Ticino7

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№ 26

del 30 giugno 2012

con Teleradio 1–7 luglio

Caritas Ticino

SolidarieTà e Sviluppo

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Insieme per un mondo piĂš giusto!

Associazione d’invio di volontari per progetti al Sud del mondo www.interagire.org Tel. 091 760 05 45 Conto postale: 69-3778-8


Ticinosette n° 26 del 30 giugno 2012

Agorà Povertà. Caritas Ticino: solidarietà e sviluppo Media Dramma e Tv. La “scena” del crimine Sport Europei 2012. Un calcio alle regole

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MaRco alloNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Letture L’età della qualità

Tiratura controllata

Kronos Leggende metropolitane. Mosca sotto sotto

70’634 copie

Chiusura redazionale Venerdì 22 giugno

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

GiaNcaRlo FoRNasieR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mundus Società e sviluppo. Diversa-mente Luoghi Balconi. Sporgenze virtuali Vitae Patrizia Mancuso Reportage Villa Litta

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FabiaNa testoRi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

duccio caNestRiNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRco JeitziNeR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Nicoletta baRazzoNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

RobeRto Roveda; FotoGRaFie di Reza KhatiR. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Moda e avventura. Colonial chic

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MaRisa GoRza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Photo editor

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier Reza Khatir

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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Nicola deMaRchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Impressum

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Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Ricucitura sociale Elaborazione grafica di Antonio Bertossi

Un saluto e un grazie L’uscita di questo numero di Ticinosette coincide con un importante cambiamento all’interno dell’organigramma del settimanale . Come già comunicato ai dipendenti del “Corriere del Ticino” – il cui editore è, insieme alla Salvioni arti grafiche di Bellinzona, uno dei proprietari della nostra testata –, il nostro direttore editoriale Peter Keller lascia il suo incarico per raggiunti limiti d’età . Un ruolo centrale che ricopriva sia all’interno del quotidiano luganese sia in questo settimanale . Importante figura dell’editoria cantonale e nazionale nel corso di un ventennio segnato da profondi cambiamenti nel mondo dell’informazione, Peter Keller con la sua personalità schietta, la grande competenza e la passione per la fotografia, ha svolto un ruolo determinante nel percorso di Ticinosette, in particolare a partire dalla sua riorganizzazione avvenuta nel 2008 . Una riorganizzazione voluta dagli editori e dal nostro partner pubblicitario e dettata da precise esigenze di rilancio del settimanale, quando ancora la profonda crisi finanziaria ed economica era ai suoi inizi . È naturalmente con sentimenti di dispiacere e riconoscenza, ma anche di gioia, che comunichiamo ai nostri lettori questa partenza . Gioia, innanzitutto, perché Peter avrà finalmente il tempo per dedicarsi all’arte fotografica, un amore che più volte abbiamo testimoniato dalle pagine dei reportage (per la straordinaria qualità delle sue proposte e non certo per una qualsivoglia imposizione) e i cui lavori ci auguriamo al più presto di riproporre . Dispiacere perché la sua voce e il suo interesse per Ticinosette, la volontà di

farne un settimanale di approfondimento credibile, curato, circostanziato nei fatti e nelle posizioni, critico e aperto, sono state determinanti . È dunque anche grazie al suo impegno se oggi il settimanale è letto da almeno 139mila lettori - in Ticino nessun’altra pubblicazione a pagamento slegata dai grandi gruppi della distribuzione raggiunge tale penetrazione -, di cui, secondo gli ultimi sondaggi indipendenti e i dati ufficiali REMP, il 42% è al di sotto dei 35 anni . Chi si occupa di editoria sa quanto sia complesso e difficile riuscire per un prodotto cartaceo a catturare l’attenzione del pubblico giovane, in un panorama mediatico segnato da informazione gratuita, media elettronici, portali e reti sociali . Ancora più complesso in una realtà come quella locale/cantonale . Malgrado i margini di miglioramento siano ancora elevati e la necessità di cambiamenti una costante per tenere alta l’attenzione, gli sforzi compiuti in questi quattro anni di lavoro insieme hanno dato alla rivista un riconoscimento nazionale e non solo cantonale: lo confermano sia la raccolta pubblicitaria - in notevole crescita rispetto al difficile biennio 2010/2011 – sia il riconoscimento della qualità proposta nelle nostre pagine e degli sforzi compiuti da tutte le personalità coinvolte (editori in primis) . Un risultato il cui merito va in particolare a Peter e alla fermezza con la quale ha creduto nel rilancio della testata . Da oggi dunque, il suo nome non comparirà più nell’Impressum, il che non ci impedirà di proseguire con immutato entusiasmo sulla strada da lui avviata . Un sentito grazie . Buona lettura, G . Fornasier e F . Martini


Caritas Ticino. Solidarietà e sviluppo

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Agorà

Quando si parla di Caritas immediatamente si pensa a un’associazione di volontari dedita a compiere opere di sostegno a favore delle persone meno abbienti. Caritas Ticino, che quest’anno compie settant’anni di vita, punta a un approccio diverso, basato sull’idea che le persone in difficoltà economiche possono uscire dall’indigenza solo se si trasformano in soggetti economici produttivi testo di Roberto Roveda illustrazione di Antonio Bertossi

C

on una trentina di operatori e un budget annuo attorno ai cinque milioni di franchi Caritas Ticino è oggi una realtà dinamica e vitale, che gestisce principalmente un servizio sociale, programmi occupazionali, un servizio informazione e diversi negozi dell’usato. Il servizio sociale – quasi 300 situazioni seguite nel 2011 – fornisce consulenza a chiunque la richieda, con una specializzazione in questi ultimi anni sul fronte dell’indebitamento. Il servizio, però, non si limita alla consulenza: le persone prese in carico vengono seguite in un percorso di accompagnamento prolungato di tipo specialistico con l’obiettivo di renderle sempre più autosufficienti. In alcuni casi Caritas Ticino interviene anche finanziariamente per aiutare chi è in difficoltà a far fronte ai propri debiti. Parallelamente l’associazione offre programmi occupazionali per il reinserimento dei disoccupati (460 persone reinserite nel 2011). Nelle tre sedi di Lugano, Giubiasco e Pollegio vengono, infatti, svolte attività legate al riciclaggio di mobili, abiti e chincaglieria offerti dai privati oppure riciclaggio industriale di materiale elettronico o legato al recupero di materiali tessili dai raccoglitori sparsi su tutto il territorio cantonale. A Pollegio è anche operativa un’attività orticola a indirizzo biologico.


Una realtà poco “tradizionale” Caritas Ticino, negli ultimi anni, ha rivolto molta della sua attenzione al settore dei media. Il servizio informazione dell’associazione dispone dal 1994 di uno studio televisivo che produce due trasmissioni settimanali – Caritas Insieme per TeleTicino e Strada Regina per la RSI – e video disponibili online sul sito istituzionale www.caritas-ticino.ch e su YouTube1. A queste attività di grosse dimensioni se ne affiancano altre minori come alcuni progetti all’estero, un deposito a pagamento per mobili e documenti nella sede di Pregassona, il sostegno psicologico e psicoterapeutico personale e familiare, o l’inserimento in attività utili dei “civilisti”, cioè gli obiettori di coscienza. Insomma Caritas Ticino è ben lontana dall’immagine tradizionale dell’associazione caritativa cattolica come ci conferma il suo direttore, Roby Noris: “Caritas Ticino non fa più collette da molti anni e si autofinanzia con le attività produttive – riciclaggio industriale e negozi dell’usato – e con un sostegno importante del cantone ai programmi occupazionali. Il modello economico che si è andato sviluppando negli ultimi decenni è quello di una «impresa sociale» vicina alla definizione di social business di Muhammad Yunus2 più che alla definizione usata normalmente in Svizzera per le organizzazioni socio– caritative. I punti di riferimento di tutta l’impostazione metodologica del lavoro sociale e mediatico si ritrovano nella Dottrina sociale della Chiesa con una particolare attenzione dal 2009 all’enciclica Caritas in veritate3 di Papa Benedetto XVI che ha sviluppato una visione economico–sociale interessantissima4. Lo slogan che sintetizza il nostro approccio alla lotta alla povertà è semplice: i poveri possono uscire dalla condizione di indigenza solo se diventano soggetti economici produttivi”.

l’esistenza stessa della Caritas. La terza differenza è l’impegno sul fronte mediatico elettronico che crediamo sia essenziale per dialogare col pubblico. Avere uno studio di produzione televisiva vero, credo ci distingua da quasi tutte le Caritas al mondo e non solo in Svizzera. E siamo gli unici nel nostro paese a non fare collette, ma neanche deficit beninteso”. Recentemente il direttore della Caritas Svizzera, Hugo Fasel, ha affermato che in Svizzera, nonostante la crescita economica, la povertà non diminuisce e il principio secondo cui quando l’economia va bene tutti stanno meglio, non è più attuale. Per Caritas Svizzera, in soldoni la povertà è in costante aumento. Lei concorda con questa lettura della situazione attuale? “A Caritas Ticino crediamo che la situazione della povertà in Svizzera sia sotto controllo per quanto riguarda la situazione economica e che attualmente il minimo vitale sia garantito a tutti. Le disfunzioni e gli errori ci sono ma in misura contenuta. Questo, chiaramente, non significa che bisogna abbassare la guardia; anzi è indispensabile essere molto vigili perché siamo in una situazione aperta a cambiamenti continui che non dipendono solo dalla fase interna ma anche dalla congiuntura economica globale. Personalmente ritengo che la crisi, ma in fondo la globalizzazione più in generale, abbia creato una situazione di precarizzazione e spesso di incertezza, talvolta molto dura per le persone, ma non una povertà materiale in senso stretto. Ci sono da considerare inoltre differenze anche importanti nella politica di protezione sociale fra i diversi cantoni che andrebbero uniformate prendendo come modelli i cantoni più avanzati, e il Ticino è sicuramente fra questi. In definitiva la questione dello sguardo più o meno allarmistico è dovuta ai parametri di natura economica e ideologica che fanno guardare alle stesse situazioni e leggere i dati statistici in maniera completamente diversa. La quantificazione della povertà è fortemente condizionata da questi aspetti”.

