№ 41
del 12 ottobre 2012
con Teleradio 14 – 20 ottobre
Land grabbing
I conquIsTaTorI C T › RT › T Z › .–
Svizzera orientale: ora anche a Canobbio Le specialità Bell Original, ora in tutta la Svizzera
ORIGINAL
Bratwurst OLMA di San Gallo Una variante più grande del bratwurst di vitello, che ha in comune con questa specialità il caratteristico colore chiaro e il sapore speziato.
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Ticinosette n° 41 12 ottobre 2012
Impressum Tiratura controllata 70’634 copie Chiusura redazionale Venerdì 5 ottobre Editore Teleradio 7 SA, Muzzano
Agorà Land grabbing. A caccia di terre Letture Il grande inganno
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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MaRco JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Railway workers Fiabe Giada e l’anatra
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testo e FotogRaFie di
Matteo Fieni
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Fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Fragranze. Il mondo in un profumo
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
FRancesca Rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fabio MaRtni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Media Internet e libertà. Gli illusi della rete
Coredattore Giancarlo Fornasier
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MaRisa goRza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch In copertina La terra è mia! Elaborazione grafica di Antonio Bertossi
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Fabio MaRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Letture Hiroshima mon amour
Vitae Nick Schnider
Fotografie di Reto Albertalli Matteo Aroldi Giosanna Crivelli Ivana De Maria Matteo Fieni Peter Keller Reza Khatir Flavia Leuenberger Igor Ponti Jacek Pulawski Didier Ruef Katja Snozzi
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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pensieri Elisabeth Anscombe. Fede e rigore
Redattore responsabile Fabio Martini
Photo editor Reza Khatir
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Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I nuovi conquistatori La crisi libica che ha portato alla caduta (e al linciaggio) di Muammar Gheddafi aveva sin da subito confermato come, nel corso di un conflitto, la popolazione civile sia la più esposta e meno difesa. Tra le immediate conseguenze di quella crisi (ma lo stesso vale per tutte le altre), l’assalto alle frontiere dei paesi vicini da parte della popolazione aveva portato a situazioni umanitarie ingestibili, con la conseguente migrazione incontrollata di migliaia di persone prive di cibo e di medicinali. Il fuggi fuggi dal pericolo è un istinto primordiale; anche le più feroci belve della savana evitano quando possono lo scontro diretto con un nemico contro il quale hanno poche speranze di vittoria, alcuni animali e insetti si mimetizzano, altri provano a mostrarsi per ciò che non sono. Ma la regola è sempre la stessa e in questo senso gli animali (non umani) sono molto più cinici e forse saggi di noi: perché per loro la vita e la sua conservazione rappresentano un tassello fondamentale nella prosecuzione della specie. Sono gli ideali, i principi morali e il senso di giustizia a “fregare” gli uomini, capaci di immolarsi e mettere a repentaglio la
propria vita per difendere idee e visioni della loro esistenza che altri stanno violando. L’articolo di apertura di questa uscita di Ticinosette affronta un tema che apparentemente non ci tocca. Anche se qualcuno potrebbe pensare che il Land grabbing sia da associare alla sparizione dell’agricoltura e dei prati incolti nel nostro cantone – a favore di capannoni e svincoli autostradali –, in verità il fenomeno è presente in paesi molto lontani da noi. Lontani, il che non significa che non ci coinvolga. Come per i contadini della Confederazione che combattono contro l’erosione dei terreni, vi sono popolazioni nel mondo che tutti i giorni vedono fagocitati, nel nome di interessi ed esigenze molto distanti dai propri, migliaia di ettari di terreni coltivabili che sino al giorno precedente rappresentavano la sola fonte di sostentamento. Anche per loro (popolazioni africane, asiatiche, sudamericane) l’unica speranza per sopravvivere è la fuga: i nemici contro i quali combattere sono troppo grandi, potenti e “bisognosi” di crescere ed espandersi. La domanda è: dove andranno e chi ospiterà questi nuovi esuli? Buona lettura, Giancarlo Fornasier
Prossimo appuntamento con il pubblico sabato 13 ottobre, ore 18.30
Paesaggio e natura in fotografia moderatore Romano Venziani (RSI) interverranno Giosanna Crivelli e Peter Keller
Museo Casa Cavalier Pellanda, Biasca L’esposizione “12 x 7” rimarrà aperta fino al 30 dicembre 2012 Il catalogo della mostra è edito da EdizioniSalvioni, Bellinzona
Land grabbing. A caccia di terre
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Agorà
Alla fine dell’Ottocento Nuvola Rossa, grande capo dei Sioux Oglala, dichiarò: “Gli uomini bianchi ci hanno fatto molte promesse, più di quante ne possa ricordare, ma ne hanno mantenuta solo una. Hanno promesso di prendere la nostra terra e l’hanno presa!”. Un fenomeno che si sta ripetendo, su larga scala, nei paesi più poveri del mondo di Roberto Roveda
P
er molti osservatori si tratta di una nuova forma di colonialismo. Parliamo del land grabbing, letteralmente “l’accaparramento della terra”, cioè l’acquisizione da parte di multinazionali oppure enti governativi stranieri del diritto di sfruttare su larga scala terreni coltivabili nei paesi in via di sviluppo. Un fenomeno che si è sviluppato in maniera vorticosa nell’ultimo decennio e che rischia di avere serie conseguenze sull’economia interna di paesi poverissimi. Stati in cui viene messa a rischio la sopravvivenza di intere popolazioni che vivono grazie a forme di agricoltura tradizionale. Infatti, secondo i dati più recenti forniti nell’aprile di quest’anno da Land Matrix, portale che si occupa di monitorare le situazioni di land grabbing nel mondo (http://landportal.info/landmatrix), a partire dal 2000 sono stati attivati 1217 contratti per lo sfruttamento su larga scala di terreni agricoli. Questi contratti interessano circa 83 milioni di ettari di territorio (corrispondente a poco più del 2% dell’estensione mondiale delle terre coltivabili), la maggior parte dei quali situati in stati africani tra i più poveri al mondo come il Sudan, la Tanzania, l’Etiopia, la Repubblica democratica del Congo. Seguono poi aree dell’Asia e dell’America Latina.1
Fame di terra? Per molti esperti si tratta di un vero e proprio saccheggio dalle conseguenze ancora tutte da valutare. Per saperne di più, abbiamo incontrato Franca Roiatti, giornalista del settimanale italiano “Panorama” e autrice del saggio Il nuovo colonialismo. Caccia alle terre coltivabili (Università Bocconi, 2010). Dottoressa Roiatti, come nasce questa rinnovata fame di terra? I motivi sono diversi. Prima di tutto questa necessità ha avuto il suo picco in concomitanza con la grossa crisi dei prezzi alimentari che si è verificata tra il 2007 e il 2008. Si tratta della prima grande impennata dei prezzi delle materie prime agricole che il mondo ha conosciuto da quarant’anni a questa parte. Nei decenni precedenti, infatti, i prezzi delle derrate agricole erano stati molto bassi. Questo aumento dei prezzi, che è alla base del rinnovato interesse per la terra coltivabile, è legato a cause diverse, alcune contingenti, come gli scarsi raccolti, le cattive condizioni climatiche, le scorte di prodotti agricoli molto basse in alcuni paesi. Al fenomeno contribuisce poi la corsa agli agrocarburanti, un fenomeno che la stessa Banca Mondiale ha ritenuto alla base dei consistenti rialzi nei prezzi dei prodotti agricoli. Oltre a queste cause contingenti sussistono poi fattori di più lungo termine.
almeno il 10% di agrocarburanti nelle miscele di carburanti bruciati. Un’altra spinta alla produzione di agrocarburanti, altrimenti molto costosa e non competitiva, è dovuta all’aumento del prezzo del petrolio che nel 2007-2008 è arrivato a superare i 100 dollari al barile. Quindi, a suo parere, siamo di fronte a un fenomeno destinato a protrarsi nel futuro... Certamente, anche perché la crisi dei prezzi agricoli e l’aumento degli investimenti in terre coltivabili sono coincisi con l’inizio della crisi finanziaria. Improvvisamente i mercati finanziari sono esplosi, molti dei fondi pensione si sono trovati a dover investire in qualcosa che fosse più sicuro dei derivati. Quindi molti fondi pensione, soprattutto americani, hanno cominciato a cercare investimenti più solidi. E che cosa c’è di più solido della terra? Insomma, una serie di fattori concomitanti ha avvalorato una frase di Mark Twain: “Comprate terra perché non ne fabbricano più” e ha portato molte persone a pensare: “Bene, se questo è lo scenario, l’agricoltura sarà l’investimento della nostra vita”. Un investimento sicuro, soprattutto sul lungo termine, data la crescente domanda di cibo e di agrocarburanti.
