№ 49
del 7 dicembre 2012
con Teleradio 9 – 15 dicembre
Parchi eolici
il Prezzo del venTo
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® 25 anni di solidarietà - 7/8 dicembre 2012
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Ticinosette n° 49 del 7 dicembre 2012
Impressum Tiratura controllata 70’634 copie Chiusura redazionale Venerdì 30 novembre Editore Teleradio 7 SA, Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini
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Arti Cinema. La passione e il denaro
Mariella dal Farra
Società Paola Musa. Poesia e società Letture L’arte della fantasia Vitae Mattia Da Dalt
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Silvano de Pietro
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MariSa Gorza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giancarlo FornaSier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Le ragazze di Kabul
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Luoghi Esistenze. Il container
alFio toMMaSini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Fabio Martini; FotoGraFie di reto albertalli . . . . . . . . . . .
Tendenze Fumetti. Diabolik: il fascino del gaglioffo
Photo editor Reza Khatir
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Coredattore Giancarlo Fornasier
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
SPINAS CIVIL VOICES
Agorà Parchi eolici. Il prezzo del vento
roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il convitato di pietra Il recente confronto televisivo fra i due candidati al ruolo di premier del Partito Democratico italiano, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, ha toccato numerosi temi relativi alla politica e alla complessa situazione italiana . Un argomento è stato però del tutto ignorato dai due concorrenti: le conseguenze che i cambiamenti climatici stanno determinando sia a livello globale sia sul territorio italiano . Il giorno precedente al dibattito, un tornado di dimensioni “americane” si è abbattuto sugli impianti ILVA di Taranto provocando, in una sorta di tragico accanimento vista la già difficile situazione del complesso siderurgico, la morte di un operaio e il ferimento di numerosi altri . Senza dimenticare l’ondata di maltempo che soprattutto in Italia centrale negli ultimi due mesi ha causato morti, esondazioni e danni gravissimi . Compiute le debite distinzioni, sia per quanto concerne gli interventi, sia per le differenti caratteristiche del territorio elvetico, va detto che anche il nostro paese non è immune dall’acuirsi dei fenomeni meteorologici, come dimostrano le recenti frane avvenute nell’area del Gottardo e il ricorrere di episodi gravi nel corso degli ultimi quindici anni . Nessuno dunque è al sicuro .
Proprio il 7 dicembre di tre anni fa si aprivano a Copenhagen i lavori della Conferenza sui cambiamenti climatici con la partecipazione di 15mila delegati e 193 paesi . L’obiettivo era quello di negoziare un trattato internazionale per la limitazione delle emissioni di anidride carbonica in grado di sostituire il Protocollo di Kyoto . Dopo due settimane di discussioni, la Conferenza si chiudeva con un accordo “minimalista”: nessun vincolo quantificato sulle emissioni di CO2, a parte l’impegno a limitare l’innalzamento del riscaldamento globale a 2 °C da qui al 2050 . Unici aspetti positivi, il coinvolgimento di Stati Uniti e Cina, responsabili complessivamente del 41% delle emissioni globali, nel processo di stabilizzazione del clima e un impegno finanziario pari a 100 miliardi di dollari entro il 2020, finalizzato ad aiutare i paesi più poveri nello sviluppo delle tecnologie . In questo quadro, l’iniziativa per l’apertura del parco eolico del Gottardo (si veda l’articolo di apertura a firma Silvano De Pietro), al di là delle diverse posizioni in campo, esprime la capacità a livello nazionale di mettere in atto misure concrete e positive in questo ambito . Buona lettura, Fabio Martini
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Eolico. Il prezzo del vento
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di Silvano De Pietro
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Agorà
L’energia eolica ha ricoperto finora un’importanza secondaria in Svizzera rispetto ad altre fonti rinnovabili, quali quella idrica, quella solare e quella ricavata dalle biomasse. Tuttavia il nostro paese dispone di un considerevole potenziale in questo ambito. Il tema ha dato vita ad accesi confronti tra i sostenitori dell’inesauribile energia pulita ricavata dal vento e i difensori dell’integrità del paesaggio naturale
a più grande pala eolica oggi esistente in Svizzera è stata inaugurata l’11 settembre 2012 a Charrat, nel Vallese, e l’hanno battezzata “Adonis”, come il fiore giallo simile alla margherita. Il pilone, o mozzo, è alto 99 metri e regge una turbina, cioè un generatore accoppiato a un rotore, il cui diametro è di 102 metri. La sua produzione annuale è calcolata in 6,5 milioni di kWh, corrispondenti al consumo medio di 1800 economie domestiche: l’equivalente del fabbisogno energetico annuo di un intero villaggio. Accanto alle pale eoliche già esistenti a Collonges e a Martigny, “Adonis” è il terzo impianto di questo genere nella valle del Rodano. Ma è anche il primo di altri cinque piloni simili dotati di turbine che sorgeranno nei prossimi anni a Charrat per formare un vero e proprio “parco eolico”. L’energia eolica ha ricoperto finora un’importanza secondaria in Svizzera rispetto ad altre fonti rinnovabili di energia, quali quella idrica, quella solare e quella ricavata dalle biomasse. Tuttavia il nostro paese dispone di un considerevole potenziale di energia eolica. Per la conformazione montuosa del territorio, esso possiede infatti numerosi siti adatti alla realizzazione di parchi eolici. Le gole, le valli, le creste montuose, i pianori, sono tutti luoghi dove il vento soffia con frequenza e forza tali da consentirne l’utilizzazione per produrre energia con sufficiente continuità.
Le prospettive future Secondo la nuova Strategia energetica 2050 della Confederazione, il contributo dell’eolico all’approvvigionamento elettrico svizzero potrà arrivare a 4 miliardi di kWh l’anno. Per l’Ufficio federale dell’energia, nei prossimi vent’anni si potrebbe aumentare di venti volte quella che è l’attuale produzione di energia eolica, fino a coprire il 2% circa del consumo di elettricità dell’intero paese. Obiettivo possibile anche perché l’attenzione e l’interesse della popolazione e delle autorità verso le energie rinnovabili, e quindi anche verso l’eolico, stanno cambiando. Dopo la fondazione nel 1998 di Suisse Eole, l’associazione per la promozione dell’energia eolica in Svizzera, i progetti si sono moltiplicati e della loro realizzazione si discute ormai un po’ ovunque nel paese. I migliori siti per l’installazione di generatori eolici si trovano sulle alture del Giura, ma anche nella valle del Rodano, nelle Alpi e nella parte occidentale dell’Altopiano. Nel Giura vodese e neocastellano sono già stati avviati ben sei progetti di altrettanti parchi eolici per un totale di 98 grandi pale. Il canton Berna sta studiando attualmente il grado di fattibilità in una quarantina di siti diversi soprattutto nell’Emmental e nel Giura bernese. In uno studio pubblicato a Liestal dal governo cantonale il 10 settembre scorso si sostiene che, se tutti i siti eolici potenziali del cantone di Basilea Campagna venissero utilizzati, si potrebbero produrre 500 milioni di kWh l’anno,
sufficienti a coprire un quarto del fabbisogno locale. E nel frattempo un altro grande progetto, quello del parco eolico dello Schwyberg, nel canton Friburgo, che prevede l’impianto di nove grandi pale eoliche, ha ottenuto luce verde dalle autorità cantonali dopo che tutti gli undici ricorsi che vi si opponevano sono stati respinti. In realtà, sebbene l’energia eolica convinca sia dal punto di vista economico che ecologico, la creazione dei parchi eolici viene infatti spesso frenata da opposizioni e ricorsi per una serie di motivi: la rumorosità delle turbine, il notevole impatto sul paesaggio e il pericolo che rappresentano per gli uccelli migratori e i pipistrelli. Ma nell’agosto 2006 il Tribunale federale, decidendo in merito al caso del parco eolico del Crêt Meuron (nel Giura neocastellano), ha stabilito che la produzione di energia eolica in Svizzera è nell’interesse pubblico. Di conseguenza la Confederazione ha preso l’iniziativa, assumendosi il compito di elaborare criteri e modalità che cantoni e comuni devono osservare nella pianificazione degli impianti. Le polemiche Ovunque i parchi eolici sono stati realizzati o solo progettati hanno dato luogo, in Svizzera come all’estero, ad accesi confronti tra i sostenitori dell’inesauribile energia pulita ricavata dal vento e i difensori dell’integrità del paesaggio naturale. Spesso gli ecologisti si sono divisi. In Svizzera il (...)
