Ticino7

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№ 35

del 31 agosto 2012

con Teleradio 2–8 settembre

Adolescenti

feriTe dell’AnimA

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La linea golosa e leggera.


Ticinosette n° 35 del 31 agosto 2012

Agorà Adolescenza e autolesionismo. Scritto sulla pelle Società Economia e tassazione. Svezia vs Svizzera Letture La ricerca delle radici

Impressum Tiratura controllata 70’634 copie

Chiusura redazionale Venerdì 24 agosto

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

di

roberto roveda

Gastronomia Riso. Tutto in un chicco

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Arti Richard Wagner. La legge del cuore Vitae Padre Michele Ravetta

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Reportage Il frutto più vicino Luoghi Nonluogi. L’attesa

di

di

di

alba Minadeo

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eugenio Klueser . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

di

oreste bossini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di

steFano guerra; FotograFie di reza Khatir . . . . . . . . . . . . . . .

Keri gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Salute. Belli e addormentati

di

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Mariella dal Farra . . . . . . . . . . . .

Patrizia Mezzanzanica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Redattore responsabile Fabio Martini

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Incidere la purezza Elaborazione grafica di Antonio Bertossi

La rivoluzione parte dal verde Pubblichiamo con piacere uno scritto giunto negli scorsi giorni in Redazione . Il lettore fa riferimento a uno degli ultimi contributi del giornalista Stefano Guerra (Ticinosette n . 31/2012 ) dedicato alla biodiversità e alla gestione delle aree verdi del cantone, in particolare quelle inserite nei tessuti urbani, le più minacciate e sacrificate . Anche nel numero che state sfogliando è presente uno scritto di Guerra, questa volta dedicato a un frutteto-giardino privato del Locarnese: un esempio tutto ticinese di quello che oggi in molte metropoli occidentali viene definito Guerrilla gardening, la ricerca, la difesa e la promozione del verde di fronte all’imperante cementificazione . “Spettabile Redazione, Alcune settimane fa avevo letto un articolo molto critico sulla gestione delle zone verdi in Ticino. In particolare mi ha aveva colpito la critica che veniva fatta al personale incaricato della manutenzione dei prati e delle piante. È certamente passato qualche giorno, ma dopo aver letto quell’articolo ho iniziato a guardare con un po’ più di attenzione i parchi che si trovano in città, e credo di avere capito meglio quello che il giornalista scriveva. Non ho la fortuna di poter vivere in una casa con il giardino e non ho mai pensato di avere quello che si dice «un pollice verde», ma di scuro credo che non vorrei mai un prato dove insetti e piccoli animali non riescono a trovare uno spazio adatto alla loro sopravvivenza. Ogni volta che si parla di biodiversità e di rispetto dell’ambiente, sembra che i responsabili abitino chissà dove e che il semplice cittadino abbia le mani legate di fronte ai cambiamenti climatici o alla tanto discussa moria delle api. Poi scopri che basterebbe che ognuno di noi, chi più chi meno, dedicasse un po’ del suo tempo a coltivare qualche pianta o erba sul proprio balcone per rendere i nostri paesi più vivibili e colorati.

Nella zona in cui vivo di grandi zone verdi ce ne sono, ma quello che manca è proprio la possibilità di vedere piante e fiori diversi: tutto sembra uguale come se le amministrazioni dei comuni avessero nei magazzini (o nelle teste dei loro tecnici?) solo un paio di idee su come dovrebbe essere un piccolo parco. Si parla delle aree verdi pubbliche, ma mi pare che quelle private non vivono una situazione tanto migliore: nel palazzo dove abito i giardinieri falciano il prato con le loro puzzolenti e rumorosissime macchine (ma gli apparecchi elettrici non li vedono più?) ogni dieci giorni/due settimane! Tanto che a volte mi chiedo a che cosa possa servire tagliare un prato quando l’erba non supera nemmeno i 5/6 cm di altezza. Infatti a partire da aprile/maggio l’unica cosa che vedi crescere è un po’ di trifoglio e qualche minuscola margheritina: il prato non ha nemmeno il tempo di poter accogliere anche altri tipi di fiori, perché vengono eliminati ancora prima di riuscire a mettere le radici. Figuriamoci gli insetti! In queste settimane si è tanto sentito parlare del nuovo piano viario di Lugano: io credo che sia un’ottima cosa, in particolare se permetterà di fare in modo che il traffico privato non passi dalle zone centrali solo perché non ha altre vie da utilizzare. Sono state create delle aree pedonali e immagino che tanti altri interventi ci saranno anche in futuro. Sarebbe una buona cosa se in tutto questo progetto qualcuno pensasse anche a creare dei prati e dei piccoli parchi dove prima passavano e venivano parcheggiavano solo le auto. Credo che sarebbe un buon modo per rendere i nostri centri più accoglienti e più freschi nei mesi estivi. Forse qualcuno si ricorda quello che era stato fatto a Bellinzona pochi anni fa: davanti al Municipio avevano steso un grande tappeto erboso, tra la sorpresa e la gioia di tutti (in particolare degli adulti). Magari un giorno tutto quello potrebbe essere finalmente la normalità. Cordiali saluti e buon lavoro, F. T. (Savosa)”


Adolescenza. Scritto sulla pelle

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Agorà

Considerata un’età di passaggio tra il mondo infantile e quello adulto, negli anni dell’adolescenza i ragazzi manifestano comportamenti e si relazionano utilizzando linguaggi complessi e conflittuali. Un processo necessario sia all’elaborazione del vissuto, sia alla scoperta di sé, del proprio corpo e dei propri limiti di Mariella Dal Farra illustrazione di Antonio Bertossi

N

ell’estate del 1998 lavoravo presso il carcere minorile di Milano, l’istituto “C. Beccaria”, come animatrice: proponevo un cineforum incentrato sui film di fantascienza, mentre una collega gestiva un laboratorio di cartonnage. A pochi giorni dall’inizio delle attività, la collega fu però costretta a richiedere la presenza di agenti di sorveglianza supplementari per prevenire il furto dei taglierini usati per sagomare il cartone. Chiesi se i taglierini venissero usati a scopo di intimidazione, ma scoprii che i ragazzi li usavano soprattutto per compiere atti autolesivi; tale condotta era in uso particolarmente presso i detenuti di etnia Rom i quali, interrogati sulle loro motivazioni, rispondevano che praticare piccoli tagli sulle braccia e provocare la fuoriuscita di sangue era un modo per “fare uscire il male”. Il “male” era il dolore psicologico causato dal regime di detenzione, nonché da fattori contingenti che potevano occorrere in quel frangente (abbandono da parte della fidanzata, controversie familiari, criticità varie). In quello specifico contesto socioculturale, il ricorso all’atto autolesivo appariva perciò sotteso da variabili “situazionali” che, in qualche modo, ne stemperavano la connotazione psicopatologica. Nel corso degli ultimi anni, però, le statistiche indicano come le condotte autolesive non suicidarie – ovvero fine a se stesse, che non hanno come scopo il suicidio – siano in generale aumento fra gli adolescenti, con percentuali stimate fra il 13


