№ 25
del 22 giugno 2012
con Teleradio 24–30 giugno
Donne dell’ est
Il muro Del pregIuDIzIo
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Ticinosette n° 25 del 22 giugno 2012
Agorà Donne dell’est. Integrazione e pregiudizio
di
Arti Arte contemporanea in Ticino. Tra locale e globale
di
Keri Gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Impressum
Media Libri. Carta o bit?
Tiratura controllata
Gastronomia Convivialità. Il rito della “griglia”
di
roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiusura redazionale
Mundus Segni dei tempi. Antropologia del look
di
duccio canestrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Editore
Kronos La solitudine dell’ateo
Direttore editoriale
Vitae Lydia Stadler Centonze
70’634 copie
Venerdì 15 giugno
Teleradio 7 SA, Muzzano Peter Keller
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
La coperta locale Illustrazione di Bruno Machado
di
4 6 8 10 12 13 14 39 46 48 50 51
Marco Jeitziner. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
alba Minadeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di di
Marco alloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gaia GriMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Aventicum
di
Martina rezzonico; fotoGrafie di PhiliPPe MouGin
Fiabe Juan e l’albicocca
di
fabio Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Caschi. Occhio alla testa!
di
..............
Giancarlo fornasier. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Debito e colpa Come sapete Ticinosette viene chiuso una settimana prima della sua distribuzione . Un anticipo dovuto a motivi concreti – fra questi la produzione dei palinsesti televisivi, compilati, stampati e inseriti in un secondo momento – e che obbliga la Redazione a un esercizio di chiaroveggenza notevole rispetto agli eventi, con il rischio di essere sorpassati sulla notizia da altri media che si muovono su tempi molto più stretti . Una premessa indispensabile visto che il presente numero esce proprio nel giorno in cui si riuniscono a Roma i leader di Italia, Francia, Germania e Spagna per un incontro decisivo sulle sorti della moneta unica . Ed è proprio sulla questione europea che vogliamo tornare alla luce del fatto che la Svizzera non rappresenta né un’isola, né un paradiso autarchico . La sensazione che si ha in questi giorni osservando lo scenario politico europeo è quella di una casa che va in fiamme e in cui i proprietari litigano su chi debba portare l’acqua per spegnere l’incendio . In un articolo del 13 giugno pubblicato da “La Repubblica”, Barbara Spinelli – giornalista italiana e figlia di Altiero Spinelli, uno dei padri dell’Europa – analizza in modo graffiante le ragioni e i comportamenti nazionali che, al di là delle radici economiche e globali della crisi, hanno determinato l’attuale situazione europea . Due sono gli elementi paralizzanti sui quali la Spinelli centra la sua attenzione: da un lato il dogma tedesco della “casa in ordine”, già sostenuto dagli economisti tedeschi nei cruciali anni Venti – in altre parole, prima dell’unione
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politica è indispensabile che gli stati facciano le dovute pulizie in modo da arrivare all’appuntamento con le finanze a posto –, dall’altro la riluttanza francese nei confronti di ogni cessione di sovranità, un atteggiamento a più riprese ribadito dai vertici dello stato francese nel corso degli anni passati . Ma ora siamo al dunque: o si inizia a considerare questa situazione come un’opportunità per portare a termine un processo certamente male avviato ma ancora recuperabile o si finisce nel baratro . E con l’Europa buona parte del pianeta . Su tutto questo, come già scritto in un precedente editoriale, pesa poi quella che Spinelli definisce la “smemoratezza storica”, sia in un senso sia nell’altro e il concetto, tutto tedesco, di Schuld, che indica “debito” ma anche, come già sottolineava Walter Benjamin, “colpa” . L’idea di un’Europa unita nasce alla fine dell’ultimo conflitto dal bisogno di evitare altre tragedie, e ciò a prescindere dall’insensatezza della dichiarazione del ministro delle Finanze tedesco Schäuble secondo cui “i grandi scenari apocalittici non si sono mai inverati” . Ma anche il presidente Obama pare conoscere poco la storia del suo paese: il passaggio dalla Confederazione di Stati sovrani alla Federazione che Hamilton (allora segretario al Tesoro) accelerò nel 1790, iniziò proprio dalla condivisione dei debiti degli stati americani in quel momento pesantemente indebitati proprio a causa della Guerra d’Indipendenza . Vedremo… Cordialmente, Fabio Martini
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Integrazione e pregiudizio
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di Marco Jeitziner
S
iamo tutti vittime di pregiudizi etnici, vuoi per l’apparenza o per la provenienza. Specialmente se si vive in un paese che non è il nostro. Ma c’è chi lo è di più, perché donna e dell’Europa dell’est, come Olga, così chiameremo questa madre 40enne, avvenente e sposata con un ticinese, per tutelare il suo desiderio di anonimato. Parla bene italiano e da molto tempo risiede nel cantone, eppure da anni subisce i pregiudizi di uomini e donne ticinesi. La sua unica “colpa”? Tratti somatici e apparenza dell’Europa orientale. Una storia di ordinaria “disintegrazione” di cui in Ticino nessuno conosce l’ampiezza.
Olga, ci puoi raccontare quando hai iniziato a subire questi pregiudizi? “Da subito, da quando mi sono sposata e sono diventata madre. Essendo un’artista, mio marito mi suggeriva di non specificare mai che era il mio mestiere, oppure dovevo spiegare sempre che tipo di arte svolgevo concretamente, cioè l’arte multimediale”. Altrimenti? “La gente pensava subito alla classica «ballerina» di night-club. Non mi credevano e dicevano «ah, sei artista veramente?», o peggio «hai fatto la notte?». Insomma, ancora oggi mi sembra di dover giustificare la mia presenza qui in Ticino”. Puoi farci qualche esempio? “Era autunno, aspettavo il bus sul mezzogiorno. Faceva freddo ed ero molto vestita, quindi non in modo provocante o sexy, ma si fermavano uomini in auto chiedendo se avessi tempo! Mi capitava anche quando uscivo in città da sola, sempre di giorno. Mi chiedevano direttamente «quant’è?» oppure mi seguivano chiedendomi se volessi «fare un giretto» o «passare un momento» insieme a loro!”. Come hai reagito? “All’inizio ero piuttosto sorpresa. Dicevo gentilmente di no, ma a volte insistevano. Poi ho iniziato a rimanerci veramente molto male, tanto da cominciare a chiedermi se c’era qualcosa che non andava in me, nonostante mi comportassi e mi vestissi in modo normale, come sempre. Iniziavo persino a vergognarmi delle mie origini”.
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Agorà
Difficile pretendere l’integrazione degli stranieri quando in Ticino manca la cultura del diverso e dell’accoglienza. Tra sessismo e ignoranza, la testimonianza di una donna vittima del pregiudizio etnico e la parola agli esperti
E quindi? “Ho voluto parlarne con uno psicologo, ma lui mi ha detto tranquillamente che il problema non era il mio, e che siccome venivo da una grande città, non dovevo aspettarmi troppo dalla realtà ticinese”.
E ci sei riuscita? “Purtroppo sì! Mi sono abituata e ormai non mi aspetto più niente di speciale. Esco molto meno da sola e degli uomini non mi fido molto. Ho poche amiche e quasi tutte sono straniere”. Come ti spieghi questo atteggiamento? “Penso che in generale qui ci sia un problema di comunicazione, anche riguardo alle modalità di seduzione. Per esempio, sono una persona curiosa e parlo con tutti, ma molti uomini interpretano subito questa mia apertura con il volermi coinvolgere sentimentalmente. Pensano subito che io voglia qualcosa in più, ma io non voglio proprio niente! La lettura delle intenzioni è completamente sbagliata. Non penso che sia una questione di razzismo”. E di che cosa allora? “Di ignoranza o, in altri termini, è una questione di natura culturale. Molti ticinesi non conoscono affatto i paesi dell’Europa dell’est o le grandi città. Quindi pensano che chi proviene da questi luoghi sia solo un certo tipo di persona. Alcuni anni fa, a mio marito, spesso in mia presenza, dicevano «Che carina! Dove l’hai trovata?», come fossi un animale o una mucca da esposizione! Ero mortificata! Forse è una questione di provincialismo, perché in una grande città a nessuno verrebbe in mente di comportarsi così”. Molte delle prostitute in Ticino provengono dai paesi dell’est. Come commenti questo fatto? “Sì, penso che questo contribuisca ad alimentare il pregiudizio, anche se si fa finta che il fenomeno non esista”.