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partito dei Verdi affronta in modo pragmatico questo dilemma, intervenendo caso per caso in base a un criterio spiegato con chiarezza dalla consigliera nazionale bernese Franziska Teuscher: “Anche se sono sostenitrice delle energie rinnovabili, non posso tuttavia ignorare esigenze altrettanto legittime”. Pertanto, aggiunge, “sono contraria ai parchi eolici nelle zone incluse nell’Inventario federale dei paesaggi (IFP), poiché i paesaggi intatti sono secondo me elementi essenziali del patrimonio svizzero”. E conclude: “Esistono nel Giura, ma anche nelle Prealpi e nelle Alpi zone che non figurano nell’IFP ma sono sufficientemente ventose perché vi si possa produrre energia in modo ecologico. Puntiamo dunque su queste zone e non deturpiamo i nostri paesaggi protetti”. In Ticino la polemica è scoppiata a proposito della realizzazione del parco eolico del San Gottardo, promosso dall’AET (l’Azienda Elettrica Ticinese), che prevede di installare sull’omonimo passo cinque grandi pale eoliche (80 metri d’altezza del mozzo, 104 metri di diametro del rotore) dalla capacità di circa 3,4 MW ciascuna, per una potenza complessiva di 17 MW e una produzione annua di circa 37 GWh, corrispondenti alla copertura del fabbisogno di 37.000 persone. Al progetto, lanciato nel 2007, si è opposta la Società Ticinese per l’Arte e la Natura (STAN), che unitamente alla sua società-mantello nazionale Schweizer Heimatschutz, ha presentato ricorso nel 2009 al Consiglio di Stato, ritenendo che il parco eolico fosse in contrasto con le esigenze di conservazione del paesaggio naturale, storico e culturale di importanza nazionale del Passo del San Gottardo (non compreso nelle 14 zone ticinesi protette dall’IFP). Il parco eolico è invece sostenuto dai Verdi ticinesi, che vedono in esso l’occasione per una “svolta energetica” nel Ticino, dove “interventi decisi per il risparmio energetico devono diventare una priorità della politica energetica cantonale”.
giati, capo della Sezione sviluppo territoriale presso il Dipartimento del territorio del canton Ticino, assicura che il comune di Airolo, “d’intesa con noi e con l’Azienda elettrica cantonale, ha riattivato la procedura pianificatoria. Praticamente bisogna ripetere l’iter già seguito in precedenza e che è stato annullato per un vizio di forma”. Però l’impatto ambientale di questo parco eolico sarà comunque impressionante, avrà delle indubbie conseguenze sul paesaggio e sull’ambiente. “Certo, è ovvio che un intervento di questa natura genera un forte impatto, soprattutto paesaggistico. La questione è se questo impatto sia sopportabile oppure no; e questa valutazione spetta alle diverse autorità che sono chiamate a governare il nostro territorio: dapprima il comune e in seguito il cantone”. Chiediamo se è possibile che, una volta compiuto l’esame d’impatto ambientale richiesto, ci siano ancora altri ricorsi: “È possibile che ci siano i ricorsi”, spiega Poggiati, “perché questo fa parte del nostro sistema democratico, nel quale a ogni passo ognuno può mettere in discussione le decisioni che vengono prese”. E qui Poggiati ci tiene a segnalare che “sebbene da un punto di vista formale la procedura sia stata annullata, di fatto gli elementi per ponderare tutti gli interessi in gioco erano già presenti. La documentazione è molto ricca, estremamente articolata, con tanti approfondimenti sul paesaggio, sulla natura e su numerosi altri aspetti. Ciò aveva permesso nel 2010 al comune dapprima e al Consiglio di Stato in seguito, di ponderare gli interessi e giudicare che l’impatto era sopportabile alla luce anche di quelli che sono i benefici che un simile intervento provoca”.
“Ovunque i parchi eolici siano stati realizzati o solo progettati hanno dato luogo, in Svizzera come all’estero, ad accesi confronti tra i sostenitori dell’inesauribile energia pulita ricavata dal vento e i difensori dell’integrità del paesaggio naturale. Spesso gli ecologisti si sono divisi. In Svizzera il partito dei Verdi affronta in modo pragmatico questo dilemma, intervenendo caso per caso”
Corsi e ricorsi Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della STAN, che però ha proseguito nella sua opposizione al progetto, inizialmente più ampio e poi ridotto a cinque pale eoliche, rivolgendosi al Tribunale cantonale amministrativo (TRAM). Alla fine del 2011 il TRAM ha parzialmente accolto il ricorso, imponendo all’AET di realizzare un esame d’impatto ambientale e al comune di Airolo di ricominciare da capo la procedura per l’approvazione della necessaria variante del piano regolatore. Ce ne dà conferma l’ingegner Edy Losa, responsabile della produzione di energia presso l’AET e direttore della Parco eolico SA, al quale chiediamo a che punto è il progetto: “A inizio settembre abbiamo inoltrato il nuovo piano particolareggiato, la variante di piano regolatore e l’esame di impatto ambientale, così come richiesto dalle nuove normative federali”. Anche Paolo Pog-
I tempi e la fattibilità A questo punto c’è da chiedersi quanto tempo ci voglia ancora per veder realizzato il primo parco eolico del Ticino. Per l’ingegner Losa, la speranza è quella di “avere una risposta positiva dal comune di Airolo entro la fine del 2013, e quindi inoltrare una domanda di costruzione. Poi, iniziata la costruzione della parte genio civile possibilmente nell’estate 2014, potremo montare le pale eoliche nel 2015. Questo è chiaramente un piano un po’ ottimistico; noi speriamo che vada tutto bene e che il Parco eolico possa andare a regime già nel 2015, però ci sono ancora diversi passaggi che non dipendono da noi e che potrebbero rallentare il tutto”. In effetti il percorso rimane ancora molto accidentato. “È un po’ come al gioco dell’oca”, conferma Paolo Poggiati, “quando si pensa di essere arrivati al traguardo e alla penultima casella si torna indietro di parecchie caselle. La variante di piano regolatore ripresentata dal comune sta seguendo il suo iter, ed è previsto che possa essere approvata nel corso del 2013, in una fase in cui di nuovo sono aperte le procedure ricorsuali. Poi sarà attivata la fase di procedura edilizia, e quindi la domanda di costruzione vera e propria, che anch’essa richiede del tempo e può essere oggetto di
contestazione da parte di chi è legittimato a farlo. Difficile in questo momento stabilire quali possano essere i tempi, perché ci sono appunto delle incognite. Non si parla mai di tempi brevi, per questo genere di iniziative”. Chiediamo dunque se, al di là dei ricorsi, vi sono eventualmente altre difficoltà tecniche da superare: “Diciamo che il grosso è stato studiato e analizzato”, risponde l’ingegner Losa, “e non vediamo grandi difficoltà tecniche. È chiaro che il montaggio in alta quota è sempre un punto di domanda, perché può nevicare anche in estate. Però, al momento i problemi sono più di natura legislativa e procedurale che tecnica”. Sinergie e altre fonti L’interesse per l’energia eolica sembra infatti abbastanza forte anche in Ticino. Cerchiamo di approfondirne le ragioni domandando a Poggiati se ci sono anche altri progetti di parchi eolici, oltre a quello del San Gottardo: “Per il momento questo è un progetto isolato. Tant’è che è l’unico consolidato nel piano direttore cantonale”, risponde. “Il Ticino non si presta molto, per topografia e conformità del territorio, a un numero importante di questo tipo di impianti. Ciò nondimeno, l’interesse generale sta crescendo ed è legato alle decisioni di indirizzo di politica energetica a livello federale, ogni contributo legato alle energie rinnovabili è ritenuto utile e positivo. Il progetto del San Gottardo è nato diversi anni fa e il suo vantaggio, per chi vuole produrre questo tipo di energia, è legato al fatto che ci sono le condizioni di vento buone
e nello stesso tempo c’è una rete stradale e una rete elettrica che permettono tutti gli allacciamenti necessari. Le strade e la possibilità di trasporto dell’energia sono premesse irrinunciabili per la creazione di un parco eolico. Non vi sono dunque molte possibilità: conosciamo l’intenzione di promuovere qualcosa alla Novena, ma si tratta ancora di informazioni del tutto preliminari”. Quindi, par di capire che per la conformazione del territorio e impatto generato non ci sono grandi potenzialità per il Ticino. “E così”, prosegue Poggiati, “sebbene tutte le forme di energie rinnovabili vadano incentivate, occorre tenere conto anche della presenza di controindicazioni, che vanno ponderate rispetto agli elementi positivi. Gli indirizzi in questa materia sono contenuti nel Piano energetico cantonale, posto in consultazione nel 2010 e che è ora in fase di affinamento, in vista della sua adozione. L’eolico ha una sua ragione d’essere, ma presenta anche dei limiti importanti. Oltre al risparmio energetico, occorre dunque puntare molto anche su altre fonti”. Come il solare… “Sì, perché chiaramente l’impatto del solare sul territorio è ben diverso. Grazie agli strumenti che abbiamo messo a disposizione (come la mappatura solare che ha elaborato la Sezione protezione Aria, Acqua e Suolo), è possibile valutare il potenziale energetico di questo vettore. E capirà che, se oltre a ridurre il consumo d’energia, cominciamo a utilizzare bene tutte le possibilità, tutti i tetti che possono accogliere questo genere di infrastruttura, arriveremo veramente a utilizzare al meglio questa fonte di energia. L’eolico, invece, per sua natura è molto più impattante e molto più difficile da gestire”.