e il 45% nella popolazione complessiva e fra il 40 e il 60% in quella clinica; tale distribuzione risulta trasversale per genere1 e nazionalità. Fra le motivazioni addotte per spiegare il proprio comportamento, molti ragazzi e ragazze fanno riferimento allo stesso concetto utilizzato dagli adolescenti Rom che partecipavano al laboratorio di cartonnage: “Sento che tutto il male uscirà fuori da me insieme al sangue”; “Mi sento meglio quando posso mettere il dolore all’esterno di me”2. Alterazione e distruzione Il comportamento autolesivo è definito come “l’alterazione o la distruzione, diretta e deliberata, di parti del proprio corpo, in assenza di una chiara o consapevole intenzionalità suicidaria”3. Nella maggior parte dei casi (70-90% della casistica afferente ai servizi di psicologia/psichiatria) tale condotta consiste nel tagliarsi con uno strumento affilato, ma può anche comprendere il graffiarsi, il colpirsi (per esempio, battere la testa o le nocche contro il muro), lo scottarsi (con la cera di una candela, la fiamma di un accendino, la brace di una sigaretta). Si tratta di un sintomo che può caratterizzare diverse sindromi (autismo; alcuni casi di psicosi; il disturbo Borderline di personalità; il disturbo da stress post-traumatico), ma che si presenta anche a corredo di un problema di identità, categoria che nel DSM IV indica “problemi di identità legati a una fase dello sviluppo (per esempio, adolescenza)”4 in assenza di una diagnosi di disturbo mentale. Di fatto, l’età media di insorgenza del comportamento autolesivo si colloca fra i dodici e i quattordici anni, ed è quindi possibile che la transizione dall’infanzia alla pubertà rappresenti un periodo sensibile per lo sviluppo di tale sintomatologia5. Talvolta si presenta in concomitanza a Disturbi clinicamente accertati, il cui esordio tende a ricadere nella stessa fase evolutiva, come per esempio nei Disturbi dell’Alimentazione, nell’Abuso di sostanze e nella Depressione. Inoltre, nonostante l’atto autolesivo sia fine a se stesso, “il 50-75% delle persone che riportano in anamnesi questo sintomo hanno commesso almeno una volta un tentativo di suicidio”6. Per quanto riguarda i fattori di rischio “ambientale”, questi adolescenti riferiscono, più frequentemente degli altri, esperienze di carattere traumatico occorse durante l’infanzia – una malattia cronica, un importante intervento chirurgico, la perdita di un genitore – e provengono spesso da background familiari descritti come ipercritici e/o anaffettivi. La violenza costituisce a sua volta una variabile importante nella genesi del sintomo, poiché il 79% circa degli individui che vi ricorrono sono stati oggetto di abuso infantile, maltrattamento o negligenza parentale.

Le ragioni più profonde Per quanto riguarda le motivazioni interne, sono state proposte diverse teorie, ciascuna delle quali contribuisce solo in parte a spiegare un comportamento così complesso e apparentemente disadattivo: “apparentemente” perché molti studi convergono sull’ipotesi che il comportamento autolesivo rappresenti in primo luogo una strategia per la regolazione delle emozioni, soprattutto di quelle negative (ovvero, associate a disagio o sofferenza psicologica). A tale proposito, una recente revisione della letteratura (Klonsky, 2007) pone in evidenza come: “1. affetti intensamente negativi (per esempio, rabbia, ansia, senso di colpa, senso di solitudine, odio per se stessi e tristezza) precedano gli atti autolesivi; 2. nella maggior parte dei casi riportati, l’atto autolesivo venga perpetrato con l’intento di ridurre l’intensità dell’affetto negativo; 3. l’atto autolesivo comporti una temporanea sensazione di sollievo e un ridimensionamento dell’affetto negativo; 4. comportamenti pseudo-autolesivi (atti che si configurano come equivalenti ma che non comportano una lesione vera e propria, per esempio visualizzare mentalmente l’azione del tagliarsi o eseguire un compito che comporta dolore fisico), condotti in laboratorio con soggetti non sintomatici, evidenziano un’oggettiva riduzione nell’intensità degli affetti a valenza negativa, nonché dell’attivazione fisiologica complessiva”.7 La modalità di funzionamento di tale “strategia” deve essere ancora chiarita; per ora, sono stati individuati tre meccanismi di base: l’evitamento di emozioni indesiderate (ovvero, distogliere l’attenzione da sentimenti vissuti come intollerabili), la loro materializzazione (rendere tangibile il dolore emotivo) e/o la loro alterazione (l’atto autolesivo comporta il rilascio di endorfine, che producono analgesia e una sensazione di benessere generale; per contro, la vista del sangue determina un aumento dell’attivazione fisiologica, che può tradursi in una sensazione di eccitamento soggettivamente piacevole). Altre motivazioni emerse a lato dell’auto-regolamentazione emotiva sono il desiderio di punirsi, comunicare sentimenti di afflizione e/o angoscia, chiedere aiuto, contrastare i sintomi dissociativi (“sentire qualcosa”, “tornare a essere reale”), mettere alla prova i propri limiti e deflettere l’aggressività verso altre persone importanti (familiari o amici).

“La sua pelle è un panno bianco / ricucito da ghirigori di fili neri / molti spilli colorati / nel suo cuore son puntati. / Ha un bel paio di occhioni / che usa per intontolire i ragazzoni. / […] Eppure anche lei è preda / di un maleficio da superstrega / un sortilegio che non può / spezzare: se qualcuno le / si avvicina, gli spilli si / fanno spina e nel cuore / vanno ad affondare”

Agorà

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Lo stress, gli “Emo” e il rifiuto della felicità Poiché nell’immediato il comportamento autolesivo risulta efficace nel ridurre lo stress, molti adolescenti lo percepiscono come sintonico e non sono quindi motivati a interromperlo. Inoltre, negli ultimi anni si assiste a un (...)


FiRSt tC iS the peS deepeS


u ut e S St

allentamento dello stigma sociale comportato dalla condotta in oggetto che, se una volta era ritenuta esclusiva dei compagni più “sfortunati”, ora rivendica, anche a livello di comunicazione fra pari, una propria “distintività”; come per esempio accade presso i ragazzi/e che si riconoscono nella subcultura “Emo”. Questa tendenza è stata “suffragata” dal coming out di diverse personalità mediatiche di alto profilo che hanno rivelato condotte autolesive pregresse o attuali; fra queste: la defunta principessa Diana, gli attori Angiolina Jolie e Johnny Depp – la cui interpretazione nella pellicola di Tim Burton Edward mani di forbice (1990) conterrebbe un riferimento implicito a tale pratica – il controverso cantante Marylin Manson, ecc.8 Per quanto efficace nel ridurre sensazioni negative a breve termine, il comportamento autolesivo rimane ovviamente una strategia drammaticamente disadattiva, che comporta non solo il danneggiamento del corpo ma anche la compromissione a lungo termine del benessere fisico e psicologico dell’individuo. Se il comportamento autolesivo costituisce “il disperato tentativo di smorzare l’intensità di emozioni e sentimenti spiacevoli, a loro volta esacerbati da strategie inefficaci quali la ruminazione, l’auto-denigrazione e l’impotenza appresa”9, allora “potrebbe rivelarsi utile introdurre nelle scuole programmi mirati a migliorare le «competenze emotive» dei bambini”10 attraverso la trasmissione di modalità più adattive sia sul piano operativo (per esempio, tecniche di gestione dello stress) che personologico (sviluppo della cosiddetta Intelligenze Emotiva, tratto mediato da fattori quali l’assertività, l’adattabilità, l’autostima, la consapevolezza di sé e degli altri).

note 1 Alcuni studi riportano una prevalenza di adolescenti di sesso femminile, per esempio M. Rissanen, J. Kylmä, E. Laukkanen, “Descriptions of selfmutilation among finnish adolescents: a qualitative descriptive inquiry”, Mental Health Nursing, 29:145–163, 2008. 2 Op. cit., pag. 156: “I feel that all the evil will bleed out of me with the blood”; “I feel better when I can get the pain out of me”. 3 M. Mikolajczak, K. V. Petrides, J. Hurry, “Adolescents choosing self-harm as an emotion regulation strategy: The protective role of trait emotional intelligence”, British Journal of Clinical Psychology (2009), 48. 181-193, pag. 181. 4 American Psychiatric Association, DSM-IV-TR , 2000, pag. 756. 5 L. H. Choate, “Counseling Adolescents Who Engage in Nonsuicidal SelfInjury: A Dialectical Behavior Therapy Approach”, Journal of Mental Health Counseling, Volume 34, numero l, gennaio 2012, pp. 56–70. 6 Op. cit., pag. 56. 7 M. Mikolajczak et al., Op cit., pag. 182. 8 http://self-injury.net/media/famous-self-injurers 9 M. Mikolajczak et al., Op cit., pag. 190. 10 Ibidem, pag. 191.

citazione a pag. 5 Tim Burton, “La Bambina Vudù (Voodoo Girl)”, poesia tratta dal volume Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie (Einaudi, 1998) per saperne di più Per un approfondimento del tema, si segnala il saggio Un urlo rosso sangue di Marilee Strong edito da Frassinelli (1999). Menzioniamo inoltre, per la sua originalità, il film Secretary diretto da Steven Shainberg nel 2002, che propone un’elaborazione dei temi trattati nell’articolo in chiave di commedia con elementi di humor nero.