“Il modello economico che si è andato sviluppando negli ultimi decenni è quello di una «impresa sociale» vicina alla definizione di «social business» di Muhammad Yunus più che alla definizione usata normalmente in Svizzera per le organizzazioni sociocaritative”

Caritas Ticino dà l’idea di essere una realtà molto autonoma e connotata. Cosa la differenzia dalle altre Caritas? “Caritas Ticino è chiaramente legata alla Chiesa cattolica e in particolare alla Diocesi di Lugano, ma è indipendente dalla Caritas nazionale di cui non è la succursale, pur facendo parte dell’Associazione Caritas Svizzera che raggruppa la quindicina di Caritas regionali oltre a molte altre organizzazioni. Le differenze più appariscenti con la maggioranza delle altre Caritas svizzere sono almeno tre. La prima è la lettura della povertà relativa in Svizzera, povertà che per noi non si situa tanto sul piano materiale ma piuttosto su quello della marginalizzazione e della perdita di diritto di cittadinanza per coloro che non rientrano negli schemi, per esempio, i disoccupati, che non hanno bisogno di soldi ma di posti di lavoro. Per questo, nel calcolare la povertà riteniamo più indicativo e realistico il dato di 230.000 persone a carico dell’assistenza in Svizzera (dati della Confederazione) piuttosto che i 700.000 o i 900.000 o il milione di poveri che le Caritas preferiscono menzionare. Il secondo elemento di distinzione è il legame con la Chiesa cattolica e la sua dottrina sociale, un legame per noi fondamentale e irrinunciabile perché crediamo giustifichi

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In quale modo e con quali strumenti affrontate i problemi legati alle diverse forme di povertà, di emarginazione e di bisogno? “Sui due assi dei nostri principali servizi: il servizio sociale e i programmi occupazionali, cioè, in sintesi, la consulenza e l’attivazione delle risorse. In una società avanzata, ricca e complessa come la nostra l’approccio alle diverse sfide poste dalla povertà relativa – che è sempre presente in questo tipo di contesti socioeconomici –, non passa mai dalla distribuzione a pioggia di beni materiali, ma attraverso un complesso lavoro di analisi di cause, cioè del quadro del «bisogno», e poi dall’attivazione di risorse personali e/o della rete di sostegno che rappresentano la speranza per uscire dalla situazione di indigenza. L’impostazione di fondo che ci muove nell’organizzazione operativa è fondata su un principio ben preciso che Eugenio Corecco, vescovo di Lugano dal 1986 al 1995, ci ha indicato con l’affermazione che «il povero (...)


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non è definito dal suo stato di indigenza, è molto di più del suo bisogno». Una visione che abbiamo trovato poi in economisti e pensatori, che hanno guardato ai poveri come portatori di risorse e non vittime dell’ineluttabile. Evidentemente, guardare invece ai poveri come a vittime di un sistema cattivo – la visione predominante in ambito sociale e anche politico – giustifica interventi di natura assistenzialista e passiva dove il povero raramente può uscire dalla sua condizione perché non è mai considerato attore ma solo passivo fruitore di quello che gli viene dato. In generale, consideriamo molto pericolosa questa visione assistenzialista che si lega a una concezione filantropica dell’aiuto, portatrice di svariati guai intrinseci. La filantropia, indipendentemente dalle buone intenzioni, oltre a impedire al fruitore – il povero – di diventare soggetto, separa il momento economico produttivo dal momento dell’azione di solidarietà e proprio per questo non concepisce il povero come portatore di quelle risorse che gli potrebbero permettere di diventare soggetto economico produttivo”. Ci può fare degli esempi di come agite? “Le faccio due esempi di situazioni che si presentano con frequenza a Caritas Ticino. Il primo è quello della persona gravemente indebitata che chiede aiuto. Noi crediamo che non abbia alcun senso e alcuna prospettiva risolutiva trovare dei soldi per coprire i debiti – spesso, tra l’altro, le cifre sono tali da rendere comunque impensabile ripagarle –, anche se la maggior parte di chi viene a Caritas Ticino spera che avvenga proprio questo. Si tratta invece di aiutare la persona indebitata a compiere un’analisi dei debiti e delle cause che li hanno generati, analisi che la persona che ricorre a noi solitamente non riesce a fare da sola. Quindi non ha né la percezione esatta della sua situazione debitoria né sa cosa debba veramente cambiare in modo definitivo per non indebitarsi ancora. Inoltre, bisogna aiutare la persona a convivere con i debiti, nel senso di impostare la propria vita non contraendone più. In una fase più avanzata quando la situazione economica si è stabilizzata si possono finalmente fare anche piani finanziari cercando soluzioni tecniche ai debiti contratti in passato, soluzioni che a volte esistono anche se sono molto complesse, altre volte no. Il secondo esempio è quello del disoccupato che viene inserito nei nostri programmi occupazionali. Spesso si tratta di persone la cui esclusione dal mercato del lavoro è legata per esempio alla mancanza di formazione o a un curriculum disastrato, zeppo di insuccessi. Per costoro la disoccupazione rischia di essere definitiva. Caritas Ticino, quindi, oltre a persone che hanno perso il lavoro solo per motivi legati alla situazione del mercato e alle fluttuazioni economiche, ha scelto di accogliere nei suoi programmi anche questa tipologia ad alto rischio di esclusione, e lo ha fatto fin dal 1988 quando si è aperto il primo programma occupazionale a Lugano. Sul tema della disoccupazione abbiamo capito sempre più che è fondamentale offrire un’esperienza di lavoro che sia davvero inserita nel mercato. Bisogna quindi offrire attività «vere», che generino introiti perché il primo ostacolo da superare per molti disoccupati che hanno collezionato fallimenti, è quello di credere che il proprio lavoro vale ed è monetizzabile. Se la persona che lavora nel programma sperimenta la sua capacità produttiva sarà disposta anche a intraprendere un percorso in cui migliorare o scoprire le proprie risorse. Per questo tutte le nostre attività sono economicamente produttive e redditizie anche se si fa estremamente attenzione a non creare concorrenza, sottraendo quindi lavoro ad altri. Per ogni persona disoccupata che si inserisce nel programma si studiano quindi degli obiettivi affinché aumenti la

sua collocabilità in rapporto alle esigenze del mercato del lavoro. A volte sono obiettivi apparentemente semplici ma essenziali come la puntualità, la flessibilità o alcune nozioni di base, che rendono più affidabile una persona in cerca di lavoro”. Che ruolo ha il volontariato presso la vostra associazione? “Caritas Ticino è un’organizzazione di professionisti poiché le caratteristiche delle diverse attività e gli obiettivi complessivi lo impongono. Questo non impedisce di inserire anche un certo numero di volontari in alcune attività là dove questo è possibile. Ci sono, per esempio, una sessantina di volontarie che collaborano nei diversi negozi dell’usato. Ma anche una quindicina di volontari con funzioni di tutor – hanno seguito i nostri corsi di formazione – per l’accompagnamento di persone indebitate che necessitano e chiedono di essere seguite”. Ho visto che avete una vasta produzione audiovisiva e televisiva. Perché questa scelta? “Eugenio Corecco credeva nei media come strumento per diffondere idee e modi di agire. Col suo patrocinio nacque a Natale del 1994 Caritas Insieme TV. Pochi mesi dopo Corecco è morto, ma noi abbiamo tenuto duro perché credevamo in quel progetto avveniristico di comunicazione televisiva. Poi è esploso Internet e abbiamo capito che quello era il salto da fare nella comunicazione. Perché la lotta alla povertà e la promozione di un’economia etica si fanno coi servizi e i progetti, ma soprattutto con la diffusione di un certo tipo di pensiero. Nel corso degli anni abbiamo sperimentato che attraverso la comunicazione elettronica potevamo allargare in modo incredibile il pubblico con cui interloquire, abbiamo smesso di organizzare manifestazioni generiche e abbiamo concentrato la maggior parte delle nostre energie comunicative nelle produzione video per la TV e il web. A questo affianchiamo comunque una comunicazione cartacea per conservare il contatto anche con il pubblico che non usa Internet5”. In prospettiva, quali sviluppi per Caritas Ticino e cosa potrebbero fare di più i ticinesi? “Caritas Ticino credo debba continuare a sviluppare e realizzare pienamente le intuizioni che si sono manifestate nel lungo percorso di riflessione dei suoi 70 anni di esistenza; in particolare si dovrà cercare di completare il concetto di impresa sociale che si autofinanzia totalmente con attività produttive e imprenditoriali per poter rispondere con efficacia alle sfide della povertà relativa. Quanto ai ticinesi, ma agli svizzeri in generale, l’invito di Caritas Ticino potrebbe essere quello di aprire lo sguardo al mondo evitando così, come scrisse un acuto osservatore dei fenomeni elvetici, di agitarsi quando comincia a scarseggiare la cioccolata”.

note 1 Attualmente sono presenti online 470 video di cui molti sottotitolati in ingle� se; Caritas Insieme TV ha oltrepassato il traguardo delle 900 puntate. 2 Economista e banchiere indiano, ideatore e realizzatore del microcredito moderno. Ha conseguito il Nobel per la Pace nel 2006 ed è creatore della Grameen Bank. 3 L’enciclica è disponibile all’indirizzo http://www.vatican.va/holy_father/ benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben–xvi_enc_20090629_caritas–in– veritate_it.html. 4 Su YouTube sono presenti oltre cento video in cui economisti e filosofi si confrontano sulla visione economica e sociale presentata nell’enciclica papale. 5 �uattro volte all’anno esce una rivista cartacea, �Caritas Insieme�, in ab� bonamento, con tiratura di 6000 copie.