molte prostitute rumene e ucraine attive in Ticino. “Abbiamo già ricevuto lamentele di donne straniere che venivano trattate come prostitute” dice Monica Marcionetti, dell’antenna May Day di Sos Ticino, “solo perché il loro aspetto fisico e la lingua le qualificavano come provenienti da quei paesi”. Donne vittime e carnefici Proprio come Olga, le donne straniere sono discriminate tramite “esternazioni verbali” e “a sfondo sessuale”, perché “la loro (presunta) provenienza straniera è visibile al primo colpo d’occhio”, ricorda la Commissione federale contro il razzismo2. Se poi sono sole, nella nostra cultura “una donna che non è legata a un uomo è una donna accessibile a tutti gli uomini”3. Ma le donne, oltre che vittime, sono anche carnefici: come quelle che hanno pestato in un bar una ragazza ucraina, solo perché bella e notata dai loro uomini4, o come quella che ha diffamato una russa su Facebook perché legata a un uomo indigeno per cui lavorava5. Gli esperti confermano la cosiddetta “competizione intrasessuale”: “avversarie che si combattono per un reale o potenziale partner”, essenzialmente sul piano dell’avvenenza fisica, “spesso usando la diffamazione per sminuire l’apparenza e la reputazione di altre donne”.6
“I pregiudizi sono un prodotto dell’ignoranza e, dicono gli psicologi, anche dello scontento generale, dell’aggressività e dell’arroganza. Sono valutazioni negative, generalizzate e sistematiche su persone o gruppi sociali, in questo caso per motivi etnici. E il Ticino, come la Svizzera, benché multietnico, è impregnato di tutto ciò”
Con le donne ticinesi hai lo stesso problema? “Sì, a loro non piace uscire con una come me. Come se si sentissero a disagio, c’è un’ostilità in generale. Forse rappresentiamo una «concorrenza» per loro, magari perché sono senza un uomo e pensano che glieli rubiamo? (ride, ndr.). Forse hanno un altro temperamento e sono meno capaci di sedurre. Per esempio, nel mio paese, che è molto cattolico, le donne si truccano ogni giorno, ma qui sembra lo si debba fare solo a Carnevale!”. Pensi che cambierà qualcosa? “Sono passati quasi vent’anni ma tutto è peggiorato. Da quando poi si è cominciato ad accettare i bordelli o la professione di prostituta, per molti è diventato quasi normale rivolgersi così a qualsiasi donna. Mi auguro che con le nuove generazioni questo atteggiamento cambi”.
Tra ignoranza e sessismo I pregiudizi sono un prodotto dell’ignoranza e, dicono gli psicologi, anche dello scontento generale, dell’aggressività e dell’arroganza. Sono valutazioni negative, generalizzate e sistematiche su persone o gruppi sociali, in questo caso per motivi etnici. E il Ticino, come la Svizzera, benché multietnico, è impregnato di tutto ciò: nelle sue valli discoste e nelle sue cittadine lo scambio tra culture ed etnie non è all’ordine del giorno. Pochi riconoscono questa “precarietà civile e culturale” secondo lo studioso Angelo Stella, fatta di lacune “prontamente colmate dagli stereotipi e dai pregiudizi”, come denuncia il linguista Ottavio Lurati1. Tra questi, lo stereotipo tutto maschile della donna dell’est “più facile” di altre, in parte alimentato dalle
L’indifferenza da colmare Per motivi più politici che economici, l’apertura e l’accoglienza da parte degli svizzeri sono divenute un tema politico nel 1992 e legislativo solo dal 2008. Ma rimane la rassegnazione: emarginate o diffamate “la legge non prevede alcun mezzo legale”, mentre “nei settori del diritto civile, spicca la mancanza di un divieto generale di discriminazione”7. Il codice penale? Punisce la discriminazione razziale, ma “non serve certo per combattere fenomeni del tipo di quello evocato”, riconosce Mario Branda, nuovo presidente della Commissione cantonale per l’integrazione degli stranieri. Un cantone dove questa commissione solo da poco è stata liberata da “conflitti di interesse” e “marcate posizioni partitiche”8, dove non si sa nemmeno quanto sia diffuso il problema. “Il Ticino, ma anche la Svizzera, fino a ora non ha mai svolto un monitoraggio serio sui casi di discriminazione” conferma Francesco Mismirigo, delegato cantonale all’integrazione. Lo farà “entro breve”, dice, tra il 2014 e il 2017. Per la legge federale, l’integrazione implica un “atteggiamento di apertura” degli svizzeri, mentre cantone e comuni devono tener conto delle “esigenze particolari” delle donne9. Il caso di Olga dimostra che quanto fatto finora è servito a poco.
note 1 Lingua e letteratura italiana in Svizzera, Edizioni Casagrande (1989), p. 24, p. 171. 2 Episodi di razzismo trattati nell’attività di consulenza, Commissione federale contro il razzismo (2010). 3 C. Dallera, V. Ducret, Migration féminine, au-delà des stéréotypes (2004). www.2e-observatoire.com. 4 http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=151379&sez=NORDEST&ctc=0 5 http://www.1channel.it/?p=6998 6 A. P. Buunk e altri, “Intrasexual competition within organizations” in Evolutionary Psychology in the Business Sciences (Ed. Springer 2011), pp. 58-59. 7 Ibid. nota 2 (2008). 8 Rendiconto del Dipartimento delle istituzioni (2011), p. 44. 9 Legge federale sugli stranieri, art. 4 cpv 3; art. 53 cpv 4.
Agorà
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Tra locale e globale
Arte: c’è chi la fa e chi la promuove. L’artista Oppy de Bernardo ed Elio Schenini, conservatore-curatore del Museo Cantonale d’Arte di Lugano, riflettono sullo stato di salute dell’arte contemporanea nel nostro cantone di Keri Gonzato
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Pubblico - crescere La realtà ticinese è piccola, lo sappiamo: Si parla quindi di una “micro realtà”, in cui il discorso di promozione dell’arte si è sviluppato solo in tempi recenti e dove la popolazione interessata al settore è ancora ridotta. “Il Ticino è stato rurale fino alla metà del secolo scorso, la sua trasformazione in cantone ricco è molto recente”, spiega Elio Schenini, “basti pensare che la mancanza di una lunga tradizione di collezionismo non ci ha dato la possibilità di avere spazi come la Fondazione Beyeler di Basilea e che lo stesso Museo Cantonale d’Arte esiste solo da 25 anni”. Oggi bisogna coltivare nei giovani l’interesse e la familiarità verso questi luoghi, proponendo visite guidate e mostre gratuite, potenziando l’insegnamento della storia dell’arte, ecc. A questo proposito Oppy de Bernardo chiede alla classe politica più impegno: “Troppo spesso i politici fanno le loro campagne elettorali dimenticandosi della cultura e di riflessioni come «Cosa stiamo costruendo oggi? Cosa lasceremo per il futuro?»: bisogna ricordare che l’arte è un investimento a lungo termine!”. Tra le richieste più sentite dagli artisti c’è quella di ottenere degli spazi agevolati da sfruttare come atelier ma, per ora, i comuni non hanno ancora risposto… Tali cambiamenti esigono tempo, duro lavoro e pazienza; le istituzioni, intanto, stanno lavorando per abbattere muri e barriere e, per esempio, le mostre di artisti emergenti proposte attualmente dal Museo Cantonale d’Arte sono gratuite. “L’obiettivo è di avere un pubblico curioso, critico e sinceramente interessato a questo ambito”, ha detto Elio Schenini. Artisti - muoversi D’altro canto il Ticino è una terra di artisti e ospita un’abbondante popolazione di creativi. La conseguenza è quella di avere un bacino ristretto, con un pubblico che si sta ancora formando, che pullula però di pesci e “le persone che riescono a vivere unicamente della propria attività artistica sono quindi molto poche”, spiega Oppy de Bernardo che, a lato della sua attività artistica, lavora come insegnante di arti visive. Da questa situazione si delinea il ruolo individuale dell’artista che deve aprirsi, esporsi e spostarsi. “Come artista, anche se prendi legnate, non devi mai mollare! Devi essere curioso, andare a conoscere gallerie, istituzioni pubbliche e private… Spesso, dopo una giornata di insegnamento, prendo il treno e vado a Milano a seguire delle mostre”. Le istituzioni svolgono un ruolo fondamentale, conferma Elio Schenini, “dando visibilità agli artisti interessanti. Poi sta a loro muoversi e confrontarsi con altre realtà”. Ruolo istituzionale - creare sinergie Oltre a essere un bacino di dimensioni ridotte il Ticino, trovandosi chiuso in un doppio confine, è anche un territorio isolato. “Canton Appenzello e canton Uri, seppur piccoli, vivono integrati nella realtà svizzera-tedesca di quattro milioni di abitanti. In Ticino invece siamo 300.000, a cavallo tra due realtà”, spiega Elio Schenini, “facciamo parte della Svizzera ma dal punto di vista linguistico-culturale siamo più vicini all’Italia: se da un lato abbiamo una barriera linguistica, dall’altro ne abbiamo una
Oppy de Bernardo, Scacciapensieri 1, 2, 3, 4 (2012). Installazione ambientale, Museo Cantonale d’Arte, Ala Est, Lugano. La mostra è aperta sino all’8 luglio