Improvvisamente i mercati finanziari sono esplosi, molti dei fondi pensione, soprattutto americani, hanno cominciato a cercare investimenti più solidi. E che cosa c’è di più solido della terra? Insomma, una serie di fattori concomitanti ha avvalorato una frase di Mark Twain: “Comprate terra perché non ne fabbricano più”
Quali sono questi aspetti non contingenti? In sostanza, quando si è avuto l’aumento dei prezzi nel settore agricolo, alcuni paesi fortemente importatori di materie prime agricole, come i paesi del Golfo Persico, l’Arabia Saudita, ma anche la Corea del Sud e la Libia si sono trovati all’improvviso davanti al trailer di un brutto film, se pensiamo che da qui a meno di quarant’anni il mondo, secondo le stime attuali, avrà nove miliardi di abitanti. Il che significa nove miliardi di persone che devono mangiare, ma non solo. Tra questi nove miliardi di abitanti ci sarà un consistente gruppo di persone appartenenti alla cosiddetta classe media, una classe in costante crescita in paesi emergenti e popolosissimi come Cina, India, Brasile e Indonesia. In questi stati, la middle-class, avendo più disponibilità economiche, ha cominciato a cambiare la propria dieta: si consumano più proteine di derivazione animale, quindi più carne, più latte, più uova, e questo significa dover coltivare più soia, altri cereali e materie prime che vengono poi trasformate in mangime per gli animali. Quindi nel prossimo futuro dobbiamo aspettarci un aumento della richiesta di materie prime agricole legata sia al crescere della popolazione, sia al mutamento delle abitudini alimentari in una parte del pianeta. E questo spaventa in particolare gli stati più popolosi, ma con poche terre coltivabili. A ciò che abbiamo detto dobbiamo aggiungere la corsa agli agrocarburanti. Una corsa che è stata trainata dagli incentivi offerti in questo settore dagli Stati Uniti e dell’Unione Europea. In particolare l’UE si è posta l’obiettivo di ridurre entro il 2020 le emissioni di CO2 del 20% e una delle strade scelte per raggiungere questo traguardo punta a usare
Chi si sta accaparrando le terre coltivabili? I protagonisti sono diversi, con in prima fila i fondi sovrani di alcuni stati. Vi è stato un grandissimo interesse da parte dei fondi sovrani degli stati petroliferi, come l’Arabia Saudita, gli stati del Golfo Persico e la Libia, anche se per quest’ultima bisogna ora capire che cosa farà il nuovo governo. Poi ci sono i fondi privati, alcuni costituiti anche ad hoc per investire nella terra, i fondi pensione e altri tipi di fondi, nati magari per finanziare le spese scolastiche di chi vuole entrare nelle costosissime università statunitensi. Ci sono poi le imprese che da sempre agiscono nel campo dell’agrobusiness e le aziende private attive nel campo degli agrocarburanti. Infine ci sono le élite locali degli stati coinvolti nel fenomeno del land grabbing. Gruppi di potere che dispongono di molti capitali e che non si sa se acquistino terra per fare affari in proprio o in quanto testa di ponte di aziende straniere.
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Le autorità governative come si pongono di fronte alle politiche di questi “accaparratori”? Diciamo che ci sono governi come quello indiano, quello cinese e degli stati del Golfo Persico che accompagnano gli investimenti in terra coltivabile con l’azione diplomatica. In Europa e negli Stati Uniti i governi soltanto adesso cominciano a porsi delle domande sulla questione dello sfruttamento di terre coltivabili. In particolare l’Unione Europea si sta interrogando sulla questione degli agrocarburanti, soprattutto riguardo alla sostenibilità di queste fonti di energia. Ci si sta chiedendo se gli obiettivi che si sono scelti, con tutti gli incentivi che devono essere messi a disposizione, siano sostenibili. Certo anche il tema della corsa alle terre rientra nelle considerazioni politiche che si stanno facendo negli ultimi tempi in ambito europeo. (...)
Questi accaparramenti si configurano come dei veri e propri acquisti oppure come affitti, usufrutti, utilizzi sul lungo periodo? In Africa, dove si concentra la corsa alla terra, il regime fondiario non è paragonabile al nostro: nella maggioranza degli stati non è possibile possedere una proprietà nel modo in cui intendiamo noi, né quindi si può trasferirla. Nella maggior parte dei casi la terra è di proprietà statale e lo stato ne concede l’uso. In questi paesi quindi l’accaparramento si configura sotto forma di contratti che concedono l’uso di ampie porzioni di terra, spesso parliamo di centinaia di migliaia di ettari, per un lasso di tempo che può variare dai trenta ai novantanove anni.
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che le donne vendono al mercato. Si utilizzano come pascolo per gli animali, come passaggi per le fonti d’acqua; se non sono più accessibili i danni per le popolazioni locali possono essere gravi, soprattutto per alcune fasce di popolazioni, come le donne, che spesso non hanno, per legge o cultura, la possibilità di avere un proprio pezzo di terra da coltivare.
Queste concessioni di enormi distese di terra che conseguenze comportano per le popolazioni locali? Ci sono conseguenze di varia natura. Prima di tutto questi accordi non sono trasparenti, sono spesso conclusi in segreto, cosa che rende difficile stabilire l’entità globale del fenomeno. Le aziende coinvolte richiedono agli stati la totale segretezza nelle clausole contrattuali e la segretezza impedisce di capire quale effettivo guadagno per una determinata popolazione comporti ogni operazione. Inoltre, soprattutto nei primi tempi, la terra veniva concessa realmente per un pugno di lenticchie: ci sono stati casi di affitti in cui il canone previsto era di un dollaro all’anno per ettaro! Altro elemento importante: le terre date in concessione hanno bisogno di essere lavorate – quindi necessitano di manodopera – e hanno bisogno di infrastrutture. Le aziende che le “acquistano” solitamente si impegnano a garantire lavoro e costruzione di infrastrutture. Il problema che in questi contratti le obbligazioni non sono affatto chiare. Diventa quindi impossibile per le autorità statali intervenire se un’azienda non ottempera ai suoi obblighi. Per esempio, se un’azienda si impegna a creare posti di lavoro e non lo fa, chi di fatto ha l’autorità per intervenire? In molti casi i sistemi giuridici degli stati dove si concentra il land grabbing sono impreparati di fronte alla forza legale delle aziende straniere. In alcuni contratti sono poi contenute le cosiddette “clausole di stabilizzazione”, che servono a proteggere gli investimenti stranieri da possibili colpi di stato o mutamenti di regime. Queste clausole, sacrosante da un certo punto di vista, sono in alcuni casi così stringenti da impedire alle autorità statali di cambiare le proprie leggi, se questo cambiamento provoca dei danni all’investitore. Teniamo poi conto che le popolazioni africane attuano in molti casi un’agricoltura di sussistenza, con metodi tradizionali, come la rotazione delle colture. Così, a prima vista un territorio può sembrare non utilizzato, non sfruttato, ma non è così, perché sarà coltivato magari tra due anni.
