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№ 34

del 24 agosto 2012

con Teleradio 26 ago.–1. sett.

sordiTà e linguaggio


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Ticinosette n° 34 del 24 agosto 2012

Agorà Sordità infantile. Una sinergia di soluzioni Arti Keith Richards. Il volto del rock Letture La stanza di Keith

Impressum Tiratura controllata 70’634 copie

Chiusura redazionale Venerdì 17 agosto

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

di

di

LauRa di CoRCia

GianCaRLo FoRnasieR

Società Trasporti pubblici. Uno per tutti

di

Vitae Fausto Sassi

di

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MaRCo JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Pensieri Immanuel Kant. Rivoluzionario rigoroso

di

FRanCesCa RiGotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

LudoviCa doMeniCheLLi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage La terra trema

testo e FotoGRaFie di JaCek

Luoghi Normandia. Andrew J. Relosky Tendenze Salute e benessere. H2O

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PuLawski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

danieLe Fontana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

PatRizia MezzanzaniCa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Redattore responsabile Fabio Martini

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Photo editor

La natura del debito

Giancarlo Fornasier Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

In ascolto Illustrazione di Bruno Machado

La rubrica “Luoghi” presente in questo numero ospita un testo di Daniele Fontana ispirato da un recente viaggio nei luoghi della Normandia in cui il 6 giugno del 1944 avvenne lo sbarco alleato . Un evento che, segnando l’inizio della fine dell’egemonia nazista sul nostro continente, non solo contribuì a rafforzare il rapporto fra le due sponde dell’oceano, ma sancì anche un profondo debito nei confronti dei “cugini” d’oltremare senza il cui sacrificio umano ed economico l’Europa sarebbe rimasta sotto il giogo hitleriano . Un’invasione necessaria a differenza di quella – di natura squisitamente economica e speculativa – che si è estesa dagli Stati Uniti verso l’Europa nel corso dell’ultimo decennio . Questa volta, fatta non di uomini in carne e ossa ma di titoli tossici disseminati nelle banche di mezzo mondo; un’invasione che ha costretto molti paesi, alcuni già di per sé fortemente indebitati, a correre in aiuto dei propri istituti bancari con un conseguente deterioramento dei debiti nazionali . Sempre di debiti si tratta, dunque, ma stavolta di morale c’è poco o nulla . A completamento di quanto scritto pubblichiamo la preghiera che il capitano Fred Withney della 5a Armata americana, impegnata nei combattimenti lungo la Linea Gotica, scrisse nell’estate del 1944 prima di una missione militare . Un testo commovente e sincero, mai pubblicato, che ci restituisce l’immagine migliore dell’America e del suo popolo . “Caro Dio, per favore, ascoltami adesso. Lascia che io ti ringrazi, Dio, per tutte queste cose: per il ricordo dell’amore e della bellezza; per la vista dell’alba tra le montagne incappucciate di neve del Montana e la sensazione dell’aria fresca e pura; per il ricordo della primavera in un caldo giorno d’aprile, e la vista di grandi campi di erba

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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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che si increspavano nella brezza e pendevano gentilmente verso un letto di violette accanto a un silenzioso fiume di campagna. Grazie Signore, per le lunghe, lunghe sere quando noi osservavamo la danza del fuoco e ascoltavamo la pioggia battere sulle finestre; quando Nancy e io, seduti fianco a fianco sul tappeto di fronte al focolare, sognavamo il nostro futuro, sicuro del nostro amore. Ti ringrazio Dio, più di tutto per Nancy, per il suo amore e la sua bellezza, per la sua ricchezza di comprensione; per il suo incoraggiamento quando la via era dura e per il suo coraggio adesso. Benedicila, Dio, e se è tua volontà che io non possa più avere cura di lei, per favore, guidala Tu stesso e dalle forza. Non la far soffrire troppo, non volerlo mai. Grazie anche Dio, per Mike e per il ricordo di lui ritto nella sua culla, sorridente e con i raggi del sole che giocano fra i suoi capelli. Prendilo sotto la tua ala, Signore. Insegnali la tua sapienza. Grazie per le poche ore che ho passato con lui, insieme nel giardino, e per il suo bacio d’addio. Benedicilo e fallo forte. Ti ringrazio anche, caro Signore, per mia madre e mio padre: un ragazzo non ebbe mai genitori migliori. Sono pieno di gratitudine per la loro devozione senza egoismo e la loro conoscenza del giusto quando mi educarono. Riserva a mia madre un posto speciale, che tanto dolore e tante sofferenze ha sopportato, silenziosamente, e che adesso mi appare come modello di coraggio. A me, Dio, dai sempre la forza per fare ciò che è giusto. Guida la mia mano e consigliami nelle decisioni perché se io morissi nulla mi è dovuto. Ho avuto tutto. Ho trascorso la vita in una nazione libera; ho conosciuto l’amore di una ragazza meravigliosa; ho visto mio figlio e posso ancora scorgere l’orgoglio e la fede senza morte negli occhi dei miei genitori. In questa mia grande ora, non farmi fallire. Benedici tutti quelli che amo e hanno fiducia in me e conservali sempre. Amen”.


Sordità. Una sinergia di soluzioni

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Agorà

I genitori dei bambini che nascono sordi o che tali diventano nella prima infanzia, si trovano sovente ad affrontare un universo a loro sconosciuto: il più delle volte non posseggono informazioni corrette sulla sordità e spesso non hanno nemmeno mai avuto a che fare con un non udente di Roberto Roveda

L

a situazione di un bambino che nasce sordo o lo diventa precocemente è molto diversa da quella di un adulto o di un anziano che perde l’udito nel corso della propria vita. Quello che cambia è che per un bambino, a differenza di un adulto, lo sviluppo cognitivo è ancora tutto da venire e oggi sappiamo che, sebbene molte competenze abbiano una base innata, è un input proveniente dall’esterno a innescare la loro attivazione. È il caso del linguaggio. La linguistica ci spiega che tale facoltà rappresenta una dotazione biologica dell’essere umano. Ma l’acquisizione del linguaggio ha come condizione la ricezione delle tante parole che le persone che circondano il bambino gli rivolgono. Se ci pensiamo, infatti, è proprio la diversità dell’input che determina se acquisiremo il francese, il tedesco o l’italiano. Una prova molto convincente della necessità dell’input è la seguente: chi ha subito nell’infanzia condizioni estreme di isolamento, trascorsa l’adolescenza non sarà più in grado di sviluppare il linguaggio. Negli Stati Uniti, la ricercatrice Susan Curtiss ha effettuato studi con “bambini selvaggi”, cioè ragazzi la cui infanzia è trascorsa nella totale deprivazione di relazioni. Tra le storie che Curtiss ha raccontato c’è quella di Chelsea, nome di finzione che protegge l’identità di una donna creduta ritardata, di cui soltanto all’età di 30 anni si è riconosciuta la sordità. E a 30 anni intensi programmi di educazione linguistica hanno cercato di dare a Chelsea il linguaggio. Purtroppo dopo molte attenzioni educative, Chelsea non ha saputo produrre frasi (...)


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più corrette di “Orange Bill car in”, o “The woman is bus the going”. Quello che manca in queste espressioni è la sintassi, cioè le regole per la corretta combinazione delle parole. In altri termini, la chiusura di un canale di comunicazione con l’esterno, quello uditivo, blocca l’arrivo dell’input linguistico, che è necessario per lo sviluppo del linguaggio. Per le forme di sordità meno che profonda, il canale uditivo, che non risulta completamente chiuso, lascia passare qualcosa o comunque, un numero sufficiente di informazioni1. Invece, la sordità profonda, problema che nei paesi occidentali riguarda circa una persona su mille, impone la necessità di attuare delle scelte da parte dei genitori così da aiutare al meglio i propri figli. La parola di un’esperta Per approfondire l’argomento abbiamo incontrato la dottoressa Sara Trovato, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, attiva nella ricerca su sordità ed educazione.