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La “scena” del crimine “Teatro del dramma”, “Macabra messa in scena”, “Dietro le quinte dell’indagine”, “Personaggio chiave”. A giudicare dalla lingua, tra teatro, crimini e giustizia corre buon sangue. Tanto più se si guarda da vicino alla formalità drammatica che contrassegna il processo giudiziario. E la televisione pare offrire una moderna sintesi di questa forma di intrattenimento di Nicola DeMarchi

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E in effetti ciò che accade all’interno di un’aula giudiziaria, con la disputa tra “attori” (altrimenti detti “accusatori”) e “convenuti” (“difensori”), molto ha a che fare con il teatro. E non è un caso che i ruoli siano chiamati “parti”. Un cerimoniale che, detto en passant, non disdegna poi costumi di scena (vedi parrucche e toghe della giustizia britannica), o formule (come il triplo Oyez all’entrata della corte nei tribunali americani). Rivisitando atti di giustizia e soprattutto d’ingiustizia, e relative cerimonie, il teatro da sempre ricambia: dal Lucrezia Borgia di Hugo, alla Vita di Galileo di Brecht e altre riabilitazioni di “cattivi” storici, fin nel lato oscuro della giustizia con il teatro “carcerale” del prigioniero Jean Genet. O ancora con quello delle stesse compagnie di reclusi (come il “San Quentin drama Workshop” fondato nell’omonima prigione e che valse all’ergastolano Rick Cluchey una grazia per meriti teatrali), fino a esempi più recenti, come il tragicomico “Pro Patria” (in cui Ascanio Celestini interpreta un detenuto), il teatro inscena le pratiche della giustizia. Processi teatrali e drammatici che si risolvono spesso senza lieto fine. O che non si risolvono affatto, come certo teatro postdrammatico, che, secondo il suo teorico Hans-Thies Lehman, arriva a imporsi non per il suo livello drammatico, ma “come momento in diretta del dibattito pubblico”. Beninteso la TV influenza oggi questo antico commercio. Bastano tenzoni presidenziali o recenti processi mediatizzati (Brejvik, DSK), per rendersi conto che è soprattutto sui set televisivi che si svolge attualmente questo “dibattito pubblico”. Oltre al ruolo di giuria popolare, al palcoscenico televisivo si offre però anche quello di ricostruire trame dettate da una cronaca che talora supera non di poco la fantasia di certi drammaturgi. D’altronde se “i crimini di cui un popolo si vergogna costituiscono la sua vera storia – diceva Genet –, lo stesso vale per l’uomo”. Ecco allora trasmissioni come “Zone d’ombre” (RTS1) che, nel solco di altri modelli di “talk-show polizieschi” (“Blu Notte”, “Faites entrer l’accusé”), riapre casi oscuri, irrisolti, spesso anche sinistri, che hanno scosso l’immaginario collettivo.

Dramma vodese Il 18 aprile scorso (ma sempre fruibile sul sito omonimo) finiva così sui banchi di “Zone d’ombre” l’affaire Légeret. Il caso di due ottantenni (Ruth Légeret e l’amica Marine Studer) trovate morte a inizio 2006 a Vevey, e la scomparsa della figlia Marie-José Légeret. Un duplice omicidio e mezzo (il cadavere di Marie-José non sarà mai trovato) imputato al figlio adottivo, François Légeret, che pur negando e malgrado l’assenza di prove irrefutabili, sarà dal primo giorno ritenuto il sospettato principale causa movente pecuniario e mancanza di alibi. Verdetto: un ergastolo recentemente confermato dal Tribunale federale. Come da protocollo Laurence Gemperle accoglie il pubblico in uno studio tipicamente immerso in atmosfere cupe. Al centro le luci di scena tagliano una struttura bianca cui fanno da sfondo cassettiere in metallo grigio opaco. Qui la conduttrice è solita ospitare il “convenuto” della serata. In questo caso Eric Cottier, procuratore generale vodese, “attore” della vicenda Légeret. Ma prima del confronto annunciato, la ricostruzione dei fatti. O meglio: le ricostruzioni dei fatti, perché come in certo teatro pirandelliano, le verità sono molteplici. Si comincia quindi con quella ufficiale, ritenuta valida “oltre ogni ragionevole dubbio” dalle corti: François Légeret, oberato dai debiti, si reca il giorno di Natale 2005 alla villa della madre adottiva Ruth, vedova ereditiera di una discreta fortuna, per chiedere soldi. Di fronte alle sue resistenze, l’imputato si fa insistente e nell’impeto di una lotta, la signora Ruth cade allora dalle scale. Al piano inferiore si trova però l’amica e coinquilina Marina Studer che, divenuta scomoda testimone, sarà anch’essa uccisa dall’assassino. In quei giorni sparisce anche la figlia naturale Marie-José. Altro delitto che, per “indizi convergenti” e “intima convinzione” dei giudici, varrà al fratellastro François l’ergastolo (per un caso simile, l’affaire Ségalat, un tribunale vodese ha recentemente operato una scelta diametralmente opposta, liberando l’imputato!). Seguono le immagini “esclusive” della ricostruzione dei fatti nella casa familiare in presenza dell’imputato che, messo


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Manifesto pubblicitario del film Il caso Paradine di Alfred Hitchcock (1947). La pellicola del regista inglese è un esempio mirabile di dramma giudiziario

violentemente di fronte alle incongruenze della sua versione dai procuratori, balbetta (“è sicuramente più facile confessare un omicidio davanti a una tazza di tè che non di fronte a una giuria” ironizzava altrove Dürrenmatt, altro drammaturgo poliziesco). “Mai una volta che abbia gridato la sua innocenza” si giustifica una volta ritornati in studio, il procuratore. D’altronde, a suo dire, il dubbio sarà tolto al processo dalla “ricostruzione intellettuale” di uno “scenario altamente verosimile”. Come dire, dalla ricostruzione più convincente. Per non dire avvincente, come sosterrebbero invece i numerosi critici dell’operato della giustizia in questo caso. Vale a dire scaricando sul capro espiatorio perfetto, un delitto con molti punti oscuri. A cominciare dalla data dell’omicidio, come veniamo a scoprire manco fosse una rappresentazione di Agatha Christie, dalla panettiera delle signore Légeret e Studer, che sostiene di averle servite il giorno in questione, qualche ora dopo l’omicidio. La stessa panettiera sarà però in seguito discreditata sulla base di ricerche tramate da un altro figlio naturale della signora Légeret, precedentemente diseredato e misteriosamente sempre tenuto ai margini dell’indagine. E qui le cifre incominciano a invadere lo specchio televisivo e dicono che per 45 interrogatori di François il fratello ne ha subiti solo tre. Autopsia di un processo Le domande si sommano e nello studio si inscena il dibattito

di cui sopra, tra giustizia ufficiale e opinione. “Il dubbio sarà sollevato in tribunale” ripete allora la conduttrice con il tono di chi sottintende una versione che resta ancora da verificare, prima di sciorinare tutte le domande del mondo. Nel frattempo il procuratore agita le mani e corruga la fronte, come farebbe un qualsiasi tecnocrate sotto pressione. “È la prassi” dice con le tipiche nasali vodesi, e qui “non siamo come in certe serie TV americane”, si difende, anche se questo non è un processo, come tiene a sottolineare la conduttrice, bensì, come fossimo nell’emiciclo di un teatro anatomico, “l’autopsia di un processo”. In esclusiva ecco infine l’intervista all’accusato che, pur essendo a tutti noto il suo volto, avviene volutamente in contro-luce. “Messo sotto pressione durante gli interrogatori inventavo sceneggiature” afferma. Eppure, malgrado la sua contraddittoria versione dei fatti, la polizia riterrà credibili alcune delle sue affermazioni imbastendovi addirittura l’ipotesi accreditata. Di solito il dubbio ragionevole che plana su numerosi indizi dovrebbe favorire l’accusato. Perché allora? Accanimento? Presunzione di colpevolezza? Su queste frasi della conduttrice e la musica inquietante tipo X-Files, la trasmissione si conclude in un’atmosfera di dubbio e complotto che lascia insoddisfatti gli amanti dei finali chiari. Come dire che la verità, anche per la giustizia, è talvolta una chimera. D’altronde come diceva un uomo di teatro come Pirandello “Nulla è più complicato della sincerità”.