Che cosa si può fare oppure si sta già facendo per fronteggiare questa nuova emergenza? Quello che si può fare, e che si sta cercando di fare a livello internazionale, è aumentare il dibattito su questo argomento. Inoltre, a livello internazionale ci sono una serie di iniziative per contenere il fenomeno. Banca Mondiale e FAo2 nel 2010 hanno formulato i principi per gli investimenti responsabili in agricoltura, che sostanzialmente è un codice di buona condotta a cui dovrebbero, se vogliono, aderire le aziende coinvolte in questo tipo di investimento. Molto più importanti sono le “Linee guida per i regimi fondiari e l’accesso alle risorse ittiche e forestali” approvate dalla FAo lo scorso 14 maggio. A vararle è stata la Commissione sulla sicurezza alimentare (CFS), un organismo da poco riformato, di cui fanno parte oltre i rappresentanti dei governi anche membri della società civile, come l’organizzazione dei piccoli contadini Via Campesina o la Bill & Melinda Gates foundation. Dopo due anni di consultazioni a livello mondiale, è nato un documento che contiene principi e pratiche cui i governi possono ispirarsi per garantire un più equo accesso alla terra e la protezione dei diritti non formalizzati in un titolo, ma legittimati dalle consuetudini. Queste linee guida non sono cogenti, cioè non si possono applicare direttamente e non fanno nascere delle obbligazioni, però sono un primo passo, possono cioè rappresentare uno strumento importante in materia.3 Bisogna poi agire anche a livello locale. Le comunità stanno cominciando a reagire di fronte alla perdita della loro terra e spesso in maniera non pacifica: per esempio, in Etiopia c’è stato recentemente un attacco a una di queste aziende che ha acquisito vaste porzioni di terra. Poi ci sono stati casi di organizzazioni e associazioni che sono riuscite a bloccare alcuni progetti stranieri e a convincere le persone a essere più attente e vigili. Certo una buona parte del lavoro andrà fatta sui governi. È chiaro che nel momento in cui abbiamo un governo come quello etiope che dice: “Io devo sviluppare un paese ancora arretrato e ho bisogno di soldi esteri per sviluppare l’agricoltura che è fondamentale per il sostentamento del popolo” e per questo è disposto a cedere le terre senza pensare a un progetto di sviluppo a lungo termine per il paese, è chiaro che nulla si può fare. Insomma, è indispensabile far capire ai molti governi che è più utile pensare alla gallina domani che all’uovo oggi…
E visto che sembra inutilizzato viene dato in concessione, giusto? Sì, questi terreni possono sembrare liberi o poco sfruttati perché non coltivati o riservati agli usi della comunità, ma in realtà sono molto importanti. In queste terre si raccolgono legna, piante medicinali, frutti di alberi come il karitè, da cui vengono tratti prodotti
note 1 I dati sono disponibili sul sito di Land Matrix all’indirizzo http://landportal. info/landmatrix/get-the-detail#analytical-report 2 Food and Agriculture Organization of the United Nations, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura. 3 Per saperne di più: http://www.fao.org/cfs/en/
Se un’azienda si impegna a creare posti di lavoro e non lo fa, chi di fatto ha l’autorità per intervenire? In molti casi i sistemi giuridici degli stati dove si concentra il land grabbing sono impreparati di fronte alla forza legale delle aziende straniere
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Il grande inganno
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» di Fabio Martini
volume di Stefano Liberti, già vincitore nel 2009 del popolazioni rurali che hanno vissuto per anni indisturbate sui premio dedicato a Indro Montanelli con il suo A sud di propri campi e personaggi che arrivano dal nulla e promettono loro Lampedusa, sempre edito da Minimum Fax, contiene uno uno sviluppo, un accesso al benessere che non può non finire per dei reportage più completi e accurati che sedurli. (…) Il land grabbing è soprattutto siano stati realizzati fino a oggi sul comun grande inganno nei confronti di contadini plesso sistema del land grabbing, espresche si vedono sottrarre la terra con procedisione inglese traducibile in italiano con menti d’autorità”. “acquisizione delle terre”. Un fenomeno i Il quadro che ne emerge è allarmante cui addentellati vengono sistematicamenproprio perché si tratta di un fenomeno te individuati e descritti dall’autore che, che, alterando equilibri geopolitici già muovendosi dall’Africa all’Amazzonia, di per sé instabili e delicati, rischia non dagli ambienti finanziari ginevrini agli solo di peggiorare le condizioni di vita uffici della FAO, completa un puzzle artidi milioni di persone ma di favorire crecolato e dai contorni inquietanti. scenti fenomeni di emigrazione di genti Da questa indagine emerge la descrizione ormai defraudate di tutto verso i paesi più di un sistema economico che fonda il suo ricchi, gli stessi peraltro che muovono le successo sul raggiro di intere popolaziofila del teatrino. Un intreccio di interessi ni contadine – spesso con l’appoggio di privati e collettivi in cui convergono personalità e gruppi di potere degli stati multinazionali attive nell’agrobusiness Land grabbing interessati che agiscono da intermediari e nella produzione di biocombustibili, di Stefano Liberti accumulando ricchezze a vario titolo –, fondi sovrani e fondi pensione, banche Minimum Fax, 2011 popolazioni a cui viene sottratta la possie meri interessi privati. bilità di decidere del proprio futuro e che si configura come Il saggio, suddiviso in sei capitoli dedicati ciascuno a un una forma esosa e agghiacciante di neocolonialismo: “La paese coinvolto nel fenomeno, è stato recentemente tradotto grande corsa alle terre si nutre soprattutto di un divario di cono- in tedesco e sarà inoltre a breve pubblicato anche in spagnolo scenze e di mezzi, si misura e si articola nel fossato che separa e in inglese.
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Fede e rigore Elizabeth Anscombe è stata una pensatrice inglese scomparsa una decina d’anni fa. Profondamente cattolica e allieva di Wittgenstein, era una fervente sostenitrice della vita di Francesca Rigotti illustrazione di Micha Dalcol
Tra i maggiori filosofi del Novecento è sicuramente da annoverare G.E.M. Anscombe, meglio conosciuta come Elizabeth Anscombe, o Miss Anscombe tout court. Perché scrivo “tra i filosofi” e non “tra le filosofe”? Perché se così facessi, la nostra mente andrebbe subito a separare i pensatori maschio dai pensatori femmina, mettendo tra i primi, per quanto riguarda il XX secolo, Husserl, Heidegger, Wittgenstein, per dire, e tra le filosofe, poniamo, Stein, Zambrano e Anscombe. E invece no. Io voglio dire che Anscombe eccelse tra tutti, maschi e femmine, e così mi tocca scrivere “filosofi”. Dunque daccapo.