Agorà

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Svezia vs Svizzera Due paesi con un tenore di vita tra i più elevati e una differenza superiore al 16% sul carico fiscale dei contribuenti. Negli anni Settanta un racconto di Astrid Lindgren scatenò in Svezia un acceso dibattito sul gettito, contribuendo a far cadere il governo socialdemocratico di Alba Minadeo illustrazione di Elio Ferrario

Società

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Nella vicina Penisola italiana è in corso da tempo un dibattito sulla pressione fiscale effettiva – ovvero il peso fiscale che grava sui contribuenti in regola – che nel 2012 si è attestato al 55% del PIL, con punte fino al 70%: per ogni euro guadagnato, un italiano deve versare al fisco 55 centesimi. L’Italia, nonostante l’elevato livello di economia sommersa e a causa di un’evasione fiscale pari a 154 miliardi di euro, registra il “record mondiale” di tassazione; gli italiani sono uno dei popoli che paga più tasse. La pressione fiscale apparente (data dal rapporto tra gettito e PIL) è pari al 45,2%, al quinto posto sui 35 paesi considerati dallo studio della Confcommercio italiana, dietro a Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia (45,8%) e Belgio (45,8%), e prima di Germania (40,4%), Regno Unito (38,1%), Spagna (32,9%), Giappone (30,6%), Stati Uniti (26,3%). La Svizzera, con il suo 29,5%, è tra i paesi con la pressione fiscale più bassa. La media europea è del 40,6%. Una denuncia fiabesca Pomperipossa in Monismania è il titolo di un racconto satirico, in forma di fiaba, che l’autrice svedese di libri per ragazzi Astrid Lindgren ha scritto quando si è vista recapitare una cartella esattoriale con un’aliquota del 102%. Lo scritto venne pubblicato sul tabloid serale svedese “Expressen” il 3 marzo 1976 e ne nacque subito un gran dibattito. La caduta del quarantennale governo del partito socialdemocratico svedese, avvenuta nello stesso anno, venne in parte attribuita a questa storia (nonostante ciò, la scrittrice rimase simpatizzante socialista per tutta la vita). L’aliquota marginale superiore al 100%, soprannominata poi “effetto Pomperipossa”, si doveva a una normativa fiscale che richiedeva ai lavoratori autonomi di pagare sia l’imposta regolare sul reddito sia le spese del datore di lavoro. Il ministro delle Finanze, Gunnar Sträng, dichiarò che erano stati sbagliati i calcoli, ma il giorno dopo la sua morte, il 29 gennaio 2002, l’allora primo ministro Göran Persson ammise che Astrid Lindgren aveva ragione su Pomperipossa. C’era stata un’anomalia nelle aliquote fiscali. Protagonista del racconto è la strega di Pomperipossa, personaggio di fantasia ripreso da La storia di Pomperipossa con il

naso lungo, una serie di divertenti scritti pubblicati in Svezia nel 1895, di “Falstaff, fakir”, pseudonimo di Axel Wallengren (1869–1946), scrittore, poeta e giornalista svedese. La storia di allora si svolgeva in un paese fittizio, migliaia d’anni fa. La protagonista era una strega con un lungo naso, molto ricca, che viveva in una casa costruita di salsicce e prosciutti. Un’opera del filone distopico, tipo 1984 di Orwell. La Pomperipossa della Lindgren, in una chiara allegoria satirica, abita in un regno lontano e scrive libri per bambini lavorando sodo ma, dopo aver pagato le tasse, le rimangono soltanto 5000 corone l’anno per vivere (equivalenti a circa 720 franchi svizzeri al cambio di oggi) tanto che non riesce più a pagare nemmeno la rata della pensione di vecchiaia. Alla fine, decide di uscire per le strade a mendicare i soldi per comprare un piede di porco e svaligiare i forzieri dello stato, pensando: “Se rubano loro, posso farlo anch’io”. Dal libro della Lindgren, nel 1995, è stato tratto il film di Kenne Fant, Monismanien. Svezia e Svizzera a confronto Secondo uno studio di tre economisti americani, non c’è mai stato un paese al mondo che abbia avuto un tasso di sviluppo positivo, con una spesa pubblica superiore al 40% del reddito nazionale. La Svezia lo ha scoperto a sue spese. Negli anni Settanta, Svezia e Svizzera avevano entrambe 7 milioni d’abitanti. Una era dotata di grandi ricchezze nazionali e l’altra ne era priva; la Svezia era terza nella graduatoria dei paesi OCSE e la Svizzera seconda. Oggi la Svizzera è sempre seconda, la Svezia è diciottesima. Perché? A partire dagli anni Settanta, il welfare svedese ha fatto aumentare talmente la spesa pubblica che la crescita in Svezia si è fermata. Il sistema cantonale svizzero, invece, ha posto un freno alla fiscalità (il Ticino è, fra i tre cantoni, quello in cui si pagano mediamente meno imposte, inferiori di circa il 20%). La Svizzera ha una pressione fiscale più lieve. Tuttavia, se si considerano tutte le imposte e le tasse sui redditi da capitale, prelevate a livello cantonale e comunale, risulta meno vantaggiosa di altri paesi, con il 20,65%: ma è ancora uno dei migliori mondi possibili.


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La ricerca delle radici

“Heinrich sto arrivando!”. C’è tutta l’urgenza e l’impazienza di

» di Roberto Roveda

Eppure non tutto è menzogna: il protagonista – muovendosi un incontro atteso a lungo in queste parole del protagonista- tra molti archivi e i luoghi della vera o presunta vita del suo narratore di Enrico l’egiziano. Un incontro difficile, quasi antenato, confidando nelle voci e nelle visioni offertegli dalla impossibile, ma per realizzare il quale il propropria immaginazione – realizza un’esperientagonista si reca dalla Svizzera in Egitto dove za che è allo stesso tempo indagine indiziaria spera di poter finalmente conoscere la verità e archeologia familiare. Pagina dopo pagina su Heinrich Bluntschli, misterioso e “favoloso” ci ritroviamo a percorrere vicende vecchie trisavolo vissuto nella seconda metà dell’Ottodi mezzo secolo, accanto a un Heinrich cento. Un uomo fuggito in Egitto in cerca di Bluntschli di volta in volta mascalzone e fanriscatto, dopo aver lasciato precipitosamente nullone, ma anche indomito e coraggioso nel Zurigo, la moglie, un figlio... e molti creditori. momento in cui tutto gli crolla addosso, la sua Un fallito che però, proprio grazie al suo esilio impresa commerciale fallisce e si ritrova solo. egiziano, entra in una sorta di mito domestico, Un personaggio umanissimo nei suoi limiti familiare: di lui si tramanda, infatti, che fu tra e nei suoi slanci, malinconico e antieroico, le altre cose uno dei responsabili della costrureso più “simpatico” dal talento narrativo zione del canale di Suez. Verità o leggenda? e dallo humour con cui Werner racconta Come se cercasse di svolgere il filo dei ricordi, il anche le sue sconfitte peggiori e le sue viltà. romanzo diventa un appassionato inseguimenIl grande quesito che accompagna il romanzo to a un’identità che sfugge, priva di contorni – “Che cosa rimane, della vita di una persona, Enrico l’egiziano nitidi, e Heinrich Bluntschli assume profili dopo un secolo e mezzo?” – trova una risposta: di Markus Werner diversi rispetto al mito tramandato in famiglia; ciò che rimane è poco o nulla, solo piccoli Casagrande, 2011 quello più simile all’unica immagine che lo frammenti di un documento e un’immagine ritrae, un dipinto a olio attribuito a Rudolf Koller in cui “metà conservata nelle memorie di un’anziana che forse conobbe del viso, poi, è in ombra. La debole luce che mette in evidenza l’altra Heinrich Bluntschli da bambina, proprio in Egitto. Briciole, metà non riesce a illuminare anche lo sfondo e per questo un orecchio ma comunque sufficienti a ricucire un legame con il passato e e soprattutto i capelli sfumano nell’oscurità quasi senza contrasto”. sentirsi forse meno soli nel presente.

