№ 31
del 3 agosto 2012
con Teleradio 5–11 agosto
Stalking
La LiberTà LimiTaTa
C T › RT › T Z › .–
Dal 1936 siamo al vostro fianco e offriamo: •
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Sede per il Sottoceneri Via alla Campagna 9 6900 Lugano
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Antenna per il Locarnese Via Balestra 17 6600 Locarno
Ticinosette n° 31 del 3 agosto 2012
Impressum
Agorà Stalking. La persecuzione dell’amore Arti Joe Henderson. Piantare alberi... Visioni Noia da capitale
di
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TiTo Mangialajo ranTzer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
roberTo roveda. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ambienti Biodiversità. Verde patinato
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STefano guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tiratura controllata
Società Atleti e Olimpiadi. La stella del regime
Chiusura redazionale
Vitae Nelly Valsangiacomo
Editore
Reportage Centovalli-Centoricordi
Redattore responsabile
Luoghi Orti. Terreni fertili
Coredattore
Tendenze Steve McQueen. L’uomo e la moto
70’634 copie
Venerdì 27 luglio
Teleradio 7 SA, Muzzano Fabio Martini
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Sotto osservazione Illustrazione di Bruno Machado
4 8 9 10 12 14 39 46 48 50 51
Chiara Crivelli e laura Pedevilla . . . . . . . . . . . .
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roberTo roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
gaia griMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di
deMiS Quadri; foTografie di reza KhaTir . . . . . . . . . .
MarCo jeiTziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di
gianCarlo fornaSier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Quello che m’importa è... Charles Bukowski (1920–1994) non è stato uno scrittore “garbato” e molta della sua produzione, dai romanzi alle poesie, rispecchia la sua indole definita tempestosa e uno smisurato amore per l’alcol . Quello che m’importa è grattarmi sotto le ascelle è il titolo di una ben nota intervista nella quale Fernanda Pivano (scomparsa nel 2009) prende le misure dello scrittore . In quelle pagine Bukowski, provocatoriamente, non esita a stravolgere i valori della società statunitense nella quale è immerso, gli stessi che più volte ha ridotto in frantumi nei suoi scritti . Passato di professione in professione, lo scrittore aveva lavorato anche come archivista, ma questo con ogni probabilità non era legato a una sua passione per le vestigia del passato . Non esiste obbligo di legge che vincoli qualcuno a interessarsi a ciò che siamo stati e al nostro patrimonio culturale . Dunque, a meno che la vostra attività lavorativa non sia legata alla conservazione di beni storici (pubblici e privati) e alla salvaguardia della memoria, siete assolutamente liberi di fregarvene . A discrezione e in piena libertà molti di voi potrebbero dunque affermare, per esempio: “Quello che m’importa è... abbattere e speculare” . La lettura dei quotidiani ticinesi del 23 luglio scorso mostravano le conseguenze “bukowskiane” di questo credo: “Villa Gina va salvata”, “Senza inventario lo scempio può proseguire” sono i titoli che accompagnavano la fotografia di un edificio del 1913 in via
PARAPIC è un rapido ausilio contro le punture d’insetti p.e. zanzare, vespe, api
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• Lenisce il dolore e il prurito
Franscini a Locarno dal destino, ahimé, già scritto . Segnalazioni trasversali hanno infatti portato sul tavolo del Municipio l’urgenza di salvaguardare questa palazzina, e con lei anche il patrimonio architettonico della città, divorata da un’edilizia che alla convivenza fra passato e presente (sempre possibile) preferisce una più comoda e libera “sostituzione” degli edifici (a scapito di quelli meno redditizi) . Come i lettori più attenti sanno, Ticinosette si è più e più volte chinato sulle lacune esistenti – in particolare a livello comunale – nella protezione dell’identità storico-architettonica del territorio, ricordando di volta in volta il valore di questi edifici per il tessuto urbano e una sua corretta lettura sociale e civile; il loro valore storico-costruttivo e dunque educativo per la collettività; o ancora l’importanza di non omologare il territorio con edifici tutti uguali e della stessa epoca (e dunque impoverendolo, anche da un punto di vista turistico) . Lo storico Quartiere Nuovo (sempre a Locarno) e ciò che è diventato oggi dovrebbe essere un esempio da non seguire, se possibile . I municipali locarnesi ora attendono delle risposte, mentre a Lugano si continua a demolire . Mercoledì 18 luglio è caduta l’ennesima villa: alla ruspa è bastata una giornata per cancellare un elegante edificio novecentesco in via Moncucco . E pensare che pochi giorni prima qualcuno aveva “ripulito” parte del giardino . Purtroppo, era solo l’inizio della fine . Buona lettura, Giancarlo Fornasier
In vendita in farmacia e drogheria.
Leggere il foglietto illustrativo. Distributore: Biomed AG 8600 Dübendorf
La persecuzione dell’amore
4
di Chiara Crivelli e Laura Pedevilla illustrazione di Bruno Machado
I
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Agorà
La paura dell’abbandono può indurre una persona a non accettare l’altro come individuo, fino a considerarlo un oggetto di esclusiva proprietà che deve sottostare a norme e comportamenti imposti. Ne scaturiscono molestie e atti persecutori che la giurisprudenza in tempi recenti ha identificato con il termine di “stalking”, un fenomeno che riguarda uomini e donne
l termine deriva dall’inglese e significa “inseguire”, “appostarsi”, “avvicinarsi di soppiatto”. In italiano per definire questo reato si usa anche l’indicazione “molestie assillanti”. Lo stalking è una delle svariate forme di violenza interpersonale: esso riassume tutti quei comportamenti che hanno una connotazione vessatoria, volta a controllare e limitare la libertà della persona. Gli atti persecutori possono comprendere per esempio la ricerca ostinata di contatto via lettera, telefono, messaggi sms, e-mail o utilizzando i social network (con l’avvento delle nuove tecnologie si è sviluppata una forma di persecuzione chiamata cyberstalking). Altri comportamenti tipici consistono nel lasciare messaggi sull’auto o al lavoro, investigare sulle abitudini della vittima, osservarla con pedinamenti, richiedere informazioni a terzi, rubarle la posta, minacciarle i figli, violarle il domicilio, danneggiare o imbrattare le sue proprietà, oppure ferire o uccidere un suo animale domestico. Secondo alcuni ricercatori, anche il mobbing può trasformarsi in stalking1. La gravità di questi atti può variare enormemente, fino a sfociare in aggressioni fisiche e sessuali, e giungere all’omicidio.
La regole degli/delle “ex” Questi comportamenti danneggiano in modo diretto o indiretto, a breve o lungo termine, l’incolumità fisica e psichica della persona molestata. Spesso, a causa di queste persecuzioni, la vittima deve stravolgere le proprie abitudini, cambiare il numero di cellulare o il percorso casa-lavoro, modificare gli orari delle proprie attività e, addirittura, cambiare casa o città. Tali conseguenze fanno parte della definizione stessa dello stalking: perché un comportamento socialmente scorretto divenga una lesione della personalità ai sensi della legge occorre infatti che esso assuma una certa intensità. La vittima deve percepire una minaccia seria, accompagnata da un timore concreto per la sua integrità psichica, fisica, sessuale o sociale. Non sono quindi considerati atti di stalking il corteggiamento un po’ insistente di una persona appena conosciuta, né il messaggio di troppo inviato da un ex compagno quando gli è appena stata comunicata la fine della relazione. Certo, rimane da capire se e come è possibile valutare l’intensità e la veridicità della minaccia, argomento che sarà trattato in seguito. Nella maggior parte dei casi, queste molestie ripetute e intenzionali sono attuate da un uomo verso una donna, ma non sono rari lo stalking commesso da una donna verso un uomo o fra individui dello stesso sesso. La categoria maggiormente coinvolta è quella dell’ex compagno (o coniuge) che perseguita l’ex compagna (o moglie): gli studi mostrano che l’80% degli autori sono di sesso maschile e che, sia tra gli uomini sia tra le donne, le vittime sono soprattutto gli ex partner 2 . Vi sono varie tipologie di stalker, e non tutti sono pericolosi allo stesso modo né capaci di spingersi fino all’omicidio. Li accomuna però un movente, il principale tra tutti gli atti di stalking: il controllo e la limitazione della libertà della vittima. In alcuni casi il movente può essere il desiderio di vendetta, magari per esser stati lasciati o per una mancata capacità, patologica o non, di gestire l’abbandono3. Quel che è certo, è che questo crimine è principalmente causato da un’aggressività interiore più che da un guadagno materiale o a sfondo sessuale: la molestia è infatti il risultato di un conflitto emotivo4.