politica”. Per questo è fondamentale creare collegamenti che permettano una maggiore integrazione con le realtà circostanti: “Stiamo lavorando in questo senso per avere dei risultati a lungo termine”. Per fortuna la comunicazione più fluida e la facilitazione degli spostamenti negli ultimi decenni hanno fatto si che, anche a livello ticinese, si siano aperte porte verso altre realtà nazionali e internazionali: “i riferimenti si sono ampliati e i percorsi artistici si sono arricchiti di nuove tappe, attivando sinergie allargate ad altre realtà. Il nostro ruolo come principale istituto museale del cantone, nell’ambito dell’arte moderna e contemporanea, è quello di offrire agli artisti ticinesi la possibilità di emergere anche al di fuori dei confini cantonali”. Negli ultimi anni, infatti, sono nate iniziative che spingono proprio in questa direzione. “Che c’è di nuovo” è una rassegna triennale germogliata nel 2003: tramite un concorso aperto a tutti coloro che hanno meno di 40 anni, la giuria (critici e curatori) seleziona una decina di artisti che verranno presentati in una mostra e con un catalogo, uno di questi artisti riceve un ulteriore premio. Il concorso, che esisteva già da tempo in molti altri cantoni, permette ad artisti emergenti di far conoscere il proprio lavoro. “Prima di mollare gli artisti in mare aperto gli vengono date altre due possibilità”, aggiunge Elio Schenini, “una è il premio biennale «Manor» che, dal 2005, riserva all’artista vincitore una mostra monografica personale, un catalogo e un premio.” Con il “Premio Manor”, che quest’anno compie 30 anni ed esiste in 12 cantoni, si gode di molta visibilità a livello svizzero e spesso un artista ticinese ha così la possibilità di affermarsi anche fuori dal Ticino. L’altra rampa di lancio è quella messa a punto tre anni fa da Elio Schenini per il Museo Cantonale d’Arte: “ogni anno presentiamo due mostre volte a creare un’apertura, con un nuovo artista ticinese e uno proveniente da un’altra area del paese”.
Alla ricerca di una visibilità È questa una strategia che funziona e che ha già fruttato due nomination agli “Swiss Exhibition Awards”, un premio creato dall’Ufficio Federale della Cultura assieme alla banca Julius Bäer che premia ogni anno la migliore esposizione d’arte contemporanea in Svizzera. “Come Museo Cantonale siamo presenti anche quest’anno con la mostra di Christian Gonzenbach” precisa Elio Schenini “e, tra i nominati c’è anche il ticinese Davide Cascio con la sua mostra al museo di Thun che, dopo aver vinto il «Premio Manor» e aver partecipato a «Che c’è di nuovo?», si sta muovendo davvero bene!”. Certo, la vita per un artista ticinese non è delle più semplici ma, come conclude Oppy de Bernardo, “molte volte non avere soluzioni immediate rende liberi e spinge a trovare soluzioni nuove. Se fossi in una grande città sarei distratto da mille altre cose mentre qui sono spinto a muovermi, pensare e creare”. Elio Schenini completa il cerchio con una riflessione che riassume molti dei punti toccati: “Oggi viviamo in un contesto aperto e globale e questo ovviamente vale anche per i ticinesi. Questo non significa che non si possa operare all’interno di una realtà provinciale, però per un artista è consigliabile muoversi, viaggiare, costruire una vasta rete di relazioni e contatti. Uno dei nostri obiettivi, come istituzione cantonale, è appunto quello di fare in modo che gli artisti validi presenti in Ticino possano essere conosciuti anche fuori dai nostri confini. Non ci si può tuttavia illudere di riuscire a cambiare da un giorno all’altro una situazione che perdura da decenni… A noi importa far crescere un contesto e, poco a poco, ci sembra che la realtà dell’arte contemporanea ticinese stia diventando sempre più dinamica e vitale. Quello che stiamo vivendo è comunque un periodo di transizione, per cui sono curioso di sapere quale sarà la situazione d’insieme tra vent’anni, tornare a fare un bilancio e capire com’è andata”.
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Carta o bit? “Ogni progresso è nello stesso tempo una regressione” sosteneva Robert Musil. E la storia dimostra che non si sfugge al progresso. Ma se il libro scompare, che ne sarà di librerie e biblioteche? testo di Alba Minadeo illustrazione di Elio Ferrario
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Sono molti a porsi oggi la questione se il libro elettronico soppianterà quello cartaceo. Una domanda simile se l’era già fatta nel 1831 Victor Hugo nel suo romanzo Notre Dame de Paris, affresco della Parigi medievale: nel capitolo “Il libro ucciderà l’edificio”, con la frase di Frollo “Questo ucciderà quello”, Hugo riflette sull’avvento della stampa come “distruzione” dell’architettura, considerata fino al XV secolo “gran libro dell’umanità”. Il padre del romanticismo francese scrive: “Fino a Gutenberg, l’architettura è la scrittura principale, la scrittura universale (…) è il pensiero umano che si spoglia di una forma per rivestirne un’altra. (…) Un libro è così presto fatto, costa così poco e può andare tanto lontano! (…) Non so quale esperto di statistica ha calcolato che sovrapponendo l’uno all’altro tutti i volumi usciti dalle stamperie da Gutenberg in poi si colmerebbe lo spazio tra la Terra e la Luna. (…) Dalla cattedrale di Shakespeare alla moschea di Byron, mille campanili si affollano alla rinfusa su quella metropoli del pensiero universale (…) una costruzione che cresce e s’innalza in spirali infinite (…) la seconda torre di Babele del genere umano”. Poesie dorsali Dopo cinquecento anni, il libro elettronico rischia di far scomparire anche le librerie con le loro architetture, le loro forme, edificate in anni e anni di letture e consultazioni. Intorno ai libri sono state costruite intere biblioteche, architetti e designer hanno studiato collocazioni ergonomiche per il sapere, dalle più monumentali, come la British Library, con i suoi 150 milioni di volumi, fino alle “librerie a schiera” tipo le “Billy” di Ikea, case popolari dei bookcase. Ognuno costruisce l’architettura della propria libreria a sua immagine, la disegna usando i libri come mattoni, impilandoli o accatastandoli con ordine e stile specifici. Ogni libreria racconta il suo proprietario, è il suo riflesso, il suo doppio. Svela se è un collezionista o un lettore insaziabile, anche attraverso le più diverse e bizzarre catalogazioni. Il francese Georges Perec (1936–1982) ha provato a fare un elenco: in ordine alfabetico, per continente o paese, per colore (in scala cromatica come una palette), per data di acquisto, di pubblicazione, per formato, per genere, per grandi periodi lette-
rari (o per aree tematiche), per lingua, per priorità di lettura, per rilegatura, per collane. Spesso le librerie sono una combinazione di tutti questi criteri: l’importante è che esista un senso per andare a colpo sicuro quando si cerca un libro. È meglio mettere in vista i libri più belli e nelle altre stanze quelli che sono piaciuti meno o, viceversa, in camera da letto a portata di mano quelli preferiti? Si può anche divertirsi a creare delle poesie dorsali con i titoli dei libri oppure far caso a chi capita vicino a chi, come quando Elsa Morante separa Dacia Maraini da Alberto Moravia, in una sorta di rivincita postuma. I libri di una libreria sono vecchie case dove si percepisce la presenza delle persone che vi hanno vissuto in passato, con felicità e dispiaceri, odi e amori, sogni e disillusioni. Ma si può anche ordinare la libreria a caso, come la biblioteca scientifica del capitano Nemo: “Tutti i volumi erano classificati senza distinzione, in qualsiasi lingua fossero scritti, e il miscuglio dimostrava che il capitano del Nautilus doveva leggere correntemente i volumi che la sua mano prendeva a caso”. Blocchi e bernoccoli Man mano che la libreria s’innalza, vengono aggiunti altri ripiani e sono necessari sgabelli e scalette, vengono creati nuovi “blocchi”, come quel personaggio che, non avendo più stanze per contenere i libri, li usò per costruire la casa che poi distrusse per ritrovare un singolo volume. Giuseppe Pontiggia aveva una biblioteca di oltre ventimila opere, ben più di quelle contenute nella Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata di Einaudi. In casi come questi, è d’obbligo ricorrere alla classificazione decimale Dewey, una sorta di “catasto” dei libri. C’è di buono che, con la libreria virtuale ordinata per icone, elenco, colonne o coverflow, il problema di vivere con troppi libri non si pone. E non si corre nemmeno il rischio di morire sotto il peso della propria cultura come è successo a Charles-Valentin Alkan, il compositore parigino, noto come il “Berlioz del pianoforte” che il 29 marzo del 1888 fu ritrovato nella sua casa, schiacciato dal crollo della libreria che sovrastava il suo letto. Se gli fosse caduto in testa un Kindle, si sarebbe ritrovato vivo e con un bernoccolo. Quello della tecnologia.
