№ 51
del 21 dicembre 2012
con Teleradio 23 – 29 dicembre
Buon Natale
diversameNTe
C T › RT › T Z › .–
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Ticinosette n° 51 del 21 dicembre 2012
Impressum
Agorà Svizzera. Visti da fuori
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Arti Over the Rainbow. Una canzone da sogno Mundus L’eccezione e la regola Kronos Fuori le mura
di
di
Gastronomia Ortaggi. Zucche piene
Luoghi Centri commerciali. Oltre il bazar
Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch In copertina Patrizia, laboratorio protetto Fonte 2, Agno Fotografia di Reza Khatir
Fotografie di Reto Albertalli Matteo Aroldi Giosanna Crivelli Ivana De Maria Matteo Fieni Peter Keller Reza Khatir Flavia Leuenberger Igor Ponti Jacek Pulawski Didier Ruef Katja Snozzi
Vitae Nicola di Myra
di
Fabio Martini
Reportage Non solo a Natale Fiabe Edna, la talpina
di
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roberto roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di
Marco Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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daniele Fontana; FotograFie di reza Khatir . . . . . . . . . . . . . .
Fabio Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Cosmesi. Feste col trucco! Letture L’infanzia negata
tito MangialaJo rantzer
Francesca rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiusura redazionale Venerdì 14 dicembre
Redattore responsabile Fabio Martini
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duccio canstrini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tiratura controllata 70’634 copie
Editore Teleradio 7 SA, Muzzano
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Marco Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Marisa gorza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
nicoletta barazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Al prossimo Natale Qualche anno fa mi trovavo alla stazione di Zurigo . Era una gelida giornata di dicembre e tutti si affrettavano con le borse colme di regali natalizi . Decisi allora di rifugiarmi dentro il buffet della stazione per bere qualcosa di caldo . Mi sistemai con il mio bicchiere fumante a un tavolo, felice di godermi un tè . Un uomo si avvicinò al tavolo accanto al mio . Non so se fosse un senza tetto o semplicemente qualcuno che non voleva avere intorno a sé tutte le gabbie che ci costruiamo ogni giorno . La cosa certa è che aveva comprato un tè esattamente come me, pagandolo come tutti gli altri . Sembrava felice di possedere quella bevanda calda e tenerla tra le mani, di scaldarsi un poco prima di affrontare un’altra notte di gelo, chissà dove e in quali condizioni . Il suo sguardo incrociò il mio . Aveva grandi occhi azzurri e il viso assai giovane era solcato da profonde rughe, il volto di chi ha conosciuto luoghi di dolore nei quali nessuno di noi vorrebbe mai trovarsi . Mi salutò: “Guete obe!” . “Salve” risposi, con qualche riluttanza,
angosciato di trovarmi “costretto” a fare la sua conoscenza . Qualche minuto dopo entrarono due agenti di sicurezza, alti, possenti, impeccabili nelle loro uniformi . Si misero a osservare i presenti con apparente disinteresse, come fossimo fatti d’aria, finché il loro sguardo si posò sul signore vicino a me . Per un attimo che parve un’eternità il barbone guardò gli agenti, appoggiò il bicchiere di tè caldo e si allontanò svelto, perdendosi tra la folla indaffarata . Nessuno aveva proferito parola ma era bastata un’occhiata per indurlo a tornarsene fuori, al freddo . Ogni anno, quando il Natale si avvicina, per qualche strana ragione ricordo quell’incontro che ha lasciato in me un segno profondo sia perché io non reagii (anche se in verità non so cosa avrei potuto fare), sia perché quest’uomo, anche se non dava fastidio a nessuno e aveva pagato la sua consumazione come tutti, sentiva di non avere nessun diritto di stare in quel luogo, né di fare parte della collettività . Buona lettura, Reza Khatir
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Museo Casa Cavalier Pellanda, Biasca
I fotografi di Ticinosette L’esposizione rimarrà aperta fino a domenica 27 gennaio 2013 . Il catalogo della mostra è edito da EdizioniSalvioni, Bellinzona
Svizzera. Visti da fuori
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Agorà
Capire noi stessi grazie allo sguardo degli altri. Una riflessione – tra pregiudizi e analisi altrui, tra vizi e virtù – sulla nostra identità svizzera e ticinese… di Marco Jeitziner illustrazione di Alessia Passoni
N
el mese di giugno (Ticinosette n. 25/2012) scrivevamo della scarsa capacità dei ticinesi di saper integrare gli stranieri, donne e uomini, superando il muro dei pregiudizi legati anche solo all’aspetto fisico. Dopo aver suscitato più di una polemica, ora vale la pena interrogarsi sull’altra faccia della medaglia, cioè su come noi veniamo percepiti dagli altri. Questa è la componente imprescindibile di un processo, l’integrazione, necessariamente a due sensi. Non è cioè possibile aprirsi a ciò che è diverso e riconosciuto come tale, ovvero l’alterità cara agli antropologi, senza considerare la visione altrui. Partendo proprio dagli stessi pregiudizi, fondati o meno, spesso legati a esperienze personali o a periodi storici definiti, che alcuni stranieri hanno su di noi, svizzeri del sud.
Freddini ma pacioni Forse nessuno straniero come i nostri confinanti italiani del nord ci conosce meglio. Ogni giorno decine di migliaia vivono e lavorano tra di noi. Stessa lingua, cucina, letteratura, arte e mass-media, eppure così diversi, stando ai vari commenti che tempo fa ho potuto raccogliere da internet, blog e forum (il condizionale è tuttavia d’obbligo). Per un primo osservatore saremmo “molto più freddi e meno espansivi dei tedeschi”, avremmo cioè “una mentalità più ristretta”. “Si fanno un po’ più i fatti loro” dice un’altro. Riservatezza e introversione che i tedeschi, i secondi maggiori visitatori del nostro territorio, confermano in un recente studio: “il 10,7% dei visitatori ritiene i residenti inospitali”, mentre “il 21% ritiene alta o molto alta la probabilità di incontrare residenti inospitali”.1 Insomma, scorbutici e poco cordiali. I ticinesi sarebbero bravi “a giudicare (spesso senza conoscere, e male) altre persone di cui sanno ben poco, solo perché sono diverse da loro”, sostiene qualcun altro. “Freddo, quadrato, calcolatore, egocentrico”, dice di noi un’osservatrice, specialmente chi “parla quasi solo dialetto”. Gli svizzeri addirittura “peggio degli americani”, perché “pensano solo a fare soldi” sbotta uno. Per non far venire troppo prurito a qualche lettore, c’è anche chi pensa che non siamo poi così diversi dai lombardi: “a parte un maggior senso civico, non diffuso tra tutti, naturalmente, ma più diffuso che in Italia, non mi sembra ci siano molte differenze culturali con il nord della Lombardia”. C’è anche chi riconosce in noi delle virtù: i ticinesi sarebbero “onesti lavoratori, buona e brava gente”, oppure per un altro “allegri, sanno mangiare e bere, e non sono perennemente incazzati come troppi italiani”.