Pensieri
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Il “consequenzialismo” Tra i grandi filosofi del Novecento è da annoverare dunque Elizabeth Anscombe, vissuta in Gran Bretagna tra il 1919 e il 2002. Fu studentessa e poi studiosa di un altro grande pensatore del Novecento, Ludwig Wittgenstein, di cui curò e tradusse dal tedesco all’inglese molte opere. Anscombe scrisse di filosofia del linguaggio, di filosofia della mente, di etica medica e di etica in generale. In questo campo ella coniò il termine di “consequenzialismo”, del quale oggi si fa ancora largo uso, attribuendo ad esso però significato negativo, per indicare la dottrina etica alla quale andava tutta la sua opposizione e il suo discredito. Si intende con consequenzialismo l’insieme delle teorie etiche che ritengono che l’ultima base per giudicare della corretteza di un’azione siano le conseguenze dell’azione medesima. Bella forza, si dirà, si fa sempre così, si agisce in base alle conseguenze. E invece no, ancora una volta, perché è possibile agire anche in base all’etica deontologica, quella privilegiata da Anscombe, che deriva la correttezza di un’azione dai caratteri del comportamento in sé piuttosto che dai risultati della condotta, come pure in base all’etica della virtù, che si concentra sui caratteri dell’agente, ovvero la sua bontà intrinseca. Nei due ultimi casi si agisce dunque in base alla bontà della cosa desiderata o della persona che la desidera, e non delle conseguenze, immediate o a lungo termine, della scelta. Filosofa con sette figli Queste cose gli esperti del campo più o meno le conoscono, come sanno magari che Anscombe scrisse anche un importante saggio sul concetto di “intenzione”, che affronta il tema del
carattere e della volontà umana. I più ignorano tuttavia che questi risultati Anscombe li raggiunse circondata dai suoi sette figli, che mise al mondo col marito, Peter Geach, anch’egli eminente filosofo (questo per chi pensa che creatività mentale e creatività fisica non vadano d’accordo, e che il tirar su i figli sia incompatibile con la carriera). Monocolo e pantaloni Miss Anscombe, come era chiamata da colleghi e amici (cosa che faceva sussultare le infermiere dell’ospedale ogni volta che la filosofa vi si recava per partorire) era sicuramente una persona originale: portava il monocolo, che si dice facesse poi ricadere con una mossa delle sopracciglia sopra l’ampio petto, e indossava i pantaloni, eccetto quando era incinta, spesso sotto una tunica. Una volta in un ristorante di Boston nel quale stava entrando per cenare con alcuni colleghi le fu fatto notare che le signore non potevano entrare in pantaloni: senza perdersi d’animo Miss Anscombe si sfilò i calzoni, entrando nel ristorante con la sua impeccabile tunica. Una casa sempre aperta La casa di Elizabeth Anscombe e Peter Geach era sempre aperta agli studenti che potevano andare a discutere un paper filosofico, salvo trovarsi a farlo in mezzo a pannolini e biberon. Elizabeth fumava sigarette come una ciminiera, e continuò a farlo fino a quando il secondo figlio cadde gravemente malato: a quel punto infatti la nostra filosofa si impegnò a non fumare più in caso di guarigione. E poiché guarigione ci fu, fece un patto col Signore, non fumando più sigarette ma passando imperterrita a pipa e sigari, non nominati nel voto. Una pensatrice coerente Ancora due parole sul pensiero e sulla filosofia di Elizabeth Anscombe, in particolare sulle sue posizioni etiche. Anscombe era cattolica, ma coerentemente cattolica. Antiabortista ma anche antimilitarista dunque, tenacemente contraria a qualsiasi azione mettesse a rischio la vita e il benessere degli innocenti, e io, che non condivido le sue posizioni religiose, la ammiro proprio per la sua adesione piena a un’idea, al di là di qualsiasi opportunismo e cedimento.
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Hiroshima mon amour
» di Fabio Martini
Uscito otto anni fa, questo libro di Stefania Maurizi – stra- fisici: da Niels Bohr a Werner Heisenberg, da Albert Einstein a ordinaria giornalista d’inchiesta italiana da anni impegnata Leo Szilard, a Robert Oppenheimer, veri protagonisti della visu molteplici fronti (www.stefaniamaurizi.it) – rappresenta cenda, le cui differenti posizioni etiche e politiche assurgono a un’occasione unica per approfondire uno tragedia, in un serrato gioco di responsabilità, dei fatti centrali della storia contemporanea: sensi di colpa e ambizioni personali. la creazione della bomba atomica e la conseLa seconda parte presenta dieci pregnanti inguente corsa agli armamenti. Un evento che terviste a fisici e scienziati che in modo diretto ha radicalmente modificato la civiltà proprio sono stati coinvolti nella storia dell’atomica: in virtù dell’acquisita capacità dell’uomo di da Carl Friedrich von Weizsäcker, assistente di annientare la sua stessa presenza sul pianeta. Heisenberg e componente del “club dell’uraL’autrice, che vanta una formazione come manio” voluto da Hitler, a Hans Bethe che fu a tematica, si inoltra con sicurezza nel groviglio capo della divisione teorica del laboratorio di di misteri, contraddizioni e interrogativi (alLos Alamos; da Sir Joseph Rotblat, coinvolto cuni peraltro ancora aperti) che caratterizzanel progetto Manhattan che poi abbandonò rono lo sviluppo e la nascita dell’era nucleare. per diventare uno dei maggiori promotori Il libro è strutturato in due sezioni: nella del disarmo nucleare, a Sam Cohen, il “falprima Stefania Maurizi ripercorre, con piglio co”, inventore della bomba al neutrone; da limpido e appassionato, quella che fu la geShoji Sawada, fisico giapponese che bambino nesi della bomba e dei primi reattori nucleari, sopravvisse al bombardamento di Nagasaki a Stefania Maurizi fase a cui seguì la supposta “gara” fra i fisici Joan Hall, moglie del fisico Ted Hall, una delle Una bomba, dieci storie tedeschi, al servizio del nazionalsocialismo, due talpe – l’altra fu Klaus Fuchs – che da Gli scienziati e l’atomica e sul fronte opposto, i fisici filo occidentali, i Los Alamos riuscirono, indipendentemente Bruno Mondatori, 2004 cui sforzi, sostenuti da enormi investimenti l’una dall’altra e con motivazioni diverse, a da parte degli Stati Uniti, portarono alla costruzione delle trasmettere ai sovietici i piani di costruzione della bomba. Un prime bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. volumetto che si legge d’un fiato ma che pone il lettore di fronA emergere sono soprattutto le vicende umane e interiori dei te a quello che certamente è il “punto zero” della storia umana.
