Ticino7

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№ 29

del 20 luglio 2012

con Teleradio 22–28 luglio

Per favore, ricicla anche Ticinosette. Grazie! C  T › RT › T Z ›  .–


Nel 2011 Coop era al 1° posto nel Corporate Rating oekom dei dettaglianti.

«Inverni rigidi, paesaggi aspri e solidi principi: si gustano nel mio latte e nel mio formaggio.» Il formaggio di montagna del Vallese prodotto da Albert Andereggen della valle di Goms è solo uno dei tanti prodotti genuini selezionati e provenienti dalle montagne svizzere. Per ogni prodotto acquistato, parte dell’importo viene devoluto al Padrinato Coop per le regioni di montagna che contribuisce alla conservazione del nostro paesaggio montano e al miglioramento delle condizioni di vita dei contadini di montagna. Così avete la certezza che quello che avete comprato oggi sia effettivamente un prodotto di montagna con un futuro.

Per le nostre montagne. Per i nostri contadini.


Ticinosette n° 29 del 20 luglio 2012

Impressum Tiratura controllata 70’634 copie

Chiusura redazionale Venerdì 13 luglio

Editore

Teleradio 7 SA, Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Il senso del dovere Elaborazione grafica di Antonio Bertossi

4 8 10 12 14 39 46 47 48 50 51

Agorà Rio+20. Un pianeta senza speranza?

di

Kronos Vacanze e letture. Libri in valigia

alba Minadeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

di

Keri Gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media Televisione. Dal Ticino alla Tanzania

di

Società Profili sportivi. I folli (del tennis)

nicola deMarchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Vitae Matteo “Peo” Mazza

di

Reportage Versailles d’Italia

di

deMis Quadri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Gabriele scanziani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di

roberto roveda; fotoGrafie di reza Khatir . . . . . . . . . . . . . . . .

Mundus Il paese spento

di

Marco alloni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Storie L’ultima battaglia

di

alessandro tabacchi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Natura e salute. Sole sì, ma “sostenibile”

di

Patrizia Mezzanzanica . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Una storia già vista Dopo la bistrattata Grecia, è toccato in questi ultimi giorni alla Spagna salire sul carro mediatico dei paesi “poco virtuosi” . Per la verità, in un recente passato anche Islanda e Irlanda avevano fatto la loro comparsa, breve e inaspettata: ma della loro bancarotta finanziaria, a pochi mesi di distanza, ben poco si sente parlare . Tra i primi scossoni datati 2008 (la crisi bancaria e immobiliare statunitense) e le ultime decisioni del nuovo governo iberico, è stata la penisola italiana a confrontarsi con i diktat tedeschi e della BCE . E gli interventi per il taglio della spesa pubblica, alla luce delle decisioni prese dagli spagnoli, pare essere la prima e più semplice azione volta a risollevare speranze ed economia . Mentre le voci sui destini del Portogallo interessano ben poco (anche se il paese non è propriamente in salute ormai da decenni), la Francia e il presidente socialista Hollande hanno capito che in questi casi è molto meglio salire sul carro dei più forti (i tedeschi) e infatti l’amicizia e il “profondo” amore tra i due paesi paiono solidi . Un atteggiamento che premia, e infatti la finanza mondiale sembra restia a speculare sul prossimo tracollo transalpino . È evidente che affacciarsi sul Mediterraneo – la culla della civiltà – non porta oggi molta fortuna: Francia esclusa (per l’appunto), le spiagge di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo non aiutano i destini dei loro lavoratori . Quando c’è da tirare la cinghia, insomma,

PARAPIC è un rapido ausilio contro le punture d’insetti p.e. zanzare, vespe, api

®

• Lenisce il dolore e il prurito

poco importa avere già “un posto al sole”, anzi . Il rigore (non quello meteorologico) chiede altro; per esempio un bel taglio del potere di acquisto, una scuola di pensiero che i recenti interventi spagnoli confermano come la più gettonata . Ma siamo certi che l’aumento dell’IVA e il taglio alle tredicesime degli statali potranno aiutare l’economia reale? Oppure non faranno che peggiorare ulteriormente tutta la filiera del consumo, dalla piccola e grande distribuzione sino alle aziende che producono e assumono personale? Anche la profonda crisi dell’economia iberica ha le sue origini nella smisurata disponibilità di crediti bancari a tassi bassi e (apparentemente) accessibili a tutti . Perché? Perché a partire dagli anni Ottanta anche in Spagna si è costruito e cementificato come in pochi altri paesi . Tutte case e appartamenti che necessitavano di un acquirente, il prima possibile . Se non c’era, bisognava “crearlo”: per esempio, permettendo anche a chi aveva limitate garanzie di solvibilità a lungo termine di accedere a mutui altrimenti impossibili, con rate a volte superiori al 50% del proprio salario mensile . Una storia già vista oltre oceano, ma vecchia di almeno tre anni (Lehman Brothers) . Ora non resta che aspettare la prossima bolla immobiliare, nella speranza che, nel frattempo, qualcuno stia prendendo tutte le precauzione che il caso richiederebbe . Buona lettura, Giancarlo Fornasier

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Rio+20. Un pianeta senza speranza?

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Agorà

Anno 2012. La Terra attraversa una fase di incertezza “cosmica”. Mentre l’immaginario collettivo viaggia confuso tra profezie Maya e previsioni di allineamenti planetari senza precedenti, il globo, bistrattato, trema e ribolle in preda ai mutamenti climatici e alla crisi economica. Nella giungla di interpretazioni a cavallo tra il mistico e l’apocalittico appare necessario restare con i piedi bene a terra. E il futuro del pianeta passa da quei piedi: continenti, nazioni, città e individui sono gli attori decisivi. Ma nel frattempo, benché gli allarmi si facciano più pressanti, le decisioni latitano di Keri Gonzato illustrazione di Antonio Bertossi

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ello scorso mese di giugno, un gruppo di vincitori del premio Nobel ha lanciato l’ennesimo allarme: le evidenze scientifiche sono inequivocabili nel mostrare che “potremmo presto raggiungere punti di non ritorno: siamo sulla soglia di un futuro di rischi ambientali senza precendenti. Gli effetti combinati di cambiamento climatico, scarsità delle risorse, perdita della biodiversità e resilienza dell’ecosistema, in un momento di crescita della domanda, creano una minaccia reale per la vita dell’umanità”. La domanda che riecheggia da una placca tettonica all’altra, attraversando l’intero globo è: che futuro vogliamo? Il vertice sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (ONU) che si è svolto dal 20 al 22 giugno a Rio de Janeiro aveva l’obiettivo di dare una risposta a questo quesito. Denominato Rio+20 Earth Summit, l’evento è caduto esattamente a vent’anni di distanza dal primo Vertice della Terra avvenuto nella città carioca. Tra i principali scopi dell’Agenda 21 di Rio de Janeiro, stipulata nel 1992, svettavano temi come l’abbattimento della povertà e del riscaldamento globale, la promozione della biodiversità e dello sviluppo sostenibile di insediamenti umani nonché l’integrazione dell’ambiente nel percorso dei processi decisionali. Da allora sono passate due decadi: questi impegni sono stati rispettati? Di fronte a questa domanda, persino la briosa Rio si fa silenziosa.


1992–2012: un bilancio catastrofico A parlare è il rapporto quinquennale Global Environmental Outlook del Programma Ambientale delle Nazioni Unite, che ha decretato come “la scala, la velocità e il tasso di cambiamento dei vettori globali sono senza precedenti. Popolazioni ed economie che crescono rapidamente stanno spingendo i sistemi ambientali verso limiti destabilizzanti”. In due decenni la generazione di energia e calore e le emissioni di CO2 sono aumentate rispettivamente del 66% e del 36%. Dei dati che si spiegano quando si scopre che i passeggeri sugli aerei sono raddoppiati, che il numero di chi usa i cellulari è aumentato da 23 milioni a 5,4 miliardi mentre gli utenti internet sono passati da dieci milioni a due miliardi. A sottolineare la gravità di queste cifre ci pensa Achim Steiner, il direttore esecutivo dell’UNEP, affermando che “se nel 1992 abbiamo parlato del futuro che sarebbe potuto accadere, venti anni dopo, il rapporto dimostra che un numero di cose di cui parlammo allora in termini futuri ora fa parte del presente”. Tra le conseguenze più evidenti a livello ambientale risalta l’aumento di 170 “zone morte” estese negli oceani, una riduzione del 38% della barriera corallina, senza contare un’area grande quanto l’Argentina di foresta rasa al suolo. A livello umano si parla di 1,5 miliardi di persone in più, di cui più di un miliardo è affamato… Il summit di Rio de Janeiro del 2012 si è ritrovato quindi a fare i conti con un’eredità pesante: non solo il mancato raggiungimento degli obiettivi posti vent’anni fa ma una situazione ulteriormente compromessa.

cio molto forte della green economy a livello mondiale e dello sviluppo sostenibile nel contesto della stessa green economy”. Il lassismo e la carenza di coraggio incarnati dal documento con cui si è chiuso il summit si riassumono nelle parole di Sue Lieberman, della ONG “High Seas Alliance”: “È come dire alla tua fidanzata che tra tre anni deciderai se vuoi sposarla!”. Anche Marcelo Furtado, il numero uno brasiliano di Greenpeace, ha commentato l’atto con la stessa indignazione: “la conferenza non sta offrendo nulla se non la promessa che da qui al 2015 si deciderà qualcosa”. Gli obiettivi prioritari segnalati dal documento erano sette: posti di lavoro verdi, energia, città sostenibili, sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile, acqua, oceano, capacità di far fronte a catastrofi naturali. Ma al di là degli obiettivi generali ci si aspettava che i giorni del vertice potessero portare a prese di posizione concrete e decise da parte dei paesi di tutto il mondo per compiere dei cambiamenti reali. Per Mariagrazia Midulla “il succo del discorso è che i paesi sviluppati per arrivare dove sono hanno inquinato e portato il mondo sulla soglia della situazione drammatica attuale e oggi chiedono ai paesi in via di sviluppo di prendere una via diversa, senza però dare il buon esempio: questa è la grande contraddizione!”, e aggiunge, “l’unico modo per svilupparsi in futuro sarà quello sostenibile a partire da tecnologie diverse e da un’economia fondata sulla sostenibilità ambientale: questa scommessa potrebbe risultare vincente soprattutto per i paesi più poveri”.