Inoltre vi possono essere comportamenti che nel quotidiano non sono di per sé illegali – per esempio, regalare dei fiori –, ma che possono caratterizzare lo stalking e quindi rendere questo comportamento punibile. Da parte sua, il Codice civile (CC; art. 28b) protegge le vittime in caso di violenza, minacce o persecuzione, introducendo misure di protezione quali l’espulsione dell’autore dal domicilio comune, il divieto di avvicinarsi a una determinata persona o il divieto di contattarla. Queste misure possono venir applicate anche in caso di separazione. Qualche cifra sul fenomeno Gli studi effettuati nel nostro paese sul fenomeno dello stalking sono rari e datano ormai di qualche anno. Considerato che, come detto, lo stalking si presenta spesso in ambito domestico, abbiamo ricercato qualche informazione all’interno delle statistiche di violenza domestica su scala nazionale, ma anche così facendo non si ottengono cifre interpretabili. Inoltre, le rare statistiche disponibili riflettono solo in maniera limitata l’ampiezza della violenza nel contesto familiare, in quanto prendono in considerazione solo gli atti denunciati. Lo studio effettuato dal criminologo Agorà Martin Killias5 è invece rappresentativo in quanto, grazie a dei sondaggi detti vittimologici6, ha integrato anche la cifra nera del fenomeno. Basandosi su di un campione rappresentativo di 1.975 donne, Killias trova che il 39,4% (cioè due donne su 5) ha subito violenze fisiche o sessuali almeno una volta nella vita. Più di una donna su 4 sperimenta sia la violenza fisica sia quella sessuale, soprattutto gli approcci indesiderati. Grazie a un primo bilancio sulla nuova Legge cantonale contro la violenza (effettuato nell’aprile del 2007), il canton Zurigo ci fornisce uno dei rari dati specifici per quanto concerne lo stalking. Nel primo semestre del 2007 la polizia zurighese ha dovuto effettuare in media tre interventi giornalieri per predisporre misure di protezione per atti di violenza domestica e, sempre nel primo trimestre dell’anno, 298 misure erano già state attuate. Il 96% degli autori di questa violenza erano di sesso maschile, nel 60% dei casi vi era un rapporto di coppia tra le parti coinvolte e nel 40% dei casi si trattava di violenza in una situazione di separazione o stalking. Altro esempio di un paese a noi vicino: nel 2006, in Italia, il 50% delle 25mila donne intervistate che hanno subito violenza fisica o sessuale da parte di un partner, ha confermato di aver subito a sua volta dello stalking. Il 18,8% ha invece subito atti di stalking da parte dell’ex partner7. Secondo l’Ufficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo questi dati, insieme a quelli trovati in Germania e nei paesi anglosassoni, persuadono a riflettere sul fenomeno dello stalking, più diffuso di quanto si creda. Anche in Svizzera, sussiste dunque il bisogno di adottare misure specifiche a tutela delle vittime. (...)
“(...) il 39,4% (cioè due donne su 5) ha subito violenze fisiche o sessuali almeno una volta nella vita. Più di una donna su 4 sperimenta sia la violenza fisica sia quella sessuale”
Vuoto giurisprudenziale A oggi, il diritto penale svizzero non prevede purtroppo il reato di stalking, e persistono delle difficoltà nel qualificare in termini giuridici questo comportamento. Per essere perseguito legalmente, un atto di stalking deve oggi poter essere accompagnato da elementi costitutivi di altri reati punibili ai sensi del Codice penale svizzero (CP), cosa che spesso accade. Tra questi reati troviamo, per esempio, le lesioni personali (art. 122 CP e ss), il danneggiamento (art. 144 CP), i delitti contro l’onore (art. 173 CP e ss), la minaccia (art. 180 CP), la coazione (art. 181 CP), la violazione di domicilio (art. 186 CP) o l’abuso di impianti di telecomunicazione (art. 179 CP).
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Come riconoscere e affrontare il problema Come abbiamo accennato precedentemente, in Svizzera non è sempre evidente dimostrare l’esistenza di atti persecutori che siano penalmente perseguibili, e questo per diverse ragioni. Accade spesso che i singoli atti dell’autore non superino la soglia né della coazione, né di un altro comportamento di rilevanza penale, benché possano provocare conseguenze fisiche e/o psicologiche anche gravi alla vittima. Inoltre, i comportamenti persecutori si prolungano spesso nel tempo (anche per anni prima che la vittima si decida a reagire): le prove fisiche, psicologiche e materiali dell’esistenza di queste persecuzioni possono dunque svanire, essere gettate o perdute, rendendo così difficile il riconoscimento della vittimizzazione. Infine, i segnali di allarme vengono spesso sottovalutati o non riconosciuti, sia da parte delle vittime sia di tutti coloro che possono essere confrontati a questo fenomeno da prospettive differenti (professionisti, medici, amici, colleghi, eccetera). Per far fronte a questi ostacoli, alcuni stati hanno sviluppato degli strumenti che si stanno rivelando molto efficaci nel contrasto a questo tipo di violenza; sono delle linee guida, semplici e rapide da compilare, create sia per i professionisti (agenti di polizia, medici, psicologi) sia per le vittime stesse. L’utilizzo sistematico di questi strumenti permette di aumentare la trasparenza, l’efficacia e la rapidità delle decisioni delle autorità, e con un linguaggio comune aumentano così anche la comprensione e la comunicazione fra le diverse istanze implicate. Grazie a queste linee guida le forze dell’ordine e la vittima possono riassumere sistematicamente ogni evento, lesione, danneggiamento o quant’altro potrà servire in futuro per un eventuale procedimento penale. Così facendo si permette anche alla vittima di prendere coscienza della gravità della situazione.
Nello stesso intento, l’Ospedale universitario del canton Vaud ha creato, nel 2006, l’Unità di medicina delle violenze8. Questo reparto si occupa di stilare e conservare dei rapporti dettagliati e specialistici di tutte le presunte vittime di violenza, qualunque essa sia. Inoltre, aiuta le vittime a prendere coscienza della situazione, a chiedere aiuto e a conoscere i centri specializzati ai quali rivolgersi. Anche qui, il dossier può diventare una elemento di prova valido, immediato o futuro, nel caso vi fosse un procedimento penale. La necessità di intervenire Per quanto concerne infine gli autori, va ricordato che il comportamento umano è complesso e non sempre facile da prevenire e modificare. Anche per lo stalking e i reati violenti commessi tra persone legate affettivamente, la punizione in termini cautelari o la condanna privativa di libertà non sempre bastano come efficace deterrente contro la recidiva. Degli interventi specifici di presa a carico devono essere applicati tempestivamente per far emergere i fattori di rischio dell’autore e i fattori di vulnerabilità della vittima. Solo così si potrà ipotizzare, prevedere e valutare quali fattori, statici e dinamici, hanno portato la persona ad agire con violenza. Si potrà allora intervenire per contenere questi fattori, modificarli o neutralizzarli, riducendo così il rischio di recidiva. A oggi non abbiamo avuto modo di analizzare scientificamente la situazione in Ticino, ma siamo convinte che questo fenomeno, di cui abbiamo accennato solo alcuni aspetti, andrebbe approfondito per un miglioramento della prevenzione (primaria, secondaria e terziaria), dell’informazione e delle possibilità d’intervento. Degli studi specialistici sono a nostro parere fondamentali per far fronte correttamente a una problematica che, se non ce ne fossimo ancora accorti, continua a mietere vittime. Anche alle nostre latitudini.
