№ 32
del 10 agosto 2012
con Teleradio 12–18 agosto
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Ticinosette n° 32 del 10 agosto 2012
Agorà Estremismo e politica. Svizzera nera Arti Proms. Un esempio virtuoso
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Chiusura redazionale Venerdì 3 agosto
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Letture Occhi giovani
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Società Comunicazione. La mistica dello sport Reportage Bestiarium
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alBa Minadeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
roBerto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vitae Heike Cantori-Wallbaum
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Marco Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
deMiS Quadri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
roBerto roveda; fotografie di didier ruef . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Luoghi Villa Melzi d’Eril. L’invenzione ottica Tendenze Microarchitetture
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Silvano de Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
oreSte BoSSini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Media Manifestazioni. Letteratura in festival
Impressum
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Stefania Briccola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
franceSca aJMar. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Redattore responsabile Fabio Martini
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coredattore
Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giancarlo Fornasier
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In copertina
Il libro nero Elaborazione grafica di Antonio Bertossi
Investire sugli amici L’entrata in borsa di Facebook era stata trasformata in una sorta di happening finanziario, con tanto di coriandoli e champagne per tutti, e una commossa diretta da Menlo Park, sede del Grande impero socializzante . Il “ragazzo con la felpa”, Mark Zuckerberg, pareva aver portato a buon fine l’ascesa della sua piattaforma virtuale: genio e fondatore di un impero costruito sugli amici degli amici degli amici, è in effetti riuscito a creare un’enciclopedica raccolta di dati personali riservati e immagini da vendere al miglior offerente . Una ricca banca dati con circa un miliardo di profili sparsi in tutto il mondo (forse non proprio in tutto): un mirabolante spaccato più o meno veritiero di quello che oggi siamo . Sul valore reale di questa meravigliosa scatola di “amici” in pochi nutrivano dubbi, tanto che fondi di investimento e molti istituti bancari (anche svizzeri, come sappiamo) hanno acquistato le azioni del buon Mark messe in vendita a circa 38 dollari l’una, cioè quello che tecnicamente viene definito come il prezzo di partenza al pubblico (IPO) con il quale sono collocate le azioni all’apertura delle contrattazioni . Facebook è un successo planetario – o come tale ci viene venduto – e diventare azionista non può che essere una mossa vincente . Ottima constatazione, almeno sino al maggio scorso . Il 18 di quel mese parte infatti la vera quotazione: con qualche strano problemino tecnico e piccoli ritardi rispetto alle normali contrattazioni giornaliere di Wall Street, Facebook si fa attendere sulle schermate creando un’attesa che porta le sue azioni da 38 a 42 dollari in un batter d’occhio . Ottima partenza? Pare proprio di sì: in verità il valore di 38 dollari era già stato corretto al rialzo, tanto che sino a pochi giorni prima anche i diretti interessati collocavano tra i 28 e i 35 dollari il valore indicativo per
azione . “La sola ragione per cui un’impresa si quota in Borsa è per ottenere fondi per svilupparsi”, sostenevano gli addetti ai lavori come Tim Bajarin, un analista di Creative Strategies . “Quindi, almeno il grande pubblico sa che l’entrata in Borsa significa che Facebook avrà i mezzi per fare molte cose”. L’operazione “entrata in borsa” serviva insomma a far guadagnare denaro all’azienda, “5,6 miliardi di dollari”, una regola aurea . Ma dove poteva arrivare Facebook? Sempre gli analisti sostenevano che il titolo sarebbe cresciuto fino a 44-46 dollari . Un’ottima proiezione, almeno a corto termine . . . Da questa girandola di ipotesi e grandi scommesse “certamente vincenti” tutti si sono bruscamente risvegliati . Con perdite da capogiro . A luglio una società russa (la Digital Sky Technologies) partiva con l’intento di rastrellare azioni tra i dipendenti di Zuckerberg pagandole circa 14 dollari l’una: un affare se si considera che le quotazioni del titolo sui mercati secondari passavano di mano a 10-10,5 dollari . Alla fine del mese di luglio le azioni di Facebook valevano circa 23 dollari, in risalita ma pur sempre sotto del 40% rispetto a maggio . “Zuckerberg e gli altri soci storici di Facebook si sono arricchiti vendendo le azioni proprie e fregando i poveri investitori beoti. Il dimezzamento di valore di Facebook a poche settimane dal collocamento si può spiegare solo così: massicce vendite da parte dei promotori dello stesso collocamento” scrive un internauta del quotidiano romano “Il Messaggero” . Oggi le banche se la prendono con il Nasdaq (l’indice americano dei principali titoli tecnologici), colpevole di una gestione che ha causato loro grandi perdite . In verità, bastava lasciarle ad altri quelle azioni “molto virtuali” . Ma con il senno di poi, direte voi . . . Buona lettura, Giancarlo Fornasier
Estremismo e politica. Svizzera nera
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Agorà
Croci uncinate sulle sinagoghe, pietre tombali ebraiche violate, aggressioni fisiche ed esternazioni preoccupanti su internet. Anche nel 2011 sono stati registrati in Svizzera parecchie decine di casi di razzismo, antisemitismo ed estremismo violento di destra. Eppure, gli specialisti sostengono che da noi la situazione non è fondamentalmente cambiata
di Silvano De Pietro
I
l fenomeno del neonazismo suscita una forte impressione anche nel nostro paese, specialmente alla luce dei collegamenti internazionali e dei crimini compiuti all’estero, come la strage di Breivik in Norvegia e gli assassini sistematici in Germania. Ma in Svizzera a falsare l’esatta percezione del potenziale di pericolosità dell’estremismo violento di destra è proprio la struttura federale delle sue istituzioni. Le 26 polizie cantonali raccolgono infatti i dati sulla violenza in generale, ma per quanto riguarda il razzismo (che è un tratto peculiare e rivelatore del potenziale di violenza dell’estrema destra) si limitano a registrare le violazioni dell’articolo 261 bis del Codice penale relativo alla discriminazione razziale. A sua volta, il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) nel suo rapporto annuale fa riferimento alle registrazioni delle polizie cantonali e precisa: “Descrivere il fenomeno in termini statistici è praticamente impossibile, poiché i fatti che dovrebbero essere inclusi in una statistica sono troppo eterogenei: una lettera esplosiva in grado di causare almeno una vittima è infatti ben altra cosa rispetto al danneggiamento della facciata di un edificio”. In concreto, ciò significa che la Svizzera non dispone di dati globali sugli atti di razzismo, e quindi mancano gli strumenti di misura per svolgere un’esatta valutazione del fenomeno dell’estremismo di destra.
Velleità e amicizie Per capire che cosa si muove realmente, al di là delle statistiche, sulla scena dell’estremismo di destra in Svizzera, è utile seguire la descrizione che ne fa, attingendo a numerose e diversificate fonti, il giornalista Hans Stutz, uno dei maggiori esperti in questo campo. A cominciare dagli anni Ottanta è nato e si è sviluppato in Svizzera, con un andamento ondulatorio, un fenomeno subculturale di estrema destra, costituito essenzialmente da giovani adulti maschi meglio identificati come naziskin. A livello internazionale i naziskin svizzeri hanno stabilito contatti con i gruppi degli Hammerskins e dei Blood and Honour, formazioni che però ormai non fanno più parlare di sé, in quanto le loro iniziative si sono in parte esaurite. In sua vece oggi si stanno manifestando i primi segni di una subcultura di tipo analogo, di cui è però difficile valutare la capacità di aggregazione. Una parte di essa si sforza da anni di costruire una vera struttura politica. Ne è un esempio il Partito degli svizzeri nazionalisti (PSN, conosciuto anche come PNOS, ovvero Partei National Orientierter Schweizer). Per un certo tempo il PSN ha potuto mobilitare simpatizzanti, tenere assemblee e indire manifestazioni. È persino riuscito a presentare alcuni candidati alle ultime elezioni federali in due cantoni, ma con esiti sostanzialmente fallimentari: Philippe Brennenstuhl si è presentato nel canton Vaud, dove ha preso 2.389 voti; il presidente del PSN di Berna, Dominic Lüthard, ne ha ottenuti 6.600, ma ha ugualmente mancato l’obiettivo. Diversi indizi fanno però supporre che il PSN fatichi a mantenere le sue capacità operative. Parecchi attivisti si sono ritirati ufficialmente dal partito, tra i quali uno dei capi più in vista, Michael Vonäsch, presidente della sezione di Willisau (LU). Benché affermi di poter “fondare nel canton Lucerna una forte sezione cantonale di un partito nazionale”, in realtà a Vonäsch resta solo la speranza di poter contare sulla collaborazione dei Democratici Svizzeri e di alcuni esponenti dei Giovani UDC. Proprio questa disponibilità di alcune frange dell’UDC irrita il suo presidente, Toni Brunner, preoccupato di mantenere credibile l’immagine della formazione di governo (oltre che di opposizione). In una recente intervista Brunner ha comunque ammesso senza troppi patemi che nell’UDC vi sono politici locali e nuovi iscritti che si lasciano andare a “espressioni estremistiche”, che il partito non può o non vuole imporre loro “museruole e divieti” e che “anche in futuro certi casi non si potranno escludere”.
