Ticino7

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№ 48

del 30 novembre 2012

con Teleradio 2 – 8 dicembre

L CI A E P S

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Ticinosette n° 48 del 30 novembre 2012

Agorà Alimentazione. Sulle strade del bio Letture Il calcio come metafora Lessico Felicità

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Stefano Guerra . . . . . .

roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

franceSca riGotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Visioni Autodeterminazione

di

Keri Gonzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Stili di vita. Abitare e coabitare

di

Keri Gonzato . . . . . . . . .

Mundus Auto. Giochi per adulti

di

Giancarlo fornaSier . . . . . . . . . .

Graphic Novel Affinità elettive

di

cordeliuS & Machado . . . . . . . .

Vitae Zoltan Ragasits

di

deMiS Quadri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Una storia di moda Fiabe La promessa di Ares

di

teSto e foto di

Peter Keller

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Giulio carretti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze La Leica M (parte seconda)

di

luca Martini . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Stili: scegliere di essere Qualcuno odierà il termine inglese lifestyle: perché vuol dire tutto e comprende qualsiasi cosa, e allo stesso tempo non circoscrive nulla di preciso . E soprattutto perché non è un sostantivo della lingua italiana . In effetti, una sua definizione chiarificatoria – e che accontenta anche chi odia le parole straniere – ce l’avrebbe: è “il modo in cui una persona vive”, cioè che cosa fa ora nella vita, le scelte che ha compiuto e quella che vorrà intraprendere in futuro . Tutti dunque abbiamo un nostro “stile di vita”, il problema è ora provare a raccogliere le nostre scelte e comprendere se le abbiamo definite noi o se ciò che siamo diventati è il frutto delle leggi delle mode e del mercato . In pochi vorrebbero essere inclusi in questa seconda categoria, ma è certamente la più popolata . Lo “stile di vita” è la valigia delle nostra esistenza e dentro vi mettiamo un po’ quello che vogliamo (o vogliono?): scelte alimentari e prodotti biologici, condivisione degli spazi abitativi, automobili e strumenti di autoaffermazione, affettività e ricerca dell’anima gemella, apparecchi tecnologici, abbigliamento e proposte stilistiche . Più o meno è questo il contenuto della sesta e ultima uscita speciale di Ticinosette per il 2012: temi diversi per raccontare quello che siamo diventati e che diventeremo . Nella speranza di essere in futuro anche un po’ “più felici”, come ci spiega Francesca Rigotti a pagina 8: un sogno al quale molti credono sia opportuno aspirare, dimenticando che è altrettanto importante essere fortunati.

Impressum Chiusura redazionale Venerdì 23 novembre Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Tiratura controllata 70’634 copie

Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso Pubblicità Direzione, Publicitas Publimag AG tel. 091 695 11 00 redazione, fax 091 695 11 04 Mürtschenstrasse 39 composizione chiasso@publicitas.ch Postfach e stampa Publicitas Locarno 8010 Zürich Centro Stampa Ticino SA tel. +41 44 250 31 31 tel. 091 759 67 00 via Industria fax +41 44 250 31 32 fax 091 759 67 06 6933 Muzzano service.zh@publimag.ch locarno@publicitas.ch tel. 091 960 33 83 www.publimag.ch fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch Annunci locali www.ticino7.ch In copertina Publicitas Lugano issuu.com/infocdt/docs tel. 091 910 35 65 Atelier PortenierRoth, Thun Fotografia di fax 091 910 35 49 Stampa Peter Keller (carta patinata) lugano@publicitas.ch Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

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Sulle strade del bio

Il settore dell’alimentazione biologica in Svizzera e nei paesi ricchi vive una fase di notevole espansione. Una situazione che innesca una serie di contraddizioni fra le esigenze del mercato globale e il significato reale del “produrre bio” di Stefano Guerra

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ellinzona, sabato 3 novembre 2012: curva sul manubrio della bicicletta, il busto ciondolante per darsi lo slancio, Milada Quarella-Forni arranca sulla salita che da Piazza Indipendenza porta a Ravecchia. Davanti a casa, smonta dalla bici. “Ho fatto un salto al mercato a comprare il formentino, poi mi sono lasciata tentare dal pollo... che non è bio”, dice col fiato corto afferrando la borsa che ha nel cestello. In zona, per molti i polli sono “i polli dal Guèra”: Claudio Guerra1 li alleva a Cadenazzo, sul Piano di Magadino. Che non abbiano la Gemma (il marchio di Bio Suisse), non sembra contare granché. I clienti ogni sabato mattina fanno la fila davanti al suo furgone in piazza Nosetto. La presidente di Bio Ticino non fa del “nostrano” una religione (“spesso si pensa che sia praticamente biologico, purtroppo non è più così”), ma ogni tanto quei polli se li concede. Perché “sono buoni e non vengono dalla Cina”, dice Milada Quarella-Forni. Il bio di vicinanza... Il mercato locale resta una zona franca in un’epoca nella quale, ci vien detto, anche l’agricoltura si è “globalizzata”. I produttori – poco importa se “bioagricoltori”, operanti in regime di produzione integrata, oppure “convenzionali” – stanno lì, dietro la bancarella con i loro prodotti in bella mostra, e si può chieder loro quel che si vuole. Il bisogno di (ri)stabilire un contatto tra chi produce e chi consuma non fa distinzioni: è avvertito anche – e forse addirittura con maggior urgenza – nel mondo del “bio”. Perché il biologico, spesso a dispetto degli ideali professati, oggi fa tendenza: è ormai diventato “una fiorente industria”,2 oltre che un cavallo di battaglia della grande distribuzione, e noi siamo bombardati da marchi e slogan (la Gemma di Bio Suisse, Demeter, linea


“Naturaplan” di Coop, “Generazione M” di Migros, Ip-Suisse/ Terrasuisse, “Natur aktiv” di Aldi, “Biotrend” di Lidl, ecc.).3 Alla ConProBio questa deriva è guardata con preoccupazione. Lo scorso marzo, all’ultima assemblea della cooperativa che dal 1992, attraverso 180 gruppi d’acquisto, distribuisce prodotti bio a circa 1500 famiglie di Ticino e Moesano, la presidente Angela Tognetti ha affermato che esiste “la consapevolezza che il bio si sta separando in due tronconi ben distinti: il bio di vicinanza e il bio che viene da lontano”. Meglio perciò offrire sempre più prodotti a “chilometro zero” (regionali) oppure della “filiera corta” (acquistati direttamente dal produttore, anche all’estero, comunque senza intermediari), piuttosto che alimenti importati, magari con la Gemma, ma dei quali si ignorano le condizioni di produzione. Va in questa direzione il lavoro di verifica avviato quest’anno dalla ConProBio sulla lista (aggiornata settimanalmente) dei prodotti che distribuisce. “Ci troviamo fra i produttori, che in Svizzera e tantomeno in Ticino non possono offrire di tutto, e i consumatori, che invece vorrebbero avere una scelta di prodotti sempre più ampia”, spiega Angela Tognetti a Ticinosette. “Con il bio che viene da lontano, importato per lo più attraverso «piattaforme» commerciali, si è perso il controllo diretto sul prodotto. Perciò bisogna essere più vigili. Venti, trent’anni fa c’era maggior leggerezza. Si trattava di far conoscere il prodotto biologico alla società. Oggi che il messaggio è passato, possiamo permetterci di essere più selettivi”.

biscotti: sono prodotti in Ecuador nell’ambito della conversione alla produzione biologica, gli ingredienti provengono da mezzo mondo: Australia, Argentina, Scandinavia, Stati Uniti, Turchia, Bulgaria, Madagascar, America del Sud, Cina... “Biooffensiva” I prodotti biologici hanno il vento in poppa in Svizzera, seconda solo alla Danimarca in Europa per consumo pro-capite. Il giro d’affari complessivo del mercato bio cresce di anno in anno (1738 miliardi di franchi nel 2011, il 4,2% in più rispetto al 2010). I grandi distributori “storici” (in principio Coop, poi sempre più anche Migros) continuano a svolgere un ruolo trainante. L’agricoltura elvetica però non è in grado di coprire il crescente fabbisogno. Tanto più che, dopo il picco registrato tra il 2005 e il 2006, fino al 2010 sono diminuiti sia il numero di aziende bio, sia la superficie coltivata secondo le direttive della Gemma. Una tendenza al ribasso che i grandi distributori compensano ricorrendo a maggiori importazioni.4 È per fermare quest’emorragia, e arginare al contempo la crescita delle importazioni (soprattutto di cereali panificabili e da foraggio), che Bio Suisse due anni fa ha lanciato la cosiddetta “biooffensiva”. L’idea era di fornire “nuovi stimoli affinché un maggior numero di produttori intraprendesse il passo della conversione”.5 In particolare, questa “ricerca offensiva di bioagricoltori” aveva come scopo quello di “convincere ogni anno 200 aziende, aventi come orientamento principale la campicoltura, alla conversione al biologico”.6 La campagna ha sollevato scetticismo e critiche anche all’interno della stessa associazione proprietaria del marchio Gemma7. Tuttavia, sembrerebbe aver portato i suoi frutti, perlomeno a livello statistico. Nel 2011, 5760 aziende agricole (il 10% del totale) hanno applicato le norme dell’agricoltura biologica, un centinaio in più rispetto al 2010: si tratta del primo aumento registrato dopo il calo cominciato nel 20068. La quota di superficie agricola utile (SAU) destinata all’agricoltura biologica è aumentata a 116.200 ettari (l’11% della SAU totale). Siamo lontani dal record del 2005 (117.100 ettari e 6400 aziende bio), ma per la prima volta dal 2004 il numero di adesioni a Bio Suisse (173) è stato superiore agli abbandoni (un centinaio). Quest’anno, inoltre, 220 aziende agricole si stanno riconvertendo al biologico, il 21% in più rispetto al 2011. Bio Suisse non esita a parlare di “una nuova inversione di tendenza”.9

