Ticino7

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№ 43

del 26 ottobre 2012

con Teleradio 28 ott. – 3 nov.

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RE E S ES T E N E B LU A S E

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Ticinosette n° 43 del 26 ottobre 2012

Agorà Il cervello senza segreti Kronos Bioetica e filosofia DI

FRANCESCA RIGOTTI. . . . . . . . . . . . . . . .

DI

GIANCARLO FORNASIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Analfabetismo emotivo Mundus È ora di tornare

DI

DI

MARIELLA DAL FARRA . . .

DUCCIO CANESTRINI . . . . . . . . . . . . .

Letture Città pestilenziali

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Vitae Luca di Antiochia

FABIO MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Acque

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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . .

DI

EUGENIO KLUESER. . . . . . . . . . . . . . . .

D. FONTANA; FOTO DI R. KHATIR. . . . . . . .

Salute Curare con i suoni

DI

Tendenze Bioarchitettura

DEMIS QUADRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

DI

FRANCESCA AJMAR . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

A tu per tu con la fotografia Nell’ambito della mostra “12 x 7” che potete visitare sino al prossimo 30 dicembre negli spazi di Casa Cavalier Pellanda a Biasca, sabato 27 ottobre avrà luogo il secondo appuntamento con i fotografi che collaborano con Ticinosette. Dopo il buon successo di pubblico del primo incontro – dedicato all’arte fotografica e al paesaggio, e moderato da Romano Venziani a cui porgiamo i nostri ringraziamenti –, questa nuova serata aperta al pubblico è dedicata al fotogiornalismo. Interverranno i fotoreporter Reto Albertalli e Didier Ruef, da decenni impegnati in giro per il mondo a raccontare per immagini le esistenze di chi è meno fortunato, e convive quotidianamente con guerre e drammi ambientali; all’incontro sarà presente anche il giornalista Oscar Acciari. A conferma dell’affollato vernissage di fine settembre, apprendiamo con piacere dai responsabili di Casa Pellanda che l’esposizione fotografica vede una buona e regolare affluenza di appassionati, segno che l’interesse per l’arte esiste anche e oltre i grandi poli culturali urbani. Ricordiamo che tutte le immagini presenti alla mostra curata da Marco Gurtner e Reza Khatir sono consultabili anche in Dodicisette, il catalogo dell’esposizione (124 pagine) edito da EdizioniSalvioni e in vendita al prezzo di 30 franchi. Buona lettura, Giancarlo Fornasier

... possono essere provocati dalla carenza di biotina.

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Impressum Chiusura redazionale venerdì 19 ottobre Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Tiratura controllata 70’634 copie

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch ticino7.ch issuu.com/infocdt/docs

Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA 6500 Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA 6963 Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich tel. +41 44 250 31 31 fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65

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Letture Passi solitari

DI

Caduta dei capelli … Capelli deboli … Unghie fragili …


Il cervello senza segreti

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Agorà

Le recenti scoperte nell’ambito delle neuroscienze ci pongono di fronte a problemi fino a oggi inediti e stanno rivelando i processi nascosti del nostro cervello. Ciò potrà forse permetterci in futuro di curare non solo le malattie ma anche di comprendere la personalità e il temperamento di una persona dai suoi dati biologici. Ma con quali conseguenze? di Roberto Roveda

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ualche anno fa in un film di Steven Spielberg intitolato Minority Report (2002), tratto da un racconto di Philip K. Dick e ambientato nella Washington del 2054, la scienza riusciva a creare tre mutanti detti “precognitivi” per la loro infallibile capacità di prevedere i crimini più efferati. Grazie a questo sistema la polizia era in grado di arrestare i colpevoli prima che commettessero il delitto. Fantascienza hollywoodiana verrebbe da dire, se non fosse che anche nella realtà la scienza è spesso “fantascientifica”. E le neuroscienze, cioè quelle discipline che studiano i diversi aspetti del sistema nervoso per comprendere le basi biologiche del comportamento e delle emozioni (parliamo di neurofisiologia, biologia, neuroradiologia ecc.) stanno aprendo negli ultimi anni frontiere impensabili nella conoscenza del cervello umano. Forse non siamo pienamente consapevoli delle conseguenze, ma già oggi è possibile, per esempio, rilevare con un tracciato quello che accade al nostro cervello quando si trova di fronte a uno stimolo, a un’emozione. I moderni sistemi di risonanza elettromagnetica permettono, infatti, di visualizzare la nostra attività cerebrale. Non siamo ancora al sistema di preveggenza del crimine ipotizzato da Dick, ma il primo passo è fatto.

Il dualismo mente-cervello Le recenti scoperte in questa complessa disciplina hanno messo in dubbio un cardine della riflessione filosofica e scientifica: esiste una distinzione fra mente e cervello? Non è certo una discussione nuova, ma ultimamente questa separazione è risultata più labile; esperimenti recenti, infatti, hanno mostrato che attività mentali e cerebrali sono dovute entrambe all’azione dei neuroni che costituiscono il cervello, cioè alla capacità dei neuroni di comunicare fra loro e di comunicare con il resto dell’organismo. Le attività cerebrali sono il frutto di “comunicazioni” neuronali poco complesse, mentre quelle mentali sono il frutto di “comunicazioni” neuronali estremamente conplesse. Quindi reazioni emotive, comportamenti, il carattere e il temperamento che ognuno di noi possiede sarebbero collegati prima di tutto all’azione dei neuroni, a fenomeni di tipo di biologico che gli scienziati si sforzano di indagare aprendo panorami allo stesso tempo eccitanti e inquietanti. Indagini possibili grazie alle sofisticate tecniche di neuro-immagine, come l’elettroencefalogramma o la PET, grazie alle quali oggi la scienza è in grado di ottenere informazioni dettagliate sul funzionamento del cervello, o, per essere più precisi, sulla tipologia di reazio- (...)


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Agorà

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ni (output) che seguono uno stimolo o altre situazioni esterne (input). I neuroni, infatti, comunicano tra loro tramite impulsi elettrici; per questo l’attività neuronale risulta tracciabile attraverso gli elettrodi di un encefalogramma. La tomografia consente invece di ricostruire un modello tridimensionale del cervello iniettando in circolo una sostanza radioattiva: quando un neurone lancia un segnale necessita di maggiore energia, che viene rilevata. Ma è stata la neuropsicologia la prima disciplina che è riuscita a collocare in parti precise del nostro cervello il controllo di determinate azioni, studiando il funzionamento di cervelli che avevano subito dei danni (rilevando che esiste un’area che si occupa dell’elaborazione del linguaggio, una che regola la produzione semantica, ecc.). Ed è sempre grazie alla neuropsicologia che abbiamo scoperto che un cervello danneggiato (in età evolutiva) è in grado di trasferire ad altre aree determinate funzioni, compensando in tal modo il deficit subito. Oggi però si vuole spingere questa ricerca molto oltre, alla scoperta delle aree del cervello in cui “risiede” il carattere dell’uomo, il suo temperamento. Individuarle in determinate aree cerebrali dove è solitamente localizzata l’aggressività o l’emotività implicherebbe che l’essere umano ha un destino in un certo modo segnato a livello biologico. Come sosteneva allora il filosofo greco Eraclito 2500 anni fa “il carattere dell’uomo è il suo destino” e a quello non si può sfuggire. Ma è davvero così?

bile stabilire quali siano le condizioni cerebrali “normali”? Quale deve essere il limite di queste analisi e quante e di che natura possono essere le differenze di personalità indagate? Dobbiamo considerare ogni diversità dal tipo medio ideale come patologica? I mattoni della personalità Oliverio ha voluto a spiegare come le differenze individuali riguardino tutto il nostro fisico e quindi anche il nostro cervello. Dunque, se i cervelli sono diversi, le diversità di comportamento sono assolutamente naturali. Così come è normale individuare nel sistema nervoso delle persone differenze non soltanto macroscopiche, ma anche microscopiche, e polimorfismi che sono la base della nostra personalità e causa delle nostre diverse personalità, come ha spiegato: “Una buona parte di quanto si dice oggi sulla personalità ha a che vedere con le caratteristiche del cervello. Esistono infatti numerose ricerche che considerano il temperamento della personalità in rapporto al ruolo della corteccia prefrontale1 e della corteccia orbitale. Secondo molti studiosi uno dei compiti della corteccia frontale è quello di inibire una serie di risposte in eccesso e di indurre una maggiore ponderatezza, di prolungare i tempi di reazione di fronte a nuovi stimoli, ecc. Tutte caratteristiche del temperamento che maturano con gli anni, di pari passo con la corteccia prefrontale (e con l’aumento delle connessioni), che termina la sua maturazione intorno ai 18/20 anni, considerati la maggiore età cerebrale. Grazie a questi studi oggi sappiamo che alcuni importanti aspetti che gli psicologi hanno individuato come mattoni fondatori della personalità – come l’attitudine a rispondere velocemente agli atteggiamenti aggressivi – sono in qualche misura controllati dalla corteccia prefrontale”.