“Il succo del discorso è che i paesi sviluppati per arrivare dove sono hanno inquinato e portato il mondo sulla soglia della situazione drammatica attuale e oggi chiedono ai paesi in via di sviluppo di prendere una via diversa, senza però dare il buon esempio: questa è la grande contraddizione!”

Rio+20: in bilico tra speranza e grande scetticismo La speranza con cui si è aperto il summit era quella che si potesse compiere un miracolo politico. Prima che iniziasse il convegno Felix Gnehm, esperto di sviluppo al WWF Svizzera e membro della delegazione ufficiale elvetica a Rio, ha dichiarato che “per smuovere la situazione, dal Brasile non si attendono, per una volta, prestazioni calcistiche mirabolanti bensì leadership e forza persuasiva. Perché è l’unico modo per consentire ai capi di stato riunitisi qui da tutto il mondo di lasciare alle prossime generazioni qualche proposito davvero utile per lo sviluppo sostenibile”. Ma la speranza lasciava già presagire una certa disillusione, “secondo noi del WWF, ora che si è giunti al termine dei negoziati preliminari non esiste ancora una visione concreta del futuro che vogliamo, ma soltanto un minimo denominatore comune composto di parole che rifuggono da qualsiasi vero impegno e obiettivo”. Il 20 giugno la presentazione del documento ufficiale con i punti focali da discutere nel corso del summit, frutto di due lunghi anni di trattative internazionali, ha incontrato il disappunto della società civile, condiviso da numerosi paesi europei e dalle associazioni ambientaliste. Il testo è stato lasciato praticamente invariato, se non ancora più debole, rispetto a quello di vent’anni prima. Lo stesso giorno Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima e Energia del WWF, ha affermato che “il risultato di Rio potrebbe essere una mera dichiarazione di principi e noi non siamo per niente d’accordo perché vorremmo delle decisioni concrete come un lan-

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Rio: spaccata in due Mentre l’evento ufficiale è iniziato il 20 giugno, inaugurando tre giorni di intense trattative, un controsummit formato dalla società civile aveva già preso vita da un paio di settimane… Il summit e il controsummit, gli uni riuniti in padiglioni con l’aria condizionata e gli altri all’ombra delle piante del Parque do Flamengo. Il movimento alternativo fa l’eco alle piazze che, nel corso degli ultimi due anni, si sono animate per manifestare la propria indignazione, il proprio volere e le aspettative. Si tratta di un segnale da parte di una fetta di popolazione che non ha più intenzione di stare con le mani in mano ad attendere, impassibile, che i potenti decidano le sorti del mondo. Le parole di Isolda Agazzi, dell’ONG svizzera “Alliance Sud”, rievocano l’atmosfera che si respirava al Parco dei Fenicotteri, “sotto lo sguardo vigile del Cristo Redentore, che per l’occasione è stato ingegnosamente illuminato di verde, e di fronte allo splendido Pan di Zucchero, innumerevoli attivisti di ONG e di movimenti sociali di tutto il mondo si mescolano con la gente locale incuriosita. Si discute animatamente di sviluppo sostenibile, del futuro del pianeta e di agricoltura biologica. Sotto alcuni tendoni bianchi, allestiti tra gli alberi che regalano un poco d’ombra, donne e uomini di ogni età ascoltano con attenzione una contadina africana che parla delle gravi conseguenze del cambiamento climatico e dei molteplici problemi derivanti dal land grabbing, l’accaparramento della terra. Poco distante, alcuni indigeni della foresta amazzonica hanno piantato la loro tenda e protestano contro il disboscamento che minaccia la loro convivenza quotidiana con la natura o, come dicono loro, con Madre Terra”. (...)


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“Se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a dormire con una zanzara� (antico proverbio africano)


Per la folla variopinta l’unica opzione è tornare concretamente alle proprie mani e ai propri piedi. In altre parole, si tratta di partire dal basso, dall’orto, dalle scelte individuali e fare come diceva Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Questo l’approccio del contro-summit, ribattezzato People’s Summit, il “Vertice dei popoli”, che in concomitanza con Rio+20 ha riunito più di 30mila partecipanti, divisi tra centinaia di piccoli e grandi eventi. Un futuro incerto Il vertice ONU sullo sviluppo sostenibile è avanzato velocemente, scontrandosi con molte critiche… Il 22 giugno il risultato delle trattative tra le 190 nazioni coinvolte è stato condensato in un documento finale, praticamente invariato rispetto a quello di apertura. Un testo dinnanzi al quale, come detto, la comunità si trova divisa in due schieramenti opposti: chi vuole il cambiamento – 200 associazioni, sindacati, esponenti del mondo scientifico, leader delle popolazioni indigene – e chi marcia sul posto – la maggioranza dei vertici politici. I primi dicono che le energie che potevano venir spese per trovare soluzioni efficaci sono state messe nella ricerca di compromessi. Il Venezuela, per esempio, ha impedito che nel testo si facesse riferimento alla necessità assoluta di abolire il finanziamento dei combustibili fossili, uno dei fattori principali del cambiamento climatico. La conseguenza è che, invece di investire nelle energie pulite, si rischia così di continuare a incrementare lo sfruttamento di quelle fossili, come avvenuto finora. Per la società civile si tratta di un ennesimo fallimento delle autorità nel prendere una posizione forte per garantire un futuro sostenibile al pianeta, il documento conclusivo infatti è ricco di buoni propositi ma privo degli strumenti per raggiungerli. Mancano i target, i mezzi operativi e i fondi. Ad aumentare la portata della protesta delle decine di migliaia di persone che hanno animato il contro-summit si sono uniti anche Josè Goldemberg, l’animatore della conferenza di Rio del 1992, l’ex ministro dell’Ambiente del Brasile Marina Silva, Vandana Shiva e altri nomi importanti. Il vertice ha deciso di riporre la propria fiducia nel mercato che, effettivamente, si sta volgendo verso la green economy. Un segnale chiaro in questo senso è stato l’accordo di cooperazione di 30 miliardi di dollari tra Cina e Brasile per lo sviluppo sostenibile stipulato il 22 giugno, così come le oltre 200 imprese che hanno presentato un elenco di impegni volontari per obiettivi ambientali e sociali. Per la prima volta effettivamente, nel quadro dell’ONU si è delineato il concetto di economia verde che è stato inserito in un testo ufficiale. Secondo Urs Näf di Economiesuisse, “in questo processo di ridefinizione dell’economia il settore economico e altri importanti gruppi dovranno essere maggiormente coinvolti. Inoltre, si chiede alle imprese una maggiore responsabilità sociale. Il nuovo approccio economico non va inteso come una formula rigida, ma deve semmai essere applicato singolarmente in ogni stato secondo le sue esigenze specifiche. L’economia verde deve inoltre consentire la crescita economica e

garantire un’occupazione sostenibile”. Le ONG sono deluse ma c’è anche chi, come il WWF, aggiunge che, per fortuna, “lo sviluppo sostenibile ha già messo radici e crescerà”. Tra i segnali positivi di questa crescita ci sono proprio fenomeni come l’animato People’s Summit, che ha ampliato le riflessioni dell’evento ufficiale permettendo al discorso ecologico di ancorarsi maggiormente nella realtà. Inoltre, come detto dal direttore esecutivo di Greenpeace International Kumi Naidoo, “grazie al cielo, il nostro futuro non viene deciso in un summit di tre giorni a Rio. I governi possono ancora prendere delle decisioni positive. Possono impegnarsi per porre fine allo sfruttamento da Far West degli oceani, delle loro acque internazionali, e lanciare un accordo sulla biodiversità dell’Alto Mare. Possono decidere di fare del Programma Ambientale delle Nazioni Unite una vera agenzia dell’ONU. E possono concordare di porre fine alla farsa dei sussidi, spesso nascosti, che sono garantiti alle industrie dei combustibili fossili, come petrolio e carbone”. Antonio Cianciullo del quotidiano “la Repubblica” segna la fine del Vertice della Terra con una chiarezza che non lascia scampo: nel suo articolo apparso il 22 giugno e intitolato “Buoni propositi, niente obiettivi, Rio+20 battaglia sui sussidi al petrolio”, commentava: “Il vertice si chiude con uno scontro tra la società civile e la rappresentanza politica difesa da un muro di poliziotti in assetto antisommossa. Il documento conclusivo è molto debole”. In altre parole: il futuro è tutto da decidere! Ma una cosa è certa, il tempo a disposizione è agli sgoccioli, per il Climate Action Network, “il verdetto dei climatologi è molto chiaro: abbiamo pochissimo tempo per diminuire le emissioni dei gas serra che minacciano la stabilità del clima. Non possiamo permetterci conferenze in cui non si decide nulla e si rimandano gli impegni”.