“(…) i segnali di allarme vengono spesso sottovalutati o non riconosciuti, sia da parte delle vittime sia di tutti coloro che possono essere confrontati a questo fenomeno da prospettive differenti”
Qualche esempio L’agenda ALBA , creata dalle associazioni “Differenza Donna” e “CHIama MILANO”, è un diario quotidiano che la vittima riceve durante un primo colloquio di sostegno e che è chiamata a redigere in modo regolare. In primo luogo e come detto sopra, delle annotazioni puntuali di tutto quanto successo aiutano la ricostruzione degli inquirenti, evitando nel contempo alla vittima di dover ricordare e rivivere momenti dolorosi che, per bisogno di serenità, ha cercato di rimuovere. In secondo luogo, la vittima trova nell’agenda un suo spazio in cui raccontare la sua storia, descrivere le sue paure e i suoi stati emotivi. Nel rapportare quanto successo nel dettaglio, la vittima diventa “investigatrice” del suo stesso caso, acquisendo così coraggio e fiducia in se stessa e nella possibilità di ottenere giustizia. Infine, non va dimenticato che l’analisi di un’agenda di questo tipo può permettere di redigere una valutazione del rischio di escalation e di recidiva dello stalker, prevenendo così un eventuale degrado.
note 1 Pelikan, C. (2002). Forschungsbericht - Psychterror. Ausmass, Formes, Auswirkungen auf die Opfer und die gesetzlichen Bestimmungen. Ein internationaler Verleich, Wiener Istitut für Rechts und kriminalsoziologie. 2 Dati dell’Ufficio federale per l’uguaglianza, consultabili su www.admin.ch. 3 Baldry, A.C. & Roia, F. (2011). Strategie efficaci per il contrasto ai maltrattamenti e allo stalking. Aspetti giuridici e criminologici. Ed. Franco Angeli. 4 Douglas, J.E., Burgess, A.W., Burgess, A.G. & Ressler R.K. (2006). Crime Classification Manual. Il Manuale dell’FBI sulla classificazione e investigazione dei crimini violenti, edizione italiana a cura di M. Picozzi, Centro Scientifico Editore, 2011. 5 Killias, M. & al. Violence experienced by Women in Switzerland over their lifespan - Results of the International Violence against Women Survey (IVAWS), 2005. 6 Sondaggi compiuti a partire da un campione aleatorio e rappresentativo della popolazione, che mirano a far emergere la violenza e le infrazioni subite dalle persone intervistate. Permettono di far emergere la cifra nera della criminalità, cioè quei reati che non vengono denunciati e quindi non rientrano nelle statistiche di polizia o delle condanne. 7 Dati dell’istituto nazionale di statistica, consultabili su www.Istat.it. 8 Per maggiori dettagli: www.curml.ch.
Agorà
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Piantare alberi… Nel 1992 veniva pubblicato l’album “Lush Life” del sassofonista americano Joe Henderson. Un disco che riportò sotto i riflettori un grande musicista scomparso una decina di anni fa di Tito Mangialajo Rantzer
Arti
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Nel 1991 ero un giovane contrabbassista alle prime espe- sottigliezze armoniche. Nel 1963 entrò per la prima volta in rienze e avevo sentito molto parlare di uno dei componenti sala di registrazione a fianco del trombettista Kenny Dorham del quintetto che aveva registrato Lush Life, un album in per incidere il disco, a nome di Dorham, Una Mas. Appena due uscita per l’etichetta Verve: si trattava di Christian McBride, mesi dopo la storica etichetta Blue Note gli diede la possibilità un giovane virtuoso già affermato e ricercatissimo accom- di incidere il primo album a suo nome: Page One. Per tutti gli pagnatore. Desideravo sentirlo all’opera, confrontato a un anni Sessanta, Henderson fu legato alla Blue Note e registrò repertorio che amavo. Così, fortunosamente, mi imbattei in altri importanti dischi, oltre a partecipare ad album di altri Joe Henderson, tenorsassofonista artisti dell’etichetta come Andrew che poco conoscevo ma che subito Hill, Herbie Hancock, Horace Silver apprezzai, convincendomi ad approe McCoy Tyner. fondire maggiormente il suono del Sul finire degli anni Sessanta Hensax tenore che allora identificavo derson sparì progressivamente dalle soprattutto con artisti quali Sonny scene che contavano, forse emargiRollins e John Coltrane. nato dal free jazz e dal jazz rock, Henderson, nato nel 1937 a Lima, stili che non praticava e in cui non Ohio, piccola cittadina industriale si riconosceva. Si dedicò quindi assisituata a 600 km a ovest di New duamente all’insegnamento, che per York (famosa perché nel 1933 vi fu lui era come “piantare degli alberi e arrestato John Dillinger), crebbe in vederli crescere”. Proprio alla fine una famiglia numerosissima (nove dell’intervista con Mel Martin, Joe fratelli e cinque sorelle) e presto sostiene che per il tempo che gli si avvicinò al jazz grazie ai dischi sarebbe rimasto da vivere avrebbe della collana “Jazz at The Philarmovoluto continuare a piantare alberi nic” di proprietà di un suo fratello lungo la strada, nutrendo menti e vemaggiore. Proprio grazie a suo fradendole crescere, come altri avevano tello – come lo stesso Joe racconta in fatto con lui prima. una bellissima intervista pubblicata sul sito del sassofonista Mel MarGli ultimi anni tin – Henderson, che aveva appena Finalmente nel 1991 l’etichetta Vercominciato a suonare il sassofono, ve (proprio quella degli storici album Joe Henderson (immagine tratta da iniziò ad imparare a memoria, a “Jazz at The Philarmonic”) gli diede www.jazzinphoto.wordpress.com) risuonare e a analizzare gli assoli del la possibilità di tornare alla grande grande Lester Young, sassofonista facendogli firmare un contratto per cardine nella storia del jazz e citato come ispiratore e maestro alcuni dischi. Il primo è appunto quello dedicato a Strayhorn, da molti musicisti degli anni Cinquanta e Sessanta. Consiglia- Lush Life (1992), a cui seguirono un sentito omaggio a Miles to da una sorella si accostò quindi alla musica di Stravinsky, Davis, So Near, So Far (1993) che vendette ben 450mila copie Bartok e Hindemith, studiandola a fondo. nel mondo, Double Rainbow (del 1994, con la musica di Tom Jobim), Big Band (1996), in cui alcuni suoi storici brani veUn raffinato improvvisatore nivano per la prima volta eseguiti da un organico allargato, Terminato il servizio militare, a cui Henderson attese per e l’ultimo Porgy&Bess (1997), con le immortali musiche di tre anni suonando in un’orchestra che lo portò a viaggiare George Gershwin. Gli ultimi anni furono per Joe Henderson in tutto il mondo per intrattenere i soldati americani, Joe (scomparso nel 2001) segnati da grandi successi, tour mondiali si spostò a New York, la capitale del jazz. Qui venne subito e molte soddisfazioni. Grazie a questo tardo riconoscimento notato da musicisti già affermati che ne apprezzarono il per- a livello planetario molti giovani sassofonisti riscoprirono sonalissimo suono, nonché la perfetta padronanza tecnica anche i suoi vecchi dischi degli anni Sessanta e trovarono strumentale – Joe aveva studiato per tre anni con Larry Teal, in lui una ricca fonte di ispirazione: penso ad artisti oggi uno dei più grandi didatti del sassofono mai esistiti – e le affermati quali Chris Potter e Mark Turner, per citarne alcuni.
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Noia da capitale
» di Roberto Roveda
Dagli esordi della sua carriera David Cronenberg ci ha abituati dramma (volutamente) lento e claustrofobico, ma involontariaa un cinema destabilizzante e visionario, capace di strisciare mente noioso e in un certo senso ostile allo spettatore. Anche sotto la pelle come le paure più inconfessabili. Un cinema che perché nell’economia del film la parola ha un ruolo decisamente fa a pezzi ciò che resta del sogno americano, preponderante, anzi strabordante: i dialoghi trasformandolo in incubo. Nella sua ultima però sono al limite dell’assurdo, criptici e del pellicola, Cosmopolis, la crisi dell’american tutto implausibili. Sugli eleganti sedili della way of life fa rima con finanza spericolata, stanza dei bottoni, si parla praticamente di economia virtuale e strapotere delle banche. tutto: matrimonio, tecnologia, denaro e sesIl film, tratto dall’omonimo romanzo di Don so. Ma la sensazione è che non si arrivi mai DeLillo, segue per un giorno la vita del ramal punto e che la critica del regista al dorato pante ventottenne Erick Packer, che a bordo mondo della finanza – che pure emerge chiadella sua limousine hi-tech tenta di farsi ra – resti a livello di un esercizio filosofico. strada in una New York in subbuglio per le Delude poi la scelta del teen idol Robert Patproteste di alcuni movimenti anticapitalisti. tinson – il vampiro dal fascino anemico della Dalle premesse ci si potrebbe aspettare l’ensaga di Twilight – nel ruolo di protagonista: nesimo prodotto ben confezionato del maePattinson è decisamente monocorde anche stro canadese; eppure a dispetto delle attese quando incarna lo spettro del capitalismo qualcosa nel film non funziona. L’incontro in crisi d’identità. Allo stesso modo anche virtuale tra uno degli alfieri del pensiero un’interprete dell’eleganza quale Juliette Cosmopolis postmoderno come DeLillo e un cineasta Binoche manca di credibilità nella parte regia di David Cronenberg talvolta accusato – e non a torto – di ecdella prostituta di strada. E neppure un Paul Italia, Canada, Portogallo, cessivo ermetismo, genera un cortocircuito Giamatti in stato di grazia e un bellissimo Francia, 2012 “intellettual-borioso” capace di allontanare duello tra Packer e la sua nemesi – di cui è anche i fan più assidui. Sarà perché il libro di DeLillo, estrema- facile immaginare l’epilogo – riescono a rendere meno indigesto mente introspettivo e cerebrale, non è certo materiale da cui il film. Il finale è liberatorio per lo spettatore, che giunge decisi può facilmente trarre una sceneggiatura, ma il risultato è un samente esausto ai titoli di coda. Sarà per la prossima...