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Un calcio alle regole Visto che siamo in clima di Europei – e visto che sul calcio si sono cimentati anche “insospettabili” come Carmelo Bene e Enrico Ghezzi – proviamo ad avanzare due proposte sollecitati da qualche perplessità sulle regole del gioco più amato testo di Marco Alloni illustrazione di Mimmo Mendicino

Sport

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Prima proposta: perché chi segna di più non ottiene più punti? Il calcio è una delle poche discipline in cui la quantità di reti messe a segno non corrisponde alla quantità di punti in classifica. In questo assomiglia al tennis, in cui il giocatore che ha accumulato più punti talora non vince il match perché ha realizzato meno “games”. È un paradosso, se non altro se consideriamo due aspetti: la spettacolarità e l’eticità. Osservando giocare il Barcellona ho spesso pensato: “Possibile che questo ulteriore gol non determini un premio di merito o qualche punto in più in classifica?”. E pensando a quanto una partita guadagni in termini di spettacolarità ed eticità attraverso l’aumento di gol, mi chiedevo: “Non è singolare che la squadra che sta vincendo e si attesta sul vantaggio affidandosi al cosiddetto catenaccio venga premiata quanto la squadra che continua a offrire gol e azioni offensive?”. Questa regola dei 3 punti per il vincitore, del singolo punto per il pareggio e degli zero punti per il perdente mi sembrava quindi – e ancora mi sembra – edonisticamente e moralmente ingiusta. Come equiparare infatti un 7-0 del Barcellona a un 1-0 di una squadretta di secondo rango? Come non riconoscere che in quel 7-0 si annida una qualità e una statura morale che meritano ben altro che un astratto riconoscimento di merito? La “logica” del gioco più bello del mondo… Stesso ragionamento sul piano della concretezza del gioco. Non è possibile che la sproporzione di qualità fra una squadra e l’altra non conosca altri distinguo che l’elementare vincitore-sconfitto. Possibile non si possa definire una più ampia gradazione di qualità fra chi vince e chi perde? Che non si possa per esempio dire: “Questa squadra è infinitamente più forte e merita quindi più punti degli ordinari 3”? O viceversa: “Questa squadra è solo leggermente più forte e quindi merita soltanto una leggera quantità di punti in più”? Forse sono riflessioni ingenue. E probabilmente a chi scrive sfugge la logica fondamentale che presiede alle regole su cui il calcio è (quasi) da sempre fondato. Ma forse siamo semplicemente abituati a una consuetudine su cui non esercitiamo più al-

cun tipo di giudizio critico. E a fronte dell’equivalenza fra un sonoro 7-0 e un risibile 1-0 non facciamo che scrollare le spalle rassegnati. D’accordo, sono le regole. Eppure le regole si cambiano. Da non molti anni poi una formidabile perversione commerciale ha trasformato il calcio in un’indifferenziata competizione fra aziende economiche, per cui oggi è persino difficile trovare giocatori italiani in una squadra di club italiana o giocatori provenienti dal vivaio di casa nella squadra di casa. Il mercato – dio univoco del nuovo millennio – ha fatto in modo che la più elementare ragione di tifo – l’orgoglio campanilistico – sia stata sostituita dalla ragione economica, dagli interessi milionari dei singoli club e da una visione del calcio come disciplina “extra-regionale”, “extra-nazionale” ed “extra-territoriale”. Quindi, in buona sostanza, e paradossalmente, chi ha più soldi è oggi tendenzialmente avvantaggiato sugli altri, e per quanta perizia e dedizione professionale i singoli vivai sappiano produrre, a vincere i campionati saranno sempre le squadre più danarose. Ecco quindi che – come nel mondo del commercio, i negozi di rione e l’iniziativa dei piccoli commercianti vengono spazzati via dalle multinazionali della grande distribuzione – nel calcio le squadre più indigenti vengono surclassate da quelle finanziariamente più dotate. In nome di questa divinità contemporanea le regole si sono quindi cambiate eccome. Mentre in nome della qualità spettacolare e morale nessuna iniziativa viene presa. Perché? Non è ingiusto? Moviola in campo Seconda proposta: “Perché la tecnologia non viene impiegata nel calcio come nel tennis?”. Sappiamo che nel tennis esiste la possibilità di chiedere la verifica su computer di un colpo finito in prossimità della riga. Nel calcio assistiamo invece, settimanalmente o quotidianamente, a grossolani errori arbitrali... eppure la replica di un’azione è concessa solo alla visione del pubblico a casa, e la partita può radicalmente cambiare di segno senza che nessuno incorra in sanzioni o cambiamenti di decisione. È forse sensato? Lo chiediamo a chi non ha titoli per rispondere. Ma chi li ha, legga Ticinosette più spesso...


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L’età della qualità

» a cura di Giancarlo Fornasier

Apparso in tedesco nel corso del 2009, è da qualche mese i miti dell’eterna giovinezza e dell’immortalità, con tutti gli disponibile anche in italiano questo testo del medico nu- interrogativi del caso: vogliamo davvero vivere eternamente trizionista e psicologo Cem Ekmekcioglu, professore presso e con quale qualità di vita? Tra citazioni letterarie e cinematol’Istituto di psicologia dell’Università di Vienna. Già noto in grafiche – “Invecchiare è come scalare una montagna; più in alto Germania per il suo 50 einfache Dinge, die Sie si arriva, più energie bisogna spendere; ma tanto über Ernährung wissen sollten – un volume di più lontano si riesce a vedere”, pare abbia sensuccesso dedicato all’alimentazione –, in quetenziato Ingmar Bergman –, l’autore evidenzia sto libro Ekmekcioglu affronta il tema dell’età l’importanza delle relazioni sociali e familiari adulta. Scrive l’autore nella sua introduzione quali fattori discriminanti per la speranza di che “la parola tedesca alt («vecchio», «anziano») vita di un adulto (p. 25). Essere più vicini a fideriva dalla radice indogermanica al, che significa gli e nipoti aiuterebbe a spiegare, per esempio, «crescere» e «maturare». È certamente possibile, per quale ragione nei paesi del Mediterraneo quindi, descrivere l’invecchiamento in termini di si vive più a lungo (famiglie culturalmente più naturale processo di crescita e maturazione”. Una unite e più prossime geograficamente) rispetto premessa per distinguere l’invecchiamento dalla ai paesi del nord d’Europa, dove l’abbandono morte, due fenomeni diversi: per esempio, del nido e le distanze fisiche tra figli e genialcuni organismi hanno grandi possibilità di tori sono più importanti. Anche in caso di rigenerare i loro tessuti “quasi” all’infinito. È il ristrettezze economiche, un tessuto familiare caso del polipo d’acqua (conosciuto anche comaggiormente unito garantirebbe protezione La vita inizia a 50 anni di Cem Ekmekcioglu me idra), noto ai ricercatori per il suo metabolie aiuto immediati in caso di bisogno. Orme Edizioni, 2012 smo “che non invecchia”. Ekmekcioglu evidenza Come sappiamo le nuove sfide che le società come “ciò che spesso influisce sul processo di invecchiamento, più ricche stanno affrontando rispetto all’invecchiamento rendendone così difficile il riconoscimento, sono i fattori ambientali della popolazione sollevano interrogativi, sociali, sanitari ed esterni”, un aspetto a cui è data sempre più importanza. economici. Per questo è necessario, sostiene Ekmekcioglu, “inNel libro, di semplice e chiara lettura, il medico affronta anche tervenire già da ora a scopo preventivo, per far sì che le persone analcuni temi evidentemente correlati all’invecchiamento, come ziane e quelle molto anziane siano il più possibile in forma e vitali”.

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Mosca sotto sotto Se ne parla ancora sottovoce. Leggende, racconti, qualche notizia sui media internazionali, ma mai nessuna conferma ufficiale. Esiste veramente una metropolitana segreta nel sottosuolo della capitale russa? testo di Fabiana Testori fotografia di Roberto Dresti

Kronos

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La metropolitana di Mosca, in funzione dal 1935, a torto o a ragione, è considerata una delle più belle al mondo. Estesa sotto quasi tutta la capitale russa, è utilizzata giornalmente da nove milioni di passeggeri. I 300 km di binari, le 12 linee, le 185 stazioni e la magnificazione del realismo socialista, promosso nei dipinti, nelle statue e nei mosaici, ne fanno certamente un unicum, sebbene i temi rappresentati alla Belorusskaya, alla Taganskaya, alla Prospekt Mira, ecc. siano sempre gli stessi: la guerra, la storia e la vita quotidiana del popolo sovietico. La ricchezza dei materiali, fra cui bronzo, porcellane colorate, rifiniture dorate e marmi rendono la metropolitana moscovita meta di numerosi turisti e, forse, cosa ancora più importante, ne fanno la testimonianza di un’epoca e di un regime, quelli dell’URSS, durati ben settanta anni.

