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del 6 luglio 2012

con Teleradio 8–14 luglio

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Centinaia di famiglie vivono in questa bidonville che, nella stagione umida, diventa Villaggio di Koh Kong una fogna a cielo aperto, covo di infezioni e malattie

Amare qualcuno miracolo

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Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via Ungè 19, 6808 Torricella Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 604 54 66 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch


Ticinosette n°27 del 6 luglio 2012

Agorà Chiesa e Stato: quale secolarizzazione? Arti Mario Botta: vivere l’architettura

Impressum

Società Le ragioni dei piccoli

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FranceSca ajmar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

FranceSca rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Media Una rete di illusioni

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Chiusura redazionale

Incontri Il parrucchiere

gaia grimani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Editore

Storie Tagli da fondo campo

Redattore responsabile

Vitae Mirko Bianchi

Coredattore

Reportage Dentro l’emergenza

Tiratura controllata 70’634 copie

Giovedì 28 giugno

Teleradio 7 SA, Muzzano Fabio Martini

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt .ch www .ticino7 .ch www .issuu .com/infocdt/docs

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

Pubblicità

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In copertina

Stato e Chiesa Illustrazione di Antonio Bertossi

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laura di corcia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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daniele Fontana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Keri gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Fiabe Il principe ingrato

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Silvano de Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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marco jeitziner; FotograFie di jaceK PulawSKi . . . . . . . .

Fabio martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Abitare . Resina: circondarsi d’arte

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eliSabeth alli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coazione a ripetere Il Sole 24 Ore, come molti lettori sanno, è il quotidiano della Confindustria, la maggiore organizzazione delle imprese manufatturiere e di servizi italiani . Come si può immaginare, non si tratta di un giornale di ispirazione progressista ma di stretta, anzi, strettissima osservanza liberale . Una premessa indispensabile per non essere fraintesi, si badi . Il 24 giugno scorso, a firma Antonio Crescione, la prestigiosa testata pubblicava un articolo a commento della ottantaduesima relazione della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) presentata lo stesso giorno a Basilea . Secondo tale relazione non solo “il settore finanziario sta gradualmente riassumendo il profilo di elevata rischiosità che lo caratterizzava prima della crisi” ma, si aggiunge, “malgrado i passi avanti nella ricapitalizzazione, molte banche seguitano a operare con un alto grado di leva finanziaria, comprese quelle che appaiono ben capitalizzate, ma in realtà presentano enormi posizioni in derivati . Gli istituti di maggiori dimensioni continuano ad avere interesse ad accrescere la leva finanziaria senza prestare la debita attenzione alle conseguenze di un possibile

PARAPIC è un rapido ausilio contro le punture d’insetti p.e. zanzare, vespe, api

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• Lenisce il dolore e il prurito

fallimento: data la loro rilevanza sistemica, essi confidano che il settore pubblico si farà carico delle ripercussioni negative” . Al di là di considerazioni strettamente tecniche – quali, per esempio, la necessità improcrastinabile di ridimensionare i rapporti fra speculazione finanziaria ed economia reale e di innalzare argini atti a evitare ripercussioni sui comuni cittadini/contribuenti –, emerge la singolare coazione suicida di questi settori, i cui attori paiono comportarsi esattamente come lo scorpione che chiese alla rana di farsi portare dall’altra parte del fiume: “Sì, così quando siamo in mezzo all’acqua mi pungi”, obiettò l’anfibio . “Che interesse avrei? Se ti pungessi morirei anch’io” . Convinta da questo ragionamento la rana se lo mise in groppa e iniziò la traversata . Ma proprio quando avevano quasi raggiunto l’altra sponda lo scorpione la punse . “Perché l’hai fatto? Moriremo entrambi!” esclamò la rana . “Che ci vuoi fare”, rispose l’aracnide, “è la mia natura” . Buona lettura, Fabio Martini

In vendita in farmacia e drogheria.

Leggere il foglietto illustrativo. Distributore: Biomed AG 8600 Dübendorf


Chiesa e Stato: quale secolarizzazione?

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Agorà

“Libera Chiesa in libero Stato”. È ancora in grado questo motto (utilizzato per la prima volta nel XIX secolo da Charles de Montalembert, fondatore del cattolicesimo liberale francese) di evocare un principio pienamente attuato nell’odierna società occidentale? A prima vista si direbbe di sì, almeno sul piano istituzionale, dove i rapporti sono regolati da procedure guridicoamministrative. In realtà, nella prassi delle relazioni politiche e sociali, le tensioni e le frizioni non sono del tutto sopite di Silvano De Pietro illustrazione di Antonio Bertossi

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hi non ricorda il lungo braccio di ferro ingaggiato dai cattolici svizzeri con il Vaticano in seguito alla nomina nel 1988 di Wolfgang Haas a vescovo di Coira? Allora c’erano in ballo non soltanto le simpatie o le antipatie per un prelato dalle idee conservatrici, ma anche antichi diritti di consultazione di quel clero diocesano nella procedura di scelta del proprio vescovo. Altri fatti più recenti – come la ribellione della comunità parrocchiale di Röschenz (Basilea Campagna) in difesa del proprio parroco, il bavarese Franz Sabo, che il vescovo di Basilea voleva destituire – hanno visto l’opinione pubblica svizzera, non soltanto cattolica, discutere e prendere apertamente posizione sulla vicenda. Ma i casi più delicati e conflittuali non sono questi, che sollecitano la tendenza dei media alla spettacolarizzazione. E non sono neppure le annose e mai sopite discussioni interne sul celibato dei preti, sul metodo con cui vengono prese le decisioni negli organismi ecclesiali, sulla partecipazione dei laici a certi processi decisionali, sul sacerdozio negato alle donne, sui riti celebrati insieme con altre comunità cristiane (protestanti), e su molte altre questioni relative alla morale (dall’uso dei contraccettivi all’eutanasia, dall’interruzione della gravidanza alle convivenze fuori del matrimonio, e così via). Il maggior rischio di tensione e di potenziale conflitto con la società civile e persino con lo Stato è invece rappresentato da quei casi che vedono la Chiesa, e con essa sempre più spesso


anche le altre Chiese cristiane, intervenire su temi di carattere politico e sociale, in aperto contrasto con alcuni partiti o con potentati economici. La FEPS, Federazione delle Chiese protestanti svizzere, per esempio, prende sistematicamente posizione in tutte le consultazioni federali, che si tratti della politica agraria o della Convenzione europea per la protezione dell’infanzia, dell’apprendistato per giovani sans papier o della riforma della legge sulle banche, della medicina dei trapianti o della revisione del codice penale. Vocazione interventista Una considerazione analoga si può compiere sul comportamento della Chiesa cattolica. La Conferenza dei vescovi svizzeri copre un ventaglio di “competenze” forse più spiccatamente religiose, ma non disdegna l’intervento attivo anche in tutto ciò che coinvolge, direttamente o indirettamente, la coscienza dei cristiani. E lo fa mediante una serie di commissioni (specialmente con la “Justitia et Pax”) e gruppi di esperti che si occupano di tutto: dalla formazione professionale alla bioetica, dalla “pastorale del turismo e del tempo libero” ai mass media, dalla migrazione ai rapporti con le altre religioni. Questo significa dover intervenire praticamente su tutto quanto la politica discute, propone o attua. Sono interventi dettati dal senso di giustizia e di responsabilità sociale, che vengono però percepiti, a torto o a ragione, come tentativi di ingerenza nella vita politica del paese. Come giudicare, per esempio, quei casi in cui parrocchie e chiese locali danno ospitalità a movimenti di protesta (Occupy, sans papier, ecc.)? E qui nasce la polemica. “La Chiesa non fa politica di partito, ma prende partito e coinvolge gli uomini”, si difende la Conferenza dei vescovi svizzeri attraverso un messaggio diffuso l’anno scorso dall’abate di Einsiedeln, Martin Werlen. “È ovvio che la Chiesa fa politica”, scrive Werlen, “in prima linea. E spesso lo dimentichiamo”. Ma perché? Allora è proprio vero che c’è una deliberata volontà della Chiesa a occuparsi di questioni che, in un moderno Stato laico, sono prerogativa normalmente dei partiti politici? Lo chiediamo a don Sandro Vitalini, pro-vicario generale della diocesi di Lugano, professore di teologia a Friburgo e autore di numerose pubblicazioni. “Si, è esatto”, risponde don Vitalini. “Però la Chiesa non si allea ad alcun partito politico, non sposa le tesi di alcun partito, ma propone il massaggio evangelico che può certo scuotere le tesi della comunità politica. Ritengo che quanto più noi siamo fedeli, tanto più siamo propositivi e direi anche esplosivi, rivoluzionari. Pensi soltanto alla nozione di fraternità universale, che ci porta molto lontano. Per ora anche la politica della Chiesa non è così incisiva come vorrebbe il Vangelo. Abbiamo, per esempio, tollerato che gli obiettori di coscienza venissero considerati dei criminali,