“I prodotti biologici hanno il vento in poppa in Svizzera, seconda solo alla Danimarca in Europa per consumo pro-capite. Il giro d’affari complessivo del mercato bio cresce di anno in anno (1738 miliardi di franchi nel 2011, il 4,2% in più rispetto al 2010). I grandi distributori «storici» (in principio Coop, poi sempre più anche Migros) continuano a svolgere un ruolo trainante”

...e il bio che viene da lontano Sant’Antonino, martedì 30 ottobre 2012: passeggiamo tra gli scaffali di un supermercato Coop (ma potrebbe trattarsi di qualsiasi altro grande distributore). C’è del bio con la Gemma pronto per il consumo (tramezzini in confezioni di plastica, vaschette di insalata con salsa francese, ecc.), surgelato (la mini-pizza margherita, bocconcini di pangasius dal Vietnam, ecc.), e poi i porcini secchi da “raccolta selvatica certificata” (Bosnia), i semi di girasole mondati (Cina), persino una bevanda energetica all’estratto di guarana, “da agricoltura biologica” (Brasile) ma “da consumare solo in quantità limitate a causa dell’elevato tenore di caffeina”… Il bio con la Gemma è anche “dal Ticino per il Ticino”. Sotto la scritta “Naturaplan. Per un bio senza compromessi”, una fotografia: c’è un orticoltore di Cadenazzo che tiene sotto braccio una cassetta di insalata, sullo sfondo le montagne del Piano di Magadino. Leggiamo: “Bontà nostrana”. Poco oltre, un grande cartellone: “Naturaplan. Per amore della natura”, fotografie che immortalano mucche al pascolo, uno chalet tipico, le dolci colline di un paesaggio rurale della Svizzera centrale. Sotto, scaffali con “biscotti assortiti” bio: contengono anche grasso di palma dalla Colombia e dal Madagascar, frumento da Stati Uniti, Canada, Argentina, ecc. Altri

Agorà

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Bioresistenze ticinesi In Ticino, la “biooffensiva” non ha in pratica avuto alcun effetto. Alla fine dello scorso anno, le aziende biologiche erano 114 (il 13,7% del totale), alle quali ne vanno sommate (...)


Agorà

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altre cinque o sei attualmente in conversione.10 La SAU coltivata secondo i sistemi di produzione bio era del 13% circa (1600 ettari), poco sopra la media nazionale ma lontano dal record dei Grigioni, dove biologiche sono oltre la metà delle aziende agricole e della SAU. Gaia Vergoni, consulente bio alla Sezione dell’agricoltura cantonale, spiega che “da anni non siamo più in una fase di forte crescita, c’è stato un rallentamento, ormai quasi una stagnazione”. “Ogni anno – aggiunge – tre o quattro aziende cominciano a produrre bio; una o due invece abbandonano, per raggiunti limiti d’età, perché l’azienda viene assorbita da un’altra o perché smettono di produrre secondo le direttive bio”. “La conversione del Demanio agricolo cantonale di Gudo (passato nel 2009 dalla produzione integrata Ip-Suisse alla Gemma, ndr.) ha fatto fare un salto di qualità per quel che riguarda i cereali, ma ci si è fermati lì”, osserva dal canto suo Milada Quarella-Forni. “Eppure esiste un buon potenziale per i cereali, soprattutto per la soia” aggiunge la presidente di Bio Ticino. “Abbiamo discusso con diversi agricoltori sul Piano di Magadino, ma il riscontro è stato abbastanza deludente. In Ticino si fa fatica, anche se va detto che convertire un’azienda campicola, oppure orticola, non è cosa che si possa fare dall’oggi al domani”. Diverso il discorso per le aziende di collina o di montagna, buona parte di quelle presenti in Ticino: “Quando ho convertito la mia azienda, non ho cambiato quasi niente. Già prima non usavo concimi chimici, pesticidi, ecc. Per chi acquista poco dall’esterno, com’è il caso di molte aziende di montagna, produrre bio sarebbe semplice: non c’è bisogno di fare granché, e non c’è nemmeno un gran lavoro a livello di burocrazia”, spiega Milada Quarella-Forni, titolare di un’azienda “itinerante” tra Villa Bedretto e Iragna con 32 bovini di razza “Dexter”. I problemi comunque non mancano. Un recente sondaggio realizzato da Bio Ticino ha rivelato che solamente sei bioagricoltori su dieci, a sud delle Alpi, riescono a vendere tutti i loro prodotti come bio. L’assenza di sbocchi commerciali riguarda in particolare agnelli e capretti, la maggior parte dei quali finisce nel canale convenzionale. Inoltre, diversi fattori (bassi volumi di produzione, trasformazione in proprio, difficoltà logistiche nella raccolta, ecc.) fanno sì che continuino a mancare i presupposti per lo sviluppo di un mercato regionale del latte biologico.

Con lei se ne va l’umidità. Nella cucina, di nuovo riscaldata dal sole, Markus guarda oltre l’ampia vetrata: “Nebbia, sole, pioggia: bio significa essere in armonia con tutto questo, con i ritmi della natura”. Qui i coniugi Lanfranchi da 17 anni hanno una fattoria “diversificata”. Spese ridotte all’osso, scarso uso di macchinari, comprano poco e producono “unicamente quanto la natura attorno permette”: una quarantina di pecore engadinesi, alcuni maiali lanuti, asini, api, anatre, decine di varietà antiche di mele e pere, due dozzine di varietà di uva americana, più i prodotti dell’orto. Basta per loro e i cinque figli. E ne avanza: riescono a vendere (direttamente, o tramite la ConProBio) formaggio, carne, salumi, verdura, frutta, succhi di frutta, miele, grappa e altro (i prodotti hanno il marchio Gemma). Sabine coordina nella Svizzera italiana le attività di ProSpecieRara, la fondazione “per la diversità socioculturale e genetica dei vegetali e degli animali”. Markus presiede Bioforum Schweiz, una sorta di “laboratorio di idee” sulla civiltà contadina. Inoltre, promuove un progetto per il recupero e la condivisione di conoscenze destinate a scomparire con la morte dei “vecchi” agricoltori11. “Il bio – osserva – ha un potenziale commerciale enorme, un sacco di soldi vengono spesi [anche dalla stessa Bio Suisse, ndr.] nel marketing. È ormai inserito nella logica competitiva che regge l’agricoltura «globalizzata». Oggi, per esempio, vengono importati sempre più prodotti certificati «bio», anche a costo di devastare le foreste dei paesi del Sud, soltanto per garantirsi quote di mercato e soddisfare le esigenze dei ricchi consumatori del Nord che pretendono prodotti biologici”. Gli chiediamo della “biooffensiva”, di questo inquietante accostamento tra vita (dal greco bíos) e violenza (dal latino offendere, composto di ob “contro” e fendere “urtare, colpire”): “Produrre di più, più velocemente, più bello, il tutto ecologicamente: come si fa? È una contraddizione”, dice.