“Da sempre su questi argomenti si oscilla tra l’eccesso di biologismo e l’eccesso di ambientalismo. Negli ultimi anni però l’aspetto biologico è stato posto in primo piano più di quanto non fosse avvenuto nella seconda metà del Ventesimo secolo, in cui prevaleva, almeno nel mondo occidentale, un’enfasi per gli aspetti culturali e ambientali”

Carattere e destino A questo tema complesso è stata dedicata lo scorso 2 aprile una serata organizzata dalla Fondazione Sasso Corbaro di Bellinzona (www.sasso-corbaro.ch) e intitolata non a caso “Il carattere dell’uomo è il suo destino?”. Ospite della serata il professor Alberto Oliverio, docente di psicobiologia e psicologia fisiologica all’Università La Sapienza di Roma. Oliverio da anni, utilizzando diversi approcci, tra cui quello genetico, si occupa dei rapporti che esistono tra cervello e comportamento, con particolare riferimento alla sfera cognitiva ed emotiva. Nel suo intervento ha voluto sottolineare come nella comunità scientifica non tutti ritengano veramente possibile localizzare le caratteristiche del temperamento della personalità in un’area precisa, per esempio nella corteccia cerebrale, che ha il ruolo di controllore dell’aggressività. Eppure proprio lo psicobiologo italiano ha rilevato come queste indagini siano oggi utilizzate a molti livelli e di recente siano entrate persino nelle stanze dei tribunali: “Ha fatto scalpore il caso recente di un giudice di Trieste che ha accolto la perizia di incapacità di intendere e di volere relativa a un giovane imputato. I periti avevano potuto dedurre la scarsa capacità di agire in maniera consapevole sottoponendo l’imputato ad alcuni accertamenti che consentono di tipizzare i recettori di alcuni mediatori nervosi: l’analisi aveva rilevato un’atipicità dei recettori per la serotonina rispetto alla popolazione media. Dunque, il giudice ha attribuito a questo giovane uno stato di infermità legato alle caratteristiche minute del suo cervello. Un caso non unico, che potrebbe aprire un nuovo capitolo nel campo del diritto, oltre che in quello dell’etica”. Le domande allora sorgono spontanee: chi e come è possi-

Che cosa influenza la personalità? Dunque se un ragazzo è aggressivo, è tale in quanto ha un cervello particolare oppure – come altri sostengono – a causa dei traumi o degli stress che ha subito all’interno delle dinamiche familiari? La genialità di uomini come Mozart è dovuta a caratteristiche del loro cervello o vi sono anche altri aspetti da considerare? Quale ruolo hanno l’esperienza e la pratica? Ancora il professor Oliverio: “Da sempre su questi argomenti si oscilla tra l’eccesso di biologismo e l’eccesso di ambientalismo. Negli ultimi anni però l’aspetto biologico è stato posto in primo piano più di quanto non fosse avvenuto nella seconda metà del Ventesimo secolo, in cui prevaleva, almeno nel mondo occidentale, un’enfasi per gli aspetti culturali e ambientali. Questo non significa che non esistano più casi in cui ci siano validi motivi per giudicare che una persona non è libera di agire così come ha agito per motivi sociali, ambientali, ecc. Ma oggi, mentre le caratteristiche biologiche sembrano un fatto chiaro e netto, le caratteristiche sociali e ambientali risultano più evanescenti e portano a giudicare secondaria la nostra personalità e i motivi del nostro agire”. Se dal punto di vista della ricerca l’approccio biologico è interessante, dal punto di vista del giudizio sociale e delle caratteristiche generali del mondo in cui viviamo può essere


pericoloso: tendiamo, infatti, a tipizzare le persone e a giudicare più facilmente alcuni aspetti della personalità come patologici come spiega sempre Oliverio: “Consideriamo un caso classico di bioetica applicata negli Stati Uniti: i genitori di una bimba un po’ irrequieta che frequentava una scuola privata vengono invitati dallo stesso istituto a somministrare alla figlia sostanze che si utilizzano per controllare il suo comportamento. I genitori, ritenendo la richiesta del tutto ingiustificata, si rivolgono alla Corte suprema del proprio stato e vincono la causa con questa motivazione: se la bambina non prende i potenziatori cognitivi (questo il nome di tali prodotti) viene discriminata perché viene allontanata dalla scuola, e non è accettata per quello che è. Se il medicinale fa effetto (negli USA lo utilizzano molti studenti e circa il 20% degli universitari) potenzia il comportamento: ciò significherebbe allora che i bimbi che lo assumono sarebbero favoriti, mentre gli altri risulterebbero svantaggiati… La bimba è stata così riammessa nella scuola. Questo esempio porta a pensare sino a che punto le caratteristiche di una persona e della sua personalità siano così atipiche, da dover essere curate. E difficile dare una risposta ma sicuramente non è un caso il fatto che più aumenta il sapere e la nostra conoscenza in un campo più tendiamo a cercare di controllarlo; allo stesso modo più si accresce il sapere psicologico e più siamo portati a individuare difformità, caratteristiche che un tempo erano più accettate e facevano parte dell’individualità”. Oltre il determinismo Le tecniche di neuroimaging stanno diventando sempre più diffuse ed economiche. Quasi quotidianamente sui giornali troviamo articoli che ci informano che è stato scoperto il centro di un determinato comportamento, per esempio, la

parte della corteccia responsabile del gioco, piuttosto che dell’innamoramento e così via. Ma sino a che punto dobbiamo attribuire valore a questi risultati? Su questo il punto di vista del professor Oliverio è molto netto: “Le conclusioni di questi studi vanno esaminate con cautela e inquadrate insieme ad altri dati, anche perché una delle caratteristiche del cervello è quella di non avere una struttura unicamente responsabile per una funzione oppure una parte della corteccia responsabile per uno degli aspetti di base della personalità. Per questo, alcuni scienziati non ritengono queste analisi molto più scientifiche di quelle ottocentesche e a più riprese le accusano di determinismo, dal momento che spesso l’esperimento è organizzato in maniera tale da condurre a risultati in linea con le ipotesi di partenza. Del resto, si possono forse valutare come lucide le risposte di una persona costretta a stare in un tubo, ferma, mentre le mostrano dei test? Bisogna dunque cercare di non essere troppo avventati nel tracciare correlazioni tra cervello e personalità. Chi ha studiato l’evoluzione della composizione musicale di Mozart, o quella dei Beatles, ha notato che in effetti le prime composizioni non sono niente di sensazionale; è solo a partire da una certa età, e dopo molta pratica, che la loro musica decolla… Quindi l’esperienza e la pratica hanno un ruolo essenziale nell’indurre comportamenti creativi, se così possiamo definirli, e l’ambiente ha molto probabilmente un ruolo determinante nel promuovere alcuni aspetti della nostra personalità”.

note 1 Si tratta della regione del cervello implicata nel pianificare comportamenti cognitivi complessi, nel prendere decisioni, nel moderare i comportamenti sociali.