l’uso del colore nero in quanto “segno della protesta, significa che non accettiamo la situazione attuale”, come spiega sulla sua pagina web il Volksbund Wasserschloss, che è il nome assunto in Svizzera dai Nazionalisti autonomi. Nella Svizzera tedesca sono attivi altri raggruppamenti: il Waldstätterbund e il Kameradschaft Innerschweiz che si muovono nella Svizzera centrale; la Gioventù elvetica nell’Oberland bernese; il Freie Nationalisten St.Gallen und Ostschweiz; un Aktionsbündnis Nordschweiz e un Heimatbewegung. Nella Svizzera romanda ci sono Les Jeunes Identitaires Genevois, che si ispirano al partito francese Les Identitaires. Due sconosciuti candidati degli identitari ginevrini hanno dovuto incassare uno smacco alle elezioni municipali del Grand-Saconnex, comune alla periferia di Ginevra. E ci sono i GNC, cioè il gruppo Genève non conforme, che tende a seguire le orme del movimento italiano CasaPound (dal nome del poeta e saggista statunitense Ezra Pound, ammiratore di Mussolini e del fascismo) e coltiva stretti rapporti con il suo capo, Gianluca Iannone. Benché sia un’organizzazione giovanile diffusa a livello nazionale, CasaPound ha il suo centro a Roma, dove ha fatto di un blocco di case presso la stazione Termini un centro culturale dal quale viene escluso chi non è di nazionalità italiana. Ma per completare il quadro non si può non accennare al tentativo di costituire un movimento di statura europea, chiamato appunto Europäische Aktion (EA), a opera di Bernhard Schaub, il noto negazionista svizzero. Schaub è riuscito a metter in piedi delle strutture in diversi paesi, nominando per ciascuno un responsabile nazionale (Landesleiter) e costituendo due uffici di informazione in Germania e in Austria. Gli obiettivi politici dell’EA sono: la soppressione in Svizzera della norma penale contro la discriminazione razziale, l’abolizione del divieto di ripresa delle attività naziste in Austria e la cancellazione del reato d’incitamento all’odio razziale in Germania. L’EA chiede inoltre il rimpatrio di tutti gli immigrati extraeuropei.
“In una recente intervista Brunner ha comunque ammesso senza troppi patemi che nell’UDC vi sono politici locali e nuovi iscritti che si lasciano andare a “espressioni estremistiche”, che il partito non può o non vuole imporre loro “museruole e divieti” e che “anche in futuro certi casi non si potranno escludere”
Geografia in nero Dopo l’uscita di Vonäsch e di altri attivisti dal PSN, la scena si è frantumata in tanti gruppi diversi. A Zurigo, per esempio, si sono manifestati per la prima volta i Nazionalisti autonomi, un movimento nato in Germania nel maggio 2008. Adottano abbigliamento e forme espressive della cultura giovanile della sinistra, cioè dei loro avversari e più precisamente del movimento di estrema sinistra Antifa. Indicativo, in tal senso,
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Valutazioni o sottovalutazioni? Occorre precisare che tutti questi gruppi fanno impressione più per le loro esternazioni verbali che per le azioni concrete. Con diverse pubblicazioni (ma soprattutto via web) diffondono idee razziste, antislamiche e antiebraiche. Fanno proprie e rilanciano le tesi revisioniste e negazioniste di Bernhard Schaub, di Gaston-Armand Amaudruz (che a 91 anni continua a produrre il suo “Courrier du Continent”), dei coniugi Mariette e Claude Paschoud, ma soprattutto di Ernst Indelkofer, redattore di “Recht+Freiheit”. Quest’ultima pubblicazione è edita da un certo Presseclub Schweiz e oltre a propagandare una concezione biologica del razzismo, pretende un blocco immediato di ogni immigrazione e il rimpatrio immediato dei sans-papiers e dei rifugiati politici. Infine, nel 2011 si sono verificati due avvenimenti che hanno accentuato anche in Svizzera la percezione dell’estremismo di (...)
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destra e del razzismo: la strage compiuta a Oslo dal norvegese Anders Behring Breivik e una serie di uccisioni in Germania per mano della cosiddetta “cellula di Zwickau” composta da membri dell’organizzazione terroristica Nationalistischer Untergrund (NSU). Il caso di Breivik ha attirato l’attenzione dei media su una rete internazionale di razzismo antislamico, mentre gli assassini dell’NSU hanno rivelato l’esistenza di un terrorismo di destra che, a quanto pare, i servizi segreti tedeschi hanno scientemente ignorato, fatto che ha indotto alle dimissioni Heinz Fromm, fino a luglio a capo della struttura di intelligence. In ambedue i casi, gli estremisti di destra svizzeri hanno cercato di prendere le distanze e di accreditare la tesi del complotto. Ma nel suo rapporto annuale il Servizio delle attività informative della Confederazione SIC afferma (a proposito dell’uccisione, a opera della “cellula di Zwickau”, di otto piccoli imprenditori turchi, di un greco e di una donna poliziotto) che “l’arma impiegata in nove omicidi è di fabbricazione ceca ed è stata venduta da un armaiolo svizzero”. Secondo il SIC, gli estremisti di destra in Svizzera non dovrebbero superare le 1.200 persone. Ma quanto sono realmente pericolose per la società? “Il numero in sé non dice niente sulla pericolosità di questi individui e gruppi”, afferma la sociologa Miryam Eser Davolio, collaboratrice scientifica della “Hochschule für Soziale Arbeit” di Basilea e specialista di movimenti giovanili estremistici. “Queste 1.200 persone vengono sorvegliate dalla polizia cantonale e federale e i reati commessi non riguardano soltanto la Svizzera, ma vengono compiuti spesso anche all’estero. Sarà interessante sapere a cosa porteranno le indagini attuali sui contatti di certi estremisti di destra svizzeri con la cellula di Zwickau, di cui hanno aiutato alcuni componenti a nascondersi in Svizzera, o sull’uccisione del rabbino in centro Zurigo nel 2001 eseguita con la stessa arma usata in più omicidi da membri della cellula di Zwickau. Finora non si sa niente di preciso, ma le indagini stanno sicuramente smuovendo la scena, soprattutto se certi personaggi cominceranno a parlare. Allora si capirà se anche da noi la pericolosità dell’estremismo di destra è stata sottovalutata, come è avvenuto in Germania”.
di Michele Galizia, responsabile del Servizio per la lotta al razzismo (SLR) presso il Dipartimento federale dell’interno: “L’attenzione del Servizio per la lotta al razzismo è focalizzata non sull’estremismo in quanto tale, ma sul razzismo e sulla coesione sociale”, premette Galizia. “I comportamenti razzistici possono portare a esplosioni di violenza, ma si esprimono più spesso con attacchi verbali e con forme di razzismo ordinario. Un clima sociale avvelenato da posizioni di estrema destra e xenofobe mette in pericolo non soltanto le persone riconoscibili come straniere, ma la società nel suo insieme. Espressioni istigatrici di politici isolati, come quelli del PSN, contribuiscono ad avvelenare il clima sociale senza offrire soluzioni per i problemi esistenti. Per la nostra società, la strategia di alcuni gruppi di estrema destra, che consiste nel diffondere le loro ideologie xenofobe mediante l’infiltrazione nel sistema democratico, è più pericolosa delle canagliate di qualche «testa rasata»”. Critica anche la visione di Miryam Eser Davolio: “È molto difficile e rischioso comparare l’estremismo di destra a quello di sinistra. Tuttavia sono in tutti e due i casi ideologie estremiste che portano alla violenza per rovesciare il sistema politico e instaurare il loro sistema di presunta giustizia. Queste idee portano al non rispetto sia dell’integrità e della vita altrui, sia della volontà e delle decisioni politiche della maggioranza. Da questo risulta che le idee sono altrettanto pericolose come gli atti di violenza perché strettamente collegati”. Sta di fatto che questi gruppi, se ne hanno occasione, menano volentieri le mani e fanno anche di peggio. Allora, la loro violenza su singoli individui è una minaccia reale per la sicurezza della società, o è un’esagerazione perché rimane circoscritta a sporadici episodi? “La violenza sulle persone, motivata da disprezzo umano e razzismo, è sempre un attacco diretto anche contro la nostra società”, è la risposta di Galiza, “perciò va condannata sempre e in modo inequivocabile, e in nessun caso può essere liquidata come una bazzecola”.