“Un recente sondaggio realizzato da Bio Ticino ha rivelato che solamente sei bioagricoltori su dieci, a sud delle Alpi, riescono a vendere tutti i loro prodotti come bio. L’assenza di sbocchi commerciali riguarda in particolare agnelli e capretti, la maggior parte dei quali finisce nel canale convenzionale”

La biocontraddizione Verdabbio, venerdì 2 novembre 2012: il sole scalda ancora, accende un bosco dai colori sgargianti. Dal posteggio guardiamo giù, verso la distesa bianca che copre il fondovalle della Mesolcina. Poi la nebbia prende a salire, veloce. Quando arriviamo, la casa di Markus e Sabine Lanfranchi ne è avvolta. A un tratto, così com’era arrivata, la nebbia svanisce.

note 1 L’allevatore e l’autore non hanno legami di parentela. 2 “Florissante industrie de l’agriculture biologique”, Le Monde diplomatique, febbraio 2011. 3 “Nicht alle Biolabels sind top”, Beobachter, 25 ottobre 2010. 4 “La gemma cresce, gli agricoltori biologici fuggono”, Swissinfo, 3 aprile 2011. 5 bioattualità, no. 1, febbraio 2011 (“Speciale conversione”). 6 Bio Suisse, Rapporto annuale 2010, p. 6. 7 “Sì alla conversione, ma con giudizio”, bioattualità, no. 1, febbraio 2011, p. 14. 8 I dati sono tratti dal censimento delle aziende agricole 2011. Cfr. “1450 aziende agricole in meno”, comunicato stampa dell’Ufficio federale di statistica (Ufs), 6 agosto 2012. 9 “Bio Suisse: aziende in crescita”, Swissinfo, 3 aprile 2012 e Bio Suisse, Rapporto annuale 2011, p. 7. 10 Il dato comprende sia le aziende con la Gemma, sia quelle che producono secondo l’Ordinanza bio della Confederazione, meno esigente rispetto alle direttive di Bio Suisse. 11 Il blog è all’indirizzo www.bioforumschweiz.ch/phpBB3/viewtopic. php?f=3&t=13


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Il calcio come metafora

» di Roberto Roveda

Se si voleva capire la Jugoslavia, il modo più semplice per farlo nazione e descriverne la drammatica dissoluzione alla stregua di era assistere a una partita della sua nazionale di calcio. Solita- un tragico gioco. Un gioco con regole precise e a cui è difficile mente era un coacervo di grandi talenti, una ciurma di solisti sfuggire, anche se porta verso il baratro. del piede che però faticavano a dialogare tra A “giocare” e a farne le spese è un intero poloro. Così ai grandi appuntamenti la Jugoslavia polo e lo stesso Ahil che vive la sua infanzia e immancabilmente falliva. Sul più bello accagiovinezza tirando calci a un pallone, quasi indeva sempre qualcosa e, per fare un esempio, curante delle tensioni che in Jugoslavia iniziala mezzala croata dal tocco fatato sbagliava il no a crescere. Così a diciassette anni entra a far più semplice dei passaggi all’attaccante nativo parte della squadra nazionale del suo paese, nel della Serbia. E il patatrac era fatto. momento in cui questo si spacca dando avvio Insomma la Jugoslavia anche sul campo di a una guerra fratricida. Nella deflagrazione delfootball dava l’idea di un recipiente troppo la Jugoslavia Ahil vedrà la sua anima spezzata e stretto per contenere a lungo gli egoismi e gli perderà la bussola del proprio talento. Si ritroegocentrismi di tutti. E la metafora calcistica, verà da idolo del pallone a esule incompreso. del gioco di squadra per eccellenza, è un buon Capirà però che al “gioco del mondo”, che paradigma per comprendere questa ragione, è poi la vita, si può solo partecipare, non ci come dimostra nel suo ultimo romanzo Sergej si può sottrarre. Come nel calcio per vivere Roić (classe 1959), scrittore e giornalista – è bisogna inquadrare la palla, flettere la gamba tra l’altro un collaboratore del magazine del e dare un calcio in ogni occasione in cui sia Il gioco del mondo “CdT” eXtra – nato a Sebenico, in Dalmazia, possibile farlo. Provarci, insomma. Sapendo, di Sergej Roić ma svizzero dall’età di nove anni. come scrive Roić che “la prima regola del gioco Opera Nuova edizioni, 2012

Ne Il gioco del mondo, questo il titolo del libro, il football e la vicenda umana di Ahil Dujmović, detto Achille – giovane promessa del calcio jugoslavo alla fine degli anni Ottanta del Novecento – diventa, infatti, un modo per ripercorrere gli ultimi anni di esistenza di una

è che bisogna sempre guardare avanti, non è permesso voltarsi”. Bisogna insomma provare a evitare quello che purtroppo fecero gli jugoslavi un ventennio fa: si voltarono indietro e si scoprirono di nuovo serbi, montenegrini, croati, sloveni. E furono di nuovo nemici.

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Felicità È uno dei miti del nostro tempo. Viviamo in un’epoca ossessionata dalla ricerca della felicità, cui si dedicano convegni, seminari, dibattiti televisivi, articoli, siti e blog, persino festival. Chi ne trovasse la ricetta diventerebbe un eroe… di Francesca Rigotti illustrazione di Mimmo Mendicino

Noi siamo qui a proporre ricette o formule, bensì definizioni del concetto di felicità, cercando di individuare alcune trasformazioni dello stesso nel corso della storia del pensiero. Ci soffermeremo anche sulla domanda che dà il titolo a questo articolo e che si chiede se la felicità sia un diritto, come quelli alla vita e alla libertà, come recita la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America e come oggi molti di noi sembrano credere.

Lessico

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La felicità e il suo successo La felicità è uno stato d’animo. È una condizione di soddisfazione piena in cui l’animo è sereno, non turbato da dolori e preoccupazioni, e capace di godere di tale stato. La felicità è un concetto valutativo per eccellenza, un po’ come la libertà, per il quale è difficile trovare voci contrastanti che dicano che essere felici, come essere liberi, non va bene. In questo senso è un diritto, perché o è per tutti o non è per nessuno. Felicità è persino una parola che fa vendere, come la parola cuore: alcuni non lo sanno ma altri lo sanno benissimo e infilano la parola nei titoli dei libri o dei film, sperando di farne best-sellers e campioni di incassi. Ne è una prova l’enorme quantità di vendite, in Italia, nel 1991, della traduzione di un testo dell’antichità noto (ai pochi) come la Lettera a Meneceo di Epicuro, col titolo di Lettera sulla felicità. Un successo editoriale strepitoso. Non c’è felicità senza piacere Epicuro vi sosteneva un concetto di felicità ovviamente epicureo, edonistico. Non può esistere vera felicità senza il piacere, perché il piacere è lo stato naturale a cui ogni essere vivente aspira, mentre fugge per istinto e per ragione dal dolore. Il piacere, dice Epicuro, non è diverso dal vivere, è il vivere stesso, e la nostra sensibilità tende a mantenere lo stato naturale di benessere. La felicità non si raggiunge però – e questo è il punto assolutamente centrale alla dottrina epicurea – soddisfacendo sempre nuovi desideri, bensì cercando di controllarli o addirittura non avendone. Ecco l’essenza dell’epicureismo: conoscere la felicità, raggiungere uno stato di tranquillità interiore, conseguire l’appagamento della pace

del corpo grazie alla soppressione di desideri e ansie, facendo del piacere un bene e del bene un piacere. Le trasformazioni del concetto di felicità Passiamo ora alle trasformazioni teorico-concettuali che la nostra felicità subisce in epoca moderna e contemporanea; ne ho individuate quattro. Con la prima, che si svolge nel Settecento, l’epoca dei Lumi, la felicità passa a essere, da argomento filosofico che era, argomento politico; le scelte collettive vanno fatte, secondo questa dottrina, in base alla “massima felicità per il maggior numero di persone”. Nell’Ottocento poi, una seconda trasformazione della felicità la porta a essere, da concetto politico, concetto economico, con le dottrine socialiste e marxiste che vedevano la realizzazione della felicità collettiva e anche individuale nel riscatto dalla povertà e dallo sfruttamento e nella realizzazione dell’eguaglianza economica. Un’ulteriore trasformazione, la terza – che spunta già nel famoso discorso del 1968 di Robert Kennedy riguardante i fattori di felicità diversi dal prodotto interno lordo – individua come parametro di felicità non soltanto la ricchezza ma anche e soprattutto la qualità della vita. Vedo una quarta trasformazione del concetto di felicità nel rilievo dato da una parte ai legami sociali, dall’altra alla positività della persona. Amicizia, relazioni umane, attivazione altruista e simili sono i che temi che alimentano oggi il mito della felicità. Accanto ad essi troviamo l’emergere di una nuova positività per la costruzione di qualità umane individuali in società fiorenti e felici: quindi ottimismo, coraggio, lavoro etico, relazioni interpersonali, responsabilità sociale. Una visione forse un po’ troppo ottimistica, forse un po’ ingenua, come se il fattore caso non giocasse nessun ruolo e la felicità nulla avesse a che fare con la fortuna. Le lingue invece, molto più sagge di noi, conservano l’idea che la felicità sia questione di sorte e che pertanto non dipenda del tutto da noi. Questo concetto lo esprimiamo ogni volta che diciamo happiness, Glück o bonheur, tutti termini che definiscono la felicità come buona sorte, favore degli dei, ma non ci piace. Gli esseri umani non gradiscono sentirsi dire che si è determinati e preferiscono di gran lunga credere di essere liberi, inventandosi curiose teorie sulla loro libertà e la loro felicità.