messi in prigione, quando sappiamo che si può servire la patria sia nel servizio armato, sia nel sevizio civile. Dobbiamo essere maggiormente propositivi”. Attuare il Vangelo Sul piano politico e sociale, tuttavia, sensibilità e reazioni negative insorgono ogni volta che le Chiese o lo Stato invadono le une il campo dell’altro e viceversa. E questo, benché in Svizzera i conflitti storici tra Chiesa e Stato sembrino ormai superati grazie a un “modus vivendi” ben regolato sul piano giuridico-istituzionale. Perché allora le tensioni persistono? La spiegazione di don Vitalini parte da una lunga premessa: “Lei conosce certamente l’affermazione di Gesù «date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». La Chiesa, già dai suoi primordi, ha sempre rispettato lo Stato. Essa ha tuttavia una missione profetica: annuncia il Vangelo. E quando il Vangelo viene calpestato dalla società, la Chiesa non solo ha il diritto, ma il dovere di denunciare le ingiustizie e le nefandezze che si compiono contro la persona umana. Anzi, devo aggiungere che talvolta la Chiesa non ha avuto sufficiente coraggio nel denunciare queste ingiustizie. Per esempio, ritengo che sia un dovere della Chiesa annunciare la fraternità universale; e pertanto è giusto che si richiami tutto il popolo a pensare non solo alla Svizzera, ma a tutto il mondo. Noi abbiamo delle istituzioni, come la Croce Rossa che ci ricordano che abbiamo una missione universale. Non possiamo essere sciovinisti, razzisti, xenofobi. Il Vangelo sollecita alla generosità, alla donazione, a un impegno che certo travalica di molto le nostre frontiere e raggiunge i confini del mondo”. E qui arriva la risposta puntuale alla nostra domanda: “Certo, mi rendo conto che a volte lo Stato non è disposto a sentirsi calare lezioni dalla Chiesa. Ma credo che se noi restiamo fedeli alla nostra missione, dobbiamo, anche a costo di versare il nostro sangue, richiamare le esigenze del Vangelo: maggiore giustizia sociale, maggiore impegno di coloro che sono abbienti nel servizio dei più poveri, maggiore impegno perché anche le classi più sfavorite possano beneficiare della mensa comune e partecipare a quei beni che sono stati prodotti da tutti. La visione evangelica è molto impegnativa e, direi, è scomoda per la comunità politica; ma credo che noi, come cristiani (penso ai cristiani evangelici come a noi cattolici romani) dobbiamo proporre allo Stato questa esigenza evangelica, che corrisponde però alla vocazione più profonda della natura umana che è chiamata a scoprire come ogni uomo sia fratello dell’altro”.

“…quando il Vangelo viene calpestato dalla società, la Chiesa non solo ha il diritto, ma il dovere di denunciare le ingiustizie e le nefandezze che si compiono contro la persona umana. Anzi, devo aggiungere che talvolta la Chiesa non ha avuto sufficiente coraggio nel denunciare queste ingiustizie”

Agorà

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Il limite delle competenze Ammettiamo che “la Chiesa come tale non fa politica faziosa”, come sostiene l’abate Werlen. Spesso, però, le Chiese svizzere (e quella cattolica in particolare) prendono posizioni vicine a quelle della sinistra e critiche verso le tesi sostenute da partiti (...)


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Definizione generica di Stato e Politica tratte da Wikipedia

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Rosario La Delfa (a cura di), “La Chiesa tra teologia e scienze umane”, Città Nuova Editrice, 2005, Roma

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di destra come l’UDC. Fin dove vuole o può spingersi la Chiesa? C’è un limite che essa considera invalicabile? O un obiettivo che vuole raggiungere? Per don Vitalini il limite che bisogna sempre rispettare è quello delle competenze: “Come cristiani, come membri della Chiesa, compresi anche i nostri vescovi, noi non abbiamo le competenze per discettare sulla realizzazione di un progetto economico, di un progetto tecnico, e saremmo fuori posto se indicassimo delle soluzioni tecniche per le quali non abbiamo una preparazione sufficiente”. D’accordo, ma quando si parla di politica sociale o di politica degli stranieri, spesso gli interventi della Chiesa sono politicamente più vicini a certi orientamenti che ad altri… “Faccio allora l’esempio per ciò che riguarda la politica degli stranieri”, replica il pro-vicario generale di Lugano. “Noi non riconosciamo negli stranieri delle persone che ci sono estranee, ma dei fratelli. Riteniamo che il principio «uno per tutti, tutti per uno» valga per l’intera umanità. Non s’intende con questo che le nazioni abbiano a scomparire; s’intende piuttosto promuovere la prosperità di ogni nazione. Sappiamo che l’emigrazione dai paesi sottosviluppati viene proprio dal fatto che in quei paesi non c’è lavoro, non c’è un tetto, non c’è cibo. E per fermare questa emigrazione, questa fuga di massa dalle zone sottosviluppate e depresse, non bastano, non saranno mai sufficienti le armi (che anzi noi condanniamo), ma si tratta di prevenire queste emorragie cercando in ogni modo di favorire dei progetti che contribuiscano a far crescere questi popoli verso un minimo di prosperità, in modo da consentire loro di rimanere dove sono”. La Svizzera però s’impegna già parecchio in questo senso, osserviamo. E don Vitalini riconosce che “effettivamente vediamo delle belle realizzazioni che la Svizzera ha attuato un po’ in tutto il mondo. Sono purtroppo delle microrealizzazioni, che aiutano gli uomini a rimanere dove sono perché vi trovano un minimo di lavoro e un minimo di prosperità. Questo sforzo va sviluppato. Credo che soltanto attraverso una fraternità concreta eviteremo di essere annientati da una invasione degli affamati che potrà distruggere la civiltà non solo svizzera ma mondiale”. Eppure, proprio quando si parla di cooperazione internazionale le reazioni contrarie di alcuni partiti e di certe fasce sociali non mancano. E questo succede nonostante quanto rileva ancora nel suo messaggio l’abate Werlen, secondo cui “i battezzati sono presenti in tutti i partiti, ed in tutti i partiti vi sono opzioni giustificate che essi introducono nel dibattito politico. I cristiani e le cristiane sono chiamati ad assumere, nei diversi partiti, il loro impegno di battezzati, per il bene integrale dell’uomo, di ogni uomo, a prescindere da nazionalità, religione, sesso, età e salute”.

batterci il petto”, dice don Vitalini. “Non abbiamo educato i cristiani ad accettare in pienezza il Vangelo. Se cito il discorso delle beatitudini (in Matteo 5), devo evocare la non violenza. Gesù ci dice di pregare per i persecutori, di porgere l’altra guancia. Dunque, Gesù ci indica la strada di una difesa internazionale, non più di una difesa militare, armata. Trasforma, cioè, la nostra mentalità troppo pagana in una mentalità di fraternità cristiana. È certo che noi non possiamo limitarci a predicare il Vangelo quasi fosse solo un invito a partecipare a delle preghiere, ma dobbiamo predicare il Vangelo nella sua integrità, che ci obbliga a considerare tutti gli uomini dei fratelli. In quest’ottica, la guerra deve sparire perché è in opposizione alla volontà di Dio. E questo non l’abbiamo fatto. Anzi, in passato si benedicevano le armi, s’immaginava addirittura che Dio fosse con un esercito contro l’altro. Questi sono tradimenti del Vangelo”. Capita anche che persino i cattolici svizzeri attivi nel Partito popolare democratico facciano scelte contrarie a quelle dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, per esempio sostenendo l’inasprimento della legge sull’asilo o l’apertura domenicale dei negozi. Don Vitalini replica con ironia che “non possiamo immaginare che la Parola di Dio colpisca, quasi fosse un fulmine, coloro che dissentono dalla Parola di Dio”. Ma non bisogna desistere, “non dobbiamo stancarci. Come dice la seconda Lettera di San Paolo a Timoteo: «Predica la parola a tempo e fuori tempo, insisti, correggi». E cioè noi dobbiamo annunciare il Vangelo nella sua integrità. Siamo seguiti o non siamo seguiti, non dipenderà da noi. Lo si legge già nel profeta Ezechiele: «Tu devi predicare; se ti ascoltano o non ti ascoltano non dipende da te». Noi però dobbiamo essere fedeli al Vangelo. Riconosco che siamo stati troppo poco fedeli alla parola di Dio, che nella Lettera agli Ebrei viene paragonata a una spada a due lame, cioè a un bisturi che indubbiamente ferisce. Ma non possiamo non provocare l’opinione pubblica mentendo davanti ad essa e presentando un Vangelo annacquato. Il Vangelo è molto esigente”. E come si spiega che molti cattolici svizzeri subiscano mal volentieri certe regole interne della Chiesa, che si tratti della disciplina dei parroci, dell’ammissione delle donne al sacerdozio, della nomina dei vescovi, del celibato dei preti e così via? Per don Vitalini la spiegazione è che i vescovi e i preti sono sì chiamati a predicare, ma anche ad ascoltare il “popolo di Dio”. Cosa che evidentemente non fanno abbastanza. “Anche il Sinodo 72 ha presentato dei voti all’Autorità romana e non è stato minimamente preso in considerazione”, ricorda il prelato. E conclude: “Questo ritengo sia un fatto grave, perché tutti siamo chiamati all’obbedienza della parola di Dio e non esiste nessuno che possa monopolizzarne l’autorità. Dobbiamo accettare una conversione anche delle nostre strutture. Per non affogare”.