“Sarà interessante sapere a cosa porteranno le indagini attuali sui contatti di certi estremisti di destra svizzeri con la cellula di Zwickau, di cui hanno aiutato alcuni componenti a nascondersi in Svizzera, o sull’uccisione del rabbino in centro Zurigo nel 2001 eseguita con la stessa arma usata in più omicidi da membri della cellula di Zwickau”
Il vero pericolo Un’altra analisi del SIC, che potrebbe anche apparire sorprendente, è quella secondo cui i gruppi di estrema destra in Svizzera sarebbero meno violenti di quelli di estrema sinistra. Su base puramente statistica, scrive infatti il SIC, “attualmente si registrano azioni violente quasi esclusivamente da parte degli estremisti di sinistra, mentre l’estremismo violento di destra e l’estremismo animalista quasi non manifestano il loro potenziale di violenza”. Gli ambienti di estrema destra, insomma, tendono attualmente a cercare la clandestinità a causa, ipotizza il SIC, della “efficacia delle misure di prevenzione adottate con l’ampio consenso dell’opinione pubblica”. Ma forse le idee che fanno circolare sono ancor più pericolose della propensione alla violenza degli estremisti di destra. Questo è anche il parere
La cura A questo punto è inevitabile chiedersi di quali anticorpi disponga la società (la politica, la scuola, la famiglia) per ridurre al minimo la diffusione dell’estremismo e del razzismo. “Estremismo e razzismo attecchiscono perché si cercano soluzioni semplici a problemi sociali complessi” spiega Galizia. “Ne sono esempi le teorie del complotto, la politica del capro espiatorio, ecc. Una famiglia sana e una scuola responsabile devono avere l’obiettivo di formare persone adulte, dotate di senso critico e soprattutto di capacità autocritica, e che non temono il pluralismo e i contrasti che la vita implica. Non deve mai trattarsi di insegnare ed esigere comportamenti e opinioni prefabbricati rispetto alla politica, alla morale o alla religione, ma di promuovere la responsabilità personale e la partecipazione attiva alla vita della società. Il nostro sistema politico, federalistico e di democrazia diretta, è e rimane un baluardo contro le tendenze estremistiche. Dobbiamo averne la massima cura”.
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Un esempio virtuoso I “Proms”, abbreviazione di promenade concerts, sono stati definiti da Jiri Belohlavek, l’attuale direttore della BBC Symphony Orchestra, il più grande e democratico festival del mondo. Senz’altro il più originale e britannico si potrebbe aggiungere
di Oreste Bossini
Arti
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Nessuno
può pretendere di essere un vero londinese, se non è andato a sentire almeno una volta un Prom alla Royal Albert Hall. L’inventore dei Proms è stato un intraprendente e lungimirante impresario di nome Robert Newman, che nel 1895 decise di creare una serie di concerti estivi a prezzi molto accessibili e senza le formalità di comportamento che tenevano il pubblico popolare lontano dai teatri e dagli spettacoli musicali. I programmi presentavano un calderone incredibile di musiche di ogni tipo, dalle romanze da salotto alle trascrizioni per orchestra di pezzi celebri per pianoforte, dalle arie di opere popolari come Carmen e I pagliacci agli arrangiamenti dei Quintetti di Boccherini, da Mozart e Wagner a Charles Kenningham e Tito Mattei. Inoltre, il pubblico poteva entrare e girare a piacimento per la sala (non c’erano posti assegnati, anzi, non c’erano nemmeno le sedie), mangiando, bevendo e fumando come in un pub. Londra vantava una tradizione antica di spettacoli popolari all’aperto, che risaliva alla metà del Settecento. I Mozart, quando visitarono la città nel 1763, rimasero molto colpiti dall’industria dell’intrattenimento creata da impresari e artisti vari nei famosi Vauxhall Gardens, sulla riva sud del Tamigi, dove tutte le classi sociali avevano la possibilità di passare piacevoli ore ascoltando musica, mangiando e divertendosi nelle maniere più fantasiose. Newman però aveva in mente un progetto ben preciso, ovvero formare un pubblico di massa per la musica. La sua idea era di cominciare ad abituare le persone ad ascoltare un concerto senza farle sentire ignoranti o inadatte alle circostanze, introducendo poco alla volta programmi più impegnativi e musiche più moderne. Il progetto però aveva bisogno di un artista in grado di catturare l’attenzione del pubblico e di impegnarsi in un lavoro anche educativo. Newman trovò l’uomo che cercava in Henry Wood, un giovane musicista cresciuto nell’ambiente teatrale e conosciuto per il suo lavoro con le compagnie d’opera itineranti dell’epoca come la Carl Rosa Opera Company. Un fenomeno globale Wood era nato in Oxford Street, una delle vie più popolari di Londra, ed era animato come Newman dal desiderio di promuovere la nuova musica inglese. Con i suoi 26 anni e l’entusiasmo del sognatore, era perfetto per i nuovi Proms al Queen’s Hall, come apparve subito chiaro fin dal primo concerto del 10 agosto 1895. Per quasi cinquant’anni, fino al giorno della sua scomparsa nel 1944, Sir Henry Wood ha incarnato lo spirito e la tradizione dei Proms, che nel frattempo avevano subito molteplici trasformazioni. Newman era scomparso nel 1926, ma da molti anni l’impresa non era più nelle sue mani. Malgrado il grande successo della serie estiva, i Proms non riuscivano a reggersi solo con gli incassi e avevano bisogno di finanziatori esterni. Fino al 1914 la gestione dei Proms fu assicurata da Edgar Speyer, un banchiere di famiglia ebreotedesca appassionato di musica e amico di molti compositori fra cui Elgar, Strauss e Debussy. Allo scoppio della guerra però, una violenta campagna di stampa, venata di antisemitismo, costrinse Speyer a dimettersi a causa dei suoi rapporti econo-
La Royal Albert Hall, attuale sede dei Proms (immagine tratta da www.en.wikipedia.org)
mici con la Germania. La situazione dei Proms divenne sempre più incerta finché nel 1927, dopo la scomparsa di Newman, una nuova istituzione inglese, la BBC, decise di assumere la responsabilità del festival. I dirigenti della radio sentivano il dovere di usare il nuovo e potente mezzo di comunicazione per elevare il livello culturale del pubblico, quindi erano in perfetta sintonia con le linee di fondo dei Proms. Nel 1930 inoltre la BBC formò la propria orchestra, che da quel momento suonò anche per i Proms, tutti trasmessi in diretta dalla radio. Oggi il festival viene ascoltato grazie alla BBC in tutta Europa, attraverso il circuito radiofonico europeo, e molti concerti sono trasmessi in diretta anche in Australia e negli Usa. Musica per tutti In quasi 120 anni di vita, i Proms hanno chiuso i battenti soltanto nel 1942, quando il disastroso bombardamento di Londra aveva reso inagibile la vecchia sala da concerti del Queen’s Hall e non era stato possibile trovare per tempo un’altra sistemazione. Ma la musica era una maniera per dimostrare che la vita andava avanti e la nazione non era piegata, malgrado tutto. Gli studi della radio e l’orchestra trovarono posto in una cittadina a mezz’ora di treno da Londra e già l’anno successivo i Proms ripresero vita nella grande rotonda della Royal Albert Hall, dove all’epoca si svolgevano le manifestazioni più varie, dalle serate danzanti agli incontri di boxe. Da allora il festival ha trovato la sua sede definitiva, accentuando anche il carattere patriottico della rassegna, specie nel concerto di chiusura, il cosiddetto Last Night Concert, che termina rigorosamente con la celebre melodia di Elgar Land of Hope and Glory cantata in coro da migliaia di persone in un tripudio di
bandiere inglesi e l’esibizione delle più fantasiose espressioni del kitsch anglosassone. Il vecchio e glorioso Sir Henry Wood fece ancora in tempo a dirigere nella nuova sala, prima di salutare per sempre la sua amata Londra nel 1944. Il suo busto campeggia per tutta la durata del festival sul palcoscenico dell’Albert Hall, piazzato bene in vista di fianco al gigantesco organo a canne. Nessuno ha potuto sostituirlo nel cuore del pubblico, nemmeno l’azzimato Malcolm Sargent, direttore dei Proms fino al 1966, famoso per l’eleganza alla Bing Crosby e le efficaci parole rivolte al pubblico prima delle esecuzioni. Con il tempo il festival ha inglobato nuovi generi musicali e invitato artisti di ogni paese, divenendo la rassegna musicale più eterogenea e aperta al mondo contemporaneo. In questo i Proms manifestano un carattere profondamente british, nel senso che la pragmatica cultura anglosassone è sempre riuscita a coniugare il principio della conoscenza con il concetto di divulgazione, cercando un linguaggio semplice e diretto per esprimere qualunque tipo di concetto, anche il più complesso. Le astrazioni tipiche del mondo accademico continentale sono sempre rimaste estranee al metodo delle università inglesi, che infatti producono una eccellente letteratura saggistica adatta anche a un pubblico di non specialisti. Ma i Proms sono soprattutto lo specchio di un diverso atteggiamento nei confronti della musica. Il governo inglese infatti ha introdotto subito dopo la guerra, nel 1947, l’educazione musicale nella scuola del Regno. Ogni ragazzo ha la possibilità d’imparare a suonare uno strumento, non con la prospettiva di farne un mestiere, ma solo come mezzo di formazione della persona, alla pari della matematica o della letteratura. Come è giusto che sia.