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Gli illusi nella rete “L’idea che internet favorisca gli oppressi anziché gli oppressori è viziata da quello che chiamo cyberutopismo, ovvero la fiducia ingenua nel potenziale liberatorio della comunicazione online; una fiducia che si basa sul rifiuto ostinato di riconoscerne gli aspetti negativi...”1 di Roberto Roveda
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Le rivolte della Primavera araba non hanno solo portato a un cambiamento politico in molti degli stati arabi che si affacciano sul Mediterraneo. Hanno anche acceso il dibattito sul potenziale delle nuove forme di comunicazione via internet – social forum in testa – come strumenti in grado di mutare in pratica da soli gli scenari politici. Il fatto che migliaia di persone si siano organizzate in gruppi e si siano date appuntamento nelle piazze grazie a Facebook e Twitter e abbiano potuto seguire in tempo reale l’evoluzione della crisi grazie alle notizie di blogger dissidenti e ai video su YouTube ha di fatto alimentato in Europa e negli Stati Uniti una diffusa euforia nei confronti dei new media, elevati a strumenti in grado di guidare autonomamente il processo di democratizzazione di regimi fino a ieri autoritari. La democrazia in un click o in tweet verrebbe da dire... La cyberutopia Viviamo nell’epoca delle infatuazioni e delle semplificazioni a oltranza, inutile negarlo e anche in questo caso siamo di fronte a un grosso abbaglio, un enorme, ingenuo abbaglio. Ingenuo perché pensare che una tecnologia, dopo l’era atomica e quello che ne è seguito, non sia neutra e legata all’utilizzo che se ne fa, ma assolutamente buona a priori e fonte certa di progresso è ingenuità allo stato puro. È la tesi – certo poco allineata in un’epoca di cybereuforia – sostenuta nel saggio L’ingenuità della rete da Evgeny Morozov, scrittore e blogger bielorusso, classe 1984, considerato uno dei più importanti esperti in tema di nuovi media. La riflessione di Morozov – alimentata anche dalla sua esperienza personale di
Il conto alla rovescia è iniziato. blogger nella natia Bielorussia, sottoposta da un ventennio a una sorta di dittatura personale da parte del premier Aleksandr Lukašenko – parte da un assunto: dopo il fallimento della strategia della guerra al terrorismo propugnata dall’amministrazione Bush nei primi anni Duemila, è diventata sempre più chiara la necessità per le democrazie occidentali di ricercare metodi alternativi alle azioni militari per “esportare” il modello democratico nel mondo. A molti, anche fra i più attenti analisti politici, internet è sembrata la soluzione più semplice, lo strumento finale per abbattere ogni forma di autoritarismo a suon di tonnellate di informazioni e comunicazioni non controllabili dai regimi. Insomma, il vecchio sogno positivista della tecnologia come Deus ex machina aggiornato all’era digitale, una cyberutopia che Morozov liquida con una frase lapidaria: “La tecnologia cambia in continuazione, la natura umana quasi mai”. E internet può “servire” anche i dittatori, le polizie segrete e le trame più sordide, soprattutto se si continuano a sottovalutare i lati oscuri delle rete come ben scrive il blogger bielorusso: “Molti cyberutopisti si sono affezionati al discorso populista di una tecnologia che darà potere a gente che, oppressa da anni di regime autoritario, inevitabilmente si ribellerà, mobilitandosi attraverso SMS, Facebook, Twitter e qualunque altro nuovo strumento arrivi l’anno prossimo (va detto che alla gente queste teorie piacevano). Paradossalmente,
rifiutandosi di considerare i risvolti negativi del nuovo ambiente digitale, i cyberutopisti hanno finito per sminuire il ruolo di internet, e non si sono resi conto di come essa penetri e rimodelli tutti i sentieri della sfera politica, non solo quelli che conducono alla democratizzazione”. Il web al servizio dei tiranni In poche parole, usare internet in una democrazia occidentale è ben diverso dall’uso che ne può essere fatto in una dittatura. La tecnologia è la stessa, ma muta il contesto e quindi cambiano anche i risultati. Se in Occidente più facilmente – ma anche qui non automaticamente – la rete alimenta il dibattito civile e il controllo democratico sul potere, lo stesso non accade per automatismo in Cina o Birmania. Barack Obama, che attualmente conta oltre ventisei milioni di fan su Facebook, ha utilizzato questo network per dialogare con i suoi sostenitori nella corsa alla Casa Bianca. Gli stessi contatti come verrebbero usati in Iran o Siria? In realtà lo sappiamo già, perché anche
Sconto online del 20%. i regimi autoritari hanno imparato a conoscere gli strumenti online forse anche meglio dei propri oppositori, non solo operando restrizioni all’accesso libero alla rete, come avviene in Cina attraverso il Great Firewall (ovvero “la grande muraglia digitale”) o in Iran, stato accusato dagli Stati Uniti lo scorso
Julian Assange (WikiLeaks) e Mark Zuckerberg (Facebook) a confronto in un’elaborazione grafica disponibile in rete
marzo per aver creato una cortina elettronica in grado di bloccare il flusso di informazioni nel paese. Oggi l’intervento dei regimi si spinge ben oltre la semplice censura: la polizia e i servizi segreti creano dei troll (falsi
Cogliete questa opportunità. profili di attivisti) che si infiltrano nei gruppi di discussione per recuperare informazioni sui ribelli, un metodo subdolo ma efficace per identificare gli oppositori. Recentemente, in Siria, per esempio, in un’operazione di sofisticata cyberwarfare (“la guerra cibernetica”), è stato addirittura creato da agenti governativi un sito-clone di YouTube così da controllare username e password di chi caricava video antigovernativi e di chi li commentava. Un modo per scovare gli attivisti antigovernativi senza neppure cercarli casa per casa. Allo stesso modo, alcuni governi hanno pensato di rispondere colpo su colpo ai messaggi online degli oppositori interni, assoldando blogger e opinion leader che diffondessero sui varie piattaforme per socializzare – in particolare su Twitter, il più utilizzato dai giornalisti – contenuti vicini al potere, così da far prevalere le ragioni della propaganda.
I limiti dell’internet-centrismo Oggi, quindi, sempre più dobbiamo renderci conto che spesso sono proprio le autorità governative più conservatrici e autoritarie a favorire il nuovo, cioè l’uso della tecnologia digitale; è quanto accade, per esempio, in tutti quei casi in cui internet viene promosso come ludica “arma di distrazione di massa”, enorme giocattolo che intrattiene la popolazione, tenendola lontana da qualsiasi progetto di mutamento dello status quo. È quello che sta accadendo da tempo in Russia, grazie all’impegno degli agenti dell’ex KGB nel diffondere Facebook tra le nuove generazioni. Insomma, porre la rete come punto di partenza di ogni analisi, al centro di ogni prospettiva, ricorrere all’internet-centrismo come lo definisce Morozov non paga: “L’internet-centrismo è una droga che disorienta: ignora il contesto e intrappola i politici nella convinzione di avere un alleato utile e potente al loro fianco. Spinto all’estremo porta alla superbia, all’arroganza, a un falso senso di fiducia, rafforzati dalla pericolosa illusione di poter esercitare un vero e proprio controllo sul web. Troppo spesso gli internetcentristi vogliono dare l’impressione di padroneggiare perfettamente il loro giocattolo preferito, trattandolo come una tecnologia stabile e definita e dimenticando invece le numerose forze che continuamente lo rimodellano, e non tutte per il meglio”. Da sola rete non è sufficiente per far nascere, crescere, fortificare un sano regime democratico: alla base occorre una teoria dell’azione che nasca da una seria
analisi geopolitica; così come un errore, banale ma comune, è quello di coloro che credono che la logica orizzontale di condivisione propria della rete possa essere automaticamente trasferita nel progettare le nuove istituzioni sociali e politiche. Come conclude sempre Morozov: “Arrendersi al cyberutopismo e all’internet-centrismo è come boxare bendati: certo, ogni tanto qualche colpo all’avversario lo si riesce anche a piazzare, ma in generale è una strategia perdente. La lotta contro l’autoritarismo è una battaglia troppo importante per combatterla con un handicap intellettuale volontario, anche se quell’handicap ci permette di giocare con i gadget più sofisticati e di tendenza”. note 1 E. Morozov, L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà in internet, Codice edizioni, 2011.