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Dottoressa Trovato, che cosa sostiene la ricerca, da dove bisogna cominciare per affrontare la sordità infantile? “La comunità scientifica è tutta concorde nel sostenere che bisogna intervenire rapidamente e attivamente per innescare l’acquisizione del linguaggio nei bambini piccoli sordi profondi. Invece, si divide quando si discute sulle strade da prendere per attivare l’acquisizione del linguaggio. Molti medici prospettano una soluzione a cui pochi genitori sanno dire di no: «curare» la sordità, ed estirparla. Questo si fa oggi con una tecnica chirurgica, ovvero tramite l’impianto, nel cranio del bambino, di un apparecchio che si collega con la coclea e invia impulsi sonori: l’impianto cocleare. Si tratta di una tecnica che è nata pochi decenni fa ed è migliorata molto, da un punto di vista tecnico, nel corso degli anni. Il suo limite è che non tutti i bambini sordi si qualificano per l’intervento che dà buoni risultati, ma non sempre funziona. La seconda soluzione possibile verrà proposta al genitore se questi si rivolgerà a un linguista. La linguistica, in effetti, ha scoperto negli anni Sessanta, grazie al lavoro di un ricercatore americano, William Stokoe, che le lingue dei segni, quelle che sembravano a tutti un «gesticolare», una «mimica», sono lingue naturali a tutti gli effetti. «Naturale» vuol dire che l’input relativo a queste lingue, (input che i bambini sordi ricevono pienamente e senza problemi, perché passa dal canale visivo), permette lo sviluppo pieno della facoltà del linguaggio. Lo studio delle lingue dei segni (che sono diverse di paese in paese) affascina negli ultimi anni la comunità internazionale dei linguisti. La terza strada propone di recuperare quello che i bambini non sentono, insegnando loro a vedere con più attenzione: insegna a leggere sulle labbra di chi parla e a controllare, inizialmente con il tatto e la percezione di vibrazioni, la propria voce. Perché i sordi non percepiscono la loro voce! È per questo che in passato sono stati chiamati «sordomuti»: ma il mutismo, che è una malattia più rara della sordità, non c’entra con la sordità. Era, infatti, per la mancanza di auto-percezione della propria voce che i sordi non sapevano produrre parole. Questo tipo di riabilitazione viene fatta dai logopedisti”. Queste tre strade sono da considerarsi antitetiche? “Queste tre prospettive si possono (o si potrebbero!) intrecciare in

vario modo. La logopedia è un percorso necessario in ogni caso. Per chi riceve un impianto cocleare, per imparare a codificare, diciamo così, gli impulsi che l’impianto manda alla coclea, e decifrarli. E anche i sordi segnanti ne hanno bisogno per entrare in relazione con gli udenti. Quello che però secondo me sarebbe consigliabile è che si utilizzasse la lingua dei segni a partire dall’infanzia (e non quando è già troppo tardi, come si fa ora) – questo per la ragione che solo la lingua dei segni porta tutti i bambini sordi all’acquisizione del linguaggio. Non mi sembra un dettaglio da poco: immagini che proprio il suo bambino sia quello su cui l’impianto cocleare non funziona, o la logopedia non consegue una buona acquisizione della lingua orale. Non vorrebbe disporre di una rete di protezione che metta al sicuro il suo bimbo dal rischio di un’acquisizione incompleta del linguaggio? La scelta della lingua dei segni è del tutto compatibile con l’impianto cocleare e la lettura delle labbra, e non li esclude affatto. Ma non è la lingua dei segni la scelta più frequente, e anzi, essa viene spesso presentata come una scelta incompatibile con l’uso della lingua orale. Una vecchia (e falsa) idea vuole che «i gesti uccidano la parola», mentre invece è vero proprio il contrario: su una solida base linguistica si innestano con successo le seconde lingue (incluse quelle orali, come provano per esempio i molti esperimenti delle ricercatrici americane Ursula Bellugi e Rachel Mayberry), lo sviluppo pieno delle abilità sociali (Peterson, Siegal e i loro collaboratori lo hanno provato sperimentalmente) e una buona capacità di lettura (ancora Mayberry, nei suoi esperimenti più recenti). Da questo dissidio di vedute nascono «culture della sordità», chiamiamole così, molto diverse. Per questo esiste chi vuol definirsi «non udente», forse per avere la parola «udente» nel nome che sceglie, gli oralisti, il cui desiderio è di sentirsi uguali a tutti gli altri. Altri, invece, chiedono di essere chiamati «Sordi», proprio così, con la maiuscola – perché hanno una propria lingua (la lingua dei segni) e una cultura – e come si fa in inglese, lingua e cultura ricevono aggettivi che iniziano con la maiuscola”. Come si fa a insegnare a leggere e scrivere ai bambini sordi? “È davvero una sfida. Sulla lettura, da molti decenni si contrappongono due scuole. La prima ritiene che la lettura sia consapevolezza della corrispondenza tra un grafema e un fonema, cioè tra una scritta e un suono. La seconda vuole che la lettura si costruisca per unità di senso, e non di suono, cioè concentrandosi sui significati delle parole e delle frasi. Immagini che cosa significa la prima prospettiva per i bambini sordi: una proibitiva montagna da scalare, andando scalzi. Perché costruire sui suoni significa costruire proprio sul punto più debole della competenza del bambino sordo, per il quale i suoni sono astratti e inaccessibili direttamente. Invece, l’idea pedagogica espressamente sostenuta, per esempio, dalla legislazione scolastica italiana è che si debba sempre costruire sulle competenze già possedute dai bambini, in particolar modo quando parliamo di bimbi con speciali difficoltà. A sparigliare questo dibattito, è arrivato il metodo di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky (due pedagogiste argentine), che propongono che l’alfabetizzazione si basi sulla scoperta progressiva della scrittura, incoraggiando le ipotesi spontanee dei bambini, e la loro reinterpretazione attiva. Questo metodo è stato utilizzato con grande successo in classi miste di bambini sordi e udenti, classi bilingui italiano-LIS (acronimo di Lingua Italiana dei Segni, ndr.), in una scuola di eccellenza che è sorta diversi anni fa a Cossato, un paesino vicino Biella.


Inoltre, a Cossato ci si è ispirati all’intuizione di una geniale ricercatrice sorda americana, Carol Padden, che ha indicato la dattilologia, cioè l’alfabeto che i sordi segnanti «scrivono» nell’aria con le mani, come base utile per la consapevolezza fonetica”. Lei parla di una scuola di eccellenza, specializzata nella sordità. Quali altre scuole, nel territorio dell’Italia del nord e della Svizzera italofona, propongono un inserimento scolastico efficace? “Con il successo attestato dalle valutazioni ministeriali, la scuola di Cossato è diventata un modello di irradiazione di nuovi esperimenti di bilinguismo scolastico in vari centri nel nord Italia: per farle solo alcuni esempi, la scuola Barozzi a Milano e la scuola di Noventa Padovana che sono nate da poco. Vede, in Italia, dopo la scomparsa delle scuole speciali, che è avvenuta progressivamente dopo una legge del 1977, i bambini sordi sono stati inseriti nelle scuole «di tutti». E questo è stato un gran bene. Ciò che va difeso, come un patrimonio di civiltà di quel bene comune che è la scuola pubblica, è il fatto di non avere più classi di soli bambini sordi. Tuttavia, questo non deve significare necessariamente che i bambini sordi debbano essere inseriti da soli in classi di bambini udenti. Quello che sappiamo sull’acquisizione delle lingue ci incoraggia a pensare che classi con almeno due bambini sordi possano far crescere la lingua dei segni in condizioni di spontaneità e, quel che è più importante, in tempi precoci. Se all’effetto del rapporto con i pari la scuola aggiunge la presenza di interpreti italiano – LIS, laboratori in LIS per tutti i bambini, anche quelli udenti, e insegnanti motivati e impegnati, il vantaggio sarà condiviso da bimbi sordi e bimbi udenti. Ha capito bene, bambini udenti. Perché esistono studi sorprendenti (come quello effettuato da Virginia Volterra e colleghe nel 1998) che lasciano pensare che il bilinguismo bimodale, ovvero quello che coinvolge lingue nella modalità orale, come l’italiano, e lingue nella modalità visivogestuale, come la LIS e le altre lingue dei segni, aumenti alcune capacità cognitive dei bambini udenti. Quanto ai bambini sordi del canton Ticino, hanno a loro disposizione sia la possibilità di inserimento, singolarmente, nella scuola ordinaria, quando la loro famiglia ha scelto l’oralismo o l’impianto cocleare (come accade sempre più spesso), sia la possibilità di bilinguismo. Quest’ultimo percorso ha luogo nelle scuole speciali, che in Svizzera non sono state eliminate, ma come in Italia, hanno visto negli anni Settanta un afflusso sempre minore di iscrizioni. Il modello di bilinguismo di Cossato ottiene riconoscimenti anche da parte delle autorità scolastiche ticinesi. Tuttavia, il modello Cossato nel canton Ticino è interpretato per adeguarsi a condizioni istituzionali diverse: non solo è piccolo il numero di bambini sordi ticinesi che desiderano un’educazione bilingue (si stenta ad arrivare a due); in più, essi vengono inseriti in scuole speciali, dove il personale può essere più specializzato che nelle scuole ordinarie, ma dove mancano i bambini udenti”.