“I battezzati sono presenti in tutti i partiti, e in tutti i partiti vi sono opzioni giustificate che essi introducono nel dibattito politico. I cristiani e le cristiane sono chiamati ad assumere, nei diversi partiti, il loro impegno di battezzati, per il bene integrale dell’uomo, di ogni uomo, a prescindere da nazionalità, religione, sesso, età e salute”

Una voce nel deserto Ma allora perché in questa Svizzera così cristiana l’appello delle Chiese cristiane spesso non passa? “Credo che dobbiamo

Agorà

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Vivere l’architettura L’architettura nella vita e nel pensiero di Mario Botta, dall’infanzia a Genestrerio, agli esordi come architetto, fino ai giorni nostri, attraverso un percorso articolato e fluido condotto ad arte da Marco Alloni.

testo di Francesca Ajmar illustrazione di Micha Dalcol

Arti

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Recentemente pubblicato da Casagrande, Mario Botta. Vivere l’architettura è una coinvolgente conversazione tra il grande architetto ticinese e Marco Alloni, scrittore e giornalista che da quattordici anni vive al Cairo e che, fra l’altro, da tempo collabora con Ticinosette. Entrambi originari di Mendrisio e profondi conoscitori di realtà culturali molto distanti dal loro paese d’origine, ci conducono in un percorso, vissuto in prima persona da Mario Botta, che dal Movimento Moderno arriva alla complessità dei nostri giorni. Da decenni figura di spicco dell’architettura contemporanea, Botta racconta della sua vita e del suo legame inscindibile con l’architettura, e di come l’essere cresciuto in un piccolo villaggio del cantone lo abbia in realtà stimolato e successivamente facilitato nella sua carriera. Attraverso le sue molte opere, ci parla della profonda influenza che su di lui hanno esercitato figure quali Le Corbusier, Louis Kahn, Carlo Scarpa, così come alcuni grandi filosofi e scrittori. L’intervista si muove cronologicamente, dall’infanzia a Genestrerio, ai suoi primi interessi artistici e alla passione per il disegno che gradualmente lo hanno portato verso l’architettura. I suoi ricordi d’infanzia, ci restituiscono l’idea di un mondo contadino ormai lontano, in cui spostarsi significava percorrere chilometri a piedi, magari in mezzo ai boschi, e nel quale andare a Como per il mercato significava affrontare un vero e proprio viaggio per “la città”. Al tempo stesso crescere in una terra di confine ha contribuito a sviluppare in lui un atteggiamento di apertura verso le altre culture. Una concezione allargata Il racconto della sua formazione artistica e intellettuale rimanda agli anni d’oro in cui l’Italia rappresentava un riferimento per la cultura in tutto il mondo, quando nelle università italiane non era strano trovare docenti del livello di Carlo Scarpa, o, di passaggio, personalità come Kahn o Le

Corbusier, come avveniva per esempio a Venezia. Dopo il liceo artistico a Milano dove si diploma da autodidatta, Botta sceglie infatti di proseguire gli studi proprio nella città lagunare. All’Istituto Universitario di Architettura insegnavano architetti e storici del livello di Gardella, Zevi, Benevolo, Samonà e lo stesso Scarpa. L’opportunità, da lui ben colta, di formarsi con alcuni grandi maestri, gli permette di stabilire solidi riferimenti per gli sviluppi della sua attività creativa e progettuale. Inizia così una stagione vivissima per Botta sia a livello di contatti e di scambi nel mondo dell’architettura, sia per i suoi primi progetti già di respiro internazionale, grazie alle opportunità che gli giungono innanzitutto dalla Francia e successivamente da altri paesi a eccezione della Svizzera. Ma come lui stesso afferma: “Nemo propheta in patria”! Attraverso le sue opere, dalle prime ville private realizzate in canton Ticino, agli importanti risultati ottenuti a concorsi internazionali, arriviamo gradualmente ai progetti più recenti, accompagnati dalle sue considerazioni sull’architettura e dai suoi preziosi riferimenti al pensiero di Heidegger, Spinoza, o Benjamin. Ci parla dell’enorme influenza che sulla sua concezione dello spazio hanno esercitato i grandi del Movimento Moderno, ci racconta dell’architettura vernacolare e di alcuni principi presi dal Primitivismo per esempio di Klee o di Giacometti. Soffermandosi in modo molto esaustivo sulla complessità del processo progettuale e sullo strettissimo legame tra questo e il contesto territoriale su cui l’architetto va a intervenire, Botta ci trasmette l’idea della multidisciplinarietà dell’architettura e di come in un progetto intervengano competenze tra le più varie. Prima di concludere, un breve accenno alla biblioteca Bodmer a Cologny, vicino a Ginevra, il cui progetto di ampliamento è stato realizzato proprio dall’architetto ticinese: è poco conosciuta, ma ospita una delle più importanti raccolte di documenti primigeni della cultura umana. Credetemi, merita una visita.


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Le ragioni dei piccoli Volendo prendere sul serio l’osservazione di Nelson Mandela secondo la quale “non ci può essere rivelazione più adeguata dell’anima di una società del modo in cui tratta i suoi bambini”, l’immagine della società nordamericana che emerge dalle pagine del libro di Joel Bakan, giurista canadese, è ben poco edificante testo di Francesca Rigotti illustrazione di Mimmo Mendicino

Quella che Bakan presenta, è infatti l’immagine catastrofista

di una società dominata dalla mega impresa (corporation) che comprime l’infanzia con forme e pratiche designate esclusivamente a ottenere profitto. Dal punto di vista della corporation, spiega Bakan, i bambini sono poco più che opportunità da sfruttare o costi da evitare: sono mercati per il fast-food, soggetti cui somministrare in tenerissima età farmaci antidepressivi o a cui far compilare test per il rendimento scolastico che ingrassano le ditte addette alla valutazione. E dal momento che le imprese sono diventate le forze dominanti nelle vite dei bambini e dei loro genitori, questa prospettiva miope e limitata influenza sempre di più quello che noi come società pensiamo e facciamo per i nostri figli. Così le aspirazioni sociali a occuparsi dei valori dell’infanzia – da curare, allevare, proteggere, stimolare, educare – si sono trasformate in strategie per massimizzare il valore dei bambini. Le leve del profitto Colpevole è per Bakan la svolta neoliberista impostasi a partire dagli anni Ottanta del Novecento con Ronald Reagan e Margaret Thatcher (“i liberi mercati sono la via più sicura per conseguire il bene maggiore per gli individui e per la società”); così dicendo e facendo, il neoliberismo ha invertito, per quanto riguarda l’infanzia, la tendenza impostasi invece agli inizi dello stesso secolo allorché ci si rese conto, nei paesi industrializzati, che i bambini andavano protetti dallo sfruttamento economico, le loro potenzialità esaltate e le loro capacità guidate a farne cittadini produttivi di una democrazia. La svolta neoliberista trionfante ha fatto dell’infanzia una faccenda privata governata dalle famiglie e dal mercato, non dalla società politica. Il risultato è che oggi i mercati sono liberi di manipolare l’inesperienza dei bambini e i loro sentimenti, agendo soprattutto sulle due fondamentali passioni di quello che è il momento formativo della condizione umana: l’amore e la paura. L’amore evoca situazioni di affetto, legame, calore; la paura contesti di violenza, terrore, orrore, crudeltà,

guerra: su questi sentimenti prevalenti nei giovani giocano, per conquistarli come clienti e consumatori, i mercati. Le compagnie sono libere di produrre, vendere e pubblicizzare giochi e giocattoli altamente diseducativi che fanno perno su questi sentimenti, attraendo il bambino o l’adolescente; le ditte farmaceutiche di diffondere con tutti i mezzi possibili il consumo di farmaci psicotropi nei bambini; le imprese chimiche di vendere prodotti tossici e di inquinare aria e suolo e pavimenti e tappeti a contatto del quale vivono i bambini molto piccoli. Prima di questo appassionato pamphlet dedicato alla difesa dell’infanzia dal mondo del profitto, Joel Bakan aveva pubblicato The Corporation, best seller internazionale dal quale è stato tratto l’omonimo documentario (http://www.youtube.com/watch?v =7Y9YZxA5uM8&feature=related) e la cui tesi è che l’impresa crea ricchezza e benessere ma anche notevoli danni. Occhi aperti! Ai genitori Bakan, che sta preparando un documentario anche da questa ultima ricerca, rivolge l’invito ad allertarsi per garantire ai loro figli una vita buona in un ambiente morale e naturale sano, tenendo conto del fatto che questo non dipende soltanto dalle scelte individuali dei familiari ma anche e soprattutto dalle condizioni sociali e politiche. Le organizzazioni commerciali, le corporations, sono istituzioni potenti, deliberatamente programmate allo scopo di sfruttare gli altri per arricchire se stesse, e giocano un ruolo importante nel determinare degrado ambientale e sociale e creare ingiustizia sul pianeta. L’idea che la deregulation economica rappresenti la soluzione a tutti i nostri problemi è errata, difendetevene, soprattutto voi genitori, ripete Bakan, prima che le nostre vite e quelle dei nostri figli, già sicuramente colpite, ne siano irrimediabilmente rovinate. Per approfondire Joel Bakan, Assalto all’infanzia. Come le corporation stanno trasformando i nostri figli in consumatori sfrenati, Milano, Feltrinelli, 2012

