita sono staprima di tutto a noi stessi poi gli uni agli altri. te molte e non sempre facili. La vita è un viaggio, la migliore delle scuole La sofferenza mi ha aiutato e siamo venuti qui per imparare.

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S

ono nato in un villaggio che si chiama Hoorn il 25 agosto del 1968. Hoorn in olandese significa corno. Ventun anni dopo ho creato uno nuovo strumento musicale, il corno circolare. Si potrebbe affermare che il mio destino è stato segnato dal luogo in cui sono nato, un destino a cui ha contribuito il mio intuito musicale. Il corno circolare è uno strumento nel quale ti sdrai, lo si suona come un didgeridoo australiano ma il suono passa attraverso il corpo. Questo strumento, che avevo già nel sangue, ho potuto realizzarlo e sperimentarlo all’Accademia dell’arte in Olanda. Ne ho frequentate tre senza ricevere nessun diploma, anche perché ho sempre seguito le mie curiosità e poco le istituzioni. Ho sperimentato. Come quella volta che ho tolto gli scaffali in un armadio di metallo per suonarci dentro il didgeridoo. Perché la musica per me è sempre una combinazione di strumento, uomo e luogo in cui essa risuona. Il corno circolare simboleggia il drago che mangia la sua propria coda, che è poi il simbolo dell’eternità, della morte e della rinascita. Mi ricordo che sono sempre stato molto curioso e fantasioso, attratto dai simboli, dalle prospettive e dai suoni. A 19 anni, quando la mia ragazza partì per il Brasile per lavorare in un centro sociale nelle favelas, decisi di seguirla. Fu il primo lungo viaggio che mi condusse in un mondo molto diverso dal mio. Mi impressionavano i contrasti quotidiani, primo tra tutti la gioia della vita e i rischi che si correvano in quel luogo. Poi sono rientrato in Olanda e ho iniziato a praticare lo yoga con una cara amica, e fu con lei che ad Amsterdam ebbi modo di seguire una conferenza che ha cambiato la mia vita. Il relatore era Pir Vilayat Inayat Khan, figlio di Hazrat Inayat Khan, un mistico e musicista indiano famoso anche per aver fatto conoscere il sufismo al mondo occidentale.


Una vita da open-air testo e fotografie di Sabine Cattaneo

“Sei via da casa, incontri tanta gente, socializzi, bevi un bicchiere con gli amici. È come andare in vacanza, la musica è un plus”



a sinistra La distesa di tende sul sito della 28esima edizione del Gurtenfestival (2011), Berna in apertura Arrivi e partenze all'edizione 2011 del PalĂŠo Festival, Nyon


La fila per la funicolare che porta al sito del Gurtenfestival, Berna

Momenti di distensione durante il giorno al PalĂŠo Festival, Nyon


In attesa davanti ai servizi igienici sotto la pioggia battente al Gurtenfestival, Berna

H

o voluto esordire con la frase presente in apertura di reportage nella pubblicazione autoprodotta che raccoglie gli scatti realizzati durante due tra i più acclamati festival musicali in Svizzera. È l’unico testo presente in tutto il libro: una testimonianza raccolta sul campo, all’apparenza banale, che ne diventa invece a pieno titolo il filo conduttore. Perché in definitiva questo è tutto ciò che c’è da sapere sui festival musicali. Alla scoperta di un mondo a sé Tre giorni nella campagna bernese, quattro in quella vodese. Una tenda. Due macchine fotografiche, perché non si sa mai; la tesi vorrei darla una volta sola. Niente stivali, niente crema da sole, in retrospettiva entrambi errori da principiante (e sì che di ricerca ne avevo fatta!). E poi un’idea di fondo: che le persone vanno ai festival non tanto per la musica, ma per qualcos’altro. Che cosa esattamente? Da verificare. Come? Andando in mezzo a loro, osservando, parlandoci insieme. Da qui la volontà, ma che dico, la necessità di dar loro lo spazio che si meritano, narrando fotograficamente l’aspetto umano anziché l’impressione da articolo di gior-