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Verde patinato
A primavera, quando al parco Ciani di Lugano entrano in azione gli uomini arancioni, Nicola Schoenenberger è preso dallo sconforto. Ogni anno la stessa storia: s’affaccia la bella stagione e i giardinieri dei servizi urbani ripuliscono il terreno, lo dissodano, preparano aiuole fiorite e tappeto verde a spese della biodiversità
di Stefano Guerra
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Siamo ad aprile inoltrato. Il botanico luganese guarda l’erbetta rada cresciuta sul terreno concimato poche settimane prima. Scrolla la testa: “In estate lo sfalciano due volte al mese. Ma che senso ha?”. Mentre cammina lungo uno di quelli che “un tempo erano viottoli”, e che “oggi sono quasi strade asfaltate”, Nicola Schoenenberger spiega che “il parco è fatto di due zone diverse: quella attorno a Villa Ciani, con le aiuole fiorite, i prati verdi rasati in maniera impeccabile, i cartelli «Vietato calpestare!», il cancello con i turisti che si fanno fotografare. È il fiore all’occhiello della città. Poi c’è la zona più boschiva verso il Cassarate, destinata soprattutto agli abitanti. Almeno una parte di essa potrebbe essere gestita in modo estensivo, con sfalci meno frequenti che favorirebbero la biodiversità, e oltretutto farebbero risparmiare un bel po’ di soldi. Invece, l’intero parco viene trattato allo stesso modo. Il discorso vale anche su scala più ampia: a Lugano manca un concetto globale improntato a una «gestione differenziata» del verde pubblico urbano”.1 Città verde? Sul sito internet ufficiale leggiamo che Lugano è “famosa per il suo patrimonio naturale”: verde è il 51% del suo territorio (con 16,4 chilometri quadrati di boschi), poi ci sono 68 “coloratissime aiuole” in nove parchi e 34 giardinetti, dove in primavera vi sbocciano 103mila fiori, in estate altri 66mila. L’immagine della città “è strettamente legata al verde e alle fioriture di qualità”, “rispecchia la cultura del giardinaggio di una volta, ma che oggi sta scomparendo a causa dei costi troppo elevati”. Il comune mette in campo una squadra di 46 giardinieri e spende circa 5,5 milioni di franchi all’anno2 per “mantenere un verde di qualità”, “risorsa economica ed estetica” la cui cura è “una priorità”: “obbiettivo imprescindibile è un turismo responsabile e consapevole del delicato equilibrio uomo-natura”, che Lugano è chiamata ad attrarre con parchi e lungolaghi da trasformare “in veri e propri salotti all’aperto” (come se non lo fossero già...).3 Scempio interventista Il sentiero di Gandria, con le sue falesie calcaree che cadono a strapiombo nel lago: questo santuario della flora e della fauna, iscritto nell’Inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importanza nazionale, è l’habitat ideale di specie mediterranee praticamente introvabili altrove in Svizzera. Nicola Schoenenberger ha osservato e documentato, con centinaia di fotografie, lo scempio che negli ultimi anni è stato fatto di un luogo meta di botanici di tutto il mondo, appassionati naturalisti, oltre che di turisti e luganesi. “Finché esisteva il piccolo comune di Gandria, senza molti soldi, non c’era nessun problema. Ma dopo la fusione con Lugano [nel 2004, ndr.], si è cominciato a gestirlo intensivamente. Il sentiero – ammette – va messo in sicurezza, perché cadono sassi. Però è arrivata anche quest’idea del sentiero di Gandria come il parco Ciani. Sfalciano assiduamente, spesso nel momento sbagliato, appena prima della fioritura. E hanno usato erbicidi, andando a toccare specie rare e protette”. Una “situazione assurda”, con “il Municipio di Lugano che spende un sacco di soldi per rovinare qualcosa che attira i turisti”. E un’ulteriore dimostrazione del fatto che “la gestione del verde pubblico urbano di solito è più saggia laddove, per mancanza di denaro, si dovrebbe parlare piuttosto di «non gestione»”.
Il sentiero di Gandria (per gentile concessione di N. Schoenenberger, Museo cantonale di storia naturale, Lugano)
Non ci sono soltanto il parco Ciani e il sentiero di Gandria. Di un certo modo di intendere le cose (ma forse soltanto di ignoranza e noncuranza diffuse) hanno fatto le spese anche il capelvenere, una felce rara legata alla presenza di acqua su rocce calcaree, che ogni anno in zona Ponte del Diavolo, a Castagnola, “vengono raschiate a nudo”; oppure una delle rare popolazioni in Svizzera dell’ombelico di Venere, specie annua che cresce nelle fenditure di un muro a Castagnola e che “ora sta scomparendo a causa della mania di volere i muri tutti puliti”. Idem per gli ippocastani “malati” del lungolago, sostituiti con esemplari giovani: “Ho le fotografie delle sezioni di taglio di molti tronchi. La maggior parte erano sì maturi, con qualche acciacco, ma sani: non avevano un filo di marciume, e quanto a stabilità non presentavano problemi”. Nicola Schoenenberger è convinto: “Un po’ di «disordine verde» favorisce la biodiversità, migliorando la qualità di vita degli abitanti. Qui invece non si tollera un filo d’erba fuori posto. Il verde urbano è considerato anzitutto una passerella per i turisti. E non si esita a disfarsene se non è al servizio di certi interessi: quante piante sono state tagliate negli ultimi tempi per garantire la vista lago ai ricchi inquilini dei nuovi palazzi?”, si chiede volgendo lo sguardo verso la selva di gru che spuntano in centro città e fino ai piedi del San Salvatore. Rischi e opportunità Il botanico vorrebbe che Lugano fosse anche più a misura di bambino: “Via agli Orti, a Viganello, è uno degli ultimi posti dove i bambini ancora giocano sulla strada, s’infilano in un cantiere, si intrufolano nel giardino della casa abbandonata, dando vita a spazi che per il pianificatore e il costruttore andrebbero riempiti, edificati. A Zurigo, per esempio, il comune fa accordi con i privati in modo da rendere accessibili al pubblico terreni abbandonati, o in attesa di essere edificati, che vengono semplicemente ripuliti e messi in sicurezza. Si è creata così una serie di «parchi» informali
e temporanei dove i bambini possono giocare, costruirsi le capanne, ecc. A Lugano cose del genere non ne vedo”. Adesso la Città, dopo aver inglobato gli ormai ex comuni della Valcolla e Carona, si estende da Cásoro (la foce del torrente Scairolo, a Figino) fino al passo del San Lucio (in cima alla Valcolla). “È ridiventata «campagnola»”, osserva Schoenenberger. La trasformazione comporta rischi e opportunità: “Villaggi come Gandria, Sonvico, Cimadera, Carona, Brè, con i loro spazi naturali oggi hanno un po’ la funzione che aveva la campagna (Molino Nuovo, per esempio) attorno a Lugano fino agli anni Sessanta e Settanta. Però l’impressione è che questi spazi, ora in dote alla Grande Lugano, siano visti essenzialmente come riserva edificabile”. Ma d’altro canto “densificare”, cioè continuare a edificare laddove si è già costruito, non pregiudicherebbe la biodiversità in città? “Il margine di manovra ci sarà”, risponde il botanico. Su un foglio, disegna gli alberi che stanno in mezzo al largo viale asfaltato sulla sponda destra del Cassarate, che d’estate si trasforma in una fornace. “Basterebbe – dice – togliere l’asfalto tra un albero e l’altro, collegando poi i loro sedimi circolari con del ghiaietto o una striscia di terra, dove lasciar crescere in maniera più o meno spontanea erbe, fiori e pianticelle. Lì arriverebbero farfalle, uccelli, animali, s’infiltrerebbero le acque piovane, il rumore del traffico verrebbe attutito, e si potrebbe godere di un po’ di fresco in estate. Con accorgimenti del genere, come pure la «rinaturazione» dei tetti piani, poi potremo anche permetterci di costruire grattacieli a Molino Nuovo”. note 1 Sulla “gestione differenziata” del verde urbano, cfr. Ticinosette n. 22/2012 (http://issuu.com/infocdt/docs/n_1222_ti7). 2 “Che belle aiuole in questa città, ma quanto costa mantenerle!”, il Caffè, 20 novembre 2011. 3 “Trasformare parchi e lungolaghi in veri e propri salotti all’aperto”, il Caffè, 18 marzo 2012.