Arti
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Letteratura in festival “Scrivere è tempo festivo opposto al verbo lavorare”. Come leggere. Forse per questo molti festival letterari si svolgono nel periodo estivo e all’aperto: un susseguirsi di incontri come in una “Festa mobile” di Alba Minadeo illustrazione di Elio Ferrario
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“Il libro dev’essere vento e aprire le tende”, dice un verso di Nazim Hikmet, citato da Erri De Luca lo scorso 7 giugno al Festival delle Letterature di Roma, nel suo appassionato intervento sulla scrittura. È proprio quello che fa il libro ai festival: esce dalle librerie e dalle case per ritrovare il suo autore attraverso i lettori. I festival letterari sono l’occasione per avvicinare i propri scrittori preferiti, parlare con loro, farsi scrivere una dedica, avere consigli, carpirne segreti. E agli scrittori, consente di conoscere e avvicinare i propri lettori. Durante i festival, cala il velo del mistero, l’artista diventa raggiungibile, familiare, si può condividere con lui un momento d’intimità con e senza la mediazione dell’opera d’arte. Per qualche giorno, lettori e scrittori fanno parte dello stesso ambiente, sono uniti dal medesimo moleskine e, tra un incontro e l’altro, possono sedere affiancati su una panchina o su un prato, a scrivere o a leggere. In Svizzera Quest’estate, in giro per l’Europa, si tengono diverse manifestazioni e fiere letterarie a cominciare dalla quinta edizione del Festival Rilke di Sierre, nel canton Vallese (17/19 agosto) che offre un centinaio di eventi artistici presso il Chateau Mercier. Musicisti, artisti visivi, fotografi e registi rivisitano il mondo di Rainer Maria Rilke, che qui visse: letture, passeggiate poetiche, caffè letterari, conferenze e spettacoli nel parco. Dal 13 al 16 settembre, a Bellinzona ha luogo la settima edizione di Babel il festival letterario della traduzione, che quest’anno ospita la Polonia, i suoi scrittori più rappresentativi e i relativi traduttori, trasmutatori alchemici di parole, sentimenti e pensieri da una lingua all’altra. Infine, un’anticipazione della stagione autunnale: dal 25 al 28 ottobre, si svolge Zurich Liest, la seconda edizione del festival internazionale del libro e della letteratura, con 140 eventi e 200 tra autori nazionali e stranieri, organizzato da Publishers Association ZBVV e dai librai zurighesi. in Italia… E sempre da un’idea dei librai nasce la Fiera del libro di Como, giunta alla sua cinquantanovesima edizione, ambientata in Piazza Cavour dal 27 agosto all’11 settembre, con letture,
incontri, presentazioni e laboratori. Parallelamente, presso Villa Olmo, ha luogo Parolario. Tema di quest’anno “Leggere il futuro”. Appuntamenti con scrittori, filosofi, giornalisti e studiosi – ma anche con il cinema e la poesia – sul tema del nuovo mondo globale, gli scenari della crisi economica, la convivenza o lo scontro tra le religioni e le culture, il futuro delle città. Il 5 settembre apre il Festivaletteratura di Mantova, uno degli eventi culturali italiani più attesi, che quest’anno deve fare i conti con le conseguenze del terremoto: le ripetute scosse hanno infatti danneggiato alcuni edifici storici del centro, rendendo inagibili alcune piazze. Ma il cartellone degli ospiti è come sempre molto ricco: cinque giorni di colloqui con autori, reading, spettacoli e concerti con artisti internazionali. Migliaia di persone si ritrovano a Mantova per vivere in un’atmosfera di festa un evento che, fin dalla prima edizione, si è caratterizzato per il rapporto diretto tra scrittori e pubblico. Infine, dal 19 al 23 settembre, Pordenonelegge: la tredicesima edizione della festa del libro con gli autori coniuga la leggerezza con la profondità, la provocazione con l’accademia. … e nel resto d’Europa La decima edizione dell’Internationales Literaturfestival di Berlino si apre il 4 settembre con l’invito a leggere ad alta voce, un’ora prima dell’inaugurazione, una prosa o una poesia in treno o in metropolitana, di fronte a casa o in un parco. Durante tutto l’anno, l’ILB organizza Worldwide reading a sostegno delle letterature di tutto il mondo. Dal 28 settembre al 7 ottobre, il sesto Appledore Book Festival nel Devon del Nord vede lettori e autori condividere la passione per la lettura, in una suggestiva cornice. E per finire, la Göteborg Book Fair, tra il 27 e il 30 settembre presso il centro congressi della città svedese, è il crocevia più importante della letteratura dei paesi nordici. Nata nel 1985, l’ultimo anno la manifestazione ha registrato oltre centomila visite nel giro di quattro giorni. Finita l’epoca in cui si poteva incontrare Hemingway ai tavolini di un bistrot di Montparnasse, non vi resta che partire per il festival che fa per voi. Senza dimenticare di portare un libro.
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Occhi giovani
» di Roberto Roveda
Un libro dedicato ai ragazzi di oggi, a coloro che nel batter d’oc- un libro sui giovani, ma un libro per i giovani, scritto per essere chio di qualche stagione saranno adulti e che già cominciano ad apprezzato e compreso fino in fondo da chi ha l’età dei protaaffrontare i problemi e le difficoltà che la vita inevitabilmente gonisti dei racconti. Un esempio quindi di letteratura destinata presenta. Sei racconti per provare a racconai giovani e pensata specificamente per loro. tare le emozioni, le paure, le ansie di fronte Allo stesso tempo Monica Piffaretti è ben al futuro di adolescenti come ce ne sono consapevole delle difficoltà che ogni adulto tanti attorno a noi. Adolescenti spesso alla – anche e soprattutto se è genitore oppure ricerca di loro stessi e di un senso profondo se opera nella scuola – ha nella relazione da dare all’esistenza, nonostante il mondo con gli adolescenti e pare voler spingere il e la società che li circonda spesso facciano lettore più “grande” a guardare con coragdi tutto per remare contro. Ragazzi che ce la gio oltre l’apparenza. Dietro il chiassare e i fanno o che falliscono, oppure che devono modi poco urbani di tanti ragazzi, infatti, percorrere ancora ulteriore strada per capire si nascondono valori forti come l’amicizia, se hanno imboccato la via giusta e se esiste il rispetto per il coraggio e la parola data, il un lieto fine anche per loro. senso di giustizia. Valori non ancora conCosì si presentano le storie raccolte in La formati – o anestetizzati – dal mondo degli panchina di Samarcanda opera prima di adulti, valori interpretati con la purezza e Monica Piffaretti, a lungo direttrice de “lal’ingenuità di chi non ha ancora assaporato Regione Ticino” e oggi giornalista freelance del tutto il cinismo dell’esistenza. Monica Piffaretti e soprattutto mamma praticamente a tempo Un libro piacevolmente positivo, avvolto La panchina di Samarcanda pieno. Sei storie, di cui la prima dà il titolo in uno sguardo che ci sentiamo di definire SalvioniEdizioni, 2009 alla raccolta, in cui si apprezza soprattutto materno, carico di comprensione e partecilo sforzo, davvero costante, di decifrare l’universo adolescen- pazione, uno sguardo espresso, come dichiara l’autrice stessa, ziale, provando a parlare la lingua dei ragazzi e cercando il in “racconti di tanta umanità. Quella di ragazzi e ragazze in grande più possibile di immedesimarsi nei loro stati d’animo. Così ci divenire, tesi tra famiglia e il mare aperto della vita, alla difficile accorgiamo, pagina dopo pagina, che l’autrice non scrive solo ricerca della loro strada”.