“Per la società civile si tratta di un ennesimo fallimento delle autorità nel prendere una posizione forte per garantire un futuro sostenibile al pianeta, il documento conclusivo infatti è ricco di buoni propositi ma privo degli strumenti per raggiungerli. Mancano i target, i mezzi operativi e i fondi”

Essere il cambiamento Oggi, la situazione globale, unita all’incapacità dei governi di agire efficacemente, spinge la società civile verso l’impegno a produrre da sé il cambiamento per creare il futuro desiderato. D’altronde se si continua a delegare e ad aspettare che la scelte vengano prese da altri, specie se questi altri sono i potenti del pianeta, si rischia seriamente di rimanere come quella fidanzata che aspettava una proposta di matrimonio che non giunse mai. In un paese ricco come la Svizzera, per di più, la necessità di una riflessione individuale è imperativa: consumiamo troppo e dovremmo fare di più in materia di aiuto allo sviluppo. “Se tutto il mondo vivesse come noi, sarebbero necessari 2,8 pianeti”, ha ricordato Felix Gnehm, esperto di sviluppo al WWF Svizzera e membro della delegazione ufficiale elvetica a Rio. Ora più che mai il futuro dipende da ciascuno di noi. PS: Desideri contribuire alla salvaguaria del pianeta? Potresti iniziare calcolando la tua impronta ecologica e operando delle scelte consapevoli per ridurre i consumi. Per maggiori informazioni: www.wwf.ch/de/aktiv/bewusst/footprint/.

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Libri in valigia C’è chi è più avvezzo a esplorare il mondo attraverso i libri che con i propri piedi ma anche chi viaggia senza mettere mai un romanzo in valigia. Una guida (di parte) alla lettura estiva, sia che essa avvenga sotto l’ombrellone o su un prato di montagna di Alba Minadeo

Kronos

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Chi ha visto il film Turista per caso di Lawrence Kasdan – o letto il libro di Anne Tyler da cui è stato tratto – sicuramente ricorderà il consiglio del protagonista: “Mettete sempre in borsa un libro per proteggervi dagli estranei: le riviste finiscono subito e i quotidiani stranieri vi ricorderebbero che non siete a casa. Ma non vi portate più di un libro. È un errore assai comune sopravvalutare l’eventuale tempo libero e caricarsi più del necessario. In viaggio, come d’altronde nella vita, il meno è quasi sempre meglio”. Dobbiamo dunque pensare bene a quale romanzo mettere in valigia, meglio se ambientato nei luoghi della vacanza o del viaggio. Tralasciando l’annosa questione “turista o viaggiatore”, è però necessario fare un distinguo tra la letteratura di viaggio, per scoprire il mondo attraverso gli occhi di uno scrittore, e l’infinito catalogo dei libri sui viaggi.

Woolf (Mattioli 1885), in cui l’autrice scrive: “Esistono molti modi di scrivere diari come questo. Comincio a diffidare delle descrizioni, e anche di quegli adattamenti spiritosi che trasformano l’avventura di un giorno in narrazione; mi piacerebbe scrivere non soltanto con l’occhio, ma con la mente; e scoprire la realtà delle cose al di là delle apparenze”. Molti di voi avranno già letto Viaggio in Italia di Goethe o Passeggiate romane di Stendhal, ma forse non ancora Viaggio in Italia di Jean Giono (Fogola Editore), Intorno ai sette colli di Julien Gracq (Mattioli 1885), Vagabondo in Italia di Mark Twain oppure il Diario italiano di Herman Melville (entrambi editi da Robin), libri che aiutano a scoprire anche i lati più intimi di questi narratori. Prima di salpare per l’isola di Procida, non dimenticate di scaricare il podcast “Ad alta voce” de L’isola di Arturo di Elsa Morante dal Mete di tendenza sito di Radio3.rai.it: potrete Qui vi suggeriamo alcuni ascoltarlo gratuitamente in titoli, per le destinazioni barca. Una destinazione Immagine tratta da www.ilmurointesta.wordpress.com europee più interessanti, sempre in voga è Venezia: a partire da Londra che, Navigar in laguna di Guido dal 27 luglio al 12 agosto, ospita le Olimpiadi. Chi non è Fuga e Lele Vinello (apparso per i tipi di Mare di Carta), propointeressato alla kermesse decoubertiniana può seguire i sug- ne un modo diverso di visitare la città. La Biennale di Venezia gerimenti di Barry Miles in London Calling. La controcultura Architettura apre il 29 agosto: quale libro migliore di Venezia a Londra dal ’45 ad oggi, pubblicato da EDT. Sempre in Gran è un pesce scritto da Tiziano Scarpa e pubblicato da Feltrinelli. Bretagna, il 9 agosto prende il via il Festival Internazionale d’Edimburgo: lirica, musica teatro, danza e anche lettura, A piedi, in bici, in barca purché portiate con voi Viaggio (a ritroso) in Inghilterra e Scozia Molto frequentati negli ultimi anni anche i pellegrinaggi a di Jules Verne (Edizioni Robin), un testo ricco di malizia e piedi, e allora nello zaino non mancherà 1.400.000 passi sulla ironia. Chi ha deciso di passare qualche giorno a Marsiglia Via Francigena, di Mari Giuliano (Emmebi): dall’Ospizio del – che nel 2013 sarà la capitale europea della cultura – può Gran San Bernardo fino a Piazza San Pietro a Roma, attrainvece affidarsi a Jean-Claude Izzo, grande giallista italo- versando sette regioni, in 40 giorni, per un totale di mille francese prematuramente scomparso, e al suo Chourmo. Il chilometri. Chi va in Olanda in bicicletta può mettere nella cuore di Marsiglia (Edizioni e/o). borsa Amsterdam è una farfalla di Marino Magliani, volume pubblicato da Ediciclo. Altre località emergenti dell’anno Il “Gran Tour” sono Tallin (capitale europea della cultura nel 2011), Riga, Per i viaggiatori che partono per il Sud Europa consigliamo Vilnius, Mosca e San Pietroburgo, in crociera sul Volga: libro invece Diari di viaggio in Italia Grecia e Turchia di Virginia indispensabile Le notti bianche di Dostoevskij.


Vacanza in Svizzera Per riscoprire o approfondire la conoscenza della città che più rappresenta gli elvetici all’estero, fate una gita a Zurigo: vivace, frizzante, in testa alle classifiche per la qualità della vita, creativa, ricca di mostre d’opere d’arte contemporanea. In treno potete leggere La romanza di Zurigo di Francesca Mazzuccato (Historica) che vi farà dimenticare la Crisopoli-Zurigo maledetta da Guido Morselli in Dissipatio Humani Generis (Adelphi). Tanti i riferimenti, da Joyce a Canetti, da Chagall a Jung fino alla scrittrice svizzera Annemarie Schwarzenbach che, molto prima di Bruce Chatwin, ha saputo descrivere con straordinaria sensibilità culture e paesaggi lontani come in Verso Kabul edito per Il Saggiatore (due donne in solitaria alla guida di una Ford attraverso Turchia, Persia, Turkmenistan e altopiani afghani). Cahier de voyage Ogni viaggio è un romanzo titola Paolo Di Paolo nel suo libro edito da Laterza. E allora, potreste anche seguire il consiglio di Benjamin Disraeli, politico e scrittore britannico dell’Ottocento: “Quando ho voglia di leggere un libro, me ne scrivo uno”. In effetti, sempre più persone amano tenere un cahier di viaggio, per annotare il proprio personale punto di vista, sotto forma di diario intimo (con immagini ritagliate, disegni, acquerelli) oppure di reportage. In questo caso, può essere utile leggere Scarpe buone e un quaderno di appunti di Anton Cechov, uscito per Minimum Fax, ricchissimo di consigli come, per esempio, “studiare cose che nessuno studia, andare a vedere di persona ingiustizie che nessuno vede, non pianificare troppo, accettare inviti, andare a pranzo, camminare, fare escur-

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sioni, viaggiare a piedi, in compagnia, seguendo percorsi fuori mano, visitare i cimiteri, far caso alla toponomastica, osservare, chiedersi se l’aspetto degli edifici, l’arredo delle case e i discorsi della gente mantengono il ricordo del passato e in che modo, usare l’olfatto, l’udito, il tatto, il gusto, studiare il clima, fare domande, considerare i bambini, scrivere quando le impressioni sono vive, cominciare con l’incipit dall’arrivo nel luogo, dare un titolo e una struttura in capitoli, fare ritratti, descrivere l’aspetto, le scene, pensare a un quadro, aiutarsi con le foto, riportare dialoghi e racconti, confrontare passato e presente” e sulla strada del ritorno pensare al prossimo viaggio. Vacanze ticinesi Se si preferisce trascorrere le ferie a casa, il viaggio può iniziare nel proprio giardino con un buon libro: Ticino. Le voci del fiume, storie d’acqua e di terra di Giuseppe Cederna e Carlo Cerchioli (Excelsior), per esempio, oppure con la riedizione di Flora ferroviaria di Ernesto Schick (Edizione Fiorette), che ha catalogato le piante forestiere giunte a Chiasso a bordo di treni merci carichi di semenze, provenienti da ogni dove. Sono le stesse che vedono i vagabondi che camminano sulla ferrovia, come quelli descritti nel libro La strada per Klockrike (UTET, 1978; reperibile in biblioteca) del premio Nobel svedese Harry Martinson. Un grande viaggiatore ha scritto: “Ho scoperto prestissimo che i migliori compagni di viaggio sono i libri. Parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole silenzio. Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo, senza chiedere nulla”. Era Tiziano Terzani. Se la pensate come lui, non vi resta che comprarvi un iPad: pesa come un libro, ma può contenere un’intera biblioteca.