Quali sono le difficoltà specifiche dei sordi, nella lingua italiana? “Esistono studi molto interessanti sia sull’inglese americano, sia sull’italiano, sia su diverse altre lingue occidentali prodotte dai sordi. È curioso che le difficoltà che si riscontrano in una lingua orale corrispondano spesso a quelle delle altre lingue orali, e siano le stesse sia in soggetti sordi oralisti, sia segnanti. Sono ricorrenti le difficoltà con le cosiddette «parole funzionali», ovvero parole, di solito brevissime, come articoli (un, il, la, …), pronomi (lo, li, ci, …), ausiliari (ho, è, ha, …), preposizioni (in, con, …). Trascurando le indicazioni che provengono dalla sintassi, sembra che i sordi tendano a interpretare le frasi secondo quello che si chiama un «ordine lineare» tra le parole lessicali. Cioè, ogni frase, a prescindere da preposizioni, coniugazione, ecc. è ridotta a «1. qualcuno 2. fa 3. qualcosa»: per esempio il passivo, viene facilmente interpretato come un attivo: quindi «Giovanni è invitato da Maria» viene spesso compreso come se Giovanni facesse l’invito. Lo stesso accade con certi tipi di frasi relative. Però, vede, nonostante le difficoltà, l’italiano per un sordo non è uno sforzo che si possa evitare. Lasciamo da canto le considerazioni sociali (un mondo di udenti lo circonda) e pensiamo solo a questo: le lingue dei segni non si scrivono. Nel mondo digitale di oggi si può pensare alla costruzione di biblioteche filmate in segni, ma per ora queste biblioteche non esistono. Le lingue degli udenti, come l’italiano o il francese o il tedesco sono ancora l’unico veicolo della cultura scritta. E quindi non si può fare a meno di impararle”.

“Quello che sappiamo sull’acquisizione delle lingue ci incoraggia a pensare che classi con almeno due bambini sordi possano far crescere la lingua dei segni in condizioni di spontaneità e, quel che è più importante, in tempi precoci”

Esistono metodi per migliorare l’italiano dei ragazzi sordi un po’ più grandi? “Certo! Con alcune insegnanti del Servizio Sordi del Comune di Milano abbiamo scritto un libro, che presto pubblicheremo, per insegnare l’italiano ai sordi stranieri o italiani, adulti o adolescenti. Il metodo che usiamo è ispirato a modelli di successo: l’interpretazione del testo inventata da Sue Livingston, un’insegnante americana, e la logogenia di Adriana Radelli, un metodo molto mirato per l’acquisizione naturale della grammatica. Quello che si può fare, per alleviare la fatica dei sordi, è insegnare l’italiano scritto, e non quello orale: quindi lettura e scrittura, principalmente come strumenti di comunicazione”. note 1 Una classificazione universalmente accettata (si può far riferimento, per esempio, al Bureau International d’Audiophonologie, B.I.A.P.) definisce in questi termini la sordità, in base alla perdita in decibel: buon udito 0 dB – 26 dB sordità lieve 26dB – 40 dB moderata 40 dB – 70 dB grave 70 dB – 90 dB profonda oltre i 90 dB per saperne di più Federazione Svizzera dei Sordi (SGB-FSS): http://it.sgb-fss.ch

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Il volto del rock Da poche settimane è disponibile anche in formato tascabile “Life”, la biografia di Keith Richards, chitarrista e fondatore nel 1962 dei più “maledetti” ragazzi del rock britannico di Laura Di Corcia

La ricordate Angie? “Angie, Angie, when will those clouds disappear?”. Angie, Angie, quando scompariranno queste nuvole? Sono le nuvole minacciose e grigie della droga e della fatica della disintossicazione, quella cui Keith Richards, il grande chitarrista e compositore dei Rolling Stones, si sottopose proprio qui, in Svizzera, a Vevey, in una clinica dove venne curato da un certo dottor Denber. E questa canzone, bellissima e dolce, è dedicata alla figlia, che Keith ebbe con la bellissima Anita Pallenberg e che nacque proprio in quei giorni così difficili e amari. Arti

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re occhio. Prima di andare a Vevey a disintossicarsi – anche se per chiudere definitivamente ci volle ancora qualche anno –, la band si era riunita in una villa in Costa Azzurra e bisognava “tirar fuori” un pezzo al giorno. Non era facile rimanere in quella dimensione sacra di creazione, dove le parole ti arrivano e tu devi solo stare ad ascoltare, sintonizzarti sul giusto canale. E il chitarrista racconta anche di come tutto fosse gonfiato, di come fosse facile perdere la testa e dimenticare che la tua musica, quella per cui vivevi, sognavi e continuavi ad andare avanti, era cibo per il mercato ed era quest’ultimo a decidere chi dovevi essere, come e con che ritmo potevi essere.

Sesso, droga & rock’n’roll Life, la biografia di Richards – apparsa nel 2010 per Feltrinelli e ora disponibile per lo stesso editore Uno storico dualismo anche in tascabile – è un testo scorAnche la contrapposizione Beatrevole e autentico, per quanto legles-Rolling Stones fu una trovata germente falsato dalla percezione commerciale. Simili nel nucleo, un egocentrica della star. E ci racconta grumo composto da passione per la di quegli anni e della velocità del musica, droga e sesso libero, le due tempo, che galoppava come un band erano diverse solo in superficavallo impazzito. Agenti, pressiocie. Liscia, quella del gruppo di John Keith Richards ritratto da Richard Dumas (Parigi, 2010). Immagine tratta da anakegoodall.wordpress.com ni per produrre-produrre-produrre, Lennon. Ruvida, deliberatamente problemi tra i membri del gruppo. urticante, l’altra. A lui e Mick Jagger Il primo grande conflitto fu proprio con Brian Jones, tra i fon- toccò la parte degli sporchi ma belli, dannati e stradaioli, quelli datori dei Rolling Stones, che quest’anno festeggiano mezzo a cui nessun padre avrebbe concesso la mano della figlia. Eppusecolo di vita. Entrambi volevano il monopolio. Entrambi re, ai loro concerti, migliaia di ragazze si strappavano i capelli, amavano Anita. Keith l’ebbe vinta sui due fronti. Brian, il più arrivando anche a togliersi le mutandine e lanciarle sul palco, fragile fra i due, non resse il colpo e, a causa della droga e delle per quanto i testi delle canzoni lasciassero intendere che le medicine per l’asma, morì sul fondo di una piscina. Si sarà donne erano in fin dei conti prolungamenti dell’ego, oggetti da tuffato da solo, l’avranno buttato gli operai, stanchi della sua usare e buttare. Altro che I want to hold your hand, voglio tenerti prepotenza? Il mistero rimane irrisolto. Non fu l’unica morte. la mano dei Beatles! Mick Jagger lo cantava a squarciagola, con i L’altra arrivò subito dopo, nei pressi di San Francisco. E dove- capelli ribelli sul viso stupendo, “You don’t try very hard to please va essere una seconda Woodstock. Era il 1969. Un concerto me”. Non ti sei impegnata troppo per compiacermi. gratuito finì in tragedia. Gli occhi dei fans, dopo la coltellata Eppure fu un’epoca bellissima. Mitizzata quanto vogliamo, mortale che gli addetti alla sicurezza inflissero a Meredith ma lo fu. La rabbia giovanile nei confronti del mondo adulto, Hunter, erano due pozzi profondi e dentro c’era la delusione di un’America impietosa che mandava i suoi figli a crepare in bruciante per il sogno infranto. La pace. La pace ad Altamont, Vietnam, quella rabbia verso una finta libertà che però, a dicon gli Hell’s Angels che facevano rombare le motociclette spetto di tutto, concesse proprio lo spazio affinché ci si potesse vicino al palco (e perché, poi, furono scelti proprio loro)? Non accorgere dei suoi limiti, trovò sfogo e incarnazione in pezzi sarebbe potuto essere. Non fu. che restano fra i migliori del repertorio rock. E oggi i ragazzi e Richards descrive quegli anni come se fossero ancora in corso, gli adulti un po’ ribelli ci si ritrovano e proiettano le pulsioni con sprazzi di lucidità in cui riesce ad analizzare obiettivamente più basse, gli istinti, salvo poi sciogliersi di fronte a un pezzo i suoi sogni e le sue illusioni. Le donne in quantità, la droga per dolce come Angie, scritto prima ancora di sapere che la figlia isolarsi e continuare a scrivere per giorni e giorni senza chiude- si sarebbe davvero chiamata Angela.