Una città, quest’ultima, completamente bunkerizzata e capace di alloggiare fra le 12mila e le 15mila persone per un tempo stimato di 25 anni. Pare che ogni membro del Politburo avesse a disposizione un appartamento perfettamente arredato che ricalcava le stesse dimensioni di quello in superficie: di quello di Breznev si narra fosse la fotocopia del suo ufficio al Cremlino.

Visi pallidi Alle voci spesso soffocate concernenti la Metro-2 che bisbigliavano l’esistenza di tunnel e porticine che collegavano le stazioni ufficiali a quelle segrete – celebre fu l’apparizione improvvisa di Stalin alla stazione Majakovskaja il 6 novembre 1941 in occasione del 24esimo anniversario della Rivoluzione – si sono associate in seguito (alla caduta del blocco) testimonianze precise e sconvolgenti che hanno permesso di conoscere un’infinità Memorie dal sottosuolo di dettagli. Fra queste, spicca quella Un capitolo più oscuro relativo alla di Vladimir Gonik, medico militare metropolitana è invece dedicato che durante il regime lavorava per Metropolitana di Mosca. La Stazione di Novoslobodskaya al suo doppio, cioè alla cosiddetta il Ministero della difesa e che nel Metro-2, la metropolitana segreta 1992 ha pubblicato un romanzo del Cremlino. Fra le tante leggende che caratterizzano Mosca dal titolo Preispodnjaja (Regno delle tenebre), ispirato ai racconti e la Russia, questa è certamente una delle più singolari e a suo di alcuni pazienti, probabili guardie dei bunker sotterranei, modo una delle più affascinanti. Assolutamente tabù durante particolarmente inquieti, nevrotici e con scarsa pigmentazione il periodo sovietico, anche oggi le informazioni riguardo alla sulla pelle. Lo stesso Gonik dice di muoversi agilmente nel sotmetropolitana parallela sono scarse. La stampa russa ne riporta tosuolo. Come lui anche ragazzi più giovani, che il comunismo raramente, mentre qualche commento appare invece, di tanto l’hanno vissuto solo nei primi anni di età, si calano sottoterra. in tanto, su quella internazionale. Si dice che la Metro-2 (no- Sono i cosiddetti “diggers” (scavatori), gruppi di giovani (circa me attribuitole all’inizio degli anni Novanta) ricopra la stessa un centinaio) che esplorano i tunnel moscoviti, scomparendo estensione di quella ufficiale, ma a un livello più profondo. sotto una botola in mezzo alla città per riemergere da un tomVoluta fortemente da Stalin, la metropolitana segreta era in bino in tutt’altro punto dopo aver seguito dei lunghi binari. grado, in caso di emergenza, di evacuare, portando fuori città Anche nell’era post-sovietica la Metro-2 ufficialmente non esio addirittura all’aeroporto governativo di Vnukovo, l’intera ste. Si glissa sull’argomento, ma non si nega. Lo stesso Dmitrij nomenklatura. Racconti più dettagliati sostengono che la Gajev, direttore della metropolitana ufficiale ha dichiarato: metropolitana segreta conducesse a indirizzi precisi: la dacia “Sarei sorpreso se non ci fosse”. Quel che è certo è che in una di Stalin, la casa di Berija (capo della polizia segreta durante Mosca che scoppia di traffico e inquinamento una seconda l’epoca staliniana), la Lubjanka (sede dei servizi segreti sovie- metropolitana potrebbe far comodo, senza contare un ritorno tici e oggi russi) e addirittura, una fantomatica e gigantesca economico e politico di un certo peso. L’ex sindaco di Mosca città sotterranea nei pressi di Ramenki (quartiere situato nel Yurj Luzkhov, rimosso nel 2010, aveva lanciato l’idea, chissà distretto occidentale di Mosca dove sorge l’Università Statale). se in futuro qualcuno se la sentirà di riprenderla?


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Diversa-mente È veramente necessario fare “qualunque co­ sa” e scendere ai più bassi compromessi pur di campare? Alcune riflessioni sul lavoro, la crea­ tività, il cambiamento, l’etica, la decrescita… Con qualche spunto di spicciola attualità di Duccio Canestrini

Non è vero che i giovani sono più creativi degli anziani. I neuroscienziati non scoprono nulla. Ed è sempre sbagliato sposare l’amante. Simpatico, gigione, gran comunicatore Hubert Jaoui. Autore di molti libri sulla creatività, la comunicazione e lo sviluppo personale, il sito web TopMind lo definisce uno dei massimi esperti mondiali nel campo della creatività applicata e della gestione dell’innovazione in azienda. Nelle conferenze intitolate “Reinventare il lavoro” Jaoui attinge al suo bagaglio di esperienze: aneddoti, barzellette, paradossi, filosofi citati un po’ a spanne, tanto si sa che i filosofi hanno detto tutto e il contrario di tutto. È una serie di riflessioni anche opportune, per esempio, sulla brutta parola che definisce ancora un collaboratore come “dipendente”, quasi un incapace di intendere e di volere.

di massa. Sentir parlare delle opportunità della crisi fa ormai quasi rabbia. Le attuali ristrettezze debbono servire a ripensare tutto quanto, non a rifare gli stessi errori. Qui si tratta di trovare un equilibrio, un’armonia nella qualità non nella quantità. Alla quantità – di persone e di oggetti immessi sulla superficie terrestre – stanno già provvedendo la Cina, l’India, il Brasile e altri paesi con cui su questo piano non possiamo competere. L’Europa è tutta un’altra cosa.

“Scegliere, scegliere, scegliere!” I begli esempi di creatività e i piacevoli espedienti di innovazione spesso cadono sull’etica. Certo, puoi sempre dire di averne una. Oppure puoi stemperarla in una mission tanto generica e buonista da far venire il latte alle ginocchia. PraIl circolo ticamente, invece... della inutilità Un mio conoscente fa Ma il simpatico innoil webmaster e accetvatore elude le queta di sviluppare solo stioni più toste. Oggi siti web che hanno non si tratta di otticontenuti etici: nesmizzare la produzione suno sfruttamento di aziendale portando persone e di animali. Incisione del XIX secolo di lavoratori asiatici intenti a fabbricare “borse” di foglie di tè sinfonie di BeethoDiscutibile, questio(immagine tratta da vintageprintable.com) ven nei lager degli nabile, magari anche allevamenti dove gli imperscrutabile, ma animali vivono incatenati, non si tratta di organizzare gite lui si fa scegliere per questo, e vive senza derogare ai suoi prinaziendali nei centri benessere, né allegre e innovative gioco- cipi, senza inseguire il business “a tutti i costi”. Temo invece sità all’interno delle imprese. Si tratta di comprendere che che la crisi porti tutti quanti, soprattutto i giovani, a pensare aumentare i consumi per incentivare la produzione, spesso che sia lecito fare qualsiasi cosa pur di campare. di cose inutili, è un circolo vizioso. Non è così. Pensare di crescere in questa maniera sarebbe Bisogna cambiare. Se è vero che il prodotto interno lordo disastroso e in ultima analisi una retrocessione. Le azioni soaumenta anche a ogni incidente stradale, possibile che ogni cialmente tossiche, le azioni inaccettabili in via di principio, telegiornale si ostini a recitare ancora il mantra della cre- rimangono inaccettabili anche se c’è la crisi. Se siamo messi scita? Al Festival dell’Economia di Trento, quest’anno Serge male è perché non abbiamo fatto la cosa giusta, o perché “fare Latouche ha riempito un auditorium parlando di giusti limiti la cosa giusta” è finora stato un motto di nicchia, da sognatori, alla crescita; al summit “Terrafutura” di Firenze (promosso da brave persone un po’ fuori della realtà. E invece è la sola dall’istituto Banca Etica) hanno ribadito che neppure gli via che possiamo imboccare con lungimiranza. alberi crescono fino al cielo. Insomma, sembra che un certo L’ecologia profonda è anche giustizia sociale, e non è affatto discorso l’abbiano recepito in molti salvo, non a caso, chi ha una moda o un lusso per uomini o paesi ricchi. È casomai la in mano i cordoni della borsa, e quindi della comunicazione via da seguire per diventare, diversamente, ricchi.

Mundus

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Balconi. Sporgenze visuali testo di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger

così niente arrembaggio dal vicino a mo’ di pirata; ma un metro e cinquanta se l’edificio è di quattro piani; parapetto “non inferiore” ai novanta centimetri. Appunto, altezza inguine.