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La passione e il denaro Nella storia del cinema non è raro imbattersi in opere che oggi riteniamo fondamentali, ma che non sempre hanno fatto la fortuna di registi, produttori e case cinematografiche
di Mariella Dal Farra
Buongiorno. Arti
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Nell’immaginario cinematografico, ci sono luoghi che esercitano una fascinazione pari soltanto a quella di alcuni paesaggi che ci capita di scorgere in sogno, e uno di questi è senz’altro la città di Metropolis: l’inesorabile eleganza delle sue immani geometrie, dominate dall’architettura mistico-tecnologica della nuova “Torre di Babele”; il ritmo implacabile di una sconfinata cittàalveare, integralmente meccanizzata, la cui visione “aerea” è ancora adesso, a distanza di ottantacinque anni, capace di dare le vertigini… Il pretesto per rivisitarla è dato dalla presentazione di una nuova versione del film di Fritz Lang (Metropolis, 1927), curata dalla Fondazione tedesca F. W. Murnau in seguito al ritrovamento, nel 2008 a Buenos Aires, di una parte della pellicola che si pensava fosse andata perduta durante la Seconda guerra mondiale. Come si ricorda, il film completo di quello che si ritiene corrisponda al 95% delle parti mancanti, è stato presentato nel 2010 al Festival internazionale del cinema di Berlino, e da allora è fruibile in DVD e Blu-Ray. E per noi spettatori digitali e internet-connessi è come riscoprire l’archetipo della “città futura”, quella più volte reinventata dal cinema di fantascienza, da Blade Runner a Matrix, passando per Alphaville e Gotham City.
Un capolavoro e poi la fine Metropolis è un kolossal dell’epoca del cinema muto. Fu prodotto dalla UFA (Universum Film AG), la casa di produzione cinematografica a partecipazione statale che in Germania, durante la Repubblica di Weimar, produceva circa seicento film all’anno: titoli come Il Dottor Mabuse (1922) e L’Angelo azzurro (1930), che venivano distribuiti in tutta Europa e negli Stati Uniti – i film muti erano più facilmente esportabili di quanto avvenne poi, con l’avvento del sonoro – dove facevano concorrenza alle major hollywoodiane. Le riprese del film di Lang durarono trecentodieci giorni e sessanta notti, distribuite su quasi un anno e mezzo di lavorazione, per un totale di 620.000 metri di pellicola girata; il numero delle comparse reclutate per le scene di massa è di circa trentaseimila. Prodotto nei Babelsberg Studios, i più antichi studios cinematografici su larga
Sogno avverato. scala del mondo, Metropolis costò circa cinque milioni di marchi tedeschi del tempo, equivalenti a più o meno duecento milioni di dollari attuali. Gli introiti ricavati dalle proiezioni non riuscirono a compensare l’investimento e la UFA andò in bancarotta; venne successivamente rilevata e convertita a fini
La conturbante donna-robot creata a somiglianza della protagonista Maria, in una celebre scena di Metropolis, film muto del 1927 diretto da Fritz Lang
propagandistici durante il periodo del nazionalsocialismo, per poi riprendere la produzione di film e documentari nel dopoguerra (attività che prosegue
Arrivederci. tuttora). Fritz Lang emigrò negli Stati Uniti, dove continuò la carriera di regista misurandosi con mezzi più modesti, che però non gli impedirono di realizzare splendidi film, alcuni dei quali gli valsero il riconoscimento di precursore del genere noir1. Operazioni disastrose La dialettica fra profitto e autorialità ha caratterizzato la storia del cinema forse più di qualsiasi altra forma d’arte. Fin dai suoi esordi, Hollywood, che pure nasce dall’investimento commerciale di un gruppo di capitalisti in quella nuova, geniale invenzione denominata star system, sembra oscillare fra periodi di audace apertura alla creatività di sceneggiatori e registi – spesso improntata a un certo gusto del gigantismo – e bruschi appiattimenti sugli utili contabili, che lasciano poco o nessuno
spazio all’inventiva. Così, ciclicamente, le intemperanze visionarie di alcuni registi, da Erich Von Stroheim2 a Michael Cimino – il cui I cancelli del cielo (Heaven’s Gate, 1980), peraltro recentemente rivalutato come capolavoro, comportò una perdita netta di quaranta milioni e mezzo di dollari (tenuto conto dell’inflazione, circa 114,3 milioni attuali3) – hanno condotto importanti major sull’orlo del collasso finanziario. Nel caso di Cimino, la Universal Artists fu costretta a cedere l’intero catalogo e le strutture produttive alla MGM, determinando la ripresa del controllo da parte di produttori e investitori. Attualmente, più della metà dei profitti delle majors derivano dai cosiddetti mercati sussidiari (passaggi televisivi, videogame, merchandising e DVD); al contempo, i costi di produzione sono lievitati raggiungendo, negli ultimi dieci anni, cifre comprese fra i 150 e i 300 milioni di dollari4. “Con interessi economici così alti in gioco, i finanziatori sono divenuti più conservatori che mai, insistendo nel replicare fedelmente le combinazioni di trama, regista, attori e produttore che hanno provato le loro credenziali di blockbuster.”5 Parafrasando l’epigramma che apre Metropolis (“Mittler zwischen Hirn und Händen muss das Herz sein!”) si potrebbe più prosaicamente concludere che, fra la mano e il portafoglio, c’è bisogno
del cuore, inteso come passione per quei film, magari un po’ rischiosi, che hanno reso grande il cinema, e che ci auguriamo contineranno a farlo. note 1 “Il grande caldo” (The Big Heat, 1953); “Quando la città dorme” (While the City Sleeps, 1956); “L’alibi era perfetto” (Beyond a Reasonable Doubt, 1956). 2 “Femmine Folli” (Foolish Wives, 1922); “Rapacità” (Greed, 1924). 3 http://www.filmsite.org/greatestflops.html 4 “Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo” (Pirates of the Caribbean: At World’s End, 2007) è entrato nel Guiness dei primati come il film più costoso di tutti i tempi: una produzione da 300 milioni di dollari. 5 Thomas Harrison, “Hollywood”, Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2003 - http://www.treccani.it/ enciclopedia/hollywood_(Enciclopedia-del-Cinema)/
Consulenza personale a due passi da voi: Lugano Manno, Via Violino 1. Telefono: 091 604 22 00 La concessione di crediti è vietata se conduce a un indebitamento eccessivo (art. 3 LCSI). CREDIT-now è un marchio di prodotto di BANK-now SA, Horgen.