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Il rito della “griglia” Cuocere alla griglia è soprattutto un modo di intendere la convivialità e lo stare assieme, un’occasione per recuperare ritmi più rilassati, dettati non dal timer di un microonde, ma dall’azione lenta e costante delle braci roventi, come avveniva nella notte dei tempi di Roberto Roveda
Gastronomia
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La prima grigliata della storia avvenne probabilmente all’alba dei tempi nella savana africana. Alla fine di una battuta di caccia un pezzo di carne finì per errore su uno dei fuochi accesi dai nostri progenitori per tenere lontane le fiere e per scaldarsi dal freddo notturno. Era costato fatica quel pezzo di carne, una giornata intera di inseguimenti, e anche se bruciacchiato qualcuno lo assaggiò, scoprendo che la carne passata al fuoco era molto meglio che cruda. Così, ogni notte da allora, le donne e i bambini presero a radunarsi attorno agli improvvisati falò, mentre i cacciatori abbrustolivano le carni al fuoco. Nacque probabilmente così il barbecue, non solo metodo di cottura, ma soprattutto tradizione, usanza capace di mantenere pur nell’era del digitale le sue matrici ancestrali. Sulla griglia domina ancora la carne, anche se la ventata vegetariana e salutista degli ultimi decenni ha fatto sempre più spazio alle verdure, al pane per le bruschette e ai formaggi. Certo, con disappunto dei puristi di questo rito da giorno di festa.
Mondo. Ancora oggi in alcuni stati dell’America Latina barbacoa ha il significato di intreccio di canne, traliccio, rete, mentre in altri, primo fra tutti il Messico, significa proprio griglia su cui cuocere gli animali interi. Da questa tradizione differiscono – e c’è da stupirsi conoscendo quanto ci tengano a distinguersi i nostri vicini ? – i francesi. Anche per loro tutto ebbe inizio nei primi decenni dell’esplorazione delle Americhe ma furono i sudditi del re di Francia che, dopo essersi meravigliati del fatto che i nativi americani cuocevano gli animali interi, li assaggiarono, e ne rimasero talmente entusiasti che li gustarono de la barbe à la queue. Insomma, da veri colonialisti, si papparono tutto e lasciarono a bocca asciutta i poveri indigeni.
Una questione di metodo Sia come sia, “Francia o Spagna purché se magna”, dice un proverbio e poco importa la paternità etimologica: il barbecue oggi piace pressoché a tutti ed è diventato sinonimo di relax, di convivialità priva di fretta e di assilli. In poche parole, la cosa Roba da uomini? più distante dalla mensa e dal surgelato Allo stesso tempo il barbecue rimane un scaldato nel microonde. Una grigliata con universo ancora tipicamente maschile, una tutti i crismi richiede infatti tempo, attenversione culinaria e proletaria dei vecchi zione e un po’ di metodo. Basta pensare club inglesi “only for men”. Ancora: nonoa quanto è diversa la preparazione delle stante anche nel mondo della carbonella la braci – quando è fatta con i crismi giusti – Immagine tratta da imaginebase.blogspot.com tecnologia faccia sentire il suo peso ed esida tanti gesti automatici e immediati che stano barbecue a gas oppure – orrore! – eletcompiamo oggi. C’è la scelta della legna, trici, la vera grigliata richiede legna o carbone e tanta pazienza. se per una volta si vuole tralasciare la comodità della carbonella. E, come nella savana preistorica, si deve stare all’aria aperta, E legni diversi danno aromi diversi ai cibi, restituiscono profumi sia anche il giardino 4 metri per 4 davanti a casa oppure un sorprendenti. C’è l’accensione dei ciocchi, alla maniera antica, terrazzino a strapiombo sulla cantonale. Il barbecue ha biso- con pezzetti di carta, trucioli di legno e aria di mantice. Infine gno di un pizzico di cielo a rischiarare le carni che sfrigolano la cura delle braci che in un barbecue devono essere ardenti e quasi facendo festa. Una festa da vivere in compagnia, con coperte da un leggero strato di cenere, prive di fiamma per non familiari e amici. bruciare i cibi. Cibi da cuocere con lenta progressione, girandoli Così viene vissuto il barbecue negli Stati Uniti, terra dove braci poco e senza ma inforchettarli, così da giungere integri sul piatto e griglia rappresentano una sorta di religione minore e collettiva e al momento giusto, senza ansie. che unisce tutti, da Manhattan ai cottage sui Grandi Laghi, Se non si è pronti a questo, a una sorta di rito ancestrale e passando per le pianure dello Iowa e le terre assolate del Texas. collettivo, meglio ripiegare su prosciutto e melone oppure Una religione da praticare a ogni festività, appena fa capolino sull’immarcescibile riso freddo! un poco di sole e di cielo azzurro e che i discendenti dello zio per saperne di più Sam hanno ereditato dai popoli pre-colombiani. Secondo la Mimma Ruffini Zorn tradizione, infatti, il termine barbecue deriva dallo spagnolo Barbecue. Tutti i segreti della cucina alla griglia barbacoa, parola che i conquistadores appresero nel Nuovo Il Castello, 2010
re p m e s Va . o n g e s a
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Antropologia del look Sarà il segno dei tempi (duri quasi per tutti), sarà una certa caduta di stile oppure il bisogno di sentirsi comodi e uscire dagli schemi (quali?). Una cosa è certa: il tabù della giacca e cravatta è stato affossato da tempo, almeno tra i CEO più gettonati (e imitati) del momento di Duccio Canestrini
Le
Mundus
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polemiche sulla felpa del giovane imprenditore Mark tre o quattro ragazzi giapponesi, in jeans, maglietta bianca e Zuckerberg da qualche settimana tengono banco negli Stati scarpe da ginnastica. Alle loro spalle, attori, personaggi dello Uniti. Wall Street a quanto pare vorrebbe un amministratore spettacolo, e qualche schizzo di crema della Milano bene, delegato “ben vestito”. L’analista finanziario Michael Patcher, tutta griffata. Ho chiesto chi fossero quei ragazzi. Erano i buin particolare, ha accusato il ventottenne fondatore di Facebo- yers, i compratori di alta moda, che potevano piazzare grosse ok di sciatteria nell’abbigliaordinazioni per il mercato mento, una trasandatezza che orientale: corteggiati, ricchi secondo lui significherebbe e noncuranti. mancanza di rispetto verso gli investitori. Ma dal web Facebook: “stile” di vita arrivano smentite, proteste e Torniamo per un attimo all’arsberleffi. Se Zuck vestisse in gomento lanciato dall’analigiacca e cravatta tradirebbe sta Michael Patcher: la felpa la formula vincente del sodi Zuckerberg denoterebbe cial network più frequentato un’immaturità di fondo e del mondo. Giusto il casual, non ha un’importanza secondunque. O no? daria. Vestirsi così, in felpa e Neppure la giacca, del resto, sandali, “è come dichiarare di sembra essere bandiera uninon essere una persona adatta versale di presentabilità. Lo a guidare una grande azienda”. stesso giorno in cui esplodeva Molto probabilmente, invece, il caso “felpa”, su Facebook Zuck sa bene cosa indossa. e su YouTube impazzava un E non vuol dare un segnale video dell’emittente pugliese di allontanamento della sua TeleBari con un servizio sul azienda dallo stile disinvolto consigliere regionale Antonio e informale che ne ha decreDecaro, capogruppo del Pd tato il successo. Felpa con cappuccio, graffito dell’artista inglese Bansky (google.com) e delegato alla Mobilità del Zoom sulla felpa. Originariacomune. Decaro indossa una mente creata per fare sport giacca a grandi quadri blu che manda letteralmente in tilt oggi è indossata abitualmente al pari di maglioni e pullover. la giornalista in studio, che ride, e poi ride, senza riuscire a È tuttavia la parola inglese che ci illumina sul suo significato: trattenersi durante tutta l’intervista. sweatshirt, letteralmente maglia da sudore. Ora, si suda per due motivi, o meglio per due tipi di attività: il lavoro e lo Segni dei tempi (di crisi) sport. La traspirazione di cui “parla” la felpa del giovane amViene da chiedersi se sia ancora vero che l’abito fa il monaco ministratore non è da carpentiere, né da uno che sta seduto (o il CEO, o il politico, o l’esperto) anche se nessuno aveva davanti allo schermo, ma da uno che corre perché ha tempo alcunché da obiettare sullo stile casual di Steve Jobs quando libero. Ecco che riaffiora così il pregiudizio dei sedentari – presentava i nuovi prodotti Apple. Su questa look-diversità, e coloro che siedono sui loro sederi – e i (vi)andanti, coloro sul suo opposto cioè il conformismo, è giusto interrogarsi: la che vanno, dove l’idea del lavoro è associata alla stabilità tristezza dell’uniformità non sta pervadendo l’intera nostra e quella di svago alla mobilità. Se ti muovi, giochi. Se stai società? Vestiamo più o meno tutti allo stesso modo, portia- fermo, produci. Vecchie categorie, perché sappiamo che non mo “divise” adeguate al nostro ruolo, abiti che ci collocano è così, o può tranquillamente non essere così. In felpa o in e ci connotano. Qualche anno fa, per ragioni di studio, ho cravatta contano le buone idee. E si possono tranquillamenavuto occasione di assistere a un défilé di grandi firme a Mila- te licenziare operai in maglione. Nel caso di Zuck, non c’è no. Di quelli per pochi, esclusivissimi. In prima fila sedevano dubbio: si può nascere con la camicia.