La stanza di Keith

“Dopo una vita in giro per il mondo, la lettura è come un’ancora”. Queste parole dal sapore romantico e dall’indole “casalinga” non escono dalla penna di un saggio e timido bibliofilo diviso tra libri da leggere e altri già divorati: sono il pensiero di Keith Richards, insospettabile amante della lettura e appassionato di volumi dedicati al periodo nazista e ai saggi sulle strategie militari. In un volume apparso alcuni anni fa1, il musicista confidava che “non avere nulla da leggere sull’aereo è terribile e i tour sono pesanti e noiosi: i libri sono l’unico antidoto contro la noia”. Richards è un lettore eclettico, amante dei romanzi del XIX secolo come dei libri d’arte, ambito nel quale ha compiuto i suoi studi. “Andando avanti con gli anni” afferma Keith, “due sono i luoghi deputati che incidono più significativamente sulla nostra vita: la chiesa, che è di Dio, e la biblioteca pubblica, che è nostra. La biblioteca è una specie di elemento equilibratore. Quando si è piccoli si arriva a credere che tutti quei libri ci appartengono”. Come avviene per tutti noi, la biblioteca di Keith Richards racconta del musicista e della sua passione (naturalmente) per la musica: sugli scaffali libri e dischi convivono creando un luogo dove il chitarrista può rifugiarsi. Una possibilità che non aveva quando era ragazzo: in casa infatti non esisteva un biblioteca e la lettura veniva fatta ricercando un angolo discosto o recandosi in soffitta. La sua biblioteca ha una forma ottagonale e le finestre sono orientate per accogliere il sole pomeridiano al tramonto. Lui stesso ha scelto il colore scuro della sua libreria, la dimensione (“non volevo una stanza troppo grande ma una piccola”) e la

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forma della scaffalatura: “Non mi sono ancora abituato ad avere tanto spazio tutto per me. Capisco perché i gentiluomini inglesi del secolo scorso (si riferisce all’Ottocento, ndr.) tenessero tanto alle loro biblioteche. Per me è il mio santuario”. Pare che nemmeno i figli, quando erano piccoli, potessero entrare nella stanza con il padre presente. Tanto che all’entrata compare un cartello con scritto “VIETATO L’INGRESSO”. In precedenza ne era appeso un altro – rubato all’Hotel Savoy di Londra... – che recitava “NON DISTURBARE”. Ma a quanto pare “non sortiva un grande effetto e ho dovuto sostituirlo”.

Come sappiamo, l’arrivo delle tecnologie digitali sta velocemente rivoluzionando l’universo della stampa, e il futuro dei libri cartacei pare condannato a un lento declino. Per molti una prospettiva poco edificante: il libro – in particolare se stampato con cura e ben rilegato, illustrato e confezionato con materiali di qualità – è a tutti gli effetti un piccola opera d’arte e di tecnica editoriale. E come tale è un “oggetto” dunque da ammirare e collezionare (oltre che da leggere e sfogliare, ripetutamente). Tra le pubblicazioni più recenti dedicate ai libri e alle librerie segnaliamo un testo di Damian Thompson2: 160 pagine nelle quali i consigli su come “questi piccoli tesori personali possono trasformare la nostra abitazione” vengono accompagnati da idee, esempi curiosi e originali, sia la nostra libreria di piccole o grandi dimensioni. note 1 Estelle Ellis et al., Vivere con i libri, Vallardi, 1996, p. 208 e seg. 2 D. Thompson, La mia casa. I miei libri, Logos, 2012

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Uno per tutti Finalmente anche in Ticino un solo biglietto “a zone” per tutti i mezzi di trasporto pubblici. Una piccola rivoluzione targata Arcobaleno a vantaggio degli utenti e, si spera, anche della mobilità di Marco Jeitziner

“La semplicità renderà più attrattivo il trasporto pubblico” annuncia Mario Zanetta, della Sezione della mobilità al Dipartimento del territorio. Tra pochi giorni infatti anche in Ticino si potrà finalmente viaggiare con un unico biglietto valido per tutte le aziende di trasporto (treno, bus, battello, funicolare, funivia). Una novità introdotta grazie a un nuovo sistema tariffario di zone di percorrenza, chiamato Tariffa Integrata Arcobaleno (TIA). Artefici il cantone, i comuni e la Comunità tariffale Ticino e Moesano che raggruppa undici aziende.

Società

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Meno zone di prima La scacchiera delle zone sarà più densa e più ridotta rispetto a quella attuale, perché la TIA in sostanza unisce l’offerta sia degli abbonamenti sia dei biglietti. Le 20 zone della tariffa per abbonamenti diventeranno 16, quindi sarà più semplice determinare lo spostamento. La tariffa per i biglietti, invece, varrà per ben 49 zone, un po’ meno di quanto previsto inizialmente (57 zone). Per esempio, con l’abbonamento il tragitto Chiasso-Lugano implicherà 4 zone invece di 5 (non ci sarà più l’attuale “zona 14”). Per Airolo-Bellinzona, invece di passare da tutte le zone, si passa solo da 5: un vantaggio per le zone periferiche. “Per un viaggio da Novaggio a Brè finora occorrevano quattro biglietti” spiega Zanetta, “ma dal primo di settembre si potrà acquistare un biglietto unico per le zone 130, 111, 110 e 100 e viaggiare con AutoPostale, Ferrovia Lugano/Ponte Tresa, Funicolare Lugano Stazione/Centro e i bus della Trasporti Pubblici Luganesi per Brè”. I confini delle zone non mancano tuttavia di far discutere. “Sono tracciati affinché si traggano profitti” denuncia il Sindacato indipendente studenti e apprendisti1. Soprattutto per le aziende, poiché ridurre le zone “farebbe diminuire considerevolmente gli introiti”, ha spiegato il Governo nel 2002.2 Biglietti meno cari Salvo in certi casi, dice Zanetta, “in linea di principio più il viaggio è lungo, maggiore è il risparmio”. Alcuni esempi. La tariffa ferroviaria da Airolo a Bellinzona (seconda classe, prezzo intero) oggi costa 22 franchi, 16 franchi e 20 centesimi con

la TIA . Da Ponte Tresa a Lugano (prezzo intero) oggi si paga 7 franchi e 20, un franco in meno con la TIA . Le riduzioni, va detto, non sono sempre lineari e dipendono dalle tratte e dagli abbonamenti (metà prezzo, ecc.). Tra le eccezioni proprio l’intasato Mendrisiotto dove, per recarsi a Lugano, l’attuale “zona 14” (Chiasso) è sempre stata più cara rispetto alla “zona 13” (Mendrisio, Balerna, Vacallo). Motivo: la maggiore distanza. Ora anche la tratta Mendrisio-Lugano costerà di più: un franco in più rispetto agli attuali 7 franchi e 20 (invariata invece la tariffa a metà prezzo). Tuttavia, ribatte Zanetta, “è solo apparentemente un aumento di prezzo, poiché oggi per l’uso dei trasporti pubblici (funicolare e bus) occorre ancora pagare i due diversi biglietti. Nel futuro questi trasporti sono già compresi nel prezzo Arcobaleno”. Per questa tratta conviene anche la “carta per più corse”. Enti pubblici alla cassa Siccome “i ricavi dalla vendita di abbonamenti e biglietti non bastano per coprire i costi dei servizi ordinati alle imprese di trasporto” spiega Zanetta, a tappare i buchi ci penseranno cantone e comuni, in sostanza i contribuenti. Si passerà dagli attuali 1,5 milioni di franchi l’anno a oltre 3 milioni. Quanto affermato nel 2002 dal Governo quindi non vale più: essendoci meno zone e più sconti, le aziende incassano meno, ma i comuni e il cantone spendono di più. Un circolo vizioso. Perché allora non ottimizzare i costi, per esempio nel Luganese, una sola ditta invece di due per il centro urbano e la periferia? Proposte in tal senso ce ne sono state, come quelle fatte nel 2011 da AutoPostale e rifiutate da Autolinea Mendrisiense Sa. I tempi non sembrano ancora maturi. Oppure nel Sopraceneri, perché sussidiare un’azienda che copre un solo comprensorio già servito in parte da una società nazionale? “Ci sono dei casi di linee gestite da due imprese, ma sono ordinate dal cantone e non vi sono doppioni di offerta” afferma Zanetta. Il “fattore Lugano” Poiché l’utilizzo dei mezzi pubblici in Ticino è ancora ridotto ma si spera aumenti, la questione finanziaria per i comuni e