Arti
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Poesia e società Il destino nel nome? Con il volto delicato e intenso e i profondi occhi scuri, potrebbe davvero aver ispirato un bardo d’altri tempi. In realtà Paola Musa, che abbiamo di recente incontrato, è una sensibile poetessa, nonché scrittrice e paroliere di successo di Marisa Gorza
Società
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Nella sua ultima raccolta di poesie Ore venti e trenta (Albeggi Musica e poesia Edizioni, 2012), Paola Musa narra la vita quotidiana che si svol- Tuttavia l’espressione poetica della scrittrice sarda non è così ge alla periferia di una grande metropoli come Roma. Il titolo, pessimista. Qua e là si colgono dei segni di speranza, come dal non a caso, sottolinea l’orario serale quando si accendono le suo romanzo d’esordio Condominio Occidentale uscito nel 2008. luci nelle case e va in onda il TG. Ed è allora che l’autrice, con Con pagine dallo stile semplice e diretto viene raccontato il l’occhio impietoso di una telecamera, scruta nell’animo di casa- mondo duro, costellato di soprusi e meschinità che i nuovi polinghe, badanti, fiorai, maestri, prostitute, migranti, ladruncoli veri devono affrontare. È ciò che succede ad Anna e a sua figlia e anche assassini… Ci sono Aurora che da una normale perfino i poeti, cantori di “Non esistenza piccolo borghese si più i versi eroici dell’orgoglio / ritrovano a vivere in un’auto, ma le cronache incomplete dei precipitate nella realtà di un falsari…”, incompresi e ultimi campo profughi. E malgrado tra gli ultimi. tutto freme la fiammella della L’abbiamo incontrata di resolidarietà. cente per parlare di poesia, Ed ecco nel 2009 il seconscrittura e altro ancora. Le abdo romanzo Il terzo corpo biamo chiesto, innanzitutto, dell’amore che narra il dolose in questo mondo ossessioroso e commovente passaggio nato da falsi valori, la poesia di Rosy dall’infanzia all’età non stia perdendo credibilità: adulta, un testo che l’autrice “Purtroppo alla poesia oggi non considera come il suo lavoro viene riservata molta attenzione, più riuscito: “I percorsi di mané da parte dell’editoria, né dei turazione passano anche attralettori. La narrativa in prosa è un verso momenti bui. Anzi sono La poetessa e scrittrice Paola Musa genere più d’evasione. I versi però proprio questi a permettere a riescono meglio a sintetizzare Rosy di comprendere l’imporun’immagine e a farla visualizzare, a trasferire in modo più imme- tanza degli affetti. Il personaggio mi ha fatto rivivere in modo diato emozioni e vibrazioni. Ed è proprio tramite questo impalpabile liberatorio la mia stessa adolescenza. Del resto, nell’impegno di mezzo che i moderni cantori devono assumersi la responsabilità di raccontare il quotidiano, colgo l’ispirazione sia dentro di me che riferire con autenticità umana. Ossia di strappare la poesia al lirismo intorno a me”. fine a sé stesso e farla diventare un strumento di impegno sociale”. Le chiedo quindi come sia giunta alla scelta di dedicarsi alla Compito ben assolto da Paola Musa, con un linguaggio per così letteratura. “Ho sempre scritto fin da bambina. Nel 1986, appena dire “teatrale”, intrinseco a ogni personaggio e l’uso di crudi ed diciottenne sono stata invitata a una rassegna internazionale di efficaci neologismi. La sua è un’intelligente analisi compiuta con poesia «Il Minatore», dove tra gli altri ho conosciuto Walter Rojas mente lucida, ma con cuore coinvolto. Si ritrova dentro la vita e Richard Burns. Quest’ultimo, vedendomi spaurita, è stato subito sia chi scrive, sia chi legge. Con empatia. Aprendo il libro a caso molto protettivo…”. mi ha subito colpito una lirica “Sotto lo stesso tetto”. Con voce Ma Paola scrive anche testi di canzoni e commedie musicali in di donna, satura di violenza, più psicologica che fisica, termina collaborazione con il marito, il noto jazzista e contrabbassista così: “... e sui letti su cui dormi veloce con la schiena sudata / lontano Dario Rosciglione con il quale ha realizzato il musical Datemi da questo tetto dove hai murato il mio cuore”. Per non parlare del tre caravelle, interpretato da Alessandro Preziosi. tema dello spaesamento e del forzato miscuglio tra civiltà con Le chiediamo, infine, in che modo si accosta alla musica: “Migrare’”e “Islam”: “… l’origine è sempre nostalgia / il non ritorno “Mi piace la forza che acquistano le parole una volta messe in assurto a nuova meta”. “La mia è difatti una denuncia di varie soli- musica. In fondo, la poesia è il genere più lirico tra le arti scritte tudini spesso provocate da una iperinformazione distratta (quella dei e la contemporaneità va sempre più in cerca di sinestesie e nuovi TG) che non va oltre la notizia. Parola troppo veloce e vuota”. stimoli sensoriali”.
L’arte della fantasia
Non si può certo dire che fare un regalo sia
la cosa più semplice del mondo; a Natale poi tutto si complica, perché la foga del pensiero “a tutti i costi” non è certo buona consigliera. Gusti personali, mode, possibilità finanziarie, disponibilità di tempo per cercare “l’oggetto giusto” (evitando di regalare qualcosa che la persona possiede già…) ecc., sono molti i fattori che giocano a proprio sfavore. Anche se, solitamente, più il regalo è “ragionato”, meno rischi si corrono. Facile a dirsi quando il superfluo supera lo stretto necessario, in particolare se i destinatari sono i più piccoli. Ma loro, i ragazzi, fortunatamente non misurano (ancora) il mondo attraverso il denaro... sono altri gli aspetti che attirano la loro attenzione. Ecco perché nelle mani dei bambini qualsiasi cosa si può trasformare in un sorprendente oggetto-regalo molto prezioso. Ora servono un pizzico di manualità e in particolare “le idee”. Per le seconde ci vengono in aiuto due pubblicazioni apparse nel corso di quest’anno: Gioca e crea regali per tutte le occasioni. Con materiali di recupero è un volume scritto da due maestre della scuola dell’infanzia, e ha il vantaggio di accompagnare la crea-
Gioca a crea regali per tutte le occasioni di P. Caliari e S. Mozzato Gribaudo, 2012 1000 cose da fare e creare di F. Watt ed E. Harrison Usborne, 2012
tività dei più piccoli “passo per passo”. Vecchi guanti di gomma, bottiglie, scatole di detersivo, scatoloni che diventano trenini, portauova, carta di giornale, vecchi CD, fondi di bottiglia, pigne... non c’è nulla che non possa essere riutilizzato; oggetti e materiali che solitamente finiscono nel bidone della spazzatura. Anche 1000 cose da fare e creare, un corposo volume di oltre 360 pagine, è una fonte inesauribile e sorprendente di oggetti piccoli e grandi da costruire e colorare con le proprie mani, unici e originali. Indicato per bambini a partire dai sei anni, anche questa pubblicazione ha il merito di coinvolgere genitori, fratelli e sorelle, amici nella creazione di giochi da regalare (o da regalarsi). La sua autrice, Fiona Watt, aveva in precedenza pubblicato altri volumi per la stessa casa editrice: in particolare ricordiamo Arte, tecniche e idee (2009), 100 pagine zeppe di piccoli trucchi e soluzioni geniali per migliorare la realizzazione dei propri lavoretti. In una società dove le attività manuali vengono finalmente rivalutate per la loro importanza pedagogica ed educativa, creare con le proprie mani non può che aiutare adulti e ragazzi a conoscersi meglio.
» a cura di Giancarlo Fornasier
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Per fare l’albero ci vuole: la carta regalo. Regalate allegria! Con una carta regalo di Coop colpirete sempre nel centro. Decidete voi l’importo e la persona che la riceverà potrà decidere cosa comprare. La carta regalo Coop – presso ogni punto di vendita – basta sceglierla e regalarla!