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La solitudine dell’ateo Il dominio millenario dei monoteismi (cristianesimo, ebraismo e islam) ha imposto all’ateo la giustificazione della propria convinzione. Ma forse la domanda da porsi è tutt’altra… testo di Marco Alloni illustrazione di Micha Dalcol
Ha ragione Michel Onfray: “Dio non è morto, non è mai mor-
to”. Stando agli atei non è mai nemmeno nato, ma questa evidentemente è una preoccupazione a cui l’ateo non assegna alcuna importanza. L’ateo vuole capire il fenomeno della sua solitudine: cioè la ragione per cui la maggioranza degli esseri umani continua da sempre a credere. L’ateo è una creatura che la storia dell’Occidente ha obbligato a una risposta paradossale: “perché non credi in Dio?”. Come se il presupposto fosse l’esistenza di Dio e non il suo contrario. Come se all’ateo non spettasse la più ovvia domanda: “perché credere in Dio?”. L’abitudine consolidata da due millenni di cristianesimo e da cinque di ebraismo – a cui possiamo aggiungere oggi millequattrocento anni di islam – è ormai di considerare l’ateismo un’effrazione e la fede una norma. Per chi, come il sottoscritto, vive in terra islamica la professione di ateismo suscita addirittura indignazione. Eppure, a rigor di logica, la domanda più sensata non sarebbe: “come spieghi l’inesistenza di Dio?”. Bensì: ”come spieghi la sua esistenza?”. A rigor di logica dovrebbe spettare ai credenti motivare con argomenti convincenti la certezza di un’entità invisibile la cui manifestazione è da sempre demandata a uomini e libri. Invece, il dominio secolare e temporale dei monoteismi impone da millenni che a giustificare la propria posizione sia l’ateo. Perché? Una risposta persuasiva la si trova nel libro di Michel Onfray Trattato di ateologia (Fazi, 2007). Vale la pena riconsiderare quel saggio non fosse per il paradosso a cui l’ateo è obbligato da tempi immemorabili: difendere la propria miscredenza. Opere inattaccabili? Michel Onfray ci propone in un linguaggio al vetriolo una lettura critica dei tre monoteismi: ebraismo, cristianesimo e islam. Così facendo dischiude quella che può essere considerata a buon diritto un’etica laica: assegnare all’uomo, e non alla finzione immaginativa, la responsabilità di affrontare la vita. Almeno due sono gli elementi cruciali di quell’opera: la dissezione filologica dei testi sacri e la disamina filosofica dei loro contenuti. Attraverso la prima operazione – che potremmo definire di decostruzione delle scaturigini storiche delle opere
sacre – Onfray smonta il pregiudizio positivo secondo cui Torah, Vangeli e Corano sarebbero opera di Dio e ce ne mostra viceversa (dati alla mano) la palese origine terrena. Nati attraverso una serie di giustapposizioni, correzioni, aggiunte, modifiche e censure di chiara impronta umana, tali testi sono infatti sedimentazioni che mal si accordano con l’ipotesi o l’illusione di una rivelazione a tutto tondo sottratta eo ipso all’intervento della penna e dell’arbitrio umano. Al loro interno presentano tali e tante incongruenze e contraddizioni che solo una fede sottratta all’autocritica può inoltre ammetterli come semiologicamente coerenti e culturalmente inattaccabili. Attraverso la seconda operazione – in cui la filosofia si fa carico di individuare l’insegnamento morale di quei testi – Onfray ribalta il pregiudizio positivo secondo cui i libri sacri conterrebbero chiare e inequivocabili esortazioni morali per svelarci come, in ciascuno di essi, esista viceversa tutto e il contrario di tutto. Un’evidenza che pare paradossale dover mettere in luce ma che tanta apologetica della fede rende ancora necessario evidenziare. L’umana verità La storia ci insegna – e la contemporaneità ci conferma – che in nome del Dio unico (sia esso Jaweh, Dio o Allah) si sono compiute le più sublimi opere come i più efferati crimini. E se non bastasse la storia sarebbero sufficienti la ragione, l’onestà intellettuale e una lettura dei testi libera dall’ottusità ideologica con cui vengono generalmente affrontati. Sottratti all’assoluzione a priori che il credente concede loro in ottemperanza al mantenimento della propria fede, essi mostrano infatti con lapalissiana evidenza che Bene e Male soggiacciono – come è naturale che sia – alla semplice e fluttuante, intercambiabile interpretazione umana. Colti questi dati di intervento umano sulla fruizione dei testi sacri, è allora del tutto evidente che parlare di divine e incontestabili verità non ha alcun senso. La verità è sempre umana, “troppo umana”. E se come assoluta la si presenta, questo dipende dalla tendenza, altrettanto umana, a imporre “fascisticamente” – dalle strutture clericali di potere al costantinismo di ogni epoca e luogo – la propria verità come legge universale. Diffidiamo dunque da chi non si pone la domanda: “perché credere in Dio?”.