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Autodeterminazione

» di Keri Gonzato

Ognuno ha i suoi mostri, le sue ombre, i suoi tunnel infernali da non si ripresenterà mai più: “One Chance, One Opportuniaffrontare… Ma per alcuni questa strada è tanto oscura da risul- ty”, come canta il rapper Eminem. Un treno su cui Precious tare insopportabile. È il caso della protagonista di Precious, una sale, accettando di frequentare una scuola alternativa che la pellicola uscita nel 2009 negli USA dove è stata porterà a scoprire la luce. Questo passaggio accolta come rivelazione dell’anno. Precious, è supportato da scelte stilistiche forti che che è il nome della protagonista e significa oppongono gli spazi bui e pesanti della vita preziosa, dalla sua nascita ai 16 anni ha vissufamiliare a quelli ariosi della nuova scuola, to in una realtà opprimente e degradata. Una attraversati da personalità capaci di irradiare realtà rappresentata dalle mura sudice di un luce. Le tende chiuse e gli spazi luminosi, piccolo appartamento di Harlem. Lì, in quei cibi fritti e disgustosi e la frutta fresca, gli gli spazi soffocanti, tra abusi e violenze, ha insulti e le risate: queste antitesi simboliche subito il peggio che l’uomo possa esprimere… mantengono alta la profondità dei messaggi Il film rende con intensità la pesantezza che veicolati da Push, il romanzo dell’autrice Precious porta in quel corpo che non ha americana Sapphire da cui è tratto il film. mai conosciuto l’amore, se non nei sogni. La valenza drammatica della pellicola è esalLe tematiche drammatiche dell’ignoranza tata dalla ottima qualità della recitazione. e della violenza domestica sono affrontaNel complesso, si può dire che l’accurata regia te in modo frontale, senza mezze misudi Lee Daniels spinge gli attori a rappresentare. Precious sonda i bassifondi dell’animo re l’essere umano in tutte le sue sfaccettature, Precious umano e talvolta, così come vorrebbe farlo dalla più bestiale alla più angelica, lasciandi Lee Daniele la protagonista, la tentazione è quella di do un po’ di spazio anche alle sfumature. Stati Uniti, 2009 voltare lo sguardo e non vedere certe cose. Precious è uno di quei film impegnativi e E poi, accade che per la prima volta nella sua vita questa ragazza logoranti, di fronte ai quali è impossibile restare indifferenti. ha un assaggio di amore e una possibilità di riscatto… Questo Ti rimane attaccato addosso, anche diverse ore dopo che l’hai treno che passa veloce incarna il messaggio radicato nella cul- visto, costringendoti a riflettere sui potenziali umani di degetura americana, di quell’opportunità da cogliere al volo poiché nerazione così come di redenzione…

DENTRO C’È DI PIÙ DI QUANTO PENSI. NUONIEVNO TE. C ON V E LEGGERO. COMPAT TO.


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Abitare e coabitare L’acquisto di una casa è diventato improponibile per giovani e meno giovani. Ma le difficoltà hanno stimolato nuove forme di abitare e di convivenza. Un fenomeno che riguarda anche le generazioni più attempate, come attestano svariati esempi in Europa e nel nostro paese

di Keri Gonzato

Società

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L’ONU ha dichiarato il 2012 anno delle Cooperative. In un periodo storico che spinge a riflettere sull’ostinato individualismo, questa scelta appare assai appropriata. Alle prese con problemi economici sempre più complessi, molte persone scelgono di sperimentare nuove forme di convivenza volte alla collaborazione e alla condivisione… Il termine cooperare sta alla base anche del concetto di cohousing, che viene da collaborative housing, ovvero abitare collaborativo. Si tratta di luoghi abitativi in cui gli alloggi privati sono completati da ampi spazi comuni, dove i cohousers condividono parte della loro esistenza. Le aree comuni possono essere delle grandi cucine, dei laboratori per la creatività, dei parchi-giochi così come biblioteche o palestre. Tale approccio al vivere la casa va nella direzione di un’economia solidale in cui, tutti assieme, si contribuisce alle spese delle zone comuni per un miglioramento complessivo della qualità di vita. Le motivazioni alla base di tutti i progetti di questa natura sono la suddivisione equa delle responsabilità, la comunicazione e la collaborazione con chi abita vicino e l’accesso condiviso alle aree collettive. Idealmente, queste comunità promuoverebbero il ritorno a una vita relazionale più umana e partecipata, la condivisione delle proprie risorse come fonte di arricchimento e la collaborazione nel trovare soluzioni creative. Il prezzo della condivisione Il percorso necessario per passare a questa esperienza implica un po’ di

Sognare. ginnastica mentale per riuscire a vivere gli spazi con modalità meno improntate all’individualismo, abituandoci a muoversi in una dimensione più ampia e aperta. È necessario fare stretching delle idee, depurare il sistema dalla visione rigida che lo inscatola, rinforzare i muscoli della tolleranza e potenziare i polmoni per permettergli di inalare nuove soluzioni. Vivere insieme agli altri significa anche fare i conti con molte paure, come quella dell’invasione dell’intimità, della perdita dei propri privilegi, di essere contaminati da ciò che è diverso. Per una tale esperienza è necessario quindi abbassare le difese, le frontiere, le barriere ed essere pronti a mettersi in gioco in un confronto diretto con l’altro. Spesso, alla logica dell’unirsi in una modalità collettiva segue a ruota un desiderio di sostenibilità. Molte delle persone, di età, origini ed estrazioni sociali diverse che scelgono il cohousing sono mosse da un’ottica che mira alla riduzione dei consumi e desiderano vivere in maggiore armonia con l’ambiente circostante. Il fatto di mettere in comune una parte di risorse, spazi e attrezzature consente un risparmio non solo economico ma anche energetico. Da qui possono nascere facilmente altre

possibilità che riducono l’impatto ambientale come il car sharing, i gruppi di acquisto solidale e via dicendo. Cohousing in Europa Nel 2008 l’Arc en Rêve centre d’architecture Bordeaux, interessato alle nuove forme dell’abitare, ha selezionato ed esibito 45 esempi di cohousing, nati nei cinque anni precedenti in vari angoli d’Europa. Il contenuto di questa ricerca, raccolto nel libro New Forms of Collective Housing in Europe, è una preziosa manifestazione di un fenomeno più vitale che mai. I precursori di questi modelli di vita sono i paesi del nord, dall’Olanda alla Scandinavia. Nel corso del secolo passato, i territori scandinavi hanno già sperimentato queste modalità abitative Tra il 1980 e il 1990 la Svezia ha creato circa 50 unità di cohousing, realizzando

Passare in filiale. modelli di vario tipo. Oggi, questa tradizione continua a essere vitale e, dopo un periodo di empasse, sta vivendo una rinascita. In Svezia tali esperienze di vita collaborativa hanno anche una propria organizzazione nazionale, il Kollektivhus ONU che ha attualmente intorno ai 45 membri. Anche in Italia esiste la rete italiana cohousing che raggruppa le


Progetto di villaggio in cohousing a Newcastle, in Inghilterra (immagine tratta da www.djc.com)

diverse comunità di vita presenti sul territorio (www.cohousingitalia.it). Si tratta di un fenomeno in crescita ovunque e anche in Svizzera si trovano vari tipi di esperienze collaborative… L’obiettivo della comunità Yamagishi-

della semplicità e dell’amore nella vita vera”. Nel piccolo villaggio di Diessenhofen, nel canton Sciaffusa, c’è invece una co-residenza generazionale riservata agli abitanti a partire dai 55 anni: chi vi abita ha trovato in questo modus vivendi un’alternativa felice per invecchiare in compagnia.

Acquistare.

Soluzioni creative Nel canton Vaud il sito internet http:// ville-nouvelle.net/ si pone come punto di riferimento per gli stili di vita partecipativi e raggruppa molte informazioni sulle possibilità presenti sul territorio. Seguendo gli spunti offerti in rete si incontra un vitale reticolo di eco quartieri, eco villaggi, cohousing ed esempi di economia sociale e solidale. Si scopre così che la città di Losanna ha dato il via al progetto partecipativo “Réinventons le Vallon - À vous la parole!” volto al rinnovo e alla rinascita, su base collettiva, del quartiere di Vallon. In questo contesto, i cittadini sono invitati a partecipare in modo propositivo alle decisioni che modificheranno tale area. Lo scorso settembre a Ginevra si è tenuta una giornata d’incontro e informazione sulle unità di cohousing presenti nella zona, presieduta da Anita Frei, la presidente di Écoquartiers Genève, associazione il cui scopo è quello di favorire la nascita di eco quartieri. Un modello di riferimento del movimento è il quartiere Vauban

Vereinigung, per esempio, che sorge ad Hagenbuch (Zurigo), è di “creare una società dove tutte le persone vivono felici e soddisfatte. Per ogni membro significa voler essere una persona che desidera vivere in amicizia con tutto e tutti, senza esclusioni”. Questa comunità, composta da dieci persone, si basa sul principio della sostenibilità e sull’accettazione, e crede nel potere che ogni individuo possiede per cambiare il mondo. A Hagenbuch oltre il 50% del cibo è auto-prodotto e i salari recepiti dagli abitanti vengono condivisi. Anche a Brienz, a 1100 metri di altezza, esiste una comunità con una impostazione analoga. Vi abitano venti persone in pianta stabile e si basa sul lavoro comune, su una comunicazione sincera e aperta e sulla “realizzazione della verità,

di Friburgo, dove alcune caserme militari sono state riconvertite in alloggi sostenibili – abitati da chi aveva occupato illegalmente l’area e da studenti –, arricchiti da spazi comuni come la casa del quartiere, che funge anche da centro socio-culturale. Partendo da un termine come cooperare si apre un vasto mondo in fermento che manifesta l’emergenza di trovare nuove soluzioni creative. Condividere gli spazi vitali è una di queste: un fenomeno che offre un’affascinante alternativa al vivere isolati e permette di tornare a coltivare il piacere di stare assieme…

Consulenza personale a due passi da voi: Lugano Manno, Via Violino 1. Telefono: 091 604 22 00 La concessione di crediti è vietata se conduce a un indebitamento eccessivo (art. 3 LCSI). CREDIT-now è un marchio di prodotto di BANK-now SA, Horgen.