» testimonianza raccolta da Roberto Roveda; fotografia di Flavia Leuenberger
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Mattia Da Dalt
Vitae
per la raccolta fondi da devolvere all’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana. Fare musica e “sfondare” oggi è difficile, non bastano le qualità artistiche ma sono indispensabili molti altri fattori. Un giorno un regista televisivo mi ha detto: “Ci vogliono dieci anni per affermarsi nel mondo dell’arte e altri dieci per rimanere sulla cresta dell’onda”; insomma solo dopo vent’anni si può davvero dire di aver fatto dello spettacolo la propria professione. Oggi però voglio dare e ottenere molto dalla musica continuando a farmi conoscere per quello che sono e che cerco di trasmettere cantando. Le note e il canto come passioni e hobby. La parte più autentica di me. Poi la volontà di affermarsi nel mondo Anch’io infatti, come i miei dello spettacolo e concretizzare quella miti dell’infanzia e dell’adolescenza, mi riconosco nella grande “voglia di fare musica” musica italiana di genere poprock melodico e nel cantautoPerò non ho mai abbandonato rato, generi i cui l’autore dà voce a tutto ciò i miei sogni. Ho sempre dato che sa dare emozione. Per arrivare non solo quel tocco di importanza in alle orecchie, ma soprattutto al cuore delle più alla mia musica. Per me persone. Oggi ho ventotto anni. Se dovessi non poteva essere solo un definire chi è davvero Mattia Da Dalt, direi hobby da coltivare nel tempo che è un sognatore. Sembra banale, ma rilibero: troppo forte la passione mango quel bambino che desiderava a tutti che si agitava dentro. i costi prendere lezioni di pianoforte. Un Avevo la ferma convinzione sognatore, ma anche un avventuriero, che di voler “vivere” solo e solsi butta a capofitto nelle cose per realizzarle. tanto di musica, cercando di Cerco di concretizzare le possibilità che mi raggiungere quel sogno un vengono date, con convinzione e determinatempo rinchiuso in un cassetzione, come se stessi affrontando un viaggio e to diventato poi l’obiettivo vedessi in lontananza una destinazione. Fare centrale della mia carriera promusica. Inutile prefissarsi obiettivi più prefessionale. La prima occasione cisi. I miei idoli di bambino, i Pooh, hanno è arrivata nel 2008, quando da poco festeggiato i loro cinquant’anni sul mi son deciso a “tentare la palcoscenico. A chi non piacerebbe? Anch’io fortuna” varcando i confini fantastico di raggiungere un traguardo come del Ticino. Ho fatto una lunquello, magari con un concerto allo stadio ga selezione e sono riuscito di San Siro. a partecipare alla finale del Ma, per tenere i piedi a terra, la mia meta festival di Castrocaro. Poi ho più ambita è quella di riuscire a raggiungere pubblicato il primo singolo un pubblico quanto più vasto possibile; un “Quanto tempo c’è” e nel pubblico che vive, sogna, ama con le mie 2010 “Da grande”, che è dicanzoni. È il top per ogni artista, così come il ventata una hit nella Svizzera successo economico, che è parte fondamentaitaliana. Ho poi duettato con le per chi desidera entrare in questo mondo, Silvia Olari, stella dell’edizione anche se non è l’unica cosa che conta. Se 2008 di “Amici”. Quindi sono anche non dovessi riuscire a sfondare, non riuscito a pubblicare il mio tornerei sui miei passi. Ricominciare tutto primo album “Da Grande” da zero non mi spaventerebbe: non sono una e quest’anno ho partecipapersona che sta con le mani in mano. Quello to al format televisivo “Die che è certo è che la musica non smetterà mai grössten Schweizer Talente”. di accompagnarmi, rimarrà sempre parte di Inoltre sempre quest’anno ho me. Della mia vita e di quella delle tante creato “Ricerca... in Musica”, persone che mi ascoltano.
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S
ono nato a Locarno nel pieno degli anni Ottanta, anni “ballando, ballando, Reagan-Gorbaciov”, come cantava Raf cercando di immortalare nelle poche strofe di una bella canzone una stagione così complessa e piena di cambiamenti. Ero ancora piccolo quando la mia famiglia si è trasferita a Bellinzona; per questo l’ho sempre considerata la mia città. Sono cresciuto nella frazione di Daro insieme a mia madre Nicoletta e a mio padre Vanni; un piccolo nucleo, ristretto ma molto unito. Mia madre amava la musica; le piaceva cantare quando preparava da mangiare in cucina mentre da giovane mio padre suonava la batteria. Forse è anche per questo che la mia passione è sbocciata molto presto. Non posso dimenticare quando, all’età di soli sei anni, sono tornato a casa annunciando trionfalmente a mia madre: “Voglio imparare a suonare il pianoforte!”. Lei ha pensato subito a un capriccio di bambino, ma io non le diedi tregua. Alla fine l’ho convinta a mandarmi da una docente che dava lezioni vicino a casa nostra. Non avevo ancora sette anni quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica: in poco tempo sono passato dal pianoforte alla chitarra e poi dalla chitarra alla batteria. Cantare mi è sempre piaciuto: il mio amore per la musica è nato ascoltando i Pooh; poi ho scoperto un artista per me completo: Renato Zero. Ho cominciato a cantare, con la mia voce che seguiva la loro incisa nei dischi, come fanno i bambini. A dodici o forse tredici anni ho iniziato a scrivere i miei primi testi, se così si possono definire: qualche parola su un foglio, ma da quel giorno il cassetto ha iniziato a riempirsi della mia musica. Crescendo ho continuato a studiare musica, ma parallelamente perseguivo gli studi per diventare educatore OSA con specializzazione nell’assistenza ai malati psichiatrici.
Le ragazze di Kabul di Fabio Martini; fotografie di Reto Albertalli /phovea
Sette giovani donne afgane accettano di farsi ritrarre spezzando la barriera culturale e sociale che assedia la dimensione femminile nel travagliato paese asiatico. Sguardi, sorrisi appena accennati, lampi di malinconia che vorremo comprendere e decifrare, per offrire una soluzione, una possibilitĂ . Per sottrarle alla tragica condizione di ostaggi in un paese-prigione governato da maschi in guerra
L
a parola che ha attirato la mia attenzione leggendo il testo inviatomi da Reto Albertalli al ritorno dal suo secondo viaggio in Afghanistan è stata meccanismo. Un termine apparentemente estraneo alla sfera dei corpi e delle anime e riconducibile, per la sua stessa radice etimologica, all’ambito della tecnica. Un termine familiare al popolo elvetico proprio per la sua capacità di rimandare al meccanismo per eccellenza – l’orologio – e al congegno sociale e istituzionale che contrassegna la Svizzera e che l’intero mondo invidia. Ma in quella lettera, la parola meccanismo era riferita a tutte le persone, uomini e donne comuni, condannate al ruolo di pedine spendibili, comparse
destinate a rimanere sullo sfondo dei grandi giochi politici, economici e militari, ma al tempo stesso materia prima da sacrificare, umiliare e offendere, strumento di ricatto e pressione per il raggiungimento di interessi e obiettivi ritenuti sempre e comunque prioritari. La guerra dei corpi Se la guerra, come pratica di scontro sociale, è stata da sempre prerogativa del genere maschile, la violenza sulle donne e lo stupro, hanno rappresentato la forma di offesa e di ricatto più facile e immediatamente disponibile nel corso dei conflitti. Anzi, senza alcuna possibilità di errore, si può affermare
che sia proprio il corpo della donna il principale campo di battaglia su cui i maschi guerrieri si sono scontrati per millenni e hanno continuato a scontrarsi, dalla Bosnia all’Iraq, dall’Afghanistan alla Cecenia, offrendo una drammatica conferma di questa prassi. Una costante che nei secoli ha favorito il duplice ed esecrabile risultato di lacerare l’integrità fisica e psichica di donne e minori – con tutte le conseguenze individuali e sociali –, e di minare al contempo il ruolo dei compagni, dei mariti e dei padri, sospinti nella spirale della vendetta e della rappresaglia. In tale cornice, la condizione a cui sono state condannate le donne afgane nell’arco degli ultimi decenni ha assunto un
rilievo estremo. Come denunciato da Amnesty International nel rapporto del 2012 sul paese asiatico, “le donne e le ragazze afgane continuano a essere vittime di discriminazioni, violenza domestica, matrimoni forzati, tratta di esseri umani e a essere merce di scambio nella soluzione delle controversie” (http://rapportoannuale.amnesty.it/sites/default/files/Afghanistan_0.pdf ). Benché la Costituzione afgana del 2004 garantisca l’uguaglianza di tutti i cittadini (articolo 22) e preveda l’attuazione di programmi per l’istruzione e la tutela sanitaria delle donne, il divario fra “costituzione formale” e “consuetudine materiale” resta drammatico ed evidente: i matrimoni forzati, che per il 57% coinvolgono bambine e adolescenti, rappresentano (...)