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» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Flavia Leuenberger
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Nick Schnider
Vitae
dei disordini giovanili per la mancanza di alloggi e di posti di svago poco cari. Occupavamo case e io dormivo nell’ambasciata spagnola, in una torretta: era bellissimo. Ho vissuto anche nei boschi, nella cascine abbandonate, passando due inverni anche in una tenda indiana. Non era facile, anche perché appena capitava qualcosa nel paese vicino, dicevano che era colpa mia, ma non c’entravo niente. Ho passato troppe notti a fare interrogatori senza senso con la polizia! Sono andato a Zurigo e dopo aver fatto mille lavori, ho finalmente iniziato come elettricista, un mestiere che mi è sempre piaciuto. La libertà, le avventure giovanili, la mu- La corrente mi ha sempre attisica e l’arte di arrangiarsi. Tra i pochi rato, forse perché avevo preso artigiani rimasti in Ticino, un rocker che già tante scosse! (ride, ndr.). Tornato in Ticino sono stato ha trovato la serenità grazie al suo atelier assunto da una ditta che però dopo qualche anno ha licencapendo la situazione, lo hanziato tutti. Sono finito in Mesolcina, lavoranno bloccato, dicendoci di ando a Roveredo e in Calanca, poi sono arrivati dare via. Ho preso per mano la due figli e mi sono costruito la casa, ma in mia amica, il coltello nell’altra seguito ho dovuto separarmi da mia moglie, e siamo scappati dai corridoi cadendo in una profonda depressione. pieni di questi marinai che ci Nonostante ciò, non ho mai smesso di suoguardavano, con la paura di nare. Ho iniziato con le canzoni in dialetto prendermi una coltellata nel bernese, erano i tempi degli chansonnniers fianco. Siamo poi tornati in e di “Mani” Matter, uno che scriveva delSvizzera in autostop. le storielle pazzesche. Suonavo in giro da In India io e la mia ragazsolo o con un “power trio”. All’inizio mi za dovevamo tornare a Delsembrava di svendere l’unica cosa a cui tehi ed eravamo rimasti senza nevo, perché cantare e suonare era sempre soldi. Abbiamo venduto un stato l’unico modo di esprimermi. Però poi po’ di quello che avevamo, ho “leccato sangue”, scoprendo quanto mi prendendo treni in corsa o piacesse quell’adrenalina. Qui c’è una marea nascondendoci nei vagoni di gruppi ma purtroppo la musica è vista somilitari. All’aeroporto però prattutto come un hobby e un disturbo, poi c’erano ancora venti dollari ci si meraviglia di tutti i depressi e i suicidi di tasse da pagare e non ci che ci sono. Con gli ultimi tremila franchi in hanno fatto partire. Cantavo tasca ho aperto quindici anni fa il mio atelier e suonavo le canzoni di De di strumenti musicali usati, prima a Monte Gregori e di Dalla con la mia Carasso, poi a Bellinzona. Passavo notti intere “Hobner”, un’imitazione cicostruendo “pick-up” ed effetti per chitarre, nese di una chitarra tedesca facendo lavori di liuteria. Mi immergevo (ride, ndr.). È lei che ci ha salvacompletamente senza sentire la solitudine: to. Un giorno un indiano mi questo mi ha aiutato molto a superare la fa: “European guitar?”. Volevo depressione. Oggi potrebbero portarmi via venderla ma non a meno di tutto, a parte la mia acustica “Lowden”, fatta cinquecento rupie. Il tipo mi da un liutaio irlandese auto-didatta. L’avevo ha seguito dappertutto, facenpresa d’occasione venticinque anni fa e mi domi diverse offerte, finché ha sono subito innamorato. accettato il mio prezzo e siamo A questa società auguro che si cerchi di riusciti a tornare a casa. educare la gente a essere più indipendente, A Berna ho partecipato alla meno dipendente, di non avere paura di fare nascita del centro culturale quacosa di personale. Ma difficilmente ce la “Reithalle”: erano i tempi faremo, siamo completamente fottuti!
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arto per un giro dell’Europa in camper, ma sin da giovane sono sempre stato in giro “a sbalzo”, vivendo per strada. Non c’era lavoro come apprendista radiotecnico. Viaggiavo per la voglia di libertà e di trovare risposte fuori, nel mondo. A Genova volevo imbarcarmi per l’Africa, ma non ha funzionato. Era il 1974, più o meno. Ho fatto vari lavoretti per poter mangiare e giravo l’Italia dormendo nei treni, costavano poco e mi svegliavo centinaia di chilometri più lontano. Suonavo la mia chitarra e facevo conoscenze. In Grecia, a Santorini, suonavo per i turisti che andavano a visitare un vulcano, ma me ne sono andato perché il responsabile delle visite era gay e mi faceva troppe avances. Ho anche rischiato di morire. Lavavo a mano pile e pile di piatti in un ristorante, come nei film di Stanlio e Onlio, e c’era sempre un pentolone di carne cruda per cucinare la moussaka, specie di lasagne con la carne macinata. Ma c’erano sempre tante mosche dappertutto. Se avevo fame la cuoca mi dava della carne, ma qualche mosca di sicuro c’è rimasta dentro. Dormendo in spiaggia nel mio sacco a pelo, mi sono sentito male, sono svenuto per tre giorni e ho perso tredici chili. Mi sono risvegliato nella merda fino al collo, letteralmente! Pensare che di giorno girava gente ma nessuno mi ha aiutato! Poi mi sono ripreso. Tornato ad Atene ho rivisto la donna con cui stavo. Abbiamo trovato da dormire sopra il tetto di un albergo, che era pieno di marinai africani. Meglio che stare al porto! Una sera, uno di loro, mi dice che l’ospite offre la propria donna a chi lo ospita. Da noi funziona altrimenti, gli dicevo, ma non voleva capire, così le è saltato addosso. Giravo sempre con un coltellaccio e l’ho tirato fuori. Il tipo è arretrato, già quasi nudo, come una pantera, urlava e ci “cercavamo”, agitatissimi. Sembrava un film! (ride, ndr.). Sono saliti gli altri marinai e,
Ritratti Metropolitani #24
Railway workers testo e fotografie di Matteo Fieni
La sessione fotografica numero 24 della serie “Ritratti Metropolitani” di Matteo Fieni è dedicata ai manovratori e ai macchinisti che operano al Fascio L di Balerna per le Infrastutture delle FFS della stazione di smistamento di Chiasso. È il 31 maggio e lo scenario mi è noto da tempo, sin quando da ragazzo mi addentravo in motorino nella zona del Penz, catturato dai suoi percorsi. Il luogo in cui mi devo recare per svolgere il servizio è lontano dai più famosi depositi ferroviari. Ci troviamo quasi al culmine della caratteristica curva a “U” situata nel territorio di Balerna. Anzi, curiosando in Google map scopro di aver operato
RM#24.03 - Diego Bernascon - Manovratore VTE
a Novazzano, nei paraggi dalla mitica Giazzera dove un tempo fabbricavano le lastre di ghiaccio. Ad attendermi sul marciapiede c’è Mirko, il gentilissimo Team Leiter, come definisce il suo ruolo, un termine che stride al cospetto del dialetto che regna sovrano. Sistemata la bolla, l’inquadratura fotografica lascia emergere la lieve inclinazione della via ferrata impiegata per il lancio dei vagoni. Infatti, qui vengono lasciati percorrere liberamente la discesa senza conducente in un gioco abilmente coordinato tra macchinisti e manovratori attraverso i numerosi scambi disposti lungo il tracciato. Questi passaggi vengono accompagnati da sporadici tonfi metallici e da qualche richiamo a voce alta.
RM#24.01 - Mirko Cereghetti - Team Leiter manovra
RM#24.04 - Giovanni Corti - Macchinista di manovra
La luce leggermente offuscata dallo smog che sale da Milano sino a Chiasso, pardon, Novazzano, sembra aver fatto capolino. L’inquinamento fotochimico è appena percettibile e aleggia sopra le nostre teste sorprese dalla tranquillità che a tratti lascia spazio ai campanacci delle vacche, quasi come stessimo bivaccando su qualche alpeggio. Ben altri “bestioni” si soffermano. La locomotiva rossa, una Vossiloh G1700 BB diesel, made in Germany, fa sentire tutta la sua potenza. Quella invece più fatiscente delle Ferrovie Italiane si sofferma appena prima della porzione riservata a questi ritratti, come a sottrarsi dalla storia di questo racconto. In questo servizio appaiono nove persone che corrispondono all’1% di quelle che attualmente il settore impiega in Svizzera e che il processo di automazione in corso ridurrà, assicura Mirko, senza licenziamenti. Altre due persone sono rimaste fuori dalla selezione compiuta dal photo editor: Per esempio la RM#24.05, visibile per ora nella versione on line, ci mostra Ivano. Il corriere della FFS Cargo manifesta il suo interesse per la
RM#24.06 - Fausto Ghidinelli - macchinista di manovra
RM#24.09 - Gianpietro Perorar - SBB Cargo servizio Seca
RM#24.02 - Pires Fontes Telmo - Capo manovra
RM#24.11 - Daniel Tallarini “Tala” - Capo manovra
fotografia e così lo stimolo a tenersi un piccolo apparecchio fotografico a portata di mano. Chi più di lui potrebbe documentare meglio questa affascinante realtà in via di estinzione? Forse il fotografo chiassese Minelli, che tra questi vagoni si aggirava, immagino quasi furtivamente, già una ventina di anni fa nei suoi Notturni. La cultura chiassese è cresciuta assieme a questo monumento industriale che alcuni definiscono malinconicamente come un “triste luogo di passaggio”. Gli orti condivisi, ultimi arrivati a vitalizzare questo spazio, fanno affluire in questi luoghi una trentina di famiglie. O il gruppo di skater che si ritrova tra i capannoni in disuso, le manifestazioni sostenute da radio Gwendalyn e la rassegna “Chiassoletteraria”. Mentre il festival di musica e arte elettronica e quello jazzistico rieccheggiano ancora lungo questi binari. Il riciclo di questo luogo è continuamente corteggiato da diverse scene underground ispirate dal ritmo dei suoi transiti più o meno clandestini. È qui che si smistano i sogni alimentando leggende destinate al futuro.