Kronos
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» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Flavia Leuenberger
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Lydia Stadler Centonze
Vitae
ora che mi sto dedicando a “progetti” ben definiti. Mi sono accorta di come negli anni sia cambiato il modo di relazionarmi a un soggetto e questo dà la possibilità di riprendere le cose realizzate in passato e di presentarle in modo sempre diverso e originale, inserendole o estrapolandole dal loro contesto. Per esempio, nel progetto “… da sotto gli alberi…” ho voluto dimostrare che cambiando prospettiva, punto d’osservazione, tutto può cambiare, e che così è anche nella vita. Lo stesso evento muta a seconda del punto di vista da cui lo si osserva. In questa attività la cosa che mi appaga maggiorFotografa d’arte e amante della speri mente, che mi dà più gioia è mentazione, riesce a emozionare e tras la sfida con me stessa, riuscire mettere sensazioni inedite, affrontando a concretizzare l’idea, quindi trasformarla in immagine, da i temi fondamentali della vita condividere con gli altri al momento dell’esposizione. E vinto anche il primo premio a ascoltare le critiche, anche se non sono tutte Uster con il titolo Jugend 95. positive. Un altro aspetto della mia vita che Quando ho capito che i rami sta a cuore è il far parte di un club di gazzi erano pronti, ho ripreso servizio, il Soroptimist International, la più in pieno la mia professione. grande organizzazione di donne attive profesRicominciare da autodidatta sionalmente, che s’incontrano mensilmente con computer, scanner e stamper riflettere sui grandi temi d’attualità, per panti non è stato facile, ma ho vivere momenti di amicizia e di conviviasubito capito che potevo finallità, per condividere azioni di solidarietà. I mente lavorare fino a certi forclub di servizio sono un esempio di come mati in modo indipendente si possa lavorare in gruppo in modo veloce e soprattutto nel mio atelier. e concreto. Le attività, e le raccolte di fondi Col tempo possono mutare gli che si organizzano permettono di aiutare strumenti, ma sostanzialmenpersone in difficoltà, con un gesto diretto e te la professione non cambia. sicuro che fa bene a chi lo riceve e a chi lo L’essenziale sono i messaggi rende possibile. che si vuole trasmettere. NelIl posto centrale nella mia vita è però occupala mia ultima esposizione a to dalla famiglia. Ho due figli e con loro ho Morcote c’è un po’ di tutto: un rapporto molto affettuoso, sincero, schietdalla denuncia sociale alla to e rispettoso da entrambe le parti. Ho anche boccata d’aria delle foto indue cani: da cinque mesi sono con noi due titolate “Novità dal cielo”. sorelle whippet, Grace e Kelly. Da quando Non mi curo più di rispettare sono sposata ho avuto sei cani. Salvo il pricerte regole fotografiche, ma mo, Golden Solo che era un pastore scozzese, cerco piuttosto un’inquadrasono stati tutti levrieri. Trovo che rispecchino tura sempre personalizzata e, a il mio carattere: sono amici sinceri e discreti volte, lavoro su un’immagine che riescono a insinuarsi nell’animo umano. anche per giornate intere. Se Ti aiutano nei momenti belli come in quelli facessi fotografie di reportage, bui restando al tuo fianco, facendoti capire questo non sarebbe neppure con uno sguardo che loro sono lì… per te. La pensabile. Tutto il materiale vita e le sue esperienze mi hanno insegnato che adopero viene dal mio che la salute è la cosa più importante, e che archivio ed è per questo che le si deve imparare a difendersi da un’eccessiva mie opere sono estremamendispersione fuori di sé. In tal modo si evita di te personali, come i collage esaurirsi e si apprezza ciò che si ha. A volte che creo. Sicuramente ho dei riesco ancora a sorprendermi, quindi il camtemi ricorrenti, soprattutto mino è ancora lungo!
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I
ricordi della mia infanzia sono legati soprattutto a profumi. Ho passato molto tempo nel giardino di casa, tra prati, stagno, alberi, una vita un po’ selvatica, che rispecchia il mio carattere schivo e riservato. Ora vivo a fianco della mia casa paterna per cui queste esperienze proseguono e si mescolano alla vita di tutti i giorni. Durante la mia esistenza non ho mai avuto la sensazione di essere stata io a scegliere qualcosa. Direi piuttosto che siano state le circostanze a scegliermi, anche rispetto alla mia professione di fotografa. Dopo aver frequentato senza entusiasmo il liceo, cercavo un lavoro che presentasse un aspetto pratico, manuale e mi permettesse di dedicarmi ogni giorno a qualcosa di diverso. Comunque stampa e fotografia erano già in famiglia, perché avevamo la tipografia del nonno, che il papà ingrandì e mi garantiva uno sbocco professionale sicuro, se avessi scelto quella strada. Così ho studiato tre anni in Germania, dove ho conseguito il diploma federale tedesco come Reprofotografo e impaginatore per la stampa industriale. Allora non esistevano ancora scanner, Pc e stampanti, per cui si passavano ore e ore in camera oscura a preparare e correggere tutte le pellicole per la stampa. Ogni giorno ci si confrontava con realtà diverse, si risolvevano situazioni inedite, si dovevano assumere responsabilità e prendere decisioni. Ero lontano da casa, abitavo da sola e dovevo arrangiarmi in tutto. Questa esperienza mi ha permesso di acquisire sicurezza, di maturare, essendo direttamente responsabile delle mie scelte. È stato un iter faticoso, ma non un sacrificio. Quando sono nati i miei due figli, le priorità sono cambiate e mi sono dedicata a loro, alla mia famiglia, cercando di offrire non solo una quantità del mio tempo, ma anche la qualità della mia presenza nella loro vita. Scattavo foto, soprattutto dei bambini, tra cui una ha
aventicum
La capitale degli Elvezi
Ad Avenches, nei pressi del lago
testo di Martina Rezzonico; fotografie di Philippe Mougin
più ricchi siti archeologici della
di Morat (VD), si trova uno dei Svizzera. I resti della città romana Aventicum possono essere visitati nell’arco di una mezza giornata, inclusa la visita al piccolo museo situato nella torre medievale costruita sulle rovine dell’anfiteatro
sopra: l’anfiteatro; in apertura: Minerva, la dea della saggezza
L
a città di Aventicum, il cui nome deriva dalla divinità celtica delle acque Aventia, venne fondata ex novo all’inizio del I secolo d.C. nei pressi di una zona sacra frequentata sin dall’Età del ferro. Si trovava in una posizione favorevole, sull’asse viario che collegava il bacino lemanico al Reno; inoltre possedeva fin dagli inizi (5/6 d.C.) un porto sul lago di Morat, distante circa un chilometro dalla città. Fondata probabilmente per volere di Roma – l’attuale territorio svizzero in seguito alla conquista delle Alpi nel 15 a.C. era entrato a far parte dell’Impero romano –, diventò la capitale politica e amministrativa degli Elvezi, popolazione che in quel periodo occupava grossomo-
do l’Altipiano svizzero. Nel 71/72 d.C. Aventicum ottenne dall’imperatore Vespasiano lo statuto di colonia romana, con l’altisonante nome di Colonia Pia Flavia Constans Emerita Helvetiorum Foederata. Vespasiano era legato alla città poiché suo padre Flavio Sabino vi trascorse gli ultimi anni di vita e probabilmente anche il figlio, il futuro imperatore Tito, una parte dell’infanzia. Aventicum conobbe un forte sviluppo fino alla fine del III secolo, quando le incursioni degli Alemanni portarono distruzione e declino; la città è rimasta però occupata senza interruzione sino ai giorni nostri. Mentre alcune rovine erano continuamente visibili sin dall’antichità, altri resti vennero alla luce nel XVIII secolo;
Il teatro
scavi sistematici furono però organizzati solo a partire dal 1884 dall’Association Pro Aventico (oggi Fondation Pro Aventico). L’attività di scavo continua a portare nuove conoscenze sul sito e la sua importanza (ci si può informare sullo stato attuale delle ricerche su www.aventicum.org). La città, che occupava una superficie di circa 60 ettari, contava nel periodo di maggior sviluppo ben ventimila abitanti. Era costruita secondo lo schema ortogonale tipicamente romano, con il foro e i monumenti pubblici situati all’intersezione dei due assi viari principali. Il forte influsso romano sulla planimetria e gli edifici indica che gli Elvezi si erano adattati alla cultura e al dominio di Roma.
Eredità culturale Diversi sono gli edifici e i monumenti ancora visibili: partiamo dunque per una passeggiata alla scoperta del passato di Avenches! Il monumento più conosciuto è sicuramente l’anfiteatro, costruito e ampliato nel II secolo: fino a sedicimila spettatori potevano assistere ai combattimenti fra gladiatori e animali. Del resto, ancora ai giorni nostri vi si tengono regolarmente manifestazioni musicali, come un festival d’opera e un openair rock. Per assistere a tragedie e commedie del repertorio classico ci si recava al teatro, che ospitava dodicimila spettatori. Fu costruito in stile gallo-romano all’inizio del II secolo insieme al santuario di Cigognier, situato sullo (...)