ancora la maggioranza del totale sia per ragioni economiche – le famiglie più povere si liberano in questo modo di un onere economico –, sia per le pratiche consuetudinarie del bad (la cessione in sposa a una terza persona di una donna della propria famiglia come risarcimento per un crimine perpetrato) e del badal (lo scambio di donne per evitare il pagamento del maher, il prezzo della sposa). Ma il matrimonio è solo l’inizio: all’interno delle mura domestiche le spose, in particolare le più giovani, sono costantemente esposte ad abusi sessuali, psicologici, religiosi ed economici. Il problema delle vedove e delle donne rimaste sole a seguito della guerra, prive di aiuto ed emarginate, acuisce poi il fenomeno della prostituzione,
spesso vissuta come unica possibilità di sostentamento economico. La scarsa qualità dell’offerta sanitaria, nonostante alcuni miglioramenti attuati nel corso degli ultimi anni e lo sviluppo delle strutture sanitarie, aggrava il quadro soprattutto nelle aree rurali e più povere. Si ritiene che una donna afgana abbia una possibilità 200 volte superiore di morire durante il parto rispetto a una donna europea mentre solo il 25% delle nascite avviene in una situazione assistita e con le minime condizioni igieniche. Tutti i dati relativi a questo scenario vanno però inseriti in quella complessa griglia di divieti e prescrizioni imposti dalla legge islamica e da consuetudini ampiamente condivise che
contribuiscono a irretire le donne afgane, e conseguentemente anche i loro figli, in una condizione drammatica e senza sbocco. Non sorprende quindi che il suicidio, soprattutto fra le ragazze, rappresenti un fenomeno in costante aumento come dichiarato dalle stesse fonti governative secondo cui migliaia sarebbero le giovani afgane che ogni anno si tolgono la vita. La consapevolezza di un futuro disperato e privo di qualsiasi prospettiva si abbatte come una mannaia su queste esistenze costrette, loro malgrado, in una società governata da uomini violenti e corrotti e incatenata a dinamiche culturali e sociali conseguenza diretta di strategie politiche ed economiche globali.
I volti e le voci Dalla generalizzata dissoluzione dei diritti delle donne che il conflitto afgano ha prodotto nell’arco di tre decenni, emergono quasi miracolosamente questi volti. Ragazze di cui non sappiamo nulla e che speriamo estranee a quanto scritto finora. Giovani donne che, mettendo a repentaglio la propria sicurezza, forse spinte da una sana curiosità o più semplicemente da un altrettanto condivisibile vezzo, hanno chiesto a Reto Albertalli di essere fotografate: “In quel momento insegnavo fotografia ai ragazzi presso l’Afghan Mini Mobile Circus for Children, in sostanza una scuola circense e di attività multimediali a Kabul. Un bella alternativa giocosamente seria al quotidiano. La maggior parte (...)
del tempo la passavo coi maschi perché con le ragazze era vietato anche il minimo contatto visivo. Guai a parlarci… Ma poi sei lì, giorno dopo giorno, diventi parte di qualcosa, anche se resti sempre uno straniero sconnesso dal loro mondo, dalla loro società. Ma ti considerano simpatico e non rappresentando una minaccia cominci a stabilire qualche breve frammento di interazione, qualche momento privilegiato. Fino al giorno in cui la più spavalda, o la più coraggiosa, mi ha chiesto perché io stessi sempre con i maschi e se fosse possibile frequentare il corso di fotografia. E allora hanno cominciato ad arrivare trasformando il tempo trascorso insieme in un’opportunità rara e preziosa. All’inizio mi sono illuso. Pensavo che da lì a poco sarei arrivato a conoscere le loro realtà private e così vivevo un’altalenante
condizione di speranza e delusione. Poi ho capito che il soggetto più potente era proprio il rapporto privilegiato che avevo stabilito con loro. E così abbiamo iniziato a parlare del loro paese, della guerra, della condizione della donna finché mi sono azzardato a creare un semplicissimo set, una sorta di studio a luce naturale – una finestra, un oggetto chiaro riflettente, un fondo neutro – in cui ho chiesto loro di posare. Hanno accettato, ma ho avuto sempre la sensazione di varcare una soglia e la tensione era palpabile. Certo, l’Hasselblad non aiuta. È una macchina ingombrante e incute timore ma ho optato per questo strumento perché ero frustrato all’idea di realizzare il classico reportage, che spesso racconta più del coraggio del fotografo e del suo passaggio in un determinato luogo ma poco o nulla delle persone che
ha incontrato. Mi serviva un approccio diverso che mi consentisse di vedere l’altro perché solo in questo modo posso conoscerlo, nel tentativo di sottrarlo all’anonimità, di dargli voce”. Quale risposta? In questi volti di bambine in procinto di diventare donne in un paese dove non esiste condizione peggiore per vivere, si intravedono atteggiamenti e propensioni diverse, ma su tutte domina un palpabile velo di malinconia, a cui vorremo offrire una soluzione, una risposta che non siamo in grado di formulare. Per sottrarle alla tragica condizione di ostaggi in un paese-prigione governato da maschi in guerra, a loro volta
inconsapevoli pedine di un gioco immenso e dai confini sfumati. Per contribuire a liberare il potenziale che quelle menti e quegli sguardi nascondono. E perché ci è odioso pensarle alla stregua di meccanismi. Reto Albertalli Nato nel 1979, vive e lavora tra il Ticino dov’è nato e Ginevra. Dopo la maturità artistica presso il Liceo Artistico del CSIA di Lugano e il diploma presso la scuola di fotografia di Vevey, ha iniziato a lavorare come fotogiornalista per alcune delle più importanti testate svizzere. Nel 2011 gli è stato assegnato il secondo posto nella categoria “Estero” dello Swiss Press Photo. Alcuni suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca). Per informazioni: www.retoalbertalli.com
Esistenze. Il container testo e fotografie di Alfio Tommasini
Luoghi
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L’alba di un nuovo giorno sfiora il fiume Manzanares. Non lontano dal centro di Madrid, tra una fabbrica di birra, uno stadio, un ponte trafficato e schiere di appartamenti semivuoti c’è un container dove da quattro anni vivono Antonio e Paloma, una coppia gitana che all’inizio degli anni Novanta parte dall’Asturias e dopo lunghi nomadismi decide di fermarsi nella capitale a “cercarsi la vita”. Antonio scappa con Paloma quando lei è ancora giovanissima. Viaggiano per tutto il paese e una volta a Madrid – e come capita in altri luoghi prima – si ritrovano senza appoggi. Sono ignorati dallo stato, dalla società spagnola paya (non-gitana) e dalla propria comunità che non approva le loro scelte. La loro prima “casa” I primi mesi a Madrid dormono sotto qualsiasi riparo e custodiscono le loro cose all’interno di un quadro elettrico. In seguito si fermano sotto a un ponte. In quel periodo Paloma trova impiego e viene incaricata di ripulire scarti edilizi dei lavori di sistemazione del lungofiume. Gli operai dell’impresa di costruzioni, prima di lasciare il cantiere, regalano alla coppia il container che si trasformerà poi nella loro casa. Antonio ha 53 anni, le sue giornate sono scandite dai raggi del sole, fa colazione all’alba, si lava e poi s’incammina al lavoro. Passeggia per Madrid con il suo sorriso e il suo carrello pieno di ferraglia. Già da bambino girava con suo padre in sella a un mulo per i villaggi del nord della Spagna, offrendo riparazioni di pentole e utensili ed affilando lame e coltelli. Antonio è un uomo abitudinario, alla mattina si reca ai mercatini abusivi e offre mercanzia appena raccolta nelle discariche o per le strade. Ciò che rimane lo vende alle officine che comprano metalli a peso. Nel tardo pomeriggio torna al suo focolare dopo un viaggio a inalare polveri avvolte in alluminio... chissà, alla ricerca della levità andata persa. La sera resta sempre a casa accanto alla sua compagna. Paloma ha 43 anni e, come per Antonio, la sua vita si svolge giorno dopo giorno. Casalinga, rivolge gran parte delle sue attenzioni al marito, che aspetta con ansia quando vaga nel vuoto lontano da casa. Paloma si alza presto la mattina, canticchia, rifà il letto, stende i panni e pulisce il pavimento. Poi