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Tutto in un chicco “Il riso dà la vita, il calore, dà forza e prontezza di spirito. Allontana la fame, calma la sete, ristabilisce l’equilibrio degli umori del corpo”. Così la saggezza orientale celebra fin dai tempi antichi le proprietà benefiche del bianco chicco di Eugenio Klueser

Gastronomia

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Si parla di riso e troppo spesso ci si ferma a decantare i risotti o il classico timballo. In verità, questo cereale si sta affermando sempre come un alimento capace di soddisfare il palato e quale fonte di salute. Non è dunque un’eresia (neppure nella cultura gastronomica italiana) considerare il riso come una valida alternativa alla pasta, con alcuni vantaggi rispetto alla “storica rivale”. Il bianco chicco, grazie alla concentrazione di vitamina B, garantisce infatti una digeribilità superiore a quella di altri farinacei; come già sapevano le nostre nonne, che per secoli hanno nutrito a riso bianco malati e convalescenti. È altresì noto sin dai tempi più antichi che il riso svolge un’azione antinfiammatoria e regolatoria dell’attività intestinale, e spesso basta una dieta a base di questo cereale per risolvere le affezioni di minore gravità all’intestino.

Salute e bellezza La versatilità del riso non si ferma però alla tavola, dal momento che alcuni suoi derivati vengono impiegati sempre di più nell’ambito della cosmesi. Fin dai tempi degli antichi romani, infatti, sono state riconosciute a questo cereale proprietà preziose per la bellezza: non solo perché, contribuendo a un’alimentazione più sana può portare innegabili benefici estetici, ma anche perché, in virtù delle affinità biochimiche esistenti tra questo cereale e la struttura dell’epidermide, agisce sulla pelle come un naturale trattamento antietà. Tale qualità è nota da tempo: si racconta infatti che Poppea, moglie dell’imperatore romano Nerone, avesse inventato la prima maschera di bellezza della storia, impiegando come ingredienti appunto latte d’asina e riso macinato. Allo stesso modo, in Oriente, le geishe, nei loro cerimoniali di bellezza, per Un piccolo scrigno donare morbidezza alla pelle e rendere Negli ultimi anni, però, le ricerche sulle puro l’incarnato, erano solite riempire sue proprietà organolettiche hanno una sacca di seta con crusca di riso e mostrato come nel riso ci sia molto di fagioli tritati e massaggiarsi il viso con più: in primo luogo è particolarmente questa mistura. Un trattamento che oggi consigliato nelle diete a basso contenuto definiremmo di “scrub”, che consentiva di sodio, poiché favorisce l’eliminazione di detergere perfettamente la pelle senza dei liquidi e quindi ostacola la ritenzioprivarla dei grassi naturali, grazie agli ne idrica. Allo stesso tempo, dato l’alto emollienti contenuti nella crusca di contenuto di potassio che aiuta a regoriso. Attualmente in ambito cosmetico lare il ritmo cardiaco, è particolarmente sono diffusi prodotti che utilizzano in Immagine tratta da Köhler’s Medizinal-Pflanzen indicato per soggetti intolleranti e per particolar modo l’amido e l’olio di riso. di Hermann Köhler (Franz Eugen Köhler, 1887) coloro che soffrono di malattie carL’amido ha sulla pelle un piacevole diache e ipertensione. Inoltre, rispetto effetto rinfrescante ed emolliente; è alla sua storica “rivale”, il riso ha un potenziale in più: non un antinfiammatorio contro le irritazioni e gli arrossamenti contenendo glutine – sostanza proteica presente in moltissimi anche delle pelli più sensibili, come quelli di bambini e neocereali, quali il frumento, il farro e l’orzo – può essere assunto nati. Inoltre è largamente utilizzato come sostitutivo del talco, anche dai celiaci. poiché ha capacità assorbenti pur consentendo la naturale Per beneficiare dei suoi valori nutritivi, i dietologi consigliano traspirazione dell’epidermide. L’olio di riso è invece ottenuto quello integrale (non soggetto al processo di raffinamento e tramite il procedimento di spremitura a freddo del germe e della sbiancatura tipico del riso brillato) nel quale vitamine e sali pellicola interna del chicco e ha effetto antiossidante, idratante rimangono intatti all’interno di ogni singolo chicco. Per i più e protettivo dei raggi UV. Insomma una vera miniera di tesori attenti alla linea segnaliamo che numerosi studi hanno rilevato questo piccolo chicco, per tanto tempo considerato solo cibo come molti prodotti alimentari come la farina e la pasta di riso, per i più poveri, per quelli che non potevano permettersi nepin quanto privi di colesterolo, risultano più leggeri rispetto ai pure la farina di mais per la polenta... più comuni corrispettivi e danno un apporto calorico più moinvito alla lettura desto. Non per nulla i popoli che consumano grandi quantità AA.VV. di riso sono meno soggetti ai mali tipici delle società occidentali I mille usi del riso. Le sue virtù curative in consigli, ricette, notizie e citazioni Armenia editore, 2011 (obesità, ipertensione, ipercolesterolomia).


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La legge del cuore

Archimede sosteneva che avrebbe sollevato il mondo, se avesse avuto un punto d’appoggio. Richard Wagner trovò il suo punto d’appoggio, per trasformare l’opera in dramma musicale, nella figura della donna e nel principio dell’ “amour fou” di Oreste Bossini

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Tutto il suo teatro poggia sull’idea che l’amore di una donna sia l’unica forza in grado di redimere l’uomo dai suoi peccati e di salvare il mondo dalla sua congenita malvagità. Il Cristo sarebbe stato un soggetto ideale per un lavoro di Richard Wagner (1813–1883), che infatti scrisse nel 1849 l’abbozzo dettagliato di un dramma dal titolo Gesù di Nazareth. Il libretto, però, non venne mai musicato; forse perché al protagonista mancava una qualità essenziale agli occhi dell’autore per incarnare un redentore, essere donna. Gesù diventava nel suo testo un rivoluzionario, che riscatta l’umanità spezzando le barriere sociali e sovvertendo i rapporti economici. Ma non era nella sfera della politica che Wagner intendeva sviluppare il tema dell’amore, bensì in quella oscura e misteriosa dei rapporti tra uomo e donna. Der fliegende Holländer (L’olandese volante), opera scritta nel 1841 a Meudon – un paese dormitorio alla periferia di Parigi dove Wagner si era rintanato per sfuggire ai creditori – rappresenta l’inizio di un percorso che raggiunge il culmine drammatico in Tristan und Isolde e trova alla fine una controversa conclusione in Parsifal. “Non concepisco lo spirito della musica che nell’amore” scriveva in una lettera alla nipote Johanna. “Il mio solo bisogno è l’amore. La gloria, gli onori, nessuna di queste cose mi rassicura. Solo questo può ancora riconciliarmi con l’esistenza: un segno di essere amato”. I drammi di Wagner ripropongono in maniera ossessiva l’insolubile conflitto contenuto nel rapporto amoroso. L’amore tra Senta e l’Olandese celebra un mistero della fede; quello tra Tristano e Isotta si risolve in un delirio autodistruttivo; quello tra Parsifal e Kundry, infine, si trasforma in un rito mistico. Ciascuna di queste forme rifletteva una fase della vita dell’autore. Il sentimento “folle e redentore” La prima grande figura femminile di Wagner compare nell’Olandese volante. Senta è votata alla redenzione del sinistro e misterioso marinaio, costretto a vagare in eterno nei mari sotto il peso di una maledizione. La ragazza è spinta al sacrificio di se stessa da un amore di natura quasi religiosa, che sboccia nel suo cuore ancor prima di aver incontrato l’Olandese. Accetta il martirio finale con la semplicità di un atto di fede, come una santa della Chiesa dei primi secoli. Forse è l’unico personaggio femminile di Wagner del tutto libero dai desideri della carne. Neppure Elisabetta, malgrado il rigore della sua devozione religiosa, era immune da pensieri poco virtuosi nei riguardi di Tannhäuser, che aveva amato come avrebbe fatto volentieri una sposa. Wagner non aveva che ventotto anni quando scrisse Der fliegende Holländer ed era già sposato da cinque. Ma la moglie, Minna Planer, assomigliava ben poco a Senta, e per paradosso era stato Wagner a impersonare in quel caso l’amore folle e redentore, sposando contro l’opinione della famiglia un’attrice più anziana di lui, dal passato molto discutibile e madre di una ragazza che faceva passare per sorella minore. Il lavoro di Tristan und Isolde fu accompagnato dai guaiti di Fips, un bel cane di razza spaniel che agitava la coda come un metronomo attorno al tavolo da lavoro di Wagner. L’animale era un regalo dei Wesendonck, una coppia di facoltosi ammiratori dell’artista in esilio. Il musicista infatti era stato bandito da tutti gli stati tedeschi dopo le sanguinose giornate