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Una rete di illusioni Internet e i social network possono favorire il dialogo tra le persone (compreso quello politico)? Sono strumenti capaci di stimolare i processi di democratizzazione delle società? Abbiamo posto questi e altri quesiti a un illustre studioso di media e cultura della rete, l’olandese Geert Lovink

testo di Laura di Corcia

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Geert Lovink, luminare nell’ambito dei nuovi media, nonché fondatore (tra le altre cose) dell’Institute of Network Culture di Amsterdam, si è recato di recente in Italia per presentare il suo nuovo saggio, Ossessioni collettive. Critica dei social media (Edizioni Egea, 2012), in cui analizza i temi dell’identità e del management di sé coniugati alla frammentazione e al sovraccarico di informazioni della cultura online. Ticinosette lo ha incontrato alla Mediateca di Santa Teresa, a Milano, nel contesto di un ciclo di incontri (realizzato dalla Camera di commercio della città meneghina) con i protagonisti internazionali della cultura digitale e dell’innovazione, dal nome “Meet the media guru”. Signor Lovink, nel suo libro parla di una cultura della rete. Mi può spiegare che cosa intende con questa espressione? “Una cultura della rete si forma quando le persone iniziano a usare alcune applicazioni, o un website, o un certo software per un determinato periodo di tempo. La cultura della rete non esiste prima di questo sforzo, ma deve essere sviluppata. È quel che succede quando alcuni soggetti avviano una comunicazione attraverso, per esempio, un social network o un blog. Le persone iniziano a esprimere certi atteggiamenti, a dire la propria, a rispondere ad altri utenti. Scoprono il potenziale che il software gli sta offrendo. Possono rispondere alle discussioni di gruppo, instaurare una conversazione con qualcuno in privato, fare apprezzamenti”. Sembra tutto molto positivo. Ma sussistono anche degli aspetti negativi nei social network… “Non sono critico nei confronti dell’idea di social network, ma contro certe strategie di marketing che, senza informare le persone, prelevano i loro dati e alcune informazioni personali”. Lei sta parlando di Facebook, questo è chiaro. Ora è molto in voga anche Twitter. Ci sono delle differenze tra questi due mezzi? Quali? “È molto difficile compararli. Twitter è più focalizzato sullo scambio di notizie, è molto vicino all’industria della notizia e

al mondo del giornalismo. Le persone che non hanno un grande interesse per l’informazione, normalmente non sanno cosa fare di questo social network”. Insomma, Twitter – mi pare di aver capito – incontra i suoi gusti più di quanto faccia Facebook? “Se devo essere sincero sì. Facebook è diabolico e non protegge la privacy degli utenti. Ma non sono certo l’unico a sostenerlo”. Nel libro lei parla della religione del positivo... che cosa intende? “È una mentalità che si è sviluppata nella Silicon Valley e si basa sulla convinzione che se qualcuno muove una critica a qualcosa di nuovo, rovina la festa. Questa è una posizione davvero discutibile, che non condivido, perché credo che il vaglio critico abbia un suo valore. Per me rappresenta una forza produttiva”. E non crede che i social network siano una piazza che permette alle persone di esprimere le loro idee, anche quelle critiche? “No. Infatti su Facebook è presente solo l’opzione «mi piace», mentre manca la possibilità di dire «non mi piace». Una volta una ragazza scrisse che era molto triste perché aveva il cancro, e tutti hanno commentato «mi piace». È stupido questo meccanismo? Non ha proprio senso poiché limita le possibilità espressive dell’essere umano”. Ma ci si può esprimere anche attraverso una discussione. Io in Facebook ho assistito spesso a discussioni animate. “Questa è un’ottima cosa! Ma accade di rado. Poi c’è da aggiungere che le discussioni su Facebook non sono pubbliche; io, che non ho un profilo, non posso accedervi. E anche all’interno degli iscritti, non tutti possono partecipare ai dibattiti in corso, perché sono chiusi”. Quali altri problemi riscontra in internet? “Il bombardamento di informazioni. Ce ne sono troppe ed è difficile stare dietro a tutto. È una difficoltà soprattutto maschile,


Io non sono di questo avviso, onestamente, perché penso che il nostro cervello sia abbastanza statico. Ma alcuni studiosi ritengono che invece sia flessibile, quindi influenzabile. Alcuni sostengono, per esempio, che molti ragazzi presentano difficoltà scolastiche a causa dell’eccessivo uso dei videogames”. Allora, mi sembra di aver capito: internet e i social network sono una meravigliosa opportunità per mettere in connessione persone lontanissime, ma ci sono anche aspetti negativi e controindicazioni. Come possiamo neutralizzarli? “Ma vede, la rete è lo specchio della società, che presenta cose buone e cose meno buone. Non possiamo isolare solo gli aspetti che ci fanno comodo. Non funziona così, purtroppo”. Ma quindi non ci sono consigli per gli utenti? Non si può insegnare loro a navigare cum grano salis? “Questo è certamente possibile. Credo che sia importante integrare lo studio dei media nelle scuole, discutere dei loro aspetti diabolici, favorire una metariflessione. C’è una letteratura ampia su questi temi e bisognerebbe incrementarne la circolazione”.

Geert Lovink; immagine tratta da www.pt.wikipedia.org

me ne rendo conto, dal momento che le donne sono più multitasking. Se ci sono tutte queste cose da seguire, non ci si riesce a concentrare più su nulla. Questo è un altro dibattito in voga: gli studenti mostrano sempre più difficoltà coi testi complessi”. Come prospettiva è davvero inquietante: spero che alla lunga questo modo di comunicare non intacchi le nostre capacità intellettive. “Non ho detto questo, ma è una questione su cui si sta riflettendo.

BUON GUSTO, ANCHE

NEL PREZZO

Nel suo libro parla anche di Wikileaks: alcuni hanno guardato a questa operazione come a una nuova possibilità per destabilizzare il potere (o i poteri) e gettare le basi per una società più equa. “Wikileaks ha messo in circolazione tutta una serie di notizie e dati. Ma cosa ce ne facciamo? Come possono rifondare le nostre società, i nostri media? Ci sono giornalisti investigativi in grado di rielaborare queste informazioni? Questi sono nodi rimasti ancora irrisolti. Wikileaks può scomparire, ma verrà sostituita, perché il numero di informazioni reperibili sta crescendo esponenzialmente”. L’ultima domanda, professor Lovink, quella cruciale: la rete, secondo lei, favorisce un incremento del fattore democratico? “Non credo. La democrazia è tanto buona tanto quanto lo sono le persone. La cultura democratica c’è, esiste, per fortuna, e può essere usata. Bisogna accrescere le capacità critiche, questo sì. La tecnologia non si sostituirà mai alle persone”.

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Rauchen fügt Ihnen und den Menschen in Ihrer Umgebung erheblichen Schaden zu. Fumer nuit gravement à votre santé et à celle de votre entourage. Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno.