Luoghi

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Lassù, anche solo al primo piano, tira già un’aria diversa. Anche in quelli di un metro quadrato, più simili a postazioni di vedetta dei pirati, o in quelli lunghi come piste da bowling, considerati veri e propri monolocali. Oppure in quelli esuberanti e maestosi in stile attico, o in quelli ridicoli e profondi venti centimetri, dove non ci sta nemmeno un vasetto di basilico. Tutti comunque sporgenti da un muro per farci sentire, ogni tanto, padroni del piazzale, vedette del giardino, capitani di parcheggi. Insomma, da lassù i figli chiassosi della vicina o il pestifero chihuahua della suocera, non hanno effetto. O quasi…

Pillole da terrazzo L’Italia non ha regalato solo le balcon ai francesi – anche se in persiano bal-khané vuol dire “locale in altezza” –, ma soprattutto il poggiòlo più famoso di tutti, quello della Capuleti Giulietta in Verona e del suo triste incontro col Montecchi, leggenda o verità che sia. Anche anonimi terrazzi diventano luoghi memorabili: dipende dall’uso. A me pare che nel nostro moderatissimo paese se ne faccia un utilizzo un po’ vergognoso. Siamo restii a farci vedere lassù, salvo da pensionati. Potremmo dare l’idea dei fannulloni o, peggio, degli stranieri mantenuti dalla comunità. Infatti i balconi elvetici, persino quelli di certe villette, di solito o sono disabitati o camuffati manco fossimo in guerra, riparati da una fitta vegetazione per evitare sguardi indiscreti. “Se no chissà cosa potrebbe pensare la gente!” dicono. Magari che stai in balcone e basta? Uno dei più guardati è quello in Piazza Grande a Locarno durante l’evento Moon & Stars, anche se ahimé ci vedo sempre le stesse facce tutti gli anni. Nulla a che vedere con i simpatici australiani che, sempre al caldo (beati loro), non distinguono più la camera da letto dal terrazzo, tanto da starci nudi e farci tranquillamente sesso, per poi venir filmati e finire nella rete in uno spassoso video. È successo l’anno scorso a Darwin: vedere per credere.

Molto sotto il petto Staccarsi dall’interno allontanandosi dal chiuso, anche se per pochi mesi all’anno, è una piccola passeggiata. Come dire, appena… fuori casa! Se qualcuno dice “prendo una boccata d’aria” o “vado a fare un giretto”, a volte non è andato chissà dove, ma in quel perimetro lì, in terrazzo. Il consiglio è di starci il più possibile e poco importa com’è, se decorato a mo’ di giardino sopraelevato, di orto protuberante, o sorta di magazzino e deposito, oppure semplicemente vuoto, a far polvere e bersaglio alle scagazzate d’uccello. Sta di fatto che il parapetto, stranamente, è sempre troppo basso. Altezza inguine o su di lì. Quelli di una certa statura sanno bene di cosa scrivo. Conoscono quella sensazione di insicurezza quando si sporgono da un qualsiasi balcone svizzero. “Ma l’hanno fatto per i nani?”, ci si chiede. O solo per i bambini fino a dodici anni? Decidono gli architetti, amici, che dovrebbero rispettare la norma “Sia 358”. Peccato che la 358 non dica nulla sulla sicurezza, ma per la legge il progettista risponde in caso d’incidente. I comuni possono invece dire la loro. A Lugano un balcone deve distare almeno due metri e mezzo “dal confine” (muri o altri balconi),

Che ci butto? Il pittore Edouard Manet che lo ha dipinto, a mio avviso mediocremente, ignorava molto del poliedrico uso di questa invenzione un po’... altezzosa. Per alcuni (ma non per gli svizzeri) infatti è solo una piattaforma di lancio da dove catapultare di tutto, altro che Cape Canaveral! Televisori, frigoriferi, mobili, vasi, pattume, droga, perfino sé stessi, ahinoi. Pochi mesi fa nel bergamasco un immigrato è stato arrestato per i suoi continui “spari” di vasi di fiori, bottiglie e sputi. In Campania in seguito a una rissa tra vicini e parenti, sui carabinieri sono volati sedie e vasi. Un paio di anni fa in Germania due giovani amanti, rimasti feriti, sono caduti dal terrazzo durante un atto amoroso: loro hanno negato, ma l’adulterio è stato scoperto. A volte, manco a crederci, fanno tutto da soli: in maggio in via Arcioni a Lugano cadevano pezzi di balconate sulla strada. E poi, luogo prediletto per guardoni: questa estate a Basilea città un tizio ha negato che la sua scala a pioli appoggiata a un balcone potesse servirgli per spiare una coppia nella sua intimità. Insomma, come si dice nel lessico giovanile, gente “fuori come un balcone”!



» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Flavia Leuenberger

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Patrizia Mancuso

Vitae

Il mio terapista non è mai andato ad accusare il mio processo di crescita, aiutandomi per contro a esorcizzare le paure. La terapia mi ha restituito la vita, mi ha dotato di un paio di ali. Se ho volato per dieci anni con le ali della fantasia, adesso posso anche volare nella realtà. Dal momento che ho deciso di liberarmi da queste paure ho deciso che era il caso di buttarmi nell’incertezza, così come può essere la decisione di fare l’artista. È stata una scelta sofferta ma naturale perché l’unica libertà che potevo concedermi, quando ero ingabbiata, era quella di dipingere. Ho affrontato la mia famiglia dicendo Dopo aver seguito le regole sociali e loro che volevo inseguire il familiari, ha deciso di rinunciare alla mio sogno. Avevo talmente in sicurezza finanziaria per inseguire un chiaro quello che desideravo che nessuno mi ha dissuasogno. Una scelta rischiosa ma che oggi so. Vivo l’arte come il lusso la fa sentire una persona appagata più grande che mi sia stato concesso nella vita, quindi amava talmente tanto che un con immensa gioia poiché poter dipingere è mio allontanamento avrebbe l’espressione della felicità. Mi sto assumendo causato dolore, e per non caututte le conseguenze che una scelta di quesare dolore agli altri mi sono sto tipo implica. Se per tre quarti della mia “chiusa” in prigione. Me ne vita ho dato importanza alla marca di un sono resa conto quattro anni abito o al tipo di auto che guidavo ora mi fa quando non ero più in grarendo conto di quanto asettica fosse la mia do di uscire da sola per andare esistenza. Oggi vivo di emozioni e questo al supermercato. Un giorno non ha prezzo. Non parto mai con l’idea di ho realizzato che ero in una raffigurare un soggetto. Cerco di ascoltare gabbia in cui nemmeno la me stessa e poi di dipingere l’emozione del mia anima aveva più posto. momento. Fare l’artista richiede costanza e Mi sono detta: devo uscirne. pazienza e questo implica dei compromessi Ho avuto fortuna perché ho come l’accettare di lavorare sottopagata per trovato un terapista profespermettermi di sopravvivere. Amo addensionista molto competente. trarmi nelle discariche. Quando vedo quelle Il fatto di sentirmi dire che cataste piene di oggetti scartati tra i più imoggettivamente non avevo pensati, riesco a vedere oltre. La discarica mi nessun problema è stato un aiuta perché rivedo un oggetto che poi riesco buon trampolino di lancio a reinterpretare restituendogli un senso. I per la mia salvezza. Ho fatto rifiuti sono rifiuti ma possono rinascere ed è terapia per due anni e mezzo un po’ quello che ho fatto nella mia vita. Ero e ne sono uscita da combatuna cosa e sono diventata un’altra. Mi sono tente, riuscendo a vincere ispirata a Novecento, il romanzo di Baricco. La quelle che pensavo fossero storia di un pianista che, come me, suonava delle “missioni impossibili”. la sua musica costretto in uno spazio ben Mi sono resa conto che la definito. Quel pianista affonderà con la sua vita era lì, a portata di mano. nave, perché l’idea di scendere la scala che Contrariamente a quanto riporterebbe al mondo lo terrorizza troppo. Da tenevo inizialmente, e cioè quella scala io invece sono scesa. Ero qualcuche con la terapia ci fosse il no che non ha mai osato, una persona legata rischio di smuovere esperienall’apparenza e alle comodità. Il mio passato ze sepolte, non abbiamo mai mi ha resa più matura e consapevole, mi ha lavorato sulla mia infanzia, insegnato che invertire la rotta è possibile. ma piuttosto su quello che Ho imparato a essere paziente ma spero di io percepivo come problema. diventare famosa prima di morire.

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a bambina non mi piacevano le regole. Mi piaceva saltare sui sassi e distruggere i cartoni dietro il negozietto di casa. Il mio ricordo più doloroso è stato quando mio padre mi ha rivelato che la mamma era ammalata di cancro. Sono notizie che ti ghiacciano l’anima. Ero una ragazzina che non sapeva cosa fosse il concetto di morte. Nascere e crescere a Tesserete, essendo figlia di stranieri, ha significato essere esclusa dal gruppo e additata come diversa. Sicuramente non mi ha reso la vita facile, soprattutto trent’anni anni fa quando la mentalità era molto chiusa. Quella che è stata una “condanna” – il fatto di essere esclusa dagli altri e quindi non essere considerata parte del luogo che secondo te è la tua casa –, è diventata nel tempo il mio punto di forza. Riuscire a creare e a dipingere qualche cosa di diverso dipende anche dal fatto che sono sempre stata considerata diversa. Quando ero piccola, dato che mio padre era spessissimo in viaggio per motivi di lavoro, mi concedeva tutto. Direi che sono stata una figlia di papà per poco tempo. Sono stata una figlia molto voluta, desiderata, una figlia sulla quale ambedue i genitori hanno posto le loro aspettative. Ho seguito le regole, facendo il mio dovere di brava ragazza. Ho studiato, ho ottenuto buoni voti, ho cercato di realizzare professionalmente quello che era il sogno dei miei genitori, fintanto che ho rotto con i desideri altrui per seguire i miei. Dopo la malattia di mia madre ho iniziato a sentire la necessità e il dovere di non allontanarmi da lei. Questa necessità di rimanere dov’ero, per non deludere le aspettative degli altri, si è trasformata con il tempo in claustrofobia, in attacchi di panico e agorafobia, che mi hanno condannata per più di dieci anni a non uscire di casa, se non per lavorare. Ho sofferto di claustrofobia perché sapevo che chi mi amava mi


villa litta

Nata per sorprendere testo di Roberto Roveda; fotografie di Reza Khatir

“A Lainate, un giardino pieno di elementi architettonici, di proprietà del duca Litta, mi è piaciuto… Conviene guardarsi bene dal passeggiarvi soli; il giardino è pieno di getti d’acqua fatti apposta per inzuppare gli spettatori. Posando il piede sul primo gradino di una certa scala, sei getti d’acqua mi sono schizzati tra le gambe” (Stendhal, 1817)