Ludwig Schnorr von Carolsfeld e Malvina Garrigues nei ruoli di Tristano und Isolde (Monaco, Nationaltheater, 1865)

della Rivoluzione di Dresda del 1849 e i Wesendonck avevano messo a sua disposizione una casetta di servizio nel parco della loro imponente villa nei dintorni di Zurigo, sulla cosiddetta Collina verde. Dall’illusione al delirio La relazione tra Wagner e Mathilde Wesendonck sembra ricalcare, in forma borghese, la leggenda bretone di Tristano e Isotta, che Wagner aveva cominciato a elaborare nella primavera del 1858. Entrambi si figuravano amanti e infedeli al loro signore, né più né meno del loro doppio teatrale. MathildeIsotta guardava come incantata dalla villa in cima al pendio il confortevole Asyl, dove Richard-Tristan s’incarnava in maniera eccessiva nel suo personaggio. I rispettivi coniugi, Otto e Minna, osservavano con crescente preoccupazione gli sviluppi della situazione, ciascuno secondo il proprio temperamento. La catastrofe avvenne in parallelo alla stesura dell’ “Atto I”. Minna, al culmine della gelosia, intercettò un’incauta lettera del marito, nascosta nel rotolo dei fogli di musica inviati a Mathilde, e si recò immediatamente dai maldestri amanti a chiedere conto del loro comportamento. Lo scandalo venne messo a tacere con un diplomatico viaggio dei Wesendonck in Piemonte e la decisione di Wagner di svernare a Venezia. Ma la forza dell’amore in realtà era già svanita. Il secondo e terzo atto dell’opera rappresentano forse l’epitaffio più amaro sull’illusione che l’amore possa redimere il mondo dal male, invece che sprofondarlo in guai ancora peggiori. La morte di Tristano non rappresenta però l’ascesa al Paradiso, bensì l’ingresso nel Purgatorio. La memoria dell’amore sensuale, infatti, non è stata affatto cancellata dal cuore dei protagonisti. Quando Isotta mormora le parole che le ricordano i momenti d’amore, il labbro e il dolce respiro di Tristano, in orchestra appare una breve figura cromatica che accompagna con cortesia cavalleresca il canto. L’ora della morte giunge quando Isotta comprende di essere rimasta schiava della sua illusione,

mentre i pochi sopravvissuti alla carneficina la osservano compatendo il suo delirio. Amore-convenienza e amore-tragicità La parabola del tema della redenzione attraverso l’amore della donna, centrale nel teatro di Wagner, si conclude con Parsifal. Kundry si presenta all’inizio come una prostituta, ma nel corso dell’opera trova la forza di trasformarsi in una santa. Questa estrema e sublime catarsi dell’eterno femminino riesce finalmente a salvare il mondo dal dolore, rappresentato dalla ferita insanabile di Amfortas. Per Wagner l’origine di tutti i mali della specie umana derivava dal fatto di sottomettere la donna a un ruolo di merce sessuale e di tenere separato l’elemento femminile da quello maschile. A Venezia, mentre le forze gli venivano meno, cercò di fissare questo concetto anche sul piano teorico, oltre che su quello artistico, progettando la conclusione del suo ultimo libro, Religione e arte, con uno scritto intitolato “Sull’elemento femminile nella specie umana”. La decadenza della razza comincia con il matrimonio di convenienza, che rappresenta il fenomeno più pernicioso di una società. “Il cattivo uso del matrimonio, la proprietà e il possesso sono i veri motivi per cui l’uomo è caduto più in basso degli animali”, si legge negli abbozzi. Anche le ultime parole scritte prima di morire nello studio di Palazzo Vendramin a Venezia, il 12 febbraio 1982, sono dedicate al tema che fin dagli inizi aveva ossessionato la sua immaginazione: “Tuttavia il processo di emancipazione della donna avanza soltanto fra convulsioni estatiche. Amore-tragicità”. Cosima, la donna che aveva avuto il coraggio di sacrificare tutto sull’altare dell’arte di Wagner, compreso il rispetto per il marito e la devozione per il padre Liszt, si precipitò nella stanza del moribondo urtando il battente della porta con tale violenza quasi da spaccarlo. La mattina aveva suonato al pianoforte, piangendo, Lob der Thränen (Elogio delle lacrime) di Schubert.

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» testimonianza raccolta da Roberto Roveda; fotografia di Flavia Leuenberger

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padre Michele Ravetta

Vitae

individuale e personale: qui io entro con il mio tesserino di assistente sociale e mi vesto come il personale di cura. Certo, la fede mi viene in aiuto quando sono davanti alla debolezza del paziente e alla mia, e dopo dieci anni di servizio posso dire che c’è una differenza notevole tra l’atteggiamento di un medico che si definisce ateo e quello di un medico credente, magari non praticante ma che crede in qualcuno. L’ospedale non riempie tutta la mia vita. Sono anche cappellano nelle carceri. Qui, come in ospedale, ci sono persone ferite, ci sono ammalati e “ammalati sociali”. I deDel convento lo ha attratto la vita comu- tenuti sono per un cappellano nitaria, ma vi ritorna solo la sera. Perché in primo luogo delle persone è più importante essere presenti lì dove e io cerco di accompagnarle in un cammino che volge le donne e gli uomini vivono e soffrono alla guarigione, alla libertà interiore. C’è gente infatti Così, dopo il noviziato in che non sa come convivere con il crimine Francia è seguito il Bachelor compiuto, che si ammala, che soffre. E chi in Teologia per diventare sainvece ignora ciò che ha fatto: parlo di ascerdote. Un giorno vidi un sassini, violentatori, pedofili. In questi casi servizio televisivo dedicato il cammino da fare è difficile. a un’associazione di Lugano Ascolto confessioni molto forti, di persone che si occupava di tossicoche finalmente possono parlare con qualcudipendenza. Ho visitato la no che non le sta giudicando. Cerco di far struttura e, dopo aver fatto capire loro che se si aprono, non solo a me richiesta ai miei superiori, ho ma a un avvocato piuttosto che a un magiintrapreso gli studi in Scienze strato, danno prova anche di una maturità, dell’educazione con indirizzo di un’umanità che c’è, l’ho sperimentata perTossicodipendenza. sonalmente. Il cappellano aiuta, per quanto Dopo il primo anno a Ropossibile, il detenuto a uscire dalla sua ma, ho concluso gli studi condizione, a essere veramente un uomo... alla SUPSI, e qui si è aperto un o una donna, perché abbiamo anche donne nuovo capitolo: i superiori mi detenute. Per i cappuccini svizzeri, inoltre, hanno inviato nel convento è un po’ una “tradizione” fare i cappellani di Faido dove per sette anni militari, che significa stare accanto a uomini sono stato parroco. Io non e donne che per un periodo limitato lasciano mi vedo come parroco, ma la vita civile per quella militare. Qui ho la quest’esperienza mi ha perpossibilità di mettermi all’ascolto dei milimesso di relazionarmi in motari che hanno nel cappellano una persona do schietto con la gente, mi totalmente a loro disposizione, dove la fede ha iniziato alla dimensione di ciascuno non è rilevante: ciò che conta è dell’ascolto, dell’accoglienza, l’apertura al dialogo e al reciproco rispetto. dell’accompagnamento. Mi Sono tutti i giorni davanti alla sofferenza, ha preparato a quella che è vedo piccoli bambini di sette mesi già in la mia attuale professione: cure chemioterapiche e detenuti che hanno l’assistente sociale presso un commesso i crimini più efferati; ho vissuto ente ospedaliero. I frati, a esperienze personali dolorose, ma ho ancora differenza del clero secolatanto entusiasmo e tanta gioia. Il dolore mi re, possono intraprendere un ha fatto maturare, e oggi mi sento come un percorso professionale civile alambicco, di quelli che si usano per gli espesenza scontrarsi contro la loro rimenti di laboratorio, dove il gorgogliare scelta religiosa. In ospedale della vita forse porterà qualche gocciolina il mio essere frate è una cosa di buon prodotto.