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Il parrucchiere Una volta il termine indicava chi, per professione, acconciava le signore e le signorine. Oggi, in tempi di parità fra i sessi, barbiere e parrucchiere sono riconducibili a un’unica attività testo di Gaia Grimani illustrazione di Bruno Machado

Incontri

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Da bambina ero l’unica femmina fra tre fratelli maschi e regolarmente il mio papà ci trascinava tutti dal suo barbiere, facendoci dare, me compresa, una buona accorciata ai capelli, anzi per meglio dire, una vera e propria rasata. Quando tornavamo a casa, la mamma se la prendeva terribilmente per quei capelli corti da pulcino che mi sottraevano una delle prerogative femminili della bellezza: i lunghi riccioli neri. A me, invece, piaceva andare da quel barbiere che aveva fuori del negozio un’insegna luminosa animata, con tante strisce che giravano su se stesse e dentro, in bottega, una sedia a cavalluccio riservata ai bambini, quasi a compensarli della noia di dover stare un po’ di tempo fermi. Allora la divisione fra uomini e donne in quest’ambito era rigidissima e mai si sarebbe visto un uomo entrare da un parrucchiere da donna: l’uomo andava dal barbiere che doveva il suo nome, non solo alla cura e al taglio della chioma maschile, ma al fatto che faceva spesso la barba, almeno ai più raffinati e abbienti, tutti i santi giorni. Il parrucchiere è per una donna uno dei luoghi dove ci si reca più volentieri. Si è accolte e coccolate da tanti lavoranti: chi lava la testa con perizia e massaggi rilassanti, chi si prende cura delle mani e delle unghie, chi, a volte, addirittura dei piedi. Poi arriva lui, il maestro, che con le sue forbici modella la testa, inventa nuovi modi di essere: lisce, ricce, a onde, crespe con permanente, capelli cortissimi o lunghi, neri, castani, biondi secondo l’umore, secondo l’età. Il respiro del mondo Vi sono tanti tipi di parrucchieri e nella mia vita li ho incontrati quasi tutti: c’è il parrucchierino di paese con una bottega piccolissima e pochi lavoranti. Spesso è lui stesso che lava la testa alle clienti o applica il colore, asciuga i capelli sotto il casco o con phon e spazzola. È un parrucchiere senza i mezzi, né la fantasia per creare pettinature originali con le quali cambiare la fisionomia, adatto più che altro a una “terapia di ordine e mantenimento”, ideale per signore di mezza età o anziane che hanno rinunciato da un pezzo a seguire la

moda oppure per ragazzine di poche pretese e scarsa moneta. All’estremo opposto, troviamo il parrucchiere di successo della grande città, con un negozio avveniristico, a partire dalle poltrone del settore lavatesta che fanno il massaggio rilassante, mentre la cliente è accudita e confortata dalle mani esperte della shampista di turno (così si definiscono). È un parrucchiere pieno di estro e abilità, è costoso e non tutte possono concederselo spesso, ma, quando si esce dal suo negozio, ci si sente totalmente diverse, più giovani e più belle, in grado di affrontare con grinta la vita e le sue difficoltà, forti delle cure ricevute, anche se solo per poche ore. Vi fu un tempo della mia gioventù che conobbi (veramente non ricordo come) un parrucchiere famosissimo, specializzato nella realizzazione di pettinature a caschetto. Ogni volta che si andava da lui, anche dopo una sola settimana, aggiustava il taglio che doveva essere preciso in ogni minimo aspetto, scolpito e, a capolavoro terminato, apponeva sulla nuca la sua firma, una piccola V stilizzata. Era un luogo frequentato da indossatrici, attrici, persone che lavoravano in televisione, donne spesso capricciose che pretendevano l’attenzione totalmente concentrata su di loro. Lo abbandonai presto, in primo luogo perché non potevo permettermelo e poi perché mi infastidiva un ambiente così ostentatamente fatuo. Da qualche anno ho invece ritrovato il parrucchiere che conobbi a vent’anni: era venuto a Milano dall’Emilia, ma in breve tempo conquistò con la sua perizia la città e divenne famoso. C’è fra di noi l’affetto speciale di chi si è conosciuto giovanissimo. È un uomo creativo, sempre pronto a rinnovarsi con una spiccata antipatia per la parola pensione, come me. Il suo negozio è lo specchio dei nostri tempi: indifferentemente aperto a donne e uomini, comodo, elegante, accogliente. I lavoranti provengono da molte nazioni diverse e portano con sé le specialità dei propri luoghi, dall’Africa all’Europa orientale. Andarci è una gioia, non solo per il risultato finale, ma perché il contatto di tante mani diverse mi porta il respiro del mondo.


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Tagli da fondo campo di Daniele Fontana

Il servizio l’aveva passato una di quelle trasmissioni tutta

melassa, scintillio e maldicenza che si fanno contrabbandare sotto il cappello di society. Un’emittente di altro idioma, intercettata nel corso di uno zapping annoiato e compulsivo. In un mare di chiacchiere inutili poche immagini sapientemente montate e una serie di primi piani fulminanti. Una videocamera attende i giocatori della nazionale irlandese al termine di una partita agli Europei. Quasi tutti in tuta, facce rubiconde, capelli ancora bagnati, scarmigliati, quegli uomini portano addosso, senza troppo celarlo, il risultato dell’impegno profuso. In un misto di maschia fierezza e di giovanile euforia. Manca solo – anche se lo senti rombare da qualche parte fosse anche solo dentro di te –, l’eco di un coro da stadio in sottofondo. Stessa scena, stessa inquadratura. Ma stavolta a sbucare dalla porta dello spogliatoio è l’undici italiano. Dei figurini. Completi impeccabili, volti riportati al glamour patinato delle riviste di Marco Simoncelli gossip che tanto li celebrano. E una rassegna di pettinature da haute coiffure. Gel a chili, tagli studiati sul profilo di ciascuno. Una compostezza estetica da iconografia metrosessuale. Le parole dei conduttori della trasmissione rotolano tra banalità sociologiche e malcelato scherno anti-italico. Troppo facile, come sempre. Indicatore, come logico. Ma, ancora, di cosa?

e i suggerimenti dell’allenatore. Davvero talento sportivo e atteggiamento individuale sono due mondi separati? Quella cresta può tenerli ermeticamente stagni, evitando il deturpante inquinamento della bellezza atletica? Sulla homepage di Repubblica una notizia corredata di foto. Un politico friulano sulla propria pagina di Facebook ha pubblicato un fotomontaggio del giocatore di colore della nazionale italiana di calcio Mario Balotelli, chino a raccogliere cavoli. Il tutto sottolineato da un certo non innocente invito rivolto all’azzurro ad andare a lavorare nei campi (dei suddetti ortaggi parrebbe di capire, anche se l’insieme iconografico e linguistico lascia ampi spazi, anzi campi, all’interpretazione). Il capo di Balotelli è segnato da una sottile e bassa pinna craniale, colorata di biondo, che si è scelto come più recente acconciatura. Una sorta di emblema fosforescente puntato sul suo pessimo carattere. Ma anche sul suo indubbio talento. Il politico, invece, ha capelli assolutamente normali, eppure la testa cui fanno ombra non pare distillare doti encomiabili.

“Per favore, non mi chiedere dei caPelli, eh? non so Perché li Porto così. ma non li taglio: sono Più famosi di me”

Qualche sera dopo, alla nostra TV, scambio di riflessioni sull’incrocio tra lo scostante profilo di personalità di Cristiano Ronaldo e le sue soavissime doti di calciatore. In mezzo, quella cresta tirata su a spatolate di gel, che la star lusitana pensa bene di rimodellare a ogni intervallo di partita, mentre i suoi compagni sono concentrati sulle analisi

E per finire lui, il bomber della nazionale tedesca. Bello forte e poetico come il prescelto di Odino, capelli castani, folti, pettinati come da iconografia solare di epoche passate. Un uomo che avrebbe reso luminosa persino la divisa della Wehrmacht. Il prototipo della germanitudine. Eppure quel ciuffo grintoso, portato alto, appartiene a uno che di nome fa Mario Gomez. E che trascina una squadra autenticamente, profondamente, armoniosamente multietnica. Una squadra che gioca d’incanto spinta non da ciò che ciascuno individualmente porta sulla testa, ma da quello che tutti insieme hanno in quella testa.

Storie

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» testimonianza raccolta da Keri Gonzato; fotografia di Igor Ponti

