№ 46
del 16 novembre 2012
con Teleradio 18 – 24 novembre
Grigioni italiano
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Ticinosette n° 46 del 16 novembre 2012
Agorà Grigioni italiano. Identità a rischio Società Tipi. La liturgia del nulla
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Nicoletta baRazzoNi . . . . . . . . . . . . . .
Kronos Rudolf Steiner. La vita nel colore Ambienti Cucina. Lo specchio di sé Arti Am Piano. Un festival di libertà Vitae Paco Sanchez
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alba MiNadeo . . . . . . . .
a cuRa della di
RedazioNe . . . . . .
oReste bossiNi . . . . . . . . . . . . . .
MaRco JeitziNeR. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage San Bernardino
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d. FoNtaNa; Foto di P. KelleR
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Il mondo nuovo Tema ricorrente nel presente numero di Ticinosette è quello dell’identità culturale e linguistica del Grigioni italiano, sia da un punto di vista sociologico (si veda l’intervista allo scrittore Vincenzo Todisco nell’articolo di apertura), sia sotto il profilo documentaristico, come attestato dal reportage dedicato al San Bernardino . La Svizzera, per la sua stessa vicenda storica, la pluralità sociale e linguistica che la contraddistingue e al di là delle problematiche esistenti – che Todisco individua nello specifico della situazione grigionese –, continua a rappresentare un laboratorio e un modello di convivenza e di integrazione . Certo è che nel corso degli ultimi due decenni, in contrapposizione al processo di globalizzazione e ai conseguenti moti migratori, le comunità autoctone hanno avvertito il crescente bisogno di recuperare le proprie radici culturali, un percorso a cui vanno connessi anche fenomeni di aggregazione politica un po’ in tutta Europa (si pensi alle Leghe lombarde e ticinese) . Al di là delle strumentalizzazioni politiche e delle derive xenofobe, si tratta di fenomeni che, pur esprimendo un bisogno autentico, sono al contempo manifestazione di un disagio e dell’incapacità di adattarsi a quello che è già il “mondo nuovo” . Che poi il tema dell’identità resti una questione aperta, è fuori discussione . Forse bisognerebbe rammentare le parole di Ralph Waldo Emerson (1803–1882), filosofo e scrittore americano secondo cui l’identità non è mai un dato scontato, ma è piuttosto il frutto di un percorso quotidiano costantemente perseguito verso l’edificazione di una personale dimensione culturale e sociale . Buona lettura, Fabio Martini
Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Tiratura controllata 70’634 copie
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Grigioni italiano. Identità a rischio
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Agorà
La presenza italiana nel canton Grigioni è resa più complessa dall’isolamento e dallo spopolamento delle valli in cui l’idioma di Dante è maggioritario. Per questo motivo sono state avviate iniziative volte a rendere più attrattive le aree dove si parla la nostra lingua. Perché il Grigioni italiano rappresenta una grande opportunità culturale di Roberto Roveda
I
l Grigioni italiano corrisponde alla parte italofona del trilingue canton Grigioni ed è composto dalle quattro valli di Mesolcina, Calanca, Bregaglia e Valposchiavo. Questi territori si distinguono per la loro situazione geograficamente marginale e pluriminoritaria, in quanto costituiscono una minoranza linguistica e culturale sia all’interno del cantone sia nel quadro della Svizzera di lingua italiana. Basta, per rendersi conto delle dimensioni del territorio, fare riferimento alla componente demografica: il Grigioni italiano conta una popolazione di circa 14.000 abitanti, rispetto agli oltre 190.000 del canton Grigioni e ai 340.000 del Ticino. Ovviamente lo statuto di minoranza diventa ancora più evidente in rapporto all’intera Confederazione e alla vicina Italia. Come se ciò non bastasse, le quattro valli del Grigioni italiano non sono geograficamente adiacenti, ma separate da territori di lingua tedesca, e romancia e quindi non costituiscono un territorio unitario. Questo rappresenta uno dei motivi per cui è difficile suscitare nella popolazione delle varie valli un vero spirito grigionitaliano unitario che abbracci un discorso interregionale. L’elemento di coesione più importante è la lingua italiana, anche se le singole valli si distinguono per una forte vitalità del dialetto.
Isolamento e spopolamento del Grigioni italiano Vista la mancanza di un centro all’interno delle singole valli, il punto d’incontro più accessibile a tutti i grigionitaliani è la capitale cantonale di lingua tedesca, Coira. Questa situazione ovviamente comporta il pericolo dell’isolamento rispetto al resto del cantone, ma anche fra le stesse valli. (...)
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In relazione all’isolamento sorge il problema dello spopolamento, non eccessivamente forte di per sé, ma significativo e preoccupante se confrontato con l’aumento costante della popolazione totale della Confederazione. Conscia delle difficoltà che si trova a dover affrontare e malgrado ostacoli talvolta consistenti, la popolazione del Grigioni italiano si dimostra estremamente intraprendente e creativa e decisa a difendere la propria identità, come ci testimonia durante il nostro incontro Vincenzo Todisco, grigionese italiano e docente presso l’Alta scuola pedagogica dei Grigioni di Coira. Signor Todisco, prima di tutto i problemi di isolamento e di spopolamento sono uguali in tutte le valli del Grigioni italiano? No, il problema non si pone nella stessa misura per le singole valli. La Mescolcina, aperta verso il Ticino e la Lombardia, è la vallata più popolata e quella che incontra meno problemi a livello socioeconomico. Più difficile si presenta la situazione nella Valposchiavo, ma soprattutto in Val Bregaglia e nella Calanca. Qui lo spopolamento si manifesta anche attraverso la chiusura o la fusione delle sedi scolastiche. In Bregaglia, per esempio, nell’ultimo decennio sono state chiuse le sedi scolastiche di Soglio e di Bondo. La vita politica e economica del Grigioni italiano è orientata verso nord, e ciò costringe la popolazione a dover padroneggiare il tedesco. Se negli anni Ottanta c’era motivo di temere un forte indebolimento dell’italiano, le cifre del censimento federale del 2000 risultano confortanti in quanto attestano per lo meno una buona tenuta dell’italiano, a parte piccole zone periferiche come l’enclave di Bivio o della frazione bregagliotta di Maloja, dove però gli italofoni rappresentano ancora la maggioranza.