il filologo spagnolo Carlos Alfonso Lombana Sánchez4, ma presente nel mondo solo nelle sue più dirompenti espressioni xenofobe, come il voto popolare contro i nuovi minareti, simbolo di un “regressivo e torvo rifiuto dell’altro” per il germanista italiano Claudio Magris.5
Noi, questi sconosciuti Oltre alla riservatezza e alla scarsa estroversione, qualcuno non ha potuto non notare il marcato provincialismo che ci contraddistingue, ritengo più per scelta che non per condizione imposta. In tal senso, ci ostiniamo a considerare gigantesche le prossimità. Spostarsi a vivere da Roma a Lugano, cioè da una metropoli a “un paesone”, afferma uno, comporterebbe “grossi svantaggi dal punto di vista della vita sociale”, nonostante il fatto che “la quantità di stranieri qui è enorme”. Chiediamoci quanto sono vivi e vitali i nostri paesoni. Quanti di noi frequentano le case e i ritrovi dei tanti stranieri presenti. L’impressione più diffusa è che, di noi ticinesi e svizzeri, gli stranieri sappiano ben poco. “Io dei ticinesi non penso né bene né male, perché della Svizzera non si sa mai niente” afferma uno. La propensione alla riservatezza un eufemismo? All’Esposizione mondiale di Siviglia del 1992, ricordiamo, il paese si presentò con il provocante e ironico motto “la Svizzera non esiste”, interrogando in realtà con pertinenza la nostra multipla e, proprio per questo, difficilmente definibile identità. Nello stesso periodo l’etnologo francese Isac Chiva scriveva: “il francese medio, compreso quello ben informato, non sa assolutamente nulla della Svizzera”2. Forse davvero non interessiamo a nessuno perché, forse, non siamo così interessanti? Paul Bilton è un pubblicista inglese che lavora nei dintorni di Zurigo. Come vedono gli svizzeri gli altri? Semplicemente, scrive, “gli altri tendono a non vederci”, i romandi sono “difficili da differenziare dai francesi insolitamente puntigliosi”, i ticinesi sono “facilmente confusi con degli italiani leggermente più rigidi”, gli svizzero tedeschi sono “spesso ignorati come fossero dei tedeschi sedati”3. Troppo diversi per essere simili, troppo divisi per essere assimilati a qualcosa. “Una Svizzera unita fino all’inesistenza degli svizzeri, sia come nazione, sia come paese” afferma
Sguardi inglesi Diccon Bewes è inglese e fa il libraio a Berna. Con ironia afferma che il miglior cantone in cui vivere è il Ticino. Motivo: “il resto della Svizzera può mettere in dubbio l’etica ticinese del lavoro, o la sua mancanza, ma non è certo una coincidenza se è il cantone con più vacanze pubbliche di tutti”6. Amiamo controllarci (nelle emozioni) e controllare (gli altri). La Svizzera “è una burocrazia tanto quanto una democrazia”, dice. A volte “si deve persino provare che non si è sposati, che non ci sono multe di parcheggio o che si vive dove si dice di vivere”. Ma “per una nazione che apprezza la privacy, è quasi strano vivere con un tale controllo”! Per Bilton avremmo “un bisogno insaziabile di controllare tutto e tutti”. La nostra apparente freddezza sarebbe in realtà per Bewes “il rispetto dello spazio personale e il prendersi il tempo per conoscere qualcuno”. Non essendo sanguigni come gli spagnoli, per esempio, il carnevale (in partiolare in Ticino) è “l’unico momento in cui gli svizzeri si lasciano veramente andare, vestono abiti oltraggiosi, si ubriacano allegramente e in genere si comportano come il resto degli europei”. Saremmo un paese di preoccupati, ma i ticinesi “hanno la terribile tendenza a non preoccuparsi abbastanza”, scrive Bilton. Che rilancia: saremmo formali (“si possono vedere scolaretti che si stringono la mano quando si incontrano”), autoritari (“i bambini devono essere visti ma non uditi”), ossessivi (“ogni mattina sembrano voler allontanare le loro fobie aprendo le finestre per arieggiare piumoni e cuscini”). Infine, Bewes lancia un’idea rivoluzionaria: “se i treni svizzeri fossero più in ritardo, forse gli svizzeri si parlerebbero più spesso e l’intero paese sarebbe un po’ più aperto”.
note 1 “Valutazione destinazione Ticino - Il mercato tedesco”, Osservatorio del turismo, 2012. 2 “La Svizzera: dall’invisibilità alla metafora” in La Svizzera - Vita e cultura popolare, Casagrande, 1992, pag. 1503. 3 Xenophobe’s guide to the swiss, Oval Books, 2011, ristampa aggiornata. Traduzione dell’autore. Esiste anche la versione italiana Svizzeri, se li conosci non li eviti, Edizioni Sonda, 1995. 4 Suiza y Europa: Problemas de identidad cultural y aproximación al concepto de pertenencia de nación en Max Frisch, Friedrich Dürrenmatt, Peter Bichsel y Adolf Muschg, Grin Verlag, 2010, pag. 7. 5 La letteratura è la mia vendetta, con Mario Vargas Llosa, Mondadori, 2011. 6 Swiss watching - Inside Europe’s Landlocked Island, N. B. Publishing, 2010 (traduzione dell’autore).
Agorà
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Una canzone da sogno Over the Rainbow è certamente una fra i brani più conosciuti ed eseguiti al mondo. Proviamo a tracciarne la storia fra artisti, aneddoti e grandi interpretazioni di Tito Mangialajo Rantzer
Arti
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Il 1939 è passato alla storia come l’anno in cui scoppiò la di Arlen, Yip Arburg, non apprezzò la melodia, ma fu convinto Seconda guerra mondiale, con l’invasione della Polonia da da Ira Gershwin, fratello del grande George, a mettere le parole parte della Germania nazista e tutto quello che purtroppo alla canzone che trovava invece meravigliosa. In verità, Ira ne seguì. Ma dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, negli Stati suggerì ad Harold Arlen di aumentare leggermente la velocità Uniti ancora lontani dal prender parte al conflitto, quell’anno del brano e di semplificarne l’accompagnamento armonico, avvenne un importante debutto cinematografico: il 15 agosto indicazioni che il compositore seguì prontamente. Forse questi venne presentato al Grauman’s Chinese Theatre di Hollywood accorgimenti suggeriti da Ira determinarono la fortuna del il film di Victor Fleming The Wizard of Oz (Il mago di Oz), con brano, anche se, una volta terminata la canzone, bisognava Judy Garland e Frank Morgan. convincere i dirigenti della MGM a inserirla nel film. La scena La pellicola, basata su una serie di romanzi per bambini in cui la Garland canta il brano fu infatti tagliata e inserita scritti sul finire del XIX secolo dallo scrittore Frank Baum, per ben tre volte: i capi della MGM pensavano che questa parte era di fatto un musical con la colonna sonora composta dal avrebbe rallentato troppo il ritmo narrativo della pellicola. grande compositore Harold ArAlla fine però, Louis B. Meyer, len (1905–1986). Tra le canzoni padrone delle MGM, fu convinche facevano da vero e proprio to a inserire la canzone nel film collante alla storia, una in parda Arthur Freed, grandissimo ticolare guadagnò un enorme e paroliere (autore, fra l’altro, di immediato successo, divenendo Singin’ in the Rain) e produttore nel giro di pochi anni uno dei cinematografico (sue le produbrani più eseguiti al mondo zioni di Singin’ in the Rain, An fino a essere votata nel 2001 American in Paris e Gigi). dall’Associazione dei Discografici Americani (RIIA) “Canzone Vita propria del secolo”: Over the Rainbow. La canzone, a differenza delle Harold Arlen, figlio di un canaltre presenti nel film, comintore di sinagoga, era un enfant ciò immediatamente a godeprodige, pianista e cantante. re di vita propria, diventando Judy Garland. Immagine tratta da www.fanpop.com Fu scelto dalla produzione, la un cosiddetto “standard jazz”, Metro Goldwyn Meyer, dopo grazie alle interpretazioni che che il grande Jerome Kern rifiutò di comporre le musiche per subito ne diedero importanti musicisti. Solo un mese dopo il film perché convalescente da un infarto. l’uscita del film, la “Top 10” americana contava ben quattro versioni differenti del brano: in testa la versione dell’orchestra Un ottimo suggerimento di Glenn Miller, in seconda posizione l’orchestra del fratello Arlen, dopo aver composto alcuni brani a tempo medio e ve- di Bing Crosby, Bob; Judy Garland soltanto quinta. loce, sentiva che al film mancava una canzone a tempo lento, Le interpretazioni si sono quindi susseguite senza sosta: tra una ballad. Ma i giorni passavano e nessuna idea musicale le più note e riuscite, rimanendo nel campo del jazz, bisogna si concretizzava nella sua mente, così cominciò a diventare ricordare quel del pianista Art Tatum, che la registrò in piaansioso. Finché, come lui stesso raccontò in seguito, mentre no solo nel 1955, e quella del sassofonista Art Pepper, che la era al volante della sua auto, una prima idea melodica arrivò, suonò nel disco inciso dal vivo al Village Vanguard di New non chiedendo altro che di essere sviluppata. Questo primo York nel 1977. germe melodico che risvegliò Arlen era il semplice salto d’ot- Ma anche Ella Fitzgerald, l’orchestra di Stan Kenton, Bud Potava, salto melodico associato alla parola “somewhere” con well, Chet Baker si sono cimentati con questo “evergreen”, solo il quale comincia la canzone e che sembra proprio portarci per citare alcuni jazzisti. Anche tantissimi cantanti e gruppi sopra l’arcobaleno, in una terra in cui i sogni diventano realtà pop e rock hanno dato la loro versione di Over the Rainbow e volano i “bluebirds” (sono degli uccellini della famiglia dei nel corso degli anni (recentemente la stessa Mina, nel suo tordi che vivono negli Stati Uniti, dal bellissimo piumaggio ultimo album 12 (American Song Book)), contribuendo quindi azzurro, rappresentazione di felicità e ottimismo, nonché sim- a trasformarla in una delle canzoni più eseguite di sempre, bolo dello stato di New York). Inizialmente il fidato paroliere conosciuta in ogni parte del mondo.