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Mirko Bianchi

Vitae

saggio fondamentale da far passare è anche che si è sempre in due, persino quando si parla di fenomeni pesanti come il mobbing: noi siamo attori di ogni situazione, nel senso che permettiamo una serie di situazioni. Spesso un singolo incontro consente di disinnescare un intero meccanismo… Penso a una madre che, ogni sera, spronava la figlia a svolgere i compiti finendo sempre per farli lei. Per anni lo stesso identico rituale: il solo prenderne consapevolezza ha sbloccato qualcosa. Per la madre, smettere di fare i compiti al posto della figlia, ha risolto tutto. Può bastare poco per rompere situazioni Ha sempre avuto l’attitudine a cambiare che con il tempo possono lo sguardo e a trasformare anche le si- portare a conflitti gravi. Il tuazioni difficili. Grazie al suo percorso di grande problema attuale del counselling è che sul mercato “counsellor” questa capacità è divenuta si trova di tutto, in attesa uno strumento di consapevolezza che venga regolato a livello istituzionale: la procedura è Abbiamo visitato degli spazi in corso. È chiaro che se vai in internet, die, due settimane dopo, la giti counselling, ed esce “Diventa counsellor nostra società era registrata: in 7 giorni a Roma”, questo non aiuta. In l’alchimia che c’è tra me e il Svizzera però, proprio in questi giorni, si è mio socio Carmine, unita a deciso di unificare le due associazioni che si una serie di fortunate coinoccupano di counselling con il progetto di cidenze, ha fatto si che tutto essere riconosciuti a livello federale entro il accadesse facilmente! L’idea 2013. A livello personale questa attività ha era quella di porre al centro la portato molto anche alla mia vita familiapersona, indipendentemente re, aiutandomi ad avere un approccio più dal fatto che poi si lavori con consapevole per esempio con mio figlio che i singoli, i gruppi, le aziende, oggi ha tre anni. È qualcosa di bello potersi le famiglie o nel contesto sedere con mia moglie e discutere delle vadi percorsi esperienziali e di rie situazioni che l’essere genitori implica, formazione. Ci occupiamo arrivando magari anche a dire “oggi non ne inoltre di giovani (18–25 anpotevo più”, ecc. La possibilità di esprimere ni) che faticano a stare al anche cose scomode è fondamentale e vedo mondo così come la società che questo permette anche a mio figlio di vorrebbe: un fenomeno forte. comunicare con più facilità. I bambini hanIl percorso scolastico, il rapno una capacità eccezionale di comunicare porto con i compagni e con la in modo chiaro e semplice e così risolvono famiglia hanno un ruolo fonda sé gran parte delle proprie difficoltà. Per damentale nello sviluppo di questo devono essere lasciati liberi di vivere, una persona. Spesso, dopo un provare e imparare. Alla base del counselling paio di colloqui con il ragazsta proprio questo principio: cerca di non zo, si incontra tutta la famisostituirti a me, dammi delle linee guida ma glia, visto l’importante ruolo lasciami libero di vivere, fare esperienza, fare che essa ricopre: aspettative i miei errori e maturare. È uno sguardo che reciproche non corrisposte, pone l’accento sulla responsabilità dell’indimancanza di comunicazione, viduo, da un lato, e dall’altro sull’emergere ecc. La maggior parte dei cicli delle sue potenzialità. Il mio lavoro è offrire dura solo pochi incontri, si uno sguardo nuovo sul disagio che spesso vuole evitare che si crei una viene chiamato psichico. Difficilmente pardipendenza dal supporto, fatirei dalle diagnosi e dalle etichette, a me vorendo invece l’attivazione interessa la persona e tutto quello che può delle proprie risorse. Un mesancora dare.

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are il counsellor significa ascoltare il racconto della persona, aiutarla a fare più chiarezza in se stessa e a favorire letture della propria esistenza più funzionali a una condizione di benessere: sta poi al singolo capire in che direzione andare... Io sono arrivato a questo lavoro in modo naturale. Professionalmente nasco con un apprendistato come disegnatore edile: ero appassionato di architettura ma a scuola ero poco performante perché sentivo il bisogno di viaggiare, conoscere, immaginare cose. Dopo l’apprendistato ho deciso di fare la maturità professionale. Già allora mi piaceva l’idea di individuare le modalità con cui le persone si muovono e, questa curiosità, mi ha spinto a studiare marketing e comunicazione a Milano. Poi sono partito per un anno e mezzo negli Stati Uniti. Ci sarei rimasto ma, a causa del visto, ho dovuto rimpacchettare tutto e tornare. Dopo un periodo di lavoro in pubblicità e organizzazione di eventi, la vita basata sul rincorrere i mandati ha iniziato a starmi stretta. Il mio interesse si è rivolto alla comunicazione tra le persone, che poi è il motore della vita di tutti noi, e ho iniziato il master in counselling a Bellinzona, presso la scuola che oggi si chiama IFCOS. Parallelamente lavoravo per una fondazione, dove opero tutt’ora come formatore, che si occupa di reinserimento professionale di persone con problemi di salute. La formazione in counselling ha rappresentato un periodo di crescita personale che mi ha permesso di conoscermi meglio, comprendere i miei limiti, capire che valore dare alla mia identità. Per essere un counsellor, infatti, è fondamentale uscire dai meccanismi di difesa personali e saper dare il giusto peso alle situazioni. Un anno fa poi, insieme a un amico che ha studiato con me, abbiamo deciso di fare il grande salto e aprire uno studio.


Dentro l’emergenza testo di Marco Jeitziner; fotografie di Jacek Pulawski

“E verso il soccorritore resta solo un vago senso di riconoscenza� Francesco Alberoni




Tutte le immagini del presente servizio sono state scattate nel corso di una normale giornata di attivitĂ di soccorso della Croce Verde Lugano


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a pioggia battente dei primi di giugno basta per tenerli in allerta. Col maltempo, si sa, gli incidenti sono dietro l’angolo. Nel corridoio della Croce Verde di Lugano, malgrado il via vai di persone, percepisco una certa calma, ma è solo apparente. In fondo sono solo le dieci del mattino e chissà cosa può accadere da qui alle sette di sera. “Tutti gli interventi sono una novità, perché i pazienti e le situazioni sono sempre diverse” avverte Vincenzo Gianini, soccorritore quadro con trent’anni d’esperienza che incontro in una saletta. Mi spiega che il grosso del lavoro riguarda il trasporto degli anziani da cliniche e ospedali: “Vengono ricoverati per dei piccoli malori, ma ti raccontano delle storie della loro vita, facendoti tornare indietro nel tempo”. Insomma, nel mestiere c’è spazio per le emozioni, anche quelle difficili da gestire.: “Dall’evasione dal carcere della Stampa alla sparatoria di Rivera” ricorda Gianini, “ma soprattutto quando abbiamo dovuto portare via un bambino piccolo alla madre. Lei doveva essere ricoverata all’ospedale psichiatrico”. Entriamo nella sala operativa. Allo schermo del computer appare una scheda di intervento informatizzata, inviata dalla centrale di soccorso del 144: serve per sapere da dove e come intervenire. È di colore verde, ma se fosse nera… È il codice che determina la gravità dell’urgenza. E poi c’è il “gong”: “È urgente se ha due toni, quattro se non è urgente”, spiega Gianini. Questa è la loro musica. Dentro l’ambulanza L’officina, a parte il giallo inconfondibile delle carrozzerie, è come tante altre. Due i veicoli, fermi in revisione e fa strano, vedendoli sempre sfrecciare a sirene spiegate. Senza mezzi efficienti il soccorso sarebbe vano. Lo sa bene Maurizio Jam, il meccanico quasi sempre di picchetto: “A volte faccio delle riparazioni, ma soprattutto moltissima prevenzione, perché l’usura è tanta”, dice. I loro veicoli percorrono fino a duecentomila chilometri l’anno, la metà della distanza tra la Terra e la Luna. Nell’autorimessa non c’è il palo di discesa, come quello dei pompieri. “No, sarebbe troppo da telefilm” ironizza Gianini. Scendono invece da una stretta scala di servizio a chiocciola, (...)


Jacek Piotr Pulawski Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e ulteriori riconoscimenti sono giunti nel corso del 2010. Per ulteriori informazioni: www.pulawski.ch

Ringraziamenti Si ringrazia il personale della Croce Verde Lugano per la collaborazione e l’entusiasmo mostrati nella realizzazione del presente reportage. Per contatti o ulteriori informazioni: www.croceverde.ch


in pochi secondi: “Dal momento che sappiamo dell’evento abbiamo un minuto per partire” dice. Al muro è appeso il piano della città sempre aggiornato: cambiamenti viari, sbarramenti e, soprattutto, vie alternative. Tre equipaggi sono sempre pronti a partire, uno di riserva per le urgenze. Poi entro per la prima volta all’interno di un’ambulanza: una barella, vari apparecchi sanitari, un elettrocardiogramma mobile per spedire i risultati sul cellulare del medico: “In questi casi il tempo per salvare il muscolo è indispensabile” spiega lui. Gli chiedo cosa prova ogni volta che entra nell’ambulanza: “Penso a cosa potrebbe succedere nell’arco della giornata”. Non siamo degli eroi! In fondo all’autorimessa un carrello: “Contiene del materiale sanitario per gli incidenti maggiori” dice lui. Immagino a cosa alluda: “Quando ci sono almeno quaranta pazienti da gestire”. È già successo, purtroppo. La sua memoria corre subito a quel tragico ottobre del 2001, quando nel tunnel del San Gottardo si scatenò l’inferno. Undici morti e decine di feriti. “Purtroppo c’è stato poco da fare, chi era dentro, era dentro!”, commenta con lucido realismo. Domando se non si è mai sentito un eroe. “Non mi sento «grande», anzi, chiedo sempre l’aiuto dei colleghi e un contributo al paziente”. Un’umiltà sorprendente. Giacomo Pagnoni è tra i più giovani ma la passione è la stessa: “La prima cosa che ti muove è l’aiuto all’altro”, afferma. A volte si interviene per dei bambini: “Succede di rado, ma quando avviene c’è un alto tasso di emotività” confida. “Per me è molto toccante anche con gli anziani lasciati soli, quando dobbiamo comunicare all’ospedale qual è la loro situazione a casa”. Incontro Alessandro Motti, il medico d’urgenza. È lui che, con l’infermiere specialista, può spingersi oltre il lavoro degli altri. “In ambulanza il contatto col paziente non dura più di un’ora, un’ora e mezza” dice, senza essere riduttivo. Gli errori sono quasi un tabù nel mestiere, ma “se uno non fa niente, non può sbagliare” replica, “l’importante è capire cosa è successo per migliorare”. All’improvviso una voce gracchiante dalla radio: “Intervento annullato!”. Una buona notizia, mi dico ingenuamente. “Dipende”, precisa Gianini, “se il veicolo partiva dall’ospedale, può voler dire che il paziente è peggiorato”.