Società

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Giochi per adulti Le supersportive non sono certo auto per tutti. E se alla potenza e al costo smisurato aggiungete la possibilità di guidarle “en plein air”, avete tutti gli indizi per trovare la soluzione al grande quesito: chi sono i loro acquirenti? di Giancarlo Fornasier

Una puntata del programma TV inglese “Fifth Gear” andata

in onda all’inizio della primavera, metteva alla prova quattro vetture dall’indubbia esclusività. Obiettivo dei due conduttori, fra il divertito e l’infantile, testare quale delle supersportive con tetto reclinabile garantiva le maggiori emozioni se guidata, in pista, a tutto gas. Pura goliardia insomma, condita con i “brividi” della velocità libera e senza freni. Quale sarà la più eccitante? La Aston Martin DBS Volante, la Mercedes SLS AMG Roadster, la Bentley Continental GT Convertible oppure la Jaguar XKR-S Convertible?

Mundus

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Stile inconfondibile, 570 cavalli, leggera, un cambio da competizione; il problema, semmai, è quale sia la sua versatilità visto che vi possono accedere un paio di persone (una delle quali è il conducente). Ma, come tutti i maschietti sanno, la domanda è assolutamente fuori luogo: quell’aggeggio rosso è un costoso e velocissimo giocattolo, poca importa del resto. Senza considerare che, a meno che non siate degli appassionati che nei fine settimana si recano al Nürburgring per mettere alla prova le “caratteristiche tecniche” di quel diavolo di macchina, gli unici brividi che la povera Ferrari potrà farvi vivere sono quelli di terrore, che proverete ogni volta che dovrete affrontare uno dei molti dossi per il rallentamento del traffico.

Serve molto denaro... Per gli interessati riveliamo che la vincitrice del confronto proposto dai due 50enni – guarda caso... – conduttori inglesi è la SLS AMG Roadster: la Mercedes Capelli (grigi) al vento non può che togliere il reLe immagini destinate alla spiro in accelerazione con promozione di questi esclui suoi 570 cavalli (590 nella sivi gioiellini mostrano al speciale versione GT). Indivolante baldanzosi trentenscutibilmente affascinante ni baciati dal sole: giovani dentro e fuori quell’enoradulti, liberi, indipendenti, me cofano, la AMG non ha sportivi, tenebrosi. In verità, bisogno di presentazioni. i maggiori clienti delle macBeata gioventù (1957 Chevy Convertible) Quello che serve è invece chine descritte in precedenmolto denaro per postegza sono adulti maschi sì, ma giarla sotto casa: oltre 200mila euro. E le altre contendenti le non certo di primo pelo: per lo più 50/60enni con disponibilifanno buona compagnia: per una Bentley Continental “senza tà economiche, mogli (o ex mogli) alle spalle e il desiderio di tetto” servono almeno altri 20mila euro in più, sempre che farsi ammirare per ciò che sono stati in grado di raggiungere. non vogliate assolutamente guidare la mostruosa ed esclusi- La macchina si conferma così come il più classico strumento vissima Continental Supersport da oltre 630 CV... E la lista di rappresentanza, da coccolare e lucidare (magari da altri) e potrebbe allungarsi, visto che la personalizzazione e gli op- da mostrare ad amici e... amiche. Chi ha acquistato una sutional si sprecano. Naturalmente il mercato per questi veicoli persportiva senza il tetto (reclinabile, rigido o di stoffa) non esiste e, come abbiamo potuto constatare nel corso degli ultimi voleva una “normalissima” coupé da 200mila euro: desiderava “altalenanti” anni, sul fronte economico il mercato del lusso è un’auto da guidare capelli al vento, sognando la Costa Azzurra. forse quello che meglio ha retto al terremoto finanziario. Ottime per passeggiare (e sentirsi meno vecchi), le cabriolet dalle potenze stellari sono l’icona del lusso che incontra il romTanti cavalli, limitate emozioni cittadine bo della velocità. Due estremi che non dovrebbero potersi inSe riguardo alle grandi berline e ai SUV più ingombranti e co- contrare, ma che lo fanno per necessità: chi mai acquisterebbe stosi (Porsche, Range Rover, Audi ecc.) l’acquisto del veicolo è una Maserati GranCabrio Sport da oltre 450 CV se non potesse almeno compensato da un’indubbia versatilità di utilizzo, nel avere gli interni in pelle, pregiate finiture, un sistema di condicaso delle cabriolet veloci come missili e dallo spazio limitato zionamento dell’aria avanzatissimo, mille aggeggi elettronici si aprono scenari interlocutori sui loro effettivi destinatari. a monitorare qualsiasi funzione ecc. ecc.? Forse un ventenne... Chi non vorrebbe scorrazzare su una Ferrari 458 Italia Spyder? che sempre più spesso fa anche il paio con “disoccupato”.


Affinità elettive

Dopo tre anni di convivenza la mia ragazza mi ha lasciato…

di Cordelius & Machado

c l i c kl i c k c

click

Poi mi sono deciso a fare la spesa. Ma non sono andato al solito supermarket dove andavo con lei. Ho cambiato. Mi era arrivato a casa il catalogo di un nuovo centro commerciale con qualche buono sconto… All’inizio stavo malissimo: mangiavo solo take away, dormivo due ore per notte, ero sempre su Facebook... ho preso sei chili.

Lei si chiama Susy. Si è lasciata da poco col suo ragazzo. Anche lei ha ricevuto il catalogo coi buoni sconto e così ci siamo conosciuti. Ieri ha chiesto la mia amicizia su Facebook…

Ora vengo qui tutti i giorni! Non riesco a farne a meno, anche perché ho trovato prodotti che non conoscevo. Mi sento meglio!


» testimonianza raccolta da Demis Quadri; fotografia di Reza Khatir

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Zoltan Ragasits

Vitae

se lavori in maniera tradizionale, tutto è veramente fatto a mano. Da qui nasce una soddisfazione che all’artista non deve mancare. Oggi, con le nuove tecnologie, puoi disegnare al computer gioielli che sono molto difficili da realizzare a mano, stamparne modelli tridimensionali in cera e poi produrne migliaia di copie. Però sono gioielli freddi, senz’anima. A me questi sistemi non interessano: il gioiello deve essere un oggetto unico e individuale, in grado di esprimere la personalità di chi lo porta. Mi pare assurdo che tutti indossino la stessa cosa. Ma oggi tutto è diventato brand, e trovo Ha esposto i suoi gioielli in molte città che questo sia veramente un del mondo. La sua ricerca continua a segnale di come la nostra culessere orientata verso creazioni che non tura si stia impoverendo. Per questo, a modo mio, cerco sacrificano l’anima ai “must” del mercato di lottare contro l’abuso dei “ciondolini” di marca e dei stimato, Peter Skubic, in un gioielli industriali, sperando che la gente catalogo si domanda: “Non è possa capire e apprezzare il mio lavoro e il forse vero che l’uomo fece uso di mio messaggio. gioielli ancor prima di adottare Il mondo del gioiello apre un ventaglio l’abbigliamento?” Credo non larghissimo di possibilità, perché non esisia possibile dare una spiegastono limiti al linguaggio delle forme e delle zione più chiara... Quando creazioni. Questo non significa che tra le ho iniziato il lavoro da indipossibilità di forme organiche o astratte non pendente, ho viaggiato molto ci siano dei ritorni. Ultimamente mi è capiin Asia (in India, Birmania, tato di vedere Storia e simbologia dell’anello di Nepal, Thailandia, Malaysia e Jürgen Abeler, che in passato ha acquistato altri luoghi ancora) e in Afrianche alcune mie opere: in quella collezione ca, scoprendo che il gioiello di 4000 anelli provenienti da 4 millenni, non è solo un concentrato sono presenti creazioni di etnie esistite cendi materiali preziosi come tinaia d’anni fa, ma che potrebbero essere oro, diamanti e altre pietre. opera di un contemporaneo. Un gioiello può Si possono creare gioielli con essere ideato anche sulla base di determinate materiali naturali poveri, non tematiche. Quando è caduto il Muro di Berlicostosi, come fanno anche no, hanno chiamato diversi orafi per creare i popoli dell’Amazzonia utigioielli ispirati a quell’evento. Personalmente lizzando per esempio piume, ho realizzato una collana di matite spezzate noci, semi e altro ancora, per nere, rosse e oro, i colori della bandiera produrre oggetti di grande tedesca. Al centro c’era una matita con la valore culturale, artistico ed punta per firmare la riunificazione. Nel 1987, estetico. Nel mio lavoro cerquando è entrato in vigore il controllo dei co quindi di esplorare nuovi gas di scarico, ho creato, per un’esposizione orizzonti attraverso l’utilizzo sul gioiello “verde”, una collana con 12 di materiali nuovi e diversi, vignette, con l’idea che se per – mettiamo come il titanio, l’acciaio, la – 5 milioni di macchine dovevano esserci plastica, il legno e le ossa, ab5 milioni di questi bollini, togliendone 12 binati a metalli nobili, come avrebbero dovuto esserci 12 auto in meno in oro, platino, palladio, argencircolazione. Un gioiello insomma può anche to, ecc., e a perle, diamanti diventare un manifesto politico o sociale, per e pietre preziose. Ma il vero questo mi piace citare il famoso gioielliere valore di un gioiello viene da Gilbert Albert: “Alla fine il mondo sarà salvato qualcosa d’altro. Il mio è uno da artisti, poeti e pazzi…”. dei pochissimi mestieri in cui, In memoria di Renzo