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Dal Ticino alla Tanzania Come un moderno esploratore della foresta televisiva, il regista ticinese Francesco Rizzi si è avventurato in terra africana per scoprire un mondo dove le convenzioni classiche del piccolo schermo – purtroppo o per fortuna – non sono ancora radicate di Demis Quadri

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Con il suo progetto Cronofobia ha ottenuto il “Premio Speciale Opera Prima Lungometraggio Fiction” nell’ambito delle Borse per progetti cinematografici 2011/12 promosse dal DECS e dalla RSI. Stiamo parlando di Francesco Rizzi, giovane regista nato a Mendrisio che, dopo gli studi in Lettere a Friburgo, ha deciso di lanciarsi in un’avventura artistica che l’ha portato a Roma, dove si è diplomato in regia cinematografica. Nel 2008, ha fondato assieme ai colleghi Ivan Cenzi e Christian Favale una piccola società di produzione, Interzone Visions, che si muove tra cinema, televisione e pubblicità. Tra i lavori più recenti a cui la Interzone ha collaborato si può citare Krokodyle, diretto da Stefano Bessoni, che ha riscosso un buon successo in diversi festival sparsi sul globo. Un altro progetto legato al lavoro di Francesco Rizzi e colleghi è The Black Spot, un documentario girato in otto città – New York, Los Angeles, Hong Kong, Londra, Parigi, Ginevra, Atene e Roma – che raccoglie la sfida lanciata da Damien Hirst col cosiddetto Spot Challenge: l’artista inglese aveva invitato il pubblico, o meglio chi voleva e poteva farlo, a visitare entro un tempo limitato undici gallerie dove erano esposti i suoi Spot Paintings, promettendo in premio a chi avesse completato il viaggio una sua stampa originale. Da qui l’occasione di un’indagine che affrontasse, attraverso interviste ad addetti ai lavori come galleristi, artisti, critici d’arte e curatori di musei, le varie problematiche e gli elementi contraddittori che emergono nel parlare d’arte contemporanea. L’Africa e il ritorno alla natura Un altro progetto che ha portato Francesco Rizzi in mondi lontani è nato da un’opportunità piuttosto particolare. “Si tratta di un progetto che l’anno scorso ci ha portati in Africa”, racconta il regista ticinese. “Attraverso un imprenditore che conosceva uno di noi, siamo venuti a sapere che in Tanzania avevano bisogno di una troupe o comunque di qualcuno che fosse in grado di realizzare un programma televisivo, un talk show in questo caso, che doveva essere distribuito su un canale tanzaniano. Siccome a noi piace rispondere a sfide insolite e interessanti come questa, abbiamo accettato e abbiamo cominciato a lavorare di buon grado alla scaletta del programma in collaborazione con la presentatrice del talk show, Angela Bondo. Siamo poi partiti per Dar es Salaam, dove siamo rimasti per circa tre settimane, per lo più nell’albergo del centro dove alloggiavamo e dove, all’interno di una grande sala conferenze, si registrava il programma. Dar es Salaam è la capitale economica della Tanzania, per cui ha un centro che assomiglia alle città occidentali, con i grattacieli e il contesto urbano, anche se comunque

si distingue per un’atmosfera particolare e per la presenza molto forte di una natura aggressiva che non si lascia relegare ai margini. Ogni mattina venivo svegliato verso le cinque da un gruppo di corvi che si accostava alle nostre finestre e cominciava a gracchiare. Noi eravamo al ventesimo piano di questo grande albergo con vista sul mare, e mentre facevi la doccia sembrava che i corvi fossero lì con te... Un giorno stavo scendendo per la colazione e ho visto, in corridoio, una distesa di cavallette che erano state portate dal vento ed erano entrate attraverso alcune finestre rimaste aperte. Era la stagione delle piogge e c’era stato un grande temporale. Più tardi, alla scena surreale si sono aggiunte delle grosse mantidi che hanno cominciato a mangiare le cavallette. Verso sera, poi, gli inservienti dell’albergo hanno buttato fuori le cavallette e le mantidi, con le quali hanno cominciato a pasteggiare i corvi. Quest’immagine della catena alimentare, abbastanza inquietante, mi ha colpito parecchio... Anche quando uscivamo e andavamo a fare delle interviste nella periferia della città, dove c’era forse l’Africa più autentica, quella degli slum, con le persone che condividono spazi abitativi e risorse molto poveri, la dimensione di questa natura estremamente presente era impressionante”. Interrogato sulle caratteristiche del programma, Francesco Rizzi spiega: “Il programma era un classico talk show ambientato nel salotto della conduttrice. In ogni puntata venivano intervistati su un tema uno o più ospiti, che potevano essere personaggi comuni che avevano vissuto qualcosa di particolare, artisti, politici e così via. Una trasmissione, per esempio, era incentrata sull’imprenditorialità, per cui sono stati intervistati una signora che aveva una fabbrica tessile, uno stilista con un piccolo atelier di moda, ecc. In un’altra puntata l’ospite era una ragazza madre che ha raccontato un’esperienza di vita molto dura e i maltrattamenti subiti dal suo bambino. È stata una puntata in cui il pubblico ha partecipato in maniera incredibile. A me capitava di girarmi per fare delle inquadrature sugli spettatori e vedere le persone in lacrime...”. Altro continente, “altri tempi” Una componente importante dell’avventura africana di Francesco Rizzi, che sicuramente è stata insolita anche per non aver toccato le classiche attrattive turistiche come il Kilimangiaro, il Parco Nazionale del Serengeti o l’arcipelago di Zanzibar, è stata certamente di natura professionale: “Confrontarsi con il modo di lavorare dei tanzaniani è stata un’esperienza molto particolare. Anche se magari è anche un bene che non ci sia ancora un certo modo di fare televisione, per diversi aspetti in questo ambito sono ancora agli inizi. Per noi c’è stato prima di tutto l’impatto con la loro diversa concezione del tempo. Per esempio, nell’albergo


Francesco Rizzi durante una ripresa negli slum di Dar es Salaam (per gentile concessione dell’autore)

funzionava un unico ascensore che serviva 25 piani – le scale davano sull’esterno, erano da utilizzare solo per emergenze ed erano presidiate da un servizio di sicurezza per prevenire furti e intrusioni – per cui la mattina prima di uscire dalle stanze bisognava pensare bene a come gestire i movimenti del materiale tecnico. Un ritardo, una piccola dimenticanza, potevano “costare” fino a trenta minuti di attese, tra andata e ritorno. Il lato positivo di queste pause era costituito dalle piacevoli chiacchierate con gli altri ospiti dell’albergo seduti ad aspettare sulle poltrone dei corridoi. Noi siamo arrivati in Tanzania abituati alla frenesia europea, con l’idea di far rendere al massimo le giornate, ma trovandoci di fronte a un’idea così diversa dei ritmi di lavoro e della vita in genere siamo rimasti un po’ spiazzati. Per questo abbiamo dovuto trovare una mediazione, una comprensione reciproca, perché non sarebbe stato giusto imporre un

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metodo di lavoro che loro non conoscevano e probabilmente non condividevano nemmeno. Era una questione di rispetto”. Un altro aspetto importante nella collaborazione con i tanzaniani riguarda la lingua: “Noi comunicavamo in inglese, però le trasmissioni erano in swahili e ovviamente non capivamo una parola di quanto accadeva sul palco. Per questo ci limitavamo a riprendere senza avere la possibilità di partecipare direttamente. Poi ci facevamo spiegare più o meno quello che era successo e, durante la fase di montaggio, eravamo seguiti da una persona che ci riferiva cosa avesse detto l’ospite in questione in modo da poter operare i tagli. Alla fine, in ogni caso, noi siamo andati lì più che altro come consulenti, per portare determinati saperi professionali in modo che le persone del posto potessero poi sviluppare indipendentemente, su questo esempio, nuove serie della trasmissione”.

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I folli (del tennis) I grandi tennisti sono interpreti da decenni di un vasto repertorio di gesti, tic, atteggiamenti e sfoghi degni del più folle dei personaggi teatrali. Perché, in fondo, sempre di scena si tratta… di Nicola DeMarchi

Società

12 Il serbo Novak Djokovic in una delle sue tipiche manifestazioni di giubilo (immagine tratta da www.forum.sky.it)

A giudicare dai classici, i pazzi a teatro sono di casa. Siano essi pagliacci da circo-varietà, buffoni storici – il Triboulet di François I –, immaginari – il Fool di Re Lear –, o casi più patologici – Woyzeck –, la follia sembra aver trovato nel palcoscenico un ambito privilegiato. A ben vedere però, teatro o varietà non sono le sole forme di spettacolo ad aver adottato il ruolo del matto visto che anche altri avvenimenti mediatici, specialmente sportivi, coccolano i propri buffoni, siano essi re degli insolenti o semplici nevrotici dichiarati. Tra questi, forse a causa della tensione psicologica che genera sull’atleta, il tennis è lo spettacolo sportivo che ha conosciuto, amato e odiato di più quei giocatori che, nel corso di carriere funamboliche, hanno acquisito statuto di personaggi. E in particolare di pazzi. In fondo niente di cosi sorprendente se si pensa che i primi teatri stabili di Parigi e Londra fiorirono per l’appunto in edifici originariamente destinati all’antenato del tennis: il jeu de paume. Allo stesso modo si potrebbe poi dire del canovaccio temporale di un match, spezzato com’è in drammatiche partite (3 o 5 set, come gli atti del teatro classico) che lasciano ampio spazio, tra uno sforzo e l’altro, a tutta una serie di pose, manie, smorfie, espressioni, pagliacciate e pantomime che contribuiscono immancabilmente alla creazione di personaggi stravaganti.