RM#24.07 - Pietro - Manovratore
RM#24.10 - Claudio Colombo - Macchinista di manovra
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Giada e l’anatra di Fabio Martini illustrazione di Simona Meisser
Fiabe
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C’era
una volta… una bella lavandaia di nome Giada che desiderava tanto avere un bimbo. Un bel giorno, mentre era intenta a sciacquare i panni nel torrente, vide passare un’anatra seguita dai suoi anatroccoli. “Ma che graziosi… anche se avessi per figliolo un anatroccolo sarei proprio contenta”. E così, detto fatto, la mattina seguente al suo risveglio trovò un bell’anatroccolo sul tavolo della cucina. “Oh Signore santo, finalmente mi hai esaudita”, e felice come una Pasqua si mise ad accudire il suo piccolo con tanta cura e af-
fetto che l’uccellino prese a seguirla ovunque andasse. Col tempo divenne un’anatra bella grossa come mai se n’era viste. Una mattina l’anatra parlò: “Qua, qua, qua… dammi una camicia… qua, qua, qua… che te la vado a lavare al torrente… qua, qua, qua”. All’inizio Giada fece finta di nulla ma poi, vista l’insistenza, le consegnò una camicia. Quella la prese col becco e volò via fino a un prato lungo il fiume. Appena l’ebbe posata per terra la camicia si trasformò in un palazzo di marmo bianco con tante finestre. Una volta tornata a casa la lavandaia chiese alla
sua anatra che fine avesse fatto la camicia. “Qua, qua, qua… c’era un poveretto vestito di stracci e così gliel’ho donata… qua, qua, qua”. Impietosita la ragazza disse: “E va bene, ma che non succeda più”.
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giorno seguente l’anatra ricominciò a parlare: “Qua, qua, qua… dammi un lenzuolo… qua, qua, qua… che te lo vado a lavare al torrente”. Giada fece ancora finta di nulla ma poi alla fine diede un lenzuolo all’anatra che lo prese col becco e lo portò al prato. Una volta appoggiato a terra davanti al palazzo il lenzuolo si trasformò in un parco pieni di siepi, aiuole fiorite e alberi secolari con cervi e daini che passeggiavano liberi. L’anatra contenta del risultato tornò dalla lavandaia che vedendola arrivare senza il lenzuolo chiese: “E il lenzuolo che fine ha fatto?”. “Qua, qua, qua… c’era una povera ragazza senza dote e allora le ho lasciato il lenzuolo così che… qua, qua, qua… potesse sposarsi”. La lavandaia allora pensò fra se: “Quest’anatra ha proprio un cuore d’oro ma io non posso lasciare che dia via tutti i panni che devo lavare. Domani non le darò più nulla”. Ma il mattino seguente, poco dopo il sorgere del sole, l’anatra ricominciò a parlare: “Qua, qua, qua… dammi una casacca … qua, qua, qua… che te la vado a lavare al torrente… qua, qua, qua”. Spazientita la lavandaia protestò: “Se vai avanti così nessuno mi darà più nulla da lavare e finirò col fare la fame e potresti anche finire arrosto…”. Ma poi, pentita per quello che aveva detto, aggiunse: “Ecco la tua casacca, ma che sia l’ultima volta”. L’anatra, svelta svelta la prese col becco e volò via.
Giunta sopra al prato fece cadere dall’alto la casacca. Questa, appena ebbe toccato terra si trasformò in un giovane re che, fatto un inchino all’anatra, si avviò a passo deciso verso il palazzo. Tornata a casa la sera dopo una lunga giornata di lavoro Giada chiese dove fosse finita la casacca. “Qua, qua, qua… l’ho data a un uomo a cui i briganti avevano rubato tutto… qua, qua, qua… anche i vestiti… qua, qua, qua”. Disperata la ragazza prese a piangere che pareva una fontana. “Ora perderò il lavoro. Nessuno si fiderà più di me pensando che sono una ladra di panni…”, e giù lacrimoni. L’anatra allora le si avvicinò. “Qua, qua, qua… non piangere. Piuttosto strappami una penna dalla coda… qua, qua, qua”. La lavandaia allora quasi per stizza strappo una piuma dalla coda e immediatamente fu avvolta da un turbinio di luci e profumi… un attimo dopo era vestita e agghindata come la più famosa delle regine. “Ma che mi succede? Come è possibile?”, si chiedeva sorpresa. “Qua, qua, qua… chi fa troppe domande guasta la sorpresa… qua, qua, qua… ora strappami un’altra penna e saltami sulla schiena”. La lavandaia obbedì e subito divenne così piccina che poté comodamente salire sul dorso dell’anatra che subito prese il volo. Una volta giunta al palazzo l’anatra scese a terra. In quell’istante Giada tornò alle sue normali dimensioni e l’anatra si trasformò in un bel bimbo. Colma di gioia per quanto era accaduto Giada lo prese in braccio e si avviò felice verso il palazzo al cui ingresso, circondato da paggi e servitori, l’attendeva il re. “Vi aspettavo, mia signora e mio giovane figlio. D’ora in poi vivrete qui”. E fu così davvero e nessuno, a quanto si racconta, fu più felice di loro.
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Il mondo in un profumo Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza
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econdo i “nasi” e i tecnici qualificati il profumo ha una testa, un corpo e una coda, e certamente ha anche un’anima. Difatti, i suoi mille rituali appartengono più allo spirito che alla materia. Appartengono alle emozioni, alle memorie, alle suggestioni e ai sogni che gratificano l’esistenza. Sulla storia cronologica del profumo, sulla sua evoluzione chimica, estetica e artistica, è stato detto e scritto molto. Tuttavia, in genere, ci soffermiamo poco a pensare al profumo in termini di cosmografia, o ai suoi componenti, spesso provenienti da latitudini lontane, aspetti che ne esprimono davvero l’“essenza”. Ha provveduto il team di Pitti Immagine ad allestire l’ultima edizione di “Fragranze” (Firenze 14–16 settembre), una mostra che mette l’accento sulla mappa olfattiva delle preziose sostanze, originarie da ogni parte del mondo, dalla Cina ad Haiti, dal Madagascar al Costa Rica, dalla Provenza all’Italia. Il nuovo layout di “Fragranze” si ispira così al tema del viaggio per dire che un luogo non rimane solo negli occhi, ma anche nel cuore e nel... naso di chi lo incontra.
Type: tre città, tre momenti Tre eaux de toilette catturano intanto le caratteristiche salienti e le atmosfere di tre differenti città: Berlino, Copenaghen e Damasco. Ed è giocando con la semplicità della lettera iniziale che il noto stilista danese Henrik Vibskov chiama gli elementi della serie rispettivamente: Type B, Type C e Type D, realizzati insieme alla maison francese Givaudan. Type B, il più maschile del trio, esprime la fumosa magia di un giorno d’inverno nella antica parte Est della città dove, perfino oggi, numerosi edifici sono riscaldati a carbone. Si accende il cuore legnoso fatto di cedro del Libano e vetiver indiano che si evolve verso una coda inaspettata che sa di fumo, tabacco e cuoio, tipici odori delle strade di Pankow. Type C, per Copenaghen, città natale di Vibskov, richiama l’aria e le acque frizzanti e salate del porto. Aroma unisex fresco e tonico, è una chiara armonia di agrumi mediterranei mixati con una ozonica brezza marina, sentori di legni pregiati e di alghe del Baltico. Type D, assolutamente femminile, è ispirato ai mitici mercati mediorientali pieni di colori e saturi di seducenti effluvi. Apre con un accordo tra agrumi e pepe rosa per scaldarsi con un opulento bouquet floreale comprendente il gelsomino della Tunisia mentre il sensuale finale svela un’armonia di sandalo della Turchia, fava tonka venezuelana e dolce vaniglia dell’Indonesia. Un mondo intero compreso in un’ampolla di vetro.