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La mistica dello sport In tempo di grandi manifestazioni sportive i luoghi comuni sullo sport si sprecano. Ma c’è anche chi vi legge soprattutto l’avvilimento della società, il nichilismo e la mera competizione di Marco Jeitziner
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Da oltre cinquant’anni siamo abituati alle sbornie sportive, spesso a scapito di ogni riflessione critica. Il primo paradosso è che se ne parla più di quanto non lo si pratichi e il canton Ticino, in tal senso, non fa una bella figura rispetto al resto del paese: da noi il livello di attività è “chiaramente al di sotto della media svizzera” e “negli ultimi otto anni non è aumentata”.1 I milioni di adepti e di tesserati alle società sportive nel mondo non sono nulla rispetto ai miliardi di passivi e sedentari spettatori. Un secondo paradosso è che se ne parla di più di quanto non si faccia (o almeno si dovrebbe fare) per l’economia, la finanza e i suoi disastri, l’ecologia, la cultura; nei quotidiani, ogni giorno, vengono pubblicate pagine e pagine sullo sport – il lunedì non è raro trovare oltre un terzo dei giornali dedicato al calcio, al tennis, al motociclismo, ecc. –, le reti televisive trasmettono ore e ore di chiacchiere, e non solo la domenica. Qualcosa forse non funziona… Lo sport come pretesto Politici, educatori e professionisti amano ripetere fino alla noia che lo sport è socializzazione, crescita personale, benessere fisico e mentale, ecc. Sono luoghi comuni, politicamente corretti, ma dimenticano che nello sport si nasconde anche il male: competizione esasperata, culto del corpo, danni fisici, brutte storie di pedofilia (come ben sanno nel Bellinzonese), corruzione, speculazione, droghe e farmaci illegali, razzismo (si veda il fattaccio del rossocrociato Michel Morganella); violenza dentro e fuori gli stadi. Lo sport infatti è un “fatto sociale totale”, come sostengono i sociologi, perché contempla tutti gli aspetti di una specifica cultura. Parlare solo bene dello sport è dunque non solo riduttivo, ma anche fuorviante: oggi professionismo, sport di massa e attività ludico-emozionale sembrano solo dei pretesti per tentare di soddisfare aspirazioni moderne ben più potenti: estetica, fama, denaro. Per questo, afferma per esempio Robert Redeker, scrittore e filosofo francese, “con lo sport si crede di risolvere quello che non si vuole risolvere con la politica e il sociale”.2 Un caso: il ricorrente problema del razzismo che i politici non sanno più come affrontare. A tal riguardo, ci illudiamo che la presenza di minoranze etniche in una squadra di pallacanestro dimostri una “integrazione riuscita”. Oppure si fa credere che si possa risolvere l’emarginazione sociale facendo giocare tutti a pallone. Sappiamo che non è così e i risultati di questi messaggi superficiali sono davanti ai nostri occhi o, se volete, dentro lo schermo. Cerimonia della bestialità Siamo in un periodo di cosiddetti “eventi maggiori”: gli Europei di calcio da poco passati e ora le Olimpiadi inglesi. Fenomeni
capaci di “fermare il mondo”, catalizzare miliardi di teste ma che, di “maggiore”, hanno ben poco. Prendiamo il calcio, attività regina e incontestata del circo sociale e mediatico. Da esso, scrive Redeker, “non discende alcun messaggio spirituale o culturale, nessuna speranza per l’umanità, nessuna promessa per il miglioramento della sua condizione. Si celebra soltanto il culto dei marchi pubblicitari e la legge del più forte”. Lo abbiamo visto col razzismo, lo si potrebbe fare con la violenza, oppure pensiamo soltanto alla discriminazione nei confronti della donna. Si interroga Redeker: “in cosa lo sport in generale, e il mondiale di calcio in particolare, ha fatto progredire la causa delle donne?”. Il fatto che le donne possano praticarlo da oltre un secolo e riferirne (da poco) ovviamente non c’entra nulla, poiché durante questi eventi permane lo sfruttamento sessuale, la disparità mediatica e salariale della donna rispetto ai colleghi maschi. Sì, proprio quei “damerini” viziati e vanitosi, campioni semmai della simulazione, assurti a semi-dei dello stadio. Secondo Redeker sono più il risultato di una “proiezione mistificatrice di una società di schiavi salariati”, perché capaci di incarnare “i sogni di successo di una massa di diseredati, di esclusi e di falliti”, che non l’espressione di modelli di vita positivi o di eroi contemporanei. Cosa ci sarà mai di educativo nello stipendiarli milioni di euro al mese, cioè quanto una persona comune non guadagnerà mai in tutta la sua vita? Cosa di edificante nel veder passare gran parte della vita un giocatore prendere a bastonate un disco di gomma sul ghiaccio? “Una società dominata dalla passione sportiva è una società rosicchiata dal vuoto, dalla noia, dall’alienazione e dell’istupidimento populista” tuona il sociologo francese Jean-Marie Brohm.3 Gli fa eco il collega Michel Caillat per il quale “l’immagine di questi sportivi, appassionati dalla sofferenza, è un segno più vicino alla regressione, se non alla barbarie, che non all’idea del progresso della civilizzazione”.4 Il recente pestaggio di un calciatore italiano da parte del suo allenatore suggerisce qualcosa a qualcuno? Giornalisti adulatori Complice di questo degrado – non me ne vogliano i diretti interessati – il giornalismo sportivo e tutti i suoi simpatici ma servili accoliti e protagonisti (cronisti, inviati, commentatori, ecc.), potenti amplificatori di questa notevole pochezza. A loro si rivolge il collega svizzero tedesco, docente di filosofia e teoria dei media Ludwig Hasler: “È proprio necessario osannare e trasformare in idolo sportivo ogni adolescente immaturo che si cela dietro l’atleta?”.5 Certo che no, ma loro lo fanno lo stesso. “Con il loro penoso bla bla e parlottio senza senso”, scrive Hasler, sono solo capaci di mistificare un tennista già ricco e famoso, mentre magari ignorano una talentuosa pallavolista o un fondista, solo perché
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Manifesto di una campagna di sensibilizzazione contro il razzismo nello sport del 2006 (www.osocio.org)
“figli di uno sport minore”. Alla loro cieca adorazione verso i divi dello sport, contrappongono la frequente sedentarietà e, a volte, la frustrazione di sportivi mancati. Per far parte della loro “casta” non serve nessuna particolare qualifica, ma solo tanta ossessiva passione. Tutti loro, indipendentemente dalla maggiore o minore capacità professionale, in fondo dedicano il loro tempo a personaggi che, continua Hasler, “non producono niente ma si limitano a lavorare sul loro corpo” sprecando energie, “ma inutilmente”. A volte questi “sognatori e distributori d’onirismo populista”, come definisce Brohm i cronisti, sottacciono e sminuiscono realtà gravi e incontestabili dello sport, timorosi di
uscire dal giro che conta. Cosa accadrebbe se non ci fosse tutta questa attenzione mediatica sullo sport? Di sicuro avremmo molto più tempo libero. note 1 “Sport nel canton Ticino”, Lamprecht e altri, Observatorium Sport und Bewgung Schweiz, Zurigo, 2008. 2 R. Redeker, Lo sport contro l’uomo, Città Aperta, 2003. 3 Jean-Marie Brohm, La tyrannie sportive - théorie critique d’un opium du peuple, Ed. Beauchesne, 2006. 4 http://mouvement.critique.du.sport.chez-alice.fr/pages/accueil.htm 5 “La passione del corpo e la freddezza del denaro”, testo tratto dal convegno “Sport e Servizio pubblico”, Bienne, 18 settembre 2010.
» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Reza Khatir
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Heike Cantori-Wallbaum
Vitae
l’antroposofia, è una moderna via di ricerca spirituale. Non ti fornisce delle risposte del tipo “abc”, né ti obbliga a seguire delle particolari credenze, ma è una continua ricerca. Ogni individuo che incontro nel mio lavoro rappresenta una nuova sfida. Per questo il mio mestiere non è mai noioso o ripetitivo. Adesso ho uno studio dove le persone arrivano grazie al passaparola. Inoltre lavoro nel settore del sostegno alla scuola Steiner di Origlio, collaboro regolarmente con l’Istituto San Nicolao e naturalmente non ho messo da parte i progetti artistici: ultimamente con un gruppo di bambini dai 4 ai 12 anni Euritmista e terapeuta, è consapevole abbiamo messo in scena la però dell’importanza del lato umoristico e fiaba di Cappuccetto Rosso... gioioso della vita. Perché l’essere umano L’euritmia, che quest’anno festeggia i 100 anni, è nae il suo spirito non devono essere perce- ta come arte del movimento piti come un pesante macigno ai tempi di Isadora Duncan, quando si cercava di trovare che allora era a Bioggio. Facequalcosa che potesse superare il balletto vo l’insegnante e tenevo corsi classico. In un secondo momento si è visto un po’ in tutto il cantone. che la sua pratica poteva avere anche un vaQuando ho finalmente decilore pedagogico. Per esempio fornisce spunti so di dedicarmi all’euritmia molto validi per aiutare i ragazzi nella loro terapeutica, mi sono recata a crescita, tant’è vero che nelle scuole Steiner Londra dove ho seguito per è diventata materia obbligatoria dall’asilo tre anni una scuola per la al liceo. Anche a livello sociale può fornire specializzazione. In seguito contributi molto validi, perché attraverso i sono tornata in Ticino e da suoi esercizi tale dimensione si sviluppa in quel momento ho continuato maniera naturale. L’ultimo ramo a essersi a svolgere il lavoro che faccio sviluppato nell’euritmia, con il lavoro di ancora oggi. Nel frattempo, Rudolf Steiner e di Ita Wegman, è quello nel 1995, mi sono sposata e terapeutico, che all’inizio era divulgato in poi è nato mio figlio. particolare attraverso corsi per medici, i quali Se all’inizio ero molto orienpotevano poi fare questi esercizi con i loro tata verso l’euritmia per il palpazienti. I meccanismi dell’autoguarigione coscenico, la collaborazione ne risultavano così favoriti, perché lavorando con l’Istituto La Stella, dove attivamente sulle forze vitali il paziente parteho lavorato con bambini dicipa al processo in prima persona. In questo versamente abili, e l’esperiensenso bisogna precisare che l’euritmia non za della maternità mi hanno sostituisce la medicina ufficiale, ma la comaiutata a conoscere tutto un pleta e la arricchisce. Si tratta di una terapia mondo maggiormente rivolto fatta di movimenti dolci, che a livello fisico verso l’intimità e l’interiorità. aiutano a trovare un equilibrio tra sopra, Attraverso queste esperienze sotto, destra, sinistra, davanti, dietro, ma che ho incontrato persone che soprattutto favorisce il fluire e all’armonia tra non si limitano a ragionare interiorità ed esteriorità. e a giudicare con la testa, ma Le funzioni fisiologiche, composte da ritmi che seguono il cuore e sanno complicatissimi, possono essere pensate coapprezzare le cose in modo me un’orchestra di cui noi siamo il direttore. diretto. Loro non conoscoSi può così vedere il corpo come un insieme no barriere verso i contenuti di flauti, arpe, violini, violoncelli, contrabspirituali, verso quello che bassi e percussioni. Se uno strumento stona, non si può vedere. E secondo nasce il disagio: ecco perché anche nell’essere me l’euritmia, come anche umano l’armonia è tanto importante.
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ono nata in Germania, in campagna, vicino a Stoccarda, e ho due fratelli. I miei genitori ci hanno iscritti tutti e tre alla scuola Steiner: sono convinta che questa possibilità sia stata una grande opportunità, perché ancora oggi mi rendo conto del valore di quel periodo. Dopo il liceo, il mio desiderio era di fare qualcosa di artistico, lavorare nel teatro a Vienna o qualcosa del genere. Quando avevo 19 anni, al Teatro dell’Opera di Stoccarda ho assistito a uno spettacolo di euritmia guidato da Else Klink, un’allieva diretta di Rudolf e Marie Steiner, che mi ha talmente colpito per la sua bellezza e la sua totalità da farmi dire: “Voglio fare questo”. All’epoca era molto difficile entrare nella sua accademia: c’erano molti candidati provenienti da ogni angolo del mondo. Io però ci sono comunque riuscita e nel 1987 ho completato gli studi, che erano assai impegnativi. Nel frattempo avevo anche coltivato l’idea di specializzarmi in euritmia terapeutica. A 18 anni in effetti avevo lavorato per due mesi nella Filderklinik di Stoccarda, ottenendo un piccolo diploma come aiuto infermiera che da studente mi permetteva di guadagnare qualche soldo durante l’estate. Lì avevo potuto constatare come l’euritmia terapeutica venisse applicata nei vari reparti. Nel frattempo il destino mi aveva condotta a Roma, dove ho vissuto per tre anni, tenendo tra le altre cose corsi di euritmia, mentre nasceva in me l’amore per l’Italia. A quell’epoca ero interessata soprattutto alla parte scenica dell’euritmia, per cui lavoravo con un gruppo artistico e organizzavo spettacoli. Dopo il periodo romano, sono tornata per breve tempo a Stoccarda, prima di ricevere una proposta di trasferirmi in Ticino che, visto quanto mi mancavano la cultura e la lingua italiane, ho accettato al volo. Qui ho collaborato con la scuola Steiner che ora si trova a Origlio, ma
“Il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comperato e allevato; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia� (Bibbia, Secondo libro di Samuele 12,3)
Bestiarium
di Roberto Roveda; fotografie di Didier Ruef
sopra: Iraq, Kufa (2004); in apertura: Germania, Europa Park (2010)
in questa pagina Azerbaijan, Regione di Baku; 2007 (sopra) Russia, Krasnodar; 1993 (in mezzo) Svizzera, stazione sciistica di Verbier; 2012 (sotto)
in questa pagina Ethiopia; 2010 (sinistra) Spagna, Ibiza; 1999 (sopra) Svizzera, Zurigo; 1988 (sotto)
M
i capita di ripensare a una poesia di Umberto Saba, studiata negli anni del liceo: “Ho parlato a una capra. / Era sola sul prato, era legata. / Sazia d’erba, bagnata / dalla pioggia, belava. / Quell’uguale belato era fraterno / al mio dolore. Ed io risposi, prima / per celia, poi perché il dolore è eterno, / ha una voce e non varia. / Questa voce sentiva / gemere in una capra solitaria. / In una capra dal viso semita / sentiva querelarsi ogni altro male, / ogni altra vita”1. Risento, ogni volta che ripercorro dentro di me quei versi, la geniale intuizione del poeta che elegge un’umile “bestia”, una capra, a rappresentare il comune destino del mondo umano e di quello animale. E sento che il poeta ha colto una verità profonda: l’esistenza di una fraternità tra tutte le creature viventi.
Svizzera, Valle di Lauterbrunnen (1993)
Una verità, però, difficile da declinare nel nostro mondo attuale, così artificiale e disabituato al contatto con l’animalità. Certo l’intuizione di Saba era molto più comprensibile e immediata per i nostri antenati, che vivevano una sorte di simbiosi con le loro bestie. Uomini che vedevano giorno dopo giorno il mulo portare la soma e che condividevano il pavimento di casa e la corte con le galline. Per questi esseri umani gli animali erano vita, destino e speranza di sopravvivenza. Ritornati a casa dopo una lunga assenza, per guerra o per un viaggio, per prima cosa andavano a vedere come stavano le “bestie” se tutto procedeva bene, poi c’era il tempo per il parentame umano. Gli animali erano allora al centro della vita dell’uomo, faticavano con lui e al suo posto, morivano per lui in riti propiziatori, in battaglia o semplicemente ruotando su uno spiedo. Con
questa fraterna convivenza si spiega il bestiario immaginario e l’immaginario bestiale che è sedimentato dentro di noi e fa sì che uno studente incapace sia per tutti un asino e una persona infida un serpente. O ancora che un affarista senza scrupoli sia uno squalo. Un immaginario che associa il leone al coraggio, la volpe all’astuzia, la colomba alla pace. Tutti arbitrari antropomorfismi, cioè attribuzioni ad animali di caratteristiche e qualità umane, di vizi e virtù che appartengono solo a noi “raziocinanti” e che le bestie ignorano del tutto, ma tant’è: l’uomo domina da sempre e la sua natura egocentrica non è certo una sorpresa. Anche se, a parer mio, le cose stanno oggi peggio di ieri, soprattutto per le povere bestie. Kazakistan, Mare di Aral (2008)
La dignità di essere bestia Certo gli animali oggi non vengono più stremati dalla fatica del lavoro come in passato, però poi mi vengono in mente certe stalle e certi allevamenti di polli in batteria, pensati per razionalizzare la produzione. Mi viene in mente la tristezza di certi giardini zoologici e soprattutto quello che vedo ogni giorno nelle vie delle nostre città. Cioè animali a cui è negata la dignità di essere bestie, tra toelettature e fiocchetti, tra cappottini e scarpette ai piedi per il freddo. Bestiole divenute strumenti per fare compagnia alle nostre stressate frustrazioni, peluche che funzionano fino a che rispettano i ritmi della vita moderna, vacanze comprese. Ho così l’impressione che la fraternità cantata da Saba si sia annacquata e che pur pensando di amare le bestie più di ieri noi moderni non cogliamo più l’essenza di questi esseri, la loro anima. Certo, l’anima, perché scandalizzarsi? Il termine “animale” deriva da questa parola, dal soffio vitale che spira in ogni creatura e la rende cosciente di esistere e “l’animale, compagno di tante solitudini, di tante tristezze, in misura varia secondo la sua coscienza – affermo e ripeto «coscienza» – ci accompagnerà anche nell’altra vita”2. Certo, ci si può credere o no all’anima, essere d’accordo oppure no sul fatto che le bestie ne siano provviste, però la tradizione araba insegna da sempre che il dromedario, animale fiero, battagliero, coraggioso oltre ogni limite, capisce quando sta per morire e guarda in quel momento il suo padrone. E i suoi occhi si riempiono di lacrime. note 1 “La capra”, dalla sezione Casa e campagna (1909-1910) del Canzoniere di Umberto Saba 2 Paolo De Benedetti, Teologia degli animali, Morcelliana (2007), pag. 55.