nale sull’artista di punta in cartellone in quelle giornate. Esperienza dunque, perché di questo si tratta. Ma c’è comunque una distinzione da fare: chi si reca a uno di questi eventi per un’unica giornata, che sia per motivi economici o di gusto, in genere ne fa un’esperienza simile a un concerto “normale”, dove è comunque la finalità musicale a prevalere. E una volta terminato lo o gli spettacoli se ne torna a casa propria. Fine. Questo non significa che chi frequenta un festival in tale maniera non sia degno di considerazione, ma semplicemente ne avrà una percezione incompleta, perché per forza di cose non si ritroverà a mangiare una pizza nel forno costruito ad hoc dai vicini di tenda, non farà la fila per farsi una doccia in tenuta asciugamano-e-stivali all’ultimo grido, nessuna partita a pallavolo, frisbee, calcio o kubb tra fango e sole, né jam session spontanee o epiche dormite pomeridiane. Tutt’al più si farà un giro tra gli espositori e le numerose cucine nostrane e non presenti nell’area del festival, che comunque è già qualcosa. Di fatto, però, solo chi resta per due giorni o più, ne vive e assapora (o subisce) ogni aspetto, giorno e notte, incondizio(...) natamente, con tutte le brillanti sorprese del caso.



in queste pagine: alcuni dei volti incontrati al Paléo Festival, Nyon

Più della somma delle parti Nella memoria collettiva sono forse ancora fresche le iconiche immagini dei progenitori dei festival moderni che spopolarono sul finire degli anni Sessanta: Monterey Pop Festival, Isle of Wight, Woodstock. Là, forse, c’era un certo tipo di pubblico, una certa (sub)cultura di fondo che ne permeava lo spirito e ne forgiava inconsapevolmente l’immagine. Oggi le cose sono diverse: è innegabile che i festival odierni siano orientati per lo più a un pubblico giovane, ma tutt’al più indifferenziato, e che la macchina pubblicitaria comunque non tragga d’inganno. Poi in realtà, si trova di tutto. Così, si possono incontrare quattro amici di lunga data che sono trent’anni che vengono al festival, da quando questo si teneva ancora nella palestra comunale; oppure il gruppo festoso e numeroso di poco più che ventenni con un legame d’amicizia da far invidia ai suddetti quattro amici del caso precedente, e poi ancora la famiglia con figli dai 5 ai 15 (e fidanzata) al seguito che si regala tre giorni di vacanza insieme, ogni anno, perché in fondo non serve andare più lontano; e coppie d’ogni genere ed età. Studenti, artisti, esattori delle tasse, dirigenti, impiegati. Gente della regione, altri che arrivano da luoghi distanti: Canada, Swazi-

land, Perù. Un potpourri di persone e personalità, colorato e variegato quanto la distesa di tende che popola questa città improvvisata nel mezzo di un prato, forse un po’ disfunzionale ma nel complesso affascinante e unica. E la musica? Bè, la musica c’è, d’altronde pur sempre di festival musicali si tratta. Eppure, questi eventi sono molto più della somma delle loro parti, e quella che dovrebbe essere una caratteristica definitoria assume invece una dimensione quasi secondaria rispetto a ciò che accade tutto attorno, ne diventa unicamente la colonna sonora. Insomma, un piacevole pretesto per passare qualche giorno di vacanza insieme alla propria famiglia o i propri amici. A tutto il resto ci pensa l’atmosfera.

Sabine Cattaneo Nasce nel 1986 a Lugano. Studia a Losanna per due anni prima di fare rientro in Ticino e ottenere un diploma in Comunicazione visiva (SUPSI) nel 2011 con una tesi dedicata al Reportage fotografico sui frequentatori di open-air musicali (“Nonsolomusica”). Già finalista per un concorso promosso da “Vogue Italia”, lavora come fotografa freelance e collabora come designer presso uno studio di comunicazione. Per informazioni: www.blukaet.com.


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Fiabe

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Ruski, il clandestino testo di Giulio Carretti illustrazione di Simona Meisser

C’era una volta… un bel gattone grigio di nome

Un bel giorno – era da poco iniziata la bella

Ruski che viveva in una grande città di mare. Non aveva né un padrone né una casa e fin da quando era un cucciolo aveva vissuto lungo i moli del porto nutrendosi di quello che riusciva a sgraffignare qua e là. La maggior parte del tempo la trascorreva steso al sole in attesa delle barche di ritorno dalla giornata di pesca. Insomma, un micio libero e felice che non sentiva alcun bisogno di rinchiudersi fra le quattro mura di una casa. I suoi compagni di avventura erano il vecchio Poldo, un micio nero mezzo cieco ma molto, molto saggio, e Ginger, una gatta arancione sempre pronta ad attaccar discorso con chiunque incontrasse.