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S

ono nato nel 1974 a Locarno. Provengo da una famiglia modesta: i miei genitori erano operai e hanno cresciuto noi tre figli nel segno di una fede tradizionale. Ma la mia fede l’ho portata avanti in solitaria, così come da solo salivo al Santuario della Madonna del Sasso di Orselina quando ancora frequentavo i gruppi dell’oratorio. A 15 anni ho iniziato a studiare chimica, una materia che mi ha sempre appassionato, e a 18 dopo il diploma sono entrato in Seminario a Lugano: ero il più giovane. È stata una scelta maturata in modo naturale: i miei provenivano dal Nord Italia, da un paese che “ruotava attorno al campanile” e io, fin dall’asilo, dicevo che volevo fare il prete. All’ultimo anno ho lasciato il Seminario e sono entrato in convento. “Complici” di questo incidente di percorso, due frati cappuccini del Convento di Lugano compagni di studi. Frequentandoli mi sono chiesto: vogliamo vedere com’è la vita dei franc escani? A 22 anni ho così scoperto la vita comunitaria: ho imparato a cucinare, a fare l’orto e il bucato; ho appreso con gli altri studenti a occuparmi del frate più anziano, a lavarlo, vestirlo, accompagnarlo. Ma ho trovato anche i miei limiti e quelli dei miei confratelli: noi non ci scegliamo tra frati per cui trovi in casa chi i superiori ti hanno messo al tuo fianco: è una sorta di scuola reclute che si prolunga negli anni e dove impari a non soccombere ma piuttosto a reagire, a portare qualcosa di buono. Qui sperimentiamo in modo molto forte la dimensione del perdono, dell’accoglienza e della tolleranza, impariamo a gestire situazioni difficili; qui viviamo i piccoli e grandi drammi che accadono nelle famiglie. Ricordo gli anni del convento per l’ambiente familiare e consolatorio, una vita più a portata di umanità rispetto a quella del prete che di fatto vive da solo.


Il frutto pi첫 vicino di Stefano Guerra; fotografie di Reza Khatir


“L

’ho cercato dappertutto, e ce l’avevo qua”. Dal “banano del nord” (Asimina triloba), Pietro Romerio ha imparato qualcosa di essenziale: che “bisogna guardarsi in giro, usare i sensi prima di andarsele a leggere sui libri certe cose”. Il caratteristico odore di catrame di questa pianta originaria dell’est degli Stati Uniti, lui l’aveva sentito molte volte in un angolo del suo frutteto affacciato sulla città vecchia di Locarno. L’alberello cresceva in mezzo agli arbusti che ogni anno – assieme al banano che avvolgevano – tagliava al piede, come faceva suo nonno prima di affidargli la cura degli alberi che amava. Eppure Pietro quell’odore non lo aveva saputo “leggere”, la forma di quelle foglie non l’aveva saputa guardare. La lampadina gli si è accesa soltanto quando, dopo molte infruttuose ricerche, si è ritrovato tra le mani un’Asimina triloba che alla fine si era risolto a comandare da un catalogo. “«Ma io questo qua ce l’ho già», mi sono detto. Ed era proprio così. Da quel momento ho smesso di tagliare il banano «casalingo», che è qui da un secolo, se non due. Il primo anno ha persino dato frutti quindici giorni prima di quello del catalogo. La varietà l’ho battezzata «Balli»”. Fa tutto la diversità È luglio inoltrato, la serata è calda ma arieggiata. Il sole al tramonto da dietro il Ghiridone proietta la sua luce verso est, in direzione del Camoghè, tingendo di arancione e poi di violetto le poche nuvole che indugiano sul Piano di Magadino. Di fronte, dall’altra parte del lago, il Gambarogno: non lo vediamo, lo sguardo s’arresta sulle maestose conifere e magnolie del confinante parco del settecentesco Palazzo Morettini, sede della biblioteca cantonale. L’ex giardino botanico di Casa Balli sta laggiù, a un tiro di schioppo in direzione della chiesa di S. Antonio. Nel frutteto, Pietro Romerio ci fa strada tra un albero e l’altro: prugni (14 varietà), meli (una decina), peri (cinque), albicocchi (sette), peschi (cinque), fichi (tre), ma anche un grande gelso (more bianche), un giuggiolo, un nespolo, un mandorlo, un corniolo, un albero dell’uva passa (Hovenia dulcis), un

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caco; e poi ancora un limone, un arancio, un mandarino, un pompelmo, un kumquat, lamponi, mirtilli, un paio di varietà d’uva. In tutto una settantina di alberi, più una quarantina di “candidati” (innesti in vaso) pronti per essere messi a dimora. La diversità è la chiave nel frutteto che Pietro – farmacista, erborista, apicoltore, appassionato fin da ragazzo di piante da frutto – ha ereditato una quindicina di anni fa dal nonno, che a sua volta lo aveva rilevato dalla famiglia Balli. Qui la chimica è bandita: non come nel vigneto (merlot) sopra Solduno che ha lavorato per anni prima di “tagliarlo al piede”, esasperato dai “troppi trattamenti”. I “veleni” che suo nonno usava “li ho buttati tutti”, dice. Nel frattempo ha imparato ad accompagnare la natura, assecondandone i ritmi, accogliendone le frequenti sorprese, gradite o no. “Si pensa che se non tratti [con prodotti chimici, ndr.], non hai niente. Certo, alcune piante sono un po’ patite. La maggior parte però sono «sane come un corno». Fondamentale è la diversità: se le piante sono tutte uguali, i parassiti si diffondono; se invece sono diverse, potranno sì attaccarne una varietà, ma si fermeranno lì”. Zero prodotti, ma anche utilizzo della sola acqua piovana (“migliore di quella «normale»: non contiene cloro”) e interventi ridotti al minimo (“lascio andare la vegetazione, e adesso c’è anche una striscia d’erba alta per le cavallette”). “Dal bello non si mangia via niente” 1 Siamo lontani da un’idea romantica, estetizzante della natura. Pietro Romerio, per capirci, è uno che va a mangiarsi i frutti gialli della Butia capitata, una palma portata anni fa in un parco pubblico a Locarno dall’ex capo giardiniere della città, Remo Ferriroli. In Piazza Grande, poi, pianterebbe (lo dice con un sorriso malizioso) “alberi da frutto da proteggere”. Ha un obiettivo terre à terre: essere autosufficiente durante tutto l’anno. Per questo lavora duro nel suo frutteto, che non a caso ha i tratti di un cantiere. Dribblando gli alberi, ci imbattiamo in una carriola, una catasta di assi di legno, secchi pieni di sassi, una rete metallica. Vediamo poi un paio di “carasc”: alcuni di questi

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Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI e il CISA a Lugano. Per informazioni: www.khatir.com.