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Cosa si sta facendo nelle varie valli per far fronte a queste situazioni di isolamento e spopolamento? Per quanto piccolo possa essere il territorio, le iniziative e i progetti atti a creare sviluppo su tutti i settori con l’obiettivo di rendere più attrattive le singole valli e quindi frenare lo spopolamento e affrontare l’isolamento sono molteplici. Ci manca lo spazio per menzionarli tutti e saremo costretti a fare una scelta esemplificativa, soffermandoci su alcuni progetti particolarmente interessanti. Come detto, il problema interessa in modo particolare la Bregaglia, la Calanca e un po’ meno la Valposchiavo. Se prendiamo la piccola realtà della Bregaglia, dobbiamo menzionare anzitutto la fusione dei cinque comuni avvenuta nel 2010, fusione mirata alla creazione di condizioni quadro favorevoli per l’avvio di nuove iniziative orientate allo sviluppo del territorio. Accanto a ciò bisogna segnalare la riorganizzazione del settore turistico nel senso di una professionalizzazione e di un potenziamento dell’attività di gestione e promozione del territorio in un’ottica turistica. L’effetto di questa ristrutturazione è atteso a medio e lungo termine, in quanto si spera si ripercuoterà sulla qualità e sulla quantità delle offerte e delle strutture turistiche con conseguente aumento dei posti di lavoro. Il cosiddetto Progetto puntoBregaglia (www.puntobregaglia.ch) offre nuovi stimoli al settore imprenditoriale attraverso un’impostazione di coordinamento e collaborazione legata a nuove prestazioni di servizio e alla formazione, sempre con l’obiettivo di creare nuove imprese e nuovi posti di lavoro. L’istituzione della scuola bilingue di Maloja, la già menzionata piccola frazione situata sulla frontiera linguistica che divide l’Engadina dalla Bregaglia, costituisce un ulteriore tentativo di frenare lo spopolamento. La nuova scuola, unica nel suo genere in tutta la Svizzera italiana, non è nata soltanto per ragioni sociolinguistiche, ma anche per frenare la perdita di bambini e addirittura per attirare nuove famiglie a Maloja. In un primo momento l’effetto è stato quello desiderato, ma ben presto ci si è dovuti rendere conto che i fattori economici pesano di più di
quelli socioculturali. Per quanto innovativa, una scuola bilingue non basta da sola a rivitalizzare una frazione di montagna come Maloja. Accanto alla nuova offerta scolastica, servono terreni e abitazioni a prezzi accessibili, opportunità di lavoro e collegamenti stradali sicuri anche durante l’inverno. Diversi altri progetti prevedono la messa in atto di misure concrete per l’aumento della popolazione, primo fra tutti il Progetto Sviluppo dell’area economica della Bregaglia (www.bregaglia.ch/comune/home/progetti), che prevede la creazione di nuove aree artigianali, industriali e commerciali adatte al territorio nonché l’accompagnamento attivo nell’insediamento di nuove imprese sul territorio. Il Progetto Agricoltura e turismo in Val Bregaglia (AGRISMO) prevede inoltre una maggiore cooperazione tra agricoltura e turismo. Una delle risorse della Val Bregaglia è il patrimonio culturale legato ai grandi artisti della famiglia Giacometti. Il Progetto Centro Giacometti (www. centrogiacometti.ch) intende valorizzare il potenziale artistico presente in valle e creare nuove fonti di reddito. E per quanto concerne la Valposchiavo? Per la Valposchiavo bisogna menzionare anzitutto il progetto Polo Poschiavo (www.polo-poschiavo.ch, ndr.). Si tratta di un centro di competenza per la formazione professionale e l’accompagnamento di progetti di sviluppo riconosciuto a livello cantonale e federale che sfrutta le moderne tecnologie dell’informazione per permettere una formazione a distanza, migliorando in tal modo la competitività dell’intero territorio. Il Polo Poschiavo è inoltre particolarmente attivo nella collaborazione transfrontaliera. Altre iniziative atte a promuovere l’artigianato e la piccola industria locale sono il progetto Centro tecnologico del legno, il progetto AmAMont per il recupero dei maggesi, i vari progetti di promozione delle attività giovanili, come, per esempio, Poschiavo in movimento nonché l’edificazione, da parte del comune, di diverse infrastrutture sportive e culturali (una pista di ghiaccio artificiale e la nuova biblioludoteca La Sorgente). Da non dimenticare anche l’iniziativa privata che negli ultimi anni sta facendo parecchio per rimanere al passo coi tempi e mantenere uno standard elevato di prestazioni. Questi sono solo alcuni esempi, limitati alle due valli di Poschiavo e Bregaglia, ma ce ne sarebbero molti altri. Anche in Calanca, insieme alla Mesolcina, sono in corso ovviamente vari progetti che, sfruttando e valorizzando le risorse locali, l’agricoltura, l’artigianato e le piccole industrie, mirano a uno sviluppo accorto del territorio.
L’importanza dell’italianità Possiamo affermare che la presenza italiana nei Grigioni è a rischio proprio a causa delle difficoltà di queste valli… Ovviamente, più s’indebolisce la situazione demografica, più ne risente la lingua italiana, anche perché, soprattutto in Bregaglia, ma anche nella Valposchiavo, l’infiltrazione in sordina del tedesco è un dato di fatto. Rafforzare il Grigioni italiano da un punto di vista socioeconomico significa dare più forza alla lingua italiana. D’altro canto bisogna vigilare costantemente affinché venga rispettato il diritto della popolazione grigionitaliana a esprimersi nella propria lingua e a ricevere la documentazione istituzionale (informazioni, testi di legge ecc.) in italiano. Questo compito viene assunto dalla Pro Grigioni Italiano (www.pgi.ch), un’associazione che si impegna per la promozione della lingua italiana e della cultura del Grigioni italiano. Perché è tanto importante agire per valorizzare la presenza italiana nei Grigioni? Cosa rischiamo di perdere? A lasciare le valli del Grigioni italiano al proprio destino si perde soprattutto una grande opportunità culturale, ma non sempre le istanze politiche e la popolazione del resto del cantone se ne
rendono conto. La questione può essere esemplificata nel campo della scuola elementare. Quando si tratta di giustificare la presenza dell’italiano quale prima lingua straniera insegnata nella parte tedescofona del cantone, spesso si cerca di motivare questa scelta con l’argomento culturale e quello politico, sostenendo che per la tutela della coesione cantonale, la parte tedescofona avrebbe il dovere di tener conto dell’italiano e di concedere alla lingua di Dante nelle scuole una posizione un po’ più preminente rispetto all’inglese (la cui importanza non viene certamente messa in discussione da nessuno). In sostanza il Grigioni italiano chiede un favore, mentre la tutela dell’italiano a livello cantonale in tutti i settori dovrebbe essere un dovere per la maggioranza e un diritto della minoranza. Per questo penso che l’atteggiamento dovrebbe essere un altro. Bisognerebbe far capire alla parte tedescofona che coltivando l’italiano a scuola, i bambini ci guadagnano. Familiarizzano innanzitutto con una lingua latina che apre loro un nuovo mondo culturale e imparano un idioma importante e necessario per molti posti di lavoro cantonali. Lo stesso discorso vale per il Ticino. Più il Ticino si impegna a valorizzare il Grigioni italiano, più sarà ricco e articolato il concetto di Svizzera italiana. Quali organismi e istituzioni stanno operando per far fronte alla situazione? Gli organismi che s’impegnano sono gli enti pubblici e quelli turistici, i comuni, gli uffici di sviluppo, la già citata Pro Grigioni Italiano con le sue varie sezioni. Anche le istanze politiche hanno il compito di tutelare gli interessi del Grigioni italiano. È importante infine che, sotto il mantello del cantone, tutte queste istituzioni operino unitamente. Da non dimenticare i vari progetti INTERREG, un’iniziativa dell’Unione Europea cui partecipa anche la Svizzera. I vari progetti INTERREG, tra cui quello di collaborazione tra Italia
e Svizzera (www.interreg-italiasvizzera.it) hanno lo scopo di promuovere l’integrazione delle regioni alpine nello spazio europeo, promuovendo e finanziando progetti transfrontalieri che superino i confini nazionali per aspirare a uno sviluppo equilibrato delle regioni. Insomma, la strada da seguire è quella dell’apertura, della collaborazione, del dialogo e dell’innovazione. In precedenza lei ha accennato al ruolo del canton Ticino. Che cosa potrebbe fare di più il cantone a maggioranza italiana per supportare il Grigioni italiano? Il Ticino ovviamente può fare tanto, anche solo a livello di atteggiamenti. Mi sembrano importanti e lodevoli gli sforzi che negli ultimi anni sono stati compiuti da parte della Radio e Televisione della Svizzera Italiana che si dimostra più attenta nei confronti delle tematiche legate al Grigioni italiano e che grazie al potenziamento dello studio e dell’ufficio di Coira rende possibile una maggiore copertura delle notizie e dei fatti. La cosa più importante è che da un punto di vista linguistico e culturale il Ticino consideri il Grigioni italiano parte integrante della realtà culturale della Svizzera italiana, così come mi sembra stia facendo il PEN Club International1 che attraverso campagne di sensibilizzazione cerca costantemente di coinvolgere anche le autrici e gli autori non solo del Grigioni italiano, ma anche della parte retoromancia. E in fondo la soluzione sta proprio lì, nel vivere consapevolmente e valorizzare il trilinguismo e il multiculturalismo del canton Grigioni.
note 1 Il PEN Club (www.pen-international.org) è la più antica organizzazione internazionale di letterati. Fondata a Londra nel 1921, promuove l’amicizia e gli scambi intellettuali tra scrittori di tutto il mondo.