le aziende rimane centrale. Quando si discusse il progetto nel 2005, un 20-30% di attori coinvolti ebbe da ridire sui maggiori costi e ci fu persino scetticismo sull’utilità ambientale e di mobilità dell’iniziativa! Tra i perplessi, Lugano, che fece temere il peggio, forte del suo ampio bacino d’utenza e del maggiore numero di enti che partecipano sia alle spese per il trasporto, sia alla promozione degli abbonamenti. Lugano temeva un rincaro dei biglietti dell’azienda cittadina dei bus (la TPL) cosa che, rassicura Zanetta, “in generale non accadrà per chi sfrutterà la «carta per più corse», magari in combinazione con l’abbonamento metà prezzo, finora non riconosciuto sulle linee urbane”. Le richieste di Lugano, infatti, erano state accolte “in parte”. Meglio tardi che mai In un cantone dove solo “il 14% delle distanze giornaliere viene percorso con il trasporto pubblico”, dove “ci sono percentualmente più auto, meno biciclette e meno abbonamenti per i trasporti pubblici”,3 la TIA è indubbiamente benvenuta, anche se in ritardo: era stata infatti annunciata per il 2008. Come mai quattro anni di ritardo se, per esempio, nel canton Friborgo per creare la comunità “Frimobil” con sei aziende c’è voluto solo un anno?4 Da un lato un ricorso, contro l’acquisto di centinaia di apparecchi automatici per i bus e alle fermate, bloccò tutto per due anni. Dall’altro, l’appalto del 2010 alla turgoviese Fela Management Ag è durato più del previsto, a causa della “complessità del nuovo sistema di vendita”, afferma il Governo ticinese e conferma la stessa ditta a Ticinosette. Un sistema di vendita che non sarebbe paragonabile ad altri, a quanto pare, soprattutto per un’innovativa tessera (ape-card) per i pagamenti elettronici presso tutti gli apparecchi e i distributori. Si spera dunque che riscuoterà successo. Secondo Zanetta il tempo di preparazione del progetto

è invece stato “analogo ad altre realtà simili svizzere”, come a Lucerna (comunità tariffale “Passepartout”). Ottimismo nonostante la crisi La crisi economica e la decennale agonia del turismo in Ticino non rischiano di penalizzare la TIA? “Non pensiamo ci sia questo pericolo, ma non siamo in grado di essere profeti” ribatte ottimista Zanetta. “Come è già successo per l’abbonamento Arcobaleno, i passeggeri sicuramente aumenteranno”. Eppure in passato, scriveva l’ex capo della Sezione della mobilità Claudio Blotti, sono bastate “la crisi economica e le condizioni meteorologiche per niente favorevoli a portare a un calo delle entrate, in particolare a livello di biglietti singoli e carte per più corse, i titoli di trasporto preferiti dai turisti”5. In oltre dieci anni di esistenza la “carta per più corse” ha accumulato infatti perdite milionarie. “Non è certo il cavallo di battaglia delle vendite” riconosce Zanetta, perché “subisce una certa «cannibalizzazione» dagli altri prodotti Arcobaleno”. Ora si vuole sanare il deficit, con la promozione di sei corse al prezzo di cinque (sconto del 17%) che, dice, “permette di risparmiare ulteriormente e comprende anche le linee ferroviarie”. Tutti dunque auspichiamo che i prezzi più vantaggiosi siano la risposta giusta in un momento difficile e al costante inesorabile aumento del traffico privato. note 1 “laRegioneTicino”, 4 agosto 2012. 2 Risposta all’interrogazione parlamentare 86.02, 9 luglio 2002. 3 “Mobilità nel Ticino”, Piano direttore cantonale - rapporto settoriale, pp. 14–16. 4 Vedi il rapporto n. 23 del Consiglio di Stato friborghese al postulato Etter/ Bürgisser, 3 luglio 2007. 5 Rivista “Dati”, nr. 1/2003, pag. 24.

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Rivoluzionario rigoroso Passato alla storia come il pensatore del “rigore morale”, Immanuel Kant, profilo eclettico e anticipatore dell’idealismo, ha avviato una fondamentale rivoluzione nel pensiero occidentale di Francesca Rigotti illustrazione di Rachele Masetti

Quando scorgevano il filosofo passare davanti alle loro finestre gli abitanti di Königsberg, cittadina dell’allora Prussia orientale, regolavano i loro imprecisi orologi. Perché Immanuel Kant (1724-1804) era così preciso da intraprendere la sua camminata giornaliera sempre alla stessa ora e con il medesimo itinerario. Kant è passato alla storia come il pensatore del rigore (chissà da dove ha preso la cancelliera Angela Merkel?); del rigore morale soprattutto. Fu un personaggio eclettico che si occupò di molti argomenti, dalla cosmologia alla logica alla metafisica. Ma i due campi in cui le sue scoperte e i suoi insegnamenti rimasero più fulgidi furono quelli della conoscenza e della morale. Pensieri

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Rivoluzione copernicana Per quanto riguarda la conoscenza Kant, desideroso di affermare la saldezza del sapere oggettivo contro le derive dello scetticismo di certi suoi colleghi, effettuò la sua, e da allora nostra, “rivoluzione copernicana”. Nella precedente teoria della conoscenza (il “paradigma aristotelico-tolemaico”) era infatti l’uomo che doveva modellare i propri schemi mentali sull’oggetto del conoscere – era dunque la natura a stare al centro, come la Terra, e l’uomo, come il sole, ad adattarsi girandole intorno. Nel nuovo “paradigma copernican-kantiano” è l’uomo ad assumere la posizione centrale, mentre la natura gli gira intorno adattandosi ai suoi schemi mentali. Detto in altre parole, da allora per Kant e per tutti è l’intelletto dell’uomo a giocare un ruolo fortemente attivo nel metodo conoscitivo, mentre nel primo caso – che gode oggi di una rinnovata fortuna da parte dei fautori del “nuovo realismo” – la mente si limita a recepire passivamente i dati di realtà. Sono invece i nostri schemi mentali – Kant li chiamava categorie – che determinano il modo in cui un oggetto viene percepito. Per Kant, e per noi, il conoscere è un processo attivo in cui le facoltà della mente impongono le loro forme al materiale informe dell’esperienza sensibile, dandogli il rigore formale (e dagliela col rigore!) delle sue intuizioni e delle sue leggi. Mentre andava elaborando il nuovo modello interpretativo della conoscenza che avrebbe rivoluzionato il mondo umano, tanto quanto il modello astronomico copernicano aveva rivoluzionato il mondo celeste, Kant elaborava anche un modello

morale di straordinaria portata. Rivendicando ed esaltando l’istanza emancipatoria dell’Illuminismo, Kant elaborò un’etica deontologica che comanda il bene per il bene e il dovere per il dovere non in nome di vantaggi e svantaggi, premi e castighi. Il suo perno centrale era il cosiddetto “imperativo categorico”, una formula morale che molti ricorderanno dai tempi della scuola. Tale formula, ispirata alla “regola d’oro” di tante religioni, quella che dice “fai/non fare agli altri quello che vorresti fosse fatto/non fatto a te”, venne da Kant modificata in senso ancor più universale e imprescindibile: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere come principio di una legislazione universale”. Così impiantata insomma la morale kantiana assumeva un carattere di rigorismo (e tre!) che non ammetteva alcun movente legato al piacere, all’utile e all’opportuno. Anzi, tanto più aspra la lotta contro le tentazioni, tanto più dolce la vittoria. Tali principi Kant li applicava anche su di sé – scendiamo ora con un sorriso sul piano della quotidianità – proibendosi alla mattina il caffé che pure gli piaceva tanto. Faceva dunque colazione con due tazze di tè e una bella pipa di tabacco, raccontano i suoi biografi, “in veste da camera e berretto da notte, sul quale si metteva ancora un cappellino a tre punte”, probabilmente per non far raffreddare le idee. Una testa “piena di buchi” Nemmeno il cappellino riuscì comunque a impedire che le idee e la memoria di Kant uscissero in vecchiaia da quella testa eccezionale che tanto aveva pensato. Il filosofo si ammalò infatti di una grave forma di Alzheimer che gli impediva di trattenere nella mente i preziosi concetti da lui stesso elaborati, che gli uscivano fuori dalla testa come, diceva di se stesso il filosofo, da una botte “piena di buchi”. È terribile che a essere colpita da degenerazione senile sia stata proprio una delle più grandi menti che l’umanità abbia prodotto, terribile e insieme umano per quanto penoso e paradossale. Proprio chi il rigore conoscitivo e morale ebbe tutta la vita praticato – non predicato, che predicare non vale niente – si trovò a fare i conti con lo sfaldarsi e lo sgretolarsi del suo apparato concettuale. Sic transit.