Didier Ruef Fotografo documetarista e fotoreporter, ha pubblicato per importanti testate (“Time”, “The Observer Magazine”, “Daily Telegraph”, “Le Monde”, “Der Speigel”, “Neue Zürcher Zeitung”). Ha collaborato con Médecins sans Frontières, il Fondo Globale e la Fondazione Syngenta. Dal 1991 è stato coinvolto in un progetto sul tema degli sprechi e dei rifiuti dal quale è nato anche un libro (Recycle, Casagrande, 2011). Per informazioni: www.dididierruef.com.
Le fotografie presenti in queste pagine sono tratte da Bestiarium volume pubblicato da QTI (Tascabili di fotografia nella Svizzera italiana), 2012
Villa Melzi d’Eril. L’invenzione ottica di Stefania Briccola; fotografie di Flavia Leuenberger
Luoghi
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Un gioco di luci e ombre, sospeso tra mistero e stupore, caratterizza il parco romantico di villa Melzi d’Eril a Bellagio, sul lago di Como. Nell’armonioso susseguirsi di elementi naturali e artificiali, tra cui grotte, alberi secolari, tempietti e cespugli, spiccano le prospettive dei prati che si allungano verso le acque del Lario. Questo gioiello verde fu realizzato nella prima metà dell’Ottocento dall’architetto svizzero Luigi Canonica con l’aiuto del botanico Luigi Villoresi per fare da contorno alla residenza estiva di Francesco Melzi d’Eril, amico di Napoleone e vicepresidente della Repubblica italiana dal 1802 al 1805. La dimora nobiliare dalle forme neoclassiche, sormontata da un promontorio e affacciata al lago, reca la firma del ticinese Giocondo Albertolli e sfoggia linee semplici e rigorose, scandite dal ritmo di ampie finestre e cornicioni, e un tetto sul quale svettano pittoreschi camini. Romantico e all’inglese “Il parco di villa Melzi d’Eril”, nota il paesaggista Emilio Trabella, presidente della Società ortofloricola comense, “è l’unico giardino romantico all’inglese del lago di Como che quasi per incanto si è mantenuto nel tempo anche grazie alla valorizzazione filologica portata avanti dalla famiglia Gallarati Scotti. A livello paesaggistico risalta l’invenzione ottica della dilatazione dello spazio verde, in realtà limitato, tra la collina e lo specchio d’acqua”. Il percorso suggerito inizia sulla sinistra dalla grotta artificiale piuttosto buia che introduce il visitatore nell’atmosfera romantica e si apre su un laghetto giapponese ricco di ninfee, simile a un dipinto di Monet, sovrastato da un ponticello e circondato da lecci e azalee gigantesche. All’uscita si incontrano due grandi patriarchi verdi, una sequoia americana (Sequoia sempervirens) e una quercia (Quercus ruber) che invitano
a osservare le prospettive verdi che si protendono sulle acque del lago. Poco oltre, al limitare della riva, un chiosco in stile moresco, presidiato da guardinghi cipressi neri, custodisce i busti degli imperatori d’Austria Ferdinando I e Marianna di Savoia e del duca Ludovico Melzi con la consorte Josephine Barbò. Proprio di fronte al tempietto romantico si trova la scultura di Giambattista Comolli, dedicata a Dante e Beatrice e fonte di ispirazione per Franz Liszt che fu ospite della villa e compose una celebre sonata. Poco lontano si incontra un maestoso pino di Montezuma (Pinus montezuma) che ha sostituito quello regalato dall’imperatore del Messico ai duchi Melzi d’Eril nel 1838 quando tennero l’ultima grande festa con i regnanti di mezza Europa. In questa zona spicca anche la canfora secolare (Cinnamomum canphora) con le sue foglie aromatiche.
Scambio di talee “Le essenze rare presenti nel parco”, spiega Emilio Trabella, “testimoniano la moda del Grand Tour di scambiarsi talee appena radicate di piante importate dall’Oriente che venivano messe a dimora”. La passeggiata a lago continua all’ombra dei platani magistralmente potati a ombrello e termina in un ampio spiazzo. Ed ecco la facciata della villa con una scalinata a doppia rampa presidiata da quattro leoni di gusto egizio, assai di moda ai tempi di Napoleone, e il superbo ninfeo ricco di Nelubium nucifera con sculture. Più avanti, prima della cappella gentilizia progettata da Giocondo Albertolli, ci sono alcuni cipressi calvi della Florida che sono qui da oltre duecento anni con le radici a mollo. “Sono esemplari molto longevi di Taxodium disticum” osserva Trabella, “unici sul lago di Como. Hanno un fusto stretto e particolari radici austorie che fuoriescono dall’acqua”. Con l’arrivo alla cappella, ricca di decori, sculture e meraviglie come la porta del Bramante, si giunge al limite sud del parco. Poco lontano c’è un fitto boschetto di bambù neri e bianchi. Molte sono ancora le piante esotiche e secolari da scoprire nel percorso che ora si svolge nella parte alta del parco. Vi attendono verso la villa un cedro del Libano e uno straordinario esemplare di Cornus brachipoda, dai rami orizzontali e dalle foglie variegate. Per non parlare delle Olea fragrans plurisecolari dietro la nobile dimora e della palma centenaria (Iubea chilensis) fuori dall’orangerie, adibita a museo con reperti archeologici e cimeli napoleonici. Ritornando verso l’ingresso si incontrano un Fagus sylvatica asplenifolia con foglie seghettate e lanceolate, un Gingko Biloba di antica origine cinese, gli aceri giapponesi in prossimità del laghetto e infine i lecci.
per saperne di più Un testo interessante dedicato a questa forma di progettazione è Micro Architecture di Richard Horden, (Thames&Hudson, 2008). Sempre sullo stesso argomento, consigliamo anche l’antologia di microarchitetture Spacecraft di Lukas Feiress e Robert Klanten (Die Gestalten Verlag, 2007).
M i c r o a r c h i t e t t u r e Tendenze p. 48 – 49 | di Francesca Ajmar
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el 1951, durante una cena in occasione del suo compleanno, Le Corbusier regalò alla moglie lo schizzo di un progetto per una piccola, anzi minuscola, casa al mare che l’anno successivo realizzò a RoquebruneCap-Martin, nei pressi di Mentone (Francia). Si trattava quasi di un capanno, “Le Cabanon” appunto, in legno grezzo: pino per l’esterno, quercia per l’interno, compensato di ottima fattura per le pareti, e noce per il tavolo. La pianta (meno di 16 m2) era estremamente essenziale ma trasformabile, e gli arredi, incorporati nella costruzione stessa, pensati già in modo multifunzionale. Le Corbusier, parlando dell’origine del progetto, diceva: “A un uomo in vacanza non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del sole che risplende sul mare”. In questa sua affermazione troviamo già molte linee guida della futura progettazione di microarchitetture, in cui la strettissima relazione tra architettura e industrial design viene messa al servizio delle esigenze dell’utente e dove la divisione dello spazio, sia interno sia esterno, è anzitutto funzionale.