Urla da pazzi A questo punto però, la lista dei sublimi e perfezionisti rompiracchette, maestri di anti-conformismo o altri intrattenitori della pallina potrebbe farsi un po’ lunga. Pertanto, se per il filosofo Gilles Deuleuze – che vagheggiava nel suo Abécédaires una storia dei gesti sportivi e secondo cui le categorie di tennisti sarebbero due (i “creatori” e i “non-creatori”) –, una dicotomia parallela potrebbe essere tracciata in base al grado d’espressività di un giocatore, ottenendo così da una parte i “freddi” e gli inespressivi (vena d’imperturbabilità inaugurata negli anni Ottanta dal glaciale Ivan Lendl). E dall’altra la famiglia di tutti quei giocatori che sui campi lascia libero corso all’espressione. Una categoria quest’ultima, che si potrebbe poi ulteriormente suddividere, secondo la tradizione circense, tra pagliacci “Bianchi” (geniali e tragici giullari della racchetta, talvolta folli nel vero senso della parola come John McEnroe), e i “Toni”, chiamati anche “Augusti”: clown tennistici di genere piuttosto beffardo e irrisorio (alla Henri Leconte, per intenderci), vedi burlone e ridanciano (Yannick Noah). A questo gioco certo la leggenda del croato Goran Ivanisevic, unico giocatore ad aver perso un match per aver rotto tutte le sue racchette e che si giustificava pretendendo


Esercizio poetico Non tanto distante la finale tra il fortebraccio Nadal e il segaligno Djokovic, che peraltro non manca mai di fascino teatrale. Infatti se il matto tennistico non è solo istinto e improvvisazione, ma anche buffoneria premeditata, l’attuale numero uno al mondo Djokovic non sarebbe solo padrone temporaneo dei tennisti, ma anche dei suoi folli. Talento augusteo della racchetta venuto peraltro alla ribalta per le sue irriverenti imitazioni (esercizio tipico di giullari e buffoni) proprio ai danni del “Re” della terra rossa e alle sue relative manie “igieniche”, Nadal. Malgrado ciò ci sarà però poco spazio per pagliacciate auguste all’inizio della finale maschile, concentrati come sono l’uno, Nadal, alla ricerca del record di sette Roland Garros, l’altro del secondo Grande Slam mai realizzato dopo Rod Laver. Ecco cosi fin da subito una drammatica tensione invitarsi all’incontro. E se l’inossidabile Rafa la gestisce con qualche bestiale ringhio dei suoi, i latrati di Djoko passano rapidamente dalla resistenza alla sofferenza. Cosi, dopo un paio di set in cui il serbo arranca, sgrana gli occhi tipo incantatore di serpenti, monologa disperato sorridendo e aprendo le braccia per i punti persi, arriva il consueto lancio di racchetta variante “distruzione di panchina”. Segno che l’augusto Djoko non disdegna la tetraggine dei clown bianchi e che questa volta le mimiche non sono solo da ridere. Per finire, dopo due set persi a fare il matto, ecco che Djoko prova piuttosto a fare un match da pazzi. Tra due interruzioni dovute alla pioggia, il serbo infila cosi otto giochi di fila, aggiudicandosi il terzo set e portandosi in vantaggio nel quarto. Tanto rumore per nulla però. Complice il clima, la finale si protenderà su due giorni, e alla ripresa di lunedì la magia del giullare sembra sparita. L’omerico Nadal piegherà per finire il monarca buffone 3 set a 1. Poco male. Tanto più che, grazie al cielo, il tennis in TV non è solo sofferenza o gioia interposta, ma anche imperdibile esercizio pre-estivo di dolce far nulla. Un esercizio che la pioggia, come ricordava nel suo La sieste assassinée lo scrittore Philippe Delerm, non fa che rendere più poetico: “Sul terreno i colori sono cambiati di colpo. La terra arancio ha preso un colpo di matita rossastro, quasi bruno… Arriva quel momento tanto temuto in cui il servitore guarda verso il cielo, poi verso l’arbitro… Quando il rovescio s’abbatte indiscutibile e deciso, ci si rassegna senza sospiri. Non abbiamo più niente da fare. Davanti allo schermo della TV si ha quasi l’odore dei tigli rimbaldiani nei viali di giugno… Tutte le tecnologie, tutte le frenesie pubblicitarie e sportive focalizzate sul torneo prendono un colpo di lentezza melanconica.”

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di sentire talvolta in lui “tre personalità”, avrebbe un posto di rilievo nelle fila dei “Bianchi”. Storia a parte, il recente Roland Garros (che quest’anno annunciava non solo Wimbledon ma anche il torneo Olimpico) ha portato con sé una dose di argomenti inediti all’oziosa tesi estiva. Nel quarto di finale Federer-del Potro, per esempio, il nostro pacato Roger federale, perso il secondo set, si lascia andare a un sorprendente “Shut up” condito di altre smadonnate svizzerotedesche. “Ero sulla difensiva e ho avuto delle emozioni” confermerà dopo aver vinto la partita, l’imperturbabile (di solito) RF, pescato temporaneamente tra le fila dei “Bianchi”. Nel settore urla da pazzi ecco poi la sorpresa Sara Errani concepire grida in funzione del tipo di colpo: uno “Uahé” stile Sioux per i colpi d’attacco e il più classico “Ah” di sofferenza per la difesa. Di modo che la finale femminile con l’altra urlatrice Sharapova, a non vedere le immagini, poteva tranquillamente passare per qualcosa tra il coito e la mattanza.


» testimonianza raccolta da Gabriele Scanziani; fotografia di Flavia Leuenberger

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Matteo “Peo” Mazza

Vitae

musica, se non sei nel posto giusto al momento giusto è difficile realizzare quello che hai nel cuore. C’è anche da dire che io ho una personalità particolare e mi è capitato di rifiutare la collaborazione con personaggi importanti perché a pelle sentivo che non avrei dovuto farlo o perché la persona in questione non mi piaceva. Ricorderò sempre quando mi è stato proposto di suonare con Ramazzotti, che a quei tempi era poco più che un ragazzino ma già ricchissimo. Stavo andando da lui in automobile ma a un certo punto ho fatto inversione e sono tornato indietro. Mi hanno proposto anche Una vita in musica, viaggiando sull’on- di suonare con Manu Chao, da del ritmo. Una vita di scelte attuate avrei dovuto seguirlo in tour privilegiando sempre i propri valori e la nei concerti in giro per il mondo. Ho rifiutato, in pripropria autonomia di artista mo luogo perché non volevo allontanarmi troppo dai miei ghiröl, che significa lucciole bambini e poi, musicalmente parlando, non in dialetto, con cui abbiamo mi considero un turnista. Intendiamoci, non pubblicato un album per l’etimi vedo come un ribelle nel senso politico chetta “altrisuoni” dal titolo del termine, ma se devo dire di no a qualcuno Leggende Ticinesi. Lo scopo non mi faccio problemi. Ho lavorato anche del progetto era di far prencon Roy Paci, un ottimo trombettista che ho dere coscienza al ticinese del conosciuto nel 1993 grazie a Giorgio Conte. proprio bagaglio culturale che In quell’ambiente sono entrato a contatto con il passare del tempo si con molti musicisti e intellettuali, ho adè perso quasi del tutto. Nel dirittura incontrato Paulo Coehlo. Durante nostro cantone ci sono molte quegli anni il quotidiano “La Repubblica” storie popolari bellissime, e promuoveva un concorso di poesia italiana noi volevamo in qualche moe ironia della sorte ho vinto e così hanno do fermarle e comunicarle, stampato un libro con le mie poesie. Non mi perché non andassero perse. considero un poeta, semplicemente scrivevo Il gruppo è nato quando ero di getto quello che sentivo dentro. Ho pardiciassettenne e poi, qualche tecipato anche a tre premi Tenco e ho girato anno più tardi, ci siamo sciolmezzo mondo facendo musica. Alla fine, ti. La nostra cantante all’epoperò, sono sempre tornato in Ticino perché ca era Tita Leoni, diventata amo stare in mezzo alle mie montagne, in poi attrice e che purtroppo è Val Colla. Con il passare del tempo quel scomparsa. Abbiamo dedicato mondo mi stava stancando, la musica per l’album a lei. La cosa curiosa me deve essere arte non un prodotto. È la è che abbiamo registrato il più sublime delle arti ed è tutta la mia vita, disco vent’anni dopo lo scioe preferisco dedicarmi all’autoproduzione glimento del gruppo. A 27 anrestando indipendente. ni ho incontrato mia moglie Amo il ritmo, ce l’ho dentro insieme alla mia con cui abbiamo fondato il passione per il viaggio. Viaggiare elimina la gruppo Diaspro. All’epoca in paura del diverso. Ai miei figli cerco di tracui l’ho conosciuta era la voce smettere questi valori, come l’importanza di della pubblicità di Coca Cola aiutare le persone senza aspettarsi qualcosa e di Algida. Insieme abbiamo in cambio. Spesso vanno con un cestello a avuto tre bambini: Lucia che fare dei regali per il paese e la forza che gli ha 15 anni, Tessa di 14 e Pavel dà il sorriso di una donna di ottant’anni che è nato nel 2002. nutre le loro anime. Più di quanto potrebbe Ho imparato che, in genenutrirli in un futuro guadagnare 15mila rale ma specialmente nella franchi al mese.