»

S

ono nato in Ungheria nel ’56, all’alba dell’insurrezione ungherese, e in seguito con i miei genitori siamo venuti in Svizzera, dove sono cresciuto. Già quando ero a scuola ero interessato all’arte, ma non so bene come sia nata la passione per i gioielli. Si è trattato di una vocazione: ognuno, nel suo percorso individuale, cerca un lavoro che possa esprimere quello che ha dentro. Attraverso il gioiello ho trovato un mestiere che permette di coniugare il lato manuale a quello artistico. Personalmente mi sono sempre ritenuto un artista-artigiano. Le cose che penso voglio realizzarle senza pensare soltanto al profitto. Come orafo posso impegnarmi ore e ore per creare un oggetto che poi non potrò proporre calcolando nel prezzo il tempo di lavoro, perché altrimenti non riuscirei mai a venderlo… In Svizzera, all’epoca in cui mi sono formato, l’unico modo per imparare questo mestiere era di entrare in un atelier e fare tutta la gavetta dall’A alla Z. Dopo gli studi a Sciaffusa e a Zurigo, ho lavorato per un’importante ditta a conduzione familiare dove mi occupavo di disegnare ed eseguire delle collezioni. Quattro o cinque anni più tardi, alla morte della titolare, ho deciso di aprire un negozio-atelier per proporre le mie creazioni o eseguire direttamente le richieste specifiche dei clienti. Con l’inizio nel 1980 della mia attività indipendente a Locarno, ho iniziato ad avere un contatto diretto con il pubblico. Il mestiere dell’orafo è uno tra i più antichi e nobili. In origine, era considerato un po’ come un alchimista, perché lavorava con metalli, formule chimiche e minerali e tecniche quasi segrete. In tutte le culture, da nord a sud, il gioiello è onnipresente e ha sempre avuto una grande importanza: c’erano gioielli per i re come per gli schiavi, per i vivi come per i defunti. Un collega viennese molto


Una storia di moda testo e fotografie di Peter Keller

due stiliste, un marchio. sabine Portenier e Evelyne roth sono Portenierroth. due ragazze bernesi, che si sono conosciute durante la formazione professionale e che hanno deciso di affrontare insieme il difficile mercato della moda svolgendo una attività di stiliste indipendenti

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Le fotografie sono state riprese nell’atelier Portenierroth e durante i “mercedes-Benz Fashion days 2012” a Zurigo 1. Una modella posa nell’atelier durante il processo di creazione di un nuovo abito


2. 2. Sabine Portenier e Evelyne Roth discutono le forme e i materiali per la nuova collezione 3. Due collaboratrici dell’atelier PortenierRoth 4/5. Le creazioni vengono sviluppate su manichini e su modelle per poter meglio considerare le forme del corpo e i suoi movimenti

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6. Evelyne Roth prepara la sequenza e la coreografia della sfilata di moda


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7. Peter Keller Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell'ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. Ha collaborato con i fotografi Adriano Heitmann e Reza Khatir. Nel 2010 è stato pubblicato il volume fotografico Barocco (Edizioni Casagrande) e alcuni suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca).

7. Prova per la sfilata ai “Mercedes-Benz Fashion Days” a Zurigo 8. Una modella viene preparata per la sfilata 9. Prova delle scarpe per la sfilata 8.


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ue stiliste, un marchio. Grazie al loro talento e alla loro tenacia, Sabine Portenier e Evelyne Roth nel loro atelier a Thun realizzano abiti di alta qualità apprezzati e venduti con successo su scala internazionale. Le abbiamo seguite durante tutto il processo di creazione della nuova collezione estiva 2013. Dall’idea fino alla sfilata di moda durante i “Mercedes-Benz Fashion Days” a Zurigo. Una storia avvincente, raccontata in immagini e in un’intervista. Perché avete scelto di fare moda e non qualcos’altro? EvElynE Roth: Ho sempre desiderato farlo. Sono spinta da una forza interna. La moda è tutto quello che mi interessa. Quello dell’abbigliamento è uno dei maggiori mercati. È un mercato difficile ma offre anche moltissime opportunità. Per me il fascino sta nel poter controllare tutto il processo di creazione di un prodotto. Dall’idea, allo sviluppo fino alla produzione e alla sua distribuzione. SabinE PoRtEniER: La moda per me ha molto a che fare con le persone. In tutte le culture e in ogni classe di età le persone cercano di ornarsi, di farsi belle. Ho visto in un piccolo villaggio in Italia delle donne che, con pochi mezzi a disposizione, riescono ad armonizzare tutto quello che portano, dalle scarpe agli orecchini. Tutto è scelto con grande cura e con amore verso loro stesse. Mi affascina l’idea che un vestito possa valorizzare una persona e renderla orgogliosa.

Da cosa parte il vostro processo creativo? E.R.: Dalla motivazione di voler realizzare il più bel vestito per una donna per permetterle di avere un’ottima presenza. L’abito si deve unire con la persona. Queste sono le domande che ci poniamo durante tutto il processo creativo. Le nostre realizzazioni non le disegnamo su carta ma le sviluppiamo direttamente sul manichino, considerando le forme del corpo e dei suoi movimenti. S.P.: Le origini della mia creatività provengono spesso da

influenze esterne come un’immagine, un film, dei colori, talvolta anche un odore o semplicemente lo stato d’animo in un particolare momento. Da lì inizio a creare delle forme e le discuto con Evelyne. Il continuo scambio di idee è un fattore importante nel nostro modo di procedere. Una di noi lancia un’idea, l’altra dà impulsi e da questo lavoro di squadra nascono le nostre creazioni. Che cosa volete che emerga sempre dalle vostre collezioni? E.R.: Alle nostre creazioni applichiamo dei criteri precisi affinché possano essere incluse nelle nostre collezioni. Per esempio, l’indossabilità nel senso di comodità. Un abito deve poter seguire perfettamente i movimenti e la persona che lo indossa deve sentirsi a suo agio. S.P.: Come già detto, noi due abbiamo un modo di fun-

zionare insieme. Sappiamo contemporaneamente se un modello funziona o meno. Razionalmente non si può 9.


10. Manca un’ora all’inizio della sfilata e le modelle vengono truccate secondo le indicazioni delle stiliste 11. Le modifiche agli abiti vengono apportate fino all'ultimo momento 12. Le modelle sono pronte per la sfilata 13. Un abito della nuova collezione sulla passerella

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spiegare questo modo di procedere. Lavoriamo in sintonia e maturiamo la medesima convinzione sui capi adatti per una collezione. Seguiamo un concetto preciso e abbiamo delle linee guida sulle quali si può però anche divergere. Ma da questo tipo di discussioni spesso scaturiscono i pezzi migliori di una collezione. Che sensazione provate quando vedete sfilare i vostri abiti? E.R.: Una stilista non vive mai l’emozione della propria sfilata. In realtà siamo pienamente occupate dietro le quinte a preparare le modelle e ad apportare le ultime modifiche. È un momento di grande stress. Le nostre sfilate le vediamo più tardi come registrazioni video, al massimo usciamo per l’applauso finale. Ma la sensazione non è la stessa. A volte ci sentiamo molto sicure e dietro le quinte tutto procede con calma. Ma a volte sorgono dei dubbi sulla collezione. E allora si continua a cucire e modificare i capi persino mentre la modella sta per uscire sulla passerella. Non riusciamo a staccarci. Queste sono le vere emozioni che proviamo durante una sfilata. Vi ponete dei limiti nel disegnare una collezione? E.R.: No, non ci poniamo limiti. Seguiamo piuttosto delle

regole su come voler creare una collezione. Il processo è paragonabile al cucinare. Bisogna scegliere gli ingredienti giusti. Sono le immagini e le forme che determinano un concetto. S.P.: Altri fattori importanti sono le riflessioni sulla vendi-

bilità e l’indossabilità degli abiti che creiamo. E per ogni sfilata bisogna includere anche degli elementi spettacolari. Altrimenti la stampa non ti considera. Che rapporto avete con il mondo della moda? E tra cinque anni, quale obiettivo vorreste aver raggiunto? S.P. Ed E.R. (inSiEmE): Come si definisce il successo? L’obiettivo a medio termine non è di diventare famose ma piuttosto di riuscire a consolidare la nostra azienda, a creare una buona rete commerciale per poter realizzare la nostra passione. Importante per noi è di poter finanziare a lungo termine la nostra attività e dare sicurezza economica ai dipendenti. Quando si riesce a motivare una squadra, quando tutti lavorano in un’unica direzione, allora viviamo i momenti più belli nel processo di creazione di moda. La visione di PortenierRoth è di lavorare con i collaboratori come se fosse un’orchestra. E le nostre collezioni sono semplicemente il risultato del nostro operare. E.R.: L’aver preso la decisione di creare insieme un marchio

e il modo in cui abbiamo costruito la nostra azienda sono i fattori principali del nostro successo. Anche se nel mondo della moda il culto delle persone è un fattore assai diffuso, la fama personale non mi ha mai interessata. A me interessa il prodotto. Al termine di ogni sfilata sono ansiosa di leggere quello che la stampa scrive sulle nostre collezioni e molto meno quello che dicono su di me.