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i sono epoche storiche dall’anima profondamente contraddittoria: il tardo Cinquecento italiano, in particolar modo in Lombardia, è una di queste età. In quegli anni, infatti, cominciò ad affermarsi lo spirito rigoroso e severo della Controriforma, di cui fu animatore principale proprio il vescovo di Milano Carlo Borromeo, san Carlo per intenderci. A questa ventata di austerità fecero resistenza gli ultimi fuochi della vitalità e della gaiezza del Rinascimento. I toni, magari, erano quelli un po’ ridondanti ed eccessivi del Manierismo e già si avvertiva l’incipiente leziosità del Barocco. Però il gusto per il piacere dell’esistenza umana e per il profano si opponeva con tutte le sue forze alla disciplina controriformista. Una villa “grandi firme” Villa Visconti Borromeo Arese Litta – Villa Litta togliendo di mezzo la ridda di famiglie nobiliari che si sono susseguite nell’edificio per secoli – è il frutto di questo meriggio inoltrato, di questa breve estate di san Martino del gusto rinascimentale e manierista. A volerla fu Pirro I Visconti Borromeo che nel 1585 decise di trasformare il suo possedimento di Lainate, a pochi chilometri da Milano, in una residenza di villeggiatura e svago. Pirro, uomo colto e mecenate per molti artisti, aveva vissuto presso i Gonzaga e i Medici e aveva assaporato i frutti deliziosi offerti all’arte dal Rinascimento italiano. Volle creare un luogo dove si esaltassero la gioia di vivere, il gioco e il divertimento, un luogo che fosse quasi un'apoteosi del gusto manierista che secondo Giorgio Vasari racchiudeva in sé “la varietà di tante bizzarrie, la vaghezza de’ colori, la università de’ casamenti, e la lontananza e varietà ne’ paesi… una invenzione copiosa di tutte le cose”. Insomma, ci doveva essere l’universo mondo così da stupire il visitatore. Per questa ragione come centro della villa non fu concepito il grande

(...)


a sinistra Interno del Ninfeo: la statua in marmo bianco di Naiade, una ninfa d’acqua della mitologia greca


in alto: il rivestimento esterno in travertino del Ninfeo; sopra: dipinto murale floreale realizzato da Camillo Procaccini, artista assai attivo anche in Ticino


sopra: il cuore del Ninfeo, l’Atrio dei quattro venti



a sinistra: Il “Cortile delle piogge” con sullo sfondo la Torre dell’acqua; sopra: il giardino della villa con la fontana di Galatea (XVIII secolo)

palazzo residenziale e neppure lo splendido giardino. Tutto doveva ruotare intorno al Ninfeo, l'“edificio di frescura” come si diceva all’epoca, il luogo delle meraviglie. Qui lavorarono alcuni dei maestri dell’arte lombarda dell’epoca, come Camillo Procaccini (1561–1629) e il Morazzone (Pier Francesco Mazzucchelli; 1573–1626), in quegli anni solitamente impegnati nella realizzazione del programma sacro e devozionale voluto da san Carlo Borromeo e a Villa Litta dediti a registri molto più “mondani”. Accanto a loro, architetti come Martino Bassi o scultori come il Prestinari e Francesco Brambilla il Giovane. Un luogo di sorprese Il risultato è quello che vediamo ancora oggi, un capolavoro dell’arte e dell’architettura profana, un edificio a pianta rigorosamente simmetrica e che si apre intorno a un ambiente ottagonale a cielo aperto chiamato “Atrio dei quattro venti”. La simmetria del complesso, però, viene mascherata da tutta la serie di ambienti in cui il visitatore si trova a inoltrarsi e facilmente a perdersi: caverne popolate di statue che rimandano al mondo del fantastico, sale decorate con affreschi e figure geometriche, floreali e antropomorfe pensati originariamente per ospitare le collezioni di arte di Pirro I. Fino a giungere al divertimento sommo offerto dal “Cortile delle piogge” dove gli ospiti venivano sorpresi da giochi d’acqua e innaffiati scherzosamente da zampilli fuoriusciti improvvisamente dai pavimenti. I famosi scherzi d’acqua che colpirono – e non solo

in senso figurato – tanto Stendhal e gli antichi ospiti… e che continuano a colpire anche i visitatori moderni dato che è ancora funzionante l’ingegnoso meccanismo idraulico originale ideato dall’ingegnere militare Agostino Ramelli. Poco è cambiato quindi da quando Cesare Cantù nella sua Storia di Milano e provincia pubblicata nel 1857 scriveva parlando del Ninfeo: “Per una selvetta s’entra nel palazzo delle fontane, luogo fabbricato rettangolare, dimezzato da una rotonda, su cui s’innalza un maestoso terrazzo con due bracci sporgenti. Prestigioso è l’aspetto di questo palazzo, massime quando se ne veda zampillar l’acqua da ogni parte e in lunghi scrosci, o in minutissima pioggia. Statue di bronzo, di marmo, fra le quali ce n’è di colossali, bassorilievi, busti, puttini, ne fregiano le due fronti e le ale, ove in ampie sale, incrostate di mosaico, sono raccolte anticaglie, produzioni naturale e scolture”. per informazioni www.amicivillalitta.it per saperne di più Alessandro Morandotti Milano profana nell’età dei Borromeo Electa Mondadori, 2005 Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951, è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. Per informazioni: www.khatir.com.


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o stile coloniale è nato nel continente nero proprio quan- sdoganò la sahariana sulla passerella che entrò a pieno titolo do, nel XIX secolo, variegati personaggi vi s’insediavano nel mondo dell’alta moda. Strizzatissima in vita, con il colletto a frotte: chi desideroso di aiutare gli indigeni, chi spinto spalancato sull’abbronzatura, rappresentava l’eleganza legata da zelo accademico e voglia di conoscere, chi per arricchirsi alla disinvolta donna moderna alla ricerca di nuovi orizzonti con l’estrazione di diamanti o altro, chi per fuggire dal pro- da esplorare. Ma veniamo ai nostri giorni… prio passato, magari da una condanna. Per tutti si rendeva necessario un abbigliamento funzionale adatto al clima del UNA “DIVISA” DAL GRANDE APPEAL luogo e alle impreviste mansioni. Si divulgò ben presto una I segni che mette in gioco la safary jacket di Lardini sono giacca di foggia comoda, lunghezza ai fianchi, collo a camicia, disparati: la tradizione tutta italiana si mescola con l’informale ampio sprone, corredata di tante tasche a soffietto e cintura scioltezza del vestir coloniale, il sapore nostalgico con il piglio in vita. Costruita in robusta tela di cotone, si portava con i contemporaneo, la maschia eleganza occidentale con l’esotica leggerezza. Puro lino nei calzoni cavallerizzi, i tipiclassici toni kaki, ma anci jodphours britannici e che in un verde inglese l’immancabile copricapo (naturalmente) sfumato a caschetto a foglie intrecverso l’interno, effetto ciate. La pratica giaccaottenuto con twice, una camicia venne battezzata esclusiva tinteggiatura. sahariana dal deserto del Ancora effetti speciali, Sahara che occupa abbonanzi cinematografici, per dantemente il territorio la sahariana di Ermeafricano. Era la giubba innegildo Zegna, forse dossata per la caccia nella Tendenze p. 50 | di Marisa Gorza rubati alle suggestive sesavana, spesso per fornire quenze di Il tè nel deserto animali selvatici agli zoo Scenari inusitati e luoghi reconditi, emozioni o di Lawrence d’Arabia. occidentali, quindi non Sembra che un torrido è casuale che si chiami irripetibili e sfide estreme. Nel rievocare le sole ne abbia stinto il pure safari jacket o bush imprese degli esploratori d’Africa avvenute color sabbia, nonché jacket. Faceva pure parte nell’Ottocento, secolo di fermenti e grandi stropicciato e reso dodella divisa degli ufficiacile la trama di lino e li inglesi di guarnigione scoperte, il pensiero si sofferma sul duro cotone. Bottoni di corno nelle varie colonie, fatto mestiere di quei protagonisti, sulla loro vita e rifiniture in pelle, sono credibile dal momento i dettagli in un piacevole che il suo tipico color avventurosa condotta tra rischi immani, gusto vintage. kaki prende il nome dalpassione e missione. La figura dell’esploratore Magia del deserto e vola lingua hindi e signifiè sempre stata circondata da un alone di glia di evasione conca “terra”. Difatti, pare tinuano a esprimersi sia stato un certo Harry fascino e misteriosa attrattiva… anche nell’esemplare Lumsden – comandante stilato da Corneliani. del reggimento inglese di Remake “quasi” fedele stanza in India – ad avere nel 1848 la geniale idea di tingere la giacca e i calzoni della della sahariana d’epoca, è costruito in abaca, una nuova sua uniforme bianca con una miscela di curry, caffè e succo di fibra vegetale fresca ed elastica, nelle sfumature sabbiose gelso, un colore giallo-marroncino perfetto per camuffare le mescolate a un bianco abbagliante da miraggio. Invece che con i jodhpours si porta con bermuda arrotolati e sneakers inevitabili macchie dovute all’onnipresente polvere. scamosciate ai piedi. DALLA SAVANA ALLE PASSERELLE Intanto l’esemplare disegnato da Roberto Menichetti per BreLa praticità e la comodità di questo capo d’abbigliamento lo ma, pur conservando tutto il fascino iconico del modello oriportò, all’inizio del Novecento, a diffondersi: è il caso dello ginale, grazie a nuovi materiali flessibilissimi, si può ripiegare scrittore americano Ernest Hemingway, che si faceva confezio- facilmente nella sua stessa tasca e infilare nello zaino. Pronto nare da “Abercrombie & Fitch”, famoso negozio d’abbigliamen- da estrarre e indossare senza che risulti sgualcito. Oltre ai tipici to sportivo di New York, un modello di sahariana con un tasca toni grezzi, ci sono le varianti fluo, molto cool. in più per riporvi gli occhiali. Piano, piano l’esotica giacchetta Sulla scia dell’anticonformismo ecco la packable safary jacket entrerà anche nel guardaroba femminile. Nel 1953 usciva il di Museum, dedicata ai tipi dinamici e positivi che vivono i film Mocambo con un cast comprendente Ava Gardner, Grace viaggi, le vacanze e la città con grande naturalezza. Sportiva, Kelly e Clark Gable: dopo aver visto sugli schermi le due attrici, ma anche urbana, è declinata in tinte militari e in materiali vestite nello stile coloniale, furono in molte a cercare di cattu- high tech, traspiranti e idrorepellenti. Le loro partner scelgono rarne l’allure con tenute in sfumature naturali, accompagnate la stessa giacca packable in chiave decisamente femminile e da alti stivaloni in cuoio. Il primo couturier a cogliere questa nei toni gioiosi come il rosso corallo, attraversato da coulisse tendenza fu Yves Saint Laurent, il quale, oltre a essere a contrasto in giallo segnaletico. Vero must have di un’estate cosmopolita per vocazione, era nato in Algeria. Così nel 1968 vagabonda, ma sempre chic.