stagione – i nostri tre amici se ne stavano accoccolati a ridosso di una bitta in attesa che qualche buon anima gettasse loro un gamberetto o che Fatima, un’anziana signora amica dei gatti, passasse a lasciargli un po’ di pesce. La calma di quel momento fu interrotta da un improvviso trambusto: Omar, il capo dei cani randagi, aveva fatto il suo ingresso nella piazza insieme ai suoi compari. I tre gatti, naturalmente, non fecero una piega. Ruski alzò però lo sguardo per vigilare sulla situazione… di Omar non ci si poteva mai fidare del tutto. I quattro cani si avvicinarono con il solito fare minaccioso e quando furono a poche zampe di distanza il loro capo cominciò subito a dare spettacolo: “Ma guarda, guarda chi c’è qui… i mangia a sbafo, buoni solo a dormire…”. A quelle parole Poldo rispose con un gran sbadiglio: al vecchio gatto di quei quattro cagnacci non importava un baffo. “Forse”, disse Omar rivolgendosi ai suoi amici, “questi fannulloni non sanno nulla di quanto si dice in città… Non sanno che il sindaco ha


dichiarato guerra a noi randagi e chiunque d’ora innanzi verrà trovato senza il collare sarà messo in gabbia”. “Da chi l’hai saputo?”, chiese allora Ruski incuriosito. “Ma come, gatto scemo che non sei altro, ne parlano tutti. È solo questione di ore e poi vedrete voialtri…”. “E voi come farete? Siete anche voi dei randagi…” “Ma l’avete sentito…”, fece Omar con aria da sbruffone rivolto ai suoi sghignazzanti compari. “Questo buono a nulla si preoccupa per noi… Grazie caro, ma noi ce la caviamo da soli… Buona fortunaaaaa….”. I cani voltarono le spalle e se andarono in cerca di qualcun altro da avvertire. “Avete sentito? Che dobbiamo fare?”. “Si parte, ecco che si fa…”, rispose il vecchio Poldo stirandosi le zampe. “Si parte? Bello, anzi bellissimo. E dove si va?”, chiese Ginger tutta eccitata dall’idea di un viaggio. “La vedete quella nave laggiù”, disse Poldo, “stasera entra in porto, caricano le provviste e domattina salpa alla volta del Brasile. Appena possibile saliamo a bordo anche noi e poi è fatta… Io ci sono già stato, tanti, tanti anni fa…”. Quella notte, nascosti sotto una barca rovesciata attesero il momento giusto e quindi con un balzo salirono a bordo della nave. Trovato un comodo cantuccio vicino alla cucina, si addormentarono placidamente.

Dovete

sapere che su quella nave da tempo immemorabile viveva una colonia di topastri. Appena si sparse la voce che tre gatti erano saliti a bordo si diffuse il panico. Chi correva

a destra, chi a sinistra, chi cercava un nascondiglio sicuro, chi si dava delle arie dicendo che dei gatti non gli importava nulla. Anche il comandante della nave, il signor Ramirez, fu avvertito della presenza dei tre mici da un marinaio il quale uscendo dalla sua cabina era inciampato in Ginger che, curiosa come un… gatto, se ne andava in giro a scoprire posti nuovi. Insomma, nell’arco di poche ore tutti sapevano dei tre clandestini a bordo. Al capitano venne allora una brillante idea: “E se li usassimo per eliminare i topi? In fondo è il loro mestiere… Chiudeteli nella stiva e vediamo che succede…”. E così Ruski, Ginger e Poldo furono presi e portati nella stiva. Ma ai tre mici dei topi della nave non importava nulla: volevano solo un po’ di pesce e godersi la crociera, mica lavorare. Si misero allora d’accordo con i topi: “Nascondetevi nella scialuppa di poppa e noi faremo finta di avervi mangiato così per un po’ ci sarà di che divertirsi”. La mattina seguente il capitano Ramirez scese a controllare: dei topi nessuna traccia. “Questi gatti sono proprio in gamba”, pensò fra sé, e pieno di gratitudine cominciò a chiamarli “Mici, micini, micetti dove siete finiti”. Alla fine Ruski, Ginger e Poldo saltarono fuori da una cassa. Trattati come principini si godettero il resto del viaggio fino in Brasile dove a San Paolo scesero a terra. Li attendeva una nuova città e una nuova vita, senza il rischio di finire in gabbia. Resta il mistero di come mai, appena scesi a terra, sulla nave ricomparvero i topi. Il capitano Ramirez, a quanto mi hanno riferito, è ancora lì che se lo chiede…