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DA SOGNO APPROFITTATE DI
PREZZI ESTREMAMENTE Il caffè è anche un fiore Una distesa di corolle candide ondeggia leggera come una nuvola sulle alture del Costa Rica, pervadendo il paesaggio di un effluvio fresco e intenso. Si tratta dell’inflorescenza delle piantagioni di caffè che, per la prima volta nella storia della profumeria mondiale, viene raccolta e utilizzata per creare un profumo di qualità. Una fragranza che esprime in pieno le diverse sfaccettature del paese: esotica come le sue spiagge e le sue acque tropicali, naturale e ariosa come la brezza delle sue montagne. L’idea creativa nasce da un’intuizione di Charlotte Robert che, visitando nel 2003 il Costa Rica, viene sorpresa dalla bellezza dei paesaggi permeati da quest’aura. Si rivolge così all’amica Sabine de Tschamer, profumiera e creatrice per i più grandi marchi internazionali e, dopo cinque anni di ricerche e una serie di prove, viene alla luce Mountain Blossom by Fleur de Cafè. Una combinazione di fiori e bacche dei tropici che si fondono con l’aroma delle corolle di caffè e un tocco di baccelli di vaniglia. Completata da creme per il corpo per protrarne l’amabilità sulla pelle, la squisita fragranza è prodotta e distribuita da Fleur de Cafè Ltda, Subsidiary of Fribourg (Svizzera).
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RISPARMIO: CHF 400.– Inizio e fine: un tris di odori “Ogni fragranza è un odore pensato, inseguito, creato” afferma Stefania Squaglia, artefice delle opere olfattive di Mendittorosa. Una giovane signora che da bambina rubava bottiglie e bottigliette alla nonna per sperimentare un’insolita curiosità olfattiva. Da gioco a vocazione, la potenza di un sogno porta ad altre ampolle, quelle che contengono i tre preziosi odori di un’inedita trilogia: Alfa, Omega e Id. Cioè un inizio, una fine e una rinascita, da indossare separatamente, oppure da mescolare a piacere. Cominciamo con Alfa, questo emozionante odore è femmina, è forza e principio. La sua essenza è lo zafferano del Sud della Francia. Il percorso continua con Omega, un dolce-amaro afrore da boudoir, vino rosso e cipria, femminile e maschile. La sua anima è concreta di Iris, fiore che cresce sulle colline fiorentine. Il viaggio si conclude con Id che non ha sesso ed è pace ed equilibrio. Il suo mistero è nel nome, richiamato alla pietra nera di Iddu, montagna sacra di Stromboli. Difatti il suo cuore è palpitante di verace cenere lavica.
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Astri toro
gemelli
cancro
Grazie a Marte in Sagittario la vostra nona casa solare si apre verso un magico risveglio. Vi sentirete predisposti ad affermare e a difendere ciò che ritenete giusto e importante. Forte attività intellettuale.
Scelte nell’ambito della vita a due. Con questi aspetti o è matrimonio o separazione. Con Saturno “contro” non sono ammessi i “grigi”. Attenti a non commettere errori di comunicazione tra il 17 e 18 novembre.
Tra il 18 e il 20 la Luna transiterà nel segno dei Sagittario incrociando il cammino di Marte. Il passaggio tende ad amplificare ogni vostro stato emotivo. Possibili scatti di nervi se toccati nella vostra intimità.
Ottimo andamento per le relazioni sociali. Grazie a Saturno, Mercurio e a Venere di transito nella vostra quinta casa solare, incontri e flirts con giovani scienziati o con maturi Peter Pan. Avanzamenti professionali.
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Anche le grandi opportunità comportano spesso cambiamenti. Se volete far spazio al nuovo dovrete prima liberarvi del vecchio. Scelte di vita per i nati nella prima decade. Bene tra il 18 e il 19 ottobre.
Vita sentimentale arricchita da incontri mondani. Grazie a Mercurio e a Venere favorevoli potrete fare incontri con persone degne del vostro interesse. Bene tra il 16 e il 17. Discussioni con persone giovani.
Grazie al doppio transito di Marte e di Urano riuscite ad affrontare qualunque situazione in virtù di una ritrovata energia e di una vulcanica creatività. Lucidità e determinazione. Incontri tra il 18 e il 19 ottobre.
Venere in posizione armonica. Con questo aspetto è facile vivere momenti di condivisione con il proprio partner. Ritrovata lucidità mentale. Malumori tra il 16 e il 17. Siate però meno severi con voi stessi.
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Grazie a Marte nella prima casa solare avete l’opportunità di dare il massimo di voi nelle cose in cui credete davvero. Non adottate politiche attendiste ma canalizzate le vostre energie verso un obiettivo definito.
Incontri sentimentali favoriti dai transiti di Mercurio e Venere. Fuori fase le giornate comprese tra il 18 e il 19 a causa della Luna in quadratura. Shopping compulsivo riconducibile a stati emotivi amplificati.
Marte e Urano in trigono. Grazie a questa brillante configurazione potrete affrontare con genialità qualunque tipo di situazione. Saturno non nuoce agli amici del tempo. Tra il 16 e il 17 momenti difficili.
Venere e Marte angolari favoriscono momenti di passione. L’eros alimentato dalla gelosia si scatena in ogni direzione. Saturno e Nettuno in trigono favoriscono una vostra duratura metamorfosi spirituale.
» a cura di Elisabetta
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 43
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 18 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 16 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Giustiniano lo era d’Oriente • 10. Crisalide • 11. La capitale saudita • 12. Prologhi, presentazioni • 14. Nel cuore della città • 15. Genere musicale • 16. La prima nota • 18. La città del Palio • 20. Italia e Portogallo • 22. Consonanti in tiara • 23. Possono provocare allergie • 25. Intacca la vite • 28. Astio • 29. Guardaroba • 31. Malato per il poeta • 33. Arde nel camino • 34. Nota coronata • 35. Spogli, riarsi • 37. Particola • 39. Concorso Internazionale • 41. Il primo pari • 42. Saluto amichevole • 44. Città francese nota per il suo festival cinematografico • 46. Dispari in dopo • 48. La sigla della Svizzera • 49. Classe sociale • 50. Dittongo in pietra • 51. Un nome di Pasolini • 53. Dittongo in Coira • 54. Il vil metallo • 55. È vicino a Rovio. Verticali 1. Noto film del ’68 di H. Katzin con Glenn Ford • 2. Vittime della fede • 3. Indossa la tonaca • 4. La prima donna • 5. C’è anche quella di lancio • 6. Il parallelo nell’emisfero nord • 7. Olio inglese • 8. Incursione aerea • 9. Congiunzione eufonica • 13. I confini di Bodio • 17. Il padre dei vizi • 19. La capitale del Kenya • 21. Un settore dell’esposizione • 24. Quartieri cittadini • 26. Cuor di codardo • 27. Nel centro di Roma • 30. Una carta argentata • 32. Fu crocifisso • 36. Sgraziata, goffa • 38. Il nome di Teocoli • 40. Lo affila Figaro • 43. Italia e Austria • 45. Noto collegio inglese • 47. Fra due fattori • 48. Conto Postale • 52. Articolo romanesco.
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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Claudia Poretti via Montarina 21a 6900 Lugano Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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