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La liturgia del nulla Perché ci sono persone che ostentano la loro cultura, la loro appartenenza sociale, il grado di ricchezza e magari anche la posizione professionale? Cosa nascondono, vanità e presunzione? di Nicoletta Barazzoni
Società
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Esistono persone che, pur rivestendo cariche importanti, pur dotate di un’intelligenza al di sopra del comune, appartengono alla categoria degli umani evoluti: sono modeste e addirittura ringraziano quando ti rivolgi a loro. È davvero indispensabile far notare agli altri le nostre conoscenze, la nostra bravura, mettendo volutamente, chi ci sta di fronte, nella condizione di non sapere nulla? Cosa spinge una persona ad atteggiarsi, a darsi delle arie? Come il pavone che si lustra le piume, in determinate situazioni, si avverte il bisogno incontrollabile di porre tra noi e il nostro interlocutore una tale distanza emotiva per una supposta superiorità. Lo vogliamo declassare e sminuire forse perché, inconsciamente, lo riconosciamo come soggetto potenzialmente più dotato e talentuoso di noi. Quando qualcuno “se la tira” non significa forse che sta esibendo il contenuto di una valigia vuota?
Queste prove psicologiche, utilizzate purtroppo da chi non sa cosa sia l’umiltà e da chi crede che la conoscenza sia un privilegio di pochi, mandano in fumo qualsiasi arrosto. Abbiamo una certa idiosincrasia per gli spocchiosi, i vanagloriosi, gli arroganti, gli sbruffoni, i prepotenti, quelli che ti guardano dall’alto al basso. Aggettivi tutti traducibili anche al femminile, s’intende! Molti avranno di certo fatto la spiacevole conoscenza di chi ha il vizio di squadrare il suo prossimo dall’alto della sua presunzione. Questi personaggi spesso nascondono in realtà un potente complesso di inferiorità. Un vecchio adagio dice che più la scimmia sale in alto, più mostra il sedere, che è la parte meno nobile degli esseri viventi, dalla quale espelliamo il peggio. Non ci dovrebbero essere distinzioni tra gli esseri umani, innanzitutto perché tutti indistintamente ci portiamo in giro una buona dose Il peso dell’uguaglianza di rifiuti organici incorporati, e poi Scene di vanità come queste sono perché è che “saranno potenti i ricchi esemplificate dalla fiaba Il pavone e la saran potenti i re ma quando qui si siegru dello scrittore greco Esopo, il cui don son tutti come me”. Infatti, non c’è racconto narra di come la superbia nessuno che profuma di lavanda o di se ne partisse a cavallo ma fosse cogelsomino, e dunque perché dimentiImmagine tratta da www.gica-art.blogspot.com stretta a tornare a piedi, poiché non carci che, anche se facciamo scempio possiamo prevedere cosa ci riserva il delle nostre attitudini, ci ritroveremo destino, che a volte ripaga con il rovescio della medaglia. In tutti a tirare lo sciacquone, per una serie di funzioni fisiologiche una delle sue divertenti commedie, Totò pronunciò una frase alle quali sarebbe pericoloso opporci. che divenne celebre: “lei non sa chi sono io”. La liturgia del nulla è divenuta, anche nella realtà odierna, una pratica assai diffusa Nobili eccezioni in una società che misura e attribuisce valore unicamente alla Tuttavia vale anche il principio che chi non vale niente, non superficialità e all’apparenza. lascia valere niente, e anche di fronte all’eccellenza trascina Ma dare l’impressione di essere non significa esserlo davve- tutto in basso. Poi, sul water c’è anche chi fa pensate grandiose, ro. In certi uffici preposti alla ricerca del personale vengono come fu il caso di Martin Lutero, che sulla latrina ebbe una distribuiti test psicologici, che non hanno nessuna base delle sue più importanti intuizioni teologiche. Come dire che scientifica, ma che purtroppo portano ad assurde conclusioni non tutti i fondoschiena, quando si appoggiano sulla tazza del sulla personalità e sulle conoscenze del malcapitato in cerca di gabinetto, sortiscono cattivi odori. lavoro, messo alla prova, per un’assunzione o per un concorso, In conclusione, e a prescindere, quando incontriamo qualcuno dall’altezzoso impiegato di turno. Di fronte al test di abilità che sentenzia “lei non sa chi sono io” ci immaginiamo questo intellettuale e cognitiva, l’impiegato, addetto al reclutamento esempio di baldanza, seduto sul water con il volto contratto, i del personale, invita il candidato a riconoscere l’immagine pantaloni abbassati e le mutande a pallini rossi. In verità, sapdei grandi della storia e della cultura. Se non si è in grado di piamo benissimo con chi abbiamo a che fare: un concentrato riconoscere le personalità che sottostanno alla prova, si viene di maleodoranti profumi simili al nostro. Le arie, semmai, sono classificati d’ufficio nella categoria degli ignoranti. solo una questione di idraulica.
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La vita nel colore All’inizio del Novecento, Rudolf Steiner tracciò una via per realizzare e dare concreta consistenza a un nuovo orientamento pittorico: il colore, reso vivo e creativo, diventa esso stesso ispiratore del tema del dipinto di Alba Minadeo
Kronos
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Il fenomeno colore è stato indagato da sempre sia in ambito il pittore Beppe Assenza, che ha sviluppato un metodo per psicologico che in ambito fisico e filosofico. Nel 1672, Isaac gli artisti del futuro. Partendo da esercizi di base sulla conoNewton dimostrò che la luce, che noi percepiamo come scenza dei colori è possibile giungere a una creazione artistica bianca, è in realtà composta dai sette colori dello spettro originale. Lo spunto può essere offerto dai fenomeni cromatici solare. È un flusso di particelle, ciascuna dotata di una specie della natura (per esempio, il cambio di stagioni e di atmosfere) di pulsazione, il cui ritmo determina il colore. Nel 1790, lo e quindi si sviluppa un lavoro dove l’attenzione è rivolta al scrittore e pensatore Johann Wolfgang Goethe indagò a fondo manifestarsi del colore e della sua essenza. il fenomeno del colore, sia dal punto di vista qualitativo sia L’arte come terapia quantitativo, e affermò che il La valenza terapeutica del colore colore nasce dall’incontro delle è stata approfondita da diverse due energie: luce e tenebra. In personalità legate al pensiero altre parole, i colori sono azioni antroposofico che hanno stue passioni della luce. diato la sua influenza sull’essere Rudolf Steiner (1861–1925), che umano, dal punto di vista fisico in gioventù ebbe l’incarico di e dell’anima. La dottoressa Ita riordinare l’archivio degli studi Wegman, seguendo i suggeriscientifici di Goethe, riformulò menti di Steiner, ha dato il via questa teoria in base alla sua a un ampliamento dell’arte meconcezione, secondo la quale dica consigliando di esercitare, l’essere umano è formato da aniinsieme con i rimedi naturali, ma, corpo e spirito: egli giunse arti come l’euritmia, la musica, pertanto alla conclusione che la recitazione, la scultura e la pitnon si può disgiungere l’espetura. La dottoressa Margarethe rienza cromatica dalla sua azione Hauschka ha elaborato un metosui sensi, dalla risonanza interiodo di pittura terapeutica ripreso Un’opera della pittrice e arteterapeuta Magda Stella re che questi determinano. Ogni e ampliato poi dalla pittrice in(immagine tratta da magdastella@libero.it) colore ha un preciso movimento glese Liane Collot D’Herbois. Il che determina degli effetti specicolore ha sull’animo dell’essere fici sull’essere umano. In sintesi, bisogna guardare all’essenza, umano in crescita una forte influenza positiva. oltre che alla sostanza: il colore non è solo pigmento, ma tocca In un momento storico in cui si dà estrema importanza all’atle corde dell’anima e della psiche. tività cognitiva intellettuale e nozionistica – che vuol dire far trattenere al bambino contenuti lontani dalla sua vita psicoloL’essenza del colore gica e dalla sua età evolutiva –, sarebbe importante compensare Nel 1918, Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, parla questo processo di inspirazione e tensione con un’attività in dell’esperienza del colore come necessità e impulso per l’arte cui il piccolo possa immergersi nell’espirazione, per rilassarsi del futuro. Tre anni più tardi, tiene una conferenza sul tema e gioire attraverso il gioco con i colori: un esercizio di salute “L’essenza dei colori” e offre suggerimenti a pittrici e pittori per affinché il bambino si senta in armonia con il suo essere, senza un ampliamento delle arti del XX e XXI secolo, visto che si era alcun giudizio valutativo. arrivati a un completamento degli impulsi dei geni artistici di Infine, la pittura può essere usata in chiave pedagogico-teraquel tempo, dagli impressionisti a Vincent Van Gogh. peutica, in caso di disagi psicologici, blocchi emotivi o anche Lo stesso Van Gogh fa riferimento al pittore del futuro come a di handicap fisici gravi: il colore è visto come un rimedio per un esperto colorista. Partire dal colore per arrivare a un motivo: stimolare l’attività dei sensi, quella ghiandolare nonché psicoquesta è la via artistica che il teosofo austriaco propone come logica, a partire dai cinque anni, in sedute individuali. ambito di studio, sperimentazione, crescita e autoconoscenza. Un approccio alla pittura antroposofica è stato in seguito messo per informazioni a punto da molti allievi di Steiner, in particolare ricordiamo Atelier Santa Caterina, via Borgovico 35, Como.