COLONIAL CHIC


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Astri toro

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Importanti novità professionali in vista. Grazie a un colpo di genio una situazione può essere brillantemente risolta. Sfruttate al massimo le vostre doti comunicative. Favori da parte della persona amata.

Tra il 1 e il 3 luglio grazie alla Luna e ai buoni aspetti con Marte potrete compiere qualcosa di memorabile. Metamorfosi spirituale per i nati nella prima decade favorita dai buoni aspetti con Plutone e Nettuno.

Con Giove e Venere in congiunzione sul vostro Sole potete chiedere qualunque cosa. Grazie all’arrivo di Marte, ormai non più sfavorevole come nei mesi passati, finalmente potrete rilassarvi un po’. Seduzione.

Momento critico. Vi sentite sollecitati da più fronti e non sapete quale percorso intraprendere. Agite in sincronia con voi stessi. Non fatevi tirare per la giacchetta dai familiari. Riposo tra il 3 e il 4 luglio.

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Grazie al transito di Mercurio riuscirete a ricavare da ogni situazione il massimo vantaggio. Notizie e incontri con nuovi collaboratori. Fortunato l’utilizzo delle nuove tecnologie. Maggior riposo tra il 5 e il 6.

Momento di incertezza. Con Giove e Venere angolari e Nettuno in opposizione non è difficile avere le idee confuse. Attrazione per le storie clandestine e forte aumento dell’eros. Bene il 3 e il 4 luglio.

Con l’arrivo di Marte nel vostro segno inizia un interessante periodo. Date da subito una forte direzione alle energie in arrivo. Canalizzatevi verso le vie dell’amore. Giove e Venere sono dalla vostra parte.

Aumento degli appetiti sessuali indotti dalla congiunzione di Giove con Venere. Affari portati avanti senza andar troppo per il sottile. Problemi di comunicazione in ordine al transito di Mercurio. Cautela.

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Incontri karmici, provenienti da un lontano passato soprattutto per i nati nella prima decade. State particolarmente attenti a un incontro che per la sua immediatezza procurerà una improvvisa familiarità.

Con Plutone e Urano in quadratura grandi cambiamenti in arrivo. Non fatevi trovare impreparati! Siate voi stessi i promotori della vostra rivoluzione personale. Irascibilità tra il 3 e il 4 luglio. Praticate sport.

Amore a gonfie vele. Grazie agli ottimi valori sia in quinta che in nona casa solare potrete esser improvvisamente ammaliati da una persona straniera. Fortuna durante un viaggio. Iniziative con un paese estero.

Se volete vivere il vostro amore non fatevi condizionare dagli ambienti familiari. Diversamente potrebbe anche accadere che in questo periodo sia voi che il vostro partner siate attratti da situazioni inconsuete.

» a cura di Elisabetta

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 5 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 lug. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Gli insetti... di Kafka • 10. Letti nuziali • 11. Il Cellamare • 12. Fiumiciattolo • 13. Stati Uniti in breve • 14. Il Sodio del chimico • 15. Appunto! • 17. Il bastone del golfista • 20. Consonanti in miope • 21. Lago canadese • 22. Un macchinario edile • 24. L’ammiraglio di Alessandro Magno • 26. Un colpo all’uscio • 27. Pronome personale • 28. Bruciati • 29. Lo si cerca invano nel pagliaio • 31. Il casato di un San Francesco • 33. Articolo plurale • 34. Eccidi • 35. Vedono rosso! • 36. E’ ripieno di rum • 38. Zambia e Malta • 39. Cortile spagnolo • 40. È spesso circoscritta • 41. Lago russo • 42. Argovia sulle targhe • 43. Settentrione • 45. Istituto Tecnico • 47. Consonanti in ruolo • 48. Il premio ambito dall’attore • 50. Uno detto a Zurigo • 51. Dittongo in beone • 52. La dea della discordia. Verticali 1. Servirsi di qualcuno per i propri scopi • 2. Provocare • 3. Abita a Strasburgo • 4. Seracco centrale • 5. Piacevole, bella • 6. Si forma agli sportelli • 7. Bevanda calda • 8. I confini di Grono • 9. Inetti • 16. Irrealizzabili, chimerici • 18. Nullità • 19. Dittongo in piuma • 22. Pari in orso • 23. Ammaliata • 25. Escrescenza sebacea • 28. Lancia, picca • 30. Talee • 32. In mezzo al mare • 34. Fuori dal comune, particolare • 37. Austria e Ohio • 39. A Lugano c’è il Ciani • 44. Spinto... ma non troppo • 46. Tante erano le Grazie • 49. Il dio egizio del sole.

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DIAGNOSI Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Valerio Morini via Pianaccio 5 6710 Biasca Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: 2 buoni del valore di CHF 50.- l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi FFS La stazione FFS: il punto di prevendita di biglietti per eventi I biglietti per concerti, party, eventi sportivi e numerose altre manifestazioni sono disponibili presso circa 200 punti di prevendita nelle stazioni FFS. L’assortimento comprende tutte le manifestazioni di Ticketcorner, Starticket, Ticketportal e biglietteria.ch. Nelle maggiori stazioni FFS i punti di prevendita sono aperti anche nel fine settimana. Per raggiungere in tutta rapidità e comodità la sede dell'evento, vi consigliamo di prendere il treno. Il prossimo evento in prevendita è: Open Air Frauenfeld (dal 6 all’8 luglio). Ulteriori informazioni sono a disposizione su ffs.ch/events. Buon divertimento!

Per determinati eventi RailAway offre dei biglietti combinati che comprendono il biglietto ferroviario scontato per il luogo in cui si svolge la manifestazione, più il biglietto per l’evento. Potete acquistare queste offerte combinate di RailAway presso qualsiasi sportello ferroviario. Se possedete già il biglietto per una manifestazione, ottenete comunque lo sconto sul biglietto ferroviario. Basta esibire il biglietto per l’evento allo sportello ferroviario.

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Nel 2011 Coop era al 1° posto nel Corporate Rating oekom dei dettaglianti.

Per animali che amano stare all’aperto. Con la carne e le uova Naturafarm si ha la garanzia di acquistare prodotti rigorosamente svizzeri. I criteri da rispettare sono l’allevamento all’aperto o con possibilità d’uscita, stalle a misura di animale e foraggiamento senza OGM. Il rispetto dei severi standard

Per allevamenti rispettosi della specie.

per l’allevamento di maiali, bovini, vitelli e galline viene verificato mediante regolari controlli a sorpresa da parte di enti di controllo e di certificazione indipendenti (Protezione Svizzera degli Animali PSA e beef control). www.coop.ch/naturafarm


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