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La stella del regime Alle Olimpiadi del 1976 brillò la stella di Nadia Comaneci, ginnasta rumena capace di vincere a ripetizione. In realtà, una talentuosa bambina sfruttata a fini propagandistici dal regime del suo paese e dal mercato pubblicitario legato allo sport
di Roberto Roveda
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Le immagini arrivavano via satellite un poco sgranate nei primi televisori a colori. Mostravano uno scricciolo esile, con tutino pallido e nastrino rosso e bianco tra i capelli, capace di acrobazie da mozzare il fiato. Quasi ogni sera, a tarda notte a causa della differenza di fuso orario con il Canada, ci si era abituati a vederla salutare, un poco impacciata e col sorriso appena accennato, dal gradino più alto del podio. In basso sullo schermo una scritta in sovrimpressione, tremolante come le immagini: “Nadia Comaneci, Romania, Gold Medalist”. Poi solitamente scorrevano i replay delle sue evoluzioni, ripetute dieci, cento, mille volte, con riprese di fronte, da dietro, dall’alto, dal basso, rallentate e accelerate. Quelle evoluzioni che avevano convinto i giudici a dare a Nadia il punteggio massimo, “10”, dopo l’esercizio alle parallele asimmetriche. Era la prima volta che accadeva nel corso di un’Olimpiade. Vittime di questa “impossibile perfezione” erano stati, primi fra tutti, i tabelloni elettronici del Forum di Montreal dove si tenevano i concorsi di ginnastica artistica. Erano stati, infatti, progettati per segnare al massimo “9,99” e il punteggio perfetto li mandò praticamente in tilt. In seguito sei altre volte in quei giochi Nadia ottenne il massimo dei voti, scatenando attorno al suo personaggio un vero e proprio delirio collettivo. Insomma, tutto in quel luglio 1976 congiurò perché sulla Comaneci – di volta in volta “libellula”, “farfalla” o “sirena” – scorressero fiumi di retorica, di quella che accompagna spesso i miti dello sport, fatti passare a suon di aggettivi e di metafore per eroi e per semidei.
Opportunità politiche Eppure in quelle serate dell’Olimpiade di Montreal 1976, facendo un poco di attenzione, ci si poteva accorgere di avere di fronte certamente un’atleta, forse un’artista, sicuramente non una donna e tantomeno un’eroina o una divinità. Nadia, con i suoi 14 anni e poco più di
Il conto alla rovescia è iniziato. 40 chili non era altro che una bambina, stritolata in meccanismi tanto più grandi lei e dei quali certamente non aveva piena consapevolezza. Un oggetto per il regime comunista al potere in Romania, dato che la Guerra fredda si combatteva anche a colpi di vittorie nello sport e gli atleti non erano altro che uno strumento di propaganda. “Eroi socialisti del lavoro” venivano definiti quando vincevano. Quando perdevano calava, al contrario, un imbarazzato silenzio. Questa situazione che poco aveva a che fare con lo sport si amplificava in occasione di eventi planetari – come le Olimpiadi, appunto – ed era sentita maggiormente nella Romania di Ceausescu, despota e tiranno dominato dalla propria megalomania e da assurdi sogni di potenza. In terra rumena, perciò, venivano “allevate” (come polli in batterie) schiere di bambine da trasformare in simboli del socialismo reale e della grandeur della Romania e di Ceausescu. Per esempio
atlete da gettare nell’arena della ginnastica artistica sempre più giovani, così da sfruttare la flessuosità di quei corpi acerbi e “tascabili”. Non ci si faceva poi problemi a far ricorso a farmaci per ritardare la crescita e lo sviluppo a cui ogni bimba prima o poi va incontro. Chissà se anche a Nadia vennero somministrati questi veleni, magari facendoli passare per semplici integratori... Pratiche conosciute, sulle quali però il Comitato Olimpico Internazionale faceva finta di niente per non irritare i paesi del blocco comunista ed evitare defezioni di massa. Così passavano come normali anche le nuotatrici della Germania dell’Est con la loro muscolatura da camionisti e neppure tanto vaghi accenni di barba. Solo molti anni dopo, quando la Cina invaderà le discipline sportive con le sue atlete strappate direttamente dai banchi dell’asilo, si porrà un limite di 16 anni alla partecipazione alle competizioni olimpiche, certificando di fatto come il fenomeno Comaneci fosse stata una stortura. Peggio: un’aberrazione.
Sconto online del 20%. Isteria collettiva Allora però vinse il cinismo, senza limiti, come conviene che sia quando agli interessi ideologici e di Stato si aggiunge il business olimpico. Nei giochi cana-
figlia che tutti vorrebbero avere, provoca sentimenti d’amore-odio in chi non riesce a scendere dal letto senza spasmi renali, finisce per essere un mostruoso fenomeno da baraccone: la corsa alla ginnasta-bambina non è per niente finita, se va avanti così lo spettacolo si terrà direttamente negli asili. Ma, soprattutto, Nadia Comaneci è un oggetto di consumo; sulla ruota dei sentimenti, quello della bambina è il numero vincente, le mamme impazziscono, le nonne pure, gli uomini vengono colti in torbide fantasie. Così tutti comprano i giornali e restano incollati al televisore che, tra un esercizio e l’altro, manda in onda gli spot pubblicitari”.
Nadia Comaneci nel 1977 (immagine tratta da www.en.wikipedia.org)
Cogliete questa opportunità. desi infatti al politica venne affiancata dalle armi pesanti dello show business d’Oltreoceano: ogni persona è un “personaggio”, bello e pronto per essere trasformato in un prodotto vendibile al grande pubblico. Quattro anni prima di Montreal la macchina organizzativa di Monaco 1972 aveva puntato su Mark Spitz, nuotatore statunitense capace di battere tutti (anche con folti baffoni per nulla idrodinamici). Nell’Olimpiade
del 1976 ci si focalizzò sulla ginnastica, sport con un pubblico potenziale vastissimo, perché molto apprezzato dalle donne, come del resto il nuoto. E si puntò su Nadia, sulla sua figura non ancora definita, ma matura quanto bastava. Alla conferenza stampa le venne suggerito di presentarsi con una bambola sottobraccio, così da completare il suo personaggio di bambina e allo stesso tempo di Lolita. Il risultato fu un’isteria collettiva, la nascita di un’icona del consumismo. Scrisse Lanfranco Vaccari in quei lontani giorni del 1976 sul settimanale italiano “L’Europeo”: “Nadia Comaneci è la sublimazione di quello che donne sfatte e flaccide hanno sempre sognato di essere, è l’immagine della
Dalle stelle alle stalle Quattro anni dopo, ai Giochi di Mosca del 1980, Nadia vincerà ancora e vincerà bene: due ori e due argenti. Ma tutto avverrà quasi nel disinteresse generale anche perché quella moscovita sarà un’Olimpiade boicottata da buona parte del mondo occidentale – primi fra tutti gli Stati Uniti – e quindi anche dallo show business. Anzi, i commenti sulla Comaneci saranno all’insegna della delusione: in molti la definiranno quasi inadatta per la ginnastica, coi suoi diciotto anni e il suo fisico da donna oramai sbocciata. La chiameranno “vecchia”, non perdonandole di non essere rimasta perennemente “libellula”, “farfalla” o “scricciolo”. Non insomma perdoneranno a Nadia di aver preso il posto di quella bambina in tutino pallido e dagli occhi smarriti.