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» testimonianza raccolta da Ludovica Domenichelli; fotografia di Igor Ponti

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Fausto Sassi

Vitae

del signor Pietro e il cane Peo che ancora allieta il risveglio dei bambini durante il fine settimana. È stato un periodo della mia vita professionale stupendo, in cui mi sono divertito moltissimo. Dal ’63 al ’66 ho presentato il Regionale, il Quotidiano di allora, un incarico meno creativo ma che mi faceva entrare ogni giorno nelle case dei ticinesi. La gente mi riconosceva per strada, mi fermava per fare due chiacchiere, e il mio ego ne godeva moltissimo. In totale ho lavorato 40 anni per l’allora RTSI, un’esperienza magnifica che mi dato l’opportunità di fare un po’ di tutto. Alla fine mi sono dediLa passione per la musica e il canto, poi cato ai documentari, girando la prosa alla radio e infine la televisione. il mondo e vincendo anche Un volto noto che oggi si esercita quoti- qualche concorso internazionale. È incredibile come a dianamente “a vivere” e sorridere volte anche le idee più strampalate, abbiano successo. In altro mondo. Nel 1964 la BBC fondo basta osare. Ricordo che con un amico propose dei corsi di regia a organizzammo una spedizione nel nord del Londra, i posti erano pochisQuébec, percorremmo 300 km con i cani simi e bisognava conoscere da slitta fino oltre il 60esimo parallelo dove l’inglese, che io non parlavo. inizia la calotta Polare Artica, due settimane Raccontai una bugia, con l’aiuda sogno in cui ho girato ben due documento di mia sorella intervistai un tari. È stato uno dei viaggi più entusiasmanti trapezista inglese del circo a della mia vita. Girai anche un documentario dimostrazione delle mie conosulle più famose vette svizzere. Lo intitolai Le scenze anglofone e partii per celebri vie svizzere, girato con gli sci. Londra. Un’esperienza stupenOggi sono un pensionato felice, soddisfatto di da che riuscii a portare a termiquanto vissuto finora. Non ho ancora smesso ne egregiamente anche grazie di scrivere e continuo a fare fotografia, una a una segretaria che conosceva passione che mi accompagna da molti anni. qualche parola di italiano e Credo che non sia mai troppo tardi per realizche mi aiutò a inserirmi in Inzare le cose che ti piacciono. Io vado avanti, ghilterra. Rientrato a Lugano, fin che dura. Iniziai a lavorare giovanissimo, ho ripreso a lavorare per la a soli 14 anni, per necessità essendo il terzo Televisione svizzera di lingua di sei figli di una famiglia povera. Ho avuto italiana, facendo un po’ di tutl’entusiasmo di provare e il coraggio di seguire to: regista sportivo soprattutto l’istinto. Oggi, me ne rendo conto, è molto di hockey e calcio, ho anche più difficile fare tutto ciò che ho fatto io lavorato per trasmissioni di vasemplicemente con l’entusiasmo e la voglia rietà, di musica leggera, che mi di buttarsi. Allora la televisione non esisteva. hanno messo in contatto con Un giovane un po’ creativo e con la voglia moltissimi grandi cabarettisti di mettersi in gioco, non aveva problemi a italiani dell’epoca, come Gaber trovare un’opportunità per esprimersi perché e Cochi e Renato. In quegli la televisione andava costruita da zero. Non è anni conobbi Adriana, mia tuttavia sempre stato tutto rose e fiori, i sacrimoglie e insieme partorimmo fici sono stati molti e le ore di lavoro altretArturo, il Gatto Arturo, che ha tante. Alla fine comunque la regola d’oro per vissuto dieci anni per finire al vivere bene è saper sorridere, riconoscere il Museo della comunicazione lato comico di ogni situazione, perché anche di Berna. nei momenti più drammatici si può trovare Morto il Gatto Arturo sono naqualcosa di cui sorridere. Non dimentichiamo te altre trasmissioni televisive che vivere è un meraviglioso esercizio. Io mi per bambini, come la Bottega esercito tutti i giorni. Con passione.

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S

ono nato il 27 febbraio del 1938 a Molino Nuovo. Dissero a mia madre che non avrebbe potuto avere figli perché aveva l’utero troppo piccolo. Ne ha avuti sei. Quattro femmine e due maschi. Poi mio padre ha comprato la televisione e ha smesso di fare figli. Da bambino ero un egocentrico, amavo esibirmi in pubblico e facevo in modo di essere al centro dell’attenzione. Ero sempre alla ricerca degli applausi. A quei tempi mio padre era l’organista e il direttore del coro della Chiesa del Sacro Cuore a Molino Nuovo, così decise di creare un piccolo complesso con le mie tre sorelle che facevano le coriste e io il solista. Dicono che cantassi molto bene. A tal punto che mi esibivo tutte le domeniche alla messa delle 11. La Chiesa del Sacro Cuore era gremita, anche per sentire quel ragazzino dalla bella voce. Nello stesso periodo iniziai a recitare. All’oratorio femminile, a cui venni ammesso perché ci andavano le mie sorelle, si tenevano un paio di recite all’anno e a me affidavano sempre la parte maschile. Finalmente arrivarono i primi applausi. A 12 anni finii a cantare alla radio per la “Lucciola”, una trasmissione radiofonica per bambini ideata da Felicina Colombo. Nel frattempo cominciai a recitare per il teatro radiofonico in tutte le commedie in cui era prevista la parte di un ragazzo. A 19 anni sono entrato a far parte della compagnia di prosa di Radio Monte Ceneri, che mi ha reso attore professionista. Con l’arrivo della televisione italiana a Lugano, si aprì un nuovo capitolo della mia vita. Marco Blaser, allora responsabile delle trasmissioni giornalistiche e produttore dei programmi musicali e d’intrattenimento, mi chiese di collaborare come giornalista e assistente di regia. Allora eravamo in 37 persone, compresa la donna delle pulizie. Ricordo che la cena di Natale venne organizzata in un grotto. Un


La terra trema testo e fotografie di Jacek Pulawski

“Buongiorno Jacek. Sono un ragazzo di Cavezzo e ci siamo conosciuti qualche settimana fa. Ho sentito dire da un dottore, che un suo amico ingegnere gli ha consigliato di rimanere fuori casa. Quest’ultimo, parlando con dei geologi, è venuto a conoscenza del fatto che probabilmente dovrebbe esserci un’altra scossa verso Ferrara entro un mese visto che le perforazioni hanno rilevato dell’acqua bollente a causa di un’altissima pressione nel sottosuolo. Il fatto preoccupante, al di là del fatto che Ferrara è molto antica come costruzioni, è che stanno allestendo un campo per 40mila persone di nascosto e alla gente non dicono niente. Se fosse vero e ciò si dovesse verificare, sarebbe un vero disastro. Io non saprei cosa fare a parte trovare il presunto campo e scattare delle fotografie… hai qualche consiglio?” (trascrizione di una email di Riccardo Bruschi inviata all’autore il 13 luglio 2012)


Jacek Piotr Pulawski Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e ulteriori riconoscimenti sono giunti nel corso del 2010. Per ulteriori informazioni: www.pulawski.ch.



V

i chiederete cosa ci sia dietro la curiosa email in apertura inviatami dall’abitante di Cavezzo. Forse non rivela altro che una visione cospirativa dei fatti accaduti in Emilia Romagna quando, verso la fine di maggio, due violente scosse sismiche hanno stravolto la vita di molte migliaia di persone. Può anche darsi che la disperazione degli emiliani, legata agli accaduti di inizio estate, stia lentamente mutando in un’esasperata preoccupazione per il futuro

della loro importante regione. Sicuramente il fenomeno catastrofico delle scosse telluriche ha la disarmante capacità di far sentire gli esseri umani così impotenti da avvolgerli nel più assoluto terrore. Si usa dire che una collettività in balia della paura può facilmente perdere fiducia in se stessa, nonché la capacità di valutare i propri mezzi a disposizione, indispensabili a superare un periodo di crisi. Quando invece un determinato evento è causato da fattori incon-


trollabili, come per esempio quello del terremoto, l’insicurezza generata ha la forza di paralizzare un intero aggregato di individui. Tuttavia per comprendere a fondo il disperato messaggio, bisognerebbe assaporare il dramma vissuto durante un fenomeno geologico cosÏ devastante. Alle 9 di mattina del 29 maggio Riccardo, figlio di un imprenditore agrario, sta dormendo nella sua stanza, quando un assordante boato lo strappa dal sonno. La potente oscillazione

ondulatoria lo sbalza fuori dal letto e lui, cercando di rialzarsi, viene colpito da una libreria sotto la quale resta schiacciato. Durante quei secondi avverte il fracasso dei vetri rotti, il crollo dei mattoni e lo spezzarsi delle pareti. Per liberarsi dal peso del mobile deve aspettare la fine del sisma e, con l’aiuto del fratello, riesce infine a fuggire dall’appartamento. Nei vicoli del nucleo lo aspettano gli abitanti del vicinato che corrono verso la piazza del paese. Alcuni di loro si (...)