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L’eccezione e la regola La solidarietà è merce rara anche in tempi natalizi, se la vista di un poliziotto che dona un paio di scarpe a un senzatetto scatena un’ondata di interesse a livello globale. Forse perché la legge della giungla – d’asfalto o meno – non è l’unica a regolare i rapporti fra animali, bipedi o quadrupedi che siano di Duccio Canestrini
La fotografia del poliziotto americano Lawrence Deprimo che
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regala un paio di stivali a un senzatetto (nell’immagine) ha fatto il giro del mondo in poche ore, ottenendo rapidamente mezzo milione di contatti sui social network. Come mai? Qualcuno sostiene che la ragione di tanto interesse è dovuta al fatto che essa rappresenta un’eccezione rispetto alla regola: sono molti, documentati e denunciati, i casi di abusi da parte di agenti della polizia nei confronti di chi dorme in strada, a New York. Sicché la spiegazione è che, probabilmente, abbiamo bisogno di sperare, di credere, di sognare. Ma c’è qualche cosa di più. Perché quella foto conferma un’intuizione che più o meno, prima o poi, tutti abbiamo avuto, e cioè che l’umanità potrebbe essere più umana. Se soltanto lo volesse. Homo homini lupus L’uomo si comporta da lupo con l’uomo. Lo lamentava già il commediografo latino Plauto, lo sostennero o lo paventarono umanisti e filosofi nel Cinque e nel Seicento, tra cui Erasmo da Rotterdam, Francis Bacon, Thomas Hobbes. Come se lo stato di natura, lupesco, fosse un inferno. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Mors tua vita mea è una parziale verità. Non sempre le dinamiche naturali seguono questo corso. In realtà, c’è parecchia convivenza pacifica, nel mondo della natura. Ora non sto dicendo che non esistano le predazioni cruente, al contrario, sono la regola (Darwin, sì, ma anche Woody Allen: “La Natura è un grande supermercato”). Ma forse la cosiddetta legge della giungla non è la sola legge della giungla. Di fatto siamo arrivati a questa formulazione perché abbiamo orientato le nostre ricerche in un’unica direzione, per trovare prove dell’aggressività, della belligeranza, della competizione. Cioè per confortare la tesi della sopravvivenza del più adatto, del più tosto, del più egoista. Altri studi dimostrano il contrario. Lo zoologo tedesco Martin Lindauer, per esempio, autore di Sulle tracce dell’altruismo (Feltrinelli, 1993) e il filosofo americano Thomas Nagel, autore di La possibilità dell’altruismo (Il Mulino,
1994) scandagliano a fondo le origini e le funzioni di molti comportamenti disinteressati. E giungono alla conclusione che anche la solidarietà tra specie e tra individui ha contribuito alla (nostra) evoluzione. La solidarietà del branco I lupi, per esempio, non sono affatto quei “lupi” che noi reputiamo. Nei giorni scorsi, un’altra notizia è balzata sulle prime pagine di alcuni quotidiani online. Riguarda proprio una lupa. Quattro anni fa a questa femmina di lupo fu troncata una zampa posteriore dalla fucilata di un cacciatore, sull’Appennino bolognese. Gli zoologi del Parco regionale dei Gessi Bolognesi la dettero per morta; animale inabile, sarebbe stata di peso per la piccola colonia. E invece il guardaparco Massimo Colombari il mese scorso l’ha rivista e fotografata, ed è rimasto a bocca aperta vedendola all’opera. Sì, perché il branco, a questa giovane lupa mutilata, ha saputo offrire un ruolo che gli etologi chiamano di helper: in questi anni ha aiutato la madre ad allevare tutte le cucciolate successive. Ce la fa, serve, ed è integrata nel suo gruppo. Come definire questo comportamento se non solidarietà, cooperazione, mutualismo. Verrebbe quasi da dire umanità, se non fosse stato un umano a spararle. Qual è dunque il comportamento che noi stigmatizziamo come bestiale o disumano? La nostra rapida, e per molti aspetti misteriosa, evoluzione culturale ci darebbe la possibilità di esercitare un libero arbitrio rispetto a certe costrittive determinazioni etologiche. Eppure siamo ancora animali territoriali, facciamo guerre per la leadership, per i confini e per le risorse. Salvo meravigliose eccezioni, appunto. Dare aiuto e sostenere un proprio simile è, dunque, una nostra prerogativa come dei lupi e di molte altre specie animali. Il successo dello scatto fotografico che ritrae un agente di polizia empatico e generoso dimostra che tale possibilità non solo esiste, ma ci entusiasma.
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Fuori le mura La filosofia è di moda, si sa, come i numerosi festival dedicati a questa disciplina attestano. Un recente convegno tenutosi a Torino ha cercato di indagare – mettendo a confronto le esperienze maturate in Germania, Svizzera e Italia –, il ruolo e la funzione di questa disciplina nella contemporaneità di Francesca Rigotti
Il boom dei festival di filosofia e delle numerose iniziative che ruotano intorno alla filosofia (caffè filosofici, consulenza filosofica, filosofia in carcere ecc.) mostrano – come è stato illustrato nel numero di settembre 2011 di Ticinosette dedicato proprio a questo tema – l’esigenza di far uscire la filosofia dal “grembo delle università”, secondo l’invito di Peter Sloterdijk, per farla entrare “sugli schermi, nelle scuole e nei festival popolari”. Il festival però presenta il rischio – a detta del filosofo Ugo Perone, fondatore della Scuola di Alta Formazione Filosofica di Torino, che proprio sul ruolo pubblico della filosofia ha promosso di recente un convegno in un confronto tra Italia, Germania e Svizzera – di una spettacolarizzazione che rischia di privilegiare la superficialità a discapito della profondità, dell’autenticità e dell’intensità, prerogative essenziali di questa disciplina.
pongono agli ospiti questioni accurate che richiedono risposte profonde e dettagliate sul senso e sul fine, sulle cause e sulle speranze, sui desideri e le utopie.
Il ruolo politico della filosofia Il discorso sull’uscita della filosofia dai luoghi accademici per entrare nel pubblico riguarda però anche il suo rapporto con la politica. L’antico filosofo greco Platone pensava che l’unico modo per governare in maniera appropriata fosse o che i re diventassero filosofi, oppure che i filosofi diventassero re, governando essi direttamente. Senza voler osare tanto – anche perché riteniamo che i rischi sarebbero eccessivi – possiamo senz’altro dire che l’azione politica necessita della filosofia “per interrogarsi sui propri scopi e sui propri strumenti al fine di evitare la trasformazione della politica in mera amministrazione e la riduzione del bene comune all’aspetto economico”, come recita proprio il foglio programmatico del Convegno internazionale della Scuola di Alta Immagine tratta da www.theepicureangardener.blogspot.com Formazione Filosofica di Torino.