Il santuario di Cigognier
La porta orientale
Il santuario di Cigognier
stesso asse a una distanza di circa 150 metri. Nel tempio si praticava di sicuro il culto imperiale – famoso è il busto dorato di Marco Aurelio rinvenuto in un canale di scolo del santuario –, ma probabilmente vi si veneravano anche divinità locali. Si presume che questo complesso monumentale abbia avuto un’importanza non solo locale: un luogo d’incontro e riunione per tutti gli Elvezi, che con grandi festività esprimevano la loro lealtà verso Roma e contemporaneamente la loro coesione interna. Se continuiamo la nostra visita giungiamo alla porta orientale e alla torre “La Tornallaz”, l’unica rimasta delle 73 originarie. Le mura furono costruite dopo l’elevamento di Aventicum a colonia e con una lunghezza di
oltre cinque chilometri cingevano un’area di 228 ettari. Dopo esserci goduti la vista torniamo verso il centro cittadino. Delle tre terme indagate ad Avenches sono ancora visitabili le cosiddette terme “En Perruet”: questo tipo di edificio è una delle espressioni più tipiche della cultura romana e si ritrova dappertutto in questo periodo, dalle grandi terme cittadine ai bagni integrati nelle ville di campagna. Le adiacenti “Terme del Foro” furono sostituite all’inizio del II secolo da un altro edificio pubblico, probabilmente dedicato a Minerva, la dea della saggezza. Passando dal tempio gallo-romano a pianta quadrata di Grange des Dîmes, si raggiungono infine i resti dell’imponente palazzo di Derrière la Tour, che nel III secolo
Il teatro
Philippe Mougin Nato a Parigi nel 1969, vive e lavora a Losanna. Fotografo professionista freelance da diversi anni, si è specializzato nella fotografia in bianco e nero che interpreta alla luce di una visione intimista e di una raffinata ricerca grafica. Per la serie “Aventicum” qui pubblicata, ha utilizzato una pellicola B/N e una semplice macchina fotografica di plastica per riuscire a interpretare il cambiamento della luce e il senso del tempo che passa. Per informazioni: philippemougin.com.
occupava un’area di ben 15.000 metri quadri. Per chi come me è stata “indirizzata” fin da piccola verso la storia e l’archeologia Aventicum ha rappresento una tappa obbligata. Ma anche per chi desidera conoscere le bellezze del nostro paese, magari con la famiglia, una visita a questo sito vale certamente la pena. E chissà che non ci sia qualcuno che, affascinato dalla nostra eredità culturale, decida di occuparsene tramandandola così alle generazioni future? per informazioni Orario estivo di visita al Museo Romano di Aventicum (dal 1. aprile al 30 settembre): da martedì a domenica dalle 10 alle 17. Ulteriori indicazioni sono disponibili sul portale aventicum.org.
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Juan e l’albicocca
C’era una volta, tanto tanto tempo fa, una principessa di nome Estrella, talmente ghiotta di albicocche che suo padre, re Chub Chub decise di emanare un bando che così diceva: “Chi sarà capace di stufare la principessa con le albicocche l’avrà in moglie”. La notizia giunse anche a tre fratelli che di mestiere facevano i contadini e sulle cui terre crescevano i più rigogliosi alberi di albiFiabe cocche che si potessero immaginare. Il maggiore chiamò a sé gli altri due e disse loro: “Sono stanco di vangare la terra. Voglio provare a vedere se riesco a stufare la principessa”. Raccolto un bel cesto di albicocche si mise in cammino. A un bivio, seduto sotto l’ombra di un albero vide un uomo anziano che gli fece segno di avvicinarsi. “Dove andate di bello, giovanotto?”. “Vado a stufar la principessa con le mie albicocche, non vedete che bel cesto pieno porto sulle mie spalle?”. “Davvero belle. Non è che me ne dareste una?” chiese il vecchio. “Mi chiedete davvero troppo... E se fosse proprio quella l’albicocca che la stufa? Per fare un favore a voi rischio di non diventare principe. Addio vecchio”. E voltate le spalle riprese il sentiero. Arrivato a corte si presentò alla figlia del re che in un battibaleno divorò tutti frutti. “Tutto qua? Non ne avete altre?”, chiese la ragazza.
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testo di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini
Il giovanotto si strinse nelle spalle e sconsolato tornò dai suoi fratelli. Il giorno seguente decise di provarci il fratello di mezzo. “Visto che al nostro fratello maggiore è andata male, proverò io ma per precauzione mi porterò due cesti”. E così riempiti due grossi panieri anche il secondo fratello si mise in cammino. Giunto in prossimità del bivio incontrò il vecchio. “Dove andate con quel peso sulle spalle, giovanotto?”. “Vado a prendere in moglie la principessa Estrella. Con tutte queste albicocche sarà presto stufa e io principe”. “Me ne fareste assaggiare una? Ne avete così tante…”. “Ah… buon uomo lo farei volentieri, ma non oggi. Queste sono tutte per la mia futura sposa” e proseguì lungo il suo cammino. Arrivato a palazzo, fu condotto al cospetto della principessa che in un batter d’occhio svuotò entrambi i panieri. “Tutto qui? Mi aspettavo meglio da voi” commentò la ragazza, e voltate le spalle al giovanotto, scomparve dietro una porta. Incapace di credere ai propri occhi anche il secondo fratello riprese la strada di casa. Giunto in prossimità del loro podere vide i fratelli che gli correvano incontro. “Allora, che è successo?”. “Nulla, si è mangiata tutto. Se non stavo attento si divorava anche i cesti”.
“Domani tocca a me”, penso fra sé il più piccino. “Chissà che con tutte le albicocche che ha mangiato non gli venga una bella indigestione…”.
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mattino successivo, il fratello minore, che si chiamava Juan, si mise in cammino con un piccolo cesto nel quale aveva messo le albicocche più mature scelte dal migliore dei loro alberi. Giunto in prossimità del bivio scorse il vecchio che lo osservava seduto all’ombra delle foglie e intento a fumare da una lunga pipa di gesso. “Dove stai andando ragazzo mio?”. “Vado a vedere se riesco a stufare la principessa con le mie albicocche…”. “Già, ne ho visti passare tanti di qua con le schiene piegate dal peso delle ceste. Ma la sera tornano tutti indietro, leggeri leggeri… Ma voi avete una piccola cesta. Come sperate di stufare la principessa con quella dozzina di albicocche?” “Queste non sono albicocche qualsiasi. Sono le migliori che crescono su questa terra. Se la principessa non capirà quanto siano buoni i miei frutti vorrà dire che non è la moglie adatta a me e non starò certo a disperarmi”. Il vecchio sorrise. “Siete un ragazzo in gamba. Me ne fareste assaggiare una?”. “Ma certo, sono curioso di conoscere il vostro parere”. E così il vecchio assaggiò un’albicocca, e poi un’altra e un’altra ancora. Erano talmente buone che non ne rimase che una, la più rossa e succosa. “Accidenti”, disse Juan “me ne è rimasta solo una”. “Non ti preoccupare”, disse allora il vecchio “sono talmente buone che Estrella sarà felice di averti incontrato”. Giunto a corte si pre-
sentò dunque alla principessa. “Che avete in quel cestino?”, chiese subito la ragazza. “Un’albicocca”, rispose Juan. “E che me faccio io di un’albicocca”, sbottò indispettita. “Beh… quello che fate con tutte le altre albicocche… la mangiate. Però badate, questa non è un’albicocca qualsiasi, questa è l’ l’albicocca. Una volta assaggiata il vostro desiderio sarà esaudito, perché mai avrete gustato frutto più dolce e gustoso. Ma non dovete avere fretta: sedetevi e assaggiatela lentamente”. La principessa si accomodò accanto al trono del padre e Juan le porse il frutto. Una volta assaggiatolo la ragazza si portò le mani al volto e Juan si accorse che le lacrime le scendevano lungo le guance. “Cosa avete? Perché piangete?”. “Piango perché con il vostro frutto mi avete liberato da un terribile incantesimo e da questo momento sono la vostra sposa. Le mie, caro Juan, sono lacrime di gioia”. Quella sera il vecchio attese fiducioso il tramonto e, naturalmente, non vide Juan tornare verso casa. Il resto, sono certo, ve lo immaginate... queste storie finiscono sempre nello stesso modo, e va bene così. Ah, dimenticavo... dal nocciolo di quella albicocca, che Juan piantò nel giardino del palazzo reale, crebbe un magnifico albero. Ogni sera d’estate egli scendeva a cogliere un frutto da donare alla sua bella Estrella.