Si ringrazia Sabrina Rovati per la gentile consulenza

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» Tanto

La promessa di Ares

tempo fa viveva in un villaggio non lontano dalle nostre contrade un bambino di nome Ares. I suoi genitori, che di Fiabe lavoro facevano i tessitori, lo amavano moltissimo e cercavano in tutti i modi di soddisfare la sua grande curiosità e di rispondere alle sue domande. Perché di domande Ares ne faceva davvero tante. Dal mattino, quando si alzava, al momento in cui la sera chiudeva gli occhi vinto dalla stanchezza, era un continuo chiedere: “Che significa questo? Di che è fatto quello? A che serve quest’altro? Chi è quello lì?”. I genitori di Ares rispondevano un po’ come potevano ma essendo dei modesti artigiani e non degli scienziati o dei filosofi talvolta non sapevano cosa dirgli. E così, per esempio, alla domanda. “Perché i fiori sono colorati?” oppure “Chi ha fatto la Luna?” erano costretti a dichiarare: “Non lo sappiamo. Bisognerebbe chiedere al buon Dio o forse al saggio Olmo”. Crescendo, le domande di Ares si fecero ancora più complicate a tal punto che, stanchi di rispondere sempre “non lo so”, i suoi genitori decisero di portarlo dal saggio che da tanti anni viveva in un piccolo eremo sotto la montagna. Giunti alle porte dell’eremo il padre di Ares tirò la campanella e poco dopo venne ad aprire un vecchio dal volto bonario che li fece entrare e

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di Giulio Carretti illustrazione di Simona Giacomini

accomodare in una stanza piena zeppa di libri fino al soffitto: la sua biblioteca. Alla vista di tutti quei volumi, gli occhi di Ares si illuminarono. “Di chi sono tutti questi libri?”, chiese impaziente. “Appartengono a me”, rispose il vecchio Olmo “e tutte le volte che vorrai potrai salire quassù a leggerli, così la smetterai di tormentare i tuoi poveri genitori. Ma a un patto: che tutto quello che avrai imparato dovrai un giorno metterlo a disposizione degli altri”. “Perché no!”, rispose baldanzoso Ares “mi pare un giusto accordo”. L’indomani, di buon mattino, Ares era già sulla strada per l’eremo, un strada che percorse per molte settimane, anzi per mesi e anni. Trascorreva le ore chino sui libri o discutendo con Olmo. Non c’era argomento che non lo interessasse: dallo studio delle piante all’astronomia, dalle storie cavalleresche alla geometria, all’alchimia. Ma fra tutte le materie la medicina era certamente quella che lo attirava di più. Una volta divenuto un bel giovanotto Ares superò il suo stesso maestro: talvolta era il saggio Olmo a chiedere una spiegazione su questo o quel fenomeno, sul nome di una stella o la citazione di qualche antico filosofo.


Accadde

che una sera, lungo la strada che portava a casa, Ares vide venirgli incontro una ragazza dai lunghi capelli color miele. Man mano che si avvicinava, la bellezza della fanciulla, la grazia del suo incedere lungo il sentiero, lo catturarono ed egli ne fu talmente incantato che rimase immobile come un sasso finché non la vide scomparire dalla sua vista. Il giorno dopo non si recò all’eremo ma rimase chiuso nella sua stanza a meditare. E la domanda che si poneva, e a cui non riusciva a dare risposta nonostante tutti i suoi studi, era la seguente: “Come può la semplice vista di una fanciulla far perdere del tutto la testa a uno come me, uno che tanto ha studiato e conosce i segreti della natura?”. Incapace di dare una risposta a quel quesito, decise di recarsi all’eremo per parlarne con il saggio in cui riponeva grande fiducia e che considerava alla stregua di un padre. “Sei arrivato qui con una grande fame di conoscenza”, rispose il vecchio Olmo. “Volevi sapere tutto e conoscere ogni aspetto della natura e del mondo. Con gli anni di studio e la tua tenacia ora sei un saggio, forse anche più bravo di me. Ma noi, uomini e donne, non siamo fatti solo di mente ma anche di cuore e anche il cuore ha fame d’amore. Ecco, ieri, per la prima volta nella tua vita, hai provato la fame d’amore. Tutto qui… Cerca di incontrare di nuovo quella ragazza e prova a parlarci, se proverai la stessa sensazione sarà bene che tu inizi a frequentarla e chissà… magari un giorno vi sposerete”. Tranquillizzato dalle parole del mago, Ares riprese a studiare ma si accorgeva che la sua mente non riusciva a concentrarsi e il pensiero correva di continuo alla ragazza dai capelli color miele.

Proprio in quei giorni iniziò a diffondersi in quelle terre una grave epidemia. La gente si am-

malava e molti morivano perché privi di cure e di medicine. Ares, che ormai era diventato un bravo medico, con l’aiuto di Olmo, iniziò a correre di casa in casa curando gli ammalati e preparando per loro decotti speciali con erbe medicinali. Fu proprio durante una di queste visite che capitò nella casa della ragazza che aveva incontrato qualche tempo prima e che aveva risvegliato in lui sentimenti sconosciuti. La madre della fanciulla era gravemente ammalata e Ares fece di tutto per salvarla e alla fine la donna, si salvò. I due giovani ebbero in questo modo occasione di conoscersi e Ares scoprì che i sentimenti potevano essere davvero, come aveva detto Olmo, un modo per capire le persone e il mondo, un modo diverso da quello contenuto nei libri ma altrettanto importante. La primavera successiva i due giovani si sposarono e tutto il paese fu invitato alle loro nozze. La promessa fatta a Olmo tanti anni prima era stata mantenuta: Ares aveva messo a disposizione di tutti la sua sapienza e il saggio, ormai anziano e stanco, decise di donare tutti i suoi libri al giovane allievo che ancora oggi è ricordato come uno degli uomini più giusti vissuti in quelle contrade.

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Il lusso dell’ImmagIne a settembre, al PhotokIna dI ColonIa, leICa ha Presentato una sfIlza dI novItà, tra CuI la nuova s, una fotoCamera Con le dImensIonI dI una normale reflex e le PrestazIonI dI un grande formato. ma soPrattutto due nuove m: ed è ProPrIo dI questo modello Che IntendIamo trattare… Tendenze p. 48 – 49 | di Luca Martini

 Le due nuove M presentate al Photokina si chiamano Leica M-E e Leica M. Che cosa aggiungono alla già stratosferica M9? La prima non aggiunge nulla, semmai toglie due funzioni sostanzialmente inutili. Utilizza, infatti, la stessa identica base tecnologica della M9: il sensore CCD da 18 Mp. Le funzioni eliminate riguardano la possibilità di illuminare nel mirino le cornici relative ad altre lunghezze focali e il collegamento al computer via cavo USB. Oggigiorno non credo si venda un computer privo di un lettore di carte SD ed è sicuramente più agevole trasferire la carta SD che non collegare il cavo. Quindi la M-E è semplicemente

una M9 ridotta all’essenziale. La Leica M è invece una macchina totalmente nuova. È una full frame come la M9, ovvero le dimensioni del sensore sono quelle del formato inventato da Oskar Barnack 99 anni fa (24 x 36 mm), ma il sensore è un CMOS da 24 Mp. Questo implica una migliorata capacità di sfruttare la luce disponibile, già punto di forza delle M grazie alla riconosciuta luminosità delle ottiche. Una visione completa Un altro elemento decisivo è il telemetro ridisegnato. È infatti scomparsa la finestrella di vetro smerigliato che compariva sulle Leica M da 80 anni.