L’ora delle stelle filosofiche Tali critiche non possono essere certo mosse a una forma di espressione filosofica non ortodossa, nel senso che non si svolge all’ombra delle accademie bensì sotto le luci dello studio televisivo, per poi essere diffusa dagli schermi e dalla rete: la trasmissione della Svizzera tedesca Sternstunde (L’ora delle stelle) Philosophie. Una delle sue curatrici e attuali conduttrici, Katja Gentinetta, ci spiega che la Sternstunde è l’unico luogo in cui, sui media della Svizzera tedesca, viene esplicitamente usata la parola “filosofia”, assente dalle rubriche dei quotidiani e dei settimanali o di altri programmi radiotelevisivi, in cui si discute magari, e anche spesso, di filosofia, ma senza usare esplicitamente il termine. Gli ospiti della Sternstunde Philosophie, che viene trasmessa alle 11 del mattino della domenica come una specie di messa laica, non sono soltanto filosofi ma anche personalità del mondo della cultura, dell’arte, della scienza, della politica e dell’economia. Quel che è decisivo tuttavia è che le persone vengono interrogate in maniera approfondita, intorno al generale e al particolare del loro pensare e operare; si chiede loro di riflettere, e di rispondere in maniera argomentata sul perché questa o quella situazione vengano presentate così e non in un altro modo. Nel rispetto del pubblico televisivo, si
La filosofia nella sfera pubblica Il naufragio dei grandi progetti metafisici non significa assolutamente la fine della filosofia che gode anzi di ottima salute, come abbiamo visto, quanto ai contenuti. Oggi tanti problemi chiedono di essere trattati anche da un punto di vista filosofico, così che, come ha ricordato Günter Abel – filosofo e professore alla TU di Berlino, intervenuto al Convegno –, possiamo e dobbiamo “sciogliere le vele alle nostre navi”, secondo la bella espressione di Nietzsche, che a Torino fu di casa. L’interesse per la filosofia cresce: dalla filosofia ci si aspetta un contributo alle domande di rilevanza centrale per i singoli e per lo spazio pubblico, sui temi chiave che riguardano giustizia, libertà, vita, senso, ragione, morte. Eppure la filosofia come disciplina soffre, soffocata tra le scienze naturali e le scienze sociali e pedagogiche, e assillata da domande di finanziamento per programmi di ricerca collettiva (sic), che oltre a ciò inesorabilmente pretendono anticipazioni sui risultati e la loro applicabilità. Ma la filosofia è davvero un’altra cosa.
Kronos
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Zucche piene La polpa e i semi sono ottimi; la buccia, seccata, può trasformarsi in un contenitore. Per questo i contadini la chiamavano “il porco degli ortaggi”… perché della zucca non si butta nulla di Roberto Roveda
Gastronomia
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Si parla di zucca e subito viene in mente Halloween, la festa americana che da un paio di decenni ha preso piede anche nel Vecchio Continente. Oppure la zucca di Cenerentola, trasformata in carrozza. In cucina si pensa al massimo a qualche crema in busta oppure ai famosi tortelli della tradizione mantovana. Questo per dire che la zucca non ha oggi, almeno dalle nostre parti, la stessa fortuna di altri ortaggi, dal pomodoro, alla patata per arrivare alla zucchina, che altro non è che una varietà di zucca consumata quando non è giunta ancora a maturazione. Un vero e proprio smacco per il nostro ortaggio, sorpassato dalla “sorella minore”. Insomma, un prodotto di nicchia, forse a causa del suo sapore dolce, per alcuni vagamente indefinito: “sciocco” infatti lo definivano i grandi cuochi del Cinquecento, epoca però in cui la moda era quella dei sapori estremi. Conta certamente il legame che la zucca ha avuto con le tavole umili, contadine, cosa che non l’ha resa protagonista dei grandi ricettari dei secoli passati, destinati a imbandire le mense nobiliari, non consentendole di esprimere tutte le sue potenzialità. Che in realtà sono tante.
voluptate et valetudine (“Il piacere onesto e la buona tavola”), il più importante trattato di cucina del Quattrocento, scriveva: “Le gole delicate della gente d’oggi esigono pasticci di carne d’uccelli o di altri animali da cortile, non prodotti dell’orto. Disprezzano la bietola, la zucca, la rapa giudicandoli vivande de servi”.
Novità americane I servi, intanto ringraziavano il cielo che con la scoperta delle Americhe fossero giunte in Europa nuove varietà di zucca di gran lunga migliori rispetto a quelle usate dai romani. Le zucche americane sono poi quelle che ancora oggi mangiamo, quelle dalla forma tonda oppure allungata, simili a un grosso turbante, dai colori verde marino, giallo o ancora arancione. Ortaggi polposi, carnosi, soprattutto molto più grandi delle varietà continentali. Oggi esistono zucche capaci di raggiungere, con particolari attenzioni, i cento chili di peso, però i nostri antenati si contentavano di molto meno, anche se mettevano nella coltivazione di questi ortaggi una grande cura, distribuendo i semi alla giusta distanza, in terreni non troppo sfruttati così che le zucche Poco snob crescessero il più possibile. Immagine tratta da www. ricettedellanonna.net I romani la chiamavano “cibo per pleUna zucca poteva sfamare una famiglia bei”, ma bisogna anche dire che usavaper giorni, sotto forma di minestra, no una varietà di zucca piccola e panciuta, la lagenaria, oggi accompagnata alla polenta, in marmellata oppure come utilizzata solo a scopi ornamentali a causa della sua polpa dura dolce. E più era grande più si mangiava e più si avevano see poco invitante. Però compresero il valore e la grande versati- mi da tostare e salare per fare i brustolini (o bruscolini) o da lità di questo ortaggio: al vapore, bollito, arrostito, dovunque utilizzare come sementi. In gioco c’era la sopravvivenza e per lo mettevi e comunque lo cucinavi faceva la sua figura. Il po- sfamare gli europei, le zucche svolsero la loro parte assieme eta Marziale (40–104 d.C.), ci ha lasciato, in questo senso, un alla patata e al mais, anche se con meno risonanza. Quel che divertente epigramma su un anfitrione che usava solo zucche avanzava, la buccia, scavata con attenzione e seccata, veniva per elaborare ogni sorta di vivanda: “… le zucche Cecilio / taglia usata per contenere latte, vino, sale. Oppure nelle zucche in mille pezzettini. / Le mangi all’antipasto / te le dà nella minestra vuote si sbatteva la panna per fare il burro e quelle più piccole / te le serve per pietanza / le mette nel contorno”. diventavano borracce o artigianali maracas per i giorni di festa. Una versatilità che si esaltava se si aveva l’accortezza – è forse Poco importa che i nobili la snobbassero: l’importante erano i questo il segreto per valorizzare la zucca – di accostarla a sapori mille usi intelligenti che questo ortaggio offriva. Usi tutt’altro forti. Così univano la polpa al garum, orrido – almeno per i che “zucconi”… nostri palati – intruglio di pesce salato impastato con interiora e lasciato imputridire al sole. Oggi si può far molto meglio con per saperne di più il taleggio, la mostarda oppure delle acciughe. La zucca. La storia, le tradizioni e le ricette Nonostante i versi di Marziale, la zucca rimaneva un cibo per di Paolo Morganti e Chiara Nardo Morganti editori, 2010 poveri e certamente l’accostamento al garum non migliorava le La storia della zucca raccontata dai vecchi libri di cucina, ma con un occhio cose. Circa mille anni dopo la fine dell’Impero romano, infatti, di riguardo alle curiosità, alle leggende e alle tradizioni popolari a essa legate. il Platina (1421–1481), grande umanista e autore del De honesta Per concludere, più di sessanta ricette.
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Centri commerciali. Oltre il bazar di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger
negozi di alimentari, frutta e verdura sono sempre all’entrata, a invitarci all’acquisto coi loro colori “naturali” e i loro aromi “freschi”. Non compriamo quasi mai liberamente, né quello che vogliamo veramente. Si chiama manipolazione del consumatore, perennemente desideroso perché triste, spesso frustrato perché indebitato.