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» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Flavia Leuenberger
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Nelly Valsangiacomo
Vitae
appassionanti, anche se si lavora in condizioni ancora difficili, nonostante il prezioso sostegno dei collaboratori degli archivi e della radiotelevisione. Ho inoltre svolto e ho coordinato ricerche sulle donne. In questo periodo dirigo, con una cara amica, un progetto nazionale sulle pari opportunità alla SSR SRG. Come donna, mi si domanda spesso se riesco a conciliare lavoro e famiglia. Il giorno in cui questo quesito sarà posto nella stessa misura agli uomini, sarà un segno del superamento del sistema binario che contraddistingue la nostra società. Rivendicare il mio essere persona tesa verso Professoressa universitaria e affermata la libertà è il mio modo di ricercatrice in campo storico e sociale, combattere le differenze di ama l’equilibrio tra la parola e il silenzio, genere, e ogni discriminazione sociale, e di riflettere e la libertà che le concede il suo lavoro sulla percezione di queste discriminazioni nella società, le relazioni e della società. soprattutto quelle latenti, talmente insite Sono vent’anni esatti che innel nostro modo di pensare che spesso segno. Dapprima nella scuola sfuggono anche a noi donne, impregnate media e poi all’università. di una secolare cultura dominante. Mi piace insegnare, ma per Io comunque, dal punto di vista degli carattere ho bisogno di un equilibri tra lavoro ed esigenze personali e equilibrio costante tra la pafamiliari, sono un vero disastro! Col temrola e il silenzio. Per questo po ho però imparato a meglio definire le sono molto felice quando mie priorità, anche perché la vita insegna riesco ad avere il tempo per la e spesso a caro prezzo. Malgrado qualche ricerca e l’approfondimento, accenno di saggezza in questo senso, ho per poi potere condividere ancora una giornata piena. Amo svegliarmi il frutto delle mie riflessioni presto, tra le cinque e le sei di mattina. Amo con i miei collaboratori e con lo spuntare del sole ed è il momento in cui i miei studenti. ho più energie. La giornata di lavoro è poi Le mie prime ricerche si sosolitamente piuttosto lunga, anche se ora no concentrate sulla storia m’impongo di fare delle pause regolari. sociale e del movimento opeUno degli aspetti che apprezzo del mio raio e a questi studi sono lavoro è la libertà che ancora mi offre il rimasta legata, anche come poter organizzare le diverse attività che Presidente della Fondazione svolgo. Per me è vitale, poiché do il meglio Pellegrini-Canevascini. Col se posso assumermi la responsabilità di tempo mi sono avvicinata gestire il tempo, che è un bene prezioso. alla storia culturale e degli Appena possibile mi occupo del giardino intellettuali, in particolare a e soprattutto scappo in montagna. Un mio temi riguardanti le relazioni caro amico e collega afferma che sopra i tra Italia e Svizzera. Mi sono duemila metri i problemi cambiano di imoccupata così delle Alpi coportanza. Ha ragione! Se poi alla fine della me regione di frontiera tra gita ci si ritrova a cena con le persone care, queste due realtà, di italiani ancora meglio. in Svizzera e di italianità. Infine, coltivo alcune speranze: leggere di Negli ultimi anni ho inoltre più e non solo per lavoro, andare per momolto lavorato sulla storia stre e a teatro, ricominciare a disegnare… della radio e della televisioAl momento tutto è nel cassetto, ma negli ne e sull’utilizzo delle fonti ultimi tempi penso proprio di aver trovato audiovisive per studiare il la chiave giusta. Sono fiduciosa: tra “un po’” Novecento. Sono documenti riuscirò ad aprirlo con più regolarità.
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ono nata in un piccolo paese in provincia di Bergamo, il 23 luglio di 45 anni fa. La famiglia di mio padre proveniva da Curio, nel Malcantone. Erano fornaciai, emigrati, come molti ticinesi dell’epoca. Mia madre invece è una solida bergamasca. Sono arrivata molto presto in Svizzera, all’età di due anni, prima a La Chaux-de-Fonds e poi in Ticino. Non penso molto alla mia infanzia, ma a volte osservo con curiosità le fotografie che mi ritraggono da piccola e mi diverto a farmi raccontare gli aneddoti su quella bambina divertente e testarda che si dice io fossi. Se ritorno con la memoria agli anni di scuola, credo di essere stata una studentessa mediocre, malgrado diversi buoni insegnanti, con la testa spesso tra le nuvole, o nei romanzi – che divoravo – e le mani impegnate a disegnare. Ho seguito le scuole dell’obbligo tra Lugano e Mendrisio; in seguito ho studiato all’Università di Friburgo, dove ho anche conseguito il dottorato in Storia contemporanea. Ho scoperto la passione per l’approfondimento tardi, durante l’ultimo anno di università, quando mi sono sentita libera di agire con una certa autonomia, compiendo le ricerche per il lavoro di laurea. Un periodo molto bello. Ci sono state diverse persone importanti nella mia vita: quelle che mi hanno voluto bene, che hanno sopportato i malumori e le insicurezze della mia crescita personale. E che hanno saputo far ridere la brontolona che è in me. E poi la vita mi ha offerto dei bellissimi incontri, in carne e ossa o nelle mie letture. Persone la cui intelligenza – bella, aperta, sorridente – si accompagna all’onestà e alla modestia. È l’insieme di queste sfaccettate esistenze, non un unico incontro, ad avermi influenzato. Il culto della personalità non mi appartiene: è sempre la composizione delle note che crea la musica. Questa è la mia visione del-
Centovalli-CentoriCordi
Un viaggio in treno fra teatro, storia e fantasia di Demis Quadri fotografie di Reza Khatir
Una gita a bordo del trenino delle Centovalli è certo un’esperienza affascinante, fosse solo per la bellezza del percorso e del paesaggio. Ma che dire se questo rilassante viaggio venisse arricchito da animati inseguimenti polizieschi, da risse tra lesti briganti o ancora da storie d’amore a cavallo tra i continenti? Perché tutto è possibile nel fantastico mondo della famiglia Dimitri…
Alberto, emigrante ticinese in America, la signora Teresa Salmina e la signorina Jane Allen a Marysville, in California
in apertura: Giacomo Sutter, ingegnere della Centovallina; sopra: la giovane contadina Luisa e il doganiere
N
on è raro scoprire che gli splendidi paesaggi delle valli del Locarnese siano stati scelti per soggiorni più o meno lunghi da personaggi di spicco del mondo dell’arte e della cultura. Un esempio è certo quello di Max Frisch, che amava ritirarsi nella località onsernonese di Berzona. Oppure Patricia Highsmith – nota tra le altre cose per essere l’au-
trice de Il talento di mister Ripley – che ha trascorso gran parte della sua solitaria esistenza ad Aurigeno, in Vallemaggia. Ma ovviamente le stesse valli sono state teatro anche di vite meno vicine ai riflettori della celebrità. Un’occasione per rendersene conto è nata nelle Centovalli grazie a un complesso progetto che combina teatro e musica a un piacevole viaggio in treno verso un gustoso piatto di
Una delle quattro streghe del Ghiridone
Molinari, macchinista e capo stazione
Tutti gli attori riuniti nella scena finale dello spettacolo
polenta e formaggio, il tutto in una piacevole atmosfera da festa di paese. Si tratta di Centovalli-Centoricordi (www.werkstatt-theater.ch/centoricordi.php), uno spettacolo che non si accontenta di intrattenere uno spettatore comodamente seduto sulla poltroncina di un teatro, ma lo fa inseguire una serie di personaggi attraverso vicende che si snodano nel corso di varie tappe.
Un sogno che ha radici lontane Masha Dimitri, figlia del noto clown di Ascona e direttrice designata del Teatro Dimitri di Verscio è tra i protagonisti di Centovalli-Centoricordi ci spiega che l’idea alla base del progetto risale a parecchi anni or sono: “Si tratta di una cosa di cui parlavamo giĂ quando ero bambina. Prendevamo sempre il treno per andare a scuola da Cadanza e mio padre, a cui piace sognare
Ghiga, giovane brigante
e scoprire sempre nuovi luoghi per fare teatro, diceva che sarebbe stato bello organizzare uno spettacolo che andasse di stazione in stazione. Si sa come spesso vanno queste cose: ci si dice che è solo un sogno e la vita va avanti. E così è stato anche in questo caso per trenta o quarant’anni, finché mio padre ha incontrato lo scrittore Kurt Hutterli, autore di alcuni libri sulle Centovalli, che ha proposto di scrivere una sceneggiatura”. E così la macchina si è messa in
moto per organizzare uno spettacolo che portasse in treno il pubblico da una stazione all’altra, da Verscio a Camedo, per assistere di volta in volta allo sviluppo di storie di emigranti, banditi, streghe, poliziotti, contrabbandieri, preti, spazzacamini, avventurieri... Un cast decisamente ricco, insomma, nel quale trova spazio persino un guerriero cartaginese perso nello spazio e nel tempo, oltre che il diavolo in persona.