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Bioetica e filosofia Che cos’è la bioetica? È l’etica riferita ai problemi della vita, è la disciplina che si interessa alle tematiche morali collegate alla ricerca biologica e della medicina di Francesca Rigotti

Kronos

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L’etica si è sempre occupata delle questioni del bene vivere e del bene morire, ma è stato soltanto negli anni Sessanta del Novecento che la bioetica è emersa come ambito accademico per rispondere alle questioni che nascevano intorno agli sviluppi delle tecniche mediche come i trapianti di organi, la dialisi, la respirazione artificiale, ecc. Ci si chiedeva se, al di là dell’essere tecnicamente possibile, fosse anche moralmente corretto andare in giro con organi di altre persone, o essere mantenuti in vita con apparecchi meccanici. Se lo chiedevano bioeticisti britannici come Gertrude Anscombe o Richard Hare. Se lo chiederanno, nei decenni successivi, coloro che assisteranno alle agonie di persone tenute in vita con mezzi artificiali e divenute casi emblematici quali Terri Schiavo negli Stati Uniti e Eluana Englaro in Italia (a quest’ultimo caso è dedicato il recente film di Marco Bellocchio Bella addomentata, presentato al Festival di Venezia 2012).

ne” far vivere una persona amputandone gli arti per salvare il tronco, o tenendola sotto una campana di plastica o in un polmone artificiale, o attaccata in stato di coma o peggio di coscienza a mille tubi e cavetti? Attenzione, queste non sono questioni da lasciare unicamente agli esperti. Ognuno può pensare, certo, di ricorrere alla loro competenza, ma ognuno dovrebbe anche rifletterci di persona almeno un pochino per non trovarsi completamente sprovveduto di fronte alla scelta, se scelta sarà data, di amputare gli arti inferiori per “salvare” la vita dal diabete o di subire cure invasive del corpo e lesive della propria o altrui dignità.

“Tu partorirai con dolore...” Un esperto del campo, nel senso che ha passato la vita a occuparsi e a scrivere di bioetica e di diritti degli animali, umani e no, è l’australiano Peter Singer, a lungo docente a Melbourne e ora a Princeton, negli Stati Uniti, nonché alla European Graduate School di Saas Fee. Inizio e fine Singer appartiene alla corrente Il campo della bioetica si indietica detta “utilitarista”, che rizza a un ampio ventaglio di considera come miglior criterio problematiche umane riguarper affrontare le questioni etidanti l’inizio della vita (feconche quello di calcolare da una dazione assistita, aborto) e la parte le “conseguenze finali” Gustav Klimt, La morte e la vita, 1910, Leopold Museum, Vienna (immagine tratta da www.historicartgallery.com) fine della vita stessa (alimendelle azioni e non i “principi tazione forzata, accanimento iniziali”, e dall’altra la quantità terapeutico, eutanasia), ma anche il campo detto cinicamente di felicità che ne deriva. In base a tali premesse non viene di “allocazione di risorse scarse” e riguardante il trapianto di considerato morale mantenere in vita un neonato gravemente organi e il razionamento di cure costose, fino al riconoscimen- malformato che soffrirà (forse) egli stesso e farà (sicuramente) to del diritto di rifiutare le cure mediche e al ricorso al suicidio soffrire i propri familiari, perché questo crea dolore, mentre assistito. Gli esperti di questi temi provengono da diverse espiantarne e trapiantarne gli organi crea felicità per altri. Si branche del sapere, quali medicina, giurisprudenza, scienze tratta evidentemente di posizioni crude ma chiare, sulle quali politiche, teologia, filosofia, che è stato il terreno di origine ognuno di noi farebbe bene a interrogarsi, derivate da quella di etica e bioetica e della quale qui ci occupiamo. Si potrebbe prima e primaria questione: è “vita” un’esistenza senza razioinfatti anche intendere la bioetica come una nuova versione nalità, autonomia, autocoscienza, capacità di interagire con gli del dialogo socratico, capace di far interloquire medicina e altri e con l’ambiente? Il solo porsi questa domanda fa rizzare i filosofia alla ricerca di verità condivise. capelli in testa e gridare allo scandalo i cattolici tradizionalisti, Il primo e principale tema sul quale concentrarsi in questa ma alla fine potrebbe essere soltanto una questione di tempi, direzione è proprio la vita (bìos in greco, mentre ethos significa se si pensa che fino a non molti anni fa la Chiesa osteggiava le comportamento, costume). La vita, la nuda vita, il “semplice terapie analgesiche per il parto, e in qualche misura è ancora vivere” è davvero un bene degno di essere perseguito sempre polemica con l’anestesia epidurale, giacché la donna deve e comunque, indipendentemente da come è connotata? È “be- “partorire nel dolore”…


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Passi solitari

» a cura di Giancarlo Fornasier

Un “Piccolo manifesto” come recita il sottotitolo, ecco che “Non temere niente, né l’abbandono dei tuoi né quello della tua vita cos’è questo volumetto. Poche pagine (96) dedicate a chi “gra- di oggi, né ciò che ti riservano i futuri giorni di cammino. Prendi lo zie alla diversità dei terreni e del clima” e “al rapporto specifico zaino e traccia la tua strada, anche per un giorno, una settimana, che intesse con i luoghi che attraversa” scopre un mese o una vita. Così, quando la pioggia e vive sensazioni uniche. Un processo edudel cielo diventerà per te dolce come l’acqua di cativo quello del viaggiatore “lento“, perché sorgente, il rumore del temporale prezioso come muoversi a piedi garantisce un avvicinamento il rimbombo delle cascate, quando la danza delle e un confronto diretto con se stessi: non si è fioriture e delle stagioni ti porterà via, quando il vincolati a una velocità minima, ci si muove caldo e il freddo ti saranno indifferenti, quando secondo le proprie capacità e necessità, si trainvocherai la brezza o l’harmattan perché ti diasporta il minimo necessario per non ostacolano il gusto dell’andare oltre, quando desidererai re e appesantire la marcia, si gestisce le proprie la neve perché ti faccia ritrovare il desiderio di forze in funzione della distanza da percorrere. purezza e i deserti perché affinino la tua essenEmeric Fisset – viaggiatore/camminatore e zialità, conoscerai l’ebbrezza del camminare, co-direttore della casa editrice francese Tranun’ebbrezza che non fa mai male, un’ebbrezza sboréal – sostiene che “viaggiare a piedi significhe non finisce” sostiene l’autore, con un ca abbandonarsi allo spazio e al tempo”, perché ammonimento finale: “Che né la gloria, né la “il pregio del viaggio (...) sta nella sua continuità, ricerca di un’impresa eccezionale, né la rabbia ti in quel filo che si srotola con lo sforzo della voanimino, ma solo il desiderio di viaggiare”. L’ebbrezza del camminare di Emeric Fisset lontà per unire tra loro gli uomini, gli animali, le Nella raccolta postuma Camminare (1862), Ediciclo editore, 2012 piante e i paesaggi attraversati”. Ma muoversi Henry David Thoreau scriveva: “Dovremmo con lentezza vuol dire anche vedere, sentire, toccare, lasciare avanzare, anche sul percorso più breve, con imperituro spirito d’avdei segni sul proprio cammino; interagire dunque in modo ventura, come se non dovessimo mai far ritorno, preparati a rimandasensoriale e completo con quello che ci circonda, creando re, come reliquie, i nostri cuori imbalsamati nei loro desolati regni”. legami che, una volta stabiliti, non possono più essere sciolti; Sono trascorsi 150 anni da quelle parole, ma l’immutato fascici appartengono in modo profondamente intimo. no del viaggio a piedi pare non voler tramontare.