Luoghi
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Con ‘ste volpi e ‘ste uova ci hanno proprio stufato. Sono spazi tutti uguali in cui si incrociano ogni giorno, ma raramente interagiscono, casalinghe disperate, single affrettati, anziani dispersi, famiglie a passeggio manco fossero a Disneyland, bambini allucinati, turisti senza inventiva, giapponesi, indiani, capre e cavoli. Almeno i turchi e i persiani avevano (hanno?) i loro bei bazar con un minimo di storia, di importanza sociale, di creatività. Nella nostra società, invece, chi vende vestiti non interagisce con chi vende elettrodomestici, e chi compra i primi se ne frega degli altri clienti. Culture e prodotti, persino marchi e loghi, si fondono e si confondono in questi prefabbricati massificati, perennemente illuminati a giorno con le loro sciatte canzonette, interrotte solo da annunci promozionali ripetitivi. A fare da contorno, dipendenti perfettamente interscambiabili, come i loro sorrisi di convenienza e i loro gentili consigli. La scienza dello scaffale Tanti anni fa, in un noto grande magazzino food e non food, come si dice nel loro gergo, ero addetto al reparto bibite, con tutti i colori del mondo. Dovevo mettere davanti, pronte per l’acquisto, le bevande che scadevano prima e lasciare dietro quelle a conservazione più lunga. Prendevo gassose da un litro e mezzo e traslocavo, agguantavo pacchi di tè freddo e spostavo, caricavo casse di aperitivi e traslavo. Tutto il giorno, chino sui cartoni di succhi e liquidi assurdi. Un giorno ho osservato gli scaffali, tutti gli altri scaffali, accorgendomi che tutta quella mercanzia non era mica messa lì a caso, oh no, la disposizione è scientifica. Si chiama “marketing sensoriale”. Per esempio, si gioca coi colori degli imballaggi o dei prodotti stessi. La diversa gradazione di giallo della pasta ha il compito di “anticipare” il gusto, un certo tipo di gusto. Nei
Desideri e frustrazioni Il centro commerciale è luogo per accattoni e ladruncoli, ma anche per acquirenti compulsivi. Tralasciamo questi ultimi, poveri cristi, e diciamo pure che nei negozi, grandi magazzini e centri commerciali svizzeri si ruba di brutto. Me lo aveva confermato una nota catena commerciale. Si ruba soprattutto, tenetevi forte, cosmetici, vestiti e salumeria. I ladri, si badi, appartengono a ogni fascia di età e ceto sociale. Vabbè, poi c’è anche chi tenta di rubare una sega circolare in un centro commerciale di Pescara (chissà cosa voleva tagliare?); o quelli a Parma che senza la Playstation proprio non potevano vivere; o ancora quelli degli elettrodomestici in Toscana ecc. Sono notizie vere. E poi ci sono i frustrati, quelli che i loro desideri non riescono a esaudirli, perché non hanno i soldi o il tempo. Li vedi vagare tra i surgelati, poi salire al piano superiore nel reparto sportivo, poi in quello edile e hobby, poi tra le camerette di pino dei bimbi ecc. Guardano, toccano, con facce da veri esperti, girano il cartellino col prezzo e fanno una smorfia o un’espressione di approvazione. In realtà, sognano alla grande e una volta alla cassa alzano le braccia, mostrando le mani vuote, e sorpassano in doppia fila gli ex desiderosi, ormai soddisfatti. Il vuoto in centro Quando mi capita, sempre più raramente per fortuna, di dover passare da uno di questi luoghi, confesso di provare un certo disagio. Un giorno ho dovuto comprare un attrezzo che, ormai, nella mia cittadina non trovi più da nessuna parte. Nemmeno dal piccolo negoziante. Perché? Perché la bottega è stata chiusa da un pezzo a causa della concorrenza dei “grandi”. Allora per comprare quel maledetto attrezzo ho dovuto per forza fare chilometri, auto o mezzo pubblico, sorbirmi il traffico, trovare parcheggio, arrivare al negozio, trovare il reparto, mettermi in coda per pagare e ripartire. Be’, non so voi, ma se questo è il futuro... C’è persino gente che scrive libri (!) sui centri commerciali, ma il punto è un altro: non conta più cosa vendi, ma dove lo costruisci ‘sto baraccone. Da un po’ c’è la moda di ammucchiarli tutti nelle periferie, per poterli fare più grandi. Ma provocano solo intasamenti, inquinamento, e in realtà sono così vuoti e anonimi. Perché i centri commerciali hanno svuotato i nostri centri urbani e un po’ anche la nostra vita.
» raccolta fonti e testo di Fabio Martini; icona russa di autore anonimo
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Nicola di Myra
Vitae
no affibbiati tantissimi: gli anglosassoni, per esempio, mi chiamano Santa Claus, gli italiani Babbo Natale, gli spagnoli Papà Noel, i finlandesi Joulupukki, e nel mio paese di origine Noel Baba, ma potrei andare avanti per ore. Una cosa che proprio mi infastidisce è l’uso che fanno della mia immagine: a Natale migliaia di persone in tutto il mondo si mettono barbe e capelli finti e il classico vestito rosso. Ma più che questo a darmi fastidio è il fatto che utilizzano la mia immagine per vendere prodotti senza mai chiedermi se io sia d’accordo o meno. In fondo il copyright è mio e con tutti i I bambini lo chiamano Babbo Natale e soldi che potrei guadagnare lo attendono fiduciosi ogni anno… e lui, potrei portare una marea di puntualmente arriva, con il suo carico regali a tutti i bambini del mondo. Eh sì, e questo è il di doni e speranze. Ma la sua storia è mio più grave cruccio, io tutt’altro che scontata, come ci rivela in non ce la faccio ad arrivare dovunque e il pensiero che questa interessante chiacchierata al mondo ci siano tantissimi ratore Diocleziano, dato che bambini che non solo non ricevono i regali ero stato nominato vescovo ma che non hanno neanche cibo per mandi Myra dai miei concittadini giare, acqua potabile da bere e medicine per e i suoi metodi non mi garbacurarsi mi spezza il cuore. Si fa il possibile, vano affatto, fui arrestato e naturalmente, ma l’uomo non vede al di là gettato in prigione per otto del proprio naso e senza l’aiuto di tutti io anni. Lei l’avrebbe detto che non ce la posso fare. Per esempio, perché, Babbo Natale è stato un cara Natale, anziché donare giochi e aggeggi cerato? Vede, non si conosce vari non si regalano adozioni a distanza mai abbastanza la vita delle oppure medicine, libri scolastici, abbigliapersone… Comunque quanmento per i bambini meno fortunati? In do salì al trono l’imperatore fondo un oggetto può essere bello quanto Costantino, quello dell’editvuoi, ma resta sempre un oggetto di cui nel to, finalmente fui liberato e mondo esistono milioni e milioni di copie. potei tornare a fare il vescoMa la vita di una persona è una cosa unica vo. La storia che poi avrei e straordinaria e il suo passaggio su questa preso a schiaffi Ario durante terra può davvero portare a cambiamenti il Concilio di Nicea… beh, inimmaginabili! Su questo aspetto non si a tutti può scappare la pariflette mai abbastanza o comunque tropzienza e lui era un tipetto po poco, ed è triste ammetterlo. In questo davvero impertinente. senso, vorrei che il Natale diventasse una Comunque sia, forse per aver festa più aperta e ispirata alla solidarietà perso i genitori durante l’infra le persone, invece, soprattutto qui in fanzia, forse perché desidero Occidente, ci si rinchiude in casa con i che i bambini siano protetti propri familiari a mangiare e bere. Nulla da ogni malvagità umana e di male, anzi, spesso è un momento di debbano crescere sereni, mi condivisione e di serenità indispensabile, sono dato parecchio da fare ma bisogna iniziare ad allargare lo sguardo: e così, fanne una, fanne due, se tutte le famiglie a Natale invitassero una fanne tre alla fine mi hanpersona sola o che si trova in una situaziono chiamato Babbo Natale. ne di indigenza – e oggi, con la crisi e la All’inizio questo nome mi disoccupazione non mancano di certo – il suonava un po’ strano ma mondo comincerebbe a cambiare. poi ci ho fatto l’abitudine. Faccio il moralista? Guardatevi intorno e In realtà di nomi me ne hangiudicate un po’ voi…
»
D