con delle bottiglie di plastica vuote si reca a prendere l’acqua. Finite le faccende domestiche, cucina uno stufato di legumi e patate per il pranzo e per la cena. Paloma si preoccupa dell’aspetto del suo focolare, che amorevolmente decora con peluche e oggetti riciclati. Più tardi al ritorno di suo marito, si sistema in poltrona e, con molta partecipazione ed euforia, trascorre ore davanti alle telenovelas. Antonio preferisce ascoltare musica flamenca, ma dichiara che la televisione è più divertente e colorata del soffitto di un container bianco. La disposizione dei pochi mobili e della casa è in continuo mutamento dato che un gitano non dorme volentieri troppe notti nella stessa direzione. Hanno quattro figli e se un giorno vivranno in un appartamento e Antonio sarà in salute, si promettono di riprenderli con loro. Al momento i ragazzi si trovano in Asturias con la nonna e incontrano i genitori una volta all’anno per Natale. Dedicano ai figli l’ultimo pensiero prima di spegnere la luce e dormire. Storia di amore e di amicizia Prima d’incontrare Antonio e Paloma, camminando per le strade di Madrid – dove chi vi scrive ha vissuto per quasi cinque anni – osservavo le differenze culturali e sociali dei suoi residenti e desideravo capire i differenti modi di vivere la città. Cercavo uno spiraglio che desse accesso a una nuova relazione umana. Scendendo verso il fiume Manzanares e a pochi passi da dove vivevo, il destino o la fortuna mi hanno fatto conoscere una donna e un uomo di un’altra cultura che mi hanno aperto la loro casa; un ambiente spesso duro e difficile, ma sempre colmo di semplicità e tenerezza. Durante i nostri incontri, faccio delle fotografie, Paloma pure. Un giorno arrivando alla loro casa mi ha riempito d’allegria vedere che Antonio aveva appeso su una delle pareti del container un collage dei nostri scatti. Con il passare del tempo tra noi si è creato un forte legame. Mi considerano come uno della famiglia. Antonio mi regala oggetti che trova per le strade: una radio, una macchina fotografica, un accendino, un chiodo di pelle. Ricambio con omaggi che cercano di combinare le loro necessità ai loro piaceri. Ad Antonio porto medicamenti, tabacco, birre e un coltellino svizzero; a Paloma regalo frutta, saponi e cioccolata. Gli attimi trascorsi insieme sono spesso accompagnati da sottofondi di musiche flamenche e urla di show televisivi. Passiamo giornate a conversare di piaceri e di sofferenze, percepisco in loro sentimenti estremi, in cui s’alternano, senza sfumature, momenti d’ira e rabbia e altri d’allegria e d’affetto. Ho passato giorni e notti in uno spazio ridotto carico però d’intensità e condivisione. Quattro pareti trasformate a misura d’uomo, come forse tutte le pareti di una casa, dove l’importante è quello che si vive, e Antonio e Paloma hanno un amore che va molto più in la del luogo in cui aprono gli occhi ogni mattina. per informazioni: www.alfiotommasini.com
DIABOLIK IL FASCINO DEL GAGLIOFFO Tendenze p. 48 – 49 | di Roberto Roveda
Alcuni anni fa domandarono a Sergio Bonelli, l’editore di Tex, Dylan Dog e di molti altri eroi, se esisteva un personaggio della concorrenza che avrebbe voluto nella propria “scuderia”. La risposta era quasi scontata: Diabolik, naturalmente…
C
inquant’anni fa, alla fine di ottobre del 1962, Stati Uniti e Unione Sovietica si trovarono a un passo da una guerra atomica per la questione dei missili nucleari che i sovietici intendevano posizionare sull’isola di Cuba. Il mondo intero rimase con il fiato sospeso per quella che è stata considerata la crisi internazionale più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale. A Milano, Luciana e Angela Giussani – due giovani signore della buona borghesia meneghina con la passione di scrivere fumetti – ascoltavano i giornali radio mentre erano immerse
nella rifinitura del primo numero del loro nuovo personaggio: Diabolik. Da un paio d’anni avevano infatti un chiodo fisso, quello di dar vita a un fumetto noir destinato a un pubblico adulto. Qualche tentativo lo avevano già fatto, ma con scarsa fortuna: le prime “creature” delle Giussani erano durate in edicola solo pochi numeri, però le due sorelle non si erano scoraggiate. Anzi, raddoppiarono gli sforzi per capire cosa desiderava il pubblico.
Un’indagine di mercato Per far ciò avviarono un’indagine di mercato molto empirica. Vivendo
di fronte alla stazione ferroviaria di Cadorna, ogni giorno vedevano frotte di pendolari in attesa dei treni. Iniziarono a interrogarli e scoprirono che molti di loro leggevano libri gialli. E per viaggiare in treno cosa poteva esserci di meglio di volumetti agili e leggeri, da portare in tasca? Per questo per il loro nuovo personaggio le due sorelle pensarono ad albi, con un formato tascabile 12 x 17 centimetri – il “formato Diabolik”, vero e proprio marchio di fabbrica della serie – poco ingombrante e facile da tenere in mano, anche se si sta in piedi. Contemporaneamente capirono che era indispensabile creare un fumetto non
elitario, di stampo popolare, e per far questo si ispirarono alla figura di Fantômas1, il supercriminale inafferrabile che aveva turbato con le sue imprese letterarie la Francia del primo Novecento. Così, più nero del nero della china usata dai suoi disegnatori, nasce Diabolik, “il re del terrore”, per citare il titolo del primo numero della serie pubblicato nel novembre del 1962. Un eroe al negativo che sconvolge i canoni del fumetto d’avventura italico, sintonizzato su personaggi magari con qualche macchia, ma sempre “buoni”. Le conseguenze di questo cambiamento copernicano furono uno shock per i benpensanti dell’epoca, con alcune denunce per oscenità e istigazione alla violenza – finite rapidamente nel nulla – per le due creatrici e un’immediata ed enorme popolarità per il nuovo eroe nero, che diventava il capostipite di tutto un filone di personaggi votati al male e contrassegnati dalla dura e inquietante “k” a segnarne il nome: Kriminal, Satanik, Demoniak, Sadik.
Un antieroe contemporaneo Con Diabolik il fumetto popolare italiano entrava quindi in una dimen-
sione sconosciuta e innovativa, un po’ come venticinque anni dopo avverrà con Dylan Dog. La creatura delle sorelle Giussani – come l’ “indagatore dell’incubo farà negli anni Ottanta” – porta nel fumetto i segni del tempo, i cambiamenti nelle attitudini di un pubblico che è stanco di eroi “senza macchia e senza paura” e ha bisogno di figure più complesse e dalla psicologia più sfumata e quindi “umana”. La popolarità di Diabolik ha la sua molla psicologica principale proprio nell’ambigua identificazione del lettore moderno con questo eroe più nero che bianco, fortemente individualista come è l’uomo comune contemporaneo. Diabolik piace perché “si prova una soddisfazione non del tutto pacifica (ma per questo più eccitante) nel parteggiare per il cattivo”, sostiene Umberto Eco, tra i primi studiosi a occuparsi del fumetto come fenomeno letterario. In effetti è difficile non rimanere affascinati e insieme turbati da Diabolik, “un genio, lucido, razionale, pragmatico, che mette le proprie eccezionali facoltà intellettuali non tanto al servizio del male in sé, del furto e del bottino, quanto alla suspense e del colpo di scena” per
usare le parole del giallista Carlo Lucarelli. Diabolik è un grande “cattivo”, degno avversario di Sherlock Holmes ed epigono del professor Moriarty. In lui non vi è la malvagità gretta e cinica del villain tradizionale, perché il Nostro è un eroe-antieroe, per certi versi anarchico nella sua trasgressione sistematica delle leggi, con un suo codice d’onore e un certo senso della giustizia: tra le vittime dei suoi furti sceglie solo famiglie facoltose o ricchi banchieri, personaggi equivoci e poco trasparenti, rispetta i più deboli e si dimostra riconoscente verso chi ha saputo aiutarlo. Una sorta di Robin Hood ma mutato dalla contemporaneità: privo degli slanci di generosità e di altruismo dell’arciere di Sherwood, rivolto alla soddisfazione di se stesso e senza grandi ideali.
note 1. Celebre personaggio di una serie di romanzi francesi d’appendice iniziata nel 1911, fu anche protagonista di una fortunatissima serie di film tra gli anni Dieci e Venti del Novecento.