lastroni di granito concavi (“era l’acquedotto che fino a cent’anni fa portava l’acqua da Locarno Monti fino in città”) ora sono le bordure dei cassoni di un orto rimasto “sottosviluppato” quest’anno. C’è anche un angolo “borghese” nel terreno di poco più di mille metri quadrati che Pietro lavora con una passione forse iscritta nei geni (già il trisavolo era “apicoltore e ricercatore in ambito botanico, oltre che pittore all’Opéra di Parigi…”). A nord, dietro un filare di ulivi, lungo il vialetto d’accesso alla casa, in un’aiuola spuntano profumate rose, una dafne, le dalie “della nonna”, gigli, gladioli, un’ortensia. Poco distante, una camelia: “Mia nonna – ricorda – ne aveva molte, suo marito le tollerava. Nella società rurale della prima metà del secolo scorso, avere un giardino di fiori era anche un simbolo di ricchezza e prestigio. Le piante da frutto, invece, in genere non erano ben viste”. Nel corso degli anni quelle camelie sono sparite, “ma in modo naturale”, precisa Pietro, che è anche membro della commissione scientifica del Parco delle Isole di Brissago. Seduto a un tavolo di sasso nel suo “frutteto senza pregiudizi”, parla di un luogo che per lui rappresenta “un’enclave, un baluardo di resistenza”: sia rispetto a una diffusa tendenza ad addomesticare la natura sia nei confronti di uno sviluppo edilizio che ha allungato i tentacoli anche qui attorno, sulle colline sopra Locarno, dove le gru continuano a spuntare come funghi. La salvezza è prossima Pietro Romerio è uomo di prossimità. “Molti vanno a fare viaggi in Africa, in Australia”, racconta. “Ogni tanto capita anche a me di pensarci, poi faccio cento metri a piedi e mi sento già bene. Così continuo a girare nei dintorni, scoprendo sempre erbe o alberi nuovi, un po’ come si fa (o si dovrebbe fare) con le persone”. Neanche mentalmente riesce ad andare molto lontano (chissà…): “Una volta ho fatto uno di quei corsi che ti dicono di sdraiarti, di chiudere gli occhi, di rilassarti e di pensare a qualcosa di bello. Sai io a cosa pensavo? A un prato con alberi da frutto”. Nel suo frutteto baciato dal sole, le piante sottratte all’oblio, all’incuria o all’avanzata del cemento rinascono a nuova vita. “Oggi facciamo esperimenti in laboratorio, invece bisognerebbe cominciare col salvare quelle che ci sono”. Qui ogni pianta ha la sua storia. Pietro ci indica il Nespolo del Giappone: ne ha prelevato un ramo anni fa dal parco confinante, dopo che una parte dell’albero – poi abbattuto in primavera, benché ancora sano – era crollata sotto il peso della neve. Alcuni metri più in là, incontriamo un arzillo prugno (“era mezzo marcio, pieno di funghi”) scoperto un giorno in riva al fiume Morobbia, a Giubiasco; quindi un melo salvato in extremis a Orselina, nel terreno di una vecchia casa in via di demolizione. C’è anche “il melo dell’Ersilia”, dal nome di un’anziana signora che vive a Brione sopra Minusio. L’Ersilia, a sua volta, “l’aveva portato su da Mendrisio”, una vita fa. note 1

Plinio Martini, Delle streghe e d’altro, Armando Dadò editore, 1979, p. 82.


Nonluoghi. L’attesa di Keri Gonzato; fotografie di Flavia Leuenberger

aggiustare, lucidalabbra, sms, orologi. Tic-tac-tic-tac-tic-tac e il tempo passa: “Ma quando arriva lei…”. L’attesa è uno spazio vacuo che si apre come una voragine tra il prima e il dopo, è un non-tempo che colmiamo di pensieri, aspettative, speranze, emozioni, paure e presagi, desideri e noia. I luoghi reali che fanno da scenario sono pieghe di città, raccordi, spesso sono portali da cui si passa per andare da A a B: gli spiazzi davanti ai portoni d’entrata, le piazzette della tua città, le stazioni ferroviarie, quelle dei bus e delle funicolari, il marciapiede sotto l’insegna di un bar, il cancello del parco, una fontana sul lungolago, un salice piangente spoglio o una panchina, per i più romantici.

Luoghi

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“Gli uccelli volano bassi e sfiorano l’asfalto E i cani stanno in silenzio con aria d’attesa La foto sulla parete mi segue con lo sguardo Nessun allarme per ora nessuna sorpresa C’è un temporale in arrivo C’è un temporale in arrivo senti l’elettricità C’è un temporale in arrivo sulla mia città Porta novità porta novità” Jovanotti, “Temporale” da Safari (2008)

“Mhmm, è di nuovo in ritardo”; “Spero di avere i capelli a posto”; “Non ci si vede da una vita, mi chiedo se avremo ancora qualcosa da dirci...”; “Ahh, mi sono dimenticato di lavare i denti!”; “Questi fiori le piaceranno?”; “Carino quello là, chissà chi aspetta…”. Potrebbero essere questi alcuni dei pensieri catturati in uno spazio dove le persone sono “in attesa”; lo penso verso sera, alla stazione ferroviaria di Lugano, dove devo incontrare un’amica ritardataria. Prima di perdermi a osservare la folla impegnata “nell’attendere” qualcuno o qualcosa, mi interrogo: “Chissà se la riconoscerò…”. Poi acquisto un pacchetto di caramelle, scelgo un angolo dove mi sento a mio agio, e attendo. La lunga attesa Dopo un quarto d’ora sono ancora lì. La ragazza “in tiro” di fianco a me è già sparita, rapita dal suo cavaliere; un’altra invece guarda l’orologio nervosamente. Appoggiati alla ringhiera, poco più in là, ci sono un uomo e un ragazzo: il primo controlla il suo iPhone, mentre l’altro si accende una sigaretta. I gesti che fai per ingannare l’attesa sono infiniti. Sovente in questi nonluoghi – famoso neologismo creato dall’antropologo Marc Augé – ti coglie l’ansia proprio perché non sei abituato al “non-fare”; ti annoi e quindi osservi gli altri e lì cresce quel sentimento proprio dell’essere a tua volta esaminato. È da quella sensazione, tra il piacere di essere ammirati e il fastidio di essere notati, che nascono i mille e un tic volti a cercare di dare forma e senso a quello scorcio spazio-temporale. Parte così la buffa, goffa, scomposta coreografia di colletti da

Il tempo del sogno e della fantasia Poi dal reale, con un breve passo, si raggiunge il campo dell’allegoria, dove l’aspettare diventa una condizione esistenziale. Come in Aspettando Godot , la celebre opera teatrale di Samuel Beckett, punto d’arrivo tanto scontato quanto irrinunciabile per chi vuole riflette sull’attesa. Godot è quel personaggio, che ne racchiude mille altri e che non arriva mai: Vladimiro ed Estragone, in eterna attesa sul ciglio di una stradina di campagna, incarnano l’essere umano che con il fiato sospeso sopravvive nella speranza che arrivi il suo Godot, ovvero quell’evento capace di dirgli “sì, ora sei vivo!”. Per Giorgio Faletti “il buio e l’attesa hanno lo stesso colore”, proprio perché l’attesa è quel nonluogo dove tu non sai quel che accadrà: in un certo qual modo si tratta sempre di un “appuntamento al buio” dove il futuro è carico di punti di domanda. Una condizione che genera irrequietezza ed eccitazione, come quando il cielo si fa scuro e i lampi annunciano l’arrivo dell’acqua. Talvolta “l’attesa del piacere è essa stessa il piacere” disse lo scrittore e filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, un’attesa che si espande ad accogliere la dimensione ramificata del sogno. Spesso, in quell’anfratto di tempo non incarnato, le emozioni sono molto intense ma, nel momento in cui la fantasia cede il passo alla realtà, svaniscono lasciandoci svuotati. Questo è l’inganno provocato dalle aspettative: quando carichiamo un’attesa di desideri è quasi inevitabile rimanere delusi dalla realtà dei fatti. Meglio allora lasciarsi trasportare dalla trasformazione che porta il temporale. “C’è un temporale in arrivo senti l’elettricità / C’è un temporale in arrivo sulla mia città / Porta novità porta novità”, canta Lorenzo Cherubini evocando lo spazio allegorico dell’attesa trepidante. Le nubi dense come emozioni prima che inizino a scendere le prime gocce pesanti, quel momento in cui sentiamo che sta per sopraggiungere il cambiamento. È lì che l’attesa si trasforma in turbamento e sentiamo che il vuoto sta per essere colmato e la nostra vita potrebbe prendere pieghe inaspettate, perché: “Le previsioni del tempo si posson prevedere / Ma un temporale che arriva non lo puoi fermare”. Mentre si srotola la strana coreografia umana e i treni della vita vanno e vengono il nonluogo rimane lì. Per sempre paziente, a osservare.



BELLI e ADDORMENTATI Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica

DORMIRE È FONDAMENTALE NON SOLO PER STARE BENE, MA ANCHE PER APPARIRE BELLI E IN FORMA. LA RICERCA DEL GIUSTO RIPOSO, PERÒ, È SPESSO COMPLICATA. SEGUIRE QUALCHE SEMPLICE REGOLA PUÒ AIUTARE E LA MODERNA SPERIMENTAZIONE IN CAMPO COSMETICO CI FORNISCE UNO STIMOLO IN PIÙ


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no degli aspetti più studiati della biopsicologia – disciplina che analizza il rapporto fra la mente e il corpo – riguarda i disturbi del sonno. E questo perché la società in cui viviamo, con i suoi eccessi e la sua tecnologia invadente, ha alterato i nostri ritmi naturali. È il nostro orologio biologico a determinare l’alternarsi del ciclo di veglia e sonno, e non si limita a indicarci quando dobbiamo andare a letto o a svegliarci al mattino, ma fa in modo che le funzioni biologiche legate a questo processo – tra cui la funzionalità del sistema cardiovascolare, il livello del cortisolo (un ormone legato alla vigilanza), la tolleranza al dolore e altri – possano attuarsi.