elle mie origini si è sempre discusso parecchio, soprattutto ultimamente. E lo posso capire, con tutto questo consumismo si finisce per prendere asini per renne e viceversa… ma questa mi pare l’occasione buona per fare finalmente un po’ di chiarezza sulla mia vera identità. Anche perché c’è chi va in giro a raccontare che sarei figlio di una nota bevanda americana, ma se lo immagina lei! Gli uomini sono un po’ pazzi, questo è certo. E il problema non sono certo i più piccoli… se fosse per loro non ci sarebbero problemi. Il problema sono i grandi che si dimenticano subito di essere stati bambini e allora giù con le critiche, i sospetti, le indagini… e l’egoismo. E poi, dopo tutti questi secoli di lavoro mi merito o no un po’ di pace e di riconoscimento? Comunque sia, raccontiamola giusta… sono venuto al mondo tantissimo tempo fa, nel 269 d.C. a Patara di Licia, un paesello sulla costa della Turchia, vicino alla città di Myra che oggi chiamano Demre. Il mare mi è sempre piaciuto e il fatto oggi di essere costretto a vivere al freddo non è che in realtà mi vada troppo a genio. Appena posso, infatti, me la filo e torno al caldo del Mediterraneo… ma questo non scrivetelo, per favore! Devo dire che la mia infanzia non è stata molto felice: avevo due meravigliosi genitori, i loro nomi erano Epifanio e Giovanna, ma una pestilenza me li strappò via rendendomi presto orfano. Fortunatamente la mia era una famiglia benestante e profondamente cristiana e così, grazie ai beni di mio padre e all’aiuto dei miei zii, ebbi modo di proseguire gli studi fino alla decisione di diventare sacerdote. A quei tempi essere cristiani non era mica una faccenda da poco! L’ostilità era forte e le persecuzioni all’ordine del giorno. Durante il regno dell’impe-
Non solo a Natale di Daniele Fontana; fotografie di Reza Khatir
Kathrin, centro diurno Fonte 1, Agno
Angelo, casa con occupazione Fonte 3, Neggio
Marinella, centro diurno Fonte 1, Agno
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a vita è così. Una risultanza di combinazioni. Sovente senza meriti né colpe. Disarmante nella semplicità della sua logica. Siamo noi, prodotto di quella logica combinatoria, a volerli vedere e a costruirli, i meriti e le colpe. E la disperazione o la rabbia. O la rassegnazione. O ancora, per chi ce la fa, l’accettazione. Eppure hai un bel dire che è lo stesso principio che fonda la poesia, ma con certe “variazioni rispetto alla norma” è difficile misurarsi sul serio senza l’ausilio di saperi e di strumenti specifici. In quegli specchi, al di là della distanza, vediamo la nostra paura. La nostra fragilità di
Laboratorio protetto Fonte 2, attività conto terzi, Agno
Silvana, centro diurno Fonte 1, Agno
esistenze appese al caso. Quell’attrito, quella fatica, vissuti da ciascuno secondo la propria storia e la propria cultura, sono però la cifra del nostro essere umani. Il buonismo qui non c’entra. Non deve neanche entrarci. La carità neppure. Questa umanità diversa ha sempre dovuto fare i conti con l’altra, maggioritaria, “normale” eppure spesso, nel corso della storia, addirittura feroce nei suoi confronti. Accoglierla, confrontarsi, accettarla, portarle rispetto prima ancora che aiuto, è insieme segno di umanità e di civiltà. Chiede però impegno, fatica, mezzi e sentimenti veri e profondi. Senza dimenticare che quasi nessuna conquista è
Silvio, cuoco presso la mensa Fonte 1 e 2, Agno
definitiva. È una collettività intera, allora, che deve essere chiamata a stare all’erta. Perché questo è uno di quei terreni in cui davvero le parole finte gettano la maschera e le ideologie scaricano la traduzione in pratica del loro pensiero. Abilità diversa viene chiamata oggi la molteplicità di queste “variazioni rispetto alla norma”. Una semantica che si fa politicamente corretta, un ingentilimento delle parole che di per sé è già cosa. Le altre vite Eppure nulla ripaga lo sgomento, la paura, l’angoscia che il primo annunciarsi di questa
Luigi, panetteria-pasticceria-snack bar “Il Fornaio”, Lugano
Fabia, atelier “L’ago nel pagliaio”, Agno
Cristina e Rita, centro diurno Fonte 1, Agno
Daniela e Maria Grazia, mensa Fonte 1 e 2, Agno
Urim, centro diurno Fonte 1, Agno
Sara, panetteria-pasticceria-snack bar “Il Fornaio”, Lugano
realtà spalanca innanzitutto nel cuore di una madre e, per lei e tramite lei, diffonde all’intero cerchio degli affetti. Sopra tutti un pensiero: e quando non ci sarò più chi avrà cura di questa vita? Che, sola, pur nella sua semplicità, anzi proprio per la sua semplicità, non potrà farcela. Da questo interrogativo – che è la ragione stessa del nostro esistere e che però, nella “normalità”, viene a sciogliersi naturalmente con il succedersi degli anni e il crescere di figli e nipoti – nascono commozione e ammirazione. La commozione per i destini individuali che attorno a queste vite si intrecciano e l’ammirazione per le donne e gli uomini che, con le proprie conoscenze e il proprio appassionato servizio, costruiscono i ponti che prima affiancheranno e poi sostituiranno gli affetti familiari. Per portare il più avanti possibile la parabola di queste
vite che meritano, al pari di tutte le altre, di essere vissute nella propria pienezza, nei propri diritti e nella propria meraviglia. Pure questo è un dono. Grande. Fortunatamente non solo di Natale. Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI e il CISA a Lugano. www.khatir.com
Un grazie particolare a Rossano Cambrosio, direttore della Fondazione La Fonte; Monica Kolb, responsabile del Centro Diurno; Stefano Pelascini, responsabile del Laboratorio Protetto; e Luisa Cazzaniga, responsabile della panetteriapasticceria “Il Fornaio”, per la collaborazione alla realizzazione del presente servizio. Un grazie infine a tutte le persone che hanno accettato di farsi ritrarre a testimonianza del loro lavoro e impegno.
GastroGuide. Persone con handicap danno prova delle loro notevoli capacità INSOS Schweiz/ Weberverlag, 2012 Interessante guida gastronomica (ita./ted./fra.) che offre una esauriente panoramica sugli oltre 80 ristoranti e alberghi svizzeri nei quali operano professionalmente persone con differenti gradi di abilità.
Camilla, panetteria-pasticceria-snack bar â&#x20AC;&#x153;Il Fornaioâ&#x20AC;?, Lugano
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Edna, la talpina
Nel prato dietro a casa mia vi-
Fiabe
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veva un tempo una talpina di nome Edna. Come tutte le talpe non ci vedeva un granché e insieme ai suoi fratelli passava tutto il tempo a scavare e a cercare lombrichi e insetti con cui nutrirsi. Grazie alle sue lunghe vibrisse, simili a quelle dei gatti, e alle zampette molto sensibili, Edna riusciva a scavare delle lunghe gallerie alle fine delle quali creava dei piccoli rifugi dove si rannicchiava a dormire quando si sentiva un po’ stanca. Un bel giorno di inverno, quando la terra cominciava a indurirsi per il freddo, a Edna venne in mente un’idea così strana ma così strana che non seppe trattenersi dal comunicarla ai suoi fratelli: “E se anziché scavare sotto la superficie del prato provassi ad andare in giù? Sempre più giù?”. A quelle parole i fratelli scossero la testa sconsolati: “Ecco… un’altra delle tue idee bislacche… Che ragione hai di scavare in giù… e se non trovassi più lombrichi? Che mangerai? E poi, dove pensi di andare scavando in giù?”. “Non lo so! È proprio per questo che voglio andare a vedere. E se scoprissi qualcosa di nuovo che nessuna talpa conosce?”. “Vedi un po’ tu… noi restiamo qui. Abbiamo
di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini
da mangiare e non corriamo nessun pericolo”. Quella stessa notte Edna decise di iniziare la sua avventura: fece un gran scorpacciata di lombrichi e dopo un bel riposino cominciò a scavare in giù, sempre più in giù… Passarono i giorni e le settimane ed Edna continuava a scavare. Ogni tanto riusciva a trovare qualche animaletto da mangiare ma certo la fame cominciava a farsi sentire. A un certo punto sentì che la terra diventava sempre più calda. “Qui c’è qualcosa di strano, comincia a far davvero troppo caldo. Sarà bene che giri un po’ a destra”. E così fece un largo giro tenendo quello strano calore su un lato della sua lunghissima galleria. Non sapendo ormai quando fosse notte e giorno, ogni tanto si fermava e faceva un riposino. Era allora, poco prima di addormentarsi, che gli veniva un po’ di nostalgia dei suoi fratelli: “Chissà cosa staranno facendo?”, si chiedeva, ma poi la stanchezza aveva la meglio.