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Lo specchio di sé Assieme alla camera da letto, la cucina è l’ambiente più importante della casa. Lo spazio dei piaceri della gola, della gioia e del confronto a cura della Redazione
Le case arredate con cura e decorate con gusto si riconoscono immediatamente. Per questo uno spazio abitativo dall’atmosfera calda e accogliente, dove trascorrere sereni le ore passate in casa, deve necessariamente essere in grado di rappresentarci e dunque essere “costruito” intorno alla propria personalità e al modo di essere. Quante volte vi sarà capitato di varcare la soglia di una casa e provare una sensazione di disagio: ma è veramente questa l’abitazione della persona che conosco (o credevo di conoscere)? La cucina siamo noi La casa è uno spazio molto intimo. Una considerazione forse banale, ma spesso disattesa: il problema è che per ottenere quel calore e quel “tocco indimenticabile” è necessario che ogni ambiente e ogni particolare siano considerati con attenzione e un pizzico di buon gusto. Le stesse cure che si pongono per rendere accogliente, per esempio, il nostro salotto dovrebbero essere poste nell’arredare la cucina, imprimendole personalità per farne un luogo comodo e piacevole, dove svolgere tutti quei lavori legati alla preparazione del cibo e al suo consumo. Ma allo stesso tempo creare uno spazio dove poter sbrigare, per esempio, incombenze amministrative sorseggiando un caffè, o passare momenti immersi nella lettura, tra le pagine di una rivista o navigando con il proprio tablet. Non da ultimo, la cucina dovrebbe essere lo spazio di ritrovo e di scambio dove tutta la famiglia ha la pos-
sibilità di riunirsi, almeno una volta nel corso della giornata. Proprio per le molte attività che vi si svolgono e di tutti gli elementi di arredo piccoli e grandi che contiene (dai pesanti elettrodomestici alle piccole stoviglie e al vasellame), la cucina non di rado è anche il luogo del disordine temporaneo. Un spazio dunque sempre in movimento, dove derrate alimentari entrano ed escono, e con loro odori, profumi e rifiuti. Arredarla non è certo semplice, in particolare quando si prende possesso di un appartamento dove questo ambiente è già stato ampiamente occupato da sanitari, armadi e cassetti. Piccole o grandi, ma funzionali Il tempo delle cucine piccole e buie pare essere scomparso nelle costruzioni più recenti. Gli spazi di cottura moderni si distinguono per superfici di lavoro comode e materiali resistenti, e questo a prescindere dalle nostre capacità ai fornelli. Altro discorso va invece fatto per chi ha la fortuna di poter pianificare e arredare personalmente la propria cucina. Seguendo magari lo stile campestre o rustico (mobili in legno e aria di campagna), quello mediterraneo (semplicità, tradizione e pochi elementi), lo stile urbano e industriale (funzionalità e modernità per chi ha poco tempo, mobili in metallo e pavimenti sintetici) oppure quello informale, allegro, libero, dai colori forti e molto vivaci... Perché in cucina la creatività non dovrebbe mai mancare.
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Ambienti
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Un festival di libertà Dal 19 al 25 novembre si tiene l’edizione 2012 del Lucerne Festival am Piano, edizione autunnale del Festival di Lucerna. Un’occasione per ascoltare grandi interpreti di generazioni diverse ma anche per ricordare lo spirito umanistico e universale della storica manifestazione lucernese di Oreste Bossini
Europa,
Arti
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1938. L’opinione pubblica di tutti i paesi è consapevole che ormai è questione di mesi, forse di giorni. La guerra è sul punto di scoppiare da un momento all’altro; in Spagna, in attesa dell’espansione su scala internazionale, si stanno già facendo le prove generali del conflitto imminente. L’arte e la musica in particolare hanno da tempo subito le ripercussioni della grave situazione politica. Molti intellettuali, come il poeta inglese Wystan H. Auden, sono convinti che l’Europa sia ormai giunta al collasso spirituale e hanno lasciato il loro paese per trasferirsi negli Stati Uniti. Molti altri artisti, per motivi razziali o politici, sono stati costretti a emigrare e non possono più lavorare in Germania e negli stati alleati dei nazisti. Svizzera, terra di libertà Tra questi esuli figurano musicisti di fama internazionale, come Arturo Toscanini, per esempio, che per il suo dichiarato antifascismo ha dovuto lasciare l’Italia. Ma la Svizzera mantiene la posizione di stato neutrale e Toscanini ritiene che forse lì sia ancora possibile tenere accesa una fiaccola di speranza per l’arte e per il mondo. Nasceva così nell’estate del 1938 il Festival di Lucerna, con un’orchestra diretta da Toscanini e formata da alcuni tra i migliori musicisti d’Europa, senza distinzione di religione o di opinioni politiche. Le prime parti degli archi, per esempio, erano i membri del celebre “Quartetto” di Adolf Busch, il grande violinista tedesco costretto a ripudiare la propria patria a seguito dell’ascesa al potere di Hitler e del feroce antisemitismo imposto dai nazisti alla società intera. Da allora, il Festival ha mantenuto nel corso del tempo l’impostazione umanistica e aperta ai valori musicali voluta
Buongiorno. dai fondatori, diventando nel corso degli anni un punto di riferimento artistico e culturale per il pubblico dell’intera Europa. Al Festival estivo, che rimane il cuore dell’istituzione, si sono aggiunte in tempi più recenti altre due importanti manifestazioni musicali, il Festival di Pasqua e il Festival am Piano, la più giovane, che si svolge ogni anno in autunno dal 1998. Il pianoforte al centro L’edizione di quest’anno si tiene dal 19 al 25 novembre e richiama importanti pianisti di fama internazionale. Nel capitolo “Leggende” potremmo inserire senz’altro Leon Fleisher e Alfred Brendel. Il primo, nato a San Francisco nel 1928, è l’ultimo anello di una catena formata da maestri e allievi che risale direttamente a Beethoven, tramite il grande pianista viennese Arthur Schnabel e prima di lui a Leschetizky e Czerny. Negli anni immediatamente successivi alla guerra, il giovane Fleisher sembrava pronto a diventare una delle stelle più luminose del firmamento concertistico, soprattutto nel repertorio classico del pianoforte, da Mozart a Brahms. Ma proprio nel momento in cui la sorte sembrava rivolgersi al giovane musicista con il suo volto più benigno, il destino decise invece di rimescolare tutte le carte: all’improvviso, Fleisher fu colpito da una rara malattia neurologica che mise fuori combattimento le ultime due dita della sua mano destra. In quelle
condizioni era impossibile continuare a suonare in pubblico e uno dei più grandi pianisti del secolo fu condannato a rimanere nell’ombra per oltre quarant’anni. La maggior parte delle persone probabilmente sarebbe caduta nella disperazione o si sarebbe rassegnata alla volontà di un destino avverso. Ma Fleisher non si diede per vinto e prese spunto dalla figura di un grande personaggio viennese vissuto tra le due guerre, Paul Wittgenstein, un affermato pianista che aveva perso il braccio destro durante il conflitto. La rinascita della “destra” Grazie alla forza di volontà e alle importanti relazioni con i maggiori musicisti dell’epoca, Paul Wittgenstein era riuscito a formare un piccolo repertorio di lavori pianistici per la sola mano sinistra scritti da autori di primo piano come Strauss, Prokof’ev, Britten. Ravel ha immortalato la mano sinistra di Wittgenstein nel suo primo “Concerto per pianoforte”, che pochi giorni dopo il recital di Fleisher verrà suonato al festival
Sogno avverato. dal raffinato pianista francese Jean-Yves Thibaudet con la Chamber Orchestra of Europe diretta da Bernard Haitink. Fleisher insomma ha ripreso e ampliato il repertorio di Wittgenstein, chiedendo a nuovi compositori di scrivere delle musiche per la sola mano sinistra. E tuttavia non ha mai perso la speranza di recuperare l’uso anche della mano
una pianta rara o di una combinazione di organismi inaspettata, con lo stesso amore e la passione degli esordi.