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ono nato a Capolago nel 1964. Nel corso della mia vita, ho fatto un po’ di tutto: ho lavorato in una filanda, ho fatto il bigliettaio, il netturbino e ho anche seguito l’apprendistato di panettiere. Una volta, concentrandomi per ricordarli tutti, ho contati ben 52 lavori differenti. In realtà, la mia vera professione è il musicista. Ho frequentato il conservatorio, dove per sei anni ho studiato gli strumenti a percussione. Intorno ai 17 anni ho cominciato a girare il mondo e ad abitare da solo: sono stato a Bologna, Barcellona, Parigi. Nella capitale francese volevo visitare la casa di Giacometti che oggi è un museo, ma quando l’ho vista era praticamente distrutta: pennelli abbandonati, vetri e finestre rotti. A Parigi c’era il divieto di suonare per strada e, per un musicista girovago come me, era una bella sfida. Così mi sono inventato un sistema per ritirare i vari tamburi con una corda e scappare via a gambe levate, ma per fortuna non mi hanno mai acciuffato. Poi è arrivata la chiamata per il militare e ho disertato, rifiutando l’arma. Sono un disertore convinto e mi ritengo un pacifista. Trovo però che non sia molto utile concentrarsi sul significato della parola “pace”, è un concetto complesso ed è difficile intenderlo; più che altro è importante capire i motivi che inducono gli uomini a farsi la guerra. Intorno ai vent’anni mi sono iscritto alla scuola musicale di Tullio De Piscopo e siccome con la batteria me la cavavo già abbastanza bene, in tre mesi mi sono diplomato e lo stesso De Piscopo mi ha proposto di iniziare a suonare nella sua band. Ciò mi ha permesso di inserirmi nell’ambiente, iniziando con il jazz e perfezionando la mia conoscenza dello strumento. Ho suonato in diversi gruppi, alcuni li ho creati io stesso con gli amici. Come i Pani-


Versailles d’Italia di Roberto Roveda; fotografie di Reza Khatir

“La Reggia di Venaria di Sua Maestà il Re di Sardegna ha come confini solo le Alpi e il cielo di Nostro Signore. È emblema del Suo immenso potere in terra, che ha benignamente affidato al nostro sovrano”. Così nel Settecento gli ambasciatori della casa di Savoia esprimevano il loro orgoglio per quello che era il simbolo del potere del loro re. Un simbolo oggi tornato a splendere dopo un lungo oblio


a sinistra La Fontana del cervo nella Corte d’onore, con alle spalle il Torrione Gavoriano est in apertura La grande pescheria della Venaria Reale con sullo sfondo la Reggia di Diana

L’esterno della Cappella di Sant’Uberto, realizzata tra il 1716 e il 1729 su progetto di Filippo Juvara


La Citroniera (l’antica serra creata per il ricovero degli agrumi) e la Scuderia Grande realizzate dal 1722 al 1727 da Filippo Juvara

La galleria che unisce il Torrione Gavoriano est (a sinistra) al Torrione Gavoriano ovest


sopra: la collezione di busti di imperatori romani ospitata nelle sale della Reggia a sinistra: la settecentesca Galleria Grande, alta 15 circa metri, larga 11 e lunga 73

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a reggia di Venaria Reale, poco distante da Torino, non può essere compresa fino in fondo se la si interpreta solo da un punto di vista artistico. Nel suo caso, vale il discorso che si può fare per Versailles e per il castello asburgico di Schönbrunn a Vienna: non sono monumenti o opere d’arte, non solo almeno. Si tratta prima di tutto di simboli, di concrete manifestazioni di quanto illimitata fosse l’autorità di chi deteneva il potere nel Seicento e nel Settecento. In un certo qual modo sono epifanie della potenza del sovrano, una potenza assoluta, cioè ab legibus soluta, non limitata da norme e leggi, e di origine divina.

L’imponenza del potere Venaria Reale è l’emblema dell’assolutismo regio, espressione di un momento della storia in cui un uomo solo poteva essere concepito come superiore a tutti, così come espressione della sua superiorità dovevano essere i luoghi dove conduceva la sua esistenza. Da una concezione di questo tipo nacque l’immenso complesso della reggia piemontese, con i suoi 80mila metri quadrati di edifici divisi in oltre 400 stanze, con il suo borgo a fare da corollario alla residenza regale, gli 800mila metri quadrati dei giardini e una tenuta di 3000 ettari dove il re e la sua corte potevano dilettarsi alla caccia, attività che dà il nome al luogo (“Venaria” deriva dal latino venatio, caccia). Un luogo smisurato, imponente oltre ogni logica, in fondo “megalomane” se pensiamo che i Savoia che lo fecero realizzare a partire dal 1672 erano alla guida di un piccolo staterello, non certo paragonabile alla Francia di Luigi XVI. Però i membri della dinastia non si ritenevano secondi a nessuno e consideravano la loro autorità non inferiore a quella del monarca francese. Così vollero che il nuovo complesso sorgesse in modo da costituire un unico asse prospettico che va dalla capitale Torino alla residenza regale. La reggia quindi doveva rappresentare l’ideale continuazione della città capitale – un proverbio piemontese dell’epoca recita: “Chi vede Torino e non Venaria, vede la madre e non la figlia” –, legata ad essa da un asse concepito come una sorta di via trionfale che il sovrano poteva percorrere con la corte tra due ali di folla. Un luogo, un unico scenario, dove si consumava una sorta di comunione tra monarca, il territorio da lui dominato e il popolo sottoposto al suo dominio. Versailles, sorta a partire dal 1684 venne del resto concepita (...) nello stesso modo dal Re Sole.



Le fotografie proposte in questo reportage sono state realizzate con un apparecchio Diana 6x6cm (Lomografia) su pellicola Kodak Portra 800


sopra: il Giardino dei fiori, recentemente risistemato a sinistra: la Fontana di Ercole, dominata dall’edificio della Reggia di Diana

Il costo della salvaguardia Come nella reggia francese, anche a Venaria la potenza dei regnanti trova la sua espressione più evidente nella grandiosità degli ambienti, concepiti per impressionare sia il popolo, sia i nobili della corte. Ritroviamo come a Versailles le grandi sale scintillanti di stucchi e specchi, volute per abbagliare di magnificenza i visitatori. Oppure attraversiamo la Galleria Grande, la vetrina del potere, l’ambiente pensato per presentare al popolo la corte e il re. Popolo che qui ha una delle rare occasioni di ammirare il sovrano, mentre va a sentir messa nella cappella di Sant’Uberto, il luogo dove il monarca terrestre ritrova l’Unico di fronte al quale ritiene di potersi inginocchiare. La Venaria Reale è questo, il trionfo del potere di un uomo e di una dinastia sui propri simili. La celebrazione di qualcosa di altamente effimero in fondo – quante dinastie e re si sono susseguiti nella storia sostituiti da altri despoti – ed effimero fu, infatti, il fasto della Venaria Reale. Alla fine del Settecento le armate napoleoniche la saccheggiarono e il condottiero corso trasformò i suoi giardini in spiazzi per l’addestramento per i suoi soldati. Quindi venne l’oblio anche da parte dei Savoia, che nell’Ottocento ebbero da “fare l’Italia”, non certo da crogiolarsi nelle celebrazioni del passato. Così Venaria divenne una caserma e fu spogliata mano a mano dei suoi gioielli. Alla fine del Novecento era ridotta a un rudere, secondo molti in attesa di essere spazzata via da qualche speculazione edilizia. A salvare la reggia sono stati i Giochi olimpici, che nella loro versione invernale sono stati affidati per il 2006 alla città di Torino. Sono quindi arrivati i fondi per quello che è stato e continua a essere uno dei più imponenti interventi di restauro della storia dell’arte europea. Un intervento che dura da più di dieci anni e che a oggi è costato circa 350 milioni di franchi. Una cifra stratosferica, che ha restituito al Belpaese la sua Versailles. per informazioni www.lavenaria.it per saperne di più Francesco Pernice, Reggia di Venaria Reale. Oltre il tempo e lo spazio, CELID, 2011 Andrea Scaringella, La Venaria Reale. Il tesoro ritrovato, Ananke, 2007 Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. Per informazioni: www.khatir.com.