Sofia, la fidanzata di Alberto
Un’organizzazione tutt’altro che semplice Naturalmente, nonostante la lunga preistoria, un progetto del genere non poteva concretizzarsi da un giorno all’altro. “Da quel momento a oggi”, racconta ancora Masha Dimitri, “sono passati almeno due anni. Perché, per esempio, bisognava trattare con l’azienda ferroviaria: il progetto senza treno non si poteva fare. Come base abbiamo avuto la fortuna di una sponsorizzazione «in natura»,
nel senso che ci hanno messo a disposizione macchinisti, controllori, eccetera. Poi però c’erano da trovare, tra le altre cose, i fondi. Anche col regista, Livio Andreina, si era già cominciato a parlare quasi due anni fa, ma tutto in quel momento sembrava prematuro e mancava ancora un team organizzativo. Poi finalmente abbiamo deciso, «Ok, si fa», e siamo partiti. Per la maggior parte gli attori non sono professionisti. Per alcuni non si può neanche dire che siano amato-
Carlo con i piccoli spazzacamini
La strega numero 4 in azione
riali, perché non hanno nemmeno esperienze in filodrammatiche: hanno deciso di partecipare per puro interesse verso il progetto. La preparazione è stata molto impegnativa anche per loro, perché per mesi abbiamo provato una o due volte la settimana, in alcuni casi anche per interi weekend. Ma si è creato un gruppo bellissimo. Nello spettacolo c’è anche una bandella che suona musiche composte da Oliviero Giovannoni. Trovare musicisti disponibili è stato arduo, perché d’estate si suona spesso in giro... E poi c’era la difficoltà di organizzare tutta la logistica, con le macchine e i treni, in modo che tutti arrivassero nelle stazioni e potessero ripartire al momento giusto secondo i tempi dello spettacolo e del traffico ferroviario”.
Discobal, guerriero cartaginese perso nello spazio e nel tempo
Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI e il CISA a Lugano. Per informazioni: www.khatir.com.
Un ricettacolo di storie Lo spettacolo Centovalli-Centoricordi dà sicuramente spazio a elementi fantasiosi e a figure favolistiche, come per esempio le streghe del Ghiridone, ma trae linfa soprattutto da situazioni che hanno costellato la storia della regione. “Per i personaggi della sua sceneggiatura”, spiega Masha Dimitri, “Kurt Hutterli ha fatto una vera e propria ricerca storica. Anche i nomi corrispondono a quelli che ci ha tramandato la storia. Come in tutto il Ticino, anche le Centovalli hanno vissuto un periodo molto duro di povertà e di emigrazione. E allora le storie che si incontrano sono quelle di contrabbandieri in una terra di frontiera, di bambini mandati da un padre-padrone a Livorno a lavorare come spazzacamini, di un giovane che parte per l’America in cerca di fortuna, di un prete amante della poesia in un tempo in cui la Chiesa era molto più presente di ora, ecc. Pure i costumi e le scenografie realizzati da Anna Maria Glaudemans Andreina sono frutto di una ricerca storica, ovviamente con qualche compromesso...”. Ecco quindi che il viaggiatore di questo festoso viaggio, guidato dai racconti del capostazione Molinari, può tuffarsi con la fantasia nel fiume del tempo, lasciandosi contagiare dalla festosa allegria dell’evento. per maggiori informazioni www.werkstatt-theater.ch/centoricordi.php o chiamare lo 091 796 19 78. È possibile partecipare al viaggio-spettacolo sino al prossimo 11 agosto.
Orti. Terreni fertili di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger
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C’era una volta l’orto comunale. Qui da noi s’è fatto un po’ raro, anche se in alcuni comuni sta tornando piacevolmente di moda. Sarà per la crisi economica, per l’onda verde che rifiuta l’aglio importato dalla Cina, chissà. Anche chi vive in un palazzo – cioè buona parte dei ticinesi – può desiderare un piccolo appezzamento per coltivare zucchine e San Marzano. E c’è chi lo fa anche in ufficio. Attenzione dunque, perché la vanga e la zappetta sono tornate! Alla faccia di chi spende un sacco di soldi nei “grandi” ortaggi dei grandi magazzini, o interi mesi nelle puzzolenti palestre fitness... invece di sudare nel podere sottocasa. Fare l’orto è tendenza Coltivare le proprie zucchine è in, comprare quelle spagnole è out. Certo, d’inverno anche a noi tocca recarci negli sterili centri commerciali, dove le verdure sembrano di plastica e il pomodoro non sa più di pomodoro ma di passata e conservanti. Persino negli Stati Uniti, stentavo a crederci, l’orto fa tendenza e c’è chi propone quello aziendale. Grossi nomi dell’informatica e dell’automobile offrono ai loro dipendenti la possibilità di crearne sui tetti o nei cortili, perché hanno capito che è terapeutico e che poi il collaboratore produce meglio e di più. Le nostre aziende invece... Mi piace immaginare un’infermiera che nella pausa pranzo, sul tetto del nosocomio, si china a raccogliere lattuga fresca; oppure a un funzionario statale che nel cortile, prima di entrare in ufficio, annaffia porri e carote. Fatto sta che l’orto, si ricredano gli scettici, ormai è di moda in moltissime città, sui balconi o sui terrazzi: lo chiamano urban farming (coltivazione urbana). Persino la scienza lo conferma: fare l’orto e prendersi cura di fiori e piante allunga la vita, soprattutto a quelli di mezza età, dice uno studio dell’ateneo svedese di Uppsala. Vedrete che l’orto di Michelle Obama, delle stelle di Hollywood o della regina d’Inghilterra vi farà un baffo!
Un “pezzo di terra” in comune Pensate, nella Lugano della finanza non c’è più posto: i 180 orti comunali, soprattutto a Viganello e Breganzona, sono sempre tutti affittati. Dubito che tra i richiedenti vi siano dei colletti bianchi o delle giovani rampanti avvocatesse, ma potrei ricredermi. Permane un mistero invece a Morbio Inferiore: dall’anno scorso non si hanno più notizie del terreno che era adibito a tale scopo, trenta metri quadri a soli dieci franchi al mese. Persino il borghese comune di Ascona, forse dietro l’impulso dei molti abitanti tedeschi e svizzero tedeschi, notoriamente più ambientalisti, vuole spendere 140mila franchi per la realizzazione di orti comunali. Motivo, scrive il Municipio, è una “attività socialmente interessante”. L’hanno chiesto, per esempio, anche a Caslano l’anno scorso, perché “contribuisce alla valorizzazione dell’ambiente urbano” (un po’ di verde nel grigio cemento), “facilita lo sviluppo delle relazioni fra gli abitanti” (vuoi mettere le sfilate di verze e coste?) e, da non sottovalutare, promuove “l’attività fisica all’aperto” (zappettare e sarchiare tonifica glutei, gambe e braccia). Le richieste, e questo è il bello, giungono da vari schieramenti politici. L’orto è stato sdoganato: non è più di sinistra! Tutto a portata di mano Di solito cerchiamo i pomodori nei soliti luoghi. A volte guardiamo l’etichetta (andrebbe stampata a caratteri cubitali) della provenienza e leggiamo “Marocco”. Il povero pomodoro è stato costretto a farsi ore di camion e nave sotto refrigerazione, ha attraversato il Mediterraneo e poi tutta l’Italia per arrivare da un grossista fino al reparto verdure di periferia. Quando è nel tuo piatto è lì che ti guarda smorto e cadaverico. Vuoi mettere la Rosa di Berna che hai piantato e curato, maturata al tuo sole dal verde al rosso, quasi intimidita? Che sia corto o storto, nell’orto c’è sempre qualcosa da fare e da imparare: “toh, una femminella ascellare da togliere”, “oh, le lumache son ghiotte di lattuga”, ecc. ecc. Mai come al ristorante, soprattutto quando, incredibile ma vero, ti servono per ben tre volte di seguito un’insalata con dei pezzi di vetro. Dunque, prima regola: avere un piccolo podere (per chi non lo sapesse, fatto di terra sporca venduta persino nei negozi). Seconda regola: chi troppo pianta, raccoglie male (serve distanza tra le piante e il terreno s’impoverisce). Terza e ultima: stesso mare ma non stessa spiaggia (evitare di ripiantare lo stesso prodotto nella stessa terra l’anno seguente). Allora i bambini sapranno che gli ortaggi non nascono nelle cassette di plastica, ma da stupendi fiori colorati; per esempio, l’affascinante viola di melanzana o il giallo intenso del rinfrescante cetriolo.