accasciano a terra per vomitare a causa della paura, mentre molte persone anziane hanno il volto inumidito di lacrime. L’intero paese di Cavezzo crolla dinanzi ai suoi abitanti, ricoprendoli della polvere del proprio patrimonio storico. È il culmine di un periodo angosciante, maturato dopo nove giorni di continue scosse sismiche e conclusosi con un bilancio terrificante: 27 morti, 350 feriti, 15mila sfollati, 3500 stabilimenti industriali ridotti in macerie, 20mila

impieghi distrutti e oltre il 70% delle case dichiarate “inagibili”. A distanza di due mesi la gente di quel paradiso imprenditoriale non fa altro che parlare del terremoto, dei danni provocati e di come avrebbero trovato le forze per ricostruire quanto realizzato nell’arco della loro esistenza. Il mancato risarcimento finanziario originato da un’inadeguata osservanza assicurativa è stato responsabile di molti tormenti, di notti insonni e pianti di dolore. Gli emiliani si sono


sentiti abbandonati dal proprio governo, nonostante le promesse e i discorsi di circostanza. La quotidianità trascorre nel segno dell’autoorganizzazione e nel modesto tentativo di decifrare il motivo per il quale gli epicentri di un centinaio di terremoti coincidano con i luoghi delle presunte trivellazioni eseguite nel sottosuolo della regione. Nel frattempo Riccardo è tornato al lavoro, dove aiuta il padre a demolire quello che resta della fattoria di famiglia. Al suo

posto dovrebbe sorgerne una nuova: solida e antisismica. Intanto sono passati tre mesi dalla quella inquietante email, e di terremoti in Emilia non se ne sono più verificati. La città di Ferrara continua a vivere la sua routine, come del resto ha fatto da anni. E io mi posso soltanto augurare che la popolazione emiliana non viva ma più un altro episodio così drammatico e che sia capace di ritrovare la sua proverbiale forza di reazione.


Normandia. Andrew J. Relosky testo e fotografie di Daniele Fontana

Luoghi

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Il mare di croci bianche è immobile. Le onde fissate per sempre in interminabili arcate di marmo. Il verde smeraldo del prato, curato con religiosa postuma attenzione, accentua all’inverosimile il contrasto. Eppure non c’è frastuono. Non più. Solo un immane silenzio. Come se tutto l’inferno fosse stato risucchiato. Lasciando dietro di sé un vuoto per sempre sospeso. Andrew J. Relosky, fante di Pennsylvania. Così recita la tua croce, bianca come le altre 9386 che compongono questo surreale monumento al sommo sacrificio e, paradossalmente, alla somma stupidità umana. Sei morto il 6 giugno del 1944, a Omaha Beach, spiaggia di Normandia che dal giorno di quello sbarco non avrà più altro nome. A sera, di altri soldati come te, galleggianti nell’acqua di media marea o riversi sulla rena dorata, ne contarono 4400. Una carneficina. Chi eri Andrew J. Relosky, probabile discendente di immigrati polacchi in terra d’America? Quanti anni avevi? Le croci americane su questo sono mute, ma le cifre degli anni di quelle vite spezzate sono note: 17, 19, 20, 23… Cosa hai pensato quando ti hanno detto che era giunto il momento? L’eccitazione e l’inquietudine che come sorelle sciagurate si sostenevano l’un l’altra. A che hai pensato? Ai genitori, a fratelli e sorelle magari più giovani di te, a una fidanzata lasciata lassù, tra i boschi e le brezze che spirano un poco dai grandi laghi e un poco dall’Atlantico. E poi l’imperscrutabile nero del tempo che forse alle prime luci del giorno ti avrebbe inghiottito per sempre. Hai avuto paura? Da strapparti lo stomaco e farti provare il gusto sordo e acido della disperazione? Stipato in una di quelle imbarcazioni dal fondo piatto pensate per arrivare il più vicino possibile alla riva, alle bocche delle mitragliatrici che vi stavano aspettando tra le dune, pure tu hai vomitato l’anima, ultima metamorfosi in quel modo così disperato di presentarsi al destino? Hai

potuto mettere almeno un piede in acqua quando il portellone si è spalancato sulla bocca dell’inferno oppure il fuoco della mitragliatrice ti ha falciato con addosso l’espressione di un terrore ancora ignaro? Se hai potuto fare qualche metro, vivere ancora qualche ora, che forme hanno preso l’angoscia e la disperazione mentre nulla era più ciò che sino ad allora era stato? Né gli uomini, né i suoni, le forme o i colori. E il tempo, bruciato nell’istante di una, mille, un milione di pallottole, dilatato all’infinito negli inesistenti spazi tra l’una e le altre. Dicono che le alghe, in un mare che non riusciva più a dilavare il sangue versato, abbiano cambiato colore da allora. La domanda che da dentro avvolge chiunque si aggiri oggi, in silenzio e con il cuore gonfio, su quel crinale in cui il mare si fa terra e lo spazio si fa tempo, è una e una soltanto. Ne è valsa pena? Per la liberazione e per la vittoria certo. Ma noi, tutti noi, oggi che ne facciamo di quel dono immane, di quel gigantesco falò di vite bruciate sul rogo della follia? In quelle terre del disumano sacrificio persino le voci della retorica militare chinano il capo stemperandosi. Lasciando, nei templi del ricordo, spazio ad altri messaggi. Il memoriale di Caen, intimo e celeste per forza evocativa ed educativa, non guarda in faccia a nessuno. Non ai più possenti vincitori di allora (americani e sovietici), che, le mani ancora grondanti il sangue dei propri figli, già andavano seminando nel mondo nuove morti nel nome di contrapposte ideologie. Non alle successive mille rinnovate bramosie di potere e supremazia in ogni angolo della Terra. E neppure all’odierno, feroce e spietato dominio della diseguaglianza sociale, economica e finanziaria. Tu, Andrew J. Relosky, fante di Pennsylvania, come Cristo nel nome di altri sei stato inchiodato a una croce. Le parole del vostro calvario ci raccontano, ogni giorno, della potenza di un atto tanto comune e ineludibile come la morte. E ogni giorno gente con la bocca impastata dei vostri nomi e della vostra celebrazione si rende artefice di nuovi scempi o di parole, talvolta anche solo sciocche e leggere, che li preparano. Le alghe compongono grandi macchie scure sotto il pelo dell’acqua, mutandone i colori e quelli del cielo. Sì, il mare qui si fece sangue. Ma la memoria si è depositata sul fondo, ha colorato le rocce, si è fatta ghiaia e poi sabbia fine. Che si insinua tra le dita dei piedi e da lì ti entra nel cuore. Mia moglie raccoglie un sassolino. È color rosso sangue. Lo porteremo con noi Andrew J. Relosky, fante di Pennsylvania cui la famiglia forse non ha potuto mai portare neppure un fiore. Sepolto, lontano da casa, sopra la spiaggia della sua fine e del nostro inizio.



Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica

Senz’acqua non si vive. E con poca si vive male. m

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he l’acqua sia un elemento indispensabile al nostro organismo per la depurazione del sangue e il funzionamento dei reni, lo dovrebbero sapere tutti. E anche che il nostro corpo è costituito per più del 60% d’acqua e che dovremmo berne almeno due litri al giorno – inclusa quella contenuta negli alimenti – perché questa è la quantità di liquidi che eliminiamo quotidianamente attraverso l’urina, il sudore e il respiro. Molti sanno anche che si deve bere spesso e a piccoli sorsi, che non si deve aspettare di avere sete perché quando compare il sintomo siamo già disidratati, e che i bambini e gli anziani sono quelli più a rischio disidratazione: i primi perché lo stimolo della sete non l’hanno ancora, i secondi perché si attenua con l’avanzare dell’età.

Ma non tutti, forse, sanno che… Secondo uno studio francese, bere almeno otto bicchieri di acqua al giorno può aiutare l’erezione in quanto aumenta il volume del sangue. Una ricerca pubblicata sulla rivista “Hypertension” spiega che l’acqua riesce a ridurre il rischio di svenimento in chi soffre di pressione bassa. Secondo i ricercatori del King’s College di Londra, la disidratazione non solo incide sulle dimensioni del cervello, ma anche sul suo funzionamento. Bere poco altera, infatti, la capacità di memorizzazione e di concentrazione.