Fiabe

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Mamma sì, ma over 40 Rispetto a dieci anni fa sono raddoppiate. In Europa guidano la classifica Italia e Svizzera dove negli ultimi quattro anni il loro numero è cresciuto rispettivamente del 5,3 e del 5,2 per cento. Irlanda e Spagna seguono a ruota Tendenze p. 52 – 53 testo di Patrizia Mezzanzanica; illustrazione di Micha Dalcol

È

un fenomeno che riguarda principalmente i paesi occidentali ed è dovuto a ragioni economiche e sociali legate allo studio e alla carriera ma non solo. La ricerca del partner giusto, non sempre facile da trovare, può ritardare una decisione che si sarebbe presa prima così come, al contrario, chi non ha sentito l’esigenza di essere genitore in giovane età, arrivato a un certo punto, è spinto a divenirlo dalla consapevolezza che non è più possibile rimandare oltre. Questo spiegherebbe, almeno in parte, come mai molte coppie sottovalutino così frequentemente l’iniziale difficoltà ad avere figli lasciando passare anche sei anni prima di rivolgersi allo specialista quando, invece, l’Organizzazione mondiale della sanità la ritiene “infertile” se non va incontro a una gravidanza dopo due anni di rapporti non protetti.

Scienza e fertilità Di certo oggi, grazie ai progressi della medicina, anche dopo i quarant’anni la maternità non fa più paura. E ciò che sostiene Thierry Suter, specialista in Medicina della riproduzione del centro per la fertilità ProCrea di Lugano, che non dimentica però anche il fattore età. “L’età resta comunque il peggiore nemico della fertilità.” avverte, infatti “più si fa passare il tempo e più si abbassano le probabilità per una donna di rimanere incinta. A 23 anni ogni ovulazione ha il 26% di probabilità di trasformarsi in gravidanza, a 39 anni le probabilità si dimezzano e diminuiscono ulteriormente con il passare degli anni. Anche nelle donne con ciclo e funzioni ormonali regolari le cellule uovo invecchiano, diventano meno feconde o, se fecondate, sono più soggette ad anomalie cromosomiche che portano ad aborti spontanei”. Detto questo i passi avanti compiuti dalla medicina della riproduzione e dalle tecniche di procreazione assistita sono enormi. “Siamo riusciti a migliorare alcuni aspetti fino a qualche tempo fa impensabili” continua la

dott.ssa Suter. “È migliorata la conoscenza che abbiamo del patrimonio genetico. Riusciamo a determinare con maggiore cura le stimolazioni ormonali a cui sottoporre i soggetti, a individuare la presenza di eventuali anomalie cromosomiche e, di conseguenza, a selezionare più accuratamente gli ovociti da fecondare. Così aumentano anche i tassi di successo”. Discorsi tecnici a parte, restare incinta a un’età considerata “a rischio” sembra essere diventata una moda. Celebrità internazionali del calibro di Julianne Moore, Carla Bruni, Halle Berry, Madonna, Monica Bellucci e Salma Hayek sono tutte diventate mamme dopo i quaranta (alcune per la prima volta), per non parlare di Gianna Nannini, la rock star italiana, che ha avuto una bambina a ben 54 anni! Consapevolezza e disponibilità Ma cosa avviene nella vita di una coppia non più giovane quando entra un piccolo in casa? Come ci si organizza, quali sono le difficoltà e le gioie a cui si va incontro? Nell’esperienza di molti, soprattutto coloro che hanno già figli grandicelli, la maturità aiuta a vivere l’esperienza della maternità (e della paternità) con maggior consapevolezza. Si è più portati ad accudire, più pazienti. L’energia è decisamente minore ma cresce la disponibilità. Con più esperienza di vita alle spalle e, spesso, maggiori possibilità economiche, i nuovi genitori sentono la responsabilità di un evento doppiamente eccezionale. In rete i blog dedicati alle mamme “over 40” sono tantissimi. Qui le donne si incontrano, si parlano, si confidano paure, preoccupazioni e speranze, cercano conforto e consigli per affrontare al meglio una gravidanza che comporta comunque più rischi, sia per il bambino sia per se stesse. E c’è da dire che le nuove puerpere, non più “attempate” ma, dato l’innalzamento dell’età riproduttiva, semplicemente “di età avanzata”, sul web sono attive quanto le ventenni.



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Astri toro

gemelli

cancro

Grazie a Venere potrete risolvere una complicata situazione. Un’amica arriva in vostro soccorso. Vita sociale ricca di eventi. Nuovi incontri. Occasioni da prendere assolutamente al volo. Positivi il 4 e il 6 giugno.