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Fiabe

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Il principe ingrato

C’era una volta una principessa di nome Gilraen, con dei capelli così belli ma così belli che trascorreva tutto il santo giorno a pettinarli. Per farlo usava una piccola spazzola d’argento che le era stata donata dalla sua madrina, la fata Aredhel. Un giorno, mentre era intenta a lisciarsi le chiome, una gazza, svelta come un gatto, si posò sul davanzale e afferrata la spazzola volò via. “Mamma, babbo… la gazza mi ha rubato la pettinessa”. L’indomani i genitori le donarono un’altra spazzola ma mentre la provava sulla terrazza del palazzo, la gazza, si ripresentò e veloce come il vento gliela strappò dalle mani. Indispettita, Gilraen scese allora di corsa dalle scale e iniziò a inseguire l’uccello che, invece di scappare, faceva un piccolo volo per poi posarsi come ad attendere che lei si avvicinasse. Piano piano, volettino dopo volettino, la gazza condusse la principessa in mezzo al bosco. Dopo tanto inseguire Gilraen vide la gazza entrare in una piccola casetta la cui porta era aperta. All’interno vi era un giovane alto e bello, vestito da cavaliere. “E voi chi siete?”, chiese incuriosita. “Sono il principe Eldamar. Quando ero un bambino una maga mi trasformò in gazza ma torno a essere uomo solo se sto chiuso all’interno di questa casa. Appena esco mi trasformo in uccello”. “E perché avete rubato le mie spazzole?” “Per condurvi qui. L’incantesimo può

di Fabio Martini illustrazione di Céline Meisser

essere spezzato solo se la fanciulla che amo se ne starà un anno intero seduta sulla panca davanti alla casa, col freddo e con la calura, con la pioggia e con la neve”. Senza troppo riflettere, Gilraen si sedette sulla panca. Passarono un giorno, una settimana, un mese e alla fine un anno intero. Il sole, il vento, la pioggia e la grandine erano caduti su di lei e la sua pelle si era fatta scura e rugosa, i suoi capelli parevano stoppa e poco era rimasto della bellezza di una volta. Spezzato l’incantesimo, il principe, ridiventato uomo, uscì dalla casa e si avvicinò alla principessa. “Come siete diventata brutta” esclamò. “Vi ringrazio, per quello che avete fatto per me ma non vi voglio certo sposare” e senza aggiungere altro fuggì via. Sentendo quelle dure parole la principessa pianse a lungo fino a esaurire le lacrime. Non sapendo dove andare e vergognandosi del suo aspetto decise di restare a vivere in quella modesta casetta. Un giorno di primavera, mentre Gilraen stava sistemando l’orto, si alzò un gran vento e di fronte a lei, in un turbinio di luci e suoni, apparve la sua madrina, la fata Aredhel. “Dolce ragazza. Siete stata così generosa e buona che voglio rimediare alla crudeltà che vi è stata inflitta. Avvicinatevi a me, vi prego”. Gilraen, fiduciosa, fece un passo avanti lasciando che la fata Aredhel passasse una mano sul suo volto. Come d’incanto il suo aspetto rifiorì ed ella divenne di una bellezza tale che persino l’intera foresta ebbe un sussulto. Subito dopo, la fata puntò la sua bacchetta verso la casetta di legno e paglia che in un attimo si trasformò in un palazzo degno del più illustre dei re.


Fiabe

47 “Questa sarà la vostra reggia e qui dovrete attendere, perché arriverà il giorno in cui sarà fatta giustizia. Quando giungerà il momento ogni vostro desiderio sarà esaudito ”. Qualche tempo dopo a Eldamar, che nel frattempo era divenuto signore delle Terre fredde, venne la curiosità di andare a vedere che fine avesse fatto la principessa. Si mise così in viaggio in compagnia di un manipolo di soldati alla ricerca della casetta nel bosco. Galoppa, galoppa giunse finalmente in quel luogo e che gran meraviglia quando si trovò di fronte al magnifico palazzo da cui uscivano ed entravano servi e cavaliere indaffarati e intenti in mille attività. “Di chi è questo gran castello”, chiese a un uomo che portava sulle spalle un carico di legna. “Ma della nostra regina, come fate a non saperlo?” sbuffò l’uomo. Eldamar chiese allora alle guardie che vigilavano l’ingresso di essere portato al cospetto della sovrana. Con grande solennità il ciambellano di corte lo condusse nella sala del trono. Di fronte alla bellezza della regina, Eldamar e i suoi soldati si inchinarono. Il suo volto e i suoi modi esprimevano un’estrema grazia ma il principe non fu in grado di

riconoscere la giovane principessa di tanti anni prima. “Chi siete cavaliere” chiese Gilraen, che in realtà sapeva benissimo chi fosse. “Sono il principe Eldamar e sto viaggiando in queste terre dove tempo fa ho vissuto a lungo” “Allora raccontatemi di voi” chiese la regina. Eldamar narrò la sua storia ma senza far cenno al sacrificio e alla devozione di una giovane principessa che per suo amore aveva accettato di vivere per un anno nel bosco, esposta a ogni genere di intemperie. Appena ebbe terminato il racconto le guardie armate della regina gli si fecero intorno. “Siete un bugiardo e un ingrato. Sono io la ragazza che avete abbandonato tanti anni fa e ora tocca a voi. Vivrete per un anno intero su quella panca e se mancherete a questa promessa diverrete una cornacchia. Se invece la manterrete sarete libero di tornare nelle vostre terre”. Eldamar fu quindi condotto alla panca. Passò un giorno, una settimana, un mese… ma insofferente a quella dura vita e incapace di tener fede alla promessa, una notte si allontanò. Non ebbe fatto trenta passi che le braccia si trasformarono in ali nere, la bocca in becco, le gambe in artigli. Volò via, nel cielo buio e senza stelle, e di lui non si ebbe più notizia…


Tendenze p. 48 – 49 di Elisabeth Alli

Resina

nell’ultimo decennio la Resina ha fatto la sua appaRizione anche nella sfeRa più intima delle nostRe abitazioni, Rivestendo pavimenti e paReti: dalla cucina alla sala da pRanzo fino a spingeRsi in cameRa da letto e nei nostRi bagni. ne paRliamo con mino longo, aRtista ed espeRto in mateRia

Mino Longo è oggi uno tra i maggiori esperti dell’utilizzo artistico della resina. Scoperta e impiegata a scopi bellici durante la Seconda guerra mondiale, è stata a lungo utilizzata nell’ambito dell’aeronautica militare. La sua natura era infatti tale da impedire il sollevarsi di polvere e pulviscolo nelle fasi di decollo e atterraggio dei velivoli. Con la fine del conflitto, l’impiego della resina ha fatto la sua entrata in ambito civile, soprattutto negli Stati Uniti dove viene impiegata per la pavimentazione dei capannoni industriali. Quando poi le fabbriche lasciano le città per insediarsi in periferia, gli artisti cominciano a trasformare i capannoni caduti in disuso in loft e atelier. A questo punto la resina entra in contatto con il mondo artistico che ad essa comincia a interessarsi. In Italia, fa la sua apparizione all’inizio degli anni Settanta, dove però le sue caratteristiche sfavorevoli alla salute la rendevano inidonea a un uso generalizzato.

Sicurezza e tecnologia Ma di che cosa si tratta? “La resina è un materiale chimico, che deriva dal petrolio, il suo punto di forza è la sua resistenza: anche a bassissimo spessore non si spacca!” ci spiega Longo. Oggi, con la tecnologia e la ricerca che ha individuato elementi sostitutivi la resina è un materiale inerte e innocuo. È verso la fine degli gli anni Novanta in Italia che si diffonde la moda dei loft con pavimento rigorosamente in resina. E così, mentre questo materiale entra di diritto nelle case del mondo ecclettico europeo, un’azienda italiana ne diventa il leader internazionale. È proprio durante questa fase che Mino Longo entra in scena. Alle spalle alcuni anni di Accademia e un percorso artistico e creativo non indifferente, ma sistematicamente rinnegato. “Ho sempre considerato la vena artistica un hobby. Fin da piccolo disegnavo bene, ma non ho mai creduto che avrei fatto l’artista!”. Alla resina Mino ci arriva per caso: “Ho dovuto rimpiazzare seduta stante e senza esperienza una persona che aveva desistito. Il lavoro che mi era stato commissionato è risultato un disastro, ma fortunatamente è piaciuto al committente”. Mino è dunque lanciato e questo primo “pasticcio” si trasforma nella sua carta da visita. “Mi ha permesso di capire le potenzialità della resina. Poi, nel giro di pochi mesi, ricevo l’incarico di ridisegnare il look della catena di negozi della Replay. Cercavano proprio qualcuno che potesse proporre nuovi materiali: era il 1999, avevo 33 anni e carta bianca per sviluppare pavimenti, vetri, lampade, tavoli... in resina!”.