Razionalizzazione e abbattimento dei consumi Il rapporto con l’esterno è spesso diretto e pensato a valorizzare, laddove siano presenti, elementi paesaggistici di rilievo. Alcuni di questi progetti sono stati generati proprio in relazione a un contesto ambientale particolarmente suggestivo: ampie vetrate o la presenza di verande per dare continuità spaziale e visiva tra interno ed esterno, o al contrario, una relativa chiusura dello spazio interno attraverso un uso limitato delle aperture. L’utilizzo di materiali altamente tecnologici – spesso presi “in prestito” per leggerezza e resistenza dall’industria aerospaziale o nautica – oltre a una particolare cura degli aspetti impiantistici, fanno sì che si guardi a questi progetti con sempre maggiore attenzione, poiché spesso rappresentano l’applicazione pratica, non solo in campo residenziale, di sistemi tecnologici altamente evoluti. Molta importanza viene data sia alla riciclabilità dei materiali sia all’autosussistenza a livello energetico e al consumo d’acqua. Diverse microarchitetture sono infatti progettate per luoghi in cui sarebbe impossibile l’allacciamento sia a reti idriche che elettriche, e la loro completa autonomia le rende da questo punto di vista un settore di punta sia per la ricerca che per le imprese del settore costruttivo che stanno cercando soluzioni alternative in grado di soddisfare le nuove tendenze nell’ambito dei consumi energetici.
Esempio no. 1 Un progetto molto interessante è certamente “Capa&DST” di Cannatá&Fernandes, presentato alla Fiera dei Materiali di Porto nel 2003. “Capa” è un’unità abitativa, mentre “DST” è un piccolo bar. L’idea di base che accomuna le due realizzazioni è la completa autosufficienza, ovvero non è richiesto alcun allacciamento alla rete urbana. L’unità è pensata sostanzialmente in due parti: un ampio basamento che ancora la struttura al terreno, e il volume superiore per le esigenze funzionali degli utenti. La base contiene tutti gli impianti, la caldaia, la batteria che fornisce tre giorni di autonomia energetica, e una cisterna per 50 litri d’acqua, a cui è collegato un sofisticato sistema di depurazione. Lo spazio superiore invece, molto curato sia per gli arredi che per funzionalità spaziale, fornisce in soli 27 m2 un alto livello di comfort. Sulla copertura, un grande pannello fotovoltaico fornisce l’energia elettrica, ottimizzata anche da elettrodomestici a basso consumo energetico, oltre che da luci a led.
Esempio no. 2 Un altro esempio di grande rilievo è quello realizzato nel 2005 a Monaco di Baviera per un villaggio di studenti: si tratta della “MicroCompactHome” il cui progettista, Richard Horden, da alcuni anni tiene un corso di Progettazione di Microarchitetture presso la Munich Technical University (MTU). Si tratta di un cubo di 2,65 metri di lato, con struttura in alluminio e legno, che offre ai suoi occupanti, in soli 7 m2, due letti, un tavolo per 4 persone, un bagno con doccia, una zona cottura e un piccolo deposito. Gli arredi sono ribaltabili e multifunzione. Due pannelli fotovoltaici sulla copertura forniscono gran parte dell’energia, e un piccolo generatore eolico a turbina, fissato su un’asta verticale, produce energia anche durante le ore notturne. Lampade a led e un ottimo isolamento termico riducono notevolmente il consumo energetico. Essendo aggregabile ad altre strutture dello stesso tipo permette di creare in tempi molto rapidi interi villaggi, come è accaduto per l’ “O2 Student Village” a Monaco. La sua leggerezza inoltre lo rende facilmente trasportabile, e non necessita di fondazioni.
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Con Marte e Saturno in opposizione la metà di agosto viene segnata dalle grandi sfide. Non tergiversate. Mercurio positivo per i nati in marzo. Favoriti spostamenti e nuovi contatti. Novità professionali.
Superlativo aspetto tra Plutone e Venere nella settimana di Ferragosto. Approfittate di questo transito per circondarvi di prosperità e abbondanza. Bene in riva al mare tra il 14 e il 15. Parlate di meno.
Ferragosto ricco di incontri, colpi di fulmine e relazioni sociali grazie ai buoni aspetti con Mercurio e Marte. Vacanze all’insegna dell’edonismo e del lusso. Particolarmente attivi i nati nella terza decade.
15 agosto segnato da Marte e da Saturno in quadratura. Fase di rottura con la famiglia di origine. Se volete fare spazio al nuovo dovete iniziare dai cassetti di casa vostra. Giornate critiche il 14 e il 15 agosto.
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Ferragosto segnato dai nuovi incontri. Grazie a Mercurio vi sentite pronti ad aprirvi verso qualunque forma di nuova comunicazione. Marte e Saturno favorevoli per i nati nella terza decade. Progetto a lungo termine.
Tra il 14 e il 15 agosto la Luna si troverà nel segno del Cancro insieme a Venere. Momento favorevole per gli incontri sentimentali. Grazie al proprio fascino tutto può esser possibile. Opportunità professionali.
Con Saturno e Marte in congiunzione è impossibile non esser punti nell’orgoglio. Con Urano e Plutone retrogradi, in reciproca quadratura, dovete procedere quanto prima a un rapido reset di ogni iniziativa.
Grazie a Venere e alla Luna in Cancro la settimana di Ferragosto si apre sotto i migliori auspici per la vostra vita sentimentale. Atteggiamenti comunque istrionici favoriti dall’arrivo di Mercurio nel Leone.
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Opportunità e colpi di genio stimolati dal transito di Urano nella quinta casa solare. Colpi di fulmine e inaspettati incontri con geni creativi. Grazie a Mercurio siete pronti a recepire qualunque informazione.
Tra il 14 sera e il 15 agosto la Luna si troverà in opposizione e quindi un po’ di tranquillità non potrà che farvi bene. Inquieti ma passionali i nati nella prima decade. Galeotte le atmosfere in riva al mare.
Grazie a un viaggio, una nuova iniziativa potrebbe rapidamente prendere corso gettando le basi per un progetto a lungo termine. Giove e Mercurio favorevoli per i nati delle prime due decadi. Contatti d’affari.
Periodo favorevole grazie all’arrivo dei nuovi transiti. Incontri sentimentali e seduttività in crescita grazie all’ingresso di Venere. Per il gentil sesso si configura l’incontro con uno sportivo. Bene il 15 e il 16.
» a cura di Elisabetta
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Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 34
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 16 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 14 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Noto film di Duccio Tessari con Giuliano Gemma • 2. Il nome di Costanzo • 3. Modificati, cambiati • 4. Le segnano le lancette • 5. Rifugio per animali • 6. Privo di contenuto • 7. In mezzo al mare • 8. Parte della scarpa • 9. Lo usa il meccanico • 13. Carbonizzati • 17. Il nome della Fürstenberg • 19. Vi sosta la carovana • 22. Si affianca spesso alla fava • 25. Tirocinante • 27. Nero di capelli • 28. Copricapo papale • 30. Reclamo, opposizione • 32. Il primo dispari • 33. Si a Londra (Y=I) • 38. Altrimenti detto... • 39. Cattive • 42. Congiunzione inglese • 43. Malta e Svezia • 45. Uno a Zurigo • 48. New Jersey.
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Soluzioni n. 30
La soluzione del Concorso apparso il 27 luglio è: INDICARE
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Orizzontali 1. Ingiustificato, arbitrario • 10. Il nome della Pausini • 11. Fiume russo • 12. Metallo raro • 14. Concorso Internazionale • 15. Rabbia • 16. Vetusta • 18. Lo pseudonimo di Josip Broz • 20. Pittore francese • 21. Piace al pigro • 23. Mezza riga • 24. Privo di malattie • 25. Pubbliche Relazioni • 26. Malsane • 28. Il numero perfetto • 29. Megera • 31. Sodi, coriacei • 34. Vede rosso • 35. Firmano brevetti • 36. I mariti delle reines • 37. L’isola di Ulisse • 40. Il nome di Pacino • 41. La bella Campbell • 44. Funzioni trigonometriche • 46. Consonanti in genio • 47. Udita • 49. Carme lirico • 50. Tom, noto cantante.
Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Bassano Vandoni via Cittadella 2 6600 Locarno Al vincitore facciamo i nostri complimenti!
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Promettiamo a Nick che entro la fine del 2020 ridurremo del 10 % il nostro consumo di energia elettrica rispetto al 2010. La Migros riduce progressivamente il proprio fabbisogno di energia elettrica nelle filiali e nella logistica grazie ad impianti d’illuminazione e di refrigerazione più efficienti sotto il profilo energetico. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.
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