Un giovane Leon Fleisher (classe 1928) con George Szell (1897–1970), compositore e direttore d’orchestra di origini ungheresi. Immagine tratta da www.georgeszell.com (Archivio CBS Records)
destra, e all’inizio degli anni Duemila è riuscito a tornare padrone della tastiera, dopo aver tentato innumerevoli cure. A Lucerna questo leggendario e sfortunato musicista si esibisce in un concerto
Arrivederci. tenuto a metà con il “Quartetto Gringolts”, suonando da solo alcuni lavori per la mano sinistra, tra cui quell’enigmatico capolavoro rappresentato dalla Ciaccona per violino di Bach trascritta per la mano sinistra del pianoforte da Brahms. Paul Lewis e András Schiff L’altro grande vecchio del pianoforte è Alfred Brendel, che ha chiuso la sua carriera ufficiale un paio d’anni fa, ma ha intrapreso una feconda e fortunata second life come conferenziere, distillando i tesori di un patrimonio immenso di esperienza e di conoscenze musicali a un pubblico che pende letteralmente dalle sue labbra. Un pubblico che anela ad ascoltare ancora una volta dall’in-
superabile interprete degli autori della scuola di Vienna i numerosi esempi musicali al pianoforte disseminati nell’arco delle lezioni. La novità, in questo caso, consiste nel fatto che dopo la conferenza sulle ultime Sonate di Schubert, che già da sola varrebbe il prezzo del biglietto, il pianista inglese Paul Lewis – l’unico attualmente in grado di raccogliere il testimone lasciato da Brendel – esegue l’intero gruppo dei tre misteriosi e ineffabili capolavori finali dell’autore viennese. Nel capitolo “big” invece troviamo le sorelle Labèque e András Schiff. A loro infatti sono affidati i recital d’apertura e di chiusura, quasi a indicare i due volti del Festival. Katia e Marielle Labèque hanno un’anima mercuriale e da sempre fanno la spola (musicalmente parlando) tra le due coste dell’Atlantico, curiose di pescare cose nuove e sorprendenti nel repertorio degli autori americani, dalle malinconie dell’incompreso Gershwin ai falsi movimenti del minimalista Philip Glass, senza però dimenticare mai la radice primitiva del loro essere artiste, la musica di Maurice Ravel. Al contrario di loro, Schiff esplora il mondo delle Sonate di Beethoven con la pazienza e la competenza di un botanico, che torna per l’ennesima volta a setacciare palmo a palmo un sentiero di montagna alla ricerca di
Le nuove generazioni In una rassegna come questa non poteva mancare anche uno spazio dedicato alla nuova generazione. Sotto l’etichetta “Debut”, troviamo infatti dei recital da far tremare i polsi tenuti da tre artisti provenienti dall’est Europa. Danil Trifonov ha vinto l’anno scorso il più massacrante e feroce concorso internazionale, il Cajkovskij di Mosca, spesso teatro di crudeli guerre civili musicali tra contendenti del Conservatorio locale, tutti di eccezionale talento e allenati fino allo spasimo. Del resto, se nello stesso 2011 Trifonov ha sbaragliato i concorrenti anche al Rubinstein Competition di Tel Aviv, qualcosa vorrà dire. Un altro debutto eccellente è quello della pianista georgiana Nino Gvetadze, una bellezza caucasica che ama farsi fotografare distesa su una dormeuse vestita con un magnifico abito da sera degno di una dama dell’Ottocento. Il suo nume tutelare è Liszt, ma la giovane signora se la cava altrettanto bene sia con le sublimi rocce di Beethoven, sia con le profonde e misteriose acque di Debussy. Infine si cimenta con il pubblico di Lucerna un’altra pianista russa, Varvara, che ha pensato bene di eliminare dal suo biglietto da visita artistico l’impronunciabile cognome Nepomnyashchaya. Varvara si è segnalata vincendo nel 2012 il Concorso organizzato a Zurigo ogni tre anni in memoria di uno dei più colti e signorili interpreti del Novecento, Géza Anda, un artista lontano da ogni forma di volgarità e votato a un classicismo elegante, anche quando eseguiva magistralmente le pagine pianistiche più aspre e selvagge del suo conterraneo Béla Bartók.