Uno studio di sei anni pubblicato nel maggio del 2002 dall’American Journal of Epidemiology ha dimostrato che coloro che devono più di cinque bicchieri di acqua al giorno avevano, durante il periodo dello studio, il 41% di probabilità di meno di subire un infarto di coloro che bevevano meno di due bicchieri di acqua al giorno. Una ricerca condotta dal Dipartimento di Nutrizione e Metabolismo del Consiglio superiore delle ricerche scientifiche di Madrid ha rivelato che bere un litro di acqua minerale al giorno abbassa in modo significativo i livelli di colesterolo nel sangue. Da un altro studio condotto dalla Brown University (Stati Uniti) per 22 anni su 47.909 maschi, si conclude che bere un litro e mezzo di acqua al giorno riduce del 24% l’incidenza di tumore alla vescica.

L’acqua, inoltre, è un elemento fondamentale per la bellezza e il benessere del nostro corpo perché… L’acqua ripulisce la pelle da scorie e tossine, ne migliora il colorito donandole un aspetto più salutare e, grazie a una migliore idratazione interna, la mantiene più fresca, tonica e giovane. È il nemico numero uno della cellulite, fenomeno legato della ritenzione idrica, quindi al ristagno di liquidi nei tessuti.

È un prezioso alleato nelle diete: bere qualche bicchiere d’acqua prima dei pasti aiuta a placare l’appetito e consumarne almeno 7-8 bicchieri al giorno consente una generale attenuazione del senso di fame. È un ottimo rimedio per combattere le borse sotto gli occhi. Rinforza unghie e capelli che, in mancanza di una corretta idratazione, diventano più fragili e più esposti alla caduta.

Ma non solo. Vi sono altre curiosità e informazioni, sull’acqua, che è utile sapere… Per esempio, che bastano 90 minuti di sudorazione costante a ridurre la materia grigia al pari di un intero anno di invecchiamento (ma fortunatamente sono sufficienti 1-2 bicchieri di acqua per far ritornare il cervello alla normalità). Oppure che è meglio non bere troppo durante i pasti; se si esagera si rischia, infatti, di diluire troppo i succhi gastrici e rendere la digestione più difficile. O ancora, che una disidratazione anche solo dell’1-2% del proprio peso corporeo, fa diminuire notevolmente le forze e aumenta il senso di stanchezza, e che bere tanto diventa ancora più importante dopo un’abbuffata o un consumo eccessivo di alcolici, perché consente all’organismo di depurarsi ed eliminare le tossine.

Che cosa e perché bere Minimamente mineralizzate: hanno un contenuto di sali minerali inferiore a 50 milligrammi per litro; sono acque “leggere” molto diuretiche ma che non affaticano i reni in quanto contengono una scarsa quantità di sali minerali. Oligominerali: hanno un contenuto di sali minerali non superiore ai 500 milligrammi per litro. Sono ottime acque da tavola, adatte ad essere bevute quotidianamente. Sono consigliate a chi soffre di ipertensione arteriosa perché contengono poco sodio, mentre sono sconsigliate a chi soffre di gastrite o ulcera perché hanno spesso un più elevato livello di acidità.

Minerali: il residuo fisso è compreso tra 500 e 1000 milligrammi (1 grammo) per litro. Contengono una percentuale consistente di sali minerali e pertanto non devono essere bevute in quantità eccessive (fino a un litro al giorno), alternandole con acqua oligominerale. Hanno applicazioni diverse a seconda del tipo di sostanze in esse presenti: · solfate sono consigliate a chi ha problemi di fegato; · solfato-calciche sono consigliate a chi ha il colesterolo alto; · bicarbonatiche sono consigliate a chi ha problemi digestivi; · cloruro-sodiche sono consigliate a chi soffre di stitichezza, ma sono sconsigliate a chi ha problemi renali e di ipertensione.

Ricche di sali minerali: il residuo fisso è di oltre 1500 milligrammi per litro. Sono molto ricche di sali e quindi vanno consumate solo sotto controllo medico.


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Astri toro

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Tra il 28 e il 30 grazie agli influssi lunari potrà nascere una nuova collaborazione. Recupero energetico per i nati nella terza decade ormai liberi da Marte. Maggior controllo sulle abitudini alimentari.

Improvviso calo energetico: tra il 29 e il 30 agosto Luna e Marte si troveranno in posizione disarmonica rispetto al vostro Sole natale. Il partner tende a comportarsi in maniera sempre più oppressiva.

Tra il 29 e il 30 agosto la Luna in Acquario si rivelerà particolarmente favorevole. Incontri con persone provenienti dall’estero. Momento roseo grazie alla congiunzione di Giove con il Sole natale. Buone idee.

Le vostre scelte sono dettate dall’amore. L’attrazione verso le persone più mature viene favorita da Saturno. La ricerca di sicurezza tende a divenire un elemento fondamentale della vostra vita.

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Un attacco alla vostra professionalità potrebbe scuotervi tra il 29 e il 30 agosto. Con Marte in Scorpione i nemici tendono a uscire allo scoperto. La Luna in Acquario vi rende più egocentrici del solito.

Incontri e fidanzamenti. Con l’arrivo di Marte nella vostra terza casa solare ogni vostra attività tende a intensificarsi. Nuovo fervore a sostegno di un’idea. Viaggi e spostamenti per i nati nella prima decade.

Liberi da Marte potete godervi questi ultimi giorni di agosto. Tra il 29 e il 30 la Luna di transito in Acquario tenderà a facilitare soluzioni di tipo creativo. Sensualità e originalità. Opportunità professionali.

Gli ultimi giorni di agosto sono segnati dall’arrivo di Marte. Comprendete da subito quali siano i vostri reali obiettivi. Canalizzatevi in qualcosa in cui credete veramente. Cautela tra il 29 e il 30 agosto.

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Incontri con persone più giovani. I giochi di seduzione sono favoriti dal transito di Mercurio nella quinta casa solare. Situazioni inaspettate per i nati nella prima decade. Attività sociale tra il 29 e il 30 agosto.

Intorno al 29 agosto la Luna realizzerà un importante passaggio nella seconda casa solare. Questo transito da un lato comporterà un aumento della vostra popolarità, dall’altra favorirà gli incontri con il gentil sesso.

Tra il 29 e il 30 avrete la possibilità di sfruttare al massimo il vostro carisma. Le vostre abilità psichiche potranno rivelarsi assai utili anche sul piano pratico. Aumenta la vostra ricettività erotica.

Grazie al transito di Marte nella vostra nona casa solare vi sentite improvvisamente pronti ad abbracciare nuove idee e culture diverse. Viaggi in paesi lontani alla riscoperta delle proprie origini. Premonizioni.

» a cura di Elisabetta

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Orizzontali 1. Traballante, instabile • 10. Furioso • 11. Trainano carri • 12. Vendita all’incanto • 13. Il noto Ramazzotti • 14. Fa coppia con lui • 15. Tentar • 17. Il nome di Morricone • 19. Competizioni • 20. Noto stilista • 21. Il dio egizio del sole • 22. Breve esempio • 23. Dittongo in leone • 24. Colpevolezza • 27. Lo sono le faccende ancora inevase • 29. Drappelli di soldati • 30. Il fiume dei Cosacchi • 31. Balzo • 33. Consonanti in Luigi • 34. Il nome di Pacino • 35. Serpente • 37. Insenatura • 38. Riserva centrale • 39. Vocali in stolti • 41. Belgio e Norvegia • 42. Vaso panciuto • 43. Famosi, conosciuti • 45. Precede la notte • 46. Pampini • 48. Andati in poesia • 50. Questa cosa • 51. Con Tizio e Sempronio. Verticali 1. Un successo di Billy Wilder • 2. Lupin, ladro gentiluomo • 3. Bacinella • 4. Mezza Italia • 5. I confini di Locarno • 6. Annullate, revocate • 7. Mai usata • 8. Rapare • 9. Pari in ceri • 13. Articolo romanesco • 15. L’antico Eridano • 16. Rigettare, rintuzzare • 18. Lo sono i danni insanabili • 21. Reiterata • 25. Colpo fortunato, successo pieno • 26. Congiunzione inglese • 27. Purulenza • 28. Sopportati, consentiti • 32. La fine della Turandot • 36. Penisola della Iugoslavia • 40. Il pupo dell’Iris • 42. Dittongo in poeta • 44. Sigla radiologica • 45. La nota degli sposi • 47. Vicolo centrale • 49. Il pronome dell’egoista.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 36

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 30 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 28 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Soluzioni n. 32

La soluzione del Concorso apparso il 10 agosto è: CASERMA Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Alfredo Martini 6690 Cavergno Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

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Promettiamo a Solei di raccogliere e riciclare entro la fine del 2013 tutte le bottiglie di plastica. Il prossimo anno la Migros raccoglierà e riciclerà insieme alle bottiglie del latte anche tutte le confezioni vuote di shampoo, gel doccia, detergenti e detersivi. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.

Di più su generazione-m.ch


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