Fiabe
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OCCHIO ALLA TESTA! Elemento essenziale per la sicurezza di chi inforca una motocicletta o uno scooter, a partire dagli anni Novanta il casco è diventato anche un soggetto interessante per i designer, sia per la sua estrema visibilità sia per la possibilità di personalizzazione. Tra i molti marchi presenti sul mercato – come Arai, Bell e Shoei, sigle legate anche al mondo delle competizioni a due e a quattro ruote –, negli ultimi anni numerose aziende si stanno impegnando nella ricerca di nuove idee e tecnologie. Come la tedesca BMW e il suo Airflow 2, tra i vincitori del RedDot Design Award 2012 per la qualità del prodotto, l’innovazione e lo stile contraddistinto da linee essenziali e originali. Tendenze p. 48 – 49 | a cura di Giancarlo Fornasier
L’efficacia della ventilazione interna è uno dei parametri fondamentali per i motociclisti, in particolare per chi percorre lunghi tratti sulle due ruote. L’Airflow 2 ha due grosse prese d’aria regolabili poste nella parte superiore della calotta esterna che consentono l’afflusso di una notevole quantità d’aria verso la testa dell’utilizzatore grazie ai fori presenti nella calotta interna in polistirolo. Naturalmente il flusso d’aria non colpisce direttamente il capo, ma circola attraverso apposite canalizzazioni, rinfrescando così tutta la parte interna del casco. Niente male rispetto ai classici “buchi” muniti di griglie in plastica di molti altri caschi…
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La visiera è certamente uno degli elementi che maggiormente vanno considerati nella scelta del proprio casco. Il modello proposto da BMW – evoluzione del precedente Airflow – ne ha una a scomparsa, come nei caschi dei piloti degli aerei militari. Di 2 mm di spessore, ha un trattamento antigraffio ed è facile da azionare muovendo verso il basso una delle due alette presenti ai lati della visiera. Una volta abbassata protegge gli occhi dell’utilizzatore sino al naso, ma senza toccarlo. Oltre alla dotazione base, è disponibile come optional anche una versione della visiera più scura. Il meccanismo che consente il movimento della visiera è posizionato all’interno della calotta in fibra. Per accedere al meccanismo che ne regola l’abbassamento e il sollevamento è necessario smontare le imbottiture interne. La BMW fornisce a tutti anche una coppia di ingranaggi di riserva.
Le imbottiture interne sono nere e nelle pareti laterali la stoffa è stata sostituita con una rete, per migliorare l’acustica del casco. Il comfort è “ottimo” stando al parere degli esperti di moto.it che negli scorsi mesi hanno testato l’Airflow 2.“Calza senza stringere e offre abbondanti imbottiture anche nella parte laterale e sul mento” grazie alle due lunghe protezioni per le guance. Anche il cinturino ha una “buona imbottitura sottogola”, ed è munito di una chiusura a scatto micrometrica a regolazione variabile. La protezione interna – completa ma anche complessa per via del meccanismo della visiera – necessita di una certa accortezza nelle operazioni di smontaggio e riassemblaggio (forse l’unico neo dell’Airflow 2).
La calotta esterna è in fibra di vetro rinforzata in carbonio ed è disponibile in tre diverse misure. Il portale moto.it considera questo casco “bilanciato e leggero”, caratteristiche che lo fanno diventare ”comodo, utilizzabile anche per lunghi periodi di tempo”. La BMW lo propone in cinque varianti monocolore e il peso della versione più grande (“L”) è di 1350 grammi circa. Il casco è predisposto per l’installazione dei sistemi di comunicazione “BMW Motorrad”. Il prezzo? Naturalmente in linea con i prodotti della casa.
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Astri toro
gemelli
cancro
Tra la sera del 26 e il 28 giugno Luna in opposizione. Improvvisi malumori all’interno della coppia. Condividete maggiormente le vostre emozioni con il partner. Notizie in arrivo per i nati nella prima decade.
Una questione familiare assume un ruolo di primissimo piano. Dovete trovare una mediazione. Attività professionale portata proficuamente dai nati dell’ultimissima decade favoriti dal trigono con Marte.
Momento ricco di magia e atmosfere sensuali. Unioni sentimentali per i nati nella prima decade favoriti dalla congiunzione di Venere con Giove. Guadagni e promozioni inaspettate. Un lontano passato ritorna.
Se volete approfittare del vostro compleanno per affrontare un antico nemico, interiore o esterno, fatelo subito! Energia necessaria per compiere qualunque tipo di impresa e sconfiggere ogni “Minotauro”.
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Energia intellettuale in ordine all’arrivo di Mercurio. Vivace incremento delle attività di tipo intellettuale. Incontri sociali e nuove idee. Una questione professionale viene risolta grazie alla vostra genialità.
Approfittate del passaggio di Marte per compiere qualcosa di significativo. Canalizzatevi verso i vostri obiettivi. Non stressatevi con inutili disquisizioni intellettuali. Comportamenti al di fuori del consueto.
Tutto va per il verso giusto grazie ai buoni transiti di Giove e Venere. Amori, matrimoni e fidanzamenti. Scelte di una certa importanza per i nati nella terza decade. Decisiva la giornata del 28 giugno.
Grazie a Giove e a Venere potrete dare vita a un viscerale risveglio alla vostra coscienza. Momento professionalmente felice per i nati nell’ultima decade aiutati dal passaggio di Marte. Riservatezza tra il 27 e il 28 giugno.
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capricorno
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L’estate può iniziare alla grande per i nati in novembre. Grazie al trigono di Urano con Mercurio potrete aprire le porte all’incredibile. La vostra vita sentimentale potrebbe andare incontro a una rivoluzione.
Importanti transiti tra il 27 e il 28 giugno, sollecitati da una croce di pianeti sui segni cardinali. Se dovete fare una scelta muovetevi, senza farvi bloccare. Scegliete liberamente in base ai vostri desideri.
Amore a gonfie vele per i nati in gennaio: colpi di fulmine e fidanzamenti. Creatività e avanzamenti professionali per i nati nella terza decade. Chiedete e vi sarà dato. Il destino bussa alle vostre porte.
Tra il 29 e il 30 giugno Luna dalla vostra parte. Se dovete compiere delle scelte potete farlo con serenità. Novità nel lavoro. Irascibili con il partner i nati nell’ultima decade. Non cedete alle tentazioni di Marte.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 27
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro mercoledì 27 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 26 giu. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
Orizzontali 1. Trasandati, malmessi • 10. Intacca la vite • 11. Scopi, aspirazioni • 12. Tedioso • 13. Uranio e Arsenico • 14. Incapaci • 15. E così via... in breve • 16. Pari nell’innesco • 17. La formano… le note • 20. Pretenzioso • 22. Tiro centrale • 23. Il monogramma di Napoleone • 25. Abitavano Cuzco • 27. Un comodo mobile • 29. Ripide • 30. Lo sono gli eventi rosa o azzurri • 31. Il niente del croupier • 32. La dottrina di Maometto • 33. Tapine, misere • 36. Fa buon sangue! • 38. Gracida • 39. Un segno matematico • 40. Lo si dice a chi bussa • 41. Struzzo australiano • 43. L’ultima dell’alfabeto • 44. La nota degli sposi • 46. In mezzo al mare • 47. Consonanti in ruolo • 48. Stella del cinema • 50. La Nin, scrittrice • 51. Noto collegio inglese. Verticali 1. Nota commedia di Goldoni • 2. Quartiere cittadino • 3. Confinante, limitrofo • 4. Città vallesana • 5. Il figlio di Giovanni dalle Bande Nere • 6. Romania e Malta • 7. Li portano i soccorritori • 8. Impostate, tratteggiate • 9. Si a Londra (Y=I) • 15. Esentare • 18. Utilizzi • 19. Lupin, ladro gentiluomo • 21. Escono ogni sette giorni • 24. Piccoli difetti • 26. Reato • 28. Fiume francese • 34. Son spesso con le fave! • 35. Uccello acquatico • 37. Asino • 39. Reginetta di bellezza • 42. Antica città della Mesopotamia • 45. Andate in poesia • 49. Le iniziali di Toscanini.
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La soluzione del Concorso apparso l’8 giugno è:
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COGLIERE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Juliana Crivelli via S. Gottardo 100 6828 Balerna Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: 2 buoni del valore di CHF 50.- l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi FFS La stazione FFS: il punto di prevendita di biglietti per eventi I biglietti per concerti, party, eventi sportivi e numerose altre manifestazioni sono disponibili presso circa 200 punti di prevendita nelle stazioni FFS. L’assortimento comprende tutte le manifestazioni di Ticketcorner, Starticket, Ticketportal e biglietteria.ch. Nelle maggiori stazioni FFS i punti di prevendita sono aperti anche nel fine settimana. Per raggiungere in tutta rapidità e comodità la sede dell'evento, vi consigliamo di prendere il treno. Il prossimo evento in prevendita è: Moon and Stars (dal 5 al 15 luglio). Ulteriori informazioni sono a disposizione su ffs.ch/events. Buon divertimento!
Per determinati eventi RailAway offre dei biglietti combinati che comprendono il biglietto ferroviario scontato per il luogo in cui si svolge la manifestazione, più il biglietto per l’evento. Potete acquistare queste offerte combinate di RailAway presso qualsiasi sportello ferroviario. Se possedete già il biglietto per una manifestazione, ottenete comunque lo sconto sul biglietto ferroviario. Basta esibire il biglietto per l’evento allo sportello ferroviario.
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IL NUOVO MODO DI GUARDARE LA TV
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