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Arti
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» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Flavia Leuenberger
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Paco Sanchez
Vitae
ta un’esperienza molto interessante. Entravo in galleria regolarmente ed era un po’ come un ritorno alla mia realtà in Asturias, fatta di buchi, di scavi e di gallerie. Nel 2006 ho deciso di acquistare un’edicola, un mondo, magari un po’ enfatizzato, ma nel quale vivo quotidianamente situazioni piacevoli. È un punto di riferimento e ci sono gli habitués. Per esempio, c’è il professore e poeta molto conosciuto che viene quasi tutti i giorni e ha sempre una storia da raccontare. Spesso intorno si crea un gruppetto di gente e lui ha sempre qualcosa da dire. Oppure il cliente che ti racconta che già Dalla Spagna della dittatura al tranquillo da piccolo veniva lì a prenTicino. Una carriera nel pronto interven- dere le caramelle, il giornale to, poi un incidente gli impone un cam- o altro. Insomma, c’è ancora una memoria, un odore. Una biamento stimolandolo ad avviare un’at- volta ho subito un furto e tività imprenditoriale non è molto bello, ti lascia il segno, al di là della perdita Ho fatto l’apprendistato di economica, in quel caso tante sigarette e lattoniere in una carrozzeria l’incasso. Di recente ho dovuto traslocare e di Giubiasco ma non ho mai lasciare quell’edicola così radicata e storica esercitato, perché la ditta è per il territorio; dal punto di vista affettivo mi fallita! (ride, ndr.). Ero più inteè spiaciuto moltissimo. Esiste da almeno sesressato al settore sanitario, sant’anni, ma soffrivamo il freddo, il caldo, volevo fare l’infermiere e in il vento e la pioggia, coi giornali messi fuori. attesa di cominciare la scuola, Un disastro! Oggi continuo a fare questo ho iniziato nel 1979 come mestiere, anche se è un po’ un periodo in cui soccorritore alla Croce Versi spende meno, i prezzi aumentano, la gente de di Bellinzona. Ho vissuto lavora poco. In tanti vengono a chiedermi se situazioni drammatiche. Ai ho un posto di lavoro da offrire! tempi era diverso, per elaboOltre al lavoro che mi diverte tanto, mi rare quanto vivevamo non diletto con la videocamera, realizzando corc’erano i debriefing, ma dovetometraggi, videoclip, filmando concerti, ecc. vamo contare soprattutto sulHo imparato a usare questo fantastico mezzo le nostre forze e sull’aiuto tra espressivo grazie al video club bellinzonese, colleghi. Per fortuna riuscivo che ringrazio. Cosa penso di Bellinzona? a rimuovere tutto, “mettevo Che cambierà, anche se ci vorrà un po’ di da parte”, diciamo, ma alla tempo. Anni fa era diversa. Ho vissuto la lunga non ce l’ho più fatta. mia adolescenza in Piazza Indipendenza Un incidente capitato a mio con gli amici di Ravecchia. Finito di lavorare figlio è stata la goccia che ha alle sei e mezza, cenavo e dalle sette passafatto traboccare il vaso. Finché vamo la serata parlando e cantando. Era la i pazienti sono persone che piazza, insomma! Anche il carnevale ormai non conosci, riesci a manteè diventata una cosa enorme e mi riesce più nere una certa distanza, ma in difficile divertirmi. Dovrebbero abolirlo per quel caso è stata davvero “una cinque anni e ricominciare adagio adagio, botta”. Il dolore era troppo facendo soltanto capo ai bar della città. Se forte. Nonostante amassi il ci fosse un po’ più di contatto con la gente mio lavoro ho mollato e sono sarebbe tutto più bello. Tuttavia mi sento passato al settore formativo, ottimista. Ci pensavo l’altro giorno: per me nel cantiere dell’Alptransit a tutto è un ciclo e sicuramente qualcosa di più Faido e a Bodio, dove gestivo vivo tornerà ancora. Bisogna avere pazienza l’infermeria e la formazione e darsi da fare, ma sono convinto che le cose sanitaria del personale. È stamiglioreranno. Non può che essere così!
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Q
uando sono giunto in Svizzera, a Bellinzona, erano i tempi di Schwarzenbach (l’autore dell’iniziativa anti-stranieri, ndr.), di cui si parlava tanto. Era il giorno del mio compleanno, avevo tredici anni e mi chiamavano “Paquito”. Sono arrivato da Moreda, un paesino spagnolo in Asturias, una zona mineraria nota per il carbone. Ai tempi era molto popolata, c’era molto mercato, poi è diminuito tantissimo, anche se si estrae ancora. È infatti iniziata una crisi, a causa del minor costo del carbone estratto in Asia. Col passare degli anni i minatori sono stati mandati in pensione anticipata, ma di recente hanno fatto una marcia di protesta fino a Madrid, perché lo stato non intendeva rispettare gli accordi presi. Mio padre era qui già da un anno, per tastare il terreno, avendo un contratto di lavoro come panettiere. Poi l’ha seguito mia madre e Juan, mio fratello. Ho frequentato le scuole maggiori e all’inizio c’era il problema dell’italiano: è stata dura! Con l’iniziativa Schwarzenbach non ho avuto grossi problemi, stavo bene, a parte qualche battutina. Un esempio? Una volta un mio coetaneo mi ha dato del “franchista”. Ovviamente non sapeva cosa significasse, ma io l’avevo vissuta la dittatura e so cosa vuol dire. Oppure a scuola, qui in Ticino, ero rimasto colpito dalle lezioni di ginnastica, mentre in Spagna bisognava mettersi in rango e stare sull’attenti! Non sapevamo che in altri paesi potesse essere diverso, ma da noi, a quei tempi, era normale, perché la dittatura “occupava” tutto ed è durata quarant’anni! Quando i miei alloggiavano vicino allo stand di tiro di Bellinzona, mio fratello mi ha raccontato che una domenica s’era preso quasi un accidente a causa degli spari! Da noi, invece, la polizia, la Guardia Civil, pattugliava la strada col fucile mitragliatore a tracolla.
San Bernardino
r-esistenza
di Daniele Fontana; fotografie di Peter Keller
In cima al passo diversi laghetti, alcune torbe e la roccia levigata testimoniano ancora oggi la presenza di ghiacciai durante l’ultima era glaciale in apertura due immagini del nucleo storico del villaggio di San Bernardino
I. Lassù sulla cima, attaccato al cielo quasi fosse un addobbo luminoso del Natale che presto verrà. Un tenue arancione reso vivido dall’azzurro slavato che come una carta regalo gli hanno messo attorno. È l’ultimo ammicco di questo giorno che se ne va. Sotto, l’ombra della sera ha già avvolto le case e ora sta prendendo alla gola le erte montagne, disinteressate a questa per loro annoiata processione di notti e di giorni. Indifferenti, guardano all’infinito. Sanno che ci saranno ancora quando là in basso ogni cosa si sarà spenta, ogni voce sopìta. Solo dell’erosione del vento e delle acque a loro importa, quel
piccolo e fastidioso affaccendarsi degli elementi, perenne come il loro destino. Non sanno dell’ostinato abbarbicarsi alla vita di quelle case, chiuse a pugno. Di quelle vite che in esse palpitano, di quei fuochi tenuti vivi come testimonianza prima ancora che per calore. Di donne e di uomini innestati in una terra che a sua volta è dentro di loro. Di una cultura, di una lingua che sono minoranza in un infinito gioco di scatole cinesi minoritarie. Non sarà certo la notte a far tremare i loro cuori, ma l’alba, quella sì, ridarà loro forza. E vigore. E la certezza di una speranza.
I classici “ometti” in pietra lasciati da chi transita sul Passo (foto grandi) Dopo la costruzione della galleria stradale, il Passo del San Bernardino ha perso il suo ruolo di passaggio tra Ticino e Grigioni. Solo i turisti lo percorrono ancora regolarmente (foto piccola)
(...)
II. Terra dura, terra gelida, rude. Terra d’occaso precoce. Ma anche di gioie, di colori, di pace e di luce senza pari. Terra di Giacometti, Segantini e Varlin. Sempre è sui tagli delle lame e negli angoli degli spigoli che la vita dà il meglio di sé, in quell’eterna seppur alla fine soccombente contrapposizione con la morte. Anche ora, che quell’unicorno luminescente sembra sfidare il mondo di ombre che lo assedia, spingendosi verso l’evanescenza celeste. Chi è più vero: il dolore o la gioia? La speranza o il quotidiano? Vivere non è già resistere? E resistere non è già abbastanza? Tira un vento basso tra quelle case. Si intrufola nelle vie strette, strozzate per non disperdere calore. Parla di monti, di valli aspre, di gente romita. Che ha cercato di preservare la propria identità sin oltre i limiti della saldatura con la chiusura. Ma fuori c’erano figli che lasciavano le valli in cerca di futuro e orde di foresti che sciamavano attratti dall’esotica bellezza delle montagne e dallo sfolgorio dell’esibita ricchezza. Aprirsi troppo avrebbe significato sgretolarsi. Come l’intonaco di quelle case, mangiato dal vento, dalla pioggia e dal sole. La sera si fa più fonda. L’aria più fredda e tesa. Le parole più cupe. Ci saranno orecchie ad ascoltarle? Dove? Un uscio è semiaperto. Alla corrente che irrompe la fiamma vacilla. Implodendo pare soffocare per il troppo ossigeno. La luce si piega, allineandosi all’ombra. Che ora sembra vincere ogni cosa.
Peter Keller Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell'ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. Ha collaborato con i fotografi Adriano Heitmann e Reza Khatir. Nel 2010 è stato pubblicato il volume fotografico Barocco (Edizioni Casagrande) e alcuni suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca).