Non dormire fa male Una significativa e regolare mancanza di sonno può provocare disturbi fisici e psicologici anche gravi come depressione, ansia, irritabilità e mal di testa… ma neppure un eccesso di sonno è salutare. Sono sette le ore che il nostro corpo necessita per mantenersi sano e in forma. Meno di cinque e più di nove sono da evitare. Ma oltre a minare la nostra salute, il deficit di riposo ci fa perdere la nostra bellezza e lo fa molto velocemente. Bastano pochi giorni di sonno disturbato per vedere gli effetti sulla nostra pelle: rughe, segni, borse sotto gli occhi, pelle spenta e poco ossigenata. L’alimentazione, il sonno e un buon libro Ci sono rimedi abbastanza semplici che è possibile seguire per dormire meglio, alimenti che fanno bene e altri che fanno male. Fra quelli che agiscono sull’organismo disturbando il ritmo sonno-veglia si trova al primo posto il caffè, ma anche il tè deve essere leggero, ancora meglio se deteinato. Per lo stesso motivo tutte le bevande a base di cola favoriscono l’insonnia ed è meglio tenere sotto controllo anche l’alcol: il suo effetto rilassante è, infatti, solo momentaneo.

Sono sconsigliati anche cioccolato, carne di maiale e insaccati, e formaggi stagionati perché contengono una sostanza che stimola il sistema nervoso. Gli alimenti che invece aiutano a fare una buona dormita sono tutti quelli che inducono alla produzione di serotonina come la pasta, il riso, il pane ma anche la carne di tacchino e pollo, il tonno, la bresaola, i legumi, lo yogurt e i formaggi, le noci e le noccioline. Da non dimenticare il lievito di birra che, essendo ricco di vitamine del gruppo B e di aminoacidi, combatte l’irritabilità, e i minerali come il calcio e il magnesio che favoriscono il riposo. È inoltre importante andare a letto prima della mezzanotte e dormire in un ambiente aerato e mai troppo caldo, magari aiutando la mente a “staccare” con un bagno rilassante o con un buon libro. Riposare per diventare belli Ottenere un buon sonno è spesso più semplice di quanto non sembri. E oggi, per gli appassionati del proprio aspetto fisico, c’è una ragione in più per riposare bene. Si tratta della federa cosmetica Cupron (www. ( cupronsales.com) realizzata con una tecnologia brevettata che incorpora l’ossido di rame all’interno del suo tessuto. Basta dormirci sopra per quattro settimane, tenendovi il viso bene appoggiato, per vedere l’attenuarsi fino al 9% di rughe, macchie cutanee e segni di espressione. Anche il tono della pelle migliora, stimolando la produzione del collagene e favorendo la cicatrizzazione di brutte ferite o segni lasciati dal tempo. Alle proprietà benefiche del rame, già note anche agli egizi, ai romani e agli aztechi, come anti-microbiche si aggiungono infatti quelle del miglioramento della pelle. Scarsissime a quanto pare le controindicazioni: il rischio di sensibilità dermica al rame è considerato minimo, come testimonia l’uso comune da parte delle donne di dispositivi intrauterini.


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cancro

Grazie a Urano si fanno strada le persone più creative. Tutto ha il sapore della novità, e così siete tanto attivi che non rischiate di annoiarvi. Scelte per quanto riguarda la vita a due per i nati nella terza decade.

Grazie al sestile di Venere settembre inizia nel migliore dei modi. Guadagni inaspettati. Acquisizione di beni. Fortuna sentimentale. Favoriti gli incontri con gli intellettuali per i nati della prima decade.

Con Urano favorevole potrete fare qualunque cosa all’insegna della originalità. Con Giove positivo i nati nella seconda decade possono risolvere qualunque situazione con fortuna e allegria. Vita sociale brillante.

Occasioni amorose e decisioni bibliche tra amor sacro e amor profano. Spese pazze per i nati della prima decade stimolati da Mercurio. Acquisto di uno smartphone? Bene tra il 5 e il 6 settembre. Cura del corpo.

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Opportunità a partire dal 6/7 settembre. Fidanzamenti, matrimonio e colpi di fulmine. Questo è il periodo della creatività e dell’amore. Visto che Marte non è dalla vostra parte evitate le beghe familiari.

Con l’opposizione di Nettuno si accentua la vostra attuale confusione intellettuale. Ambigui, o forse troppo idealizzati i rapporti con partner. Rinnovato impegno nel settore finanziario. Metamorfosi sessuale.

Scaramucce sentimentali. A partire dal 6/7 settembre potrete tornare a occuparsi felicemente della vostra vita sociale e così a divertirvi in assoluta spensieratezza in compagnia dei vostri amici. Cautela alla guida.

La vita sentimentale fino al 6 settembre sarà favorita dal transito di Venere. La reputazione sociale dei nati in ottobre cresce grazie ai buoni aspetti di Marte e Plutone. Più flessibilità con i collaboratori.

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Vi piacciono i cambiamenti e le persone originali. Ed è probabile che a partire dal 6 settembre si possano sviluppare nuove storie d’amore. Un amante? Per destare il vostro interesse e non farvi mai annoiare...

Con Venere in opposizione sarà difficile occuparsi di cose serie. Lunatici e intrattabili tra il 3 e il 4 settembre a causa della quadratura con la Luna. Attenti a non nuocere ai vostri obiettivi professionali.

Grazie ai transiti di Urano e di Giove per gran parte dei vostri atteggiamenti quotidiani si sta realizzando una rivoluzione copernicana. I vostri tradizionali schemi di pensiero stanno per essere spazzati via.

Evitate di parlare o comunicare per motivi squisitamente egoistici. In tal caso potreste andare incontro a una serie di piccoli problemi. Possibili contrasti verbali con i “competitors” professionali. Meno pigrizia.

» a cura di Elisabetta

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La soluzione del Concorso apparso il 17 agosto è: TRONCARE

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Orizzontali 1. La scienza che studia i pesci • 10. Di notevole dimensione • 11. Oriente • 12. Un personaggio dell’Otello • 13. Si contengono con il cinto • 15. Fa palpitare il cuore • 17. Vitellino • 18. Il dio egizio del sole • 19. Una sigla del biologo • 21. I confini di Roveredo • 22. Sacerdote celtico • 23. Variopinto pappagallo • 25. Dittongo in pietra • 26. Si empiono di cereali • 28. Sono anche di portata • 30. Incapace (f) • 32. Preposizione semplice • 34. Il Fo, premio Nobel • 35. Granturco • 36. Andati per il poeta • 37. Il nome della Massari • 39. Le iniziali di Savoia • 40. Mattatoio • 42. Concorso Internazionale • 43. Un condimento • 44. È quasi santo • 45. Uno dei Knie • 47. Micia • 49. Un parente • 50. Devoto • 51. Le iniziali di Tasso • 52 Gola centrale • 53. Compone... profumate composizioni! Verticali 1. Uno dei grandi successi di Battisti • 2. Ordire, complottare • 3. Fiume spagnolo • 4. Spaventati, terrorizzati • 5. Nodo centrale • 6. Il noto Marvin • 7. Dati anagrafici • 8. Il Santo di Siviglia • 9. Privo di fede • 14. Le iniziali di Rascel • 16. Fine inglese • 20. Bella valle italiana • 24. Ammazzato, ucciso • 27. Istituto Tecnico • 28. Azzardo, minaccia • 29. Isole coralline • 31. Venuta al mondo • 33. Li chiedono i rapitori • 35. Il noto Tse Tung • 38. Encomio • 41. Undici... a Zurigo • 44. Consonanti in stuoia • 46. Olio inglese • 48. Pari in zavorra • 50. Cuor di tapino.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 37

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 6 settembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 4 settembre a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Romano Lusuardi via Cantonale 6573 Magadino Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

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