Un
bella mattina – erano passati molti giorni dalla sua partenza – cominciò ad accorgersi che la terra si faceva più morbida e umida. Inoltre, scavando, trovava una grande quantità di lombrichi di cui ovviamente
approfittò per farsi una bella scorpacciata. A un certo punto le sue vibrisse avvertirono il calore del sole e una gran luce bianca la avvolse. L’aria era calda e si sentivano frinire le cicale. Edna, come tutte le talpe, ci vedeva poco ma, d’altra parte, ci sentiva benissimo e il rumore che avvertiva era per lei del tutto nuovo: DOING, DOING, DOING… Il suono si avvicinava sempre di più fino al momento in cui scorse qualcosa di grande davanti a sé. “E tu chi sei?”, le chiese quello strano animale saltellante appoggiato su due grosse zampe che parevano molle. “Io sono Edna, la talpa esploratrice. Sono partita qualche tempo fa, in inverno, e ho scavato, scavato senza mai fermarmi e ora sono qui… dove fa davvero caldo”. “Certo che fa caldo, siamo in Australia, il paese dei canguri, come puoi ben vedere…” “A dire il vero, io non ci vedo un granché ma sono onorata di conoscere un canguro…” “Mi chiamo Polda e, per la precisione, sono un signora canguro e se vuoi ti porto a fare un giro… Salta qui dentro”, e le indico la borsa del marsupio. Edna si arrampicò fino al marsupio e ci si infilò dentro. “Come è comodo qui”, disse, sorpresa. “Certo che è comodo, ci tengo i miei piccoli! Sei pronta? Reggiti forte che si parte…”. Per Edna fu un’esperienza davvero indimenticabile. Innanzitutto, non era mai andata così veloce in vita sua né mai le era capitato di saltare così in alto. E poi quel mondo era così diverso dal suo: dovunque si avvertiva un buonissimo odore e l’unico rumore era
quello prodotto dalle cicale. Polda la portò in giro e le fece conoscere il koala Gigio che viveva su un grande e alto eucalipto di cui mangiava le foglie. Poi la condusse a fare una scorpacciata di cavallette e infine, al tramonto, tornarono alla galleria. “E adesso che farai?”, chiese la cangura alla sua nuova amica. “Adesso che la galleria è aperta, farò alla svelta a tornare a casa e poi, ogni anno, all’arrivo dell’inverno, tornerò qui per trascorrere insieme a te l’inverno al caldo”. “Sarò felice di accoglierti”, rispose Polda. Le due amiche si abbracciarono ed Edna si infilò nella galleria. Dopo qualche giorno, con grande sorpresa dei suoi fratelli, sbucò a casa e iniziò subito a raccontare la sua avventura. “Allora, la prossima volta porterai anche noi, vero?”, chiesero i fratelli, impazienti. “E va bene… ma d’ora in poi dovrete avere un po’ più di fiducia in me… in fondo sono la prima talpa ad aver attraversato la terra da parte a parte”. L’anno seguente e per molti anni ancora, alle prime avvisaglie dell’inverno, Edna e i suoi fratelli iniziavano il loro viaggio. Dall’altra parte della terra ad aspettarli fiduciosa c’era sempre Polda, la cangura gentile.
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Feste col trucco! Tendenze p. 48 | di Marisa Gorza
Manca un soffio ai giorni del Merry Christmas anche se già aleggia ovunque l’incanto, con quella particolare atmosfera in bilico tra il desiderio di bontà e la voglia di follie, tra slanci di generosità e sfrenato consumismo. Ma anche un’occasione che molte donne attendono per rinnovare il proprio aspetto…
1.
Make up - Per un trucco senza sbavature, c’è un gesto nuovo ed essenziale: subito dopo l’abituale crema da giorno e prima dei prodotti pigmentanti (ne previene l’ossidazione), si applica la Base de Teint Primer, il cui texture, fresco e confortevole, trasforma l’incarnato levigandolo. Si passa poi al Fond De Teint Hydratant, oppure al tipo Fluide Anti-Age, secondo la grana della pelle. Entrambi formulati sulla vitamina E privi di parabeni, vestono il volto uniformando il colorito con toni che, per le carnagioni chiare, vanno dall’Ivoire al Beige Sablé, arrivando ai Beige Ambré e Doré per quelle più scure. Si stende dall’interno verso l’esterno del viso, senza dimenticare palpebre e collo. Lo step successivo prevede l’uso mirato del correttore per illuminare e cancellare del tutto le zone concave e in ombra: vedi occhiaie, nasogeniene e “codice a barre”. Fissiamo con la Poudre Libre, la cipria in polvere all’amido di riso, must della Maison T.LeClerc, usando l’apposito pennello. Per scolpire il viso con la tecnica del contouring è perfetta la Terre d’Hiver che va pennellata sotto gli zigomi, ai lati del naso, sul... contorno del volto, appunto. Insomma dove vogliamo assottigliare e cesellare.
2.
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osa c’è di più gioioso di una tavolata in famiglia o di un incontro con gli amici più cari? Cosa c’è di più eccitante del veglione di san Silvestro, pronto ad aprire lo scenario su un anno tutto nuovo, insieme all’invito a sogni, speranze e propositi (tanti)? Ecco le occasioni per festeggiare tra bollicine di champagne, fuochi d’artificio... e con un look donante regalato da abiti pieni di luce e di colore come vuole la moda opulenta e barocca di Dolce&Gabbana, per esempio, o con le ricche toilette da zarina, stilate da Ferragamo in filigrana dorata. Tutto brilla di luce propria, ma anche riflessa, magari con un sapiente maquillage, così come suggerisce Morena Musi, l’aggiornata e sensibile make up artist di T. LeClerc e Olfattorio, nostra vecchia amica, sempre felice di dispensare le sue impagabili lezioni beauté. ”Il trucco per le feste si ispira ai tasselli dei mosaici bizantini, alle icone russe, alle pietre preziose, ai misteriosi riflessi della luna giocati su lampi d’oro e d’argento… Ed è intenso e di grande effetto”, conferma Morena.
Sguardo - Il trend richiede sopracciglia ben pettinate e infoltite da piccoli tratti di matita, da scegliere tra Blonde, Chatain e Brune. A questo punto ci si può “sbizzarrire e divertire con il colore”, enuncia Morena. Vogliamo occhi sognanti e stellati, vestiti da un trucco che duri per tutta una notte da sballo? Si intinge un pennellino appena inumidito nell’ombretto Galaxie Smoky e lo si passa su tutta la palpebra mobile. L’effetto glitterato viene poi intensificato con una sottile riga di eyeliner Platine o, per chi osa al massimo, con il tocco dorée del tipo MétéOr, in un voluto contrasto con l’argentato. Vale anche un tratto di Khol color Smoky. Gli occhi sublimati e decisi a incantare si completano con il mascara Céleste, di un nero profondo e misterioso, punteggiato da micro paillettes dorate... come la volta celeste.
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Labbra e unghie - Coloriamo le labbra con un rossetto coprente e satinato dal superbo color Rubis, prettamente da diva e a prova di bacio. Anche le unghie si vestono con uno smalto dello stesso rosso seduzione, tuttavia si può alternare con Feuille d’Or o Platine. E perché non scapricciarsi in una personale nail art e sovrapporre due colori? Il risultato sarà favoloso. Ma la voglia di scintillare non finisce qui: T. LeClerc ha creato Multi Usage Pleine Lune, una cipria, o meglio, una nuvola luminosa da far volare qua e là... sui capelli, sulle spalle, sul décolleté e perfino sulle gambe sopra le calze diafane. Un velo di luce che ti rende preziosa come un gioiello.
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L’infanzia negata
Tratto dalla storia vera di Manuel Antonio Bragonzi, il nuovo
» di Nicoletta Barazzoni
ti, che appartengono a una concezione primitiva dell’infanzia, libro di Marcello Foa Il bambino invisibile (Piemme Voci, 2012) ri- ripaga Manuel della sua sofferenza. La storia a tratti assume costruisce le vicissitudini di un bambino cileno di appena cinque proporzioni ancor più dolorose della vita stessa, in quanto anni costretto a confrontarsi con la dura vita trascritta a parole produce nel lettore un sentidei campesinos, in una comunità che lo ignora. mento marcato di condivisione e pena: parole Cresciuto orfano di madre, vive con el me abueschiette che circoscrivono e restituiscono la lito, il nonno feroce e violento, responsabile memoria dolorosa e la sventura di Manuel. della morte di sua madre Isabel. Situata a pochi Parole riflessive e copiose nel momento in cui chilometri da Santiago del Cile, Sant’Elena è Manuel si sofferma sul senso dell’esistenza e un luogo in cui regnano la superstizione e il sulla vigliaccheria di chi vive nella menzogna. dominio generazionale. “Scrivendo”, precisa Il bosco, e per esso la natura, sul finire della Foa, “ho rispettato i sentimenti, le emozioni e i vicenda, accoglie Manuel, offrendogli rifuvalori di Manuel, che è il protagonista di questo gio. La sua reverenza nei riguardi del bosco è libro. Ho preso quei frammenti, li ho ricomposti e quella di un figlio per la madre, un figlio che interpretati, immedesimandomi in lui”. riconosce il volto impietoso della vita e, pur Ricamando molti episodi attraverso la filigranon affidandosi al potere salvifico della natuna della sensibilità, l’autore ricorre a immara, si abbandona alla sua forza rigeneratrice. gini forti senza rinunciare a un linguaggio Insieme a Manuel la natura si erge maestosa raffinato. La stesura del racconto è infatti sullo sfondo di un’esperienza sconvolgente Il bambino invisibile intrisa di una vena poetica, che si incarna che fortunatamente avrà un lieto fine. di Marcello Foa in numerosi enunciati. Dare voce a una stoFra l’autore e Manuel Antonio Bragonzi, che Piemme Voci, 2012 ria vera, soffocata nella violenza, richiede oggi vive in Italia, nasce dunque un’intesa una notevole capacità di identificazione, unita a un profon- preziosa e una rara amicizia, che scaturisce dalla sensazione do rispetto per quanto accaduto, soprattutto quando viene di essersi già incontrati e di condividere la stessa anima. A narrata la sofferenza di chi ha vissuto un’infanzia umiliata. partire dalla certezza che avrebbero dovuto raccontare insieme Il modo con cui Foa riesce a interiorizzare pensieri e accadimen- il passato di Manuel.