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Il paese spento Come fa un bambino a giocare in silenzio? Una bella domanda da porsi, soprattutto qui, in Svizzera: una nazione silenziosa, dominata dalla calvinistica priorità della produzione e del lavoro di Marco Alloni

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Recentemente rientrato dall’Egitto in Ticino, ho preso in l’autostrada e il treno. Perché tutto quel rumore sì e noi no?”. E poi: affitto un appartamento a Melano, proprio accanto al lago, “Ma qui in Svizzera giocare è proibito?”. Non ci erano abituati, per me e la mia famiglia. Trascorse meno di ventiquattro ore e personalmente ho avuto una certa difficoltà a spiegare loro dal nostro arrivo, tre quarti degli inquilini dello stabile – una che ci sono luoghi dove si dorme e luoghi dove si gioca. E che palazzina di soli tre piani – hanno telefonato all’affittuaria dove si dorme non si gioca. “Allora se stiamo a casa dobbiamo dell’appartamento per protestare contro gli schiamazzi dei dormire?”. “No, dovete giocare in silenzio”. “E come si fa?”. Appunnostri due bambini di 4 e 6 anni. to, come fa un bambino a giocare in silenzio è una domanda Il tenore delle lamentele pareva un trattatello di sociologia. a cui precisamente non saprei come rispondere. “Qui c’è gente che lavora”. “Uno degli inquilini si sveglia alla Ma forse ho perso troppe coordinate della civiltà nordica quattro di mattina”. “L’ascene quando dico “decadenza sore può essere danneggiato se umanistica” non mi accorusato impropriamente”. “Non go che sto alludendo mio si canta sul balcone dopo le malgrado a una civiltà che dieci di sera”. “Se continuano mi sfugge o a un segreto del gli schiamazzi vi sloggiamo”. progresso che non ho colto A compendio del trattatello fino in fondo. Per esempio, si potrebbe porre la modalità che un bambino deve essere della protesta. Nessuno dei calvinisticamente educato vicini ha ritenuto opportuno alla priorità assoluta della rivolgersi direttamente agli produzione e del lavoro e che interessati, quasi noi – i disturogni disturbo all’edificazione batori – dovessimo essere posti del progresso è contrario alla di fronte al diktat prima di civiltà. O qualcosa del genere. ogni eventuale chiarimento. Avrebbe avuto un altro sapoQuale felicità? re un cordiale: “Scusate, potete Faccio dunque uno sforzo Immagine tratta da www.theinspirationroom.com dire ai vostri bambini di non fare mentale e mi dispongo a rechiasso per le scale e nel giardino?”. cuperare gli automatismi perÈ quella che si presume corrispondere – per chi la decanta duti. È giusto, la vita deve essere insonorizzata. Soprattutto come sua prerogativa a ogni angolo del mondo – a un atto di quella infantile, che paga ancora il pegno insopportabile civiltà. Di questo paga la Svizzera agli occhi di molti stranieri. dell’istinto e dell’innocenza. È vero, gli altri vanno rispettati Di una civiltà appiattita sul legalismo, ridotta a norma e a nella loro più intima sensibilità. È sacrosanto, il rumore è nocivo. regola a prescindere da ogni rapporto umano. Più compio questo esercizio mentale, però, e più riabilito mio malgrado il concetto di “umanesimo” che mi accompagnava Giocare sì, ma in silenzio dall’Egitto. E più mi domando se questa ridda di regole, divieti, Di fronte a tale episodio ho ripensato alla massima di Toc- privazioni, proibizioni, norme, diktat e limitazioni produca queville a proposito dell’America: “Un paese passato dalla davvero quella che sociologicamente parlando si potrebbe barbarie alla decadenza senza attraversare la civiltà”. Possiamo chiamare una “felicità collettiva”. davvero chiamarla decadenza? In un senso strettamente E mi rispondo che laddove le manifestazioni elementari umanistico, sì. dell’esistenza costituiscono un disturbo – cosa di più eleDa quando ho cominciato a ingiungere ai miei bambini di non mentare di un bimbo che ride, e cosa di più elementare che fare chiasso – cioè di non essere bambini – ho scorto infatti infilarsi dei tappi nelle orecchie se alle cinque di pomeriggio nei loro sguardi, e scoperto nelle loro domande, un eloquente non se ne vuole udire la voce? – forse l’esistenza stessa diventa segnale di decadenza umanistica. Dapprima mi hanno guar- un disturbo. È questa la sensazione oscura e trasversale che dato incapaci di comprendere quale reato avessero commesso mi abita pensando a come si aprano in Egitto in un sorriso i a rincorrersi per le scale (esterne), per il giardino (esterno) e volti delle persone al cospetto di un bambino, qualsiasi cosa sul balcone (esterno) vocianti come lo sono i bambini. Poi mi faccia: la sensazione che questa civiltà ha forse qualcosa di hanno posto domande imbarazzanti: “Ma qui davanti passa decadente.


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L’ultima battaglia di Alessandro Tabacchi

Guardia Imperiale sentì nell’ombra che l’esercito fuggiva intorno ad essa, sentì il grande crollo della disfatta, i Si Salvi chi può avevano ormai sostituito i Viva l’Imperatore…” non feci in tempo a terminare la frase che un rumore mi spinse a correre sul balcone. La casa dei nonni dominava tutta la conca con una vista spettacolare, che superava le colline e correva fino alla pianura. Dal balcone amavo contemplare quel grandioso paesaggio e fantasticare di mondi lontani come tutti i bambini. Eppure, quella sera non era il tramonto infuocato a indorare gli alberi e le cascine con la sua luce calda. Il rosso era altro. Il libro che stavo leggendo mi cadde dalle mani. Ormai erano arrivati dappertutto. Eravamo quasi circondati. I resti delle mie armate, accerchiati: i fanti si battevano come lupi, ma cadevano di fronte alla loro avanzata... restavano solo i dragoni a cavallo, pronti all’estrema carica. Attendevano l’ordine supremo. E allora di corsa, giù dalle scale, ad aiutare i miei amici! Nel cuore della mischia. Eccomi appoggiato con le spalle al mio amato albero a dare ordini per l’estrema difesa. Una mano sullo stomaco e lo spadino nell’altra. Giù per la collina presto, presto per l’ultima carica! L’eroe di tutti gli eroi, il maresciallo Ney, comandava questa ondata di dragoni su splendidi cavalli. La sua carica era come una valanga scintillante scaraventata a precipizio giù dalla collina. Mille zampe a battere sulla terra, mille sciabole sguainate! Ma… oddio, il fossato! Gli uomini cadono, i cavalli sopra di essi, corazze, zoccoli e lame spezzate in un unico ammasso di morte. Si ritirano. No! Ney urla la carica nuovamente! E di nuovo a precipizio contro i quadrati di uomini, e di nuovo carneficina. E poi ancora, e ancora. Sono sempre di meno. Ma… laggiù? Una ragazza sola a cavallo, spada sguainata, gambe nude e ferite e un mantello blu a lambirle i capelli, con un urlo si getta verso un manipolo staccatosi da uno dei quadrati di uomini dei nemici. “Simone, ferma Simone! Ti uccideranno!”. Cadono i fanti di Wellington attorno al suo mantello, ma poi la vista si appanna, il fumo è troppo per scorgerla ancora. Dopo cinque cariche che hanno decimato i suoi dragoni, ritorna il maresciallo Ney, la divisa logora e il volto segnato dal rimorso di non essere riuscito a morire da eroe. Ci diamo la mano. E ci sorridiamo. La battaglia è perduta. Dalla collina spuntano le giubbe rosse dei nemici.

Un colpo sibila. Lei si getta su di me e mi atterra. Il suo splendido volto però rimarrà sfregiato per sempre da quel colpo orribile. “Esmeralda, mi hai salvato!”. Poco le importa del sangue che le macchia i capelli, e le mani d’angelo. Mi sorride e scappa nella mischia, che ormai dilaga attorno a noi. Mi sorride combattendo. Come una furia gli eroi si battono, si sacrificano per gli amici. Due cannoni ancora disponibili in quello che era un orto mi chiamano ad affrontare la fine con dignità. Ai loro piedi, avvolto nel blu e nell’oro della sua divisa, giace il colonnello de Jarjayes, finalmente lasciato libero di andare ad abbracciare il suo amore perduto. “La porteremo via con noi. La deporrò sul ponte dell’Arcadia e le daremo sepoltura nello spazio infinito”. Quella voce calda, triste e profonda mi strappò dal campo di morte per un momento. “Mio capitano, sei arrivato! .. Ma ti prego deponi il suo corpo ad Arras, che giaccia con il suo unico amore”. “E sia”, disse il capitano, allontanandosi con passo grave in mezzo alla devastazione della battaglia. Il mio cuore vorrebbe seguirlo, ma so che il mio dovere è rimanere. Sopra i resti della casa dei miei nonni giganteggia una poppa di veliero. E sopra le insegne lacere della Grande Armata ora si staglia solo un drappo nero, con un teschio e due tibie. Si recuperano i pochi feriti e i tanti morti. Un cappello da mandriano largo e sforellato posto sopra un telo bianco mi fa capire che anche il Capitano sta piangendo la perdita del suo amico migliore. Ma non può mostrarmi il suo dolore. Perché ora è necessario che lui vada. L’Arcadia parte. Gli alberi vengono scossi violentemente e infinite foglie cadono sulla scena. Solo i corpi dei caduti, siano essi uomini o cavalli, non si muovono. Ma a poco a poco svaniscono anche loro nel paesaggio, ritornato amico. Vedo solo, ancora per un attimo, lo stanco Ney seduto sopra una pietra con la testa fra le mani. Poi nulla più. Tutto ridiviene familiare. Ed ecco la voce di mio nonno, che mi chiama robusta e allegra dalla terrazza: è l’ora della lezione di pianoforte. Arrivo! Sono seduto a fianco del mio amato albero e penso agli esercizi di piano, a come passare il pollice, a come prendere un accordo, al piccolo preludio di Bach che sto affrontando con l’entusiasmo di chi suona per la prima volta un grande maestro. Fra due settimane è il mio compleanno. Cosa riserverà la vita a chi compie dieci anni?

L’eroe di tutti gLi eroi, iL maresciaLLo Ney, comaNdava questa oNdata di dragoNi su spLeNdidi cavaLLi. La sua carica era come uNa vaLaNga sciNtiLLaNte scaraveNtata a precipizio giù daLLa coLLiNa.