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LA TRIUMPH BONNEVILLE DI 650CC È UNA MOTO IDEALE PER LʻUSO IN FUORISTRADA E VANTA UN PESO MOLTO BUONO. LA GEOMETRIA DELLE SUE SOSPENSIONI È STUDIATA PER IL SOVRASTERZO E CONSENTE UNA BUONA MANEGGEVOLEZZA DEL MEZZO (Steve McQueen)
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L’UOMO E LA MOTO Tendenze p. 48 – 49 | a cura di Giancarlo Fornasier
Il nome dell’attore Steve McQueen è ormai da anni al centro di una impressionante operazione di marketing volta a utilizzare il suo stile di vita, il suo carisma e le sue grandi passioni per i motori e le competizioni a fini commerciali: abbigliamento, borse, orologi... Ora anche una motocicletta porta la sua firma. Da maggio, infatti, l’inglese Triumph ha messo in commercio l’ennesima edizione limitata (1.100 pezzi) e assai “speciale” della già ammirata Bonneville T100. Ecco dunque la Steve McQueen TM Edition con motore di 865cc da 68 cavalli raffreddato ad aria, un peso prossimo ai 230 kg, un cambio a 5 marce, freni a disco (anteriori da 310 mm, posteriori da 255 mm), ruota anteriore da 19 pollici e posteriore da 17”, e il classico serbatoio da 16 litri. Tra le caratteristiche estetiche di questa limited edition – oltre alla colorazione verde e le numerose parti nero opaco – non passa inosservata la presenza di una robusta piastra in metallo a protezione della parte inferiore del motore: un particolare che rimanda direttamente alle gare fuoristrada e nei deserti californiani tanto amate dall’attore, “terreni” che permettevano all’uomo McQueen di sfogare tutta la sua passione per le competizioni. Come è noto, Steve nutriva un amore viscerale per i motori, su 4 e 2 ruote (possedeva ben oltre un centinaio di motociclette); una febbre che non mancò di trasmettere anche nelle sue pellicole, dal poliziesco Bullit (1968) – a cui la Ford nel 2008 dedicò una versione speciale della Mustang – allo storico Le Mans (1971).
individuale, sotto tutti i punti di vista La nuova sella per il solo pilota e il portapacchi nero sono due degli elementi che la Triumph ha sviluppato appositamente per questa edizione “Steve McQueen”. La motocicletta, che ha necessitato di un’apposita omologazione, si riconosce anche il proiettore anteriore di piccole dimensioni e altri accorgimenti “corsaioli”…
nero come “fascino” La Triumph “Steve McQueen TM Edition” in vendita da maggio presenta molti componenti verniciati di nero opaco, compresi cerchi, mozzi, manubrio, molle posteriori, specchietti e le componenti dei parafanghi. Il motore è il classico 865cc da 68 cavalli della ben nota Bonneville T100
fra cinema e leggenda Il design di questa “Edition” si ispira alla Triumph Trophy TR6 che Steve McQueen utilizzò ne La grande fuga (The Great Escape), pellicola di John Sturges del 1963. Oltre al classico color verde militare, la moto è riconoscibile per la riproduzione della firma dell’attore sul coperchio laterale. Classe 1930, McQueen è scomparso nel 1980 per saperne di più Steve McQueen. Le auto, le moto e le corse di Matt Stone Giorgio Nada Editore, 2008
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Tra il 5 e il 6 agosto importante opportunità affettiva. Non fatevi condizionare oltre il dovuto dalle vostre paure. Novità favorite da Mercurio e Giove. Bene per i nati nella prima decade se amanti del rischio.
Grazie ai buoni aspetti con Venere e a Plutone, disporrete della forza per esprimervi senza riserve di alcun tipo con la persona amata. Vivace intensificazione delle relazioni esterne in un luogo in riva al mare.
Numerosi incontri tra il 6 e l’8 agosto. Creatività sempre in primo piano. Con Mercurio favorevole forte incremento delle relazioni sociali. Assai motivati i nati nella seconda decade. Momenti di seduzione.
A partire dall’8 agosto Venere entra nel segno zodiacale. Vita sentimentale in una nuova fase, ricca di imprevisti e di colpi di scena. Con Urano e Plutone angolari potranno realizzarsi storie amorose trasgressive.
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Grazie al transito di Marte nel segno della Bilancia ogni giorno che passa acquistate in forza e determinazione. Approfittate di Giove per raggiungere un ambito traguardo. Bene in amore fino al 7 agosto.
Novità sentimentali a partire dall’8 agosto favorite dall’arrivo di Venere nel segno del Cancro. È il momento buono per stabilire un rapporto di collaborazione con la persona amata. L’unione fa la forza.
Grazie a Urano e Giove i nati nel segno avranno il desiderio e così anche la forza di voler cambiare le cose. Forte smania di realizzarsi in qualcosa di utile. Combattivi l’11 agosto. Ponderazione tra il 6 e il 7.
A partire dall’8 agosto Venere si troverà in posizione armonica. Questo aspetto favorirà tutti quelli che sono alla ricerca della loro anima gemella. Ricordate che con Mercurio in quadratura meno si parla e meglio è.
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Grazie all’opposizione di Venere proprio non ve la sentite di impegnarvi in qualcosa di importante. Vi conviene andare in vacanza. Maggior autodisciplina per quanto riguarda il mangiare o il bere. Incontri karmici.
Se riuscirete a cavalcare le tensioni avrete l’opportunità di fare “strike”. In questo momento vince solo chi rischia. Non lasciate nulla in sospeso. Altrimenti il vulcano va per conto suo. Cautela il 6 e il 7 agosto.
Grazie all’opposizione con Venere siete troppo pigri per impegnarvi in qualcosa di serio. Attenzione a non mangiare e a non bere troppo. Bene con le energie creative, ma in questo periodo mancate di autodisciplina.
Rapporti tesi con i collaboratori. Se fisicamente volete star ben dovete seguire una dieta drenante. Liberatevi dei liquidi in eccesso. Possibilità di fare affari in campo immobiliare. Bene tra il 9 e il 10 agosto.
» a cura di Elisabetta
ariete
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Orizzontali 1. Sbronzarsi • 10. Il “no” moscovita • 11. Ci sono anche quelle della fortuna • 12. Respirare a fatica • 14. Rosario nel cuore • 15. Il noto Tse Tung • 16. Divulgata, promulgata • 17. Bordato • 19. Pari in canasta • 20. La sposa di Giove • 21. Il Ticino sulle targhe • 22. Si detrae dal lordo • 23. Il “de” scozzese • 24. Schiavi spartani • 26. Mezzo vaso • 27. Dittongo in reità • 28. È più vasto del mare • 31. Proiettile • 33. Istituzioni • 34. Si empie di scolari • 35. Il dio egizio del sole • 36. Austria e Uruguay • 38. Dubitativa • 41. Il Redentore • 44. Progettano costruzioni • 47. Vi si cuoce la polenta • 48. Pari in calesse • 49. Simili ai DIN • 50. Fiume engadinese • 51. I confini di Rivera. Verticali 1. Noto film interpretato da R. Liotta e W. Goldberg • 2. Corrono paralleli • 3. Deciso • 4. Andata in poesia • 5. Città lombarda • 6. Dittongo in cauto • 7. Fulva • 8. Sturata • 9. Celestiale • 13. Lo è il discorso trito e ritrito • 18. Penisola turca • 23. Così è detto il borsaiolo • 25. La fune di Tarzan • 26. Africane... di statura • 29. Cresce con gli anni • 30. L’onda nello stadio • 32. Consonanti in liuto • 37. Modesti • 39. Noto film di Rossellini • 40. Labile traccia • 42. Noto collegio inglese • 43. Trafila • 45. Capo etiope • 46. Ungheria e Ohio.
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Soluzioni n. 29
La soluzione del Concorso apparso il 20 luglio è: RISICATO
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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Claudia Alluisetti via Mornato 6a 6944 Cureglia Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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