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dodicisette
I FOTOGRAFI DI TICINOSETTE. CATALOGO DELLA MOSTRA
Questo volume offre l’opportunità di ammirare una selezione di fotografie pubblicate in anni recenti su «Ticinosette» e realizzate da dodici fotografi che provengono da diversi settori della fotografia professionale ticinese e svizzera. Un centinaio di affascinanti immagini, un volume di indubbio interesse e una testimonianza della vitalità della fotografia elvetica contemporanea. Alcuni dei servizi fotografici presenti in questo elegante volume sono stati premiati nelle ultime edizioni dello «Swiss Press Award», importante concorso al quale partecipano tutte le maggiori testate nazionali. Tra i fotografi presenti nel catalogo ricordiamo Reto Albertalli, Didier Ruef, Giosanna Crivelli, Katja Snozzi, Matteo Aroldi, Jacek Pulawski e Reza Khatir. Le immagini sono visibili sino al 27 gennaio 2013 nella mostra «12 x 7» presso Casa Cavalier Pellanda, Biasca.
FORMATO PAGINE FOTOGRAFIE AUTORI PREZZO
21 x 29.5 cm 116 117 12 fotografi Fr. 30.– (spese di spedizione incluse)
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SalvioniEdizioni
DA RITORNARE A SalvioniEdizioni . Via Ghiringhelli 9 . 6500 Bellinzona Telefono 091 821 11 11 . Fax 091 821 11 12 . libri@salvioni.ch . www.salvioni.ch Questo volume è anche reperibile nelle migliori librerie ticinesi.
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Astri toro
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Grazie a Venere e alla connessione con il centro galattico (27° Sagittario) il periodo natalizio si mostra nella sua forma più magica. Imprevedibili i nati nelle ultime decadi. Disturbate le giornate tra il 28 e il 29!
Vigilia e Natale contrassegnati da una certa malinconia. Con Luna e Saturno in opposizione vi troverete a pensare a tutto quello che ormai non c’è più. Non date spazio ai rimpianti e puntate con gioia al presente.
Tra il 26 e il 27 dicembre Luna nella prima casa solare. Attenti a non commettere errori di superficialità quando vi trovate a parlare in pubblico. Possibile incontro con una persona particolare.
Tra il 24 e il 25 Luna nell’amico segno del Toro. Grazie a questo transito e all’affetto dei vostri cari potrete con serenità affrontare qualsivoglia cambiamento. Recupero energetico, ma maggior cautela intorno al 29.
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Dal 27 dicembre il cielo sarà segnato dall’arrivo di Marte. Con Saturno in quadratura non sarà difficile che qualcosa vi possa colpire nell’orgoglio. Possibile fase di rottura con gli ambienti familiari.
Siete particolarmente volitivi e disposti a tutto pur di raggiungere un risultato. Nervosismo e chiacchiere fuori sede tra il 26 e il 27 dicembre. I nati nella terza decade devono mantenere la calma sul lavoro.
Tra Natale e fine anno favorite le relazioni con i segni di fuoco. Litigi în famiglia per i nati nella terza decade stimolati fino al 26 dicembre dal transito di Marte. Bene il 26 e il 27 dicembre per le prime decadi.
Vigilia e Natale segnati dal transito lunare in Toro. Profonda malinconia per un passato perduto. Atteggiamenti bi-polari provocati da Giove, soprattutto per quanto riguarda la vita a due. Attenti al gioco.
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Incontri sentimentali e vita nuova per i nati nel segno. Giove in opposizione tende ad accentuare gli aspetti egocentrici del carattere. Prese di posizione contro le regole se ritenute contrarie al proprio benessere.
Con la Luna di transito il Natale si prospetta ricco di atmosfere romantiche. Molti dei vostri massimi sistemi stanno andando incontro a un “reset” generale. Tra il 28 e il 29 emotività al massimo.
A partire dal 27 dicembre Marte entra nel vostro segno. Se non vi farete imbrigliare dalle inibizioni di Saturno, e saprete rischiare, potrete fare “bingo”. Fortunati i nati nella prima decade protetti da Giove.
Natale infiocchettato grazie ai protettivi transiti di Luna e Plutone. Con Giove e Venere in quadratura siete più attratti dal profano. Confusione sentimentale per i nati nella seconda decade. Autocontrollo.
» a cura di Elisabetta
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Orizzontali 1. Un gioco infantile • 9. Regione greca • 10. Un commissario dei gialli • 11. Cuor di dotto • 13. Il fiume di Bottego • 14. Arbusto spinoso • 16. Verniciare • 18. Pari in curva • 19. La Grande zarina • 21. Stretta apertura • 23. Bevanda invernale • 24. Articolo maschile • 25. La nota Massari • 26. Grossi pesci • 29. La nota degli sposi • 30. Atollo • 33. Vi sosta la carovana • 34. La nota Pavone • 36. Vasto continente • 38. Il numero perfetto • 40. In mezzo al mare • 42. Cattivissimi • 44. La capitale con il Colosseo • 46. Il solido del gelataio • 47. Andata in poesia • 48. Il bel Brad • 50. Alcolisti Anonimi • 51. Subirono un decennale assedio. Verticali 1. Nota commedia scritta e interpretata da E. De Filippo • 2. Contraddistingue il caffè • 3. Stupida • 4. Vettura inglese • 5. Olfatto • 6. Lindore • 7. Preposizione semplice • 8. Il dio del mare • 11. Il dittongo del poeta • 12. Si stende sul tavolo • 15. Militari graduati • 17. Alluvione, catastrofe naturale • 20. Rabbia • 22. Schivata, scansata • 27. Lo chiede chi non ha capito • 28. Il pronome dell’egoista • 31. Ramo di vite • 32. Il doppio di quaranta • 35. Il cane di Ulisse • 37. Italia e Austria • 39. Vocali in treni • 41. Quella sacra giudica • 43. Note scolastiche • 45. Dubitativa • 48. Pubbliche Relazioni • 49. La terza nota.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 1
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 27 dicembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 24 dic. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Joanna Bernasconi via Ungè 6808 Torricella Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: Carta regalo FFS Le Ferrovie Federali Svizzere offrono 2 carte regalo per un valore totale di 100.– CHF a 1 fortunato vincitore. Ulteriori informazioni visitando il portale ffs.ch/cartaregalo
Biglietti per un evento sportivo, un concerto, un viaggio dell’Agenzia viaggi FFS, carte giornaliere, abbonamenti, orologi FFS di Mondaine o Smartbox: questo e molto altro può essere pagato con la carta regalo FFS. La carta valore è il regalo ideale per ogni occasione, è disponibile presso tutti gli sportelli FFS e l’importo da caricare può essere stabilito liberamente tra 10 e 3.000 franchi. E per adeguare il regalo all’occasione, è possibile scegliere tra cinque soggetti diversi. A proposito: dopo ogni acquisto con la carta regalo FFS, la validità sarà automaticamente prolungata di altri due anni.
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Un tocco di ispirazione per le giornate di festa. Con le squisite varietà Crème d’or è facilissimo preparare il dessert più adatto ad ogni ospite! I gusti classici e in edizione limitata sanno infatti come viziare i palati più esigenti. Non per nulla nei gelati Crème d’or ci sono solo ingredienti scelti e buonissima panna svizzera. Trovi tante ricette festive per te e i tuoi cari su www.creme-d-or.ch