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Analfabetismo emotivo Essere colti dal panico è certamente un’esperienza traumatizzante, proprio per la sensazione di non essere più in grado di gestire la propria emotività. Una lacuna che potrebbe nascondere una carenza sul piano dell’intelligenza emotiva

di Mariella Dal Farra

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espressioni del disagio mentale assumono forme diverse a seconda del contesto socio-culturale nel quale si manifestano: i sintomi, anche quelli apparentemente più bizzarri, hanno sempre una valenza comunicativa, e questo li rende in qualche modo conformi al tempo e allo spazio in cui la persona vive. Così, alla fine dell’Ottocento, in una Mitteleuropa psicologicamente governata dal processo di rimozione, la “nevrosi isterica”, con le sue paralisi “a guanto”, gli stati crepuscolari di coscienza e le convulsioni epilettoidi rappresentava la modalità privilegiata, nonché quella meglio codificata, per “dare corpo” alla sofferenza psichica. Un sintomo contemporaneo Fra i sintomi considerati paradigmatici del nostro tempo – un tempo in cui il corpo, perlomeno in relazione alle sue componenti pulsionali, ha cessato di essere un tabù, ma dove, paradossalmente, la capacità di controllare e di controllarsi è considerata prioritaria – l’attacco di panico è invece, e significativamente, fra i più diffusi. Definito come “un periodo preciso [raggiunge l’apice in dieci minuti o meno] durante il quale vi è l’insorgenza di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati con una sensazione di catastrofe imminente” ma “in assenza di un vero pericolo”1, l’attacco di panico è associato a palpitazioni, sudorazione, dispnea o sensazioni di soffocamento, derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, ecc. Questo sintomo può evolvere in Disturbo di Panico, che si configura quando il ripetersi di episodi di panico è così pervasivo da condizionare il funzionamento com-

Il conto alla rovescia è iniziato. plessivo dell’individuo, determinando per esempio condotte di evitamento e una persistente preoccupazione circa l’eventuale insorgere di una crisi. L’alessitimia L’impatto letteralmente deflagrante dell’attacco di panico – in un’intervista, l’attore Alessandro Gassman lo paragona efficacemente all’effetto che avrebbe “una tigre che entrasse nello studio in questo momento, solo che la tigre non c’è” – è caratterizzato da una rapidità che non lascia spazio all’elaborazione simbolica: è una reazione immediata, nel senso che non viene “mediata” da un pensiero (magari ossessivo o depressivo), da una parola (come nei disturbi di conversione isterici) o da un’azione (per esempio, gli “agiti” tipici delle sindromi borderline); si tratta di un sintomo che si manifesta direttamente a livello fisico, rispondendo con un repentino aumento dell’arousal fisiologico (reazione di “attacco e fuga”) a un disagio di carattere psicologico. Stando così le cose, non sorprende che questo tipo di disturbo sia particolarmente frequente nelle persone dette “alessitimiche”, caratterizzate cioè da una sorta di “analfabetismo emotivo” che rende loro difficile riconoscere e quindi elaborare sul piano simbolico le proprie e altrui emozioni. Oltre alla specifica difficoltà nel “leggere” gli stati emotivi, l’alessitimia è definita dall’incapacità di descriverli e

comunicarli adeguatamente ad altri; il costrutto è inoltre caratterizzato da una coartazione dei processi immaginativi, con appiattimento del pensiero speculativo a favore del ragionamento concretooperativo, e da una scarsa capacità di introspezione che privilegia il razionale sull’emotivo e l’attuale sul possibile2. In ambito clinico, il tratto alessitimico si riscontra soprattutto, a prescindere dal DAP (Disturbo da Attacchi di Panico), in quei disturbi che tendono a bypassare il livello simbolico “agendo” direttamente sul corpo, come per esempio accade nelle somatizzazioni (ipertensione in primis), nei disturbi dell’alimentazione e nella dipendenza da sostanze; l’alessitimia è inoltre frequente nei disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare, ecc.) che per definizione implicano una difficoltà nell’elaborazione e regolazione delle emozioni.

Sconto online del 20%. L’importanza dell’Intelligenza Emotiva All’estremità opposta di un ipotetico continuum che misuri le “competenze emotive” delle persone si situano invece coloro che si caratterizzano per un alto coefficiente di Intelligenza Emotiva (IE): un costrutto che ha ormai soppiantato il Quoziente Intellettivo (QI) nel predire la capacità di adattamento, e quindi di successo, di un individuo. Come numerosi studi hanno dimostrato negli ultimi anni (ma come, forse, da sempre intuiti-


La ladra Janet Leigh viene fermata da un poliziotto nel classico dell’orrore Psycho di A. Hitchcock (1960). Immagine tratta da www.joelandry.com

vamente si sapeva), l’intelligenza da sola non garantisce la buona “riuscita” di un percorso esistenziale: per esempio, persone molto intelligenti possono essere al tempo stesso incapaci di manifestare

Cogliete questa opportunità. in maniera appropriata i propri bisogni, riducendo quindi proporzionalmente la probabilità di essere compresi e aiutati. Al contrario, l’abilità nel discernere le proprie emozioni si traduce nella capacità di comunicare in maniera efficace, comprendere gli altri e rispondervi empaticamente, coinvolgere le persone nei propri progetti e instaurare rapporti mutualmente soddisfacenti. Un apprendimento senza fine Coerentemente, un alto grado di Intelligenza Emotiva risulta associato a minori livelli di stress psicologico e a un maggiore senso di realizzazione personale3, nonché a migliori risultati in ambito scolastico4 e lavorativo, indipendentemente dalle caratteristiche di personalità. In altri termini, potremmo dire che non importa se una persona sia tendenzialmente introversa o estroversa, tradizionalista o aperta al cambiamento,

decisionista o gregaria, nella misura in cui sia consapevole dei propri stati d’animo e di quelli degli altri. E anche se studi recenti hanno suggerito l’esistenza di un “lato oscuro”, e ancora poco indagato, dell’Intelligenza Emotiva – per esempio, Elizabeth J. Austin e altri in uno studio pubblicato nel 2007 (www.uni-graz.at/ dips) hanno ipotizzato che il successo accademico degli studenti con alta IE potrebbe essere riconducibile alla capacità di leggere e “manipolare” le altrui emozioni5 – questa risorsa continua a dimostrarsi utile sia a livello personale che sociale, tanto da avere portato all’implementazione di programmi intesi a potenziarla, per esempio, in ambito aziendale, nel counselling scolastico, e in diversi altri contesti. Senza scotomizzare o negare quelle che sono le predisposizioni su base genetica, è infatti indubbio che l’Intelligenza Emotiva dipende moltissimo dall’apprendimento, nel senso che la mutuiamo in maniera automatica durante la crescita dalle nostre figure di riferimento, ma che poi, a prescindere dalla dotazione di partenza, possiamo continuare ad apprenderla sempre di più e sempre meglio nel corso dell’intero ciclo di vita. Un obiettivo tutto sommato non disprezzabile, almeno a parere di chi scrive. per saperne di più A chi volesse approfondire l’argomento, rimandiamo agli scritti dello psicologo e giornalista Daniel Goleman, con particolare riferimento al saggio Intelligenza emotiva (Rizzoli, 1997).

note 1 DSM-IV- TR Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Masson, 2000, pp. 463-464. 2 S. Vanheule, P. Verhaeghe, M. Desmet, “In search of a framework for the treatment of alexithymia”, Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice (2010), nr. 84, pp. 84–97. 3 N. Bhullar, N. S. Schutte & J. M. Malouff, “Trait Emotional Intelligence as a moderator of the relationship between psychological distress and satisfaction with life”, Individual Differences Research, 2012, vol. 10, nr. 1, pp. 19–26. 4 P. M. Grehan, R. Flanagan & R. G. Malgady, “Successful graduate students: the role of personality traits and emotional intelligence”, Psychology in the Schools, vol. 48 (4), 2011. 5 D. E. Winkel, R. L. Wyland, M. A. Shaffer & P. Clason, “A new perspective on psychological resources: unanticipated consequences of impulsivity and emotional intelligence”, Journal of Occupational and Organizational Psychology (2011), nr. 84, pp. 78–94.