Monza. La Cappella Espiatoria di Laura Di Corcia; fotografie di Flavia Leuenberger
Luoghi
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Ventinove luglio 1900. Monza. Il caldo era insostenibile. Fu questo a spingere Re Umberto I a recarsi alla cerimonia di chiusura della società sportiva Forti e Liberi senza la dovuta protezione. E senza scorta, per giunta. Non si sa quale dei tre colpi sparati da Gaetano Bresci gli fu fatale, lasciandolo esangue tra la folla. È un salto nel passato quello che offre la visita alla splendida Cappella Espiatoria, un vero gioiello a pochi passi da Villa Reale aperta al pubblico in occasione della manifestazione “Ville aperte in Brianza” che si è svolta quest’anno dal 21 al 30 settembre scorso (www.villeaperte.info). Questo particolare edificio non ha una funzione funeraria, come si potrebbe inizialmente pensare, giacchè il corpo del re giace al Pantheon di Roma; ma, in linea con la mentalità dell’epoca, vuole ricordare ai monzesi la loro “colpa”, perché furono proprio loro a ospitare il regicida. Ombre storiche La vicenda è ancora avvolta nel mistero. Non si sa bene chi informò Gaetano Bresci della presenza di re Umberto a quell’evento. Fu il sindaco? Ovviamente l’assassino agì su mandato di qualcuno, un gruppo di famiglie anarchiche, o forse ambienti legati al papato, che aveva avuto dei dissapori con la casata dei Savoia. Cosa ci faceva re Umberto a Monza? Per il matrimonio con Margherita, suo padre, Vittorio Emanuele, gli aveva donato la splendida Villa Reale, che Umberto usava come residenza estiva. Al re piaceva trascorrere il proprio tempo libero nel monzese, per diversi motivi, fra cui la vicinanza a Milano, l’immenso parco dove poteva praticare la caccia, una delle sue attività preferite, ma soprattutto per la sua amante, Eugenia Attendolo Bolognini, donna piacente, nota per gli ammalianti occhi blu. Con lei aveva trascorso le ultime ore prima di recarsi alla cerimonia di chiusura dei giochi ginnici. Stili e simboli a confronto La cappella è un monolite con un potente slancio verticale, che lo rende particolarmente visibile, anche da lontano. Progettato dall’architetto Giuseppe Sacconi, autore anche del Vittoriano a Roma, il monumento è il risultato di una commistione di stili, quello classico e quello paleocristiano. Quel che si nota da fuori, e che ha un notevole impatto sul visitatore, è la scultura
di Lodovico Pogliaghi, una pietà molto bella posta sopra la porta d’accesso. All’interno ci si trova in un’ambientazione sontuosa e fiabesca. I blu e gli ori sono miscelati con un gusto che anela al prezioso (un gusto certo lontano dal nostro), e l’accostamento del Liberty e del Decò al Paleocristiano sostanzialmente è ben riuscito. Lo scopo era infatti questo: creare un parallelismo, certamente azzardato (ma tutti conosciamo le insidie e le iperboli della propaganda) tra la passione di Gesù Cristo e la morte violenta del re. Dicevamo il Liberty: questo nuovo stilema, adottato in tutta Europa, presso i Savoia viene piegato al culto della casata, e quindi via libera alla margherita, per celebrare la regina, grande cultrice delle lettere e della filosofia e animatrice, anche in Villa Reale, di salottini colti. Margherita, sia detto tra parentesi, era apprezzata da fior fior di intellettuali, come Carducci e D’Annunzio, ed era stata assurta a simbolo della rinascita culturale del paese. La passione per la caccia Di tutt’altra pasta Re Umberto: completamente a digiuno di cultura, amava soprattutto la caccia, l’esercito e le belle donne. Tradì la regina ripetutamente, con numerose amanti, spesso ospitate nei suoi appartamenti a Villa Reale. Una volta la regina lo colse in flagrante, ma, dopo la sfuriata iniziale, decise di rimanergli accanto, più che altro per assolvere ai propri doveri. Pare che anche lei, però, si sia concessa qualche scappatella, e una di queste proprio con il poeta Carducci. Sul retro, attraverso una massiccia porta, si accede alla bellissima cripta, che non ha molto da invidiare alla cappella vera e propria: l’ambientazione paleocristiana e i mosaici sono bellissimi. I pavimenti sono di gusto romano e ben accompagnano il resto. Il cielo stellato rende questo ambiente magico, sospeso in un’atmosfera sacra. Sui muri, attaccate, sorprendono il visitatore le ghirlande in bronzo, provenienti da tutta Italia. Sono numerose, e furono inviate al re da tutte le classi sociali: le donne venziane, i tabaccai, gli studenti. La fine del “re buono” L’intero paese rimase traumatizzato dalla notizia del regicidio. Ma anche diviso: per molti Umberto era il “re buono”, benvoluto e apprezzato; per altri, un conservatore corrotto e senza scrupoli e il coresponsabile della strage attuata a Milano dal generale Bava Beccaris. In realtà, spese molte energie per riformare l’esercito ma si disinteressò della politica interna. Anche di questo pezzo di storia è testimone la Cappella Espiatoria. Per esempio, l’imponente cancellata d’ingresso, di gusto medievaleggiante è addobbata con spade e altri soggetti bellici; oppure la statua situata in mezzo al giardino. Inizialmente la Cappella non era recintata: il monumento è stato chiuso in un secondo momento, per evitare che sulla parte posteriore, dove vi è l’accesso alla cripta, incidesse troppo il non proprio idilliaco panorama urbano (che invece nella parte anteriore è superbo). Di questi muri si occupò Cirilli, allievo di Sacconi, come pure di terminare i lavori dell’edificio.
Fascinosa mantella Cappa, domino, mantella, pellegrina, postiglione, tabarro... ma quanti nomi ha quel protettivo, avvolgente e misterioso capo a ruota? Romantico, eroico, di indubbio allure, ha anche un’anima picaresca e birbona Tendenze p. 48 | di Marisa Gorza
Scaldare l’inverno Il duo Dolce&Gabbana aggiorna la mantella campagnola che, nel Regno delle Due Sicilie, veniva chiamata “Tistiera” (nella foto). In un caldo panno cardato, ha quell’aria disinvolta e vissuta che rincuora. Di sicuro è più per una nobildonna che per una bella popolana la versione femminile proposta dall’inconfondibile duo. Di un profondo nero, spesso affastellata di ricami barocchi e particolari ricercati. Tuttavia, grazie alla gioiosa ironia, non indulge sulle nostalgie e troppi indizi di costume. Di fatto la cappa risulta disinvolta e pratica da far girare sulle tenute da giorno come sulle scintillanti toilette dell’oltre mezzanotte. Colore energetico Cappa come colore energetico o come sagoma fluttuante, uno dei must della stagione. Silhouette morbida, ma decisa, per il modello in lana pregiata suggerito da 22Maggio by Maria Grazia Severi, acceso da tinte fluo come il China blue, il fucsia e il rosso fiamma. Larghe fenditure per il movimento delle braccia, grandi tasche, originale abbottonatura doppiopetto, più preziosi dettagli in velluto e pelliccia la rendono perfetta per una donna dinamica che si muove con disinvoltura e glamour nella giungla cittadina.