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Sole sì, ma “sostenibile” Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica

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ono in tanti, ormai, a stare dalla parte della natura e scegliere prodotti biologici ed ecologici, anche per quanto riguarda bellezza e benessere. Un vero e proprio fenomeno che registra un costante aumento di consumatori (circa il 4% ogni anno da almeno cinque anni) e che non sembra destinato ad arrestarsi. Non solo nelle profumerie più esclusive ma anche nei supermercati oggi è infatti possibile reperire prodotti con alte percentuali di principi attivi naturali. Molti sono realizzati dalle stesse multinazionali in passato interamente consacrate alla chimica che, pur allineandosi al green trend più per ragioni di numeri e ricavi che per reale credo, concorrono comunque a sensibilizzare il consumatore sui rischi di alcune composizioni non troppo salutari. Specialmente se si tratta di prodotti solari. Tra le protezioni con filtri chimici bisognerebbe, infatti, evitare quelle che contengono il benzofenone-3 e i parabeni, sostanze che possono creare allergie e risultare addirittura tossiche. Anche l’alcol (in percentuali superiori al 5%) dovrebbe essere bandito, specie per i bambini; ma soprattutto niente emulsionanti del tipo peg e derivati o formaldeide, un conservante addirittura cancerogeno.

Il sole è vita ed energia, fa bene alla pelle, alle ossa, all’umore e alla concentrazione. E in realtà non è dal sole che dobbiamo proteggerci ma dalle nostre cattive abitudini. Chiedendo magari aiuto alla natura...


La natura come aiuto La natura offre un’ampia scelta di rimedi contro i raggi UVA e UVB anche se, naturalmente, non esiste nulla che possa salvare la pelle da un’esposizione scellerata e continuata. Oltre alle regole base come evitare le ore più calde e spalmarsi e rispalmarsi ripetutamente la crema solare più e più volte al giorno, è necessario nutrire adeguatamente il proprio corpo con un balsamo dopo sole e un’alimentazione adeguata. Mangiare molta frutta e verdura dal pigmento rosso/arancio come albicocche, anguria, carote, melone, peperoni rossi, pomodori ma anche asparagi, broccoli, cavolo, indivia, lattuga e spinaci, tutti ricchi di vitamine e in particolare di vitamina A, aiuta a mantenere la pelle idratata “da dentro”. Bere molto è poi fondamentale perché acqua, frullati di frutta e spremute rappresentano un ottimo refrigerante e reintroducono i sali minerali persi. Zinco, rame e biotina inoltre, sono anche utilissimi per proteggere i capelli non solo dal sole ma dal sale e dalla sabbia. Un altro consiglio è quello di puntare su un’abbronzatura lenta e progressiva. Al contrario, esporsi al sole in modo violento per molte ore, specie all’inizio della stagione quando la pelle non è ancora abituata, equivale a scottarsi e quindi “spellarsi”, il che significa riempirsi di antiestetiche chiazze non dissimili da una brutta micosi. E che senso ha, ci si domanda, farsi del male e soffrire per poi apparire meno attraenti? Come già accennato è consigliato, e fortemente caldeggiato, usare un lenitivo idratante dopo l’esposizione. Il burro di karité, ottenuto dai semi della pianta “della salute e della giovinezza” che cresce spontanea in Africa e contiene vitamina A, D ed E , ha proprietà emollienti ma anche protettive e filmanti. Usato di sera, con l’aggiunta di qualche goccia di olio essenziale rinfrescante alla lavanda, può essere un ottimo nutrimento e un salutare rimedio contro scottature e arrossamenti.

Una combinazione efficace Ma veniamo ai solari veri e propri. Non esiste, in natura, un prodotto in grado di proteggere completamente la pelle dalle radiazioni, ma è possibile combinare oli ed estratti in modo efficace. L’olio di germe di grano e quello di sesamo sono degli ottimi filtri, in grado di assorbire quasi il 55% dei raggi UVB. Seguono olio di cocco (26%), e olio di vinaccioli e di ricino (19%). Altri filtri vengono forniti da piante come l’aloe, la calendula, la camomilla, la cascara, l’elicriso e la frangola. Il mallo di noce, invece, è un’ottima alternativa naturale all’auto-abbronzante poiché reagisce con le proteine della pelle pigmentandole di bruno. Altri ingredienti naturali sono le vitamine, in special modo la vitamina E , che previene l’invecchiamento e la disidratazione e la vitamina A, ad azione idratante e come possibile prevenzione nelle formazioni tumorali. Per una perfetta idratazione della pelle, specie del viso, più esposta e delicata, è possibile sottoporsi dopo l’estate a un trattamento di bio-rivitalizzazione con prodotti omeopatici. “I raggi solari disidratano la pelle, danneggiandola e accentuando piccole imperfezioni e rughe”, spiega infatti la dottoressa Patrizia Giardino, chirurgo plastico ed esperta in questa tecnica che si sta sempre più affermando, che aggiunge: “L’uso di creme protettive è importante ma è possibile anche intervenire più in profondità. Ridare vita, luminosità ed elasticità alla nostra pelle con sostanze naturali”.


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Astri toro

gemelli

cancro

Momento magico per gli incontri tra il 22 e il 23 luglio. Con l’ingresso del Sole in Leone si apre una fase ricca di nuova energia vitale. Movimentati e iper-attivi i nati nella prima decade aiutati da un ottimo Urano.

Con Mercurio e Sole di transito nel Leone è facile dire una parola di troppo. Il 26 e il 27 la Luna si troverà in opposizione. Malumori e discussioni con il partner. Tenete maggiormente sotto controllo la permalosità.

Il mese di luglio si chiude in bellezza. Grazie agli ottimi transiti di Giove e Venere riuscirete a tirar fuori il meglio di voi stessi. Promozioni, nuove risorse finanziarie, avanzamenti. Nuove energie in arrivo.

Si apre una lunga fase di rivoluzioni per i nati nel segno da tempo sotto l’effetto di importanti aspetti astrali. Sfruttate i transiti lunari tra il 26 e il 27 luglio. Riposo tra il 24 e il 25 luglio. Arrabbiature.

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Nuova energia vitale per tutti i nati del Leone grazie all’arrivo del Sole nel segno. Ottime le giornate tra 24 e il 26 luglio: sarete determinati e lucidi, e così potrete affrontare impavidi qualunque tipo di impresa.

Senz’altro svogliati per quanto riguarda le questioni professionali, ma con una grande voglia di divertirvi. Bene le giornate comprese tra il 26 e il 27 luglio. Incremento delle relazioni sociali. Dieta!

Grazie alla Luna di passaggio tra il 25 e 26 luglio, e al concomitante transito di Marte, si potrà affrontare qualunque tipo di impresa. Dovrete restare centrati su voi stessi, canalizzando bene le vostre energie.

Il calo energetico di fine luglio colpisce soprattutto la capacità di concentrazione. Con Mercurio angolare, se si vuole avere successo, bisogna parlare meno. Tra il 26 e il 27 la Luna attraverserà il vostro segno.

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Incontri karmici favoriti dal passaggio del Nodo Lunare acceso dal transito di Mercurio. Volubili e discontinui i rapporti con il partner. Fase costruttiva. Il 25 luglio potete iniziare qualcosa di importante.

Momento decisivo per i nati nel segno, ormai sotto l’effetto di un’importante azione astrale: da una parte Marte, dall’altra Urano, su tutti sovrastante Plutone. Svolte improvvise di vita. Metamorfosi. Passioni.

Grazie a Marte e alla Luna tra il 25 e il 26 vi sentirete in grado di affrontare qualunque tipo di avversario. Il 26 luglio sarà caratterizzato da sbalzi umorali e dalla voglia di cimentarsi in qualcosa di grandioso.

Se riuscirete a canalizzarvi con il partner potrete vivere momenti davvero indimenticabili. Nuovi incontri in ambito professionale. Favoriti i rapporti con le persone più giovani. Bene tra il 26 e il 27 luglio.

» a cura di Elisabetta

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Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 31

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 26 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 24 luglio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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La soluzione del Concorso apparso il 6 luglio è:

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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: adelaide Canta 6527 Lodrino

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Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Verticali 1. Noto film interpretato da Denzel Washington • 2. Si gustano con l’aperitivo • 3. Corroboranti • 4. Maestrie • 5. La città del palio • 6. San Gallo sulle targhe • 7. Firma progetti (abbr.) • 8. Raccontare • 9. Altera, fiera • 13. Dittongo in Coira • 15. Il premio ambito dagli attori • 19. Schemi, specchietti • 21. Articolo spagnolo • 23. I sudditi di Solimano il Magnifico • 25. Il lontano West • 30. Il noto da Todi • 32. Un trampoliere • 34. Lo assume l’attore • 35. Un disinfettante per piscine • 38. Rosa... nel cuore • 40. Avverbio di luogo • 42. Fughe in massa • 45. Ripidi • 48. Nostri… a Ginevra • 49. Luce... centrale • 50. Preposizione semplice.

Questa settimana ci sono in palio 100.- franchi in contanti!

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Orizzontali 1. Crimine efferato • 10. È una vicemamma • 11. Cerchia… aristocratica • 12. Bevanda calda • 14. È simile a scala quaranta • 16. Ruscelletto • 17. Andato in poesia • 18. Vendita all’incanto • 20. Stato americano • 22. La bella Alt del cinema • 24. Non sanno leggere, né scrivere • 26. La Anaïs, scrittrice • 27. Altari pagani • 28. I confini del Ticino • 29. Grossi camion • 31. Stato asiatico • 33. Motivetto • 35. È variabile • 36. Norvegia e Uruguay • 37. Malattia epidemica • 39. Non sa resistere alle leccornie • 41. Uno a Londra • 43. Parte del costume • 44. Un Tony della canzone • 46. Mezzo tono • 47. Si rende al merito • 49. Il primo dispari • 50. In mezzo al nido • 51. Caratterizzano i periodi di crisi economiche.

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