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Società

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È ora di tornare Viaggiare significa soprattutto scoprire aspetti di un paese poco noti o mai sperimentati di persona. Le indisposizioni, gli infortuni e le malattie non sono certamente tra quelli più piacevoli, anche se possono talvolta avere risvolti positivi e sorprendenti di Duccio Canestrini

“Abbiamo pagato fino a trecento dollari al giorno per vomitare

Mundus

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in un lavandino a forma di conchiglia”. Questa romantica constatazione, insieme ad altri disincanti di viaggio, è contenuta nel capitolo intitolato “Sto male” di un libro al quale, dopo vent’anni di occasionali compulsazioni, ho finito per affezionarmi. Non sarà grande letteratura, ma ogni tanto abbiamo bisogno anche di facezie. Il libro è della scrittrice americana Emma Bombeck e ha un titolo piuttosto articolato: Quando in vacanza la tua faccia comincia a somigliare alla foto sul passaporto, è ora di tornare a casa (nell’originale inglese suona un po’ più concisamente così: When you look like your passport photo, it’s time to go home).

lo storico-sociologico. A ben vedere, il cosiddetto “cagotto” è democratico. Perché quel mal di pancia fulminante che ti assale ti livella allo standard di vita locale, ti mette in crisi fisiologicamente e politicamente. Ecco allora che noi turisti bianchi, grassi, ricchi e puliti, in poche ore ci riduciamo in condizioni miserabili, che qui mi astengo dal descrivere. Domanda: non sarà che un po’ ce la meritiamo questa diarrea che ci becca tutte le volte che viaggiamo nei paesi del terzo, quarto, quinto mondo? Non sarà la punizione per i misfatti compiuti dai nostri antenati coloni? Altrimenti non si spiegherebbe perché la diarrea del viaggiatore sia universalmente nota come “la vendetta di Montezuma“.

Viaggiare fa male? “Ho visto cose…” La tesi dell’autrice è che in Altri episodi invece, del tutgenerale i viaggi facciano to imprevedibili, spesso ci molto male alla salute. La colgono diffidenti circa la cartella medica sua e quella preparazione dei medici del di suo marito, assicura, annoluogo, ma poi sorprendenteverano soltanto ferite, febbri mente sfatano tutti i nostri misteriose e malanni contratpregiudizi. Ho visto medici ti durante le vacanze. “Se non indiani operare al meglio la smetteremo di cercare relax in situazioni d’emergenza “Non rubate la carta igienica!” (imm. da www.moustache.com.au) e non cominceremo a starcene e sciamani in Amazzonia a casa nostra” sostiene “i viaggi ridurre fratture come esperti finiranno per ammazzarci”. Da umorista qual è, la Bombeck conciaossa. Non ho visto invece come un giovane medico naturalmente esagera, eppure adduce alla sua argomentazione cinese ha ricucito il pollice di Laura, un’amica con cui anni una serie di episodi abbastanza credibili e comuni di epatiti fa ho fatto un bel viaggio nello Yunnan, la regione tropicale in Messico e di infarti a Machu Picchu. “Ho male qui” è una della Cina. Messasi ad armeggiare alle sei di mattina con un locuzione un po’ generica, e spiegarsi meglio a volte è un affilato temperino, per adattare un sottopiede dello scarpone, problema. Esistono tuttavia affezioni largamente prevedibili, Laura si era procurata un taglio profondo. Pioggia battente, anche per chi si avventuri in luoghi dove la comunicazione corsa d’urgenza in un ospedalino di campagna, ricordo vagarisulti complicata per via della lingua locale. La diagnosi di mente un sedile di automobile tutto insanguinato. Appena il una dissenteria, per esempio, non è difficilissima da fare. La medico del pronto soccorso si presentò con una siringona in diarrea del viaggiatore è forse il primo malanno da mettere mano, Laura, che peraltro parlava un ottimo cinese, cacciò in conto quando si visita paesi cosiddetti caldi. Esistono un urlo terrificante, girò su se stessa e mi afferrò per le spalle precauzioni da prendere (per esempio, non bere l’acqua delle implorando: “Aiutami, aiutami!”. Io svenni e mi afflosciai sul pozzanghere…) ed esistono farmaci che la bloccano. pavimento. Il resto mi fu raccontato, dopo. Cinque punti di L’aspetto più interessante, dal mio punto di vista, è però quel- sutura, cucitura perfetta.


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Città pestilenziali

» di Eugenio Klueser

Altro che splendori di Versailles, altro che Roma antica, tutta la cosiddetta “città pestilenziale”, dove infuriavano malattie marmi e ori! Le città del passato erano luoghi pestilenziali, do- e proliferavano quelli che l’autore chiama “micropredatori”, ve in vicoli stretti e mefitici si ammassavano rifiuti, liquami, cioè virus, batteri, germi. Un quadro urbano che solo il proscarti delle più diverse lavorazioni, fango. gresso scientifico e medico e le innovazioni È questo il quadro da tregenda delineato da urbanistiche del tardo Ottocento hanno Lorenzo Pinna, storico collaboratore delle contribuito a vincere. Con buona pace dei trasmissioni televisive di Piero Angela, nel cantori del buon tempo antico e dei mosuo Autoritratto dell’immondizia. Un libro derni fautori dell’ecologico a tutti i costi, che affronta un tema per nulla attraente, quindi, la gestione dei rifiuti può essere almeno a prima vista, e che viceversa si considerata una cartina al tornasole della rivela godibile, privo della seriosità che concapacità o meno di una società di accedere trassegna tanta saggistica. Merito di Pinna al mondo moderno. E in definitiva di assiche, costruendo sul tema del rapporto tra curare la salute ai suoi cittadini. rifiuti e vicenda umana un racconto ricco di Un discorso che per Pinna vale per il passacuriosità, ci fa comprendere come la storia to, ma ancora di più per il presente e per il sia stata fatta certo dai grandi personaggi, futuro. L’autore, infatti, non si limita a una ma allo stesso tempo sia stata condizionata ricostruzione storica, ma prova a riflettere – fortemente dalle condizioni igieniche in cui ed è questa la parte forse più significativa del vivevano gli esseri umani nel passato e dalla saggio – sulle strutture di una società come Autoritratto dell’immondizia loro incapacità di gestire l’emergenza rifiuti, quella attuale che ha imparato a gestire i di Lorenzo Pinna soprattutto nei centri urbani. rifiuti, ma ne produce troppi, col rischio di Bollati Boringhieri, 2011 Questa incapacità si manifestava princiandare incontro a nuove catastrofi ambienpalmente in quello che l’autore chiama con felice metafora tali e igieniche nei prossimi anni. Appare quindi imperativo “frastuono olfattivo” cittadino. In poche parole le città non dormire sugli allori e riflettere seriamente su quelle che erano ammorbate dal tanfo dovuto all’assenza di fognature potremmo chiamare le grandi “R” su cui costruire l’avvenire: efficienti e dalla mancanza di servizi di nettezza urbana. Era “Ridurre, risparmiare, riciclare, riparare”.