L’immaginario vaga da un Casanova che sparisce nottetempo nelle calli veneziane al poeta che dialoga con la luna, fino al Passatore, il brigante “cortese” descritto dal Pascoli. Forse proprio perché, come gli altri evocati, della venusta mantella aveva fatto la sua divisa. Tra gli elogi alla gran ruota in panno a caduta libera, c’è quello di Giorgio Torelli che ne riassume lo spirito popolare: ”..lo scaltro pollaiolo bussava all’uscio posteriore di casa nostra per recapitare le uova fresche. E intanto tentava di tirar dentro il tabarro la procace servente”. Usata soprattutto in inverno, per ripararsi dal vento e dal gelo, necessità primaria nei tempi rudi e freddi del Medioevo, la mantella era un capo semplice, privo di dettagli raffinati. Bisognerà attendere il Rinascimento e i secoli successivi per vederlo assurgere a capo “nobile”, indossato da patrizi e ricchi mercanti, specialmente nel sofisticato Settecento. È in questo periodo che l’indumento, prettamente maschile, conquista anche le dame, grazie ai morbidi panneggi che aggiungevano armonia alla figura. E poi via con il Romanticismo, quando nella storia come nella narrativa, i personaggi intabarrati sono spesso i protagonisti delle vicende. Nel Novecento la mantella viene rapidamente soppiantata dal cappotto. Rimane però diffusa nelle campagne e nei piccoli centri sulle spalle di tutti, notabili e contadini, fino almeno agli anni Cinquanta. Ora ci pensa la moda, specchio dei tempi, a riflettere il desiderio di rassicuranti e confortevoli tradizioni, tant’è che la mantella riappare, pronta a regalare un caldo, intrigante inverno. A chi? A sognatori, nostalgici, trasgressivi, conservatori e anticonformisti...
Blues dandy rocker Decisamente dandy, l’uomo che veste Roberto Cavalli, è piuttosto eccentrico tanto da sfoggiare un ampio tabarro affastellato dall’inconfutabile macula tigrata della maison. Trasformata però nel texture del cashmere nero e blu copiativo. Rovesciando le consuetudini sartoriali europee, l’ispirazione potrebbe arrivare pure dal burnus dei Tuareg con il quale i misteriosi Uomini Blu si riparano dal vento del deserto. Evoluto poi dalla palette, composta da toni e note della... musica blues, in un opulento mantello da divo del rock. Rigore romantico C’è qualcosa di mitteleuropeo nelle proposte della stagione del freddo di Emporio Armani, cioè un certo rigore pur stemperato nell’attitudine romantica. Insieme a tanta voglia di recuperare i capi corposi e rassicuranti della tradizione, comprese le caban in triplo panno e la mantellina in flanella antracite, con tanto di cappuccio, che sovrasta ogni tipo di giacca e overcoat. Uno stile emozionante e genuino che richiama alla memoria le tenute di certi eroi dei romanzi, come L’amante di Lady Chatterley, sì proprio Mellors, l’appassionato guardiacaccia, maschio e forte quanto basta per divenire un’icona di riferimento anche per i giovani d’oggi.
JOGGING
di Elio Ferrario
IL DIVULGATORE FU UN TALE JIMMY FIXX: CONVINSE MILIONI DI AMERICANI A CORRERE PER VIVERE A LUNGO. IL JOGGING È SFUGGIRE CONTINUAMENTE ALLA FORZA DI GRAVITÀ. IO PREFERISCO SFUGGIRE AL JOGGING... A MENO CHE NON SIA L’ELEONORA A CHIEDERMELO. Elio, verresti a correre con me?!
MORÌ D’INFARTO MENTRE PRATICAVA LA SUA CORSA QUOTIDIANA.
MA NON SUCCEDE MAI. NELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA, FU IMPORTATO IN EUROPA DAI SOLDATI AMERICANI CHE CORREVANO PER ALLENARSI. Chissà chi li insegue?...
SEMBRA CHE FARE JOGGING MIGLIORI ANCHE LE FUNZIONI SESSUALI.
Eleonora, allora usciamo insieme?
Forse corri un po’ troppo...
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Astri toro
gemelli
cancro
Fino al 21 novembre Venere in opposizione. Finché durerà il transito dovrete fare i conti con una certa mancanza di autodisciplina e una scarsa voglia di lavorare. Cambiamenti improvvisi provocati da Urano.
A partire dal 23 novembre Venere entra nel segno dello Scorpione congiungendosi con Saturno. La vita sentimentale sta per essere sottoposta a un severo setaccio. Attenti a non esser troppo duri con il partner.
Dal 18 novembre siete liberi da Marte. Rapido recupero dell’energie fisiche. L’amore va alla grande grazie a Venere. Divertimenti e allegria fino al 23 novembre. Incontri con persone originali tra il 19 e il 20.
A partire dal 23, Venere e Saturno in trigono. Questo è un ottimo transito per raggiungere maggior stabilità nei rapporti. Potrebbe essere l’inizio di un grande amore. Favorito l’incontro con le persone più grandi.
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Grazie a Venere nella vostra terza casa solare avrete la possibilità di vedere con occhi nuovi la realtà che vi circonda e così le vostre attività quotidiane. Amore per le cose semplici. Fortuna nella vita sociale.
Tra il 21 e il 23 novembre Luna di transito. Evitate che malumori, o una parola di troppo, possano turbare la vita di coppia. Fase comunque positiva, per i nati nella prima decade. Avanzamenti professionali.
Dal 18 novembre Marte entra in posizione angolare. Scatti d’ira provocati dalla contestuale opposizione con Urano. Siate prudenti. Sfruttate di più la vostra creatività. Fortunati i nati nella seconda decade.
Amore alla grande a partire dal 23 novembre. Venere fa il suo ingresso nel vostro segno. È arrivato il momento di aprirvi alle vie dell’amore. Saturno spinge verso situazioni del tipo: “o tutto, o niente”.
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Novità e rapporti originali tra il 19 e il 20 novembre. La retrogradazione ha spinto Mercurio a tornare nella vostra dodicesima casa. Le relazioni si fanno misteriose. Rinnovato interesse verso l’esoterismo.
A partire dal 23, Venere in posizione fortunata. Ritorni di fiamma favoriti dalla buona congiuntura globale. Conclusione di un vecchio progetto. Intuitive le giornate comprese tra il 21 e il 23 novembre.
Attenti a non essere aggressivi e a ignorare le ragioni dei vostri interlocutori. Stanchezza tra il 18 e il 19. La retrogradazione di Mercurio spinge a trovare una soluzione a vecchi problemi. Fortuna sentimentale.
Nuova energia a partire dal 18 novembre con l’arrivo di Marte in posizione favorevole. Acquisto di mobilia proveniente da un paese estero. Bene dal 23 novembre in poi. Conclusione di un vecchio affare.
» a cura di Elisabetta
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Verticali 1. Noto film di Dario Argento • 2. Bel fiore a stella • 3. Ideate, realizzate • 4. Leva centrale • 5. Ricordo • 6. Ripidi • 7. Il monogramma di Zorro • 8. Le sorelle dei genitori • 13. È bella ma stupida • 15. Il dio egizio del sole • 18. Lo sono spesso i corsi serali • 19. Le pedane delle indossatrici • 22. Turchia • 23. Re francese • 25. La dea greca dell’aurora • 26. Dittongo in beone • 30. Associarsi • 33. Pena nel cuore • 36. Scalda il collo • 38. Si dice porgendo • 39. Assicurazione Invalidità • 43. Il più lungo fiume francese • 45. Vasto continente • 48. Nominativo in breve • 49. Fra due fattori • 52. Preposizione semplice.
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Orizzontali 1. Titubanza • 9. Crisalidi • 10. Pagano il fio • 11. Mezza Grecia • 12. Il simpatico Pelli della RSI • 14. Provocano allergie • 16. Dittongo in giada • 17. Giganti mitologici • 19. I confini di Porza • 20. Tra Mao e Tung • 21. È vicino a Pallanza • 24. Due nullità • 25. Originali, fantasiose • 27. Sta nel gheriglio • 28. Pari in giusto • 29. Il Sodio del chimico • 31. Funzioni trigonometriche • 32. Carme lirico • 34. Nostro in breve • 35. Arte latina • 37. La città con le gondole • 40. Spagna e Cuba • 41. Articolo romanesco • 42. Postille legali • 44. Precede “si gira” • 46. L’onda nello stadio • 47. Il nome di Welles • 49. Un nome di Pasolini • 50. Divinità olimpiche • 51. Oppure a Zurigo • 53. Contemplata.
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La soluzione del Concorso apparso il 2 novembre è: PILASTRO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Dante Pedroncelli 6838 Muggio
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Al vincitore facciamo i nostri complimenti!
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