Giove per l’ultima volta attraversa il vostro segno per tornarci solamente nel 2023. Grandi opportunità professionali. La buona sorte va presa al volo; non abbiate tentennamenti. Opportunità professionali.

Tra il 5 e il 6 giugno Venere si unisce in un’unica fiamma con la potenza solare. Colpi di fulmine e attrazioni fisiche imperiose, irrefrenabili. Con questa Venere l’amore inevitabilmente sfonda ogni porta.

Critiche le giornate del 6 e 7 giugno. Con Saturno angolare e Giove in sestile è venuto per voi il momento di decidere in quale tipo di famiglia volete vivere. Emergeranno vecchi atteggiamenti da abbandonare.

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vergine

bilancia

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Grazie alla straordinaria Venere del 5 giugno potrà iniziare un’importante storia sentimentale. Di diverso umore i nati nella terza decade. Ma mancano solo pochi giorni e non sarete più disturbati da Giove.

Fase professionalmente travolgente per i nati dell’ultimissima decade. Grandi opportunità provenienti dalla sfera della creatività. Cercate un nuovo amico: presto lo troverete. Irascibilità.

Grazie a Venere, tra il 5 e il 6 giugno, il transito di Saturno assume nuove tonalità e capovolge ogni situazione verso un insperato trionfo. Rinnovamento e rigenerazione per i nati tra la seconda e la terza decade.

Settimana iperattiva e professionalmente fuori controllo. Con Giove in opposizione, spesso, è facile sopravalutarsi. Cercate di controllare con maggior severità ogni vostro giudizio. Eros in forte crescita.

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capricorno

acquario

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Con Marte e Venere angolari la vostra vita affettiva è segnata da una rivoluzione copernicana. Se tra il 4 e il 5 giugno vi sentirete un po’ strani questo dipenderà dal transito lunare. Non siate irascibili.

Grazie a Plutone, ogni precedente schema potrà esser spazzato via. Se invece non saprete ascoltare i messaggi provenienti dal profondo, potrete esser voi a esser ingurgitati in dinamiche autodistuttive.

Momento straordinario per i nati nel segno. Se avrete il coraggio di guardarvi dentro potrete chiedere anche l’impossibile. Colpi di fulmine, matrimonio, figli. Crescita della popolarità tra il 5 e il 6 giugno.

Correte il rischio di muovervi senza effettivamente sapere in quale direzione andare. Aumento degli appetiti sessuali. Irascibili tra il 4 e il 6 giugno. Successi professionali per i nati negli ultimi giorni.

» a cura di Elisabetta

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 7 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 5 giu. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. L’amica dei Sette Nani • 10. La si contiene con il cinto • 11. Golfo arabo • 12. Rintuzzati • 14. Ha costruito l’Arca • 15. Io, in altro caso • 16. Vettura... inglese • 18. Associazione Sportiva • 19. Il noto Tse Tung • 20. Pari in collega • 21. La Liza dello spettacolo • 23. Piccoli cervidi • 25. Rettile velenoso • 26. Vasi per l’olio • 27. Consonanti in sete • 28. Nostro in breve • 29. È simile alla cetra • 30. Porto greco • 32. Informati, istruiti • 34. Italia e Alabama • 35. Pedina coronata • 36. Si empie di schede • 37. Il dio egizio del sole • 38. Bevanda calda • 39. Fra due fattori • 40. Popolo estinto • 42. Epoca • 44. Profondo, intimo • 45. Distesa erbosa • 47. Attraversa Roma • 49. Il numero perfetto • 51. È simile al finocchio • 52. Carnefice. Verticali 1. Il crostaceo detto anche paguro • 2. Giaggiolo • 3. Curve fluviali • 4. Codice bancario • 5. Alligatori • 6. Il nome di King Cole • 7. Rivendita di giornali • 8. Mezzo veto • 9. Produce corrente • 13. Gas luminoso • 17. Mettere in fila • 19. Un piccolo capolavoro • 21. Più piccolo di così! • 22. Istituzioni • 24. Rinsecchite • 27. Premere, pungolare • 31. Marina nel cuore • 33. Torto senza pari • 38. Un pianeta • 39. Accordo, trattato • 41. Chiude la preghiera • 43. Mezza rata • 45. Vantaggio • 46. Danno un punto a scopa • 48. Ente Turistico • 50. Dittongo in beato.

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