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Luca di Antiochia

Vitae

tamente cosa era accaduto nell’arco dei trentatré anni di vita del Messia. Ero letteralmente divorato dall’amore per quell’uomo, il Figlio di Dio. Il suo mistero mi attraeva inesorabilmente a sé. Non avevo scampo. Carità, amore per il prossimo, comunione, fiducia sono queste le parole chiave della mia rivelazione. Certo, la mia personale conoscenza di Gesù è indiretta, come in fondo quella della maggioranza degli uomini, ma nel mio Vangelo ho voluto sottolineare l’aspetto di assoluta dedizione all’altro, soprattutto quando è meno fortunato. Era un aspetto che mi aveva attratto nella professione di medico e che Protettore dei medici, e medico lui stesso, ritrovavo nella fede in Criè stato un grande biografo e autore di sto. Egli era per me il grande successo. Una vita ispirata da una fede pro- guaritore, capace non solo di sanare le ferite del corpo, ma fonda e dal desiderio di unità dei cristiani anche quelle dell’anima grazie all’amore. Non c’è salvezza se no san Paolo – che giunse ad non c’è amore incondizionato per tutti gli Antiochia insieme a Barnaba uomini, nessuno escluso. Sì, lo so che è difintorno al 37. Non era affatto ficile, ma credetemi non esiste altra via. un tipo facile. Aveva un caMi hanno detto che in parecchi si sono scerrattere ostinato e non a tutti vellati sulla dedica a Teofilo che ho apposto riusciva simpatico. Oggi lo si al mio Vangelo e agli Atti, l’altro mio libro. definirebbe un “duro”. Però In realtà è una doppia dedica: a mio fratello, sapeva infiammare gli animi che tanto ho amato e che mi seguì nel mio e grazie a lui decisi di abbracpercorso di fede, e a tutti gli uomini che ciare la fede cristiana. Paolo vivono nell’amore per Dio e per il prossimo. aveva scelto come base per la Nell’amore per Dio e per gli altri sta la chiave sua predicazione una grotta di tutto, almeno secondo me. E non a caso nei dintorni di Antiochia e ho voluto introdurre nel mio Vangelo parabogiorno dopo giorno il numero le come quelle del Samaritano – che oggi in delle persone che andavano molti, soprattutto di questi tempi, farebbero ad ascoltarlo cresceva. Era una bene a tenere a mente –, della peccatrice (e rivelazione continua, le sue chi non lo è?) e del figliol prodigo. Una cosa parole mi aprivano la mente e su cui rifletto costantemente sono le divicapivo che il messaggio di Gesioni all’interno della Chiesa. E con Chiesa sù avrebbe cambiato il mondo non mi riferisco solo a quella di Pietro ma e la prospettiva di tutti gli all’ecclesia dei cristiani nel suo complesso: i uomini. Fu allora che iniziai copti come i protestanti, gli ortodossi come i a scrivere, in realtà prendevo battisti, ecc. Una cosa che avevo ben chiara, continuamente appunti: l’urinfatti, mentre scrivevo il mio Vangelo è che genza di trasmettere quegli era diretto a tutti, non solo ai già cristiani o insegnamenti mi spinse ad agli ebrei, ma proprio a tutta l’umanità, senza annotare tutto ciò che potevo distinzioni. Intendiamoci, le divisioni ci sono venire a sapere su Gesù. Fu state fin dall’inizio, a volte nascevano per questo bisogno di approfondiquestioni di antipatia o di pura gelosia, altre re, di conoscere i dettagli della volte per ragioni di potere, di affermazione sua predicazione e della sua personale. Ma io ho sempre creduto – e l’ho morte e resurrezione che mi anche scritto una volta – che è indispensabile spinsero a incontrare gli apo“formare un cuor solo e un’anima sola”. In stoli e la stessa madre di Crifondo, sarebbe tutto più semplice, intendo sto, Maria, a cui peraltro sono per l’intera umanità. Ma a quanto pare l’uostato molto legato: chi meglio mo è un gran testone e ha bisogno di tempo, di loro poteva raccontare esattanto tempo…

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D

evo ammettere di aver avuto una vita decisamente speciale anche se un po’ complicata da riassumere in poche parole. Sono nato in quella che oggi si definirebbe una famiglia “bene”: mio padre era medico, professione che io stesso ho esercitato a lungo, mentre mia madre era figlia di uno degli uomini più rispettati di Antiochia, città in cui anche io sono nato. A quel tempo Antiochia era parte della provincia romana della Siria ed era una bella città, una delle più importanti del Mediterraneo. Vi abitavano e circolavano persone provenienti da culture e paesi diversi. A scuola si studiava sia il greco sia il latino e benché allora l’aramaico fosse la lingua più diffusa in quelle zone, in casa mio padre esigeva che io e i miei fratelli parlassimo sempre in greco. Diventare medico è stato poi un fatto naturale, quasi congenito. Passavo le ore a osservare mio padre mentre ascoltava e medicava i suoi pazienti che giungevano ogni giorno presso la nostra casa per farsi curare o per farsi preparare un decotto. Mi resi conto presto che lo studio della natura e in particolare del mondo vegetale era fondamentale e fui mandato a scuola da un vecchio medico, che era stato anche il maestro di mio padre. Con lui trascorrevamo intere giornate a raccogliere piante di cui mi spiegava la preparazione e l’uso medico. In fondo era un mestiere piuttosto pratico anche se, appena trovavo un momento libero, cercavo di leggere tutto quello che mi passava sotto mano, dalla filosofia all’astronomia, alla retorica alle vite dei personaggi illustri della storia. Mi affascinava in particolare la vita di Alessandro Magno, i suoi ideali di unità fra i diversi popoli e l’influenza che aveva avuto su di lui il grande Aristotele. L’incontro che però ha cambiato la mia vita è stato quello con Paolo di Tarso – quello che oggi tutti chiama-


Acque di Daniele Fontana; fotografie di Reza Khatir


E

noi cosa siamo, pesci fuor d’acqua o gente in ammollo? Seminudi, al cospetto del mare. Perché si è sempre davanti al mare, anche quando di fronte abbiamo un catino d’acqua addomesticata. Chiusa in una vasca. Costretta tra metallo e cemento, come futuristi busti ortopedici. Ci si faranno anche mirabili imprese, dentro e fuori, versando fatiche e sudori. Ma il mare, vuoi mettere il mare…

In quel cielo capovolto ci sta tutto. L’epica, i viaggi, i naufragi, l’al di là, gli abissi, le anime e i corpi e pesci mostruosi e disperate ammalianti sirene. Il giorno e la notte. Giù nel fondo il buio, anche quando fuori è ancora giorno, e su in su-

perficie la luce che forse per noi mai più apparirà. Alessandro il grande e Vasco da Gama, la meta e la deriva infinita, l’impresa e la disperazione. Perché una cosa è il mare dalla riva. Un’altra quando ci sei dentro. Fa paura persino quando è calmo (l’han detto, “si muove anche di notte e non sta fermo mai”) e allora flutti e frangenti, figurarsi poi… La spiaggia, il bordo di una vasca non sono il mare e quella nudità è solo di carne. È quando ci entri che sei nudo davvero. Che la tua anima si spoglia. Da lì proveniamo tutti, nella sua protettiva riduzione siamo cresciuti prima di essere scaraventati sulla riva di questa vita. Abbiamo imparato a nuotare prima ancora di



Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI e il CISA a Lugano. www.khatir.com




respirare e a quel torbido dio consegniamo il nostro ultimo respiro, senza neppure un rantolo, quando l’onda ci travolge e il mondo liquido ci inghiotte. Nella realtà e nella metafora. Piccoli inermi e inutili al suo cospetto. Grandi possenti e dominatori sulle sue correnti. Schiavi di Poseidone, compagni di Nauplio.

fonderci i sensi e offuscar la ragione. Vanificando terre e confini. Educazione e cattivi pensieri, la buona creanza senza più costume. Acqua, misteriosa purificatrice, peccaminosa acqua. Fonte di vita e grotta di saperi. Tonica a riva, lasciva nell’onda, a te l’umana gente si affida, confidente dissennata salutista e gaudente.

L’acqua è nostra alleata, nostra fiamma, nostra vita, tentazione perenne e promessa sciagura. Madre di tutte le madri, vi aneliamo tradendola in ogni modo, la misconosciamo bramandola di mille necessità. Scivolando nel suo abbraccio ci affidiamo a lei. Con sorgenti fumiganti a lavarci l’anima, con-

Per il volere di un dio bizzarro quasi di sola acqua viviamo eppure in polvere finiremo. Questo ci è toccato: un rorido asciutto destino. E allora acque chete e tumultuose, inondate i nostri cuori, polite i nostri corpi per l’eterna e definitiva battaglia. Tra noi, uomini liberi, e il mare: “lottatori eterni, implacabili fratelli!”.

Si ringrazia per la disponibilità e la cortesia il signor Christophe Pellandini, direttore operativo del Lido di Locarno (CBR - Centro benessere regionale SA, via Respini 11, 6601 Locarno, www.lidolocarno.ch).