Circondati dall’arte L’artista argentino-svizzera Gabriela Spector che conosce la resina per averla utilizzata in alcune sue opere d’arte negli anni Novanta, è rimasta affascinata dalle sue potenzialità: nell’uso di colori, ma anche per la sua durezza, la sua resistenza all’esterno, nonché la sua leggerezza: “Ho smesso di utilizzarla perché richiede accorgimenti molto rigorosi durante la lavorazione (mascherina, lavorare all’esterno, guanti) volti a salvaguardare la propria salute. A questo proposito mi chiedo se è il caso di continuare a usare derivati del petrolio, mentre la tendenza è di liberarsene, realizzando abitazioni bio a basso consumo energetico”. Mino Longo replica rassicurando. “È vero: la resina è un materiale stupido, un bicomponente inerte dopo tre mesi”. Gabriela Spector si pone inoltre la domanda sul suo invecchiamento. “Quando qualcuno mi chiede di realizzare un pavimento in resina tendo a sconsigliarlo”, ci confida Mino Longo, “dentro le nostre teste questo materiale usato come pavimento non esiste. Mi spiego meglio: il parquet fa parte della cultura e se vedi una riga l’accetti e ci convivi. Oggigiorno non sappiamo ancora immaginarci l’usura di un pavimento casalingo in resina, un piccolo sfregio lo percepiamo dunque come un difetto insopportabile”. Chiaro, la resina va curata, intrattenuta un po’ come un bambino, ma attenzione a non farne un’ossessione. In ogni caso Gabriela Spector riconosce il lato estetico dei lavori in resina realizzati da Mino Longo : “Ho visto il suo sito (resinrockdesign.com, ndr) e ci sono delle cose assai belle! Le trovo molto divertenti!”. Con la resina Mino è passato dallo statuto d’artigiano a quello di artista: “Finalmente ho trovato un’occupazione che mi sazia e dà sfogo alla mia creatività, lavorando il pavimento e, per forza, mantenendo i piedi per terra ...”, ma con un’ultima frase Mino si tradisce: “In un futuro prossimo voglio portare la resina al soffitto, mi piace ricercare sempre qualcosa di particolare, trovare l’unicità, vivere l’arte giorno per giorno”.


Ogni pavimento realizzato in resina da Mino Longo è un’opera d’arte, un po’ come avere un acrilico d’autore sotto i propri piedi


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Astri toro

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Dall’8 luglio inizieranno a farsi sentire gli effetti del transito di Marte. Canalizzatevi verso il raggiungimento di un obiettivo senza disperdervi in inutili ansie. Grazie a Venere contate sul sostegno del partner.

Momenti di grande attività mentale tra l’8 e il 14 luglio. Sarete impegnati probabilmente in un intervento pubblico. Non fatevi prendere da frenesie inutili. Attenzione all’intervento continuo dei familiari.

Dal 7 luglio anche Marte si trova dalla vostra parte. Spingete il piede sull’acceleratore. Con Venere e Giove vi confermate come ammaliatori irresistibili. Sfruttate il carisma per compiere qualcosa di importante.

Scelte rapide e improvvise. Cavalcate l’onda del cambiamento senza farvi frenare dalle paure. Particolarmente agitati tra il 10 e l’11 luglio. Rendete libere le vostre scelte da ogni possibile condizionamento.

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L’arrivo di Marte vi rende determinati nella esposizione delle vostre idee. Il ritmo di ogni vostra attività quotidiana si fa prorompente. Possibili atteggiamenti di sfida nei confronti dei familiari. Amori.

Il lungo transito di Marte è terminato e potete approfittare del periodo estivo per godervi un meritato distacco da ogni questione. D’altronde con Venere angolare è assai difficile interessarsi al lavoro.

Attenti tra il 10 e l’11. È arrivato il momento di agire. Con Marte, Giove e Venere in aspetto plurimo e i vari transiti di Saturno, Urano e Plutone la vostra vita sta per prendere nuove strade. Colpi di fulmine.

Con i pianeti in azione è probabile che la vostra vita affettiva venga rivoluzionata da una storia sentimentale. Vivete ogni cosa senza tentennamenti altrimenti rischiate di andare incontro a disturbi psicosomatici.

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Progetti da realizzare per i nati nella prima decade. Grazie all’arrivo di Marte riuscite a trovare nuove energie. Bene tra il 10 e l’11 aprile grazie ai favori di una magnifica Luna. Intensi momenti di Eros.

Con Marte in Bilancia le scelte della vita giungono al bivio. Dovrete affrontare il Minotauro prendendolo per le corna. Ricordate che grazie al lungo transito di Plutone la soluzione la dovete cercare in voi stessi.

Con i pianeti dalla vostra parte dovete andare avanti a tutta forza. Cercate la soluzione geniale. Fatevi guidare dal vostro intuito. Seguite le vostre percezioni. Colpo di fulmine con l’Ariete e i segni d’aria.

Grazie alla fuoriuscita di Marte inizia per voi un periodo sereno. Meno ansia, meno imprevisti, meno situazioni da affrontare. Anzi una profonda pigrizia e autoindulgenza provocata dai transiti di Giove e Venere.

» a cura di Elisabetta

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 12 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 10 lug. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Idioma • 10. Tirchia, gretta • 11. Ontani • 12. L’ente spaziale americano • 13. Un condimento • 14. Lo è la lettera non firmata • 15. Mezza paga • 17. Modulazioni di voce • 18. Gioca il derby con il Milan • 20. Ente Turistico • 21. Rimanere • 22. Associazione Sportiva • 24. Quello terrestre è inclinato • 26. Dittongo in boato • 27. Corrono paralleli • 29. Agente patogeno • 30. Il dio dei venti • 31. Ossigeno e Iodio • 32. Preposizione semplice • 34. Il nome della Zoppelli • 35. Immobile • 37. Battezzare una nave • 39. Diana… nel cuore • 40. La capitale greca • 41. Pubblico Ministero • 42. Le iniziali di Tasso • 43. Subì un decennale assedio • 45. Mare del Mediterraneo • 47. Oriente • 48. Scatto fotografico • 49. Mangiare… a Zurigo • 51. Assicurazione Invalidità • 52. Tira con l’arco. Verticali 1. Un’opera di Ibsen • 2. Il nome di Fossati • 3. Caratterizza Cyrano • 4. Bevanda estiva • 5. Dittongo in guado • 6. Cortesie, gentilezze • 7. Articolo plurale • 8. Inattività • 9. Ohio e Italia • 13. Esclusione, dimenticanza • 16. Superficie • 19. Mezza tara • 23. Sono ghiotti di noci • 25. Consonanti in savio • 28. Allegro • 33. Cantilena • 35. Sono funeste quelle di Achille • 36. Tolte, levate • 38. Vetusta • 41. Acchiappati • 44. Procedura • 46. Il Nichel del chimico • 49. Le iniziali di Cerusico • 50. Nord-Est.

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La soluzione del Concorso apparso il 22 giugno è: MANESCO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Francesca Bernasconi via Stazione 22 6982 Agno Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: 2 buoni del valore di CHF 50.- l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi FFS La stazione FFS: il punto di prevendita di biglietti per eventi I biglietti per concerti, party, eventi sportivi e numerose altre manifestazioni sono disponibili presso circa 200 punti di prevendita nelle stazioni FFS. L’assortimento comprende tutte le manifestazioni di Ticketcorner, Starticket, Ticketportal e biglietteria.ch. Nelle maggiori stazioni FFS i punti di prevendita sono aperti anche nel fine settimana. Per raggiungere in tutta rapidità e comodità la sede dell'evento, vi consigliamo di prendere il treno. Il prossimo evento in prevendita è: Gurtenfestival (dal 12 al 15 luglio). Ulteriori informazioni sono a disposizione su ffs.ch/events. Buon divertimento!

Per determinati eventi RailAway offre dei biglietti combinati che comprendono il biglietto ferroviario scontato per il luogo in cui si svolge la manifestazione, più il biglietto per l’evento. Potete acquistare queste offerte combinate di RailAway presso qualsiasi sportello ferroviario. Se possedete già il biglietto per una manifestazione, ottenete comunque lo sconto sul biglietto ferroviario. Basta esibire il biglietto per l’evento allo sportello ferroviario.

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