È stato inoltre adottato il Live View, una funzione disponibile sulle macchine della concorrenza da circa una decina d’anni. Infatti sulla M9 come sulla M-E il display sul dorso della macchina serve solo a vedere l’immagine dopo la ripresa. Adesso, sulla Leica M il display, più grande e di qualità notevolmente maggiore, permette di vedere esattamente l’immagine che viene catturata dal sensore allo scatto, comprensiva di messa a fuoco e profondità di campo. Questa nuova funzione è importante soprattutto per la difficoltà che si ha attualmente a inquadrare e focheggiare con le focali lunghe. A differenza delle reflex


digitali presenti sul mercato, la M permette di usare il mirino ottico e il Live View contemporaneamente, mentre sulle altre fotocamere uno esclude l’altro. Il Live View introduce inoltre la possibilità di utilizzare, attraverso un adattatore, le eccellenti ottiche del sistema R , ovvero del vecchio sistema Leica reflex analogico. Ottiche che si trovano sul mercato a ottimi prezzi e che includono zoom e teleobbiettivi di lunghezza maggiore di 135 mm, oggi non disponibili nel sistema M. La Leica M può essere equipaggiata con un ulteriore mirino Live View montato sulla slitta del flash che la rende funzionalmente indistinguibile da una reflex. L’uso di un mirino non esclude l’uso degli altri due. L’esposizione non è più misurata sulla luce riflessa da una banda grigia sulla tendina dell’otturatore, ma è misurata direttamente dal sensore. Infine, è stata aggiunta la possibilità, già disponibile su tutte le altre macchine della concorrenza, di effettuare filmati in HD.

Qualche critica e un’emozione Ma veniamo alla domanda: che cosa vorrei io, che ne possiedo due, di nuovo dalla Leica M? Credo essenzialmente due cose. La prima, importante, riguarda le dimensioni. Dalla perfezione della M6 si è cresciuti, versione dopo versione, fino a una dimensione che mi soddisfa appena e che è stata ulteriormente incrementata con la nuovissima Leica M. L’idea originale di Oskar Barnack di una piccola macchina con prestazioni fenomenali, tale da poter stare nella tasca di una giacca, è stata tradita. La seconda, assai più pratica e di minore importanza, ma che sarebbe molto comoda, è un sensore che si pulisca da se, come su tante altre macchine della concorrenza. Trovo infatti abbastanza noioso separarmi dalla macchina anche per un mese per riavere un sensore pulito che poi irrimediabilmente si sporca quando cambio ottica. Oggi la tecnologia permette ogni genere di diavoleria,

l’autofocus con l’individuazione delle facce, il tracciamento di oggetti in movimento da mantenere sempre a fuoco. Addirittura ci sono macchine che fanno la foto solo quando le persone sorridono o che permettono la compensazione delle alte luci con le ombre profonde, in modo da produrre immagini con una latitudine di posa incredibile e irreale. Davanti a tutto ciò la Leica M pare anacronistica, difficile da comprendere, dato che i suoi grandi punti di forza sembrano alla portata di quasi tutta la concorrenza. Eppure riscuote un successo incredibile, nonostante sia uno strumento alla portata di poche tasche. A mio parere sono due gli elementi chiave del ritrovato successo della M: il primo, innegabile, le ottiche, a mio parere le uniche sul mercato con “un’anima”; il secondo è lo stato d’animo che una Leica M induce nel momento in cui ci si appresta a una sessione di ripresa. Difficile da spiegare. Bisogna provare.

NOVITÀ LIBRARIE

dodicisette

I FOTOGRAFI DI TICINOSETTE. CATALOGO DELLA MOSTRA

Questo volume offre l’opportunità di ammirare una selezione di fotografie pubblicate in anni recenti su «Ticinosette» e realizzate da dodici fotografi che provengono da diversi settori della fotografia professionale ticinese e svizzera. Un centinaio di affascinanti immagini, un volume di indubbio interesse e una testimonianza della vitalità della fotografia elvetica contemporanea. Alcuni dei servizi fotografici presenti in questo elegante volume sono stati premiati nelle ultime edizioni dello «Swiss Press Award», importante concorso al quale partecipano tutte le maggiori testate nazionali. Tra i fotografi presenti nel catalogo ricordiamo Reto Albertalli, Didier Ruef, Giosanna Crivelli, Katja Snozzi, Matteo Aroldi, Jacek Pulawski e Reza Khatir. Le immagini sono visibili sino al 30 dicembre nella mostra «12 x 7» presso Casa Cavalier Pellanda, Biasca.

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21 x 29.5 cm 116 117 12 fotografi Fr. 30.– (spese di spedizione incluse)

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DA RITORNARE A SalvioniEdizioni . Via Ghiringhelli 9 . 6500 Bellinzona Telefono 091 821 11 11 . Fax 091 821 11 12 . libri@salvioni.ch . www.salvioni.ch Questo volume è anche reperibile nelle migliori librerie ticinesi.


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Astri toro

gemelli

cancro

Dicembre segnato da un incremento delle relazioni. La vita sociale tende a diventare più intensa. Non vi interessa discutere di cose serie, in questo momento preferite dedicarvi ai piaceri della vita.

Svolte improvvise. Possibili sviluppi provenienti da realtà estere. Cambiamenti per i nati nella prima decade. Fate di tutto per trovarvi all’interno di una situazione serena in compagnia delle persone più care.

Autoindulgenza, mancanza di autodisciplina, scarsa voglia di lavorare. Momento non idoneo ad affrontare qualcosa di veramente impegnativo. Risveglio dell’attrazione sessuale nell’ambito dei rapporti di coppia.

Probabile scontro con i parenti in relazione alla gestione di interessi familiari. Nuovi stimoli sessuali per i nati in giugno. Vita professionale al setaccio. Inquietudini con il partner provocate da sbalzi umorali.

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vergine

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Tenete a bada il vostro “ego” e il vostro orgoglio. In questa prima fase di dicembre saranno i nati nella seconda decade a essere più sollecitati. Cercate di accrescere l’attenzione verso i figli. Malanni di stagione.

Cercate sempre di mantenere il giusto controllo sulle situazioni. Non occorre che vi scaldiate più del dovuto. Il momento appare davvero ideale per iniziare una dieta disintossicante e naturale. Incontro sentimentale.

Possibili problemi con la famiglia d’origine a causa dei moti planetari. Cercate di evitare inutili rancori. Vita affettiva alla grande. Qualche inghippo in ambito professionale dovuto all’incompetenza di altri.

La vostra vita affettiva sta per prendere una svolta elettrizzante. Avventure e flirts per i nati tra la seconda e la terza decade. I nati nella prima decade dovranno tenere a freno la propria aggressività.

sagittario

capricorno

acquario

pesci

Scegliete bene i vostri collaboratori. Appoggi da persone importanti. Traslochi e ristrutturazioni in vista vi porteranno a liberarvi del vecchiume. Particolarmente intense le giornate del 3 e 4. Meno emotività.

Scarso interesse per gli impegni professionali provocato dagli impegni familiari che paiono moltiplicarsi. Vi sentirete spinti a ricercare il divertimento anche a scapito di altre situazioni. Occhio al cibo.

Abbellimenti, ristrutturazioni, acquisto di mobili. Vi sentite stimolati a ricevere parenti e amici. Atmosfere cordiali in compagnia dei propri familiari. Tenete a freno la vostra emotività. Non siate permalosi.

Importanti cambiamenti indotti dai moti planetari. Se state cercando di dare un nuovo indirizzo alla vostra vita dovete prima riuscire a non farvi condizionare dagli altri, anche se si tratta dei vostri familiari.

» a cura di Elisabetta

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Gioca e vinci con Ticinosette

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Orizzontali 1. Andare avanti • 10. Uno detto a Zurigo • 11. Parte della scarpa • 12. La seconda nota • 13. Locale della casa • 14. Svezia e Cuba • 15. Si dà arie • 17. E’ simile al finocchietto • 19. Nel centro di Losanna • 20. Risonanza • 21. Sfocia presso Stettino • 23. Azzardare • 24. Escursionisti Esteri • 25. La chiede il mendicante • 26. La consonante muta • 28. Piacevole, bello • 30. Sale dell’acido nitrico • 32. Consonanti in Teseo • 33. Idioma senza vocali • 34. Periodo storico • 35. Partita a tennis • 36. Capo etiope • 38. Maestria • 39. Strumenti a fiato in genere • 40. Che mi appartiene • 41. Grossolana, villana • 44. Cattiva • 46. Con il rouge • 47. Assume manovalanza • 50. Nostri... Ginevra • 51. Variopinto pappagallo • 52. Il monogramma di Schubert. Verticali 1. Nota opera di Sciarrino • 2. Il niente del croupier • 3. Cono centrale • 4. Dato anagrafico • 5. La fa dolere l’angina • 6. Il movimento culturale del Petrarca • 7. Dittongo in giada • 8. Un locale per buongustai • 9. Il mitico re di Egina • 13. C’è chi lo deve fare con il lunario • 16. Lo spinto del sarto • 18. Divinità infernale greca • 22. Assottigliati, sterminati • 23. È annesso alla parrocchia • 27. Commissario Tecnico • 29. Incaponirsi • 31. Accampare, precedere • 35. Segmento, lotto • 37. Sbilenca • 42. Consonanti in tuono • 43. Questa cosa • 45. Il pronome dell’egoista • 48. In mezzo al mare • 49. Breve esempio.

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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Marco Bergomi Alle Zocche 6874 C. San Pietro Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

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