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Curare con i suoni

Disciplina affascinante e coinvolgente, capace di portare alla scoperta di nuovi orizzonti e di nuove possibilità di comunicazione, la musicoterapia fatica a imporsi nella Svizzera italiana di Demis Quadri

Salute

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Quando non si può più comunicare con una persona a li-

vello razionale, l’unico modo per stabilire un contatto passa attraverso la sfera dei sensi. La musica, forma espressiva che per raggiungere il cuore dell’ascoltatore non necessita della mediazione della parola, rappresenta un ottimo mezzo per stabilire la comunicazione. Una testimonianza della pertinenza di abbinare pratiche musicali e terapeutiche sotto un unico cappello viene da Jacques Giunta, titolare dell’Atelier del Ritmo di Avegno (www.atelieritmo.ch): “Se si vuole darne una definizione piuttosto classica, si può dire che la musicoterapia è una disciplina paramedica, complementare alla medicina ufficiale, che tratta il suono, il ritmo e la musica in generale come mezzi di cura, per aiutare l’essere umano ad affrontare difficoltà di comunicazione, di relazione o di espressione. Se parliamo della musicoterapia moderna, abbiamo a che fare con un’attività relativamente nuova, che risale a una sessantina d’anni fa. Ma in realtà usiamo un termine un po’ tecnicistico per definire qualcosa che esiste da quando esiste l’uomo. Se guardiamo alle culture africane, asiatiche o mediorientali, che hanno mantenuto intatte tradizioni che da noi sono scomparse, notiamo che la musica non è utilizzata soltanto come mezzo di espressione nel rituale, nel cerimoniale ecc, ma anche come strumento di cura e di guarigione. Possiamo anche pensare, per esempio, allo sciamanesimo presso i nativi d’America o, più vicino alle nostre latitudini, al fenomeno della tarantella, nata per curare i tarantolati, cioè coloro che si pensava fossero stati morsi dalla tarantola. In realtà, si trattava piuttosto di disturbi della personalità, riconducibili a psicosi o schizofrenia, che venivano affrontati attraverso una sequenza ritmica a terzine protratta per un certo tempo. In Occidente, lo studio della musicoterapia inizia soprattutto da Rolando Benenzon, uno psichiatra argentino che ha divulgato una metodologia basata soprattutto sull’improvvisazione, dunque sul fare e sul creare. Si tratta di un metodo che in parte ho adottato anch’io: fondamentalmente, infatti, lavoro sulla musicoterapia attiva, sul fare musica. Un altro filone della musicoterapia è quello ricettivo, che io uso in modo più mirato, laddove sussiste un bisogno specifico. In questo caso, se c’è chi impiega, per esempio, musica classica o registrata, io utilizzo piuttosto dei suoni creati da me e che comunque, pur attraverso il semplice ascolto, stabiliscono un’implicazione con quello che stiamo facendo. Oltre a Benenzon, come riferimenti teorici si possono ancora citare Juliette Alvin per la sfera anglosassone e Edith Lecourt per la Francia. Parlare di musicoterapia, a ogni modo, vuol dire parlare di una disciplina assai ampia. Si rischia inoltre di fare confusione tra animazione musicale, musicoterapia e altre forme di approccio. Per parlare di musicoterapia bisogna innanzitutto stabilire se si tratta di un’attività gestita da un professionista con una formazione specifica che di solito si fonda, oltre che sulle conoscenze musicali, su basi psico-pedagogiche o socio-educative”.

Una modalità integrativa Alcune tra le sonorità nate nel lavoro del musicoterapeuta Jacques Giunta hanno trovato spazio su un CD con obiettivi divulgativi e di integrazione socio-culturale, Non è mica musica normale! Itinerari e dialoghi sonori sui sentieri della musicoterapia relazionale. Questo è stato uno dei risultati di un percorso di musicoterapia che ha avuto luogo presso l’istituto OTAF di So-


Immagine tratta da www.osocio.org

rengo dal gennaio del 2004. Riguardo al suo metodo, Giunta racconta che, pur partendo dal lavoro di Benenzon, in 15 anni di attività esso si è evoluto in maniera personale, sviluppandosi dall’esperienza e dall’integrazione di altri modi d’intervento. “Dato che la musica implica grande libertà e apertura, mi sono reso conto che radicarsi troppo in un metodo e non considerare altri aspetti, può impedire di percepire determinati aspetti. Anche perché con la musica si lavora sul qui e ora, sul presente, sia a livello individuale sia di gruppo. Quando questo è possibile, il lavoro in gruppo è preferibile, perché permette di mettersi all’ascolto di se stessi, degli altri e delle interazioni che si creano. Per certi aspetti si tratta di una specie di seduta di psicoterapia, solo che si usa il suono invece della parola. Facciamo uso di strumenti dall’utilizzo facile e immediato, quindi non violini o sassofoni, ma piuttosto strumenti a percussione, a sfregamento, a scuotimento, xilofoni, ecc. L’obiettivo è di esprimere quello che si sente attraverso il suono e facendo musica. Gli strumenti possono essere suonati come si vuole, anche in modo improprio: sperimentare fuori dagli schemi permette di scoprire nuovi orizzonti. Il suono è vibrazione, movimento, per cui entra in gioco anche la corporeità. Se il gruppo non ha gravi handicap fisici, a un certo punto viene automatico cominciare a muoversi, magari a danzare. In casi di perdita di memoria, il suono può fungere da principio evocativo, facendo riemergere cose molto lontane nel passato. Nelle case per anziani, per esempio, utilizzo molto le campanelle delle capre o altri oggetti che si rifanno alle nostre montagne: a volte gli anziani riconoscono attraverso questi suoni il loro vissuto di 50-60 anni prima, e per un momento possono tornare a essere presenti. In casi psichiatrici, come quelli di giovani con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, invece,

l’espressione di emozioni come la rabbia contro sé stessi e gli altri emerge con relativa facilità suonando i tamburi: ed è evidentemente meglio battere contro un tamburo che contro una persona. La musicoterapia però non offre percorsi di guarigione a sé stanti o autonomi, ma permettendo di comunicare emozioni o altre condizioni interiori si pone come complemento agli interventi psicoterapeutici, psichiatrici, farmacologici o di altri tipi di terapia”. Nessuna controindicazione Jacques Giunta spiega che la musicoterapia è una disciplina senza controindicazioni, salvo a volte in casi di gravi dissociazioni della personalità o disturbi psichiatrici. Essa si può quindi utilizzare, con successo e a costi contenuti, nei più svariati campi. Purtroppo però in Ticino e in Svizzera, malgrado l’impegno tra gli altri dello stesso musicoterapeuta di Avegno, per il momento questa forma di trattamento non è riuscita a trovare uno spazio adeguato. Rispetto ad altri contesti, nel nostro cantone lo sviluppo della musicoterapia è ancora piuttosto arretrato. Un primo motivo è una certa chiusura nei suoi confronti (in particolare da parte di istituzioni chiave dell’ente pubblico). Inoltre si osserva una mancanza di comunicazione costruttiva – in Svizzera esiste un’Associazione di Musicoterapia (www.musictherapy.ch), ma spesso manca un effettivo rapporto interregionale e interlinguistico –, accompagnata dalla tendenza a occuparsi del proprio ambito ristretto invece di collaborare in un modo che potrebbe essere arricchente per tutti. L’augurio è allora che queste barriere possano essere superate e che anche con la musicoterapia ci si possa avventurare alla scoperta di nuove frontiere.


La bioarchitettura in giardino Tendenze p. 48 – 49 | di Francesca Ajmar

L’acero Ne esistono molte varietà, ma una tra le più diffuse a scopo ornamentale è l’acero da zucchero, originario degli Stati Uniti, Messico e Guatemala. Introdotto in Europa prevalentemente per i parchi e i giardini, è stato selezionato in molte cultivar, grazie al fogliame che in autunno sfoggia un’incredibile gamma di tonalità di giallo e di rosso. Non sopporta molto la siccità, e predilige posizioni semiombreggiate; tollera bene le potature.

L’oLmo Albero molto resistente, dalla chioma leggera ed elegante, arriva a 25-30 metri di altezza. Le foglie sono ovoidali e seghettate, il tronco dritto e molto rugoso, mentre la corteccia, opaca, varia dal grigio al bruno. L’eleganza e l’imponenza lo rendono adatto ad alberare viali e giardini.

La betuLLa Molto resistente al gelo, dall’elegante portamento, arriva a raggiungere i 30 metri. La chioma, rada e leggera, si sviluppa verticalmente, e le foglie, di un verde chiaro, si addicono in modo particolare a fini ornamentali. Il tronco, snello, è ricoperto da una scorza chiara e sottile.