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Questo volume offre l’opportunità di ammirare una selezione di fotografie pubblicate in anni recenti su «Ticinosette» e realizzate da dodici fotografi che provengono da diversi settori della fotografia professionale ticinese e svizzera. Un centinaio di affascinanti immagini, un volume di indubbio interesse e una testimonianza della vitalità della fotografia elvetica contemporanea. Alcuni dei servizi fotografici presenti in questo elegante volume sono stati premiati nelle ultime edizioni dello «Swiss Press Award», importante concorso al quale partecipano tutte le maggiori testate nazionali. Tra i fotografi presenti nel catalogo ricordiamo Reto Albertalli, Didier Ruef, Giosanna Crivelli, Katja Snozzi, Matteo Aroldi, Jacek Pulawski e Reza Khatir. Le immagini sono visibili sino al 30 dicembre nella mostra «12 x 7» presso Casa Cavalier Pellanda, Biasca.
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21 x 29.5 cm 116 117 12 fotografi Fr. 30.– (spese di spedizione incluse)
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DA RITORNARE A SalvioniEdizioni . Via Ghiringhelli 9 . 6500 Bellinzona Telefono 091 821 11 11 . Fax 091 821 11 12 . libri@salvioni.ch . www.salvioni.ch Questo volume è anche reperibile nelle migliori librerie ticinesi.
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Astri toro
gemelli
cancro
Potrete portare inaspettatamente a termine un progetto che in passato era stato abbandonato. Incontri con persone originali al di fuori della cerchia abituale. Calo energetico causato da Marte. Cure dentistiche.
A partire dal 9 dicembre potrete iniziare a schiarirvi le idee e ad abbassare il tono delle polemiche con il partner. Grazie al trigono con Marte il vostro potere seduttivo arriva alle stelle. Cambiamenti professionali.
Mercurio in opposizione dal 9 dicembre. Momenti di tensione con il partner. Cercate di esser meno ipercritici e insofferenti di fronte alle ingenuità altrui. Attenti a non dare una impressione sbagliata.
Cercate di canalizzarvi verso un obiettivo evitando così di scaricare le vostre tensioni sui familiari. Più stabili i nati nella prima decade favoriti dal transito amico di Saturno. Bene tra il 10 e l’11 dicembre.
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Vi conviene puntare su soluzioni inaspettate. Creativi i nati nella prima decade. Se volete realizzare qualcosa di importante vi dovete liberare da ogni condizionamento. Movimentate le giornate dell’11 e 12.
Discussioni con fratelli o amici durante un viaggio. Non fatevi condizionare dai progetti altrui. Mantenete comunque sempre basso il tono delle polemiche. Incontri sentimentali per i nati nella terza decade.
Buone notizie per le prime decadi a partire dal 9 dicembre. Marte e Plutone in quadratura. I nati nella seconda decade devono evitare di slatentizzare antiche diatribe familiari. Soprattutto tra il 14 e il 15.
Tra il 10 e l’11 Luna nel segno. Momento particolarmente importante per i nati nella terza decade, soprattutto per quanto riguarda le questioni affettive. Incontri con persone più giovani. Non perdete l’occasione.
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Grazie a Urano e a Mercurio in congiunzione al Sole sprizzate di energia e di creatività. Desiderio di trasgressione favorito dal transito di Venere nella vostra dodicesima solare. Riposo tra il 12 e il 13.
Grazie a Plutone e a Marte vi sentite pronti ad assumervi qualunque tipo di responsabilità. Le vostre ambizioni sono stimolate, ma c’è il rischio che le reazioni possano essere contrassegnate da aggressività.
Mercurio favorevole dal 9 dicembre. Si apre una fase caratterizzata da nuovi stimoli. Grazie anche a Urano potrete realizzare in tempi brevi un progetto inusuale. Significative le giornate tra il 12 e il 13 dicembre.
Grazie al transito di Venere non solo potreste esser folgoranti da una persona proveniente da un’altra città, ma potreste avviare una brillante collaborazione. Superstiziosi i nati nella prima decade.
» a cura di Elisabetta
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Orizzontali 1. Ingiuria, parolaccia • 9. L’ama Zivago • 10. Quelli da bagno profumano • 11. Rispondono all’appello • 14. Gustati, assaggiati • 16. Infantili, immaturi • 17. Dittongo in beone • 18. Stesi ad asciugare • 19. Società Nuoto • 20. Articolo tedesco • 21. Tradisce la patria • 23. Il pronome dell’egoista • 24. Sidney, noto attore • 25. Dispari in spilla • 26. Cuor di cane • 27. Venerare • 31. Un verbo del sarto • 32. Mezzo vaso • 33. Stabili, salde • 36. Vi sguazza il ricco • 38. La fine della Turandot • 39. Il nome di Marley • 41. Tre al quadrato • 43. La capitale greca • 45. Beni propri • 47. Ohio e Thailandia • 48. Includere, comprendere. Verticali 1. Recente film di successo di Pupi Avati • 2. La tasca del canguro • 3. Si allestisce a Natale • 4. Tosare • 5. Fantasie, ispirazioni • 6. Razza • 7. Articolo maschile • 8. Intacca la vite • 12. Carteggio, raccolta di lettere • 13. Si pagano agli armatori • 15. Vermi solitari • 19. La difesa della rosa • 21. Stella del cinema • 22. Maestria • 24. Riso cotto al forno • 25. La nota più lunga • 28. Sputa fuoco • 29. Provare, sperimentare • 30. Mezza rata • 34. La coppiera degli dei • 35. Idiota, tonto • 37. Lo zar terribile • 40. C’è quel del vero • 42. Periodo storico • 44. Grosso camion • 46. Leva centrale.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 51
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 13 dicembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 11 dic. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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La soluzione del Concorso apparso il 23 novembre è: SCOLPIRE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Lucia Gianettoni via Contra 423 6648 Minusio Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: “carte regalo FFS” Le Ferrovie Federali Svizzere offrono 2 carte regalo per un valore totale di 100.– CHF a 1 fortunato vincitore. Ulteriori informazioni visitando il portale ffs.ch/cartaregalo
Biglietti per un evento sportivo, un concerto, un viaggio dell’Agenzia viaggi FFS, carte giornaliere, abbonamenti, orologi FFS di Mondaine o Smartbox: questo e molto altro può essere pagato con la carta regalo FFS. La carta valore è il regalo ideale per ogni occasione, è disponibile presso tutti gli sportelli FFS e l’importo da caricare può essere stabilito liberamente tra 10 e 3.000 franchi. E per adeguare il regalo all’occasione, è possibile scegliere tra cinque soggetti diversi. A proposito: dopo ogni acquisto con la carta regalo FFS, la validità sarà automaticamente prolungata di altri due anni.
Giochi
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Un tocco di ispirazione per le giornate di festa. Con le squisite varietà Crème d’or è facilissimo preparare il dessert più adatto ad ogni ospite! I gusti classici e in edizione limitata sanno infatti come viziare i palati più esigenti. Non per nulla nei gelati Crème d’or ci sono solo ingredienti scelti e buonissima panna svizzera. Trovi tante ricette festive per te e i tuoi cari su www.creme-d-or.ch