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a progettazione del verde attorno a una casa richiede una particolare cura e competenza nella scelta delle piante e del luogo in cui piantumarle. Il contributo delle piante per migliorare la qualità abitativa sia all’interno sia all’esterno dell’edificio è fondamentale, tanto in estate quanto in inverno. La protezione o l’esposizione ai raggi solari influisce in modo rilevante sia sui consumi energetici dell’abitazione sia su molteplici fattori di benessere e di fruizione dell’ambiente in cui si vive.

essi permettono all’abitazione di ricevere la maggior quantità possibile di raggi solari, contribuendo quindi in modo rilevante – oltre al riscaldamento naturale dell’abitazione – anche all’illuminazione dei locali interni senza costi aggiuntivi. In estate invece, con la loro folta chioma, proteggono l’abitazione dal calore e da un’eccessiva illuminazione. È importante inoltre conoscere il tipo di radici, poiché è bene che non arrivino troppo vicino all’abitazione.

Gli alberi non sono “tutti uguali”… Capita spesso di vedere vari tipi di alberi sempreverdi, piantati a pochi metri dall’abitazione. Indubbiamente d’estate svolgono una piacevole azione rinfrescante e un effetto quasi balsamico nell’aria che li circonda, ma d’inverno purtroppo incidono negativamente sui costi di riscaldamento, poiché continuano a ombreggiare la casa anche quando questa avrebbe bisogno di ricevere una maggiore insolazione. In questo senso è preferibile quindi la scelta di alberi alti e a foglia caduca a ovest e a sud della casa, così da proteggere le facciate dai raggi del sole pomeridiano estivo, mentre a nord e a est sono consigliabili alberi bassi o cespugli. Perdendo le foglie in inverno,

Le piante come strutture funzionali Un’idea interessante arriva da una disciplina dell’ecoarchitettura che si basa sul concetto che ogni albero, crescendo, può diventare esso stesso la struttura per uno spazio abitativo o per elementi d’arredo in spazi all’aperto. Vi sono già dei progetti, di recente realizzazione, di panchine, pensiline, parchi gioco, ecc. realizzati con alberi molto flessibili, dalla rapida crescita, e molto resistenti, che vengono utilizzati come vere e proprie strutture di appoggio per altri elementi funzionali al progetto stesso. Vi sono alcuni progetti pilota sia negli USA, che in Australia e in Israele. Alcuni esempi? Provate a visitare il sito www.plantware.org.


Il carpIno Albero di medie-grandi dimensioni, che può arrivare a 20 metri di altezza, con una chioma molto fitta, verde scuro nel carpino bianco, verde chiaro nel carpino nero, a palchi orizzontali, che non supera gli 8-9 metri di larghezza. Le radici non sono molto espanse. Si adatta bene alla realizzazione di siepi per la chioma fitta e per la resistenza agli interventi cesori.

Il faggIo Può raggiungere i 20-30 metri di altezza. La chioma, a portamento conico, tende a espandersi in larghezza. Il tronco è dritto, ricoperto da una scorza sottile grigio-chiara, liscia e lucente. È un albero molto utilizzato nei parchi e nei giardini. Tra le varietà di maggior interesse ornamentale, possiamo citare il Fagus sylvatica var. pendula, con lunghi rami ricadenti, e il Fagus sylvatica var. purpurea, con le caratteristiche foglie rosso-vinoso.

la quercIa Sono splendidi alberi dal punto di vista ornamentale, ma le ampie radici, così come la chioma che può espandersi molto, possono dare problemi, se in prossimità di un’abitazione o di mura di recinzione. Data la sua imponenza si adatta a posizioni isolate o al limite di piccoli gruppi.

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Grazie ai transiti planetari attraversate una fase di importante autoanalisi. Scelte inaspettate, in linea con il vostro cuore. Bene tra il 29 e il 30. Incontri e nascita di nuove amicizie. Vita sentimentale ok.

Bene tra il 28 e il 30. Vita sociale in fermento. Momento di irascibilità acuta per i nati nella terza decade. Mancanza di comunicazione con la famiglia di origine. Progetti a lungo termine e successi professionali.

Dovete liberarvi delle vostre inibizioni. Bene tra il 2 e il 3 grazie agli effetti dei pianeti favorevoli. Fase improvvisamente decisionista per i nati nella terza decade. Accettare le opinioni altrui è indispensabile.

Durante questa fase le vostre attenzioni saranno rivolte alle relazioni più intime. Tenderete a esprimervi in maniera più emotiva del solito. Tensioni in famiglia per questioni di spazio o generazionali.

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Inquietudini interiori tra il 31 ottobre e il 1. di novembre provocate da una vecchia fiamma. Sollecitazioni dai transiti planetari. Tutto è possibile. Vita professionale rallentata per scarsa concentrazione.

Stress tra il 1. e il 2 di novembre. Forti sollecitazioni indotte dai transiti planetari. Particolarmente fortunate le svolte più rivoluzionarie. Vita sentimentale in “rosa” per i nati nella terza decade.

Se volete fare spazio al nuovo dovete liberarvi del vecchio che non vi appartiene. Positive le giornate tra il 28 e il 29. Ancora incertezze sul piano sentimentale… ma a quanto pare, non è una novità. Distrazioni.

A fine ottobre, si apre un periodo di considerazioni esistenziali. Siete in grado di superare il vostro passato? State realmente facendo quello che dovreste fare? Riposatevi prima di trovare le risposte.

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Nuova fase di azione e di irrequietezza emotiva. Particolarmente vivacizzato il settore dei rapporti con l’estero, degli studi universalistici e della ricerca metafisica. Al femminile: incontri con stranieri.

Tra il 1. e il 2 ottobre qualche discussione in famiglia. Amplificazione di ogni stato emotivo. Fase segnata da frequenti alti e basi e da scelte umorali. Fase costruttiva per i nati nella prima decade. Più sport.

In questa settimana, dovrete fare i conti con qualche vecchio rimpianto. Il momento risveglierà gelosie all’interno del vostro rapporto di coppia. State attenti a non cadere vittima di un “film” tutto vostro.

La vostra vita va incontro ad alcuni cambiamenti ma è difficile stabilire con esattezza che corso prenderà. Molto dipende dal vostro grado evolutivo e dalla personale capacità di ascoltare i messaggi del cuore.

» a cura di Elisabetta

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Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 45

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro mercoledì 31 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 30 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. La bella del castello • 9. Epoche • 10. Pulito, nitido • 11. Diverbio • 13. Decollano e atterrano • 15. Poppanti • 17. La Nin scrittrice • 18. Si detraggono dal lordo • 20. Tifoso • 21. Agnese a Madrid • 22. Non lo è il timido • 25. Nome russo d’uomo • 27. Il Besson, regista • 28. Rete! • 30. Sta per “dieci” • 31. Si rende al merito • 33. Articolo maschile • 34. Consonanti in radio • 35. La capitale greca • 36. Il pupo dell’Iris • 38. Pena nel cuore • 39. Armata navale • 42. Il mitico re di Egina • 43. Saluto amichevole • 46. Il Rame del chimico • 47. Patrimoni, averi • 49. Adorare • 50. Fa sbadigliare. Verticali 1. Un locale per la conservazione degli alimenti • 2. Il nome della Fallaci • 3. Figura geometrica • 4. Italia e Lussemburgo • 5. In coppia con Ric • 6. Incapacità, incompetenza • 7. Il Molleggiato • 8. Ha costruito l’Arca • 12. Un libretto del TCS • 14. Ineluttabile • 16. Li cela il baro • 19. Nel cuore della foresta 23. Le iniziali di Rascel • 24. Paesi Bassi • 26. La barca veneziana • 29. Piccolo... a Losanna • 32. Il dio egizio del sole • 37. Il maresciallo interpretato da Proietti • 40. Il giro... francese • 41. Accusativo in breve • 44. Circolano in Giappone • 45. Ossigeno e Silicio • 48. Dittongo in giada.

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La soluzione del Concorso apparso il 12 ottobre è:

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APPELLO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono state sorteggiate: Fiorenza Casellini 6822 Arogno Lianella Rigamonti 6874 Castel S. Pietro Alle vincitrici facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: 2 abbonamenti settimanali “Arcobaleno” per adulti

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